riforma della chiesa Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/riforma-della-chiesa/ Settimanale di informazione regionale Fri, 21 Jul 2023 14:44:54 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg riforma della chiesa Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/riforma-della-chiesa/ 32 32 Riformare: cioè https://www.lavoce.it/riformare-cioe/ Tue, 04 Dec 2018 08:00:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53530 logo abat jour, rubrica settimanale

di Angelo M. Fanucci

Più passa il tempo, più si sente il bisogno di una riforma liturgica a norma del Concilio Vaticano II. Il bisogno di incrementare il ritmo di qualcosa che già accade: una lunga pioggia leggera ma insistente che, a onta di tutte le resistenze, sta penetrando nel terreno delle esauste comunità cristiane della vecchia Europa. Anche se penetra molto più lentamente di quanto accada in quelle che fino a ieri, in Africa o Sudamerica, chiamavamo “terre di missione”.

Al di là del rinnovamento di singole locuzioni, si sente il bisogno di ripensare a fondo la liturgia della messa: il “non ci indurre in tentazione” è già andato in soffitta. Ma quando cesserà di essere una bugia quel “prendete e bevetene tutti” dopo il quale tutti mangiano e uno solo beve?

A me sta particolarmente indigesto quell’“Agnello di Dio che togli i peccati del mondo”. “Togli”... cos’è stata, un’amnistia? Tutt’altro! Tòllere in latino indica anche e prima di ogni altra cosa il gesto dello schiavo che nel porto di Ripetta sale sulla triremi appena arrivata dall’Africa e si carica sulle spalle una balla di grano da due quintali Quel “togli i peccati del mondo” andrebbe sostituito con “ti fai carico del peccato del mondo”, aggiungendo magari “e lo perdoni”.

Su questo piano potremmo continuare a lungo, soprattutto se volessimo radiografare le parti mobili della messa e denunciarne i limiti in fatto di sentire cum Ecclesia , con la Chiesa del Concilio.

Piccoli esempi di una riforma necessaria, ma insufficiente. Riforma è anche questo, ma non solo questo. Riforma in senso pieno dovrebbe consistere nel ripensare da vari punti di vista l’impostazione globale del rito sacro.

Due piccoli esempi. Primo. Era una mensa, è diventato un altare. Occorrerebbe, forse, ridisegnare a fondo l’interno delle nostre chiese, liquidare gli arredi inutili, centrare tutto sulla mensa alla quale si mangia insieme.

Secondo: chi presiede doveva farlo sollecitando il contributo di tutti, ma non è successo. È prevalsa la prassi ispirata all’anticristiana, drammatica imprecisione che s’è insinuata nella definizione stessa della Chiesa: la distinzione fra “Chiesa docente”, che insegna, e “Chiesa discente”, che impara. Drammatica. C’è stato preannunciato che un giorno saremmo tutti assurti a profeti, e che i nostri figli e le nostre figlie avrebbero profetato. Nella misura in cui appartiene alla Chiesa discente, per chiunque che non sia il celebrante - ancorché soprannominato “il presidente” quel momento non arriverà mai.

Ripensare globalmente la fisionomia essenziale del rito. Un passettino per volta, ma avendo ben chiaro dove si vuole arrivare. È quello che sta facendo, a passettini piccoli ma continui, Papa Francesco, suscitando come sempre malumore e critiche aspre in chi non riesce a seguirlo.

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di Angelo M. Fanucci

Più passa il tempo, più si sente il bisogno di una riforma liturgica a norma del Concilio Vaticano II. Il bisogno di incrementare il ritmo di qualcosa che già accade: una lunga pioggia leggera ma insistente che, a onta di tutte le resistenze, sta penetrando nel terreno delle esauste comunità cristiane della vecchia Europa. Anche se penetra molto più lentamente di quanto accada in quelle che fino a ieri, in Africa o Sudamerica, chiamavamo “terre di missione”.

Al di là del rinnovamento di singole locuzioni, si sente il bisogno di ripensare a fondo la liturgia della messa: il “non ci indurre in tentazione” è già andato in soffitta. Ma quando cesserà di essere una bugia quel “prendete e bevetene tutti” dopo il quale tutti mangiano e uno solo beve?

A me sta particolarmente indigesto quell’“Agnello di Dio che togli i peccati del mondo”. “Togli”... cos’è stata, un’amnistia? Tutt’altro! Tòllere in latino indica anche e prima di ogni altra cosa il gesto dello schiavo che nel porto di Ripetta sale sulla triremi appena arrivata dall’Africa e si carica sulle spalle una balla di grano da due quintali Quel “togli i peccati del mondo” andrebbe sostituito con “ti fai carico del peccato del mondo”, aggiungendo magari “e lo perdoni”.

Su questo piano potremmo continuare a lungo, soprattutto se volessimo radiografare le parti mobili della messa e denunciarne i limiti in fatto di sentire cum Ecclesia , con la Chiesa del Concilio.

Piccoli esempi di una riforma necessaria, ma insufficiente. Riforma è anche questo, ma non solo questo. Riforma in senso pieno dovrebbe consistere nel ripensare da vari punti di vista l’impostazione globale del rito sacro.

Due piccoli esempi. Primo. Era una mensa, è diventato un altare. Occorrerebbe, forse, ridisegnare a fondo l’interno delle nostre chiese, liquidare gli arredi inutili, centrare tutto sulla mensa alla quale si mangia insieme.

Secondo: chi presiede doveva farlo sollecitando il contributo di tutti, ma non è successo. È prevalsa la prassi ispirata all’anticristiana, drammatica imprecisione che s’è insinuata nella definizione stessa della Chiesa: la distinzione fra “Chiesa docente”, che insegna, e “Chiesa discente”, che impara. Drammatica. C’è stato preannunciato che un giorno saremmo tutti assurti a profeti, e che i nostri figli e le nostre figlie avrebbero profetato. Nella misura in cui appartiene alla Chiesa discente, per chiunque che non sia il celebrante - ancorché soprannominato “il presidente” quel momento non arriverà mai.

Ripensare globalmente la fisionomia essenziale del rito. Un passettino per volta, ma avendo ben chiaro dove si vuole arrivare. È quello che sta facendo, a passettini piccoli ma continui, Papa Francesco, suscitando come sempre malumore e critiche aspre in chi non riesce a seguirlo.

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Nell’orizzonte della riforma https://www.lavoce.it/nellorizzonte-della-riforma/ Fri, 28 Nov 2014 11:59:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29181 Padre-Domenico-CancianAll’inizio del nuovo anno liturgico, nel momento in cui stiamo riflettendo come Chiesa sulla famiglia (Sinodo), sulla “Vita e la formazione permanente dei presbiteri” (Assemblea Cei) e l’inizio dell’Anno della vita consacrata (a partire dal 30 novembre), la parola ricorrente che può legare e interpretare in modo più profondo questi eventi può essere “riforma”, intesa semplicemente come sinonimo della conversione evangelica permanente. “La riforma della Chiesa è stata la grazia grande e la formidabile missione che lo Spirito ha affidato ai Padri del Concilio Vaticano II” (Lambiasi). San Giovanni XXIII ha voluto il Concilio per “una rinnovata Pentecoste”.

Il beato Paolo VI indicò come “principale scopo del Concilio il rinnovamento (renovatio) della Chiesa”. Papa Benedetto XVI ci ha ricordato l’importanza dell’ermeneutica della riforma per evitare le derive della rottura, da una parte, e della continuità come pigro immobilismo, dall’altra. Papa Francesco insiste nel dire che stiamo facendo fatica a cambiare come ci ha chiesto il Concilio, anzi “ci sono voci che vogliono andare indietro. Questo si chiama essere testardi” (16 aprile 2013). In modo chiaro e perentorio chiede alla Chiesa di “entrare in un processo di discernimento, purificazione e riforma” (EG, n. 30).

La Chiesa è semper reformanda e perciò deve trovare percorsi evangelici praticabili per essere realmente la Chiesa innamorata del suo Signore, capaci di vivere la comunione fraterna, la povertà, la misericordia, la missione a tutto campo, specialmente nelle periferie che Gesù ha frequentato sulle strade della Palestina. Percorrere questa strada richiede una serie di “no” (alle nuove idolatrie, all’accidia egoista, al pessimismo sterile, alla mondanità spirituale) perché emergano più chiari i “sì” (alla spiritualità missionaria, alle relazioni nuove generate da Cristo come l’essere figli e fratelli, alla gioia del Vangelo). È proprio nell’orizzonte di una riforma così intesa che la Chiesa nelle sue principali componenti che stiamo rivisitando (famiglia, ministri ordinati, consacrati/e) si rinnova nel profondo come voleva il Concilio e come chiede fortemente Papa Francesco. In riferimento alla vita consacrata tale riforma verte su tre ambiti specifici.

Religiosi-e-religiosePrimo: la grazia di una vita radicalmente evangelica. È il dono-impegno di assumere lo stile di vita di Gesù con i voti di obbedienza, castità e povertà. “La scelta di questi consigli, lungi dal costituire un impoverimento di valori autenticamente umani, si propone piuttosto come una loro trasfigurazione” (Vita consecrata, n. 87). Alla provocazione della cultura edonistica, la castità consacrata risponde con la testimonianza dell’amore celibe vissuto da Cristo; al materialismo avido di possesso risponde con la povertà evangelica a servizio dei poveri; al libertarismo del “fai da te, come ti piace” risponde con la libertà di obbedire al Padre facendo la sua volontà.

Secondo: la gioia della vita fraterna. Le comunità religiose sono chiamate a vivere quelle relazioni fraterne e amichevoli che sono un grande dono e una bella fatica da mettere in atto nel servizio, nel perdono, nella reciproca accoglienza per vivere il comandamento di Gesù: “Amatevi come vi ho amato io”. Qui si esemplifica l’ecclesiologia di comunione, cuore della testimonianza della Chiesa in un mondo diviso. Essere “una cosa sola in Cristo” è il testamento del Maestro.

Terzo: la gioia della missione. Portare il Vangelo dell’amore a tutti, più coi fatti che con le parole, portarlo specialmente ai più poveri. In questo modo sequela di Cristo, comunione fraterna e missione vanno insieme e si rinforzano a vicenda. Vorrei sottolineare infine la dimensione ecclesiale della vita consacrata. È un dono dello Spirito alla Chiesa, che la deve valorizzare. D’altra parte, i religiosi devono sentirsi dentro la Chiesa (locale) operando secondo il proprio carisma “in piena comunione con il vescovo nell’ambito dell’evangelizzazione, della catechesi, della vita delle parrocchie” (VC, n. 49). L’Anno della vita consacrata è una grande opportunità per rafforzare la comunione tra sacerdoti-laici-religiosi nella pastorale della Chiesa particolare. Alcune celebrazioni come la Giornata della vita consacrata, iniziative specifiche e alcune attività concordate e condivise dovrebbero essere inserite nella vita ecclesiale e partecipate da tutti. Viceversa, la presenza dei religiosi/e nella pastorale diocesana – secondo il proprio carisma – dovrebbe essere ancora più significativa, per rendere ancora più bella la Chiesa, Sposa di Cristo.

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Opportunità che meritano massima attenzione https://www.lavoce.it/opportunita-che-meritano-massima-attenzione/ Thu, 25 Sep 2014 17:35:11 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28146 Prossimamente avremo tre preziose opportunità che meritano la massima attenzione. Vado in ordine temporale.

Primo: dal 5 al 9 ottobre il Sinodo dei vescovi su “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”. Ci invita a riflettere, come abbiamo già fatto rispondendo al questionario, sul rapporto d’amore tra l’uomo e la donna, affrontando in modo sereno e chiaro le problematiche “scottanti” riguardanti la vita umana, la sessualità, il genere, la convivenza, il matrimonio. Le ideologie di gender attribuiscono alla società, alla cultura vigente e al singolo la libertà di determinare il sesso, l’amore, la vita.

Ci domandiamo tra l’altro: il bambino non ha diritto di nascere in una famiglia e di poter dire con verità “papà, mamma, fratello”? Scrive Papa Francesco: “La famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e i legami sociali. Nel caso della famiglia, la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società, del luogo dove si impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri, e dove i genitori trasmettono la fede ai figli” (EG, 66). Usando sempre il dialogo rispettoso e cercando di cogliere ciò che di vero e di buono vi è in ogni situazione e proposta, occorre ricordare quel “Vangelo della famiglia” che è stato rivelato come bene per tutti.

Secondo: dal 10 al 13 novembre, ad Assisi, avrà luogo l’Assemblea generale straordinaria della Cei su “La vita e la formazione permanente dei presbiteri”. È già disponibile lo Strumento di lavoro, che sollecita riflessioni condivise tra vescovi, sacerdoti e diaconi sulla formazione permanente del clero, che accentui soprattutto l’appartenenza al presbiterio per la missione apostolica in comunione con il vescovo (i preti e i diaconi sono i primi collaboratori).

Facendo tesoro del percorso del Vaticano II, vescovi-presbiteri-diaconi si chiedono come comprendere e tradurre ciò che lo Spirito per bocca di Papa Francesco chiede alla Chiesa, chiamandola a una vera “riforma” che coinvolge anzitutto noi. Si tratta di affrontare il tema della formazione permanente del clero in modo realistico, organico e puntuale, in uno stile di fraterno confronto con i diversi modi di pensare, agire e vivere, così da aiutarci sia umanamente sia evangelicamente (quel Vangelo che noi predichiamo, a noi per primi si rivolge) e anche pastoralmente. Il vescovo, chiamato a essere padre, guida e amico sull’esempio di Gesù con i Dodici, ha una particolare responsabilità, ma anche viceversa: insieme si costruisce la comunione fraterna, la cooperazione e la collaborazione, ossia la fraternità presbiterale che avvertiamo in modo particolarissimo il Giovedì santo, il giorno nel quale il Signore Gesù ci ha istituiti lasciandoci in testamento l’unico dono-comandamento: “Amatevi [rivolto ai Dodici] come io vi ho amato” (Gv 13,34). Il Papa nella Evangelii gaudium parla delle tentazioni degli operatori pastorali (cf nn. 76-109). Anche noi le conosciamo, e conosciamo le nostre debolezze.

Terzo: dal 30 novembre 2014 al 2 febbraio 2016 il Papa ha indetto l’Anno della vita consacrata. Insieme ai laici cristiani e ai ministri ordinati, le religiose e i religiosi sono un altra componente essenziale del popolo di Dio che è la Chiesa (come appare chiaro nello schema della Lumen gentium). “Senza questo segno concreto – scriveva Paolo VI nella Evangelica testificatio – la carità che anima l’intera Chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso del Vangelo smussarsi, il ‘sale’ della fede diluirsi”.

Lo specifico della vita consacrata è proprio quello di richiamare tutto il popolo di Dio alla radicalità della sequela di Cristo e alla tensione escatologica di ogni uomo verso il regno di Dio. Non sembra un caso che, mentre da un lato la vita consacrata sta vivendo un momento critico quanto al numero (e forse alla qualità della sua presenza nel contesto socio-ecclesiale attuale), i due ultimi Papi si siano ispirati a due fondatori religiosi che hanno segnato la storia proprio in tempi di cambio epocale come quello che stiamo vivendo ora: san Benedetto da Norcia e san Francesco di Assisi. L’Anno della vita consacrata è un’altra bella occasione per sviluppare il rinnovamento ecclesiale, particolarmente nella nostra regione, dove abbiamo avuto significative testimonianze religiose e dove la presenza dei religiosi/e è ancora notevole. I tre eventi che stiamo per vivere diano nuovo vigore e impulso al rinnovamento delle tre componenti della Chiesa: i laici (specie le famiglie cristiane), i ministri ordinati, la vita consacrata.

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Orvieto-Todi: l’epoca della “riforma” della Chiesa https://www.lavoce.it/orvieto-todi-lepoca-della-riforma-della-chiesa/ Fri, 01 Aug 2014 12:43:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27344 Madonna-in-trono-bn
Madonna in trono – Sedes Sapiaentiae, sec. XII-XIII, Todi

I frutti della riforma “gregoriana” si videro già nel secolo XI con la rinascita della Chiesa cittadina, la valorizzazione della cattedrale e l’istituzione di un Collegio di canonici per favorire la vita comune dei preti e dare loro una Regola di vita.

Si manifestarono subito dei pericoli: uno a causa delle rendite che erano legate a questa funzione, e che suscitarono le brame delle aristocrazie locali; l’altro era l’opposizione al vescovo, come avvenne ad Orvieto, dove il Capitolo parteggiava per il Comune nei contrasti con il vescovo Ildebrando (1149-1154).

Canonicati sorsero pure in zone rurali, come dimostra il toponimo Canonica che ha dato il nome a due paesi, uno vicino a Todi e l’altro nei pressi di Sugano d’Orvieto. Nelle campagne si edificarono molti monasteri benedettini, alcuni anche in città. Nel 1093 il vescovo tuderte Oddo concesse il permesso a Sinolfo degli Atti di costruire un’abbazia, San Nicolò de Criptis, sulle rovine dell’anfiteatro romano. È un periodo in cui si moltiplicano le chiese: nel sec. XIII a Orvieto vi sono 17 chiese urbane e 77 rurali, a Todi 18 in città e 136 in campagna, una rete destinata a crescere.

La ripresa di una forte vitalità sociale urbana, con contatti più ampi, portò anche alla diffusione delle eresie. Molti non erano soddisfatti della vita cristiana vigente e anelavano il ritorno alla Chiesa delle origini, povera e fraterna. Si diffusero vari movimenti ereticali tra cui i Catari; a Orvieto il fenomeno fu particolarmente grave, ed era tollerato dalle autorità pubbliche. Il papa Innocenzo III inviò nella città il podestà Pietro Parenzo per sanare la situazione, ma Pietro fu assassinato dagli eretici il 20 maggio 1199.

Nella società c’era un’inquietudine sia sociale sia religiosa, emergeva il bisogno di una spiritualità più autentica, un desiderio diffuso d’imitare Cristo, di capire la sua parola. Dal sec. XII si avviò un processo di rinnovamento della vita religiosa dei laici; dal loro fermento, spesso al limite dell’ortodossia, nacquero nuovi Ordini religiosi. Dai successivi movimenti penitenziali, quali i Flagellanti e i Bianchi, si generarono una costellazione di associazioni devozionali come le confraternite. Fu questo l’humus che fece germinare gli Ordini mendicanti. Nel XIII secolo a Orvieto e a Todi s’insediarono i Francescani, i Domenicani, gli Eremiti di sant’Agostino, i Servi di Maria; i Frati minori aprirono comunità anche ad Acquasparta, a Pantanelli, a Monte Giove.

Giovani locali lasciarono tutto per seguire Cristo povero e umile sull’esempio di Francesco d’Assisi: il beato Simone da Collazzone, il beato Ruggero da Todi sono discepoli della prima ora del santo d’Assisi. Anche il mondo femminile si dimostrò vitale con l’esperienza di santa Chiara; nel 1228 troviamo conventi di Clarisse sia nel territorio di Todi che di Orvieto.

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Riforma del lavoro sulla base della persona https://www.lavoce.it/riforma-del-lavoro-sulla-base-della-persona/ Fri, 02 May 2014 11:54:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24605 Papa Francesco saluta gli operari delle acciaierie di Terni e le loro famiglie
Papa Francesco saluta gli operari delle acciaierie di Terni e le loro famiglie

La cultura dominante, oggi, trasmette alle nuove generazioni un messaggio che rischia di essere nebuloso e fuorviante, frutto di una società “liquida”, segnata dal rischio e dall’incertezza: tutto è vano – sembra dire –, non serve prepararsi al lavoro e darsi delle mete in un mondo in cui la verità viene compromessa e prevalgono i furbi e i potenti. Questo “potere”, poi, si identifica soprattutto con la possibilità di accesso ai mezzi di consumo e ai posti di comando, che finiscono col mettere in primo piano le esigenze del “singolo” e non quelle del bene comune. Il fatto che il lavoro sia il fondamento della nostra Costituzione oggi fa problema. Dirlo sembra ingenuo e superficiale, ma per le nuove generazioni è così, perché il lavoro è diventato un’emergenza nazionale e molti – specialmente i più attrezzati – se ne vanno via dall’Italia (cf. Rapporto Censis 2013, pp. 31-42). Giuseppe De Rita, nelle “Considerazioni generali” del 47° Rapporto Censis (2013), ha indicato nella “connettività” l’“anima segreta” dei grandi processi sociali portatori di nuove opportunità, spesso vanificate dai particolarismi e dalle preconcette contrapposizioni. Non si tratta della connessione tecnica fine a se stessa e aperta a tutte le deviazioni della virtualità autogestita, ma di pensare al futuro dello sviluppo digitale come strumento di connessione reale tra tutti i soggetti sociali portatori di opportunità per lo sviluppo del bene comune. Con la venuta di Papa Francesco, il paziente lavoro di tessitura dei rapporti tra le parti sociali, svolto dai giuslavoristi come Marco Biagi – ucciso 12 anni fa a Bologna dalle Brigate rosse – assume una luce ulteriore. Nella esortazione apostolica Evangelii gaudium (n. 226), infatti, il Papa presenta il problema del “conflitto” ecclesiale e sociale come realtà da affrontare, per costruire un anello di collegamento tra le parti e introdurle in un rinnovato processo di confronto, dove sussiste una comunione nelle differenze. Si tratta, in sostanza, di inserire nella dinamica conflittuale un principio indispensabile per costruire l’amicizia sociale: “l’unità è superiore al conflitto”. Lavorare e dare la vita per ricomporre in unità ciò che l’egoismo ideologico frantuma è la più efficace testimonianza d’amore che l’essere umano possa esprimere. Questa è la via indicata da Papa Francesco, non solo per riformare la Chiesa, ma il mondo intero. Papa Bergoglio, in aula Paolo VI il 20 marzo, davanti a una folla di fedeli provenienti dalla diocesi di Terni-Narni-Amelia, ha messo a fuoco il lavoro in rapporto alla dignità della persona. “Il lavoro – ha detto il Papa – riguarda direttamente la persona, la sua vita, la sua libertà e la sua felicità. Il valore primario del lavoro è il bene della persona umana, perché la realizza come tale, con le sue attitudini e le sue capacità intellettive, creative e manuali. Da qui deriva che il lavoro non ha soltanto una finalità economica e di profitto, ma soprattutto una finalità che interessa l’uomo e la sua dignità”. Pertanto, una società che non riesce ad assicurare il lavoro alle nuove generazioni non ha fondamenta solide, e rivela un forte indice di conflittualità generazionale. Dal secondo dopoguerra in poi, noi adulti abbiamo “mangiato” più di quanto abbiamo prodotto, e non ci siamo preoccupati di alimentare le risorse del nostro tesoro nazionale come la famiglia e l’educazione delle nuove generazioni. Il Papa si è chiesto: “Che cosa possiamo dire di fronte al gravissimo problema della disoccupazione che interessa diversi Paesi europei? È la conseguenza di un sistema economico che non è più capace di creare lavoro, perché ha messo al centro un idolo che si chiama denaro! Pertanto, i diversi soggetti politici, sociali ed economici sono chiamati a favorire un’impostazione diversa, basata sulla giustizia e sulla solidarietà”. Per questo c’è ancora bisogno della Pasqua!

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“È il suo invito ad andare lontano incontro al mondo” https://www.lavoce.it/e-il-suo-invito-ad-andare-lontano-incontro-al-mondo/ Mon, 10 Mar 2014 15:42:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23467 Vaticano,-23-febbraio--Papa-Francesco-presiede-la-concelebrazione-eucaristica-con-i-cardinali-creati-nel-ConcistoroFilosofo, sociologo delle religioni, traduttore. Jean-Louis Schlegel si dice particolarmente interessato alla ricomposizione del religioso e in particolare della Chiesa cattolica nella società contemporanea. L’invito di Papa Francesco ad uscire nelle periferie per andare incontro agli uomini e alle donne che le abitano, rientra in questo grande disegno di riconciliazione tra il mondo e la Chiesa.

Prof. Schlegel, intanto una sua prima impressione di questo primo anno di pontificato? Quale dimensione nuova Papa Francesco ha portato alla Chiesa ?

“Ho una duplice impressione: da una parte vedo che la Chiesa è governata ma noto anche che è governata in modo diverso. Mi spiego: è governata da qualcuno che riflette, agisce e prende lui stesso le decisioni. Papa Francesco non si accontenta di ‘regnare’ lasciando ad altri il governo della Chiesa. Papa Francesco governa e per aiutarsi in questo compito ha creato un apposito Consiglio di cardinali, un’istanza pubblica, ufficialmente incaricata di fare le riforme. Si esce così dall’occulto, dagli intrighi, dalle speculazioni per un governo in piena trasparenza. Dunque il Papa governa, ma governa con uno stile diverso. Voglio dire che imprime uno stile particolare al suo governo che consiste innanzitutto nel prendersi personalmente i rischi delle proprie decisioni. Francesco non ha atteso di mettere in moto le riforme strutturali (Curia, finanze, ecc) per cambiare la Chiesa. E’ lui stesso la riforma. Il cambio di stile è straordinario – a partire dalla sua abitazione, il vestito, i rapporti ‘fisici’ con le persone (anche con le donne, per esempio, che abbraccia senza esitare). Compie in questo senso anche gesti simbolici: non si limita a invitare gli altri ad andare incontro al povero e ai piccoli. Ci va lui di persona. Basti pensare a Lampedusa, all’incontro con i disabili, ai bambini della prima comunione, alla lavanda dei piedi il Giovedì Santo … In altre parole, paga di persona e avvia la riforma della Chiesa senza attendere il completamento dei lavori del suo Consiglio cardinalizio. Si ha l’impressione di essere ‘in riforma’ da un anno”.

Lei parlava dell’invito del Papa di andare incontro ai piccoli, alle periferie. Quali sono le periferie moderne dove appunto immergersi?

“Il Papa parla agli uomini e alle donne di questo tempo e le persone oggi vivono prevalentemente nelle città e nelle loro periferie. In Francia il termine ‘péripherie’ rimanda alle periferie più lontane, ai bordi più esterni dei quartieri periferici. Non tutte le periferie però sono povere. A Parigi e nella regione parigina, per esempio, parte della periferia è molto ricca. Non credo che il Papa si riferisca a queste periferie (anche se c’è una povertà spirituale). Credo piuttosto che il Papa parli delle periferie sperdute e lontane dove non ci sono case ma torri, ‘lunghi casermoni’ abitati da moltissimi giovani e dove la disoccupazione è alta. Sono i luoghi dove vivono gli ultimi arrivati, gli immigrati provenienti da paesi poveri e i contadini poveri attratti dalla città e dalle sue promesse spesso ingannevoli…”.

Quanto può aver influito la sua provenienza da Buenos Aires?

“Per lui, arcivescovo di Buenos Aires, la giustapposizione di grandi ricchezze e di immensa povertà, come in tutte le megalopoli del Sud, è una esperienza e una evidenza immediata. La periferia, allungata all’infinito, è il luogo simbolo della povertà materiale, culturale, affettiva … e al tempo stesso il simbolo aggressivo di tutti i cambiamenti e i contrasti di spazio/tempo post-moderno”.

E poi, come diceva, esiste la povertà spirituale?

“Il Papa ha certamente in testa anche le “periferie simboliche” dell’esilio interno, della solitudine, del dolore di vivere, della violenza, senza dimenticare gli uomini lontani dalla Chiesa”.

Perché parlare di periferie proprio adesso?

“Perché bisogna uscire. Uscire e andare lontano. Ma uscire per andare lontano dove? Uscire dalla ‘sacrestia’, dai ‘templi’, dalle mura della parrocchia identificata come ‘cattolica’. Sembra che Francesco suggerisca che questo andare fuori faccia bene ai sacerdoti, non solo spiritualmente, ma anche a livello psicologico: si tratta per loro di uscire dallo spazio ecclesiale per cambiare aria. A volte ho anche avuto la sensazione che Benedetto abbia sottolineato la liturgia, la conversione interiore, lo spazio della Chiesa e la vita spirituale. Per Francesco era troppo ristretto. Lui sprona ad andare incontro agli esseri umani, anche ai non cristiani, addirittura spingendosi fuori dall’etica cattolica, non solo a causa dell’evangelizzazione o per ‘convertire’, ma per vivere una esperienza personale. La ragione che ha dato per spiegare la scelta di stare a Santa Marta, non è la povertà o la virtù (neanche per evitare il Palazzo Vaticano). No, lui ha bisogno di scambiare parole con quelli che si trovano al suo tavolo e si trovano lì per caso e non per etichetta vaticana. E, infine, penso, che Papa Francesco ricordi ai vescovi, ai sacerdoti e ai laici che non è sufficiente servire il corpo della Chiesa come dei ‘buoni funzionari’. Il Vangelo esige di più! ‘Magis’, come diceva Sant’Ignazio, fondatore dei Gesuiti. Cristo chiama i suoi discepoli a fare ‘di più’”.

Maria Chiara Biagioni

 

 

Biografia: Jean-Louis Schlegel

Sociologo della religione, membro della rivista “Esprit” e del Comitato Scientifico di Assr (Archives de Sciences Sociales des Religions), editore delle “Editions du Seuil”, è un osservatore interessato al futuro della Chiesa cattolica. È, in particolare, autore di due libri che tentano di comprendere e descrivere le due tendenze estreme del nostro tempo: l’individualismo in “Religions à la carte” (Hachette, 1997), e le tentazioni fondamentaliste identitarie in “La loi de Dieu contre la liberté des hommes. Intégrismes et fondamentalismes” (Seuil, 2003). Ha diretto numeri speciali della rivista Esprit sulla questione religiosa (“Il tempo delle religioni senza Dio” e “Effervescenze religiose del mondo”). E’ stato anche traduttore di filosofi (Franz Rozenzweig, Jürgen Habermas, Carl Schmitt, Hans Blumenberg) e di teologi (Hans Küng, Hans Urs von Balthasar, Erik Peterson, Joseph Ratzinger.

 

 

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“Niente ideologia solo qualità della vita cristiana” https://www.lavoce.it/niente-ideologia-solo-qualita-della-vita-cristiana/ Mon, 10 Mar 2014 15:35:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23466 Roma,-16-febbraio--visita-pastorale-di-Papa-Francesco-alla-parrocchia-“San-Tommaso-Apostolo”-all’Infernetto,-nel-settore-sud-della-diocesi-di-Roma-scampio-berrette-tra-papa-francesco-e-ragazzoFrancesco, “il riformatore”. Mentre si chiude il primo anno di pontificato di Papa Bergoglio, tante sono le riflessioni sulla “ventata di novità” portata nella Chiesa universale dal primo Pontefice latinoamericano. Il tutto viene condensato in una parola: riforma. Un termine “inscindibile dalla storia della Chiesa”, sottolinea Massimo Faggioli, docente di storia del cristianesimo alla University of St. Thomas a Minneapolis / St. Paul (Usa). Dagli Stati Uniti, in cui vive e insegna, lo storico ci offre una lettura a tutto tondo del “percorso nuovo e diverso” aperto dall’elezione di Papa Francesco.

La parola riforma è ritornata spesso nella storia della Chiesa. Quale impatto ha avuto nel corso dei secoli?

“La parola riforma è inscindibile dalla storia del cristianesimo – e questo dice molto del significato della frequenza della parola ‘riforme’ nel lessico politico contemporaneo. Fin da subito, prima del Medioevo, si ha la sensazione della necessità del ritorno a una ‘forma’ originale che è andata perdendosi nella storia. In questo senso, la storia del cristianesimo e della Chiesa cattolica, in particolare, è una storia di riforme (quella di Gregorio VII del secolo XI, quelle dei nuovi ordini religiosi medievali, quella del Concilio di Trento, del Vaticano II) ma anche di riforme mancate (quelle che portarono alla Riforma protestante e alla rottura dell’unità del cristianesimo in Occidente). Di qui l’importanza del momento attuale: comprendere quali riforme sono necessarie, nella Chiesa di oggi, al fine di evitare di parlare tra qualche decennio di ‘mancate riforme’”.

A un anno dall’elezione, Papa Francesco viene annoverato dall’opinione pubblica, ma non solo, tra le grandi figure riformatrici del passato. Quali analogie e quali differenze? E cosa spinge a una tale lettura?

“Le differenze sono principalmente nel carattere globale e universale della Chiesa cattolica di oggi rispetto ai secoli precedenti, ma anche solo rispetto a 50 anni fa. In questo c’è una differenza anche rispetto a Giovanni XXIII del Vaticano II. Ma vi sono pure analogie, nel senso che Francesco è una figura che come Roncalli, nel solco della tradizione, la reinterpreta in un modo che cattura l’attenzione di tutti perché parla della qualità della vita cristiana come bussola della riforma e mette da parte ogni tentazione d’ideologizzazione della riforma”.

Sono trascorsi cinque secoli dal “Libellus ad Leonem X” (1513) con cui veniva suggerito al Papa un programma di riforma radicale. Ora è lo stesso Pontefice a istituire un Consiglio di cardinali per “aiutare il Santo Padre nel governo della Chiesa” e per “studiare un progetto” di riforma. Corsi e ricorsi storici?

“I due momenti sono simili. Vi è la sensazione, oggi come all’inizio del Cinquecento, che la Chiesa sia in ritardo: nel Cinquecento rispetto alla cultura umanistica e delle lettere e all’idea della necessità di una credibilità morale personale; oggi è un ritardo della Chiesa nell’accettare, nel suo magistero, una certa idea di evoluzione della persona umana che è avvenuta nella cultura dell’ultimo mezzo secolo. Ancora più grave è la questione istituzionale. Oggi la Chiesa è ancora molto clericale: meno di 50 anni fa, ma ancora molto più del necessario. Infine, la Chiesa di oggi è diversa da quella del ‘Libellus’ del 1513 anche perché non è più dominata da alcune élite, ma è molto più ‘popolare’ nel senso di élite aperte al ricambio – più di una volta – e molto più trasparente e sotto il giudizio impietoso dei media”.

“Ecclesia semper reformanda”, recita uno slogan protestante; “Ecclesia semper purificanda”, afferma il Vaticano II in “Lumen gentium” (8): due affermazioni che sembrano intrecciarsi guardando all’anno appena trascorso.

“Riforma e purificazione devono andare sempre insieme: altrimenti la prima è soltanto una riorganizzazione burocratica e la seconda soltanto una spiritualizzazione dei problemi che non incide sulle pratiche comunitarie e collettive. A guardare alla Chiesa degli ultimi anni, specialmente nell’anno prima del Conclave del 2013, il rischio è stato quello di procedere a un’opera di pulizia – o a una semplice ‘operazione di polizia’ – che lasciasse intatte le mentalità e la coscienza della Chiesa stessa. Ma l’elezione di Papa Francesco ha aperto un percorso nuovo e diverso”.

Un percorso di conversione che va oltre le strutture e interpella ciascun credente?

“In realtà è sempre stato così, anche con Gregorio VII alla fine del secolo XI: ogni percorso di riforma istituzionale attecchisce solo se si collega a un cambiamento delle mentalità e dei costumi. La differenza è che oggi quello che fa il Papa è sotto gli occhi, sotto il controllo di tutti, diversamente da prima, soltanto qualche decennio fa. In questo senso il processo di riforma della Chiesa oggi è più ‘papalista’ di una volta, e questo è un rischio, nel senso di una Chiesa che ha sempre più bisogno del Papa: ma il Papa ha detto che non è questo che vuole…”.

In definitiva, cosa chiede Papa Francesco?

“Poveri, misericordia e periferie sono le parole chiave del Pontificato. Come ho detto nel mio libro ‘Papa Francesco e la chiesa-mondo’ (Armando Editore, 2014), queste parole chiave aprono non solo un periodo di riforma nella Chiesa, ma anche un’epoca storica nuova per il cattolicesimo: il primo Papa di una Chiesa cattolica veramente globale non solo dal punto di vista dei recettori del messaggio, ma anche da quello di coloro che il messaggio lo inviano. Sotto Papa Francesco vediamo a un interessantissimo cambiamento del rapporto tra urbs e orbis nella Chiesa cattolica”.

Vincenzo Corrado

 

Biografia: Massimo Faggioli

Ferrarese classe 1970, è professore di storia del cristianesimo alla University of St. Thomas a Minneapolis / St. Paul. Ha studiato a Bologna, Torino e Tubinga. Vive in America con Sarah e la loro figlia Laura dal 2008. Tra le sue pubblicazioni, Breve storia dei movimenti cattolici (Roma: Carocci 2008, traduzione spagnola 2011 e americana 2014); Vatican II: The Battle for Meaning (New York: Paulist 2012, traduzioni italiana e portoghese 2013); Vera riforma. Liturgia ed ecclesiologia al Vaticano II (EDB: Bologna 2013; ed. or. americana 2012).

 

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La gioia del credere https://www.lavoce.it/la-gioia-del-credere/ Thu, 13 Feb 2014 15:01:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22213 Padre-Domenico-CancianLa voluminosa esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco “sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale” ha “un significato programmatico e dalle conseguenze importanti” (n. 25). L’alto valore magisteriale è dato anche dal fatto che il Papa interpreta e riassume le proposizioni del Sinodo celebrato dal 7 al 28 ottobre 2012 sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (cf nn. 14-18). Contiene chiaramente quello che più sta a cuore a Papa Francesco: dare impulso alla riforma della Chiesa partendo dal Vangelo, dall’Evangelii gaudium. Questa espressione, nella quale la seconda parola rafforza volutamente la prima (Vangelo infatti significa buona notizia), è il filo conduttore dell’intera esortazione. Dopo l’Anno della fede si passa a esplicitarne la prima manifestazione: la gioia del credere, fondato nel Vangelo, non può che essere caratterizzato dall’esultanza per il dono ricevuto e testimoniato. Non c’è cristiano senza la gioia del credere, che suscita stupore, gratitudine, fervore missionario tali da farlo uscire dall’egoismo, dall’apatia, dalla tristezza, dall’individualismo, dalla disperazione. Lo si vede subito. Del resto la parola ripetuta per ben nove volte nel “discorso programmatico di Gesù” è: beati! Si tratta di una gioia piena e perfetta, profonda e stabile, che niente e nessun altro può donare né togliere. “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11) e “nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16,23).

Il ritorno del figliol prodigo di Antonio Luigi Gajoni
Il ritorno del figliol prodigo di Antonio Luigi Gajoni

La beatitudine evangelica – perfetta letizia, secondo san Francesco – è donata a tutti e la si sperimenta paradossalmente in modo perfetto nelle situazioni di povertà, sofferenza, misericordia, persecuzione. Gesù conclude il suo discorso con due imperativi: rallegratevi ed esultate (Mt 5,12). Voglio citare in proposito la testimonianza di Madre Speranza, che sarà proclama beata il prossimo 31 maggio. Nell’esperienza profonda con il Signore, ha colto e sviluppato soprattutto una fede viva nel suo Amore misericordioso. Ne è rimasta così affascinata e convinta da impegnare tutta l’esistenza in una gioiosa speranza, mai venuta meno, e in un’ardente carità senza limiti. L’Amore misericordioso da una parte ci riempie di una gioia indicibile e invincibile perché non dipende dai nostri meriti (è gratuito, senza misura, infinitamente più grande di tutte le nostre miserie). Dall’altra parte ci cambia e ci converte perché spinge a uscire (il verbo ritorna spesso nell’esortazione del Papa) dal proprio egoismo, permettendo alla luce dell’Amore di entrare e di farci vivere evangelicamente. “Io sono – dice Papa Francesco di sé – un peccatore che Dio guarda con amore e misericordia, e questo mi riempie di gioia e mi porta a donare la mia vita al Signore, alla Chiesa, a tutti”. Nei gesti del Padre misericordioso che “vede il figlio quand’era ancora lontano, si commuove nelle sue viscere, gli corre incontro, gli si getta al collo, lo bacia e gli fa una grandissima festa” (Lc 15,20 ss), l’uomo trova la gioia più inattesa e più indicibile: scopre Dio come Padre, se stesso come figlio del suo Amore e l’altro come fratello. Scopre il paradiso, esattamente quello che Gesù morente assicurò al ladrone: “Oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43). “Io vi dico: vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per 99 giusti i quali non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7). È impressionante che tutto il Cielo faccia festa per il figlio perduto e ritrovato mentre il figlio che appariva obbediente e buono non capisca né la gioia di essere figlio, né quella di essere fratello. L’opera di Madre Speranza e il santuario di Collevalenza, per volere del Signore, offrono principalmente questo messaggio che si collega direttamente all’Evangelii gaudium. Diceva: “Se gli uomini scoprissero Dio come Padre misericordioso, si convertirebbero tutti”. E ciò ha due gioiose conseguenze. Primo, la lode e la gratitudine “perché il suo Amore è per sempre” (Sal 136: il grande hallel ripete questo ritornello ben 26 volte). Secondo, “vai e anche tu fa’ lo stesso” (Lc 10,37). “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8).

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Portiamo il Vangelo a tutti, in comunione https://www.lavoce.it/portiamo-il-vangelo-a-tutti-in-comunione/ Thu, 28 Nov 2013 15:34:28 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20882 gmg_rio_janeiroUna sorta di “summa” dello stile del pontificato, e della conseguente idea di Chiesa, con un accento particolare sulla gioia come requisito essenziale per il cristiano.

È l’esortazione apostolica di Papa Francesco, Evangelii gaudium (La gioia del Vangelo), nelle parole di mons. Ignazio Sanna, membro della Commissione episcopale Cei per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi.

Il Papa, ha riferito padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede, ha lavorato all’esortazione apostolica – 220 pagine – “di sua mano”, ad agosto, al ritorno da Rio e prima dell’inizio degli impegni autunnali. Nel testo, fa notare mons. Sanna, “non si parla mai di nuova evangelizzazione, ma solo di evangelizzazione”, con l’invito a portare il Vangelo agli uomini di oggi sine glossa, senza aggettivi.

Tra i gesti concreti che possiamo aspettarci dal Papa, secondo l’arcivescovo, la valorizzazione del ruolo delle donne “anche là dove si decide, nella Chiesa e nella società”. All’attenzione dei Vescovi, invece, la “salutare decentralizzazione” chiesta da Papa Francesco nel senso della collegialità e sinodalità, tramite la “revisione” del ruolo delle Conferenze episcopali.

Mons. Sanna, qual è la sua prima impressione sull’esortazione apostolica?

“È un documento leggibile, molto semplice, diretto, immediato: non c’è il plurale maiestatis, né la ricerca di citazioni dotte. Papa Francesco cita quasi sempre i Papi che lo hanno preceduto, in particolare Paolo VI, spessissimo la Evangelii nuntiandi. Le espressioni che usa – per esempio quando dà consigli pratici sull’omelia – sono quelle delle omelie del mattino o delle catechesi: nell’esortazione apostolica vengono riprodotte tutte, segno che il Papa vi attribuisce molta importanza. Francesco insiste sulla gioia e sull’ottimismo: il Vangelo è vita e gioia, non un insieme di precetti. Riprende inoltre l’insegnamento del Concilio, quando esorta a una ‘gerarchia della verità’: dobbiamo andare all’essenziale, è il suo invito, mentre molte volte ci siamo fermati agli aspetti secondari. E l’essenziale è che Gesù è il Salvatore, Gesù è la gioia, Gesù è il Pastore; tutto il resto è secondario”.

Il Papa insiste sul tema della “riforma” della Chiesa, a vari livelli.

“Il Papa parte dalla parrocchia, chiedendole di essere sempre di più Chiesa tra la gente ed esortando a inserire i movimenti e le associazioni all’interno di una pastorale unitaria. Poi passa ai Vescovi, chiedendo loro di privilegiare gli organismi di partecipazione e di collaborare tutti a portare avanti uno stile di collegialità. Poi parla di una ‘conversione del papato’, rilevando che si è fatto poco, rispetto a quanto aveva chiesto Giovanni Paolo II in riferimento all’esercizio del Primato petrino. Rivaluta, infine, le Conferenze episcopali, addirittura attribuendo loro potere dottrinario e facendo riferimento agli statuti delle Conferenze episcopali regionali. L’ottica scelta dal Papa è, dunque, quella della ‘comunione’ della Chiesa, che non è fatta di singoli protagonisti”.

Francesco stigmatizza anche alcuni “vizi”, o meglio “tentazioni” degli operatori pastorali: quali sono quelli da cui guardarsi maggiormente?

“In primo luogo, quella che il Papa chiama ‘accidia pastorale’, cioè il senso di sfiducia nelle capacità dello Spirito, che è vita. Chi opera nella Chiesa non può lasciar andare avanti le cose per inerzia: deve imprimere un orientamento a queste. Altrimenti si cade nel relativismo pratico o nella mondanità spirituale. C’è un verbo, in spagnolo, a cui il Papa dà molto rilievo: primerear, prendere l’iniziativa. Nella storia, è Dio che ci precede, noi andiamo appresso a lui”.

“Chiesa in uscita”: così il Papa definisce la comunità ecclesiale. Come realizzare quello che chiama il “sogno missionario”?

“L’obiettivo, il sogno di Papa Francesco è una Chiesa aperta a tutti, anche a costo di essere ‘accidentata’, torna a ripetere. Una Chiesa che sappia trovare le parole giuste per le cose vere, che dica no alla ‘cultura dello scarto’, che tenga conto delle fragilità degli uomini. L’elenco che ne fa il Papa non dimentica nessuno, il suo è un atteggiamento di padre improntato alla misericordia di Dio, che non giudica. Quando parla di aborto, ad esempio, Papa Francesco dice prima di tutto che non bisogna aspettarsi che la Chiesa cambi la sua dottrina: se però ogni persona è sacra, non possiamo non trarne le conseguenze. Ciò significa che il compito della Chiesa non è solo presentare la dottrina, ma anche trovare il modo di accompagnare le persone, soprattutto dove sono più fragili ed esposte. Partendo dai poveri”.

papa_assisi_2013Il documento: i sette punti-chiave

Evangelii gaudium è il titolo dell’esortazione apostolica di Papa Francesco (Clicca qui per scaricare il pdf o consultalo online su www.vatican.va). Nel testo, a più riprese, Papa Francesco fa riferimento alle Propositiones del Sinodo dell’ottobre 2012. I sette punti, raccolti nei cinque capitoli dell’esortazione, costituiscono le colonne fondanti della visione di Papa Francesco per l’evangelizzazione: la riforma della Chiesa in uscita missionaria, le tentazioni degli agenti pastorali, la Chiesa intesa come totalità del popolo di Dio che evangelizza, l’omelia e la sua preparazione, l’inclusione sociale dei poveri, la pace e il dialogo sociale, le motivazioni spirituali per l’impegno missionario.

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Escono le linee pastorali 2013-2014 per la diocesi di Castello https://www.lavoce.it/escono-le-linee-pastorali-2013-2014-per-la-diocesi-di-castello/ Thu, 26 Sep 2013 12:01:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=19291 La cattedrale di Castello durante una celebrazione (foto di repertorio)
La cattedrale di Castello durante una celebrazione (foto di repertorio)

“Sono convinto che il tema della misericordia debba essere al cuore della nuova evangelizzazione”. Così il vescovo di Città di Castello, mons. Domenico Cancian, scrive nella sua lettera alla diocesi per l’anno pastorale 2013-2014, Credete nel Vangelo.

Una lettera che affronta i “fondamentali” umani e cristiani, a partire dagli eventi davvero eccezionali che la Chiesa ed il mondo stanno vivendo.

Nella lettera, rivolta ai presbiteri, ai religiosi, alle religiose, ai diaconi e ai fedeli laici, si fa costante riferimento all’eccezionale passaggio di testimone, tra Papa Benedetto, il Papa dell’Anno della fede, e Papa Francesco, che ha messo mano a una profonda riforma della Chiesa, ab intra e ad extra.

Proprio agli orientamenti pastorali di quest’ultimo è dedicata un’intera sezione della lettera del vescovo Cancian, che invita la Chiesa tifernate a ispirarsi ai contenuti che Papa Francesco indica continuamente: 1) uno stile pastorale semplice (che non significa superficiale), diretto, accompagnato da gesti comprensibili; 2) una Chiesa che esca da se stessa per andare ai poveri e ai lontani; 3) una Chiesa che rifugga l’autocompiacimento e la mondanità spirituale; 4) la testimonianza dell’Amore Misericordioso come strada da percorrere.

“A me personalmente – scrive mons. Cancian – il Papa Francesco ha detto che la misericordia è l’unica strada che la Chiesa deve percorrere”. Il Vescovo, citando il teologo card. Walter Kasper, ricorda proprio come quest’ultimo tema è stato “imperdonabilmente trascurato” nella prassi pastorale.

Quindi le indicazioni operative, sulle quali ha ovviamente inciso quanto emerso dall’Assemblea diocesana. Per quest’anno esse si muovono sulla scia di quanto sollecitato lo scorso anno, quando, con la Unità pastorali, fu ridisegnata la struttura della Chiesa locale. Le Unità pastorali, scrive mons. Cancian, “sono lo strumento ove è possibile effettuare una lettura del tessuto sociale per una azione pastorale mirata”. Occorre dunque ricercare un miglior coordinamento tra le attività degli Uffici di curia; nelle Unità pastorali si proseguirà perché possano realizzarsi in maniera piena; infine occorre puntare sulla formazione permanente di tutti. La ricchezza della Chiesa, che Papa Francesco riesce a declinare ogni giorno, deve davvero essere messa al servizio della società.

Le linee pastorali sono state consegnate simbolicamente dal Vescovo, sabato 21 in cattedrale, ad alcuni rappresentanti del clero e del laicato cattolico all’interno di una celebrazione che si è svolta in contemporanea con le altre diocesi umbre, prima in piazza e poi in cattedrale, in collegamento con le diocesi umbre che il 4 ottobre accoglieranno Papa Francesco.

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