religioni Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/religioni/ Settimanale di informazione regionale Fri, 25 Oct 2024 13:53:07 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg religioni Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/religioni/ 32 32 Spirito di Assisi. Non si può usare Dio per giustificare la violenza https://www.lavoce.it/spirito-di-assisi-non-si-puo-usare-dio-per-giustificare-la-violenza/ https://www.lavoce.it/spirito-di-assisi-non-si-puo-usare-dio-per-giustificare-la-violenza/#respond Fri, 25 Oct 2024 09:40:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78258 spirito di assisi

A distanza di ben 38 anni (27 ottobre 1986) dallo storico incontro di Assisi in cui san Giovanni Paolo II convocò i leader delle religioni a pregare per la pace, ci troviamo ancora a fare i conti con le fedi usate come pretesto, copertura, giustificazione o addirittura motivo di odio e violenza.

I conflitti armati che continuano a mietere vittime e a produrre distruzione e sofferenza, troppo spesso attingono la forza del delirio di violenza a una religione addomesticata e ridotta a strumento di propaganda. Non si tratta solo del grido “Allah akbar” di quanti usano il Corano per diffondere morte e terrore, ma anche di Netanyahu che nel discorso alle Nazioni Unite ha citato le pagine bibliche su Mosè, re Salomone e il profeta Samuele per “nobilitare” la violenza che l’esercito dello Stato di Israele rovescia contro le popolazioni palestinesi e libanesi. E non sono che piccoli esempi di un fenomeno molto molto più vasto.

Pertanto attualizzare il gesto, l’evento e l’invocazione profetica di quel 27 ottobre 1986 significa oggi levare ancor più decisamente grido e preghiera secondo quello che Giovanni Paolo II definì “spirito di Assisi”, per dire che non si può credere contemporaneamente nella violenza e in Dio e che nessun atto contro la vita - ogni forma di vita - può trovare il consenso di Dio. Se non servirà a far cessare le guerre, almeno potrà contribuire a mettere a nudo le responsabilità dei potenti che non potranno utilizzare Dio come paravento dei loro deliri di violenza.

]]>
spirito di assisi

A distanza di ben 38 anni (27 ottobre 1986) dallo storico incontro di Assisi in cui san Giovanni Paolo II convocò i leader delle religioni a pregare per la pace, ci troviamo ancora a fare i conti con le fedi usate come pretesto, copertura, giustificazione o addirittura motivo di odio e violenza.

I conflitti armati che continuano a mietere vittime e a produrre distruzione e sofferenza, troppo spesso attingono la forza del delirio di violenza a una religione addomesticata e ridotta a strumento di propaganda. Non si tratta solo del grido “Allah akbar” di quanti usano il Corano per diffondere morte e terrore, ma anche di Netanyahu che nel discorso alle Nazioni Unite ha citato le pagine bibliche su Mosè, re Salomone e il profeta Samuele per “nobilitare” la violenza che l’esercito dello Stato di Israele rovescia contro le popolazioni palestinesi e libanesi. E non sono che piccoli esempi di un fenomeno molto molto più vasto.

Pertanto attualizzare il gesto, l’evento e l’invocazione profetica di quel 27 ottobre 1986 significa oggi levare ancor più decisamente grido e preghiera secondo quello che Giovanni Paolo II definì “spirito di Assisi”, per dire che non si può credere contemporaneamente nella violenza e in Dio e che nessun atto contro la vita - ogni forma di vita - può trovare il consenso di Dio. Se non servirà a far cessare le guerre, almeno potrà contribuire a mettere a nudo le responsabilità dei potenti che non potranno utilizzare Dio come paravento dei loro deliri di violenza.

]]>
https://www.lavoce.it/spirito-di-assisi-non-si-puo-usare-dio-per-giustificare-la-violenza/feed/ 0
Nessuno è ateo in trincea https://www.lavoce.it/nessuno-e-ateo-in-trincea/ Thu, 09 Apr 2020 07:54:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56823

Tante volte ci siamo chinati ad ascoltare, sul petto ansante dei nostri fratelli… molte volte mi accadde di dovermi buttare in ginocchio e piangere come un fanciullo non potendo più contenere l’emozione provata della morte semplice e santa di tanti poveri figli del nostro popolo…”. Così scrive Giovanni XXIII il 15 aprile 1962 nel suo “Breviario” ricordando l’esperienza di cappellano militare durante il primo conflitto mondiale. “Nessuno è ateo in trincea” è il titolo di questa pagina. La pandemia che continua a colpire il mondo viene definita “guerra”, guerra contro un nemico sconosciuto, invisibile e crudele. Ricorrono i termini “prima linea”, “trincea”, “campo di battaglia” che sono propri del linguaggio bellico. È una guerra diversa da quelle tradizionali, qualcuno afferma che neppure si può chiamare guerra. Le immagini che arrivano dagli ospedali confermano entrambe le versioni. In ogni caso la “pietas” che l’allora don Angelo Roncalli provava nei confronti delle vittime della “inutile strage” – così Benedetto XV aveva denunciato quella guerra – oggi è un palpito del cuore che, in credenti e non credenti, nasconde una domanda. La fede si lascia interrogare, si lascia provocare, non rifiuta alcun “perché” soprattutto quando attraversa le lacrime. Non importa se le domande vengono da un credente o da un ateo, non sono provocazioni. Sono tracce di una ricerca interiore. A sua volta chi non crede, chi è ateo, si lascia interrogare. La fede risponde nel silenzio, con dolcezza, rispetto e retta coscienza. Nella prima linea, nella trincea di una sala di terapia intensiva avviene il dialogo tra il nulla e l’infinito. Non sembri eccessivo: credenti e non credenti sono insieme in quegli spazi e in quei tempi ristretti. L’immagine riporta alla mente una considerazione tratta da un saggio sul credo dei non credenti: “Che l’uomo sia esigenza di Infinito, che la sua ragione costitutivamente reclami l’Infinito, che l’uomo sia essenzialmente Mistero che trascende la sua finitezza, è un’esperienza umana universale, comune a tutti gli uomini, a qualunque espressione religiosa appartengano, non è certamente monopolio esclusivo dei credenti”. E’ fuori “luogo” pensare che questa ricerca possa avvenire dentro un ospedale, dentro un’ambulanza, dentro una casa? “Nessuno è ateo in trincea”, scriveva don Angelo Roncalli, “nessuno è ateo in trincea” possiamo ripetere oggi guardando a chi soffre e muore, guardando chi rischia la propria vita per salvare quella di altri. La fede è nel palpito del cuore dell’uomo, là dove Dio abita. Paolo Bustaffa]]>

Tante volte ci siamo chinati ad ascoltare, sul petto ansante dei nostri fratelli… molte volte mi accadde di dovermi buttare in ginocchio e piangere come un fanciullo non potendo più contenere l’emozione provata della morte semplice e santa di tanti poveri figli del nostro popolo…”. Così scrive Giovanni XXIII il 15 aprile 1962 nel suo “Breviario” ricordando l’esperienza di cappellano militare durante il primo conflitto mondiale. “Nessuno è ateo in trincea” è il titolo di questa pagina. La pandemia che continua a colpire il mondo viene definita “guerra”, guerra contro un nemico sconosciuto, invisibile e crudele. Ricorrono i termini “prima linea”, “trincea”, “campo di battaglia” che sono propri del linguaggio bellico. È una guerra diversa da quelle tradizionali, qualcuno afferma che neppure si può chiamare guerra. Le immagini che arrivano dagli ospedali confermano entrambe le versioni. In ogni caso la “pietas” che l’allora don Angelo Roncalli provava nei confronti delle vittime della “inutile strage” – così Benedetto XV aveva denunciato quella guerra – oggi è un palpito del cuore che, in credenti e non credenti, nasconde una domanda. La fede si lascia interrogare, si lascia provocare, non rifiuta alcun “perché” soprattutto quando attraversa le lacrime. Non importa se le domande vengono da un credente o da un ateo, non sono provocazioni. Sono tracce di una ricerca interiore. A sua volta chi non crede, chi è ateo, si lascia interrogare. La fede risponde nel silenzio, con dolcezza, rispetto e retta coscienza. Nella prima linea, nella trincea di una sala di terapia intensiva avviene il dialogo tra il nulla e l’infinito. Non sembri eccessivo: credenti e non credenti sono insieme in quegli spazi e in quei tempi ristretti. L’immagine riporta alla mente una considerazione tratta da un saggio sul credo dei non credenti: “Che l’uomo sia esigenza di Infinito, che la sua ragione costitutivamente reclami l’Infinito, che l’uomo sia essenzialmente Mistero che trascende la sua finitezza, è un’esperienza umana universale, comune a tutti gli uomini, a qualunque espressione religiosa appartengano, non è certamente monopolio esclusivo dei credenti”. E’ fuori “luogo” pensare che questa ricerca possa avvenire dentro un ospedale, dentro un’ambulanza, dentro una casa? “Nessuno è ateo in trincea”, scriveva don Angelo Roncalli, “nessuno è ateo in trincea” possiamo ripetere oggi guardando a chi soffre e muore, guardando chi rischia la propria vita per salvare quella di altri. La fede è nel palpito del cuore dell’uomo, là dove Dio abita. Paolo Bustaffa]]>
Una pre-evangelizzazione terapeutica https://www.lavoce.it/pre-evangelizzazione-terapeutica/ Thu, 12 Dec 2019 13:36:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55845 logo abat jour, rubrica settimanale

di Angelo M. Fanucci

A cosa pensa Papa Francesco quando, non solo nei confronti dei cristiani non cattolici, ma anche delle religioni non cristiane, in particolare l’islam, compie quei gesti d’omaggio che provocano la brucellosi diffusa ad Antonio Socci e la valanga di critiche, in primis l’accusa di… eresia, da parte del coro diretto dal prof. De Mattei?

Alla base della sua valorizzazione di tutte le religioni c’è il Concilio, secondo il quale “le religioni contengono semi, elementi, raggi di verità e di grazia” (Nostra aetate, 2), che “rappresentano la ricchezza dei popoli” (Ad gentes11), “possono offrire spunti concreti per la salvezza dei loro seguaci” (AG, 3), non sono in antitesi con il Vangelo, il quale anzi “le purifica, le assume, le eleva”(AG, 11).

Ma oggi tutti le religioni devono assumersi la terapia d’una umanità malata di angoscia: un’angoscia radicale. Drogato di tecnologia, l’uomo di oggi non sa più dove si trova, e quando si guarda allo specchio si domanda: “Chi è quello?”.

In ottobre si è tenuto a Roma un convegno sullo spaesamento, un fenomeno che, insieme alle certezze dell’immigrato, vede crollare anche le certezze di chi dovrebbe accoglierlo. In proposito dovremmo riflettere su quello che, in Frontiere e politiche dell’inimiciziascrive Achille Membe, filosofo di colore, docente universitario a Johannesburg.

Membe sostiene che il problema fondamentale del mondo di oggi è quello di “fare i conti con quelli che, a qualsiasi titolo, non contano”. Finora si è pensato di risolverlo moltiplicando le frontiere di tutti i tipi, geografiche, sociali, culturali, pseudo-morali. Ma questo nel futuro non sarà più possibile, a causa di incremento demografico (tra 30-40 anni la popolazione africana equivarrà a quella di tutto il resto del mondo), mutamenti ecologici (presto molte zone non saranno più abitabili) e mutamenti tecnologici (già adesso la tecnologia della circolazione delle notizie sta ridicolizzando la sedentarietà).

Torna dunque di estrema attualità la tesi di teologia pastorale che Jean Daniélou, uno dei padri della Nouvelle théologie, formulò negli anni ’40 del XX secolo: “Oggi occorre che i cristiani mettano da parte il proselitismo a tutti i costi, e puntino alla ricerca di un’azione concertata con le altre religioni: ognuna di esse, dall’angolazione che le è propria, esalti gli eventi della salvezza così come il loro mistero impregna la loro storia e la loro attualità, nelle diversità di uomini e di culture”.

Una pre-evangelizzazione terapeutica, appunto. A cura di tutti coloro che ancora pronunciano il nome di Dio nel quotidiano.

]]>
logo abat jour, rubrica settimanale

di Angelo M. Fanucci

A cosa pensa Papa Francesco quando, non solo nei confronti dei cristiani non cattolici, ma anche delle religioni non cristiane, in particolare l’islam, compie quei gesti d’omaggio che provocano la brucellosi diffusa ad Antonio Socci e la valanga di critiche, in primis l’accusa di… eresia, da parte del coro diretto dal prof. De Mattei?

Alla base della sua valorizzazione di tutte le religioni c’è il Concilio, secondo il quale “le religioni contengono semi, elementi, raggi di verità e di grazia” (Nostra aetate, 2), che “rappresentano la ricchezza dei popoli” (Ad gentes11), “possono offrire spunti concreti per la salvezza dei loro seguaci” (AG, 3), non sono in antitesi con il Vangelo, il quale anzi “le purifica, le assume, le eleva”(AG, 11).

Ma oggi tutti le religioni devono assumersi la terapia d’una umanità malata di angoscia: un’angoscia radicale. Drogato di tecnologia, l’uomo di oggi non sa più dove si trova, e quando si guarda allo specchio si domanda: “Chi è quello?”.

In ottobre si è tenuto a Roma un convegno sullo spaesamento, un fenomeno che, insieme alle certezze dell’immigrato, vede crollare anche le certezze di chi dovrebbe accoglierlo. In proposito dovremmo riflettere su quello che, in Frontiere e politiche dell’inimiciziascrive Achille Membe, filosofo di colore, docente universitario a Johannesburg.

Membe sostiene che il problema fondamentale del mondo di oggi è quello di “fare i conti con quelli che, a qualsiasi titolo, non contano”. Finora si è pensato di risolverlo moltiplicando le frontiere di tutti i tipi, geografiche, sociali, culturali, pseudo-morali. Ma questo nel futuro non sarà più possibile, a causa di incremento demografico (tra 30-40 anni la popolazione africana equivarrà a quella di tutto il resto del mondo), mutamenti ecologici (presto molte zone non saranno più abitabili) e mutamenti tecnologici (già adesso la tecnologia della circolazione delle notizie sta ridicolizzando la sedentarietà).

Torna dunque di estrema attualità la tesi di teologia pastorale che Jean Daniélou, uno dei padri della Nouvelle théologie, formulò negli anni ’40 del XX secolo: “Oggi occorre che i cristiani mettano da parte il proselitismo a tutti i costi, e puntino alla ricerca di un’azione concertata con le altre religioni: ognuna di esse, dall’angolazione che le è propria, esalti gli eventi della salvezza così come il loro mistero impregna la loro storia e la loro attualità, nelle diversità di uomini e di culture”.

Una pre-evangelizzazione terapeutica, appunto. A cura di tutti coloro che ancora pronunciano il nome di Dio nel quotidiano.

]]>
Messaggio Cei: ecco perchè iscriversi all’ora di religione https://www.lavoce.it/messaggio-cei-perche-iscriversi-allora-religione/ Tue, 16 Jan 2018 11:30:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51015

L’insegnamento della religione cattolica (Irc) è “una disciplina che nel tempo si è confermata come una presenza significativa nella scuola, condivisa dalla stragrande maggioranza di famiglie e studenti”. È quanto scrive la presidenza della Conferenza episcopale italiana (Cei) nel messaggio rivolto a studenti e genitori che nei prossimi giorni dovranno decidere se avvalersi o meno dell’Irc per l’anno scolastico 2018-19. “Si tratta di un’occasione formativa importante che vi viene offerta per arricchire la vostra esperienza di crescita e per conoscere le radici cristiane della nostra cultura e della nostra società”, rilevano i vescovi sottolineando che “in questi ultimi anni l’Irc ha continuato a rispondere in maniera adeguata e apprezzata ai grandi cambiamenti culturali e sociali che coinvolgono tutti i territori del nostro bel Paese”. Questo grazie anche ad insegnanti di religione che si sforzano ogni giorno per lavorare con passione e generosità nelle scuole italiane, sia statali che paritarie, sostenuti da un lato dal rigore degli studi compiuti e dall’altro dalla stima dei colleghi e delle famiglie che ad essi affidano i loro figli”.]]>

L’insegnamento della religione cattolica (Irc) è “una disciplina che nel tempo si è confermata come una presenza significativa nella scuola, condivisa dalla stragrande maggioranza di famiglie e studenti”. È quanto scrive la presidenza della Conferenza episcopale italiana (Cei) nel messaggio rivolto a studenti e genitori che nei prossimi giorni dovranno decidere se avvalersi o meno dell’Irc per l’anno scolastico 2018-19. “Si tratta di un’occasione formativa importante che vi viene offerta per arricchire la vostra esperienza di crescita e per conoscere le radici cristiane della nostra cultura e della nostra società”, rilevano i vescovi sottolineando che “in questi ultimi anni l’Irc ha continuato a rispondere in maniera adeguata e apprezzata ai grandi cambiamenti culturali e sociali che coinvolgono tutti i territori del nostro bel Paese”. Questo grazie anche ad insegnanti di religione che si sforzano ogni giorno per lavorare con passione e generosità nelle scuole italiane, sia statali che paritarie, sostenuti da un lato dal rigore degli studi compiuti e dall’altro dalla stima dei colleghi e delle famiglie che ad essi affidano i loro figli”.]]>
Assisi 1986, profezia di pace nel mondo e tra le religioni https://www.lavoce.it/assisi-1986-profezia-di-pace-nel-mondo-e-tra-le-religioni/ Fri, 16 Sep 2016 11:34:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47402 Assisi, la Giornata del 25° dell'incontro di preghiera tra le religioni voluto da Giovanni Paoo II nel 1986, presieduta da Benedetto XVI
Assisi, 2011. La Giornata del 25° dell’incontro di preghiera tra le religioni voluto da Giovanni Paoo II nel 1986, presieduta da Benedetto XVI

Trenta anni fa l’incontro voluto da Giovanni Paolo II che invitò i rappresentanti di tutte le religioni a vivere una giornata di preghiera e digiuno per la pace fu un evento inaudito, una novità assoluta nelle relazioni tra i credenti di tutto il mondo. In quella giornata ci fu anche una attenzione particolare affinché i cristiani delle diverse confessioni si presentassero uniti. E infatti pregarono insieme, nello stesso luogo.

Trenta anni dopo, partecipa all’evento che si svolge in Assisi anche il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, il Patriarca che ha fortemente voluto che si celebrasse il Sinodo pan-ortosso nel giugno scorso a Creta. Il primo dopo tanti secoli, che giunge in un tempo in cui i fedeli delle Chiese orientali pagano con il sangue la loro fedeltà a Cristo.

C’è un legame tra il cammino delle Chiese ortodosse e lo “spirito di Assisi”? Ne parliamo con padre Silvestro Bejan, delegato generale per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso dell’Ordine dei frati minori Conventuali e direttore del Centro francescano internazionale per il dialogo (Cefid) che ha sede in Assisi.

“Sicuramente esiste un legame. Assisi – sostiene padre Bejan – ha fatto fare al mondo uno straordinario balzo in avanti. È diventata una profezia di pace; e come sappiamo, una profezia non è mai facile da comprendere, e per compiersi ha bisogno di tempo. L’esperienza di trent’anni fa non ha esaurito il suo significato né la sua portata nell’arco di tempo in cui è stata vissuta, e nei gesti e nelle parole con cui è stata raccontata. Quello stare insieme, fianco a fianco, dei rappresentanti delle religioni ha costituito un autentico segno dei tempi e ha messo in movimento grandi progetti. Anche a giugno di quest’anno sull’isola di Creta vedere insieme, vincendo antichi timori e livori, tanti vescovi da parte delle Chiese ‘autocefale’ canoniche che compongono attualmente la Chiesa ortodossa, dopo secoli, o meglio dopo più di un millennio, è stato un segno dei tempi. Perciò lo ‘spirito di Assisi’ soffia dove e come vuole: sta all’uomo il compito di scoprire e decifrare i suoi segreti e le sue strade”.

Il Sinodo pan-ortodosso è un passo avanti nel cammino per l’unità dei cristiani?

“Il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, al termine dei lavori del Sinodo, ha detto: ‘Abbiamo scritto una pagina di storia’. Durante i lavori sinodali è stata sottolineata molto l’importanza del dialogo tra le varie Chiese ortodosse, ma anche del dialogo ecumenico con le altre Chiese cristiane, perché, come ha spiegato lo stessa Patriarca, ‘l’unità ortodossa serve anche la causa dell’unità dei cristiani’. Prima e durante il Sinodo, noi cristiani cattolici abbiamo pregato per la buona riuscita di questo Sinodo e abbiamo chiesto in qualche modo ai nostri confratelli ortodossi: chi siamo noi cristiano-cattolici per voi? Come guardate la Chiesa cattolica e le altre confessioni cristiane?. E ci hanno risposto: ‘La nostra Chiesa – come si legge nel messaggio finale – , rispondendo al bisogno di testimoniare la verità e la sua fede apostolica, dà grande significato al dialogo, principalmente con i cristiani non ortodossi. In questo modo, anche il restante mondo cristiano conosce in modo più preciso la purezza della Tradizione ortodossa, il valore dell’insegnamento patristico, la esperienza liturgica e la fede degli ortodossi. I dialoghi che la Chiesa ortodossa conduce non significano mai un compromesso su questioni di fede’”.

Giovanni Paolo II scelse Assisi per l’incontro perché Francesco è un santo conosciuto e amato in tutto il mondo per la sua testimonianza di povertà e di pace. Lo “spirito di Assisi” ha segnato anche la “vocazione” della comunità francescana del Sacro Convento? E del Cefid?

“Giovanni Paolo II, rivolgendosi ai frati minori Conventuali riuniti nel Capitolo del 1989 disse: ‘Tocca a voi francescani dare una risposta all’uomo di oggi’. Ha quasi affidato ai frati francescani l’impegno per l’ecumenismo e per il dialogo interreligioso. L’Ordine dei frati minori Conventuali ha cercato di favorire questa missione nello spirito di Assisi, coltivando e allargando quanto già il Sacro Convento aveva da anni fatto nel campo del dialogo, e ha istituito il Centro francescano internazionale per il dialogo con sede ad Assisi. Lo spirito di Assisi è stato portato dai frati in tante parti del mondo. L’Ordine oggi ha in tutto il mondo otto Centri di dialogo, e numerosi sono i frati che lavorano in questo settore e promuovono lo spirito di Assisi. Tale spirito soffia ancora nelle nostre comunità e lascia le sue tracce sotto la triplice dimensione della memoria, testimonianza e profezia”.

]]>
Papa Francesco Ad Assisi. Bassetti: “Il Papa ripercorre la via di pace di San Francesco” https://www.lavoce.it/papa-francesco-ad-assisi-bassetti-il-papa-ripercorre-la-via-di-pace-di-san-francesco/ Sat, 20 Aug 2016 17:18:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47300 Bassetti a Umbria RadioA margine della visita al campo-scuola organizzato dal settore giovani dell’Azione Cattolica dell’Archidiocesi di Perugia – Città della Pieve il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti ha commentato ai microfoni di «Umbria Radio» la notizia della prossima visita del Santo Padre Francesco ad Assisi in occasione del trentesimo anniversario della giornata mondiale di preghiera per la pace voluta da san Giovanni Paolo II.

«Quando Papa Francesco ha scelto questo nome non ha voluto fare un nominalismo, ma ha inteso ripercorrere la via di Francesco. Questa via è l’interesse profondo per ogni uomo, per ogni creatura, che è immagine di Dio, e soprattutto per la costruzione di un ordine mondiale dove la giustizia e la pace possano camminare insieme, perché senza giustizia non ci sarà mai pace». Esordisce così il presule nell’intervista ad «Umbria Radio», commentando la scelta del pontefice di tornare per la terza volta ad Assisi il prossimo 20 settembre. Dopo più di un mese dall’ultima visita, ancora una volta l’Umbria si preparerà ad accogliere papa Bergoglio, ma – assicura Bassetti – il popolo umbro si sta già preparando: «La presenza del papa diventa uno stimolo per tutti, perché la Chiesa Cattolica, oltre ad avere la sua missione nel mondo, ha anche quella di essere la madre di tutte le chiese ed, in un certo senso, di tutte le religioni. La nostra Chiesa che ha il suo Vangelo, le sue verità ed i suoi principi, ha avuto il compito da Gesù Cristo di annunciare il Vangelo a tutte le genti. La Chiesa Cattolica è veramente la madre di tutti i popoli, senza invasione di campo, ma anche di tutte le religioni. Il papa sente in maniera molto forte questa sua vocazione e questa sua missione di Pietro».

Il video

https://www.youtube.com/watch?v=kYC61

Chiusura dedicata ad un pensiero sulla foto che ha fatto il giro del mondo del piccolo Omran salvato dalla macerie ad Aleppo. «La guerra non è solo in Siria, anche se in questo momento – sottolinea il cardinale – la Siria è l’apice di questa guerra atroce e di questi focolai di guerra che stanno incendiando i continenti. E questi, come dice il papa, sono focolai di una guerra mondiale. Se prendiamo l’immagine del villaggio globale, noi siamo come un piccolo villaggio dentro un bosco che comincia ad essere circondato da tante fiamme. Quanta autonomia avremo prima che l’incendio non abbia divorato il bosco e raggiunga il villaggio? Finché c’è tempo, bisogna che tutte le persone di buona volontà, tutti coloro che credono n Dio misericordioso – e mi rifaccio alle grandi religioni monoteistiche – devono diventare in tutti i modi un operatore di misericordia, che vuole dire anche di giustizia e di pace».

]]>
Papa Francesco torna a Assisi per i 30 anni dello “spirito di Assisi” https://www.lavoce.it/papa-francesco-torna-a-assisi-per-i-30-anni-dello-spirito-di-assisi/ Thu, 18 Aug 2016 12:33:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47286 papa-francesco-basilica-assisi-per-visita-ottobre-2013Papa Francesco sarà ad Assisi il 20 settembre prossimo in occasione dei 30 anni dall’incontro interreligioso per la pace tra i popoli. La notizia è stata comunicata dalla Prefettura della Casa pontificia al custode del Sacro convento padre Mauro Gambetti.

Lo ha annunciato il direttore della sala stampa dello stesso Sacro Convento, padre Enzo Fortunato.

______________

Questo l’evento cui partecipa Papa Francesco, nell’articolo pubblicato su La Voce il 22 luglio scorso:

Leggilo nell’edizione digitale (http://lavoce.ita.newsmemory.com/publink.php?shareid=17f30b78d) o qui di seguito.

 

Lo “spirito di Assisi”, 30 anni dopo

Evento speciale per l’anniversario della Giornata voluta da Giovanni Paolo II- L’iniziativa cade in un’epoca segnata dal terrorismo di “presunta” matrice islamica. Un problema anche per il mondo musulmano, che parteciperà numeroso all’evento 
 
L'incontro delle religioni per la pace voluto da Giovanni Paolo II il 27 ottbre 1986
L’incontro delle religioni per la pace voluto da Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986

“C’è un movimento di popoli e di vertice che sente la necessità dello spirito di Assisi, e oggi più di ieri”. Lo ha affermato Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, mercoledì 20 luglio a Perugia. Il contesto era la presentazione ufficiale dell’evento “Sete di pace” che si terrà ad Assisi il 18-20 settembre per i 30 anni della Giornata di preghiera interreligiosa voluta da Giovanni Paolo II. Alla conferenza stampa erano presenti il vescovo di Assisi mons. Domenico Sorrentino e la neo-sindaco della città, Stefania Proietti.

Impagliazzo ha fatto anche notare che, rispetto al 1986, saranno più numerosi gli esponenti musulmani presenti ad Assisi, incluso il rettore dell’università egiziana di Al-Azhar, massimo centro di formazione dell’islam sunnita. Segno che le violenze scatenate di questi ultimi tempi in mezzo mondo – le cui vittime sono in maggioranza musulmane – stanno scuotendo anche la religione ‘teoricamente’ di provenienza dei terroristi. “L’islam – ha aggiunto il presidente della Sant’Egidio – non è un problema ma ha un problema: quello di predicatori dell’odio che si mettono a turlupinare le giovani generazioni”. In Occidente, questo si somma a un problema di integrazione, perché i kamikaze si sentono isolati nelle società in cui vivono. Ha concluso che incontri come la rievocazione dello spirito di Assisi dovrebbero spingere “i leader musulmani a essere sempre più chiari e netti nel condannare le violenze”.

Mons. Sorrentino, da parte sua, ha ricordato che la Giornata di 30 anni fa non sarebbe stata possibile senza un ele- mento di 50 anni fa: “La dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II, che ha aperto le frontiere della Chiesa all’orizzonte del dialogo interreligioso”. Ha quindi aggiunto che lo spirito di Assisi è diventato parte integrante della vita della diocesi. Nel recentissimo Libro del Sinodo sono espressamente previsti “appuntamenti annuali, il 27 ottobre, per la preghiera, la riflessione, l’incontro, il tutto in stile sobrio, ‘francescano’. L’evento di settembre invece servirà a cogliere la bellezza dell’iniziativa voluta da Giovanni Paolo II soprattutto nel contesto attuale”.

Stefania Proietti ha ricordato che nel 1986 era una ragazzina delle medie, entusiasta di partecipare alla creazione spontanea di immagini di pace per la città. “Assisi – ha detto – è uno scrigno di arte e di storia. Uno dei suoi tesori è lo spirito di Assisi. Dobbiamo far ridiventare la città un faro per il mondo e per il nuovo umanesimo, contro la globalizzazione dell’indifferenza e contro le tenebre che le congiunture presenti fanno sembrare anche peggiori di ciò che sono”.

La tre-giorni di settembre sarà particolarmente intensa. La mattina di domenica 18, eucaristia con presenza di personalità di altre Chiese nella basilica superiore; al pomeriggio, assemblea di inaugurazione al teatro Lyrick. Il pomeriggio del giorno 20, preghiera e processione per la pace. Nel tempo intermedio, un susseguirsi di panel (tavole rotonde) approfondirà una vasta serie di temi: la Misericordia, il terrorismo, economia, ecologia e sviluppo sostenibile, le donne e la pace, l’Europa, le migrazioni, ecc.

Si traccerà infine un bilancio di questi trent’anni di “spirito di Assisi” con un incontro introdotto da mons. Sorrentino e condiviso dai principali protagonisti dell’evento, presenti tra gli altri il presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e l’ex presidente polacco Lech Walesa.

Un ruolo di particolare spicco sarà dato al Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, che il 20 settembre otterrà dall’Università di Perugia la laurea honoris causa in Relazioni internazionali, e riceverà una speciale accoglienza nella cattedrale di San Lorenzo.

Per concludere con le parole di Impagliazzo: “Andremo ad Assisi non solo per commemorare un evento ma per creare un nuovo evento, per dare nuova linfa a tutti coloro che cercano vie di pace nel mondo”.

Dario Rivarossa

]]>
Il rapporto dei giovani con la fede e la religione https://www.lavoce.it/il-rapporto-dei-giovani-con-la-fede-e-la-religione/ Mon, 22 Feb 2016 09:21:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45462 Giovani-rapporto-cmyk“Io credo in Dio perché alla fine metterà tutto a posto”. “Credo in Dio perché è l’unico che ha sempre ragione”. “A me quello che piace del cristianesimo è che dà un senso a tutto”. Sono alcune delle risposte che i ragazzi dai 19 ai 29 anni hanno dato a chi chiedeva del loro rapporto con la fede e con la religione. Le si trova della ricerca “Giovani e fede in Italia”, promossa nell’ambito del Rapporto Giovani, l’indagine nazionale dell’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica.

Il rapporto, confluito nel volume Dio a modo mio (ed. Vita e Pensiero) a cura di Paola Bignardi e Rita Bichi, è stato presentato nei giorni scorsi. Grazie a questa ricerca emerge per la prima volta un quadro completo di che cosa rappresenti oggi la fede per la generazione dei millennials, ossia i nati tra il 1982 e il 2000. L’approfondimento ha coinvolto 150 intervistati, scelti sulla base di criteri scientifici da un team di docenti universitari, distribuiti tra nord, centro e sud Italia, tutti battezzati e appartenenti a due fasce di età: 19-21 anni e 27-29 anni.

Dalle risposte dei ragazzi emerge che tutti amano Papa Francesco, ma fanno fatica a capire il linguaggio della Chiesa, conoscono poco Gesù ma credono in Dio. Non vanno quasi mai a messa, ma ciononostante pregano a modo loro. “Per la prima volta abbiamo un quadro completo sul rapporto fra il mondo giovanile e la fede”, dice mons. Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’università Cattolica di Milano. “Dalle loro risposte viene fuori un dialogo intimo dei nostri ragazzi con Dio, che è molto presente nella loro vita, anche se con una percezione molto personale. Il rapporto dei giovani con la fede fa parte di un universo ancora inesplorato. Se la Chiesa vuole dialogare con le nuove generazioni, deve imparare a percorrere le loro strade, senza paura di ascoltare le loro opinioni”.

Dai percorsi di fede passando dalla Chiesa e i suoi linguaggi, fino al rapporto con le altre religioni: gli intervistati hanno parlato a 360 gradi, rivelando alcune costanti di pensiero. Molti hanno raccontato il percorso di iniziazione cristiana, mettendo in luce soprattutto la sua obbligatorietà. Frequentare il catechismo ha significato infatti l’apprendimento di regole e princìpi, e non è raro trovare chi critica questa attività perché la vede come una banale trasmissione di un sapere (“quello che dicono loro”) e una serie di regole da seguire. Attraverso le risposte dei ragazzi, appare poi fondamentale la figura del sacerdote: questa figura può diventare determinante nella scelta di rimanere nella comunità così come nel decidere di abbandonarla.

Molto interessanti sono anche le opinioni dei giovani sulle religioni. “Se il cristianesimo è considerato un’etica più che una religione (per i valori come l’amore, il rispetto e l’uguaglianza) – commenta la curatrice del rapporto Paola Bignardi – il cattolicesimo è sinonimo di istituzione. Il cattolico è percepito spesso come un praticante che non salta mai una messa, si confessa e fa la comunione seguendo fedelmente le indicazioni della Chiesa. Per molti ragazzi è una figura da cui prendere le distanze perché non autentica”. A dispetto di questo scetticismo, però, c’è anche la fiducia incondizionata verso Papa Francesco: la figura del Pontefice esercita sui millennials un fascino enorme “perché parla il linguaggio della semplicità”. In generale, le nuove generazioni di credenti presentano, a grandi linee, lo stesso “curriculum”. La prima comunione fatta più per obbligo che per scelta, la grande fuga dopo la cresima (“perché non ne potevo più”), nonostante i bei ricordi dell’oratorio. Fino a quando, verso i 25 anni, arriva il “ripensamento”, che il più delle volte conduce al ritorno verso la fede.

 

]]>
Nostalgia del paradiso https://www.lavoce.it/nostalgia-del-paradiso/ Fri, 13 Nov 2015 12:46:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44392 L’incontro di presentazione dell’edizione 2015 del Film festival “Popoli e religioni”
L’incontro di presentazione dell’edizione 2015 del Film festival “Popoli e religioni”

“Paradiso perduto” è il tema dell’11a edizione del festival cinematografico “Popoli e religioni” promosso dalla diocesi di Terni-Narni-Amelia nell’ambito del Progetto culturale della Cei e organizzato dall’Istituto di studi teologici e sociali (Istess), in collaborazione con il Comune di Terni, la Regione Umbria, il sostegno della Fondazione Carit e del ministero per i Beni culturali e il patrocinio del Pontificio consiglio per la cultura.

“Paradiso perduto, il tema scelto per questa edizione – ha detto il Vescovo alla presentazione del festival –, non è solo un aspetto della religione cristiana ma è presente anche in altre religioni e rappresenta una pienezza di vita, un vivere nella gioia, nella pace, nel benessere, uno stato bello dal punto di vista spirituale, culturale, umano, di relazioni con gli altri e con il cosmo. Spesso facciamo esperienza della mancanza del paradiso perché viviamo questo benessere come nostalgia”.

Dal 14 al 22 novembre molte le proposte culturali che si svolgeranno al Cityplex politeama, al cenacolo San Marco e al Museo diocesano, con proiezioni mattutine per gli studenti, con quelle dei film in concorso (tre le categorie: lungometraggi, cortometraggi e documentari, cui si aggiungono i corti del concorso “Il cielo sopra Terni”), presentazioni e dibattiti e il focus sul Marocco e la cultura islamica il 18 novembre al Museo diocesano.

La mattina al Cityplex sarà proiettato l’unico film su Maometto prodotto nella storia del cinema. Al Museo diocesano, oltre a vedere film, documentari e cortometraggi, si potrà visitare l’angolo marocchino con degustazione di tè, effettuare tatuaggi all’henné, ammirare gli abiti tipici del Marocco e persino indossare il “velo”. La serata comprende anche un concerto di musiche arabe, la proiezione della commedia Ameluch e una conviviale con piatti tipici.

Tanti gli eventi in programma “Un caffè in paradiso”, serata dedicata ai vent’anni delle pubblicità Lavazza, con il meglio degli spot televisivi introdotti dal regista Alessandro D’Alatri e il direttore creativo della campagna pubblicitaria Mauro Mortaroli; la proiezione del terzo Francesco di Liliana Cavani; la proiezione di Viva la sposa; consegna dell’Angelo alla carriera ad Ascanio Celestini da parte di Lucilla Galeazzi.

E ancora: la giornata “spaziale” che prevede la proiezione di Interstellar, Gravity, di una lettura interreligiosa di E.T. e dell’anteprima del documentario su Samantha Cristoforetti.

L’inaugurazione il 14 novembre alle ore 17,30 vedrà la presenza del card. Bassetti che parlerà di: “Per un nuovo umanesimo tra popoli e religioni”.

]]>
Spirito di Assisi. Preghiera e convegno il 27 e 28 ottobre https://www.lavoce.it/spirito-di-assisi-preghiera-e-convegno-il-27-e-28-ottobre/ Fri, 23 Oct 2015 15:55:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44058 assisi-001-1986-cmykChe lo ‘spirito di Assisi’ possa ispirare i Capi di Stato e di governo delle terre interessate da guerre e combattimenti così come ispirò il Santo Padre san Giovanni Paolo II quando il 27 ottobre del 1986 chiamò a raccolta, qui in Assisi, i rappresentanti di tutte le religioni”. È l’appello che il vescovo della diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino mons. Domenico Sorrentino lancia in vista del 29° anniversario dello storico incontro per la pace voluto da Papa Wojtyla, che si svolgerà in Assisi il 27 e 28 ottobre. “Purtroppo – aggiunge mons. Sorrentino – a distanza di 29 anni e nonostante i cambiamenti politici, economici e sociali che hanno interessato il pianeta, i fatti di cronaca di questi giorni ci dimostrano che parlare di pace, di rispetto tra culture diverse, di reciproca convivenza, è quanto mai necessario. E come città del Santo che più di ogni altro ha incarnato in se stesso l’accoglimento dell’altro, vogliamo provare a lanciare un messaggio forte affinché la misericordia prevalga sulla vendetta e il dialogo sull’uso delle armi. Mi auguro – conclude – che ci sia una forte partecipazione anche per prepararci al meglio all’appuntamento dell’anno prossimo al quale speriamo possa intervenire Papa Francesco per rinnovare, da Assisi, un impegno forte e globale di tutti i capi religiosi per la pace nel mondo”. L’evento è organizzato dalla diocesi con le famiglie francescane, il Comune di Assisi e altri enti.

IL PROGRAMMA
Martedì 27 ore 15 visita guidata con padre Silvestro Bejan, direttore del Centro francescano internazionale per il dialogo (Cefid), alla mostra di acqueforti Marc Chagall e la Bibbia presso il museo del tesoro del Sacro Convento; ore 16.30, sala Frate Elia della basilica papale di San Francesco, invocazioni dei Figli di Abramo per la pace: introduzione di fratel Daniele Moretto della Comunità di Bose; invocazioni di: rav Joseph Levi, rabbino capo di Firenze, mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi – Nocera Umbra  -Gualdo Tadino, Abdel Qader, imam di Perugia e Nader Akkad, imam di Trieste e delegato per il dialogo interreligioso dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia (Ucoii); ore 21 preghiera ecumenica per la pace nella basilica di Santa Maria degli Angeli.

Mercoledì 28 ore 9 – 12, salone papale del Sacro Convento, convegno teologico “La pace ferita. Travisamento di Dio, sfiguramento dell’uomo. L’alternativa della misericordia” con Shahrzad Houshmand, teologa musulmana, docente alla pontificia università Gregoriana di Roma; Francesco Testaferri, docente ordinario di Teologia fondamentale all’Istituto teologico di Assisi; Vittorio Robiati Bendaud, coordinatore delle attività culturali della Fondazione Maimonide.

]]>
No, la guerra non è mai santa https://www.lavoce.it/no-la-guerra-non-e-mai-santa/ Thu, 10 Sep 2015 09:41:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43155 Un momento dell'incontro internazionale della Comunità di Sant'Egidio a Tirana
Un momento dell’incontro internazionale della Comunità di Sant’Egidio a Tirana

“Ai governanti diciamo: la guerra non si vince con la guerra, è un abbaglio! La guerra sfugge di mano. Non illudetevi!”. È il messaggio lanciato da 400 leader di religioni e culture diverse riuniti a Tirana dal 6 all’8 settembre per l’incontro internazionale promosso dalla Comunità di Sant’Egidio.

“Ripartiamo dal dialogo – esortano -, che è una grande arte e una medicina insostituibile per la riconciliazione tra i popoli. La guerra non è mai santa, l’eliminazione e l’oppressione dell’altro in nome di Dio è sempre blasfema”.

Purtroppo, “70 anni dopo l’ecatombe nucleare e la fine della Seconda guerra mondiale, l’umanità sembra avere dimenticato che la guerra è un’avventura senza ritorno. Sì, le guerre sembrano diventare normali e tanti sono attratti dal fascino terribile della violenza. Il nostro secolo XXI è a un bivio: tra rassegnazione e un futuro di speranza, tra indifferenza e solidarietà”.

La via di soluzione viene dalla nostra Umbria: “Lo spirito di Assisi ci guidi a essere più audaci e coraggiosi nella ricerca della pace e nella costruzione di società dove il vivere insieme tra diversi sia pacifico e positivo”.

“Nell’opinione pubblica un cambiamento è iniziato. Le immagini del bambino curdo o della turista greca che sul motoscafo abbraccia un rifugiato salvato in mare ci fanno capire che il mondo è diverso da come è stato dipinto, e che l’abbraccio oggi può vincere sullo scontro” è il commento di Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio.

“Lo spirito di Assisi – aggiunge – soffia molto più forte oggi da Tirana, e ci ha fatto uscire (come ha detto Papa Francesco) dalla nostra autoreferenzialità, dai mondi talvolta chiusi in cui vivono le religioni, dai mondi separati, per andare incontro alle grandi domande della storia di oggi, prima tra tutte quella della guerra, pensando in particolare al Medio Oriente, all’Iraq, alla Siria, alla Libia, e poi quella dei rifugiati che sono in molti casi un prodotto della guerra”.

Lo spirito di Assisi “oggi richiama a un senso di responsabilità ulteriore: lavorare di più, con più tenacia, con più audacia, con più coraggio per la pace”.

“L’idea – spiega ancora Impagliazzo – è quella di dare gli strumenti concreti perché tutto questo movimento popolare che è nato attorno ai rifugiati deve trovare uno sbocco concreto. Altrimenti sono belle parole o bei gesti, che, seppur importantissimi, si affievoliscono con il tempo. Allora noi proponiamo all’Europa, e quindi anche all’Italia, di dare la possibilità per legge alle associazioni, ai singoli o alle singole famiglie che lo vogliono, di ospitare i rifugiati che sono già sul nostro territorio, ma anche di fare accordi con famiglie di persone che soffrono per la guerra e hanno bisogno non di intraprendere ‘viaggi della morte’ o nelle mani di trafficanti di uomini, ma di viaggiare e venire in Europa in maniera totalmente regolare”.

Il tema dell’accoglienza è “popolare” in Europa, e in particolare in Italia?

“Lo sta diventando – risponde. – Ci vuole tempo, perché la predicazione dell’odio che identifica i rifugiati con persone pericolose o addirittura terroristi, è stata troppo lunga nel nostro Paese.

C’è una grave responsabilità di una parte del mondo politico, ma anche della cultura del nostro Paese, di non avere sviluppato una visione realistica delle questioni. È chiaro che il discorso dei rifugiati può essere strumentalizzato per fini politici o peggio, elettorali”. Ma il “cambiamento” di mentalità è in atto e “lo abbiamo registrato anche qui a Tirana”.

 

]]>
Fucina di cultura e di futuro https://www.lavoce.it/giorno-che-non-voleva-finire/ Thu, 03 Sep 2015 10:09:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43008 Benedetto XVI a Assisi il 27 ottobre 2011
Benedetto XVI a Assisi il 27 ottobre 2011

Dopo la pausa estiva, riprendono le attività dell’Istituto teologico di Assisi (Ita). Il calendario ecclesiale particolarmente ricco di eventi, come Firenze 2015 e lo straordinario Giubileo della Misericordia indetto da Papa Francesco, offre stimoli ulteriori perché, presso questa istituzione pregevole della nostra regione ecclesiastica, siano prodotte una riflessione e una mediazione culturale utili alla Chiesa e a quanti sono inseriti nel mondo della cultura.

Come sempre, anche nel prossimo anno accademico vi saranno corsi introduttivi e specifici sulla Sacra Scrittura, la Teologia fondamentale e la dogmatica, la morale, il Diritto, la Storia della Chiesa e le scienze umane.

Una novità particolare, fra le altre, merita di essere evidenziata. Dopo essere stata per molti anni materia di insegnamento nella specializzazione in Teologia fondamentale, riservata solo a coloro che procedevano nel percorso accademico, ora la Teologia delle religioni diviene disciplina curricolare per tutti gli iscritti all’istituto.

È questo il segno di una sensibilità al tema attualissimo delle religioni e alle problematiche connesse del dialogo, della convivenza e della multiculturalità, alle quali la chiesa non si sottrae.

Nello scenario di Assisi, cittadina sempre suggestiva, ma particolarmente importante per la naturale associazione al tema delle religioni dopo i tre grandi eventi inaugurati con la memorabile preghiera del 1986 voluta da Giovanni Paolo II, questa sensibilità non può mancare.

La Chiesa sa quanto importante sia la cultura per far fronte allo scollamento della “società liquida” attuale, e sa altrettanto bene che servono riflessioni speciali per dipanare alcuni nodi dell’attuale situazione mondiale. Pare strano, ma proprio dentro le aule, più che nei Parlamenti; proprio dentro i centri culturali e di studio, più che nella diplomazia o attraverso il mercato, si sedimenta il futuro della convivenza umana.

In un tempo in cui tutto sembra rientrare nell’ottica della tecnologia e del suo progresso, stagione in cui l’uomo, forte delle strumentazioni che apparentemente agevolano la sua vita, inconsapevolmente ne è addirittura schiavo, la Chiesa ha chiara la sfida culturale e di nuovo umanesimo, e tiene alta l’attenzione sulla necessità della preparazione e dell’aggiornamento permanente.

Proprio per rispondere organicamente a questa che è la vera sfida dell’oggi, l’Istituto teologico dà vita a partire da quest’anno a un’iniziativa nuova: su richiesta della Commissione presbiteriale regionale, approvata dalla Conferenza episcopale, viene proposto un corso di aggiornamento indirizzato particolarmente a presbiteri e diaconi umbri, ma aperto a tutti coloro che desiderano partecipare.

Le lezioni costituiscono un approccio multidisciplinare al tema della misericordia, vista la sua attualità ecclesiale. Appannaggio biblico antico e neotestamentario saranno preparati da una riflessione d’apertura e faranno seguire solide valutazioni teologiche. È un modo interessante di stare al passo con l’agenda della Chiesa, ma anche di promuovere e produrre cultura nella forma propria dell’istituzione accademica.

Come in tutti gli anni, coloro che avvertono il bisogno di approfondire le proprie conoscenze di fede o sentono lo stimolo di ampliare le proprie conoscenze, ricevendo aggiornamenti interessanti, possono trovare nella varietà delle proposte di corsi una risposta senz’altro adeguata. Fra tante altre possibilità esiste anche quella di iscriversi come liberi uditori a singoli corsi per un “assaggio” che non si rivelerà infruttuoso.

A chiusura di questa riflessione nella quale si è tornati più volte a ripetere l’importanza della formazione e della cultura per vivere nell’attuale e problematica stagione post-moderna, solo un richiamo alle due specializzazioni offerte dall’Ita.

La prima concerne la Teologia fondamentale. Nata dopo Assisi ’86, questa specializzazione ha maturato un’identità propria e propone – in parallelo a riflessioni sulle religioni, il dialogo, l’ecumenismo, la post-modernità – corsi strutturati per approfondire la conoscenza dei fondamenti del cristianesimo. Infatti chi desidera aprirsi al “diverso” e alle nuove sfide può farlo a partire da una chiara autocoscienza e avendo precisi punti fermi. Lo studio di Fede, Rivelazione, Tradizione, Scrittura e Magistero sono così un punto di forza di questa area accademica.

La seconda specializzazione che trova in Assisi il suo luogo naturale riguarda gli studi francescani. Fonti, strumenti, storia, teologia francescana sono fatti materia di approfondimento e studio soprattutto per coloro che intendono approfondire la conoscenza di questo specialissimo carisma.

L’augurio è che sempre più persone, conoscendo l’Istituto teologico e l’alto profilo culturale delle attività che vi si svolgono, possano avvalersi con profitto di corsi, aggiornamenti e fruire di altri eventi culturali.

 

]]>
Al cuore del vangelo https://www.lavoce.it/al-cuore-del-vangelo/ Thu, 06 Aug 2015 10:05:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=42068 porziuncola
La Porziuncola

“Il Giubileo straordinario della Misericordia ci porta al cuore del Vangelo”. Inizia con queste parole il messaggio dei Vescovi umbri pubblicato – in vista dell’Anno santo – con la data del 2 agosto, festa del Perdono di Assisi.

In vista dell’inizio del Giubileo indetto da papa Francesco, che inizierà il prossimo 8 dicembre e terminerà il 20 novembre 2016, i Vescovi delineano la “geografia” della Misericordia in Umbria, evidenziando in particolare due grandi poli: la Porziuncola e il santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza.

Il messaggio rimanda spesso alla bolla di indizione dell’Anno santo, Misericordiae vultus, “ricca di preziose indicazioni”.

Tra le altre, il fatto che giustizia e misericordia “non sono due aspetti in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà che si sviluppa progressivamente fino a raggiungere il suo apice nella pienezza dell’amore” (MV 20).

E ancora: “La misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della Chiesa” (MV 41). “Il Papa – commentano i Vescovi umbri – ci porta, con questa affermazione, al grande spazio del dialogo interreligioso, che diventa oggi sempre più necessario, di fronte alle sfide della globalizzazione, della multi-culturalità e della pace. Il dialogo con Israele, con l’islam, con le altre grandi religioni dell’umanità può trovare nel concetto di misericordia un punto di incontro”.

Lineamenti

Il documento traccia quindi alcuni “lineamenti” spirituali del tema. Il primo è che “la misericordia è il cuore stesso del messaggio cristiano e ha il suo ‘volto’ in Gesù. Egli è la rivelazione piena del Dio-Amore”. Un Dio che si rivela pienamente in Cristo ma “si esprime fin dai primordi della creazione, facendo belle tutte le cose e ponendo la Sua immagine nell’uomo, del quale si prende cura anche quando il peccato ne imbratta e sfigura il volto.

È Dio di misericordia quello che si china con viscere materne sul popolo eletto, raccogliendone il gemito nell’oppressione e non rifiutando mai il perdono ai cuori pentiti. La stessa correzione [i ‘castighi’ descritti nell’Antico Testamento, ndr] è usata come pedagogia di misericordia. Ben lo esprimono i Salmi”.

Ma è soprattutto “nei gesti e nelle parole di Gesù, in particolare nella parabola del Padre misericordioso [o del figliol prodigo, ndr], che si coglie la grandezza di questo amore, che sulla croce ha la sua misura piena. Dobbiamo lasciarci avvolgere dalla tenerezza del Padre che getta le braccia al collo del figlio traviato e ‘ritrovato’”.

Sul piano pastorale – proseguono i Vescovi – Papa Francesco “ci invita a far crescere la misericordia non soltanto come perdono offerto e ricevuto nel sacramento della riconciliazione, ma anche come ‘stile’ che caratterizza ogni azione e percorso ecclesiale. È qui il segreto della nuova evangelizzazione”.

 

Collevalenza
Il santuario dell’ Amore Misericordioso di Collevalenza

Linee operative

A seguire, alcune linee operative comuni per le diocesi della regione. “Il Papa – si rammenta – ha proposto un giubileo che, pur prevedendo i tradizionali appuntamenti romani, avrà il suo svolgimento ordinario nelle Chiese locali”.

Ciò varrà anche per le cattedrali umbre. Ma, al di là di aprire le Porte sante, tanto è il lavoro trasversale che si può svolgere. Ad esempio, per approfondire il concetto biblico e teologico di misericordia “si impegnino in modo speciale i due istituti che sono particolarmente qualificati nella formazione teologica della nostra regione: l’Istituto teologico assisano e l’Istituto superiore di scienze religiose di Assisi”.

Occorrerà inoltre “riscoprire su larga scala il sacramento della riconciliazione. In particolare, incoraggiamo iniziative di formazione e di approfondimento per i confessori”.

In terzo luogo, si intende “favorire nuova sensibilità per le opere Caritas diffuse sul territorio regionale”.

Inoltre, “si potrà verificare la possibilità di un pellegrinaggio regionale a Roma, ad Assisi o a Collevalenza”. E infine, si farà in modo di valorizzare al meglio, nel corso del 2016, la felicissima coincidenza con il 30° anniversario dello “spirito di Assisi” del 1986.

La “geografia” della Misericordia

Alla Porziuncola san Francesco plasmò la sua prima comunità sotto lo sguardo materno della Vergine degli angeli. Per questo luogo a lui tanto caro volle ottenere da papa Onorio III il privilegio noto come “perdono di Assisi”, che tra l’1 e il 2 di agosto di ogni anno attira folle di pellegrini desiderosi di abbandonarsi all’amore perdonante di Dio.

A spingere il Santo a questa richiesta fu il desiderio di rendere partecipi tanti fratelli e sorelle della gioia che solo una vita riconciliata e sanata può sperimentare. “Voglio mandarvi tutti in paradiso”, fu la caratteristica espressione con cui ne diede l’annuncio. Di quel dono speciale ricorre il prossimo anno l’ottavo centenario (1216-2016), in una felice coincidenza con l’Anno giubilare della Misericordia. Come non gioire di tale circostanza, vedendola come un’occasione di grazia per tutta la nostra regione?

Il santuario dell’ Amore Misericordioso di Collevalenza, poi, è dono di Dio alla nostra regione attraverso il cuore tenero di Madre Speranza recentemente beatificata. Anche da questo santuario il messaggio e l’esperienza della Misericordia si diffondono nel mondo, ed è bello che le nostre Chiese umbre ne sentano per prime i benefici.

 

]]>
Nigeria in fiamme https://www.lavoce.it/nigeria-in-fiamme/ Thu, 09 Jul 2015 09:42:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=38069 Un campo profughi in Nigeria
Bambini in fuga dagli attacchi di Boko Haram rifugiati in un campo profughi a Diffa (Niger)

Bambine e donne kamikaze, bombe nei mercati, nelle chiese, nelle moschee e nei ristoranti. Tragedie che colpiscono indistintamente musulmani e cristiani e portano la firma del gruppo fondamentalista Boko Haram.

Nell’ultima settimana sono state più di 200 le vittime in Nigeria, le ultime 44 a Jos, in un’affollata moschea dove il predicatore invitava alla pace tra le religioni, e in un ristorante frequentato da musulmani. Poi una giovane donna si è fatta esplodere in una chiesa evangelica nel Nord-est, uccidendo 5 fedeli.

Alcuni giorni prima, nella stessa area, erano state date alle fiamme 32 chiese e 300 abitazioni; altre due donne kamikaze si sono fatte esplodere a Maiduguri, provocando 13 morti. A Miringa i miliziani islamici hanno sgozzato 11 persone accusandole di essere “traditori” in procinto di disertare. In 6 anni nel Nord-est della Nigeria i morti sono stati 13 mila, e un milione e mezzo gli sfollati.

Abbiamo raggiunto telefonicamente l’arcivescovo di Jos, mons. Ignatius Ayau Kaigama, presidente della Conferenza episcopale nigeriana.

La sua arcidiocesi è stata di nuovo colpita al cuore…

“È dovere delle autorità fermare la violenza. La gente chiede con forza di essere difesa dagli attacchi dei gruppi fondamentalisti. Non so indicare in che modo, perché la situazione è molto difficile: non c’è un nemico ben identificato, con soldati in uniforme. Questa è una sorta di guerriglia, che coinvolge perfino donne e bambine kamikaze vestite normalmente. Per cui è difficile, anche per il Governo, contrastare un fenomeno di questo tipo, nel quale non si sa chi sia il nemico”.

Com’è il clima nella comunità cristiana?

“Chi non avrebbe paura di vivere in una situazione del genere? Anche il nostro vicino potrebbe essere pericoloso. C’è un continuo clima di sospetto e siamo tutti preoccupati. Non siamo tranquilli in nessun luogo. All’interno delle nostre chiese e strutture abbiamo delle forze di sicurezza private, oltre alle normali forze dell’ordine. Cerchiamo di essere attenti e di vigilare”.

La situazione è peggiorata?

“Al Nord-est è molto peggiorata. Ci sono migliaia di sfollati interni, e poi ci sono centinaia di migliaia di rifugiati nei Paesi vicini: in Ciad, in Niger, in Camerun. È terribile. Questi terroristi hanno perso la loro umanità, attaccano senza una logica razionale. Quando si perde la razionalità, si apre la strada al fanatismo e si uccide indiscriminatamente”.

Gli stessi musulmani sono colpiti dalla violenza dei fanatici. Dialogate?

“C’è un dialogo costante e una collaborazione molto buona. I musulmani moderati comprendono bene il problema, si sentono anche loro vittime del fanatismo, lo denunciano con forza. La scorsa settimana sono andato, con altri preti, nella grande moschea di Jos per salutare il nuovo imam. Tutti dicono che questi terroristi non sono veri musulmani, non agiscono in nome dell’islam, commettono solo gravi crimini contro l’umanità. Io ci credo”.

Il 20 luglio il presidente Buhari incontrerà alla Casa Bianca il presidente Obama, che promette aiuti alla lotta contro Boko Haram.

“Siamo ottimisti sulla presidenza del generale Buhari. I leader europei e americani stanno estendendo la collaborazione, molto è stato fatto. Abbiamo visto tanta buona volontà da parte della comunità internazionale, che ha intenzione di aiutarci. È interesse di tutti unire le forze per combattere contro il terrorismo, che si sta diffondendo ovunque. Non è solo un problema della Nigeria ma di diverse zone dell’Africa e del Medio Oriente, dell’Europa e dell’America. Oramai il terrorismo è globale, non ci sono più i limiti delle frontiere. Il livello di attenzione deve essere molto alto, da parte di tutti”.

 

]]>
Il dialogo tra religioni è scuola di umanità https://www.lavoce.it/il-dialogo-tra-religioni-e-scuola-di-umanita/ Thu, 11 Jun 2015 08:56:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=35366 Il Papa durante la Messa nello stadio Kosevo
Il Papa durante la Messa nello stadio Kosevo

Dopo la “A” di Albania, la “B” di Bosnia: l’alfabeto del dialogo e della pace di Papa Francesco si arricchisce della tappa di Sarajevo.

Undici ore di visita nei Balcani e cinque discorsi per incoraggiare la minoranza cattolica locale, per ribadire la necessità di praticare la pace e la giustizia, e l’urgenza di promuovere la riconciliazione e il dialogo tra le religioni.

Ma se in Albania Francesco si è misurato con una realtà più omogenea (le diverse confessioni condividono infatti la stessa appartenenza etnica e hanno conosciuto la medesima persecuzione comunista), in Bosnia la situazione è diametralmente opposta.

La guerra del 1992-1995 è stata di fatto “congelata” dagli accordi di Dayton del 1995, che hanno sancito la divisione del Paese su base etnica e religiosa, rallentandone così però lo sviluppo, la crescita sociale ed economica, e soprattutto la riconciliazione.

Tante ferite ancora aperte che hanno trasformato Sarajevo, che ha perso la sua immagine da cartolina con la sinagoga, moschea e cattedrale vicine. Sulle rive del fiume Miljacka le divisioni si sentono forti, e il Papa non ha esitato a rilanciare in questa sua personale partita sul tavolo dell’incontro e della riconciliazione.

Venuto come “pellegrino di pace e di dialogo”, Francesco si è detto “lieto di vedere i progressi compiuti” nel dopo-guerra, “però è importante non accontentarsi di quanto realizzato, e cercare di compiere passi importanti per rinsaldare la fiducia e accrescere la mutua conoscenza e stima”. Un processo che deve coinvolgere la comunità internazionale, Ue in testa.

Sotto il gigantesco Cristo ligneo, posto sull’altare dello stadio Kosevo davanti a 65 mila persone, Francesco ha ripetuto le parole che furono di Giovanni Paolo II nella sua visita in Bosnia del 1997, con tutta la loro triste attualità. Nel mondo è in corso – ha ribadito – “una sorta di Terza guerra mondiale combattuta ‘a pezzi’. C’è chi questo clima vuole crearlo e fomentarlo deliberatamente, in particolare coloro che cercano lo scontro tra diverse culture e civiltà, e anche coloro che speculano sulle guerre per vendere armi”.

Ecco allora il mandato, tratto dalle Beatitudini: “Beati gli operatori di pace”. Ma con una precisazione: non limitarsi a essere “predicatori di pace”. “Tutti sono capaci di proclamarla, anche in maniera ipocrita o addirittura menzognera”. Occorre invece essere “ operatori di pace, cioè coloro che la fanno. Fare la pace è un lavoro artigianale” che “richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia, giustizia”. E la vera giustizia “è fare a quella persona, a quel popolo, ciò che vorrei fosse fatto a me, al mio popolo”.

L’esatto opposto di ciò che è accaduto in Bosnia, come hanno testimoniato tre consacrati all’incontro con il clero e i religiosi in cattedrale. Picchiati, torturati, ridotti in fin di vita, massacrati per il loro abito e la loro fede.

Un racconto dettagliato di sofferenze che ha colpito molto il Pontefice il quale, a braccio, ha reagito: “Questa è la memoria del vostro popolo, e un popolo che dimentica la sua memoria non ha futuro. Questa è la memoria dei vostri padri e madri nella fede. Oggi hanno parlato in tre, ma in tanti hanno sofferto come loro. Non avete diritto a dimenticare la vostra storia; non per vendicarvi, ma per fare pace; non per guardare le cose in maniera strana, ma per amare come loro”.

In questo percorso di riconciliazione le religioni hanno un ruolo importante, rivendicato da Bergoglio, che coinvolge non solo i leader ma tutti i credenti.

“Il dialogo interreligioso – ha detto – è una scuola di umanità e un fattore di unità che aiuta a costruire una società fondata sulla tolleranza e il mutuo rispetto”. Però “non può limitarsi solo a pochi, ai soli responsabili delle comunità religiose, ma dovrebbe estendersi a tutti i credenti, coinvolgendo le diverse sfere della società civile. Siamo consapevoli che c’è ancora tanta strada da percorrere. Non lasciamoci però scoraggiare dalle difficoltà, e continuiamo con perseveranza nel cammino del perdono e della riconciliazione”.

Un invito ripetuto ancora nell’ultimo incontro, con i giovani, “la prima generazione del dopoguerra, i fiori di una primavera che vuol andare avanti e non tornare alla distruzione e alle cose che ci rendono nemici. Lavorate per la pace tutti insieme – ha detto Francesco prima di salire sull’aereo che lo riportava a Roma. – Che questo sia un Paese di pace. La pace si costruisce insieme, musulmani, ebrei, ortodossi e cattolici. Tutti siamo fratelli, tutti adoriamo un unico Dio”.

 

]]>
Le religioni sanno ancora dialogare https://www.lavoce.it/le-religioni-sanno-ancora-dialogare/ Fri, 08 May 2015 11:39:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=32960 Egitto: cristiani e musulmani manifestano insieme
Egitto: cristiani e musulmani manifestano insieme

È in corso a Perugia (dal 7 al 9 maggio) il primo dei tre “Laboratori” di preparazione al Convegno ecclesiale di Firenze. Il laboratorio ha per tema “Dalla solidarietà alla fraternità: identità, estraneità e relazioni per un nuovo umanesimo”. L’evento è organizzato dall’Ufficio Cei per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, dal dipartimento di Filosofia – scienze sociali – umane e della formazione dell’Università di Perugia, dalla Commissione politiche sociali e lavoro della Conferenza episcopale umbra e dall’Istituto teologico di Assisi. La sede del convegno è l’auditorium del Centro congressi della Figc (strada di Prepo 2).

Quattro le sessioni di lavoro su tre giornate, 9 tavole rotonde, più la conclusione finale di Adriano Fabris, un cardinale (Gualtiero Bassetti di Perugia) e un vescovo (Domenico Cancian di Città di Castello) tra i 29 relatori, di cui 22 sono docenti universitari impegnati soprattutto in atenei laici.

Un convegno reale e virtuale: è possibile seguire tutte le relazioni in diretta streaming collegandosi al sito www.firenze2015.it, ed è possibile rivolgere domande ai relatori (che saranno raccolte e lette in diretta prima del dibattito post-relazione) twittando @Firenze2015 o inviando email a redazione@firenze2015.it.

Diamo la parola a don Cristiano Bettega, sacerdote trentino di 48 anni, che dal settembre 2013 guida per la Cei l’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso.

Quanto è difficile occuparsi di ecumenismo e di dialogo interreligioso con la strage di Parigi stampata negli occhi e le minacce continue dell’Is?

“Spesso i media ci fanno credere che in varie parti del mondo e con certe culture sia impossibile il dialogo interreligioso. Leggevo su Avvenire del 6 maggio che, se da una parte sta emergendo il dramma di Aleppo in Siria, dall’altra parte un frate francescano che vive lì racconta che islamici e cristiani convivono in ottimi rapporti. La questione è spinosa, ma vorrei presentare l’immagine della rosa: ha il gambo spinoso, ma il fiore è bello, vario, profumato. Credo che la stessa cosa valga per il dialogo con l’altro, non solo inteso in ottica di cultura religiosa. Nella storia ci sono sempre stati episodi di contrasto e a volte di conflitto tra la visione che vuole distruggere l’altro e la logica che porta ad avvicinarsi all’altro, scoprendone il positivo”.

Come reagisce il mondo cattolico nei confronti del suo lavoro?

“Stiamo vivendo un periodo eccezionale perché i fatti di cronaca pongono ogni giorno il dialogo interreligioso. Parlando della ricezione di tale dialogo, a prescindere dai fatti attuali, direi che nelle Chiese locali trovo un interesse parcellizzato, ovvero ci sono persone più vicine all’approfondimento e altre che hanno reazioni più ‘contaminate’ dalle visioni mediatiche. Va sottolineato il dato che diocesi molto grandi hanno personalità preparate per occuparsi a tempo pieno di tali tematiche, mentre diocesi più piccole sono meno strutturate. Soprattutto in questi casi diventa fondamentale valorizzare il magistero di Papa Francesco, che sta dicendo le stesse cose di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ma utilizzando una gestualità più capace di provocare la Chiesa. Se non ci siamo ancora lasciati provocare abbastanza dai gesti di Francesco, credo che il problema sia soltanto il tempo – ancora poco – trascorso dall’inizio del suo magistero, che è già denso di momenti forti, come la visita a Lampedusa e a Istanbul”.

Come avete impostato il percorso del laboratorio di Perugia?

“Ci siamo sentiti interrogati sulla figura di Gesù e il nuovo umanesimo, intendendo il termine ‘nuovo’ come propositivo nei tempi in cui viviamo. Abbiamo cercato di passare la visione di un umanesimo capace di dire qualcosa di buono per l’uomo di oggi, capendone le varie declinazioni che può assumere, dal punto di vista laico-filosofico e interreligioso, approfondendo i punti di contatto tra le tre religioni monoteistiche (cristianesimo, ebraismo, islam) e tra queste e le principali religioni orientali (buddismo e induismo)”.

Evento interattivo

Il Convegno ecclesiale nazionale che si terrà a Firenze nel prossimo novembre si annuncia come un convegno fortemente interattivo, seguendo il solco dell’Era digitale nella quale la Chiesa ha già trovato ampiamente la propria dimensione. “Perugia – sottolinea padre Giulio Michelini, membro della Giunta nazionale del Convegno – è fondamentale per sperimentare una modalità di coinvolgimento digitale dei fedeli che ci seguono a distanza: oltre alla diretta streaming su www.firenze2015.it, è possibile l’interazione diretta attraverso l’account twitter @Firenze2015 e l’email redazione@firenze2015.it”.

06/05/2015 – Foto Andrea Coli

[ad-gallery orderby=”ID” include=”32916,32915,32914,32913,32912,32911,32910,32909,32907,32905,32904,32902,32900,32897,32896″ slideshow=”false”]

]]>
C’è chi emigra e chi va in letargo https://www.lavoce.it/ce-chi-emigra-e-chi-va-in-letargo/ Fri, 17 Apr 2015 09:50:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31542 Solo la primavera riesce a dare un segnale diffuso di risurrezione e di vita. Una serie di iniziative culturali e pastorali hanno rimesso in moto persone e comunità. Alle liturgie del tempo pasquale che si sono protratte a lungo – essendo state celebrate due date di Pasqua, il 5 aprile per i cattolici e il 12 per gli ortodossi – si sono aggiunti eventi in moltissimi centri. Cito per tutti il Festival di scienza e filosofia di Foligno, la Festa delle famiglie di Spoleto, il Festival del giornalismo a Perugia. Una di tali iniziative mi ha sollecitato una riflessione sull’attualità e i problemi che ci travagliano: quelli delle migrazioni. Sabato 18 aprile al Museo della migrazione di Gualdo Tadino si apre una mostra che riguarda l’emigrazione italiana all’estero, e si celebra l’XI edizione di un concorso sul tema, volto a lumeggiare gli addii, gli incontri e gli scontri degli italiani che si sono recati in un Paese straniero in cerca di una vita migliore. Un’ottima iniziativa che si arricchisce ogni anno di più di documenti e ricordi.

Questo tema, che ci riguarda per il passato e per altri aspetti anche per il presente (i giovani e i “cervelli” che vanno all’estero) ci rimanda alle tragiche vicende del Mediterraneo e alla minaccia di un’‘invasione’ che si annuncia per i prossimi mesi e che ha tutta l’aria di una catastrofe. Mons. Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, questa mattina (mercoledì 15) nella sala dei Notari di Perugia ha detto che nel Mediterraneo in questi anni si calcola che siano morte oltre 30 mila persone. Dovrebbe essere un mare che unisce le coste, anzi “il mare di Dio” è stato chiamato – sempre secondo Mogavero – perché vi si affacciano le tre grandi religioni monoteistiche, l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam. Ha ricordato che in altri tempi, anche se non sono mancate le lotte, era possibile la convivenza, tanto che a Palermo si parlavano 4 lingue e si redigevano documenti in ebraico, in greco, in latino e in arabo.

Anche oggi sarebbe possibile tale convivenza in una situazione di flussi moderati e normali di migranti, come avviene a Mazara dove i ragazzi che vanno a scuola o all’oratorio non avvertono come ostacolo la diversa religione e non sentono come un problema le differenze culturali, che vengono mediate dalla scuola e dal vivere sociale. Tutto ciò che ha detto mons. Mogavero è positivo e incoraggiante. Ma appena usciti dalla sala, aperti i computer, tablet e cellulari vari, abbiamo saputo delle uccisioni, delle ragazze rapite, delle fosse comuni, dei cristiani uccisi come tali e perché tali; e abbiamo letto minacciose e tracotanti profezie di invasione e di strage. Per arrivare alla situazione prefigurata dal Vescovo di Mazara si dovrà risolvere il fenomeno della migrazione selvaggia e di massa, lasciata in mano a commercianti di vite umane senza scrupoli. Lo si dovrà fare con mezzi adeguati, che non sono le buone parole e neppure le condanne verbali a scopo elettorale, ma decisivi interventi proporzionati alle emergenze umanitarie e della salvaguardia della minima condizione di sopravvivenza dell’ordine sociale. Le migrazioni provocano conseguenze catastrofiche come una guerra, è stato detto in passato, quando ancora si trattava di un fenomeno molto più ristretto. Ora tutto ciò è esploso con la crisi dei Paesi a maggioranza e ‘conduzione’ musulmana, e con la deriva fondamentalista e fanatica di correnti diffuse di terrorismo pseudo-teologico. A Mazara si è resa possibile una convivenza perché vi è una Chiesa e una cultura che ha per fondamento l’accettazione dell’altro, chiunque sia, e l’accoglienza del diverso nel rispetto della sua libertà di coscienza.

Questo non sarà mai possibile in un contesto culturale in cui predomina il disprezzo degli altri, e persino di opere artistiche e archeologiche che hanno segnato la storia dell’umanità. C’è strada da fare per tutti, a cominciare da chi ha in mano le sorti dei popoli – Europa, Onu, Stati ricchi, commercianti di armi – che sembrano piombati in un profondo e cinico letargo.

]]>
Lo scontro e l’incontro https://www.lavoce.it/lo-scontro-e-lincontro/ Fri, 17 Apr 2015 09:31:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31537 manlio-graziano-guerra-santa-e-santa-alleanzaIl libro di Manlio Graziano, Guerra santa e santa alleanza, si può affermare che sia la diretta risposta al libro di Samuel Huntington, Lo Scontro delle civiltà pubblicato da Garzanti nel 1997, che ha per oggetto la descrizione del panorama geopolitico a pieno spettro. Là dove Huntington vedeva lo scontro, qui Graziano nota l’alleanza, e pertanto là dove si poteva scorgere l’inevitabile lotta di tutti contro tutti, qui si vede un possibile incontro. Due culture dominanti, la cultura dello scontro e quella dell’incontro e quindi anche la cultura del sospetto sulle culture e religioni come portatori di diffidenza e pericolo vicendevole e quella del possibile incontro. Graziano pone anche al centro della visione da lui prospettata il ruolo della Chiesa cattolica, con il suo Pontefice massimo, papa Francesco, che ha ridato credibilità e prestigio alle strutture pastorali e politiche del Vaticano, con il suo miliardo di fedeli cattolici.

Lucio Caracciolo nella Prefazione, pur riconoscendo i meriti e il valore dell’analisi geopolitica di Graziano, prende le distanze e pone alcune forti riserve ad un progetto di cui nota i punti deboli, soprattutto nella difficoltà che la Chiesa cattolica possa assumere un ruolo per il quale non è preparata e neppure disposta (pag. 12 – 13). Lo stesso Graziano non ritiene, e tanto meno si illude, che una santa alleanza e la assunzione di una morale globale condivisa dalle religioni possa realizzarsi in modo deterministico, ma ritiene tuttavia che non si debba negare che tale sarebbe la via della pace e non altra. Graziano sa bene che “in politica, come quasi ovunque non esistono tendenze univoche e assolute”. La tendenza alla de-secolarizzazione sulla quale il libro punta come condizione necessaria posta a fondamento dell’intero discorso e a cui il libro dedica, giustamente, molto spazio, si presenta, anch’essa, non univoca e pertanto non sufficiente a dare sicurezza al progetto della santa alleanza, in quanto “coesiste con tendenze alla secolarizzazione in paesi diversi e talvolta all’interno di uno stesso paese” (p. 318).

Siamo lontani dal pensare, come alcuni gruppi di fondamentalisti vorrebbero far credere, che sia possibile giungere ad una religione universale, nel senso di unica diffusa ovunque e al di sopra delle singole culture. In questo esprime con netta decisione il suo pensiero Huntington ove afferma: “L’avvento di una religione universale è altrettanto improbabile di quella di una lingua universale” (Lo scontro p. 82). Ciò tuttavia non esclude che vi possa essere un accordo per un linguaggio e quindi un’etica universale condivisa. Che cosa sono d’altra parte le organizzazioni internazionali se non il superamento di interessi particolari per un bene comune il più possibile allargato?

Graziano, come si conviene ai veri studiosi, giunge a conclusioni caute e problematiche, dopo dettagliate e ponderate analisi svolte nei 15 capitoli che formano le 4 parti del testo, di grande interesse e di agevole lettura, che si apre su orizzonti nuovi, spesso inaspettati. Un libro, certo, ampio e complesso in cui si rischia di perdersi nei risvolti e nei dettagli, ma con una linea chiara di sviluppo verso l’ipotesi della santa alleanza proposta che occupa l’ultima parte. Una particolare curiosità suscita la parte che riguarda la Chiesa cattolica. Si potrebbe dall’intero testo estrapolare una specie di monografia sulla Chiesa cattolica attuale e sulla sua attualità. È certamente un tratto originale di Graziano di aver dato tanto spazio in un discorso geopolitico alla realtà del cattolicesimo odierno e alla figura di papa Francesco. D’altra parte aveva già scritto sull’argomento nel volume Il secolo cattolico. La strategia geopolitica della Chiesa (Laterza 2010). Penso che questa sia una caratteristica notevole del libro e occupa tutta la parte quarta. Una ricchissima bibliografia, selezionata capitolo per capitolo, che occupa 24 pagine (p. 323 -347), conclude il volume.

Manlio Graziano, Guerra santa e santa alleanza. Religioni e disordine internazionale, Il Mulino Saggi Bologna 2014

]]>
Incontro tra cattolici e musulmani sciiti a Roma https://www.lavoce.it/incontro-tra-cattolici-e-musulmani-sciiti-a-roma/ Fri, 27 Mar 2015 13:43:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31113 Il tavolo del convegno della Sant’Egidio su “Cattolici e Sciiti”
Il tavolo del convegno della Sant’Egidio su “Cattolici e Sciiti”

“Nel mondo globale, l’uomo non sopporta di essere senza radici, e si rifugia nel fanatismo. Ma questo è perversione delle religioni”. Lo ha affermato Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, all’incontro “Cattolici e sciiti. Responsabilità dei credenti in un mondo globale e plurale” svoltosi il 24 marzo a Roma.

Riccardi ha ricordato come lo scenario internazionale sia attraversato da numerose crisi e conflitti, veri e propri “momenti di prova per le religioni, per i cristiani in Pakistan, Iraq, Nigeria ma anche per gli sciiti. Non c’è dialogo senza libertà religiosa: da Paolo VI fino a Giovanni Paolo II, la Chiesa ha impersonato l’impegno delle religioni per il dialogo e la pace. Noi ci muoviamo su questa linea”.

Alle parole di Riccardi hanno fatto eco quelle del card. Jean-Louis Tauran: “Esiste per un popolo un flagello peggiore della guerra? No”. Il pensiero del porporato è andato subito alla Siria, entrata nel suo quinto anno di conflitto, con “215 mila morti, 7 milioni di sfollati interni, 4 milioni di rifugiati nei Paesi confinanti”. Davanti a queste cifre, ha detto Tauran, è lecito chiedersi da dove tragga origine la guerra.

E i motivi vanno cercati nelle “discriminazioni, nelle persecuzioni, nelle pulizie etniche, nei genocidi, anche culturali, come quelli portati avanti in Iraq dal sedicente Stato islamico. Grave, inoltre, è l’incitamento alla violenza da parte dei leader religiosi, per esempio in Pakistan contro i cristiani, sui quali spesso pende la falsa accusa di blasfemia. Quanta pena si prova a sapere che scuole, in particolare religiose, sono un vivaio di futuri terroristi”.

La pace, ha argomentato il cardinale, “non si può ottenere se non viene tutelato il bene delle persone. È necessario avere la ferma determinazione di rispettare la dignità degli altri popoli e degli altri uomini. Il discorso religioso ha l’obbligo di favorire il rispetto reciproco e la pace sociale, specialmente in tempi di crisi”.

Il dialogo non deve restare confinato ai dotti e alle élite”, ha sottolineato Jawad Al-Khoei, segretario generale dell’Al-Khoei Institute, ma deve diffondersi tra la gente. “Perché il dialogo si affermi, occorre innanzitutto contrastare l’estremismo religioso, tanto diffuso nel mondo”.

Un punto fondamentale è “l’accettazione del pluralismo quale principio umano e divino, come indica il Corano. Non ci sono differenze tra i popoli. Una certa ostilità tra i seguaci di alcune religioni nasce dalla mancata comunicazione diretta, specie tra le loro autorità religiose. La mancata comunicazione crea ignoranza dell’altro; di qui nascono le diffidenze. Ci sono ampi spazi comuni tra l’islam e le altre religioni monoteistiche, e vanno ‘abitati’ per costruire ponti di comprensione”.

Non sempre è stato così, ha ammesso il teologo libanese Mohamad Hassan Al-Amine. “Ci sono stati nell’islam – come nel cristianesimo – duri conflitti tra le diverse correnti circa la dottrina e la sharia. Per questo, oggi chiedo ai leader musulmani di organizzare incontri di dialogo basati sull’autocritica. L’autocritica trasparente e aperta incoraggia a rivedere i presupposti che ognuno ritiene sacri mentre in realtà non lo sono, non fanno parte dell’essenza della religione, e sono solo il frutto di una chiusura confessionale che porta all’ostilità e all’inimicizia verso chi ha un pensiero differente”.

È da questo atteggiamento che nasce “l’immagine terrificante e dolorosa che molti popoli hanno dell’islam; che è invece una religione che esorta alla pace e alla carità. È necessario dire che la religione non ha nulla a che fare con i gruppi estremisti che commettono crimini orrendi in nome della fede”.

I PARTECIPANTI

L’incontro “Cattolici e sciiti” si è svolto il 24 marzo a Roma per iniziativa della Comunità di Sant’Egidio e della Imam al-Khoei Foundation, fondazione internazionale legata alla massima autorità religiosa dell’islam sciita iracheno, l’ayatollah Ali Sistani. Erano presenti, tra gli altri, dignitari religiosi sciiti di primo piano provenienti da Iran, Iraq, Libano, Arabia Saudita, Bahrein, Kuwait, e i cardinali Reinhard Marx, presidente della Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea (Comece), e Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.

]]>
Come usciamo da questa spirale? https://www.lavoce.it/come-usciamo-da-questa-spirale/ Fri, 23 Jan 2015 12:22:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29910 È stato giusto fare la grande manifestazione di Parigi, domenica 11 gennaio, dopo le due stragi (quella dei redattori della rivista Charlie Hebdo, e quella degli ebrei al supermarket). È stato giusto farla, e farla come è stata fatta: una dimostrazione di fermezza, ma all’insegna della non-violenza. C’erano persone di varie nazionalità, di varie etnie, di varie religioni, o anche di nessuna religione. Contro il fanatismo violento, ma non contro i fedeli musulmani (ce ne erano tanti lì a sfilare). Quella folla era essa stessa il segno e la prova dei valori che voleva testimoniare, a partire dalla solidarietà fra diversi. Però, se qualcuno si aspettava che i fanatici, i violenti, davanti a quella dimostrazione avrebbero fatto un esame di coscienza e avrebbero messo la coda fra le gambe, si sbagliava di grosso. Infatti hanno risposto ai cartelli Io sono Charlie con cartelli con la scritta “Io sono musulmano e amo il mio Profeta”; e in quegli angoli della terra dove i fanatici hanno il potere (anche illegale) sono scattate le ritorsioni contro gli incolpevoli cristiani – cattolici e non cattolici – che pure appartengono a quei Paesi e a quei popoli. Che c’entrano i cristiani dell’Africa e dell’Asia con i blasfemi vignettisti di Charlie? Il ragionamento (o pseudo-ragionamento) dei fanatici è semplice: i vignettisti sono europei, l’Europa è cristiana, voi non siete europei ma cristiani sì, dunque siete colpevoli anche voi. Sembra una aberrazione, ma anche in casa nostra c’è chi fa lo stesso ragionamento, sia pure all’inverso (“sei arabo, sei musulmano, dunque sei un terrorista”). Come uscire da queste spirali? Quasi impossibile dirlo. Ma certo non con le prove di forza; non con le guerre per l’“esportazione della democrazia”. È vero che, se c’è una guerra, è lecito e anche doveroso difendersi; ma non è risolutivo. Ricordiamo invece l’insegnamento di Paolo VI: all’antico detto si vis pacem para bellum (se vuoi la pace, lavora per la guerra) il Papa sostituì si vis pacem para pacem (se vuoi la pace, lavora per la pace). Ma purtroppo funziona solo se a volere la pace si è in due.

]]>