ramadan Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/ramadan/ Settimanale di informazione regionale Thu, 21 Mar 2024 12:02:35 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg ramadan Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/ramadan/ 32 32 Un giorno di festa per la fine del Ramadan https://www.lavoce.it/giorno-festa-fine-ramadan/ https://www.lavoce.it/giorno-festa-fine-ramadan/#respond Thu, 21 Mar 2024 12:02:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75416

Il consiglio di istituto di una scuola statale in Lombardia ha deciso che sarà giorno di vacanza il prossimo 10 aprile, per la ricorrenza della fine del Ramadan, il mese di digiuno e preghiera dei musulmani.

Circa la metà degli studenti sono di famiglia musulmana e starebbero a casa comunque; allora, ha pensato il preside, tanto vale mettere in vacanza tutti per un giorno, visto che l’autonomia scolastica lo consente. Il Ministro dell’Istruzione – che non ha il potere di impedirlo – lo ha severamente criticato.

Ma quella decisione è legittima? La risposta è sì; per le stesse ragioni per le quali una ventina di anni fa il Tar dell’Umbria rigettò il ricorso presentato contro una scuola di Corciano che su richiesta di molti studenti e delle loro famiglie aveva autorizzato la sospensione delle lezioni (per pochi minuti) per consentire lo svolgimento della benedizione pasquale.

Quella benedizione, dissero i giudici, si poteva fare perché non era offensiva per nessuno, non provocava sconquassi nella vita della scuola; e perché era stato precisato che tutti sarebbero stati liberi di scegliere se partecipare o no. I giudici aggiunsero che se in altre occasioni avessero fatto richieste simili i fedeli di altre confessioni, ovviamente la risposta sarebbe stata la stessa. Perché la Costituzione italiana riconosce non solo la libertà di religione, ma anche l’uguale diritto di praticare pubblicamente i culti, nel rispetto dei diritti altrui.

Ora si stima che in Italia ci siano circa due milioni e mezzo di musulmani, sia pure divisi fra diverse tendenze; l’Islam è la confessione più diffusa, dopo quella cattolica, e lo Stato non può negare ai suoi seguaci le libertà previste dalla costituzione, compresa quella di avere i propri luoghi pubblici di culto (molte autorità locali, per esempio in Lombardia cercano di opporsi, ma è illegale).

Ai seguaci di altre religioni (ebrei, avventisti) è concesso per legge di considerare festivi, a tutti gli effetti, i giorni previsti come tali dal loro calendario; ai musulmani questo non è ancora concesso, ma solo perché, per ragioni tecniche, non si è ancora conclusa la “intesa” prevista dall’art. 8 della Costituzione. Ma al di sopra dei sofismi legali, c’è il fatto che, piaccia o no, viviamo ora in una società multiculturale e multietnica, e dobbiamo accettarlo nel rispetto di tutti verso tutti.

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Il consiglio di istituto di una scuola statale in Lombardia ha deciso che sarà giorno di vacanza il prossimo 10 aprile, per la ricorrenza della fine del Ramadan, il mese di digiuno e preghiera dei musulmani.

Circa la metà degli studenti sono di famiglia musulmana e starebbero a casa comunque; allora, ha pensato il preside, tanto vale mettere in vacanza tutti per un giorno, visto che l’autonomia scolastica lo consente. Il Ministro dell’Istruzione – che non ha il potere di impedirlo – lo ha severamente criticato.

Ma quella decisione è legittima? La risposta è sì; per le stesse ragioni per le quali una ventina di anni fa il Tar dell’Umbria rigettò il ricorso presentato contro una scuola di Corciano che su richiesta di molti studenti e delle loro famiglie aveva autorizzato la sospensione delle lezioni (per pochi minuti) per consentire lo svolgimento della benedizione pasquale.

Quella benedizione, dissero i giudici, si poteva fare perché non era offensiva per nessuno, non provocava sconquassi nella vita della scuola; e perché era stato precisato che tutti sarebbero stati liberi di scegliere se partecipare o no. I giudici aggiunsero che se in altre occasioni avessero fatto richieste simili i fedeli di altre confessioni, ovviamente la risposta sarebbe stata la stessa. Perché la Costituzione italiana riconosce non solo la libertà di religione, ma anche l’uguale diritto di praticare pubblicamente i culti, nel rispetto dei diritti altrui.

Ora si stima che in Italia ci siano circa due milioni e mezzo di musulmani, sia pure divisi fra diverse tendenze; l’Islam è la confessione più diffusa, dopo quella cattolica, e lo Stato non può negare ai suoi seguaci le libertà previste dalla costituzione, compresa quella di avere i propri luoghi pubblici di culto (molte autorità locali, per esempio in Lombardia cercano di opporsi, ma è illegale).

Ai seguaci di altre religioni (ebrei, avventisti) è concesso per legge di considerare festivi, a tutti gli effetti, i giorni previsti come tali dal loro calendario; ai musulmani questo non è ancora concesso, ma solo perché, per ragioni tecniche, non si è ancora conclusa la “intesa” prevista dall’art. 8 della Costituzione. Ma al di sopra dei sofismi legali, c’è il fatto che, piaccia o no, viviamo ora in una società multiculturale e multietnica, e dobbiamo accettarlo nel rispetto di tutti verso tutti.

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Il cardinale Gualtiero Bassetti scrive alla comunità islamica di Perugia per l’inizio del Ramadan https://www.lavoce.it/il-cardinale-gualtiero-bassetti-scrive-alla-comunita-islamica-di-perugia-per-linizio-del-ramadan/ Thu, 15 Apr 2021 09:46:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60155 Il cardinale Gualtiero Bassetti assieme all'imam Abdel Qader

"Auguro che questo tempo di Ramadan sia un tempo di rinnovamento spirituale, di preghiera, di riconciliazione e di pace per tutti i fedeli della comunità musulmana di Perugia, affinché possano rinnovare il legame con Dio e con i fratelli, non solo di fede, ma anche con tutte le persone in mezzo alle quali vivono".

A dirlo è il cardinale arcivescovo della Diocesi di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, nel suo messaggio inviato alla comunità islamica del Capoluogo umbro all’inizio del Ramadan.

Ricordo dell’Imam

"In questa circostanza -prosegue il presule- rinnovo il mio ringraziamento a Dio per aver avuto al fianco come amico fraterno il dottor Abdel Qader (l'Imam di Perugia morto a causa del Covid) e che ricordo nella mia preghiera e spero che il suo esempio di dialogo, pace e collaborazione sincera possa essere seguito e non vada disperso".

Mutua accoglienza

 "Nel solco di quanto affermato da papa Francesco -conclude il cardinale Bassetti- che nella Fratelli tutti auspica che possa accrescersi un rinnovato spirito di fratellanza fra gli esseri umani, spero che i fedeli, cristiani, ebrei, musulmani, di altre religioni e persone di buona volontà, possano insieme crescere, perché questa tragedia della pandemia ci ha fatto capire più profondamente che occorre collaborare nella pace per dare una spinta alla costruzione di un domani migliore che si realizzerà quanto più sapremo esercitare uno stile di mutua accoglienza".

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Il cardinale Gualtiero Bassetti assieme all'imam Abdel Qader

"Auguro che questo tempo di Ramadan sia un tempo di rinnovamento spirituale, di preghiera, di riconciliazione e di pace per tutti i fedeli della comunità musulmana di Perugia, affinché possano rinnovare il legame con Dio e con i fratelli, non solo di fede, ma anche con tutte le persone in mezzo alle quali vivono".

A dirlo è il cardinale arcivescovo della Diocesi di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, nel suo messaggio inviato alla comunità islamica del Capoluogo umbro all’inizio del Ramadan.

Ricordo dell’Imam

"In questa circostanza -prosegue il presule- rinnovo il mio ringraziamento a Dio per aver avuto al fianco come amico fraterno il dottor Abdel Qader (l'Imam di Perugia morto a causa del Covid) e che ricordo nella mia preghiera e spero che il suo esempio di dialogo, pace e collaborazione sincera possa essere seguito e non vada disperso".

Mutua accoglienza

 "Nel solco di quanto affermato da papa Francesco -conclude il cardinale Bassetti- che nella Fratelli tutti auspica che possa accrescersi un rinnovato spirito di fratellanza fra gli esseri umani, spero che i fedeli, cristiani, ebrei, musulmani, di altre religioni e persone di buona volontà, possano insieme crescere, perché questa tragedia della pandemia ci ha fatto capire più profondamente che occorre collaborare nella pace per dare una spinta alla costruzione di un domani migliore che si realizzerà quanto più sapremo esercitare uno stile di mutua accoglienza".

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La “riconquista” israeliana di Gerusalemme Est (palestinese) https://www.lavoce.it/la-riconquista-israeliana-di-gerusalemme-est-palestinese/ Fri, 14 Nov 2014 14:21:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29014 quartiere-musulmano-gerusalemmeLe tensioni e gli scontri tra polizia e palestinesi che stanno segnando in questi giorni la città santa di Gerusalemme sono l’espressione di “una rabbia che cova da molto più tempo, nata con la costruzione del muro di separazione, dalla fine del 2006, che ha bloccato di fatto la Gerusalemme palestinese, provocando la separazione dei suoi abitanti da quelli della Cisgiordania. Ne è conseguito un abbassamento delle condizioni di vita dei residenti palestinesi e la recrudescenza di proteste” anche violente. Ne è convinto il giornalista e scrittore israeliano Meron Rapoport, che punta l’indice contro quel fenomeno noto come “ebraicizzazione” della Città santa, cuore – non solo simbolico – dello scontro più ampio tra Israele e Palestina, che qui si combatte anche sul versante dello spazio urbano, con espropriazioni di terre e demolizioni di case palestinesi, e un rinascente fondamentalismo religioso legato all’estrema destra israeliana.

Costruire il terzo Tempio. Va letto anche in questo senso l’agguato a colpi d’arma da fuoco, il 29 ottobre, contro il rabbino Yehuda Glick, attivista dell’ultra-destra, noto per aver condotto in un raid sulla Spianata delle moschee, luogo sacro per i musulmani, coloni e attivisti ebrei, visti come provocazioni dai palestinesi. Glick aveva da poco partecipato con altri oratori – inclusi deputati della destra nazionalista ed esponenti del governo Netanyahu – a un dibattito sulle rivendicazioni ebraiche riguardo al Monte del tempio, o Spianata delle moschee. Da quando nel 1967 Israele ha occupato Gerusalemme Est, spiega lo scrittore, “ci sono sempre stati gruppi di ebrei nazionalisti che aspirano a rimuovere la moschea di Al Aqsa e la Cupola della roccia per edificare il terzo Tempio, dopo quello di Salomone e Erode, per tornarvi a pregare”.

Le case come avamposti. “I movimenti favorevoli alla costruzione del terzo Tempio sulla Spianata delle moschee – afferma ancora Rapoport – hanno guadagnato terreno soprattutto tra i religiosi ortodossi, nel mondo politico e in alcune fasce dell’opinione pubblica; i veti dei rabbini sembrano caduti nel silenzio. Questa è la vera novità. Sono sempre più frequenti le passeggiate di ebrei nazionalisti nei pressi delle due moschee, protetti da ingenti forze di polizia. Quest’ultima concede sempre più frequentemente il permesso per accedere al Monte del tempio agli ebrei che vogliono andarci; contestualmente sono diminuiti quelli concessi a musulmani. Durante l’ultimo Ramadan, i musulmani di meno di 50 anni non hanno potuto salire alla Spianata per pregare per cinque venerdì di seguito. Durante le ultime festività ebraiche, Rosh Hashanà (Nuovo anno) e Sukkot (Tabernacoli), finita circa due settimane fa, scontri con giovani palestinesi si sono registrati ogni giorno. Ci sono stati fitti lanci di pietre verso i visitatori ebrei”. Una situazione resa ancora più tesa dal tentativo di alcuni coloni ebrei di penetrare in appartamenti palestinesi nel quartiere di Silwan che dista poche centinaia di metri dalla moschea di Al Aqsa e quindi dalla Spianata. “Lo scopo dei coloni – dice lo scrittore – era chiaro: prendere possesso delle case e ampliare così i loro possedimenti nel quartiere arabo per farlo diventare avamposto ebraico”. Ma c’è anche chi, attraverso dei mediatori, la casa la acquista direttamente dai palestinesi, alimentando anche così l’ebraicizzazione di Gerusalemme Est. “Non sono molte le case vendute, forse una cinquantina in circa 20 anni”, tuttavia il valore della presenza ebraica in quartieri palestinesi ha il suo significato simbolico e peso politico. Il grosso del fenomeno, infatti, “si sviluppa attraverso l’occupazione di terre, permessi edilizi negati ai palestinesi dalla municipalità di Gerusalemme e concessi invece agli ebrei. Non c’è spazio per quartieri palestinesi, ma ce n’è per gli insediamenti ebraici”.

Rischio grave. Se questi tentativi di cambiare lo statu quo di Gerusalemme (stabilito in un atto che risale alla seconda metà dell’Ottocento) dovessero proseguire “la Città santa rischierebbe di esplodere e sarebbe una vera catastrofe” afferma Rapoport. Lo hanno ribadito, dal versante religioso, anche i capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme che in una dichiarazione del 6 novembre hanno con forza condannato “le minacce di modifica dello statuto dei Luoghi santi, quali che siano le loro provenienze”.

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Ramadan e lavoro. Sarà una buona idea fare distinzioni sul digiuno? https://www.lavoce.it/ramadan-e-lavoro-sara-una-buona-idea-fare-distinzioni-sul-digiuno/ Fri, 25 Jul 2014 15:22:02 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27271 In una società multiculturale e multireligiosa che intende favorire l’integrazione degli immigrati, preoccuparsi, come ha fatto l’Inail umbra, per i lavoratori che per un mese fanno digiuno, sia pure solo di giorno nel senso che possono mangiare di notte, ha un senso e un valore umano indiscutibile sia nei confronti delle persone che lavorano sia nei confronti degli imprenditori.

Alcune persone e anche alcune organizzazioni sindacali hanno però mosso dei rilievi. In questo modo si fa una catalogazione distinguendo i lavoratori in due categorie, quelli che fanno il digiuno e quelli che non lo fanno; e tra questi ultimi potrebbero esserci musulmani “secolarizzati”, emancipati dalla prescrizione religiosa. Questa necessità di dichiarare il proprio distacco dall’adesione religiosa potrebbe produrre qualche difficoltà con il proprio gruppo socio-religioso.

Altra osservazione è se l’appartenenza religiosa costituisca un criterio di modifica di certe modalità di organizzazione del lavoro. Ciò contrasta con la riservatezza necessaria in questo ambito per evitare discriminazioni e recriminazioni. Si può osservare che mentre da una parte, nelle società occidentali, si tende a eliminare i condizionamenti della religione cristiana dalla vita sociale, economica e politica, in questo caso – vedi anche la richiesta di cimiteri a parte per musulmani, macellerie specializzate, ecc. – si tende a dare rilevanza sociale a una regola religiosa, e in qualche modo a islamizzare la società. Forse un consiglio evangelico potrebbe essere utie: di non fare del digiuno un affare pubblico socialmente rilevante (Matteo 6,16-17), di non mettere a repentaglio la vita propria e altrui come se ciò fosse volontà divina (Marco 2,27), concedere ai musulmani le eccezioni dall’osservanza del digiuno, già previste per motivi di età, malattia, viaggi e situazioni particolari. Si direbbe comunque che tutte le attenzioni previste dal documento dell’Inail non provengano dai musulmani, ma da “dirigenti diligenti” preoccupati per la salute degli operai.

D’altra parte, per i Campionati mondiali di calcio i giocatori algerini erano stati dispensati dall’osservanza del digiuno giornaliero. Il problema, per l’islam, è: chi detiene il potere di decidere? Nel caso degli calciatori algerini, secondo un giornale brasiliano, sarebbe stato lo sceicco Muhammad Sharif Qaher. Ma qui entriamo in un ginepraio da cui è difficile uscire.

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Ramadan: istruzioni per imprese con dipendenti musulmani https://www.lavoce.it/ramadan-istruzioni-per-imprese-con-dipendenti-musulmani/ Fri, 25 Jul 2014 15:18:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27268 musulmani-ramadan-preghiera-sul-lavoro-islam-ufficioAll’inizio del mese di Ramadan, mese sacro per i musulmani che prevede il digiuno dal tramonto all’alba (vedi articolo a pag. 8 di questo giornale), imprenditori e direttori di attività commercialie produttive si sono preoccupati per la sicurezza e l’incolumità dei loro dipendenti. Infatti, se uno non mangia e non beve per tutta la giornata, piuttosto lunga d’estate, può soffrire di disturbi anche gravi. Perciò l’Inail si è preoccupata che nelle fabbriche e nei cantieri la debolezza provocata dal digiuno non provochi incidenti.

È da rilevare che i lavoratori di religiome musulmana sono ormai varie centinaia di migliaia in tutta Italia, per questo si sono interessati al problema sindacati e imprenditori. Allo scopo, in Umbria, l’Inail ha elaborato un progetto sperimentale in collaborazione con alcune Aziende sanitarie locali, volto a sensibilizzare lavoratori e imprenditori. Il progetto ha comportato la distribuzione, durante il Ramadan, di un documento con alcune indicazioni utili, tra le quali vi erano queste indicazioni:

– segnalare al medico competente questi lavoratori al fine di prevenire effetti avversi nei soggetti maggiormente sensibili al digiuno (malattie metaboliche, cardiopatie, epatopatie, turbe endocrine, anziani, particolari trattamenti terapeutici);

– predisporre di un piano di lavoro per garantire una distribuzione dei carichi di lavoro che tenga contro del digiuno dei propri dipendenti o colleghi;

– favorire momenti di recupero durante la giornata lavorativa;

– predisporre un piano di monitoraggio per la sicurezza durante il periodo di Ramadan con i lavoratori coinvolti;

– predisporre delle misure di supporto in caso di malore per questi lavoratori in modo specifico (acqua, ghiaccio, zucchero, sali minerali);

– garantire momenti di informazione sul rapporto tra lavoro e digiuno avvalendosi nel caso di mediatori culturali;

– assicurare durante il periodo un coordinamento con il medico competente e i necessari raccordi con l’emergenza pubblica;

– segnalare e registrare situazioni di malore in questa categoria di lavoratori, comunicandole al medico competente.

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Fine del Ramadan. Il Vaticano chiede/offre fraternità ai musulmani https://www.lavoce.it/fine-del-ramadan-il-vaticano-chiedeoffre-fraternita-ai-musulmani/ Fri, 25 Jul 2014 15:14:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27265 Cena di Ramadan in famiglia
Cena di Ramadan in famiglia

Lavoriamo insieme per costruire ponti di pace, ovunque cristiani e musulmani subiscono insieme gli orrori della guerra: è l’invito che il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso rivolge ai “cari fratelli e sorelle musulmani” in occasione della fine del Ramadan che si celebra il 27 e 28 luglio.

In un messaggio intitolato Verso un’autentica fraternità fra cristiani e musulmani, si ricorda che lo scorso anno, il primo del suo ministero, Papa Francesco firmò personalmente gli auguri in occasione dell’‘Id al-Fitr, festa con cui termina il mese dedicato al digiuno, alla preghiera e al soccorso dei poveri. Il testo rilancia “la promozione di un dialogo fruttuoso basato sul reciproco rispetto e amicizia”, cosicché, “ispirati dai valori condivisi e rafforzati da sentimenti di genuina fraternità”, si possa “lavorare insieme per la giustizia, la pace e il rispetto dei diritti e della dignità di ogni persona”. In particolare, si esorta alla comune responsabilità verso i “più bisognosi: i poveri, i malati, gli orfani, i migranti, le vittime della tratta umana e tutti coloro che soffrono a causa di ogni forma di dipendenza”. Infine il messaggio sottolinea le gravi sfide che il mondo attuale deve affrontare, come “le minacce all’ambiente, la crisi dell’economia globale e alti livelli di disoccupazione specialmente fra i giovani”. Tutte situazioni che “generano un senso di vulnerabilità e una mancanza di speranza nel futuro”, e che “esigono solidarietà da parte delle persone di buona volontà”.

Da qui l’auspicio conclusivo a una maggiore cooperazione “nell’affrontare queste numerose sfide con saggezza e prudenza”. In tal modo si potrà contribuire “a ridurre le tensioni e i conflitti, facendo progredire il bene comune” e nel contempo dimostrare “che le religioni possono essere sorgente di armonia a vantaggio di tutta la società”.

Il tono e le parole del messaggio suonano strane e persino provocatorie di fronte alla tragedia che si sta perpetrando in Siria, alla cacciata dei cristiani dall’Iraq e a un acceso anti-cristianesimo che divampa in tutto il Medio Oriente, mentre gli arabi moderati non parlano e non protestano, ma lasciano spazio politico e militare ai fautori del presunto e minaccioso Califfato. Senza dimenticare che nelle frange più fanatiche del mondo musulmano si sta affermando un progetto, lo Stato islamico universale, che dovrebbe comportare anche la ricomposizione della Umma.

Secondo il Corano, quest’ultima è la più bella comunità, quella che Dio ha costituito sulla Terra, e di conseguenza dovrebbe arrivare a includere anche Roma, con tutto ciò che essa rappresenta come Capitale del cattolicesimo mondiale. Rimane però vero e fondato tutto il messaggio, firmato dal card. Tauran, che esprime il pensiero di Papa Francesco in continuità con la politica ecclesiastica della Santa Sede: si fa infatti distinzione tra islamisti fanatici e aggressivi, che mettono bombe anche nelle moschee e combattono i fedeli della loro stessa fede, e musulmani devoti e moderni, convinti che una continua guerra non giovi a nessuno e che solo con la concordia e con la pace si potranno risolvere le questioni della giustizia e del bene comune. Vi sono segnali anche in Medio Oriente che musulmani amici dei cristiani e rispettosi della nostra fede esistono, e cominciano anche a farsi sentire e vedere.

È la strada del dialogo interreligioso, iniziato con il Concilio, che deve ancora segnare la strada del futuro per non far morire la speranza.

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Le giornate dei giovani studenti musulmani di Perugia https://www.lavoce.it/le-giornate-dei-giovani-studenti-musulmani-di-perugia/ Fri, 18 Jul 2014 12:59:02 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27107 musulmani-preghiera-bnSi sfidano a calciobalilla o ping-pong, mostrano il cellulare per far leggere al compagno l’ultimo commento ricevuto su Facebook, si prendono in giro e improvvisano una partita di calcetto. I quindici minuti di ricreazione a metà mattinata, tra un’ora di lezione e l’altra, trascorrono ogni giorno uguali nella mia scuola superiore. Per nove mesi l’anno l’entusiasmo dei ragazzi trova in questa pausa dallo studio il suo sfogo per affrontare cinque ore di lezione.

Solo un occhio attento potrebbe così notare come, in questo mese di luglio, una sottilissima linea di confine “separa” una parte di questi adolescenti dall’altra. Anzi no, separazione non è il termine esatto. Perché indica una divisione, un limen tra una parte e un’altra. Tutto il contrario di quello che si respira durante questi quindici minuti: l’adolescenza è un collante ben più saldo della provenienza geografica.

Ma torniamo a noi. Questa diversità (è questo il termine che scelgo) che si può percepire a luglio la racconta il bancone del bar, dove – caso unico in nove mesi – avanza qualche panino e alcune pizzette. Come mai? “Perché noi osserviamo il Ramadan”, risponde uno dei ragazzi con tutta la naturalezza del mondo.

Naturalezza che mi ricorda come, in realtà, la mia domanda sia abbastanza scontata. La mia scuola, come tante altre in Umbria (e in Italia, ovviamente) accoglie giovani di nazionalità diverse, culture diverse e credi religiosi diversi. La multiculturalità è una realtà che si sperimenta ogni giorno sui banchi di scuola. Questi giovani uomini e donne – tra i 15 e i 19 anni – fanno parte della cosiddetta “prima generazione”, ovvero di coloro che non sono nati in Italia, ma arrivano da noi con uno o entrambi i genitori da un Paese straniero. In Umbria stiamo parlando di oltre 17 mila allievi spalmati nei vari gradi di scuola, circa il 13-14% del totale; di questi, circa 4 mila (intorno all’11%) nelle scuole secondarie di secondo grado (dati del ministero dell’Istruzione, università e ricerca relativi all’anno scolastico 2012-2013).

Così, questa volta, sono loro a insegnare qualcosa a me. Mi spiegano come “il Ramadan è il nono mese dell’anno secondo il calendario musulmano, durante il quale si pratica il digiuno dal cibo, dall’acqua, dal fumo e dai rapporti sessuali”. Una tradizione fissata dal Corano e che costituisce il terzo pilastro della religione musulmana per ricordare il mese in cui Maometto ha ricevuto la rivelazione dall’arcangelo Gabriele. “È un atto di purificazione, in cui si dominano gli istinti umani per innalzarsi a un livello più spirituale”, mi racconta una giovane marocchina.

Nonostante la lontananza dal loro Paese d’origine, per questi giovani musulmani il Ramadan resta un’usanza fissa, imprescindibile, una delle tradizioni più forti non soltanto della loro appartenenza culturale, ma prima di tutto familiare. “Me lo hanno insegnato i miei genitori; come loro, lo praticano tutti i miei parenti e le persone musulmane che conosco”, spiega un 18enne che viene dalla Libia.

Fino al momento dell’Iftar, il pasto serale. “Abbiamo uno specifico calendario che indica, tutti i giorni, l’orario di alba e quello di tramonto. Appena avvenuto il tramonto festeggiamo, mangiamo, beviamo e usciamo con le nostre fidanzate”, ammettono questi giovani in gruppo, sorridendo.

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Ad accomunarci è la fede in un Dio misericordioso https://www.lavoce.it/ad-accomunarci-e-la-fede-in-un-dio-misericordioso/ Thu, 31 Oct 2013 14:43:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20381 islamici-musulmani-in-preghieraSenza tanti clamori, anche per non suscitare rimostranze da parte di chi non ha digerito le aperture della Chiesa alla realtà della storia attuale, si è svolto al Centro universitario ecumenico S. Martino di Perugia lunedì 28 scorso un incontro di dialogo tra cristiani e musulmani in occasione della Giornata messa in programma per la dodicesima volta, con il tema “La libertà religiosa, condizione della pace”. In apertura, il saluto di M. Teresa Di Stefano, direttrice del Centro, che ha collegato l’iniziativa alla data dell’anniversario della Giornata mondiale di preghiera delle religioni per la pace di Assisi voluta da Giovanni Paolo II 27 anni fa, illustrando inoltre le attività ecumeniche che si svolgono regolarmente ogni lunedì e hanno per oggetto, in questo periodo, lo studio del documento luterano – cattolico Dal conflitto alla comunione nel 500° anniversario della Riforma. Sono seguiti gli interventi dei relatori, a cominciare dal vescovo mons. Gualtiero Bassetti. Egli ha messo in evidenza le molte cose che diversificano il cristianesimo dall’islam, indicando però nello stesso tempo ciò che ci unisce: “la fede in un Dio misericordioso” che ci rende pertanto fratelli. Un solo Dio, Padre di tutti gli uomini, rende tutti a lui sottomessi (questo è il senso della parola islam) e chiama a essere Suoi imitatori, cioè “misericordiosi” gli uni verso gli altri. Questo è il fondamento della pace.

Don Bromuri ha commentato che il dialogo è, come detto dal Vescovo, non un confronto tra dottrine ma uno scambio di esperienze personali di fede, di preghiera e di sottomissione alla volontà di Dio. Mons. Bassetti ha inoltre opportunamente sottolineato la distinzione tra fede e religione: la fede salva; la religione, se non è sorretta dalla fede (come avviene per i clan mafiosi), risulta pura superstizione praticata a sostegno di azioni delittuose, come ha potuto rendersi conto dal contatto con alcuni personaggi conosciuti in carcere in occasione di visite pastorali. Ha poi illustrato il senso e il valore della libertà religiosa per la pace tra le nazioni e all’interno di esse, riferendosi alla dichiarazione Dignitatis humane del Concilio sulla libertà religiosa e ricordando quanto sia attuale questo richiamo, se risulta da serie inchieste che il 70% della popolazione mondiale non gode ancora della libertà religiosa.

L’intervento dell’imam di Perugia Abdel Qader ha avuto un tono di rammarico nel constatare che queste cose ce le diciamo da tempo tra noi che siamo amici e fratelli, ma non arrivano alla grande massa della popolazione. Ha inoltre confessato la difficoltà delle famiglie praticanti: i giovani sono infatti interessati alle cose che offrono il progresso e la tecnica più che all’osservanza delle pratiche religiose. Ha ricordato, sulla base di un versetto della sura 2 del Corano: “Non c’è costrizione nella religione”. Sulla base di questo principio, l’islam non costringe nessuno a convertirsi, ma chi lo fa, lo fa per libera decisione. Circa le critiche che vengono fatte all’islam, Qader ha dichiarato che sono frutto di ignoranza e incapacità di distinguere la religione dalla politica mossa da interessi economici e di potere. Chi commette delitti e uccisioni, anche se commessi in nome della religione, è un criminale che non rispetta le norme morali dell’islam, che proibisce l’omicidio, il suicidio e l’aborto. Sono seguiti altri interessanti interventi.Annarita Caponera ha riportato la dichiarazione di augurio per la fine del digiuno del Ramadan che Papa Francesco ha inviato ai musulmani di tutto il mondo, firmata di suo pugno. Don Mauro Pesce, che ha trascorso alcuni anni in Turchia e in altri Paesi a maggioranza musulmana, ha raccontato alcune sue esperienze e acquisizioni. Una nota diversa dal solito è stata la testimonianza di uno studente iraniano Alireza, musulmano sciita, che ha reso una bella testimonianza di fede. Non è mancato da parte di Nicola Zema, responsabile regionale per l’ecumenismo e il dialogo, un ammonimento tratto dalla sura 3 del Corano: “Se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi un solo popolo… Gareggiate nel fare il bene”.

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Le tre domande che la Bibbia ci costringe a farci a Lampedusa https://www.lavoce.it/le-tre-domande-che-la-bibbia-ci-costringe-a-farci-a-lampedusa/ Thu, 11 Jul 2013 12:53:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=18050 Un momento della celebrazione
Un momento della celebrazione

“Immigrati morti in mare – ha detto Papa Francesco l’8 luglio durante l’omelia al campo sportivo ‘Arena’ in località Salina -, da quelle barche che, invece di essere una via di speranza, sono state una via di morte. Così il titolo dei giornali. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta, per favore! Prima però – ha aggiunto – vorrei dire una parola di sincera gratitudine e di incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, che avete mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore. Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà. Grazie!… Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che oggi, alla sera, stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi: o’scià!”. Ha poi offerto alcune riflessioni alla luce della Parola di Dio del giorno. “‘Adamo, dove sei?’ è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato. E Adamo è un uomo disorientato, che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia, e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la seconda domanda: ‘Caino, dov’è tuo fratello?’. Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta a una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello… Tanti di noi (mi includo anch’io) siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito… ‘Dov’è il tuo fratello?’. Chi è il responsabile di questo sangue?… Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: ‘Dov’è il sangue del tuo fratello che grida fino a me?’… La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla; sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza… Ma io – ha aggiunto – vorrei che ci ponessimo una terza domanda: ‘Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?’. Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del patire con: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere”.

 

Sullo stesso argomento:

Il viaggio “della speranza” di Papa Francesco a Lampedusa

 

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Basta sangue! https://www.lavoce.it/basta-sangue/ Thu, 02 Aug 2012 12:50:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=12449
Fedeli siriani cattolici in preghiera all’interno di una chiesa

“Preghiera, preghiera, preghiera”: al telefono da Damasco Gregorios III Laham, Patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, riferisce al Sir di “una situazione tranquilla nella capitale, dove solo in lontananza si odono dei colpi. Aleppo, invece, è un campo di battaglia. Quanto sta avvenendo lì è terribile”. Con voce rotta dall’emozione, il Patriarca racconta che “le comunità cristiane stanno abbastanza bene, i combattimenti avvengono lontano dal centro, dove vive la maggior parte dei fedeli, in località periferiche e di campagna. Sono in contatto con altri confratelli vescovi: oggi ad Aleppo c’è una riunione con vescovi e laici che ha lo scopo di organizzare aiuti per non farsi trovare impreparati se le cose dovessero volgere al peggio”. Sono giorni che l’esercito siriano e i ribelli dell’Esercito siriano libero si danno battaglia nella più popolosa città della Siria e centro economico più rilevante. Secondo la responsabile degli Affari umanitari delle Nazioni Unite, Valerie Amos, lo scorso weekend sono scappate da Aleppo circa 200 mila persone dirette nei villaggi vicini e in Turchia.

Le parole del Papa.

Al Patriarca sono giunte le parole di Benedetto XVI domenica all’Angelus, da Castel Gandolfo. “Riceviamo molta forza dal Pontefice – sottolinea Gregorios III – che ha detto di seguire con apprensione ‘i tragici e crescenti episodi di violenza in Siria con la triste sequenza di morti e feriti, anche tra i civili, e un ingente numero di sfollati interni e di rifugiati nei Paesi limitrofi’. La sua vicinanza ci conforta e ci incoraggia ad andare avanti a ricercare il dialogo tra le parti, per fermare le violenze e permettere il rientro e l’assistenza di sfollati e rifugiati. Il suo pressante appello, ‘perché si ponga fine ad ogni violenza e spargimento di sangue’ ha avuto una vasta eco nel Paese, tutti i media lo hanno ritrasmesso”. “Molto apprezzata”, per Gregorios III, è stata anche la recente dichiarazione del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), in cui si ribadiva la necessità di far “cessare tutte le ostilità, deporre le armi e intraprendere la via del dialogo, della riconciliazione e della pace”. “Siamo in pena per le sorti del nostro Paese – aggiunge il Patriarca. – Quando in alcuni Paesi occidentali si sente dire che il regime è alla fine, sta per crollare, questo non fa altro che accendere ulteriormente gli animi e rinfocolare il conflitto. Gli Usa, l’Europa, e gli altri Paesi devono fare più pressione non per favorire il regime o l’opposizione, ma per metterli entrambi seduti ad un tavolo a cercare il dialogo e soluzioni pacifiche. Devono calmare gli animi e non scatenare vendette. Il regime – continua – è molto forte, come l’opposizione. Ciò che fa paura al popolo sono le bande di criminali che con rapimenti, omicidi, abusi e violenze seminano il panico. Un nostro sacerdote ha visto rapire due suoi fratelli, e da venti giorni non ha più notizie. Abbiamo paura di questa criminalità. La via negoziale è quella da intraprendere senza riserve. Musulmani e cristiani, insieme, devono impegnarsi in questa direzione. Il 1° agosto, i cristiani si uniranno nel digiuno ai musulmani, impegnati nel mese di Ramadan”.

Non mandare armi!

Da Aleppo giungono le parole di mons. Jean-Clement Jeanbart, arcivescovo greco-melkita della città, che ribadisce la sua preoccupazione “per quello che sta accedendo. Chiediamo a tutti di pregare per una soluzione di dialogo. Le diverse comunità cristiane di Aleppo (ortodossi, cattolici e protestanti) hanno deciso di unire le loro forze per venire incontro alle necessità dei profughi e di tutti coloro che si trovano in difficoltà. Nel centro della città la situazione appare tranquilla – aggiunge mons. Jeanbart -, il conflitto coinvolge alcuni quartieri periferici. Molti abitanti sono andati via”. La Caritas Siria è da tempo impegnata ad assicurare assistenza a centinaia di famiglie, non solo nella grandi città come Damasco, Aleppo e Homs, ma anche nei villaggi nelle campagne. Il numero di rifugiati siriani ormai supera le 120 mila unità – stando alle cifre Unhcr – suddivisi tra Giordania, Libano, Turchia e Iraq. Nel solo Libano sono già più di 30 mila. “Si è riunito – riferisce l’arcivescovo – un gruppo di laici scelti da tutte le comunità religiose del Paese. Da questo incontro ha preso le mosse un Comitato di emergenza per vagliare ogni passo da fare per fornire aiuto e assistenza alle nostre comunità. Dobbiamo fare in fretta, perché la situazione peggiora ogni giorno di più. Abbiamo bisogno di preghiere, ma anche dell’impegno degli Stati a spingere al dialogo le due parti in lotta, come chiesto dal Papa domenica”. Alla comunità internazionale mons. Jeanbart chiede di “non mandare armi, non istigare alla guerra. Dialogare non è impossibile, come testimoniato dall’Appello di Roma dell’opposizione pacifica, siglato grazie alla Comunità di Sant’Egidio. Nel prossimo futuro – conclude – potremmo aver bisogno di cibo e medicine. Per questo chiediamo la solidarietà di tutti gli uomini di buona volontà che si possono attivare usando i canali della Caritas. Potrebbe servire ad aiutare la popolazione in questo periodo di grave emergenza”.

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Crocifisso: i motivi della Corte https://www.lavoce.it/crocifisso-i-motivi-della-corte/ Thu, 24 Mar 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9230 Se è vero che il crocifisso è prima di tutto un simbolo religioso, non sussistono tuttavia nella fattispecie elementi attestanti l’eventuale influenza che l’esposizione di un simbolo di questa natura sulle mura delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni”. È questa la conclusione cui è giunta il 18 marzo la Grande Chambre della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo con la sentenza sul caso Lautsi-Italia. L’emblema più conosciuto della fede cristiana può dunque rimanere nelle aule di scuola senza temere per la libertà di educazione e il diritto all’istruzione dei ragazzi e dei giovani, così come garantito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Dubbi legittimi, ma il caso è chiuso. “Nella sentenza definitiva della Grande Chambre, pronunciata nel caso Lautsi e altri contro Italia – si legge in una nota ufficiale -, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha concluso a maggioranza (15 voti contro 2)” per la “non violazione dell’articolo 2 del Protocollo n° 1 (diritto all’istruzione) alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. Il caso, ricorda la stessa Corte, “riguardava la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche in Italia, incompatibile, secondo i ricorrenti, con l’obbligo dello Stato di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e insegnamento, il diritto dei genitori di garantire ai propri figli un’educazione e un insegnamento conformi alle loro convinzioni religiose e filosofiche”. La Grande Chambre, correggendo la precedente sentenza del novembre 2009 di una delle Camere della Corte, afferma: “Pur essendo comprensibile che la ricorrente possa vedere nell’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche frequentate dai suoi figli una mancanza di rispetto da parte dello Stato del suo diritto di garantire loro un’educazione e un insegnamento conformi alle sue convinzioni filosofiche, la sua percezione personale non è sufficiente a integrare une violazione dell’articolo 2 del Protocollo n° 1”. Tale sentenza, che è definitiva, è stata subito trasmessa – come hanno spiegato i 17 giudici, presieduti dal francese Jean-Paul Costa -, al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, massimo organismo politico dell’istituzione, per controllarne l’esecuzione. Tradizione da rispettare. Analizzando la sentenza emersa dalla Grande Chambre, emergono anche argomenti che probabilmente solleveranno dibattito a livello politico e giurisprudenziale sia in Italia che in Europa. La Corte infatti afferma: “Il Governo italiano sosteneva che la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche rispecchia ancora oggi un’importante tradizione da perpetuare. Aggiungeva poi che, oltre ad avere un significato religioso, il crocifisso simboleggia i principi e i valori che fondano la democrazia e la civilizzazione occidentale, e ciò ne giustificherebbe la presenza nelle aule scolastiche”. Dalla Corte giungono a tale riguardo due riflessioni: “Quanto al primo punto, la Corte sottolinea che se, da una parte, la decisione di perpetuare o meno una tradizione dipende dal margine di discrezionalità degli Stati convenuti, l’evocare tale tradizione non li esonera tuttavia dall’obbligo di rispettare i diritti e le libertà consacrati dalla Convenzione e dai suoi Protocolli”. In relazione al secondo punto, “rilevando che il Consiglio di Stato e la corte di Cassazione” italiani “hanno delle posizioni divergenti sul significato del crocifisso, e che la Corte costituzionale non si è pronunciata sulla questione, la Corte considera che non è suo compito prendere posizione in un dibattito tra giurisdizioni interne”. Nessun indottrinamento. La sentenza constata che nel rendere obbligatoria la presenza del crocifisso a scuola, “la normativa italiana attribuisce alla religione maggioritaria del Paese una visibilità preponderante nell’ambiente scolastico. La Corte ritiene tuttavia che ciò non basta a integrare un’opera d’indottrinamento da parte dello Stato”. La Corte sottolinea ancora che “un crocifisso apposto su un muro è un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può essere paragonata a un discorso didattico o alla partecipazione ad attività religiose”. Inoltre per i giudici “gli effetti della grande visibilità che la presenza del crocifisso attribuisce al cristianesimo nell’ambiente scolastico debbono essere ridimensionati” in quanto “tale presenza non è associata a un insegnamento obbligatorio del cristianesimo; secondo il Governo lo spazio scolastico è aperto ad altre religioni (il fatto di portare simboli e di indossare tenute a connotazione religiosa non è proibito agli alunni, le pratiche relative alle religioni non maggioritarie sono prese in considerazione, è possibile organizzare l’insegnamento religioso facoltativo per tutte le religioni riconosciute, la fine del Ramadan è spesso festeggiata nelle scuole…); non sussistono elementi tali da indicare che le autorità siano intolleranti rispetto ad alunni appartenenti ad altre religioni”.

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Quaresima, specchio della fragilità umana https://www.lavoce.it/quaresima-specchio-della-fragilita-umana/ Thu, 18 Feb 2010 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8235 Quaresima inizia con le Ceneri. Un rito semplice, realista e significativo a livello planetario. In Africa, in America Latina e in Asia è una celebrazione organizzata dalla Chiesa cattolica ma partecipata da tutti: protestanti, musulmani e fedeli di altre religioni. Perché tanto richiamo? Le Ceneri con la Parola e il rito che lo accompagnano sono il simbolo di una fragilità che tutti esperimentiamo a livello cosmico, sociale e personale. Haiti… ogni anno disastri… che nonostante le prevenzioni non cessano di mietere vittime. A livello sociale abbiamo piaghe che ci accompagnano da secoli: dalla fame alla siccità, allo sfruttamento delle donne e minori, dalla schiavitù e violenza. A livello individuale, chi non vorrebbe divenire migliore a livello di controllo del proprio carattere, nell’ira, nell’invidia e odio e vendetta, nella esagerazioni nel mangiare e bere, nel sesso irresponsabile ed egoista? La Quaresima è radicata nelle nostre profonde esperienze di fragilità, da una parte, e dall’altra nelle aspirazioni del cuore a migliore qualità di vita. Aspirazioni che crediamo suggerite e sostenute dalla Spirito santo. Le distrazioni della vita quotidiana le offuscano. Da ciò la necessità di un periodo speciale, la Quaresima appunto, periodo sacro che troviamo anche in altre religioni come il Ramadan dei musulmani. Urgenza di una trasformazione profondaLa Quaresima dura quaranta giorni, numero profondamene biblico, sempre legato ad eventi generatori di grandi trasformazioni personali o sociali. Dal diluvio di Noè, all’Esodo, grande viaggio di liberazione spirituale e sociale del popolo ebraico guidato da Mosè, alla conversione della grande e corrotta città di Ninive, stimolata dal profeta Giona, ai quaranta giorni di Gesù nel deserto e ai quaranta giorni dopo la resurrezione, tempo necessario per gli apostoli per divenire popolo di Dio, Chiesa sacramento di salvezza per tutti i popoli a livello planetario. I quaranta giorni sono qualificati da una presenza e azione straordinaria di Dio, espressa da Gesù con le famose parole: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15). Aprirsi a Dio, quindi, che nella Quaresima viene ed entra nella nostra vita in modo straordinario. Benedetto XVI nel suo Messaggio per la Quaresima così commenta: “Di fronte alla giustizia della Croce l’uomo si può ribellare, perché essa mette in evidenza che l’uomo non è un essere autarchico, ma ha bisogno di un Altro per essere pienamente se stesso. Convertirsi a Cristo, credere al Vangelo, significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza – indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono e della sua amicizia. Si comprende allora come la fede sia tutt’altro che un fatto naturale, comodo, ovvio: occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del ‘mio’, per darmi gratuitamente il ‘suo”. Ciò avviene particolarmente nei sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia. Grazie all’azione di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia ‘più grande’, che è quella dell’amore (cfr Rm 13,8-10), la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare. Proprio forte di questa esperienza, il cristiano è spinto a contribuire a formare società giuste, dove tutti ricevono il necessario per vivere secondo la propria dignità di uomini e dove la giustizia è vivificata dall’amore”. Parola e digiuno Infine la Quaresima è il tempo speciale dell’ascolto della Parola di Dio, tenere la Bibbia nelle nostre mani per meditarla e personalizzarla. E poi del digiuno, che è una forma di mortificazione del proprio egoismo che, nutrita di preghiera e seguita dall’elemosina, apre il cuore all’amore di Dio e del prossimo. Infatti, il digiuno non è fine a se stesso: è scegliere “liberamente di privarci di qualcosa per aiutare gli altri”. Di qui l’appello alle parrocchie e alle comunità ecclesiali a “mantenere vivo” l’atteggiamento di “accoglienza e di attenzione verso i fratelli” promuovendo “speciali collette” in Quaresima, per dare ai poveri quanto è stato messo da parte grazie al digiuno. Il direttore esecutivo del World Food Programme (Wfp), Josette Sheeran, si è unita al Papa: “Il richiamo e l’incoraggiamento del Santo Padre al digiuno volontario ci aiutano a ricordare che la fame è in marcia ovunque. Essere al servizio degli affamati è un richiamo morale che unisce i popoli di tutte le fedi”.

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Per un mondo senza violenza https://www.lavoce.it/per-un-mondo-senza-violenza/ Thu, 17 Sep 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7838 Dal 6 al 9 settembre si è svolto nella città polacca di Cracovia l’annuale meeting interreligioso organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Chi scrive è stato invitato a partecipare in qualità di rappresentante della tradizione del buddismo zen Soto. All’incontro erano invitati rappresentanti di istituzioni religiose e laiche provenienti da ogni parte del mondo, più di 200 persone; con un grande sforzo organizzativo, mille volontari italiani della Comunità di Sant’Egidio. All’ingresso della hall dello Sheraton a cinque stelle dove siamo alloggiati campeggia il poster “Lo Spirito di Assisi a Cracovia – Religioni e Culture in dialogo a settant’anni dallo scoppio della Seconda guerra mondiale”. Il meeting ha inizio ufficialmente nel pomeriggio di domenica con una cerimonia di inaugurazione nella grande sala dell’Auditorium Maximum, dopo che in mattinata il card. Dziwisz, arcivescovo di Cracovia, già segretario particolare di Papa Wojtyla, aveva presieduto la celebrazione eucaristica. Porgono il loro saluto di benvenuto e di augurio con una breve relazione personalità di rilievo internazionale, dal presidente della Commissione europea Barroso al card. Kasper, presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, dal rettore dell’Univesità Al-Azhar del Cairo al presidente del Montenegro, dalla direttrice generale per la cultura dell’Unesco al vice presidente del Burundi, dal rabbino capo di Israele al granduca di Lussemburgo, al fondatore della Comunità Andrea Riccardi, intervallati da canti di un coro polacco. Poi tutti a una cena buffet, ospiti del sindaco di Cracovia. Il giorno seguente si sono svolte le 22 tavole rotonde previste, fra mattina e pomeriggio, con diverse tematiche. La tavola rotonda cui ho partecipato aveva per titolo “Le religioni in Asia per un mondo senza violenza”. Otto relatori; cinque, compreso il sottoscritto, in rappresentanza di varie scuole buddiste giapponesi, un monaco birmano, uno zoroastriano indiano e il moderatore della Comunità di Sant’Egidio. Il pubblico è composto soprattutto di giapponesi e di studenti polacchi. Alcune scolaresche delle scuole superiori, infatti, rallegrano con la sorridente presenza di ragazzi e ragazze il consesso di prelati e personalità, in schiacciante maggioranza attempati signori di sesso maschile. Le religioni dell’Asia hanno una presenza assai modesta – tenendo conto che Asia significa la metà della popolazione mondiale – e alquanto sottotono. Ciò dipende a parer mio da due fattori: il dialogo è un’istanza sentita come valore molto più in Occidente che in Oriente, per cui gli orientali sono impreparati, culturalmente e psicologicamente, al confronto con “gli altri”; l’impostazione del meeting è inevitabilmente eurocentrica, con netta prevalenza delle voci delle religioni abramitiche (quest’anno la concomitanza del ramadan ha ridotto sensibilmente la rappresentanza islamica). Ma non è poco, con i tempi che corrono dentro e fuori le Chiese, radunare persone dai quattro angoli del mondo a raccogliersi in nome della pace fra diversi, foss’anche solo per una foto di gruppo. La testimonianza ha forme innumerevoli e la concordia può alimentarsi anche di rappresentazioni di se stessa. Nel pomeriggio ho assistito a una tavola rotonda dal tema: “Questione spirituale e crisi economica”, molto istruttiva. Sul sito della Comunità www.santegidio.org si trova il programma con i testi di varie relazioni. Martedì mattina pellegrinaggio ad Auschwitz e Birkenau. Una giornata di sole oltraggioso concorre ad abbacinare sentimenti e pensieri. Deponiamo fiori e il nostro silenzio là dove i lunghi binari terminano nel nulla, dove finisce il mondo e l’uomo si è separato dalla sua umanità. Le parole di una donna Rom e di un rabbino ci indicano la via del ritorno: non c’è rancore né vendetta, solo memoria e futuro, e in mezzo la nostra responsabilità. Alla sera, nella grande piazza affollata, la cerimonia conclusiva piena di colori, di fiaccole, musica e saluti, rimanda all’incontro del prossimo anno, a Barcellona, sulle ali della buona compagnia fra gli uomini e dello spirito di Assisi.

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Tutte le religioni si incontrano a Istanbul https://www.lavoce.it/tutte-le-religioni-si-incontrano-a-istanbul/ Thu, 06 Jul 2006 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=5267 Quanto sia ormai irrinunciabile il cammino verso l’ecumenismo intrapreso dalla Chiesa cattolica, è un dato ampliamente noto e più volte ribadito di recente anche dal papa Benedetto XVI. Di certo si tratta di una via spesso impervia, piena di ostacoli, ma anche ricca di gesti concreti di solidarietà e di autentica carità, in grado di condurre tutti verso la meta della piena comunione. Abbiamo chiesto una testimonianza a chi vive questa sfida ogni giorno, padre Rubén Tierrablanca GonzÈlez, responsabile della ‘Fraternità internazionale dei frati Minori per il dialogo ecumenico e interreligioso’ in Turchia. Il centro, aperto appena da tre anni nella parrocchia di Santa Maria Draperis Kilisesi ad Istanbul, è uno dei più significativi a livello internazionale per la promozione del dialogo ecumenico e interreligioso. I francescani come riescono a vivere il loro carisma in un paese dove la maggioranza della popolazione è mussulmana, come la Turchia? ‘La visione dell’uomo e dell’universo di Francesco d’Assisi, fratello universale, ereditata nel carisma di tutta la famiglia francescana, offre pagine luminose della sua vita in risposta alle esigenze dell’annuncio del Vangelo. Un gesto profetico del Poverello, al tempo più buio delle crociate, è l’incontro con il sultano Melek El Kamil nel 1219, a Damista, nel nord dell’Egitto, svoltosi nella più genuina semplicità e nel rispetto delle diversità. Da allora lungo otto secoli la presenza dei francescani nei Paesi mussulmani ha seguito la strada dell’annuncio del Vangelo nella gioiosa accoglienza di ogni situazione, confessando di essere cristiani (Regola del Frati minori’).Come è nato e si è sviluppato il progetto di un centro per il dialogo ecumenico e interreligioso?’Nell’ultimo decennio del secolo scorso, la presenza francescana in Turchia era molto diminuita e si cercavano nuove persone per rispondere alle situazioni dei tempi recenti. Dalla visita nel 1995 del ministro generale, fra Hermann SchalÈk, al patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, l’ordine dei frati Minori desiderava la creazione di una Fraternità internazionale dedita al dialogo ecumenico presso il patriarcato di Costantinopoli, attuale città d’Istanbul. La nuova iniziativa poteva diventare la risposta adeguata alle sfide del tempo e a nuove forme di evangelizzazione. Inoltre, essendo la Turchia un Paese con popolazione di varie religioni, offriva anche la possibilità di intraprendere estesi rapporti di dialogo. Il convento di Santa Maria Draperis dava l’opportunità di aprire nuovi orizzonti’. Quali sono stati i primi passi? ‘Il 10 settembre 2003, insieme al francese fra Gwenolé Jeusset, sono arrivato ad Istanbul per formare la nuova fraternità dipendente direttamente dal Ministro generale. Con fra Claudio Seccherelli, originario della terra umbra, in particolare di Orvieto, ma residente ad Istanbul da ben 49 anni, abbiamo intrapreso un cammino lento, ma con la speranza di vivere una nuova esperienza di evangelizzazione. Ciò era possibile creando nuovi rapporti con il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli della Chiesa ortodossa, ugualmente con il Patriarcato della Chiesa armena e con la Chiesa apostolica siriana. D’altro canto, il progetto prevede di stabilire relazioni di dialogo islamo-cristiano, cosa non facile, ma certamente auspicabile. Sebbene non avessimo conoscenza di tutta la realtà religiosa della città, e molto meno di tutto il Paese, abbiamo potuto costatare la presenza e l’importanza della numerosa comunità ebraica. A partire dall’espulsione dalla Spagna nel 1492, molti ebrei furono accolti in questo Paese di frontiera continentale. Con sorpresa e riconoscenza abbiamo trovato amichevole accoglienza da parte dei nostri fratelli maggiori. Ora il panorama si presentava attraente, ma allo stesso tempo con estesi orizzonti. I primi passi sono stati lenti e con diverse difficoltà, ma con la benedizione di Dio, la convivenza fraterna e l’appoggio costante del Ministro generale, abbiamo imboccato un sentiero sconosciuto, ma affascinante. Nel Vicariato apostolico della Chiesa cattolica d’Istanbul siamo stati accolti molto bene: il nostro vescovo diocesano, mons. Louis PelÈtre, ci sostiene, incoraggiandoci costantemente. Gli altri sacerdoti, religiosi e religiose che svolgono il loro apostolato nelle diverse attività pastorali, educative ed assistenziali, sono stati sempre amabili e fraterni nei nostri riguardi’. Quali sono le vostre attività principali? ‘Oltre ad assicurare la continuità nel servizio della chiesa parrocchiale di Santa Maria Draperis, le nostre attività abbracciano due campi ben distinti: uno è l’ecumenismo nel rapporto con le Chiese orientali presenti ad Istanbul, vale a dire greci- ortodossi, armeni gregoriani e siriani – apostolici; ugualmente siamo in ottimi rapporti con le diverse Chiese protestanti. Nell’altro ci dedichiamo alla ricerca dell’incontro, e se possibile dialogo, con l’islam e con la comunità ebraica d’istanbul. Non si tratta di attività già stabilite, ma dobbiamo prendere l’iniziativa senza aspettare che gli altri ci propongano tale dialogo’. Le esperienze più significative? ‘Stare ad Istanbul è già una forte esperienza di convivenza con il popolo turco, lontano dall’etichetta di ‘pericolosità’ con cui viene di solito conosciuto; in realtà si tratta di gente affabile e gentile, che va compresa meglio con pazienza per entrare nella loro visione della vita. Nell’ambiente ecumenico, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani si vive con grande interesse ad Istanbul. Una commissione ecumenica distribuisce gli otto giorni nelle diverse chiese ed ogni giorno ci si trova in una chiesa diversa, diventando praticamente un pellegrinaggio alle diverse comunità cristiane. Nella festa di Sant’Andrea apostolo (30 novembre), patrono del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, della Chiesa greco-ortodossa, una delegazione francescana è presente ogni anno. Come fraternità internazionale ad Istanbul, la nostra partecipazione alla liturgia, frequente nelle diverse occasioni, è una forte esperienza di fede. Nel rapporto con l’islam ricordo due momenti importanti durante l’anno: nel periodo del Ramadan, siamo invitati in diverse occasioni al iftar, cioè la conclusione della giornata di digiuno che i musulmani fanno radunandosi nelle famiglie e con gli amici; a noi cristiani viene offerto un posto di condivisione. Inoltre, una delle comunità Sufi, in occasione della festa del fondatore Rumi, ci invita alla Sema (preghiera) dei danzatori. Per loro è una preghiera contemplativa attraverso la musica, canti, salmi cosmici e la danza. Ogni volta siamo stati accolti come ospiti speciali dal capo della comunità Dedè Nail Kesova Postnisin e lì possiamo indossare l’abito religioso in segno di rispetto per tale momento di preghiera. Conviene ricordare che in Turchia è vietato usare l’abito religioso fuori dalla chiesa o dal convento’. Le difficoltà che avete incontrato? ‘Ogni inizio è difficile e l’inserimento nell’ambiente turco non era l’eccezione: lingua nuova, anzi strana, da imparare, documenti legali da sbrigare, situazione di ristretta libertà religiosa da capire e rispettare. All’interno della fraternità, benché fratelli, si doveva costruire un ambiente internazionale che rispondesse alla nostra nuova attività; il comune carisma di fratellanza universale è stato il dono più prezioso che sperimentiamo quotidianamente e alleggerisce ogni difficoltà. A causa degli avvenimenti degli ultimi mesi, in particolare l’uccisione di don Andrea Santoro a Trebisonda, molti italiani si sono preoccupati per la nostra incolumità. Certamente la prudenza è la migliore consigliera, ma la Chiesa in Turchia non è perseguitata, semmai costretta ad assumere i limiti dettati dal governo, ma in una sufficiente tolleranza per continuare a sperare in un mondo migliore. Il presidente del nostro municipio Beyoglu, apprezza la nostra presenza e con i vicini di casa ci stimiamo a vicenda’.

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Insieme cristiani e musulmani https://www.lavoce.it/insieme-cristiani-e-musulmani/ Thu, 20 Oct 2005 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=4765 Il segno di apertura, accoglienza e solidarietà della città e della Chiesa ternana verso persone provenienti da paesi diversi per tradizione, cultura e religione, è stato sempre forte e espresso con iniziative e momenti d’incontro fraterno. Dalla ‘Festa dei popoli’ a Campitello, che da diversi anni è uno degli appuntamenti principali della festa in onore di san Matteo, all’impegno quotidiano di gruppi di volontariato e caritativi che si occupano di dare sostegno morale e materiale a migliaia di persone. L’impegno a fianco dei poveri ha portato ad incontrare sempre più spesso persone di fede musulmana. Molti di loro sono immigrati da paesi arabi, ma vi sono anche europei ed africani. La fedeltà nell’amicizia con loro ha portato a conoscere e ad apprezzarne l’adesione sincera alla fede, pur vivendo in un contesto culturale e religioso diverso, come l’Italia. Ecco allora l’iniziativa della parrocchia di Santa Croce e la commissione diocesana per l’Ecumenismo e il dialogo che, in occasione del mese di Ramadan, lunedì 24 ottobre, alle ore 17, presso la sala parrocchiale di Santa Croce (via Cavour 33) propongono un incontro-conferenza sul tema: ‘Il digiuno nelle grandi tradizioni religiose’ al quale interverranno i rappresentanti delle grandi religioni mondiali per offrire la loro testimonianza. Seguirà alle ore 19 la festa dell’Iftar con i musulmani della città, una cena insieme rispettando le indicazioni musulmane che vietano l’uso di carne di maiale e di alcolici. Il ‘Ramadan’ prescrive il digiuno per tutta la durata della giornata. Nei paesi a maggioranza musulmana anche la vita civile, durante il mese di Ramadan, modifica i suoi ritmi per favorire l’adempimento di questa prescrizione. Le società islamiche vivono questo mese (denominato Santo, per sottolinearne l’unicità, all’interno del calendario annuale) anche come occasione per rinsaldare i legami familiari e di solidarietà con i bisognosi. Per questo ogni sera le famiglie si invitano a vicenda e invitano quanti sono in difficoltà per ‘rompere il digiuno’, cioèper il pasto serale dopo il tramonto, quando è consentito mangiare. Questa cena festosa e familiare prende il nome di Iftàr e sarà quella che condivideranno lunedì sera le comunità cristiane e musulmane della città.

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Un Centro islamico per i musulmani https://www.lavoce.it/un-centro-islamico-per-i-musulmani/ Thu, 18 Nov 2004 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=4153 I musulmani dell’Umbria provengono da oltre sessanta paesi (in prevalenza dall’Algeria, dal Marocco, dalla Tunisia e dall’Albania), la loro presenza nella regione è stimata in numero di almeno 15mila unità (anche se le fonti Istat e del Ministero dell’Interno stimano in 10mila persone la presenza nella regione). La settimana scorsa i fedeli musulmani hanno appena celebrato la fine del digiuno, il ritorno alla vita quotidiana dopo il mese di Ramadan (il periodo di astinenza e purificazione durante il quale si pratica il digiuno da cibo e bevande). Una riunione, dedicata alla celebrazione della riconciliazione di ogni musulmano osservante con Dio, particolarmente affollata si è svolta presso il PalaEvangelisti di Pian di Massiano. Un momento di preghiera e di festa con amici e parenti. Adesso si apprestano a festeggiare un’altra ricorrenza importante, attesa da anni: l’inaugurazione del Centro islamico, con annessa moschea, in via Settevalli (per la precisione in via Carattoli). “Si tratta di una struttura di proprietà della comunità islamica regionale – afferma l’imam Abdel Qader – e il prossimo 4 dicembre inaugureremo il centro, la nostra casa accogliente, e lo faremo con una cerimonia ufficiale alla presenza delle autorità cittadine, inviteremo il Prefetto, il Sindaco e l’Arcivescovo. In questa occasione intendiamo aprirci a tutta la città di Perugia”. La struttura di via Settevalli è di mille metri quadrati, divisi tra il cortile e i locali interni, una parte sarà destinata alla preghiera, un’altra servirà per gli incontri e per allestire un ufficio. “L’inaugurazione del centro giunge al termine di un lungo percorso compiuto dalla comunità islamica per ottenere uno spazio adeguato alla preghiera e per poter offrire possibilità di incontro con i credenti di altre religioni per confrontarsi – prosegue l’imam – un luogo dove gli oltre 200 musulmani praticanti di Perugia possano incontrarsi per la preghiera, mentre i bambini giocano nel cortile”. Il progetto del centro islamico e della moschea, però, aveva suscitato qualche preoccupazione e proteste tra gli abitanti della zona. Malcontento che sembra essersi placato. “Dopo l’inaugurazione del centro stiamo pensando ad una giornata della moschea aperta ai cristiani – conclude Qader – per rilanciare il messaggio islamico della pace e della tolleranza”.

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Mai https://www.lavoce.it/mai/ Thu, 27 Feb 2003 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=2985 Mai, a mia conoscenza, è stata portata avanti dalla Santa Sede e con l’impegno in prima persona dal Papa, un’attività religiosa, diplomatica e di comunicazione sociale tanto intensa e per tanto lungo tempo, con toni crescenti come nella presente occasione. E mai era comparso sulla prima pagina dell’Osservatore romano, quotidiano della Santa Sede, un giornale così misurato e compassato nei toni e nella grafica, uno strillo che occupa tutto il centro della pagina che dice MAI, con sopra e sotto “Mai gli uni contro gli altri” e “Mai al terrorismo e alla logica della guerra” . Questa parola, “mai”, ripetuta tre volte richiama l’incontro di Assisi del 24 gennaio 2002, quando dai capi delle religioni del mondo si levò a Dio una preghiera per la pace e si prese il triplice impegno: “Mai più violenza, mai più guerra, mai più terrorismo”. Tutto ciò viene ripreso e riproposto con l’invito alla preghiera e al digiuno all’inizio della quaresima fatto dal Papa domenica scorsa. All’idea del digiuno, che nel mercoledì delle ceneri è normale tradizione cattolica, quest’anno viene correlata l’idea e l’intenzione della pace. Non è un’aggiunta estranea, essendo connaturale alla prassi del digiuno nei tempi prescritti (quaresima per i cristiani, ramadan per i musulmani) la cessazione o la tregua della belligeranza (Si ricordi la conversione collettiva dei cittadini di Ninive che fecero penitenza e si vestirono di sacco, grandi e i piccoli, e fecero digiuno persino gli animali – Libro di Giona). La valenza di testimonianza pubblica e civile del messaggio del Papa per il 5 marzo è stata percepita oltre i confini della cattolicità da religiosi di altra fede e da laici che hanno dichiarato di partecipare al digiuno. Questo avvicinamento in nome della pace, unito alle recenti manifestazioni in cui i cattolici si sono ritrovati a fianco di gruppi di ispirazione lontana da quella cristiana, ha suscitato qualche malumore e sospetto di strumentalizzazione, e persino delle ironie provinciali di qualche addetto stampa di partito che giudica l’attivismo dei cattolici partigiano e fuori luogo. Ma a parte la piccineria di certe polemiche locali ci si deve domandare seriamente perché questa vastità e intensità di impegno dei cattolici per la pace. Solo per obbedienza disciplinare al Papa? O perché convinti delle sue ragioni, quelle espresse e, magari, intuendo che ve ne sono altre non sufficientemente espresse? Non c’è forse la preoccupazione di Giovanni Paolo II per una “nuova evangelizzazione”, quella che parte dal “gloria a Dio e pace agli uomini” dei pastori di Betlemme, che segna il passaggio a quella “cosa nuova” e diversa di cui parlavano i profeti biblici e che Gesù è venuto a realizzare nella storia? Domande impegnative, ma vanno a contrasto con quanto ha scritto recentemente Galli della Loggia, quando affermava in un articolo del Corriere, se ho ben compreso, che tutto sommato l’America è disposta alla guerra perché ha fede nel Dio degli eserciti, mentre l’Europa non è disposta alla guerra perché è secolarizzata e non crede più a niente. Secondo tale prospettiva la pace sarebbe appannaggio dei non credenti, riproponendo la vecchia teoria delle religioni come artefici di violenza e di guerra, le guerre di religione. I cristiani non possono accettare questa opinione o comunque non possono accettare che ciò debba avvenire. Sarebbe una sconfitta per il Vangelo di colui che ha detto “amate i vostri nemici” e rende vana la croce di Cristo. Per i cattolici, all’inizio del terzo millennio, si tratta di ripensare il rapporto tra Chiesa e mondo, tra Vangelo e storia, tra religione e società, alla luce delle acquisizioni e esperienze realizzate da quarant’anni a questa parte. Il Papa, definito “custode dell’umanità”, può essere anche considerato una guida disarmata e malferma, in grado di spingere popoli alla preghiera e di ispirare vie diverse, non violente, per raggiungere la giustizia e quindi la pace.

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In cattedrale il vescovo Chiaretti e l’imam Qader hanno pregato insieme https://www.lavoce.it/in-cattedrale-il-vescovo-chiaretti-e-limam-qader-hanno-pregato-insieme/ Thu, 20 Dec 2001 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=2138 “Le religioni non devono portare alla guerra, ma devono portare alla pace… ogni violenza sull’uomo in nome di Dio è una bestemmia”. E’ quanto ha ribadito l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Giuseppe Chiaretti, nella cattedrale addobbata con decine di alberi di ulivo, in presenza dell’iman della comunità islamica del capoluogo umbro, Abdel Qader durante la vegliadi preghiera a conclusione della giornata di digiuno promossa dal Papa. Mons. Chiaretti ha espresso “gratitudine” all’iman Qader per la sua presenza nella chiesa-cattedrale (è la prima volta) come segno di comprensione e di dialogo tra cristiani e musulmani nel nostro territorio. L’iman ha, infine, pregato Dio per la pace tra gli uomini. Nel corso della veglia sono stati proiettati un video e delle diapositive sulle vicende simbolo del delicato e grave momento che l’umanità sta vivendo. Dalle immagini di morte (l’abbattimento delle torri gemelle di New York, i bombardamenti sull’Afghanistan, il conflitto israelo-palestinese…) a quelle che invocano la pace attraverso la preghiera ed i momenti di comunione e di solidarietà (lo storico incontro di Assisi del 1986 dei capi delle religioni, l’accorato appello del Papa in piazza San Pietro, le fiaccolate e le marce, le moschee gremite durante il Ramadan…). Sono immagini che continuano a far riflettere e a provocare commozione, dando all’uomo la forza per invocare la pace e la riconciliazione.

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Giornata di preghiera e digiuno per la pace in tutta la diocesi https://www.lavoce.it/giornata-di-preghiera-e-digiuno-per-la-pace-in-tutta-la-diocesi/ Thu, 06 Dec 2001 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=2117 Un manifesto affisso per le strade dei centri della diocesi invita a partecipare, il 14 dicembre, alla giornata di digiuno per la pace “tutti i credenti della nostra chiesa diocesana, come anche gli uomini di buona volontà” si legge nel manifesto firmato dal vescovo mons.Vincenzo Paglia. “Saremo uniti ai cattolici di tutto il mondo proprio mentre termina il Ramadan per i musulmani. Giovanni Paolo II auspica che ‘il giorno di digiuno del 14 dicembre e l’incontro di preghiera del 24 gennaio 2002 ad Assisi, aiutino a creare nel mondo un clima più disteso e solidale'”. Alla adesione personale viene chiesto di aggiungere la partecipazione alla veglia di preghiera. che si terrà nelle diverse chiese della Diocesi alle ore 20, nel corso della quale “il corrispettivo economico della cena verrà raccolto e sarà consegnato la notte di Natale al Papa perché lo destini ai profughi e alle popolazioni che subiscono la guerra”. A Terni una veglia si svolgerà presso la chiesa di SanFrancesco e sarà presieduta dal vescovo, a Narni presso la cattedrale e ad Amelia presso San Francesco. “E’ una iniziativa senza precedenti – conclude il manifesto – che ci unisce tutti, piccoli e grandi, in una lunga catena di solidarietà. E’ un grido di pace e di amore che circonda la terra e ci impegna tutti ad essere operatori di pace”.

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Il disordine del mondo https://www.lavoce.it/il-disordine-del-mondo/ Thu, 22 Nov 2001 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=2073 L’uccisione barbara e brutale di Maria Grazia Cutuli, giovane siciliana di Catania, giornalista del Corriere della Sera, insieme ad altri tre giornalisti, avvenuta in Afghanistan ad opera di una pattuglia composta da sei sbandati sfuggiti ad ogni disciplina militare, oltre a dare una sensazione viva della tragedia che incombe anche in persone che sentiamo particolarmente vicine, ci dà la misura del disordine presente nel mondo. Mai che vi sia stato ordine, se non apparente. Ma oggi, dal modo come procedono le cose, sembra che il disordine sia generale e sovrastante. Un tempo anche la guerra comportava codici militari di comportamento abbondantemente saltati, oggi e nei precedenti conflitti a partire dalla seconda guerra mondiale. Rischiano la vita e rimangono vittime giornalisti, civili, operatori delle istituzioni internazionali umanitarie. E tutto ciò si aggiunge agli atti terroristici e alle operazioni di guerra. Non esiste alcun organismo di qualsiasi genere che possa garantire uno svolgimento passabilmente tranquillo delle vicende umane. E’ proprio qui che si inserisce la nuova iniziativa del Pontefice che chiama tutti alla preghiera e alla penitenza. Tutti e non solo i cattolici, tutti coloro che credono in Dio e interpretano la storia umana con criteri non solo materiali. Egli indica agli uomini del nostro tempo che la via della pace passa attraverso l’itinerario dei pellegrini della fede in Dio. Non passa attraverso le ideologie, che possono essere materialistiche, nazionalistiche e anche religiose, ma attraverso ciò che esse hanno di più originale e autentico: la preghiera sincera e fiduciosa. Questa è stata indicata dal Papa nella giornata del 24 gennaio. Non una giornata qualsiasi, essendo collocata dentro la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18 – 25 gennaio). Una settimana che ha una storia secolare ed esprime l’ansia dell’unità e della pace tra i cristiani e si va arricchendo da qualche anno con una giornata aggiunta, anzi, anticipata (il 17) dedicata agli ebrei ed ora aperta a tutte le religioni. Si può dire che, pur essendo, forse, una data scelta occasionalmente, possa significare un passaggio ideale: dalla preoccupazione per l’unità pan-cristiana alla necessità di una universale vera convinta riconciliazione tra tutti i credenti. La pace tra le religioni è condizione di pace tra le culture, le razze, i popoli. Le religioni, infatti, se vissute non strumentalmente come elementi di identificazione polemica, hanno i criteri e la forza per guidare le coscienze nelle scelte e nei comportamenti. Giovanni Paolo II ha indicato anche un’altra data, quella del 14 dicembre, il venerdì conclusivo del periodo di digiuno dei musulmani, il Ramadan. Anche i non musulmani digiunino in quel giorno. Un segnale di amicizia e di benevolenza verso i sinceri credenti della comunità islamica che in questo periodo soffrono per il comportamento di alcuni gruppi e persone che profanano e strumentalizzano la loro fede provocando su di essa il disprezzo del mondo. Scrivo queste righe la sera del 21, presentazione di Maria al tempio, giornata dedicata alle claustrali. Quelle persone sono un polmone di verde contro l’inquinamento spirituale provocato dal disordine del mondo. Della preghiera e del digiuno esse hanno fatto uno stile di vita, che è di richiamo per tutti.

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