prima guerra mondiale Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/prima-guerra-mondiale/ Settimanale di informazione regionale Mon, 21 Oct 2024 08:22:17 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg prima guerra mondiale Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/prima-guerra-mondiale/ 32 32 Musei ecclesiastici umbri. La Grande guerra vista dalla Chiesa https://www.lavoce.it/grande-guerra-chiesa/ Mon, 17 Dec 2018 10:00:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53652 guerra

Sono cinque i musei aderenti alla rete dei Musei ecclesiastici umbri (Meu) a partecipare al progetto espositivo sulla “Chiesa umbra nella Prima guerra mondiale” in occasione dei cento anni del conflitto.

“Il progetto - spiega Catia Cecchetti, responsabile dell’iniziativa, vice presidente della rete del Meu (13 in tutto i musei aderenti), di cui è presidente mons. Paolo Giulietti - è finanziato dalla Regione Umbria con un importo di 30 mila euro e prevede all’interno dei musei aderenti l’esposizione di materiale, soprattutto documentario, conservato presso archivi e biblioteche ecclesiastiche, o privati, inerenti il tema della guerra.

Lo scopo - prosegue è valorizzare tale patrimonio, di raccontare la storia del fronte nel territorio delle diocesi e di dare un contributo alla riflessione sul ruolo avuto dalla Chiesa umbra negli anni della Prima guerra mondiale. Nello stesso tempo mettere a sistema le potenzialità comunicative dei musei della rete”.

I musei aderenti sono il Museo capitolare di San Lorenzo di Perugia, il Museo diocesano di Città di Castello, la Galleria d’arte contemporanea della Pro Civitate Christiana, il Museo diocesano di Gubbio, il Museo comunale di Calvi dell’Umbria e il Museo diocesano e capitolare di Terni.

Alcune esposizioni sono già in corso, altre si stanno inaugurando in questi giorni; gli orari di apertura sono quelli previsti dal museo. Tra il materiale raccolto vi sono lettere dal fronte inviate dai cappellani di guerra, santini, cartoline, foto, opere d’arte legate al tema, materiali d’archivio e giornali dell’epoca provenienti dagli archivi ecclesiastici.

Museo capitolare di San Lorenzo di Perugia

La mostra “La fede e la guerra. Santini e cartoline di soggetto religioso nel primo conflitto mondiale” è curata da Luciano Tosi, già ordinario di Storia delle relazioni internazionali presso l’Università degli studi di Perugia, autore di numerosi studi sulla Prima guerra mondiale; in collaborazione con il Meic di Perugia. L’esposizione si propone di portare all’attenzione del pubblico la massiccia produzione e diffusione in Italia, durante la guerra stessa, di immaginette e cartoline con soggetto religioso. Fanno da sfondo alla mostra le vicende del Paese e della Chiesa italiana.

Museo comunale di Calvi e Museo diocesano e capitolare di Terni

La mostra è allestita al Museo comunale di Calvi, ma dopo Natale verrà spostata e aperta al Museo di Terni. L’esposizione parte dalla storia del seminarista di Calvi dell’Umbria Aldo Bassotti, del quale sono esposte le lettere, le cartoline e le fotografie. Inoltre sarà esposto materiale dell’Archivio storico comunale e dell’Archivio diocesano tra cui libri e manifesti.

Museo del duomo di Città di Castello

La mostra “La Chiesa umbra nella prima Guerra mondiale: Città di Castello e l’evento bellico” è allestita nella sala documentaria del Museo diocesano di Città di Castello, è a cura di Catia Cecchetti e don Andrea Czortek. È un’esposizione bibliografica e documentaria di materiali dell’Archivio storico diocesano e della biblioteca diocesana “Storti - Guerri” di Città di Castello. Tra essi, il Fondo Don Giuseppe Pierangeli; la rivistaLa Voce del popolo, fondata da mons. Carlo Liviero, vescovo tifernate dal 1910 al 1032; la rivista La Rivendicazione , periodico socialista dell’Alta Valle del Tevere, che accompagna la storia e microstoria di un lungo periodo, dall’anno del suo primo numero, il 1902, al 1978. Mons. Carlo Liviero: materiale attinente al governo della diocesi dal 1910 e la visita pastorale compiuta dal vescovo dal 1915 al 1920. Nelle sale della mostra verrà allestito materiale multimediale.

Museo diocesano di Gubbio

Al Museo diocesano di Gubbio si può visitare la mostra “La Grande guerra. Documenti nell’archivio diocesano di Gubbio”. Il materiale esposto è il risultato di una selezione di documenti tra cui diari di guerra, fotografie e documenti dell’epoca. Tutta l’esposizione è legata alla recente pubblicazione Beniamino Ubaldi - Diario della grande guerra che pone l’attenzione sull’operato umano e spirituale di mons. Ubaldi e le vicende che lo videro coinvolto al fronte, in prima linea, come nelle retrovie.

Galleria d’arte della Pro Civitate Christiana

Alla Galleria d’arte della Pro Civitate Christiana è in corso l’esposizione dell’opera Miserere dell’artista Georges Rouault, realizzato negli anni del primo conflitto mondiale, che nella sua seconda parte - dal titolo Guerre - in 25 potenti incisioni è una dolorosa denuncia sia della guerra delle armi sia di quella che “sta nel cuore dell’uomo”. A sussidio si può vedere un video con le immagini del Miserere accompagnate da brani dell’opera musicale War Requiem di Benjamin Britten.

M. A.

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Sono cinque i musei aderenti alla rete dei Musei ecclesiastici umbri (Meu) a partecipare al progetto espositivo sulla “Chiesa umbra nella Prima guerra mondiale” in occasione dei cento anni del conflitto.

“Il progetto - spiega Catia Cecchetti, responsabile dell’iniziativa, vice presidente della rete del Meu (13 in tutto i musei aderenti), di cui è presidente mons. Paolo Giulietti - è finanziato dalla Regione Umbria con un importo di 30 mila euro e prevede all’interno dei musei aderenti l’esposizione di materiale, soprattutto documentario, conservato presso archivi e biblioteche ecclesiastiche, o privati, inerenti il tema della guerra.

Lo scopo - prosegue è valorizzare tale patrimonio, di raccontare la storia del fronte nel territorio delle diocesi e di dare un contributo alla riflessione sul ruolo avuto dalla Chiesa umbra negli anni della Prima guerra mondiale. Nello stesso tempo mettere a sistema le potenzialità comunicative dei musei della rete”.

I musei aderenti sono il Museo capitolare di San Lorenzo di Perugia, il Museo diocesano di Città di Castello, la Galleria d’arte contemporanea della Pro Civitate Christiana, il Museo diocesano di Gubbio, il Museo comunale di Calvi dell’Umbria e il Museo diocesano e capitolare di Terni.

Alcune esposizioni sono già in corso, altre si stanno inaugurando in questi giorni; gli orari di apertura sono quelli previsti dal museo. Tra il materiale raccolto vi sono lettere dal fronte inviate dai cappellani di guerra, santini, cartoline, foto, opere d’arte legate al tema, materiali d’archivio e giornali dell’epoca provenienti dagli archivi ecclesiastici.

Museo capitolare di San Lorenzo di Perugia

La mostra “La fede e la guerra. Santini e cartoline di soggetto religioso nel primo conflitto mondiale” è curata da Luciano Tosi, già ordinario di Storia delle relazioni internazionali presso l’Università degli studi di Perugia, autore di numerosi studi sulla Prima guerra mondiale; in collaborazione con il Meic di Perugia. L’esposizione si propone di portare all’attenzione del pubblico la massiccia produzione e diffusione in Italia, durante la guerra stessa, di immaginette e cartoline con soggetto religioso. Fanno da sfondo alla mostra le vicende del Paese e della Chiesa italiana.

Museo comunale di Calvi e Museo diocesano e capitolare di Terni

La mostra è allestita al Museo comunale di Calvi, ma dopo Natale verrà spostata e aperta al Museo di Terni. L’esposizione parte dalla storia del seminarista di Calvi dell’Umbria Aldo Bassotti, del quale sono esposte le lettere, le cartoline e le fotografie. Inoltre sarà esposto materiale dell’Archivio storico comunale e dell’Archivio diocesano tra cui libri e manifesti.

Museo del duomo di Città di Castello

La mostra “La Chiesa umbra nella prima Guerra mondiale: Città di Castello e l’evento bellico” è allestita nella sala documentaria del Museo diocesano di Città di Castello, è a cura di Catia Cecchetti e don Andrea Czortek. È un’esposizione bibliografica e documentaria di materiali dell’Archivio storico diocesano e della biblioteca diocesana “Storti - Guerri” di Città di Castello. Tra essi, il Fondo Don Giuseppe Pierangeli; la rivistaLa Voce del popolo, fondata da mons. Carlo Liviero, vescovo tifernate dal 1910 al 1032; la rivista La Rivendicazione , periodico socialista dell’Alta Valle del Tevere, che accompagna la storia e microstoria di un lungo periodo, dall’anno del suo primo numero, il 1902, al 1978. Mons. Carlo Liviero: materiale attinente al governo della diocesi dal 1910 e la visita pastorale compiuta dal vescovo dal 1915 al 1920. Nelle sale della mostra verrà allestito materiale multimediale.

Museo diocesano di Gubbio

Al Museo diocesano di Gubbio si può visitare la mostra “La Grande guerra. Documenti nell’archivio diocesano di Gubbio”. Il materiale esposto è il risultato di una selezione di documenti tra cui diari di guerra, fotografie e documenti dell’epoca. Tutta l’esposizione è legata alla recente pubblicazione Beniamino Ubaldi - Diario della grande guerra che pone l’attenzione sull’operato umano e spirituale di mons. Ubaldi e le vicende che lo videro coinvolto al fronte, in prima linea, come nelle retrovie.

Galleria d’arte della Pro Civitate Christiana

Alla Galleria d’arte della Pro Civitate Christiana è in corso l’esposizione dell’opera Miserere dell’artista Georges Rouault, realizzato negli anni del primo conflitto mondiale, che nella sua seconda parte - dal titolo Guerre - in 25 potenti incisioni è una dolorosa denuncia sia della guerra delle armi sia di quella che “sta nel cuore dell’uomo”. A sussidio si può vedere un video con le immagini del Miserere accompagnate da brani dell’opera musicale War Requiem di Benjamin Britten.

M. A.

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1918-2018. Esce il catalogo dei monumenti ai Caduti in Umbria https://www.lavoce.it/catalogo-monumenti-caduti/ Sat, 10 Nov 2018 12:00:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53348 caduti

E' stato presentato martedì a Perugia il volume 1918-2018, cento anni di memorie che contiene (come recita il sottotitolo) il “rilievo e catalogazione dei monumenti ai Caduti della Prima guerra mondiale in Umbria”, a cura di Paolo Belardi, Luca MartiniValeria Menchetelli. Precisando, comunque, che vari monumenti furono successivamente aggiornati aggiungendo i nomi dei caduti del secondo conflitto mondiale.

Cosa contiene il testo

cadutiIl testo, pubblicato dall’editrice Formichiere, deriva dal progetto di catalogazione finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e co-finanziato dalla Consulta delle Fondazioni delle Casse di risparmio umbre. Il lavoro di ricerca e documentazione (notizie, foto, disegni) è stato condotto dal dipartimento di Ingegneria civile e ambientale dell’Università di Perugia.

Dopo un’introduzione generale, che presenta il panorama dei monumenti ai Caduti a livello locale e nazionale, si susseguono le schede relative ai singoli monumenti e lapidi commemorative presenti in Umbria, con immagini, descrizioni e note storiche. Alla fine è inoltre offerto un “regesto” tratto dal Censimento dei monumenti ai Caduti redatto dall’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione; grazie ai QR Code, è possibile accedere - con lo smartphone e tablet - direttamente dalla pagina stampata al sito dell’Istituto, con tutte le informazioni.

Gli obiettivi

Scopo del progetto è anzitutto conoscere meglio una tragica e fondamentale pagina di storia italiana, ma anche un capillare impegno culturale che coinvolse noÈ mi famosi e tanti artisti o artigiani anonimi, i quali crearono in ogni centro grande o piccolo del Paese queste strutture, onorate ancora oggi ogni 4 novembre.

La migliore conoscenza contribuirà anche a una migliore tutela dei monumenti. Si tratta di una storia in parte ancora da scrivere, anche a causa di passati pregiudizi ideologici, come sottolinea il prof. Mario Tosti nel suo saggio all’interno del volume.

Infatti occorre “mettere a confronto da un lato il ricordo ‘ufficiale’ della guerra, che disseminò anche questa regione di monumenti alla vittoria o ai Caduti, e dall’altro gli orientamenti politici e culturali nel lungo periodo”, ossia “quell’orientamento a sinistra che in generale caratterizzò tutti gli ambenti intellettuali italiani, e in particolaregli indirizzi della cultura umbra”.

Insomma, fino a poco tempo fa, pareva ‘strano’ studiare il 1915-18 nella terra di Aldo Capitini. E tuttavia, non di militarismo si tratta, ma di rievocare persone concrete “con le loro paure, con i loro desideri, magari riassunti nella canzone Lilì Marlène”, come ha affermato il gen. Maugeri, della Scuola di lingue dell’Esercito, il 4 novembre a Perugia in sala dei Notari durante il concerto dedicato alla fine della Grande guerra.

Dario Rivarossa

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caduti

E' stato presentato martedì a Perugia il volume 1918-2018, cento anni di memorie che contiene (come recita il sottotitolo) il “rilievo e catalogazione dei monumenti ai Caduti della Prima guerra mondiale in Umbria”, a cura di Paolo Belardi, Luca MartiniValeria Menchetelli. Precisando, comunque, che vari monumenti furono successivamente aggiornati aggiungendo i nomi dei caduti del secondo conflitto mondiale.

Cosa contiene il testo

cadutiIl testo, pubblicato dall’editrice Formichiere, deriva dal progetto di catalogazione finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e co-finanziato dalla Consulta delle Fondazioni delle Casse di risparmio umbre. Il lavoro di ricerca e documentazione (notizie, foto, disegni) è stato condotto dal dipartimento di Ingegneria civile e ambientale dell’Università di Perugia.

Dopo un’introduzione generale, che presenta il panorama dei monumenti ai Caduti a livello locale e nazionale, si susseguono le schede relative ai singoli monumenti e lapidi commemorative presenti in Umbria, con immagini, descrizioni e note storiche. Alla fine è inoltre offerto un “regesto” tratto dal Censimento dei monumenti ai Caduti redatto dall’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione; grazie ai QR Code, è possibile accedere - con lo smartphone e tablet - direttamente dalla pagina stampata al sito dell’Istituto, con tutte le informazioni.

Gli obiettivi

Scopo del progetto è anzitutto conoscere meglio una tragica e fondamentale pagina di storia italiana, ma anche un capillare impegno culturale che coinvolse noÈ mi famosi e tanti artisti o artigiani anonimi, i quali crearono in ogni centro grande o piccolo del Paese queste strutture, onorate ancora oggi ogni 4 novembre.

La migliore conoscenza contribuirà anche a una migliore tutela dei monumenti. Si tratta di una storia in parte ancora da scrivere, anche a causa di passati pregiudizi ideologici, come sottolinea il prof. Mario Tosti nel suo saggio all’interno del volume.

Infatti occorre “mettere a confronto da un lato il ricordo ‘ufficiale’ della guerra, che disseminò anche questa regione di monumenti alla vittoria o ai Caduti, e dall’altro gli orientamenti politici e culturali nel lungo periodo”, ossia “quell’orientamento a sinistra che in generale caratterizzò tutti gli ambenti intellettuali italiani, e in particolaregli indirizzi della cultura umbra”.

Insomma, fino a poco tempo fa, pareva ‘strano’ studiare il 1915-18 nella terra di Aldo Capitini. E tuttavia, non di militarismo si tratta, ma di rievocare persone concrete “con le loro paure, con i loro desideri, magari riassunti nella canzone Lilì Marlène”, come ha affermato il gen. Maugeri, della Scuola di lingue dell’Esercito, il 4 novembre a Perugia in sala dei Notari durante il concerto dedicato alla fine della Grande guerra.

Dario Rivarossa

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Guerra 1915-18. Nel centenario della fine del conflitto esce il libro-diario dal fronte di don Ubaldi https://www.lavoce.it/guerra-centenario-diario-don-ubaldi/ Sun, 04 Nov 2018 10:00:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53296 Ubaldi

La pubblicazione del libro "Diario della Grande guerra" dell’allora don Beniamino Ubaldi giunge a conclusione del centenario del primo conflitto mondiale. Evento sconvolgente nella storia umana, ma ancora poco conosciuto nei suoi risvolti locali, almeno eugubini. Migliaia di giovani mobilitati, circa 700 caduti, un lascito di vita e di esperienza troppo presto dimenticato. Le memorie di don Ubaldi rappresentano un ulteriore stimolo per sollecitare e rinnovare l’interesse della comunità eugubina verso questo periodo importante della sua storia. La prima parte comprende le annotazioni di maggio-giugno 1915, quando don Ubaldi cerca in tutti i modi di evitare il suo invio al fronte nella qualità di prete-soldato. Nella seconda parte, da gennaio 1916 a gennaio 1917, si trova al fronte al seguito del 129° Reggimento fanteria. L’ultima parte riguarda invece il periodo in cui don Beniamino è assegnato all’ospedaletto da campo n. 162.

I curatori

 

Profonda è la gratitudine per i curatori di questo lavoro che permette ad un ampio pubblico di poter conoscere i diari di guerra di don Beniamino Ubaldi. Lungi dall’essere una violazione del personalissimo dialogo con la propria coscienza, questa operazione editoriale consegna al nostro popolo un preziosissimo album di immagini e ricordi che raccontano e disegnano la figura umanissima e nel contempo saldamente radicata nella fede di questo prete delle nostre terre, che la nostra diocesi eugubina avrà l’onore di avere come suo pastore negli anni seguenti.

Tali testi semplici e diretti nella loro espressività avvolgono il lettore nel tremendo mistero della crudeltà della guerra. Sono parole di un uomo che mentre vive il dramma di una tale “inutile strage” cerca di darle un contributo di umanizzazione, per se e per i compagni di sventura.

Frasi brevi e ritmate che scandiscono giorni lunghi e tormentati. A volte segnati dall’attesa timorosa di ciò che potrà accadere, e troppo spesso definiti dalla triste rassegnazione di chi è costretto a raccoglieri i frutti strazianti della violenza.

L’ignaro autore di un tale documento ci introduce nell’intimo tormento di un’anima che, dal sereno e devoto servizio ecclesiale si trova catapultato nel cuore di una vicenda assurda e raccapricciante, che mai avrebbe voluto interpretare. La dura accettazione di vestire la divisa militare, svestendo la più familiare e amata tonaca da prete. I mille tentativi di farsi assegnare ad un ruolo di cappellano per non correre il rischio inimmaginabile di trovarsi ad imbracciare un’arma per uccidere. La pietà e la tenerezza di padre nell’affiancare il dolore e lo smarrimento di tanti giovani inventatisi soldati.

La cura del ministero pastorale, che cerca di non far mancare il conforto della grazia sacramentale e della preghiera a tutti i malcapitati del fronte. Il conforto di una parola, la familiarità di un volto, il dono di una invocazione a Dio, nella paura e nell’incontro con la morte.

Don Ubaldi attraversa l’esperienza della guerra con la grande consapevolezza della profonda ingiustizia che essa rappresenta in primis per coloro che costretti ne sono i tragici protagonisti. Ma si lascia anche attraversare da questo drammatico evento senza alcuna difesa, esponendo ad essa tutta la sua umanità, gli interrogativi laceranti e le amarezze più struggenti, che lo feriscono e lo prostrano.

Da notare anche la semplicità delle sue annotazioni sugli elementi della vita comune, che costituiscono la trama delle giornate al fronte. Il cibo, l’alloggio, l’occasione di una partita a carte, la chiacchierata distesa con qualche commilitone, la posta, il tempo. Come anche i continui appunti sulla sua vita spirituale, la preghiera personale, la celebrazione della messa, le confessioni.

Tante volte emerge forte il cuore del prete. Il desiderio della vicinanza di Dio. Il dolore per l’allontanamento dei suoi figli, che si perdono nell’odio verso altri uomini, e bestemmiano quel Dio che solo può salvarli e custodirli in vita e in morte. L’invocazione fiduciosa della provvidenza divina. Il rifugio nella materna protezione della vergine Maria. Il pensiero affettuoso alle famiglie, alle madri e alle mogli, ai fratelli e ai figli degli uomini in armi.

I quasi quattro anni della sua “vita di guerra” trasformano lo sguardo e il ministero del sacerdote vadese. Non è difficile immaginare quanto abbiano inciso questi lunghi giorni vissuti nel ventre della guerra sulla fermezza e fortezza del vescovo Beniamino Ubaldi nei giorni bui del secondo conflitto mondiale in terra eugubina. In quei due lunghi giorni del sacrificio barbaro dei quaranta innocenti portati al martirio dalla inumana violenza.

La lettura di questi quotidiani appunti, che raccomando a molti, ci aiutino a rafforzare in noi la ferma condanna di ogni violenza dell’uomo sull’uomo, e dell’utilizzo della guerra come assurdo strumento di risoluzione delle umane controversie.

Mons. Luciano Paolucci Bedini, vescovo di Gubbio

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Ubaldi

La pubblicazione del libro "Diario della Grande guerra" dell’allora don Beniamino Ubaldi giunge a conclusione del centenario del primo conflitto mondiale. Evento sconvolgente nella storia umana, ma ancora poco conosciuto nei suoi risvolti locali, almeno eugubini. Migliaia di giovani mobilitati, circa 700 caduti, un lascito di vita e di esperienza troppo presto dimenticato. Le memorie di don Ubaldi rappresentano un ulteriore stimolo per sollecitare e rinnovare l’interesse della comunità eugubina verso questo periodo importante della sua storia. La prima parte comprende le annotazioni di maggio-giugno 1915, quando don Ubaldi cerca in tutti i modi di evitare il suo invio al fronte nella qualità di prete-soldato. Nella seconda parte, da gennaio 1916 a gennaio 1917, si trova al fronte al seguito del 129° Reggimento fanteria. L’ultima parte riguarda invece il periodo in cui don Beniamino è assegnato all’ospedaletto da campo n. 162.

I curatori

 

Profonda è la gratitudine per i curatori di questo lavoro che permette ad un ampio pubblico di poter conoscere i diari di guerra di don Beniamino Ubaldi. Lungi dall’essere una violazione del personalissimo dialogo con la propria coscienza, questa operazione editoriale consegna al nostro popolo un preziosissimo album di immagini e ricordi che raccontano e disegnano la figura umanissima e nel contempo saldamente radicata nella fede di questo prete delle nostre terre, che la nostra diocesi eugubina avrà l’onore di avere come suo pastore negli anni seguenti.

Tali testi semplici e diretti nella loro espressività avvolgono il lettore nel tremendo mistero della crudeltà della guerra. Sono parole di un uomo che mentre vive il dramma di una tale “inutile strage” cerca di darle un contributo di umanizzazione, per se e per i compagni di sventura.

Frasi brevi e ritmate che scandiscono giorni lunghi e tormentati. A volte segnati dall’attesa timorosa di ciò che potrà accadere, e troppo spesso definiti dalla triste rassegnazione di chi è costretto a raccoglieri i frutti strazianti della violenza.

L’ignaro autore di un tale documento ci introduce nell’intimo tormento di un’anima che, dal sereno e devoto servizio ecclesiale si trova catapultato nel cuore di una vicenda assurda e raccapricciante, che mai avrebbe voluto interpretare. La dura accettazione di vestire la divisa militare, svestendo la più familiare e amata tonaca da prete. I mille tentativi di farsi assegnare ad un ruolo di cappellano per non correre il rischio inimmaginabile di trovarsi ad imbracciare un’arma per uccidere. La pietà e la tenerezza di padre nell’affiancare il dolore e lo smarrimento di tanti giovani inventatisi soldati.

La cura del ministero pastorale, che cerca di non far mancare il conforto della grazia sacramentale e della preghiera a tutti i malcapitati del fronte. Il conforto di una parola, la familiarità di un volto, il dono di una invocazione a Dio, nella paura e nell’incontro con la morte.

Don Ubaldi attraversa l’esperienza della guerra con la grande consapevolezza della profonda ingiustizia che essa rappresenta in primis per coloro che costretti ne sono i tragici protagonisti. Ma si lascia anche attraversare da questo drammatico evento senza alcuna difesa, esponendo ad essa tutta la sua umanità, gli interrogativi laceranti e le amarezze più struggenti, che lo feriscono e lo prostrano.

Da notare anche la semplicità delle sue annotazioni sugli elementi della vita comune, che costituiscono la trama delle giornate al fronte. Il cibo, l’alloggio, l’occasione di una partita a carte, la chiacchierata distesa con qualche commilitone, la posta, il tempo. Come anche i continui appunti sulla sua vita spirituale, la preghiera personale, la celebrazione della messa, le confessioni.

Tante volte emerge forte il cuore del prete. Il desiderio della vicinanza di Dio. Il dolore per l’allontanamento dei suoi figli, che si perdono nell’odio verso altri uomini, e bestemmiano quel Dio che solo può salvarli e custodirli in vita e in morte. L’invocazione fiduciosa della provvidenza divina. Il rifugio nella materna protezione della vergine Maria. Il pensiero affettuoso alle famiglie, alle madri e alle mogli, ai fratelli e ai figli degli uomini in armi.

I quasi quattro anni della sua “vita di guerra” trasformano lo sguardo e il ministero del sacerdote vadese. Non è difficile immaginare quanto abbiano inciso questi lunghi giorni vissuti nel ventre della guerra sulla fermezza e fortezza del vescovo Beniamino Ubaldi nei giorni bui del secondo conflitto mondiale in terra eugubina. In quei due lunghi giorni del sacrificio barbaro dei quaranta innocenti portati al martirio dalla inumana violenza.

La lettura di questi quotidiani appunti, che raccomando a molti, ci aiutino a rafforzare in noi la ferma condanna di ogni violenza dell’uomo sull’uomo, e dell’utilizzo della guerra come assurdo strumento di risoluzione delle umane controversie.

Mons. Luciano Paolucci Bedini, vescovo di Gubbio

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Ricordare la guerra per costruire la pace https://www.lavoce.it/grande-guerra-costruire-pace/ Wed, 31 Oct 2018 10:00:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53256 Mio nonno sul mignolo della sua mano ossuta aveva una bozza tonda e dura. Noi, piccoli e curiosi, la toccavamo con timore perché sapevamo che sotto la pelle c’era il pallino di un’arma che lo aveva ferito quando era al fronte per la guerra del 15/18. Non raccontava molto di più, ma tanto bastava per collocare una persona amata nell’inferno di una guerra che poi avremmo studiato a scuola.

Oggi ricordare i 100 anni della fine della Prima guerra mondiale per i più giovani è un esercizio di storia lontana dal vissuto personale. Il 4 novembre è la Festa dell’Unità nazionale raggiunta con l’armistizio firmato il 4 novembre 1918 che segnava la resa dell’Impero austro-ungarico e il coronamento del sogno risorgimentale dell’unità nazionale con l’annessione di Trento e Trieste.

Il 4 novembre è anche la Giornata delle Forze armate che di quella guerra commemorano il sacrificio di tanti giovani chiamati alle armi e mai più tornati a casa. Anche nel più piccolo comune d’Italia si commemorano i Caduti in guerra e si rende omaggio al Milite ignoto, a quel soldato senza nome che dal 4 novembre 1921 riposa a Roma all’Altare della Patria: uno dei tanti, troppi soldati rimasti sui campi di battaglia senza nome, senza tornare nelle tante, troppe famiglie che piansero i loro figli, fratelli, padri, partiti per il fronte e mai più tornati.

In tutta Europa, in tre anni, morirono milioni di persone (le stime vanno dai 10 ai 15 o forse più) tra militari e civili. Papa Benedetto XV il 1 agosto 1917 scrisse ai “capi dei popoli belligeranti” per chiedere “quanto prima” la cessazione “di questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno di più, apparisce inutile strage”.

L’appello non fu ascoltato ma questa espressione risuonò profetica per tutto il XX secolo ed ancora oggi è drammaticamente attuale.

Cento anni dopo i vescovi della Comece, la Commissione degli episcopati dell’Ue hanno scelto di cominciare la loro assemblea plenaria di autunno (dal 24 al 26 ottobre) da Ypres, la città belga tragicamente celebre per essere stata teatro di uno dei primi attacchi chimici della storia e dove si sono combattute due delle battaglie più sanguinose del primo conflitto mondiale.

“La pace è una missione” ha detto mons. Jean Kockerols, vescovo ausiliare di Bruxelles, parlando davanti a tanti piccoli alunni nella cattedrale di Ypres. “Pace significa non essere mai indifferente ai bisogni dell’altro, significa imparare a conoscerlo, a rispettarlo e amarlo. Quando si ama c’è posto per il perdono e la riconciliazione. La pace è un dono di Dio. Quando ci impegniamo per la pace siamo più forti”.

E al termine dell’assemblea i vescovi europei hanno rivolto un appello ai cristiani e a tutte le persone di buona volontà “al discernimento, alla responsabilità e alla piena partecipazione alla vita politica, a lavorare insieme per il bene comune, costruendo ponti di dialogo e promuovendo un’Europa inclusiva capace di sviluppare pienamente persone, famiglie e comunità”.

La pace, dicono i vescovi, è un bene prezioso, da non dare mai per scontato. Dopo le “inutili stragi” del secolo scorso l’Europa da nome geografico è diventato un progetto di pace, con un percorso di unificazione inedito perché basato su forme di collaborazione che dal piano economico si sono sempre più estese al piano istituzionale. Questa Europa, l’Europa della pace, è il futuro che vorremmo consegnare ai nostri figli.

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La pace è opera degna degli eroi https://www.lavoce.it/la-pace-e-opera-degna-degli-eroi/ Wed, 02 Aug 2017 06:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=49565 Benedetto-XV-BNCento anni fa, un modo nuovo di intendere la pace comparve sulla scena pubblica del mondo contemporaneo. E poche affermazioni tratte da documenti pontifici hanno avuto una così grande influenza storica come quella scritta da Benedetto XV il 1° agosto del 1917, quando, a tre anni dallo scoppio della Prima guerra mondiale, si appellò ai “capi dei popoli belligeranti” per fermare un conflitto sanguinoso che “ogni giorno più” appariva “come un’inutile strage”. Ancora oggi, a distanza di cento anni, quelle parole risuonano, non solo nel discorso pubblico, ma nella coscienza profonda di ogni persona, come un ammonimento di grande importanza morale e politica.

In quella lettera, che evocava il “suicidio” dell’Europa in cui “una follia universale” stava producendo una orribile carneficina, il Papa chiedeva in modo nettissimo una “pace giusta e duratura” che potesse affermarsi grazie ai più importanti strumenti diplomatici del tempo: la richiesta di un arbitrato internazionale, la reciproca restituzione di alcuni territori e la necessità impellente di un disarmo. Di fatto, Benedetto XV chiedeva di sottomettere la “forza materiale delle armi” alla “forza morale del diritto”.

Quelle parole, come è noto, non mutarono il corso del conflitto mondiale. Tuttavia, si sarebbero rivelate profetiche per almeno due motivi.

Innanzitutto, per il giudizio durissimo sulla guerra. I conflitti moderni, infatti, si sarebbero sempre più caratterizzati come delle guerre totali che non avrebbero coinvolto solo gli eserciti ma anche le popolazioni civili, producendo, di fatto, un unico risultato significativo: la morte di milioni di persone innocenti.

L’evocazione di “un’inutile strage”, da quel momento, è diventata una sorta di grido di dolore verso la guerra moderna e ogni tipo di efferata morte di massa provocata dalla modernità nichilista. E non casualmente, Papa Francesco l’ha richiamata in occasione del G20 per denunciare le inutili stragi di migranti sul Mediteranno.

In secondo luogo, quelle parole segnarono l’inizio dell’elaborazione di una nuova teologia della pace. Una novità che arricchì non solo il magistero della Chiesa ma anche la cultura del mondo occidentale, delineando una sfida che, all’inizio del Novecento, sembrava quasi impossibile da vincere. Quelle parole, invece, aprirono la strada a una nuova primavera della pace. Prima di tutto con un’enciclica di Benedetto XV del 1920, oggi quasi dimenticata, Pacem Dei munus pulcherrimum, in cui il Papa ribadì con vigore che il “messaggio del cristianesimo” è un “evangelo di pace”. E poi con una serie di riflessioni successive che avrebbero portato alla Pacem in terris di Giovanni XXIII nel 1963 – autentica pietra miliare di questa nuova teologia della pace -, alle dichiarazioni del Concilio Vaticano II e alle moltissime affermazioni dei Papi che si sono succeduti sulla Cattedra di Pietro fino a oggi.

Una nuova teologia della pace, è bene chiarirlo, che non si fonda sulla base di vaghi propositi ideali, ma su indiscutibili princìpi evangelici: la giustizia, la carità e l’incalpestabile dignità della persona umana.

Mai come oggi, questa teologia della pace va difesa con tutte le nostre forze. Va difesa da coloro che, in modo vile e meschino, compiono brutali atti terroristici contro l’umanità innocente. Va difesa da chi provoca le guerre per una volontà di potenza, di conquista e per interessi economici. E va sostenuta anche con coloro che nel dibattito pubblico sbeffeggiano la pace come un’idea buonista, frutto di un pensiero debole e in nome di un inevitabile scontro di civiltà. Occorre dirlo con chiarezza: cercare la pace non è il prodotto di una civiltà decadente con un’identità fragile. È vero esattamente il contrario: cercare la pace è un esercizio eroico, che richiede un impegno enorme, incessante, quotidiano, e che richiede una forza diversa da quella militare: è la forza della fede; la forza del dialogo; e, come scriveva Benedetto XV, la “forza morale del diritto”.

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La Prima guerra mondiale come fu vissuta da Perugia e dall’Umbria https://www.lavoce.it/la-prima-guerra-mondiale-come-fu-vissuta-da-perugia-e-dallumbria/ Fri, 22 Apr 2016 13:48:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46052 PresentazioneMostraLaGrandeGuerra-cmykNon solo una raccolta di documenti, testimonianze e cimeli. La mostra “La Grande guerra. Un viaggio attraverso la memoria e le immagini da Perugia alle altre città dell’Umbria”, in corso al Museo civico di palazzo Penna a Perugia fino al 29 maggio, è molto di più: è il frutto di una ricerca minuziosa, durata quasi due anni, condotta in sinergia tra più istituti culturali perugini per ricostruire una parte di storia poco conosciuta.

Il fronte era lontano dall’Umbria, ma non per questo non lasciò tracce e documenti significativi, utili a ricostruire come fu vissuto, a Perugia e in tutta la regione, un periodo complesso della storia italiana attraverso gli occhi e gli scritti di chi quella guerra l’aveva vissuta.

La ricca documentazione nell’Archivio di Perugia

Come spiegato da una delle due curatrici, Maria Grazia Bistoni – insieme a Serena Innamorati -, nel catalogo a corredo della mostra (edizioni Soprintendenza archivistica e bibliografica dell’Umbria e delle Marche), “la ricca produzione documentaria conservata negli archivi di Stato umbri ha offerto la possibilità di condurre ricerche approfondite sia riguardo alla partecipazione diretta dei giovani al conflitto, sia ai riflessi e alle conseguenze che lo stato di belligeranza produsse sulla popolazione civile e sulle strutture sociali ed economiche, anche nelle aree – come Perugia e l’Umbria – non direttamente interessate alle operazioni militari. Aree che costituivano il cosiddetto ‘fronte interno’”.

Le quattro sessioni della mostra

Quattro le sezioni in cui è divisa la mostra: “L’entrata in guerra: 1914-1915”; “Mobilitazione e partecipazione alla guerra”; “Aspetti economici e sociali”; “La vita istituzionale e la memoria della guerra”. Una sezione a parte è dedicata all’architetto Ugo Tarchi e alla memoria cittadina; seguono “appendici” sulla Grande guerra nelle cartoline della collezione Blasi; Gerardo Dottori alla Prima guerra mondiale; “Dalla vita in trincea”.

Altri documenti

Ricchissima la documentazione rinvenuta presso la biblioteca Augusta, con saggi, atti di convegni, pubblicazioni di ricerche e la scoperta di una rara ed estesa collezione di manifesti sia nazionali che locali. Così come miniera preziosa e a tutt’oggi inesplorata è quella relativa alle pubblicazioni di scuola militare, di collane ufficiali del ministero della Difesa – Stato maggiore dell’esercito – ufficio storico.

Consistente anche l’apparato iconografico del quale fanno parte alcune opere “a tema” di Gerardo Dottori e i progetti su disegno di Ugo Tarchi, l’architetto che progettò anche un Memoriale ai caduti, mai realizzato, nei pressi di Santa Giuliana.
In mostra inoltre un corpus di cimeli di grande interesse storico e documentario. Fanno da corollario alcuni video d’epoca e numerosi materiali fotografici.

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Il pane dell’educazione https://www.lavoce.it/il-pane-delleducazione/ Wed, 05 Aug 2015 10:32:11 +0000 https://www.lavoce.it/?p=41860 Il gruppo delle prime suore fondate dal beato Carlo Liviero
Il gruppo delle prime suore fondate dal beato Carlo Liviero

Cento anni fa, proprio in questi giorni, l’Italia entrava in guerra. La Grande guerra. Una guerra che ha cambiato la storia e la vita nelle famiglie italiane. Anche a Città di Castello molti sono stati i “richiamati”, uomini che dovevano partire per combattere lontano, con l’angoscia di non ritornare. La maggior parte non sapeva come dare sicurezza ai figli…

Con la stessa preoccupazione dei padri di famiglia che partivano, il vescovo Carlo Liviero seguiva gli avvenimenti. La guerra semina lutti e crea vuoti nelle famiglie portando allo scoperto i grandi drammi della miseria. Il suo cuore solerte si china “maternamente” sulla realtà umana in ascolto dei bisogni, col fiato sospeso fino a che, di fronte alla sofferenza degli orfani, dà vita alla più grande delle sue opere: un ospizio per “gli orfani e i derelitti” vittime innocenti del conflitto.

Ne parla con il suo popolo durante il pontificale nella festa dei santi Pietro e Paolo con tanta passione che presto la diffidenza dei più si muta in generoso entusiasmo. Apre egli stesso una sottoscrizione, e mette tutto quello che ha: 500 lire. Subito un bambino si alza e corre all’altare e dona 5 lire. Inizia così una gara di solidarietà tra i castellani. Quei bambini orfani diventeranno i figli di tutta la città.

Adatta per questa opera il vecchio Orto della cera in fondo al rione San Giacomo. E con gioia il 1° luglio 1915 annuncia dalle pagine di Voce di popolo: “Questi figli derelitti non hanno bisogno solo del pane ma hanno bisogno assai più del pane della vita che è l’educazione cristiana e la formazione religiosa e morale… E noi, fidenti della carità inesauribile di quel Cuore sacrissimo di Gesù che con tenere espressioni invitava i pargoli a venire a Lui che affermava: ‘Chi accoglierà un fanciullo nel nome mio accoglierà me stesso’, abbiamo deciso di dar mano all’opera”.

Ma chi avrebbe potuto custodire tanti bambini e offrire loro cure e amore? Ecco, in quell’occasione sono nate le Piccole Ancelle del Sacro Cuore. Suore semplici, così le voleva Liviero per fare da madri a quei piccoli. Guarda lontano, Liviero, vede forse i molti volti della povertà che si susseguono nel tempo, le solitudini, il male di vivere, le fatiche dell’uomo che ha bisogno di umili “samaritani” che si chinino sulle loro ferite.

Perciò, nel chiedere a Papa Benedetto XV l’approvazione per fondare una congregazione religiosa di suore, scrive: “Una congregazione di donne che, fatta piena oblazione di sé, si dedichino a tutte le opere di cristiana carità”. Piccole e semplici per essere docile strumento nelle mani di Dio che attraverso loro potesse scrivere pagine di misericordia e di tenerezza. Sono tanti i bambini che cresceranno nel vecchio Orto della cera, amorevolmente custoditi dal buon Vescovo e dalle giovani suore.

Nel tempo, il vecchio Orto della cera, simbolo del grande cuore di Carlo Liviero, cercherà con le suore, umili e attente ai segni del tempo, le strade del mondo: Kenya, Albania, Ecuador, Afghanistan, Uganda… per fare di Cristo il cuore del mondo. Anno dopo anno, per ben un secolo ormai, quel gesto di misericordia e di amore con il quale ogni Piccola Ancella si china verso i piccoli, i poveri di ogni tempo e luogo, fratelli che incontra sul suo cammino, ha scritto e scrive – per la nostra città e per ogni luogo in cui presta il suo servizio – pagine di storia.

Ora, in occasione dell’anniversario prenderà ufficialmente vita un’associazione di laici che sono ispirati al carisma del beato Carlo Liviero.

Le celebrazioni

Sarà il card. Gualtiero Bassetti, domenica 9 agosto alle ore 10.30 nella cattedrale di Città di Castello, a presiedere la concelebrazione eucaristica di ringraziamento per il centenario di fondazione delle suore Piccole Ancelle del Sacro Cuore. Proprio nel duomo tifernate Carlo Liviero invitò il suo popolo a farsi strumento della Provvidenza divina e concepì l’idea della nuova congregazione. La sera di sabato 8 agosto, alle ore 21, presso l’Orto della cera a Città di Castello (in piazza Servi di Maria), si terrà la veglia di preghiera “E voi continuate” aperta a tutti coloro che vorranno ringraziare il Signore assieme alle suore. Nel mese di agosto, sabato 29 in Kenya, si terrà una celebrazione eucaristica di ringraziamento e per la professione religiosa di alcune suore, presieduta dal Vescovo di Marsabit.

 

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Quel capitolo https://www.lavoce.it/quel-capitolo/ Thu, 09 Jul 2015 09:24:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=38062 Certo che, almeno per noi pretarelli di campagna, è davvero una gran cosa che l’audience non dia la misura della serietà del nostro ministero, e che – come dicono molto bene quelli di Bose – la positività del nostro ministero sia legata soltanto alla fedeltà alla Parola.

Penso a certe parrocchie romane, 30.000 e passa abitanti: il parroco la domenica vede sempre la chiesa piena, e sorride compiaciuto: “Sì, la gente risponde alle mie sollecitazioni, oh, se risponde!”.

Non doveva dire “la gente”, ma “molto meno del 10% della gente”. Anche io, nei sei anni che sono stato parroco a Padule, a volte mi crogiolavo nell’impressione che alla messa festiva la chiesa fosse piena, ma – ahimè – tutte le volte che ho messo un ragazzo a contare (con discrezione ma anche con taccuino alla mano) quante pecore entravano nell’ovile, il totale non ha mai superato il 10% del pecorame diffuso a macchia d’olio intorno alla chiesa.

Dovevamo saperlo, noi che avevamo conosciuto, o almeno delibato, la vicenda di Charles de Foucault. Sentii Carlo Carretto che ne parlava, di quella provocatoria vicenda, tanti anni fa, una sera che lo riaccompagnavo in macchina dal San Girolamo di Gubbio al San Girolamo di Spello.

Ne parlava con una profondità così pacata e così lacerante da convincerti che la tua vita, gremita di fallimenti, non poteva fare a meno di questo ex ufficiale francese, questo ex viveur , questo ex esploratore che, una volta riscoperto Dio, decise che non avrebbe più vissuto nemmeno un attimo senza di Lui; e iniziò una vita che fu uno splendido carosello di fallimenti.

Anche la mia vita è stata uno splendido carosello di fallimenti. Certo, non ho intrapreso la carriera militare perché il babbo, che aveva passato in trincea tutt’e tre gli anni della Prima guerra mondiale, non l’avrebbe voluto. Non sono stato un viveur perché la mamma me lo avrebbe impedito a suon di sganassoni. Ma anche la mia vita è stata uno splendido carosello di fallimenti.

Dalla notte dei tempi sto scrivendo un libro sulle mie esperienze, un libro il cui titolo echeggia quella che è stata ed è l’utopia della mia esistenza: Non per loro, ma con loro.

Niente di eroico. Un capitolo importante di quel volume, che ancora è tutto da svolgere e riavvolgere, come i volumina dell’epoca classica, è intitolato “La sagra dei buchi nell’acqua”. Soprattutto da quando, nel 1970, su istigazione di un réportage sul Corriere della sera , incontrai a Capodarco di Fermo una comunità di vita condivisa e autogestita tra invalidi e (presunti) sani, una realtà che mi parve fatta proprio per me. Detto, fatto: l’anno dopo c’ero dentro fino al collo, prima tre anni a Fabriano, poi, dal 1974, a Gubbio.

Avevo allentato il mio rapporto con i giovani, sicuro che…

 

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L’eterogenesi dei fini https://www.lavoce.it/leterogenesi-dei-fini/ Thu, 11 Jun 2015 08:26:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=35359 Ho parlato di come la guerra maturò la personalità del compianto babbo Adamo: plaudiamo dunque alla Grande guerra? Neanche per l’anticamera del cervello! Perché, se è vero che la Grande guerra dilatò enormemente l’orizzonte mentale di tanti sbarbatelli che prima di allora vedevano meno di un palmo oltre il naso, e forgiò con forza e tenacia la loro personale moralità, è anche vero che pagò questi risultati a un prezzo altissimo: la morte di centinaia di migliaia di loro e il cronico squilibrio mentale di un’altra parte – tutt’altro che insignificante – di loro.

Un fenomeno intuito dal genio di Niccolò Machiavelli quando, in polemica con chi sosteneva che solo l’armonia dei suoi fattori primi poteva evitare alla società un’insostenibile conflittualità, affermò che proprio il grado di esasperazione della conflittualità sociale garantisce quel tasso di rinnovamento radicale del quale ogni società ha vitale bisogno per vivere in pace.

Un fenomeno teorizzato da Giambattista Vico: la storia umana – ha detto – contiene in sé potenzialmente la realizzazione di molte finalità, e la vita dell’uomo mira a raggiungere, tappa dopo tappa, l’una o l’altra di queste finalità, ma secondo un processo che non è mai lineare. E così, a volte ci si propone di raggiungere obiettivi alti e nobili, e la Storia genera mostri; a volte si parte con le peggiori intenzioni, e ne nasce il bene comune e la pace.

Conclusione spicciola: la Grande guerra rimane una grandissima boiata, anche se le durissime prove alle quali ha sottoposto i giovani fantaccini li hanno forgiati alla vita. Come il cumulo di sofferenze di una degenza ospedaliera di molti mesi: rimane un periodo che, da una parte, non si augura a nessuno, ma che, dall’altra, ha avuto effetti molto positivi in chi lo ha superato.

Il più negativo di tutti gli esiti della Grande guerra fu il marasma politico in cui gettò l’Europa l’ennesima trahison des clercs, l’ennesimo tradimento di quegli intellettuali smaniosi di legarsi mani e piedi al carro del vincitore. Dovevano mettere mano al disegno di uno Stato nuovo, capace di sostituire lo Stato liberale morente, e invece si lanciarono tutti o quasi nella gara strapaesana degli slogan contrapposti.

Avevano davanti un modello politico eccellente, quello di Giovanni Giolitti e della sua pervicace, intelligentissima azione per portare a responsabilità di governo e con sé i partiti politici della cui ispirazione non condivideva nulla, e come leader scelsero il figlio del fabbro di Dovia-Predappio, quel Benito che avrebbe dovuto emulare le gesta sociali dei Benito Juarez messicano, e che invece, finché si ritenne intelligente, ci addormentò tutti con la sua retorica; e quando pensò di essere un genio, ci precipitò tutti nella più grande catastrofe che il mondo abbia mai conosciuto.

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Caro figlio, altro che contraddizione! https://www.lavoce.it/caro-figlio-altro-che-contraddizione/ Thu, 04 Jun 2015 10:36:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34668 Ma, babbo …: non era una contraddizione stridente quella di volere a tutti i costi difendere un’esperienza come quella della prima guerra mondiale, che vi aveva fatto tanto soffrire? No, non lo era. Perché. Così sibilava l’ultimo, esangue interrogativo dell’ultima, pallente abatjour .

E subito ho sentito emergere in me la risposta a quell’interrogativo. No, non era una contraddizione perché nella trincea l’umanità di Adamo Fanucci, già solida nelle sue basi, maturò di molto.

Aveva ventun anni, quando partì da Scheggia per il fronte, convinto, saldamente convinto che quello era il suo dovere. Non conosceva nulla dei giochetti imbastiti dal moribondo Stato liberale per ricavare dalla mattanza qualche spicciolo per l’Italia. Conosceva solo il suo personale dovere.

E partì. Gli avevano detto che sarebbe stata questione di pochi mesi: poco più che un’esercitazione. Tre anni da schifo, ma poi, accanto all’orgoglio di aver compiuto il proprio dovere, una nuova coscienza del mondo: non più quello rattrappito che galleggiava tra Gubbio, Scheggia, Ponte Calcara e Campitello.

No, quello grande, dove a grandissimi gesti di solidarietà si mescolano le vigliaccherie più infami. Lo affronterà a brutto muso, quel mondo, con una grinta strepitosa.

Tornato dal fronte, mise su una bottega di “Alimentari e Ferramenta”. Vendeva di tutto, dai chiodi al tonno in confezione da 5 kg. Cinquanta anni dopo avrebbe confessato: allora vendevo un quintale di fagioli e due chili di zucchero al mese, oggi due quintali di zucchero e due chili di fagioli.

Morto il primo figlio, non esitò a ricoverare il secondo, Ubaldo, colpito da polio, al Rizzoli di Bologna. Il relativo impegno economico esigerà 10 anni di lavoro straordinario per pagare il mutuo straordinario: tutti i giorni feriali, dalle 2 alle 6 del mattino, un viaggio per metà a piedi dietro al cavallo che trasporta marna cementizia dai Piscianelli (oggi Molino delle Ogne) al cementificio di Sassoferrato (18 km.). La polio l’ha lasciato con una gamba più corta? Bene, Baldino studierà e sarà medico; per pagargli gli studi occorrerà un terzo lavoro, con il Consorzio agrario. Baldino.

Il terzo figlio, Bruno, da seminarista arriva al Seminario regionale al Corso di Teologia, poi, con il concorso di una salute malferma decide di non farcela e si ritrova sulla strada con in mano il titolo di quinta elementare: Fodere non valeo, elemosinare erubesco.

Bisogna costruirgli un lavoro all’altezza della sua cultura: Scheggia ha bisogno di uno sportello bancario, Bruno diventerà impiegato di banca, sotto l’ala di suo padre, titolare di quel lancio; e i boss della Cassa di risparmio di Perugia gli riconosceranno lo stipendio di una donna delle pulizie. Lo metteranno in regola solo a pochi mesi dalla morte precoce: nel 1978, a 54 anni.

Sempre e comunque Adamo tenne botta. Ci sarebbe riuscito senza quella schifosa ed esaltante esperienza giovanile?

E non finisce qui, come lepidamente diceva Corrado buonanima.

 

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Doppia festa per un beato “papà” https://www.lavoce.it/doppia-festa-per-un-beato-papa/ Wed, 03 Jun 2015 12:38:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34542 1-festa-livieroRichiamando il Salmo 23, nella celebrazione della festa liturgica del beato Carlo Liviero, sabato 30 maggio, mons. Domenico Cancian ha delineato un’analogia tra il Buon Pastore e il vescovo beato, che fu come un “buon papà” per Città di Castello.

Mons. Liviero fu effettivamente il “padre” di tante opere di carità nella nostra diocesi; realizzò un cinema, una libreria cattolica e una tipografia, oltre a un settimanale diocesano. Tra le varie opere, però, spicca la fondazione delle Piccole Ancelle del Sacro Cuore. Proprio attraverso di esse Carlo Liviero rivelò un altro aspetto del suo “essere padre”: con lo scoppio della Prima guerra mondiale ospitò gli orfani e i bambini più disagiati nella rinnovata struttura dell’“Orto della cera”.

Il vescovo Liviero divenne una figura di riferimento per questi ragazzini. Per trovare un appoggio in quest’opera di carità creò la congregazione delle Piccole Ancelle, fondata il 9 agosto 1915.

La celebrazione del 30 maggio quest’anno ha avuto così un carattere del tutto particolare: la ricorrenza della nascita e del battesimo del beato Liviero coincideva con l’apertura dei festeggiamenti per il centenario di fondazione delle Piccole Ancelle del Sacro Cuore.

“Questo è il vostro primo secolo di storia – ha affermato mons. Cancian durante l’omelia, rivolgendosi alle religiose presenti -. Un secolo in cui, con umiltà, avete dedicato il vostro operare al servizio degli ultimi e dei più piccoli, continuando quello che è stato l’esempio del beato Liviero.

La consegna che lui ci ha lasciato, però, non è solo per le Piccole Ancelle, ma riguarda tutti noi cristiani. Il senso di questa celebrazione si trova proprio in questo invito che ci rivolge Gesù Cristo, di rimanere uniti nel suo amore e nel Vangelo: siamo chiamati a continuare e tradurre nel mondo questa testimonianza di amore che ci proviene da Gesù”.

Oggi come 100 anni fa, le Piccole Ancelle continuano la loro opera rivolta alle persone più piccole e povere del mondo. A oggi sono presenti in 34 case sparse tra Italia, Albania, Ecuador, Kenya, Svizzera e Uganda. L’istituto – che conta 220 religiose – risulta quindi ancora oggi particolarmente vivo e attivo.

2-festa-livieroUn esempio della sua vivacità è la novità riguardante l’ingresso nella congregazione di un nutrito numero di laici. Da anni, infatti, un centinaio di laici affiancano le religiose nelle loro attività, seguendone carisma e spiritualità. Questo gruppo sarà riconosciuto in via ufficiale dalla Chiesa, e aggregato all’istituto, nella celebrazione prevista nella cattedrale tifernate il prossimo 9 agosto.

Le celebrazioni

Dopo il concerto dello scorso 29 maggio e la celebrazione per la memoria liturgica del beato Carlo Liviero, i festeggiamenti legati al centenario delle Piccole Ancelle del Sacro Cuore continueranno durante tutto l’anno. Momento culminante sarà sicuramente il convegno – cui parteciperà la teologa Antonietta Potente – presso la casa dell’“Alpe di Poti”, sul tema “Elementi biblico-teologici della Misericordia” il prossimo 8 agosto. Il giorno seguente, la messa in cattedrale a Città di Castello. A ricordare il centenario dalla professione delle prime 5 Piccole Ancelle del Sacro Cuore sarà nel duomo tifernate una celebrazione presieduta dall’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, card. Gualtiero Bassetti.

 

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Caro babbo, che contraddizione! https://www.lavoce.it/caro-babbo-che-contraddizione/ Thu, 28 May 2015 09:29:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34332 Caro babbo Adamo, vi scrivo la sera del 24 maggio 2015, cento anni esatti da quando l’Italia entrò in guerra contro gli Imperi centrali. Una decisione che nei tre anni seguenti, da quando avevate 21 anni a quando superaste i 24, anche voi pagaste duramente. Vi scrivo dandovi del voi come tutt’e quattro noi figli abbiamo sempre fatto, anche nei confronti di mamma Maddalena: non ci ha mai nemmeno sfiorato il pensiero di potervi dare del tu, tanto vi vedevamo in alto. Tutt’e due.

Cento anni fa. Contro quella Triplice Alleanza sulle cui orme avevamo per anni scodinzolato nella speranza di un posto al sole. Seduti su di uno strapuntino del vecchio treno che viaggiava, ansante e tenace, verso i 15/17 milioni di mortammazzati; avevamo accarezzato le nostre piccole pretese di gregari nella corsa all’acquisizione di “selvaggi” (!?) territori coloniali.

Cento anni fa. Oggi, di quell’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale è stata fatta una celebrazione finalmente non celebrativa. Eroismo e fango: così titolava un bel servizio Tv.

E io pensavo a voi, babbo Adamo. Agli amici d’infanzia che doveste seppellire. Alla sbobba che doveste ingerire per sopravvivere. Al fango puteolente della vostra trincea, in quei tre anni e mezzo in cui l’umidità fetida fece crescere nella parte inferiore delle vostre gambe delle varici spaventose.

E pensavo alle promesse buttate là dagli stessi pescicani che ogni tanto, in seguito ad eventi che nemmeno le più barbare “leggi di guerra” avrebbero giudicato gravi, ordinavano una decimazione. Promesse di un’Italia in cui ci sarebbero stati lavoro e prosperità per tutti.

E invece quando, ad un anno dalla fine della guerra, vi sposaste, il letto matrimoniale era composto da due cavalletti, quattro tavoloni, un saccone di foglie di granturco; e il viaggio di nozze durò … un giorno: Scheggia, Foligno, Perugia, Scheggia. E quando, dopo la morte neonatale del primo figlio, il secondo contrasse la poliomielite, per pagare sei mesi di ricovero al Rizzoli di Bologna doveste sobbarcarvi 10 anni di durissimo lavoro straordinario.

Eppure, guai a chi parlava male della prima guerra mondiale! Una sera, come sempre, la nostra piccola famiglia accolse dopo cena i big del Movimento studenti (Giambaldo, Alfonso, Gianni Fiorucci, Piero Minelli,…): quattro chiacchiere, una partita a scopone, “Buona notte!”.

Noi tre rimanemmo a vedere uno speciale Tv su Caporetto, ma uno di loro, falsificando la voce, vi chiamò al telefono: “Cavaliere, ma quel soldato che a Caporetto correva tanto, in prima fila,…: avete notato come vi assomigliava!”… Quella notte, distrutto dallo scherzo crudele, vi alzaste mille volte dal letto; vi sentii bofonchiare, passeggiando nervoso, avanti e indietro: “L’Italia, Noi l’emo fatta e noi l’arguastamo!!”. Ma, babbo …: non era una contraddizione stridente quella di volere a tutti i costi difendere un’esperienza che vi aveva fatto tanto soffrire? No, non lo era. Perché.

 

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La lezione della Grande guerra https://www.lavoce.it/la-lezione-della-grande-guerra/ Wed, 27 May 2015 13:13:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34278 Abbiamo appena ricordato, il 24 maggio, il centenario dell’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale; quella che più di ogni altra nella storia umana è stata esaltata dai vincitori come un evento quasi – o senza “quasi” – sacro, e che, mentre era ancora in corso, Papa Benedetto XV aveva definito “inutile strage”.

Ormai che tutti i protagonisti, governanti e testimoni hanno raggiunto nella tomba i caduti (600 mila solo gli italiani), la retorica ha ceduto il posto alla riflessione, e la definizione di Benedetto XV è entrata nel linguaggio comune. Qualcuno ancora nega che sia corretto chiamarla nel suo insieme “inutile strage”, ma nessuno può negare che la sua storia quotidiana sia stata intessuta di innumerevoli “inutili stragi”.

La linea del fronte – dal Mare del Nord all’Adriatico – restò praticamente bloccata per anni, mentre ogni giorno i soldati di qua e di là si buttavano all’assalto e alla morte con la stessa logica di chi picchia la testa contro la roccia pensando di abbatterla. C’è un piccolo altopiano sulle Alpi vicino a Cortina dove sono stati contati sette morti per metro quadrato. Questo si dice non per togliere valore all’eroismo e al sacrificio degli sventurati combattenti, ma per sottolineare l’insipienza e la follia degli Alti Comandi e dei Governi di tutti i Paesi coinvolti.

I soldati italiani furono gettati nella mischia senza preparazione, senza organizzazione e senza mezzi. Nell’autunno 1915 c’era già neve sulle trincee delle Alpi, e i soldati non avevano ancora indumenti di lana. Decine di migliaia di loro sono morti non per i proiettili nemici ma per il tifo, il colera e il congelamento. Ogni mancanza disciplinare, anche la più futile, era punita con la fucilazione. A un certo punto gli austriaci, per risparmiare le munizioni, usavano le mazze ferrate per finire i nemici feriti.

Tutto questo per che cosa? Dopo soli venti anni dalla fine della guerra, tutto ricominciò da capo, e fu anche peggio. Solo allora tre grandi uomini – Adenauer, De Gasperi, Schuman – capirono che l’Europa doveva unirsi per sempre per vivere in pace. Teniamocela stretta, questa Europa unita.

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I cattolici e la Grande guerra https://www.lavoce.it/i-cattolici-e-la-grande-guerra/ Fri, 24 Apr 2015 07:56:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31760 Da sinistra don Bruno Bignami, Alessandro Campi, Giuliano Masciarri
Da sinistra don Bruno Bignami, Alessandro Campi, Giuliano Masciarri

Il 1 agosto 1917 Papa Benedetto XV in una Nota ai capi dei popoli belligeranti definì la “l’inutile strage”. A tre anni dall’inizio del conflitto aveva tentato di esortare i capi dei paesi in guerra a cercare una pace giusta e duratura. È partito da qui, dall’appello del Papa, l’incontro tenuto da don Bruno Bignami, presidente della Fondazione “Don Primo Mazzolari”, docente di teologia e sacerdote della diocesi di Cremona, alla sala delle Colonne della Fondazione Cassa di risparmio di Perugia – il cui tema era “La Chiesa in trincea. I cattolici e la Grande guerra”.

Un incontro, il quinto, che si inserisce nella serie di appuntamenti di approfondimento promossi dalla Fondazione Cariperugia Arte a corredo della mostra in corso a Palazzo Baldeschi a Perugia su “La prima Guerra mondiale e l’Umbria”. Erano presenti il segretario della Fondazione Cassa di risparmio di Perugia Giuliano Masciarri e Alessandro Campi, Università di Perugia.

Sul tema al centro dell’incontro don Bignami ha scritto di recente un volume dal titolo La Chiesa in trincea. I preti nella grande guerra (Salerno editore). “Il rapporto tra i cattolici e la guerra fu molto complesso – ha spiegato don Bignami – e bisogna leggerlo nel contesto di quei tempi, in un momento in cui c’era una Chiesa che combatteva contro la modernità, in un mondo che stava cambiando”. La guerra distrugge, uccide, divide gli uomini tra loro e perfino gli uomini credenti. Si usano armi dalle conseguenze terribili, “ma in molti uomini di fede – ha proseguito don Bignami – s’insinuò l’idea secondo cui per difendere la patria la guerra fosse il giusto mezzo, che fosse giusta a determinate condizioni, per cui la Chiesa si allineò per senso del dovere con lo Stato italiano”.

Ed è in questo contesto che si inserisce la Nota di Benedetto XV, una nota inascoltata, come le precedenti, sia da parte dei Governi belligeranti, che della Chiesa e dei vescovi degli Stati. “Fu un appello che suscitò grande nervosismo e una ‘tempesta d’ire’ – prosegue don Bignami- ‘il Papa si è messo contro di noi’ fu una delle reazioni che si lessero nei giornali”. La guerra stava segnando anche la vita della Chiesa, che in quegli anni stava vivendo un travaglio burrascoso in particolare su due fronti: “il fallimento del teorema della guerra giusta – spiega Bignami – e la crisi di molti ecclesiastici che parteciparono alla guerra mettendo in discussione il rapporto tra la Chiesa e il mondo.

In un contesto di nazionalismo diffuso e di ideologia della patria, tipico della modernità, ogni Chiesa nazionale leggeva la realtà con gli occhi della sua parte, per cui finiva così per giustificare qualsiasi ricorso alle armi per difendere il proprio popolo”. I preti in parrocchia perlopiù erano allineati con Benedetto XV, “perché vedevano la sofferenza delle famiglie, la fame, mentre la presenza dei preti in mezzo all’esercito testimoniavano la fedeltà della Chiesa alla patria”. Partirono per la guerra 24 mila ecclesiastici (tra preti, seminaristi e religiosi), 2500 furono i cappellani militari. Un ruolo, quest’ultimo reintrodotto dal generale Cadorna. Furono perlopiù impiegati nei reparti sanitari o negli ospedali da campo. “Molti di loro erano novizi, chierici o seminaristi che non avevano mai visto il Nord e le Alpi, chiusi all’interno dei loro seminari per cui – ha proseguito – davanti a loro si apriva un mondo del tutto nuovo”.

Don Bignami ha poi fatto una carrellata di sacerdoti che sono partiti per il fronte come don Annibale Carletti, il prete che si distinse per la conquista del passo Buole, don Achille Beltrame, don Piantelli, don Costantini (poi cardinale) e il futuro Papa Roncalli. Anche don Primo Mazzolari (cappellano) passò da un’iniziale idea interventista al pacifismo. Don Bignami ha ricordato anche i tanti che, conclusa la guerra, non ripresero il ministero. Eclatante il caso della città di Messina dove nessun seminarista dopo il conflitto volle continuare gli studi. Molti compresero che erano in atto trasformazioni irreversibili nel rapporto tra la Chiesa e il mondo. Il Concilio Vaticano II farà maturare definitivamente questa riflessione nella celebre costituzione Gaudium et spes.

 

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Gubbio. La Grande guerra vista dai “preti soldato” https://www.lavoce.it/gubbio-la-grande-guerra-vista-dai-preti-soldato/ Fri, 13 Mar 2015 10:39:28 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30842 Alcuni dei documenti esaminati dagli studenti nell’Archivio diocesano di Gubbio
Alcuni dei documenti esaminati dagli studenti nell’Archivio diocesano di Gubbio

La Prima guerra mondiale nei documenti dei soldati eugubini custodite nell’Archivio e nella biblioteca diocesana. È la significativa esperienza vissuta negli splendidi ambienti di via Federico da Montefeltro dai ragazzi della III B della scuola secondaria di primo grado di Ponte Felcino, sezione dell’istituto comprensivo 14 di Perugia diretto da Marta Boriosi. Accompagnati dagli insegnanti Giuseppe Tufo e Micaela Conti e dall’assistente Barbara Gotti, gli studenti hanno potuto approfondire e ampliare le ricerche per il concorso “Esploratori della memoria” promosso dall’Anmig (Associazione mutilati e invalidi di guerra).

È stata l’occasione per portare in primo piano personaggi quali il vescovo Beniamino Ubaldi, Gaetano Leonardi, don Pirro Scavizzi (1884-1964) di cui è in corso da anni il processo di beatificazione. Introdotto dal saluto del vescovo Ceccobelli e della direttrice Anna Maria Trepaoli, l’incontro ha visto susseguirsi vari interventi. Il bibliotecario Filippo Paciotti ha fornito notizie sui cappellani militari e sui preti-soldato, mostrando alcune “lastre in vetro” scattate dai cappellani militari dei Canonici regolari lateranensi con immagini di vita quotidiana del campo e scene di combattimento. Ha illustrato la rivista Il prete al campo di cui era collaboratore don Scavizzi.

L’archivista Anna Radicchi ha presentato la figura del cappellano militare Beniamino Ubaldi, vescovo di Gubbio dal 1932 al 1965, commentando i suoi diari e mostrando alcuni suoi documenti come il libretto personale, la tessera di riconoscimento e il testamento. L’aiuto bibliotecario Giorgio Cardoni ha raccontato la momentanea riconciliazione tra soldati nemici sul fronte occidentale nella tregua di Natale del 1916. Giacomo Marinelli Andreoli, direttore dell’emittente locale Trg, ha parlato del Col di Lana e della festa dei Ceri svoltasi a Pian dei Salesei il 15 maggio 1917 per iniziativa dei militari eugubini.

Marzia e Alessandro Leonardi, pronipoti di Gaetano Leonardi, hanno ricostruito la figura e l’opera del giovane sottotenente di Fanteria, caduto sull’Isonzo, attraverso documenti lettere, fotografie, quaderni biografici e cartoline. A suo nome sono state istituite borse di studio al liceo Mazzatinti. Giacomo Faramelli infine ha mostrato mappe sulle zone di guerra da lui ricostruite, e narrato i particolari della ritirata di Caporetto.

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La Grande Guerra degli umbri https://www.lavoce.it/la-grande-guerra-degli-umbri/ Fri, 27 Feb 2015 11:12:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30526 Una delle sale della mostra con le foto della celebrazione al Milite Ignoto a Perugia il 27 ottobre 1921
Una delle sale della mostra con le foto della celebrazione al Milite Ignoto a Perugia il 27 ottobre 1921

Cento anni fa lo scoppio della Prima Guerra mondiale. Una guerra da non dimenticare e che a Perugia viene ricordata con la mostra “La prima Guerra mondiale e l’Umbria” inaugurata martedì 24 febbraio a Palazzo Baldeschi (dal 25 febbraio al 2 giugno) lungo Corso Vannucci a Perugia dalla Fondazione cassa di risparmio di Perugia e dalla Fondazione Cariperugia Arte. Il percorso espositivo, raccolto in otto sale, ripercorre un pezzo di storia d’Italia e dell’Umbria che si snoda attraverso diverse aree tematiche in grado di restituire un quadro articolato degli eventi e dei suoi principali protagonisti grazie all’esposizione di disegni, fotografie, giornali di trincea, manifesti, cartoline, cimeli e materiali cinematografici.

L’Umbria in quella guerra ha perso quasi 11mila uomini, su un totale dei 650mila caduti in tutta Italia. Colpiscono i volti di alcuni di loro, giovani, immortalati in vecchie fotografie, così come le parole scritte da Enzo Valentini (figlio dell’allora sindaco di Perugia) nelle lettere inviate quotidianamente alla madre raccolte nel 1930 in quello che è diventato un diario personale Enzo Valentini volontario di guerra. Lettere e disegni. Il diario è esposto nella sala dedicata a Perugia, dove troneggiano grandi riproduzioni fotografiche delle celebrazioni al Milite Ignoto del 27 ottobre 1921. A raccontare il percorso della mostra è stato il curatore Marco Pizzo, direttore del Museo centrale del Risorgimento di Roma al Vittoriano. La maggior parte del materiale in esposizione – composto da oggetti e documenti conservati presso gli archivi dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, dell’Iccu (l’Istituto centrale per il catalogo unico), dell’Istituto Centrale dei Beni Sonori e Audiovisivi e dell’Istituto Luce – Cinecittà – viene dalla mostra patrocinata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri – Struttura di missione, allestita a Roma a maggio 2014 presso il Complesso monumentale del Vittoriano. Tale materiale è stato integrato con una sezione umbra anche grazie alla collaborazione di istituzioni locali come il Comune di Perugia, la Soprintendenza archivistica dell’Umbria, la Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, la Camera di commercio di Perugia e l’Ufficio scolastico regionale.

Uno dei cimeli esposti nella prima sala è il piano di coda di un aereo austriaco abbattuto da Francesco Baracca, asso dell’aviazione italiana. In una teca un manichino indossa un cappotto, guanti e berretto in dotazione ai soldati austro-ungarici; in altre sono raccolti oggetti appartenuti ai soldati quali sciabole, granate, baionette, perfino gli scarponi. E poi c’è la sezione dei manifesti propagandistici: le fotografie dal fronte erano proibite, così come i video. In mostra c’è quello commissionato al regista Luca Comerio che fu censurato per eccesso di realismo. I visitatori possono inoltre vivere anche la tragica esperienza della trincea, riprodotta con installazioni video in un’altra delle sale, accompagnati da suoni futuristi. Da un vecchio grammofono si può sentire la voce originale del generale Armando Diaz che legge il bollettino della Vittoria. Si chiude con la sessione dedicata ai pittori – soldato che offrono tramite le loro opere testimonianze artistiche di vita e di morte che si incrociano sui campi di battaglia.

L’intervento di Franco Marini

Il taglio del nastro avvenuto il 24 pomeriggio è stato preceduto da un evento in diretta streaming in un’affollatissima Sala dei Notari, durante il quale sono intervenuti il presidente della Fondazione Cassa di risparmio di Perugia, Carlo Colaiacovo, il presidente della Fondazione Cariperugia Arte, Giuseppe Depretis, il presidente del Comitato storico scientifico per gli anniversari di interesse nazionale, Franco Marini e Marco Pizzo. Franco Marini nel prendere la parola ha ricordato la figura di Vincenzo Valentini, leggendo alcune frasi tratte dal suo diario da cui si evince l’impotenza di fronte ad una guerra che “è stata una rottura della storia non solo per l’evento guerra in se stesso, ma anche per il legame con le difficoltà che viviamo oggi”.“Ricordare la guerra, in particolare la Prima guerra mondiale – ha sottolineato – vuol dire fare un’analisi del presente per non commettere gli stessi errori”. Bisogna riflettere sul fatto che “la Seconda guerra mondiale – ha aggiunto – è stata una propaggine della prima” e oggi, alla luce dei fatti che stanno accadendo nel mondo, è importante che la situazione non sfugga di mano “perché basta una scintilla”. Fondamentale, dunque, “la costruzione di una politica europea ancora inesistente” ha concluso Marini citando anche l’invito di Papa Francesco alle attenzioni necessarie oggi “per non cadere in un’altra guerra mondiale”.

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Da Gorizia parlano le Voci di periferia https://www.lavoce.it/da-gorizia-parlano-le-voci-di-periferia/ Thu, 03 Apr 2014 17:17:02 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24138 “Tutti a Gorizia!” era l’invito rivolto ai direttori e giornalisti dei settimanali cattolici per il convegno nazionale dal 3 al 5 aprile. Noi de La Voce siamo stati nell’impossibilità a partecipare. Ma vogliamo tuttavia notare il senso dell’iniziativa. Intanto segnaliamo che siamo in tanti, i settimanali diffusi in quasi tutte le diocesi italiane, e rappresentiamo “la voce delle periferie”. Contrariamente a quanto avviene per gran pare dell’informazione governata dai centri di potere economico e politico, i settimanali cattolici sono espressione della base della Chiesa, esprimono il sentire del territorio e ne rilanciano la voce. Non per caso molti si chiamano “La voce” di questo o di quel territorio (a Gorizia festeggiano i 50 anni de La voce isontina) e ne rappresentano gli umori e le istanze.

Siamo periferia, ma non allo sbando, perché abbiamo un centro di riferimento nella comunità cristiana e una comune ispirazione religiosa: settimanali cattolici di informazione e non riduttivamente settimanali di informazione cattolica. L’essere periferia comporta comunque sempre un riferimento a un centro, altrimenti le periferie stesse diventerebbero autoreferenziali e non potrebbero più avere criteri di confronto. Un altro problema che i settimanali cattolici – e tutti gli altri giornali – devono affrontare in questo periodo di trasformazione dei mezzi della comunicazione è il passaggio dal cartaceo al digitale. Passaggio per il quale cerchiamo insieme di trovare nuovi modelli di comunicazione. La comunicazione d’altra parte è fondamentale compito di un popolo come quello cristiano che vuole annunciare buone notizie, raccogliere la voce di chi non ha voce, rappresentare le ricchezze e le povertà di territori in cui questi giornali sono radicati anche da lunghissimo tempo. Noi ad esempio abbiamo compiuto 60 anni di vita, che andiamo celebrando con iniziative che ci auguriamo suscitino interesse e partecipazione da parte dei lettori e amici.

Ma altra motivazione per andare a Gorizia sarebbe stata quella di ascoltare le relazioni e i commenti sul tema scelto, di straordinaria attualità: “Europa e confini” a 100 anni dallo scoppio della Prima guerra mondiale. La relazione di apertura, tanto per fare un esempio è fatta dal vescovo ausiliare di Sarajevo, che tratta della Bosnia Erzegovina cuore dei Balcani, cartina di tornasole dell’Europa. Si evoca la Prima guerra mondiale per ciò che ha rappresentato, di eroico e tragico insieme, in una città come Gorizia che si trova al centro di uno scenario che evoca sangue e lacrime, con milioni di morti; quella guerra che Benedetto XV non esitò a definire “inutile strage”. Tutto ciò invita a ripensare all’Europa con occhi e spirito nuovi, fosse anche solo per onorare quei morti che vi hanno lasciato la vita o gli altri che, tornati dai vari fronti e dalla prigionia, ne rimasero definitivamente segnati; come mio padre, giovanissima recluta scampato per grazia all’orribile macello.

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Esploratori della Memoria https://www.lavoce.it/esploratori-della-memoria/ Thu, 09 May 2013 16:05:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=16684 La lapide al monumento ai caduti ternani ingresso passeggiata
La lapide al monumento ai caduti ternani ingresso passeggiata

Più di 400 giovani “esploratori della memoria”: sono gli studenti delle 27 classi di 14 scuole dell’Umbria che hanno partecipato a un concorso indetto dal Comitato regionale dell’Anmig (l’associazione dei mutilati ed invalidi di guerra) per fare conoscere alle nuove generazioni le vicende della storia moderna d’Italia e rafforzare la cultura della pace. La premiazione si è svolta il 3 maggio al Centro congressi “Capitini” di Perugia con la partecipazione della fanfara dei bersaglieri.

Il concorso, giunto alla 2a edizione, si inserisce nel progetto “Pietre della memoria” che consiste nel catalogare in Umbria lapidi, monumenti, steli, cippi e lastre commemorative che ricordano persone e fatti della Prima e della Seconda guerra mondiale. Tutti i dati sono archiviati nel sito internet www.pietredellamemoria.it, dove si possono cercare i nomi dei caduti nelle due guerre e tutte le informazioni storiche sulle pietre censite. Un sito aggiornato continuamente dove anche i visitatori possono inserire nuove informazioni.

Gli studenti, in questa edizione del premio, hanno censito 83 pietre della memoria, prodotto 24 servizi video e un audio con interviste, raccolto più di 200 fotografie e documenti originali. Grazie al loro contributo e a quello di enti, associazioni e volontari sono più di 300 le “pietre della memoria” che si possono consultare sul sito.

L’Anmig, il cui presidente regionale è il cav. Serafino Gasperini, in Umbria ha 11 sezioni con 1.431 soci storici, 250 nuovi soci e oltre 900 aderenti alla omonima Fondazione. L’associazione si propone di promuovere, “nel ricordo del dovere compiuto per la patria e nell’auspicio della eliminazione delle guerre, ogni iniziativa diretta al consolidamento della pace, della cooperazione e dell’amicizia tra gli Stati, nonché allo sviluppo del civile, giusto e democratico progresso del popolo italiano”.

Queste le scuole vincitrici della seconda edizione del concorso Esploratori della memoria: Direzione didattica I circolo “G. Matteotti Semonte” Gubbio per le scuole elementari; Icf “Melanzio” di Montefalco per le medie inferiori; Ipssart “G. De Carolis” di Spoleto per le superiori. Premi speciali sono stati assegnati alle scuole medie inferiori “G. Leopardi” di Otricoli e alla “Leonardo Da Vinci – O. Nucola” di Terni.

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