Popolo di Dio Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/popolo-di-dio/ Settimanale di informazione regionale Sat, 26 Mar 2022 20:10:10 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Popolo di Dio Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/popolo-di-dio/ 32 32 Con la Lettera del cardinale Bassetti si apre la fase operativa del Cammino sinodale diocesano https://www.lavoce.it/cammino-sinodale-diocesano-con-la-lettera-del-cardinale-bassetti-si-apre-la-fase-operativa/ Sat, 20 Nov 2021 13:07:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=63274 celebrazione d'inizio del cammino sinodale in cattedrale messa cardinale Bassetti 17 ottobre 2021

“Oggi voglio invitarvi a vedere il Cammino sinodale veramente come un ‘tempo di grazia’, come l’occasione data a tutti noi, Popolo di Dio, di ritrovarci insieme, in cammino, per riflettere sul modo di essere Chiesa del terzo millennio”. È l’invito del Cardinale Arcivescovo Gualtiero Bassetti rivolto a tutto il popolo di Dio che vive nella diocesi di Perugia - Città della Pieve. Le parole del Cardinale risuoneranno dalla voce dei parroci che al termine di tutte le messe di domenica 21 novembre leggeranno la “Lettera/invito alla comunità Perugino – Pievese a partecipare al Cammino sinodale”. Con questo invito prende il via la fase concreta, operativa, del Cammino sinodale diocesano. Nella Lettera il Cardinale ricorda la gioia provata nella celebrazione del 17 ottobre scorso, unita alla “consapevolezza di trovarci innanzi ad un evento storico inserito a pieno titolo in quel ‘cambiamento d’epoca’ richiamato più volte da Papa Francesco”. “Aprendo il nostro Cammino diocesano ricordavo - aggiunge Bassetti - che ‘la Chiesa ha bisogno anche oggi di ripensare se stessa: non solo guardando a come porsi di fronte al mondo, ma anche per comprendere come viviamo le nostre relazioni’”.

L'invito di Bassetti

Nella Lettera (che sarà pubblicata anche sul sito dedicato www.camminosinodaleperugia) Bassetti invita ad entrare “con generosità in questa avventura, con l’unico desiderio di imparare di nuovo e più profondamente a vivere il dono del battesimo che abbiamo ricevuto”. Nella seconda parte indica anche come si può concretamente partecipare a questo Cammino. “In primo luogo - scrive - possiamo pregare. Pregare tutti, pregare con fede, pregare perché non si debba dire che abbiamo sprecato la nostra occasione, l’occasione di una vita!”. “In secondo luogo - aggiunge - apriamo il nostro cuore al soffio dello Spirito! Aprite il vostro cuore tra di voi, con la vostra partecipazione attiva ai ‘gruppi sinodali’ che possono essere costituiti anche a partire dalla vostra iniziativa. Quanto bene farà alla nostra vita questo impegnarci nel Cammino Sinodale! E quanto bene farà alla vita di tanti che aspettano da noi gesti della maternità della Chiesa, dove nessuno si possa sentire escluso! Per una Chiesa così, che realizzi il sogno di Dio, c’è bisogno di ciascuno di noi”.

Attivare gruppi e partecipare

Il Cardinale invita quindi a prendere in mano e leggere il dépliant contenente le informazioni utili, che verrà distribuito domenica, ma anche a portarlo nei “luoghi di vita”. Prima di concludere con una preghiera il Cardinale invita tutti ad impegnarsi “con gioia e con coraggio in questa meravigliosa avventura missionaria”. “All’inizio del Cammino sinodale, l’augurio che faccio a tutti noi - scrive - è di vivere un’esperienza di comunione anche e soprattutto nel momento del confronto e del dibattito, sapendo che lo Spirito Santo, che abbiamo ricevuto nel Battesimo, abita in noi ed è la vera e unica guida del nostro Cammino di comunità”.

L’équipe diocesana al lavoro

Il 10 Ottobre 2021 Papa Francesco ha avviato questo processo che porterà i Vescovi ad incontrarsi nell’anno 2023 per celebrare il Sinodo sulla sinodalità dal titolo: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. E il 17 ottobre anche a Perugia c’è stata la celebrazione ufficiale di apertura del Sinodo che nel primo anno prevede una fase di “ascolto” di tutto il Popolo di Dio, come indicato nel Documento preparatorio. In quell’occasione il Cardinale Gualtiero Bassetti aveva annunciato la costituzione della Équipe sinodalediocesana  che si è messa subito al lavoro. Coordinati dal referente/coordinatore diocesano don Calogero Di Leo, direttore dell’Ufficio catechistico diocesano, l’Équipe sinodale diocesana ha predispoto le modalità concrete attraverso cui sostenere e stimolare la partecipazione più ampia possibile.

Il sito internet dedicato

Oltre alla Lettera d’invito dell’arcivescovo card. Gualtiero Bassetti, che viene letta dai parroci al termine delle messe, nelle parrocchie della diocesi da domenica è disponibile anche un dépliant informativo su come fare e a chi rivolgersi per attivare un gruppo sinodale. L’Équipe ha attivato anche il sito internet www.camminosinodaleperugia.it nel quale sono pubblicate tutte le informazioni e i sussidi utili per animare i gruppi sinodali.

Giornata formativa il 3 dicembre

Inoltre è pubblicato il calendario che prevede come primo appuntamento la giornata di formazione per i coordinatori dei gruppi sinodali che si terrà venerdì 3 dicembre. Ecco il programma: ore 18.00 Celebrazione eucaristica presieduta dal Vescovo Card. Gualtiero Bassetti; a seguire: Formazione sulla sinodalità e il discernimento comunitario nei gruppi sinodali; Cena; Divisione in gruppi di discernimento su alcune domande del sinodo (massimo 10-12 persone); Condivisione delle sintesi dei vari gruppi; ore 22.00 Conclusioni dell’equipe sinodale. Per partecipare è obbligatorio il green pass. Le iscrizioni sono aperte dal 22 Novembre sulla pagina dedicata del sito web del Cammino diocesano sinodale.]]>
celebrazione d'inizio del cammino sinodale in cattedrale messa cardinale Bassetti 17 ottobre 2021

“Oggi voglio invitarvi a vedere il Cammino sinodale veramente come un ‘tempo di grazia’, come l’occasione data a tutti noi, Popolo di Dio, di ritrovarci insieme, in cammino, per riflettere sul modo di essere Chiesa del terzo millennio”. È l’invito del Cardinale Arcivescovo Gualtiero Bassetti rivolto a tutto il popolo di Dio che vive nella diocesi di Perugia - Città della Pieve. Le parole del Cardinale risuoneranno dalla voce dei parroci che al termine di tutte le messe di domenica 21 novembre leggeranno la “Lettera/invito alla comunità Perugino – Pievese a partecipare al Cammino sinodale”. Con questo invito prende il via la fase concreta, operativa, del Cammino sinodale diocesano. Nella Lettera il Cardinale ricorda la gioia provata nella celebrazione del 17 ottobre scorso, unita alla “consapevolezza di trovarci innanzi ad un evento storico inserito a pieno titolo in quel ‘cambiamento d’epoca’ richiamato più volte da Papa Francesco”. “Aprendo il nostro Cammino diocesano ricordavo - aggiunge Bassetti - che ‘la Chiesa ha bisogno anche oggi di ripensare se stessa: non solo guardando a come porsi di fronte al mondo, ma anche per comprendere come viviamo le nostre relazioni’”.

L'invito di Bassetti

Nella Lettera (che sarà pubblicata anche sul sito dedicato www.camminosinodaleperugia) Bassetti invita ad entrare “con generosità in questa avventura, con l’unico desiderio di imparare di nuovo e più profondamente a vivere il dono del battesimo che abbiamo ricevuto”. Nella seconda parte indica anche come si può concretamente partecipare a questo Cammino. “In primo luogo - scrive - possiamo pregare. Pregare tutti, pregare con fede, pregare perché non si debba dire che abbiamo sprecato la nostra occasione, l’occasione di una vita!”. “In secondo luogo - aggiunge - apriamo il nostro cuore al soffio dello Spirito! Aprite il vostro cuore tra di voi, con la vostra partecipazione attiva ai ‘gruppi sinodali’ che possono essere costituiti anche a partire dalla vostra iniziativa. Quanto bene farà alla nostra vita questo impegnarci nel Cammino Sinodale! E quanto bene farà alla vita di tanti che aspettano da noi gesti della maternità della Chiesa, dove nessuno si possa sentire escluso! Per una Chiesa così, che realizzi il sogno di Dio, c’è bisogno di ciascuno di noi”.

Attivare gruppi e partecipare

Il Cardinale invita quindi a prendere in mano e leggere il dépliant contenente le informazioni utili, che verrà distribuito domenica, ma anche a portarlo nei “luoghi di vita”. Prima di concludere con una preghiera il Cardinale invita tutti ad impegnarsi “con gioia e con coraggio in questa meravigliosa avventura missionaria”. “All’inizio del Cammino sinodale, l’augurio che faccio a tutti noi - scrive - è di vivere un’esperienza di comunione anche e soprattutto nel momento del confronto e del dibattito, sapendo che lo Spirito Santo, che abbiamo ricevuto nel Battesimo, abita in noi ed è la vera e unica guida del nostro Cammino di comunità”.

L’équipe diocesana al lavoro

Il 10 Ottobre 2021 Papa Francesco ha avviato questo processo che porterà i Vescovi ad incontrarsi nell’anno 2023 per celebrare il Sinodo sulla sinodalità dal titolo: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. E il 17 ottobre anche a Perugia c’è stata la celebrazione ufficiale di apertura del Sinodo che nel primo anno prevede una fase di “ascolto” di tutto il Popolo di Dio, come indicato nel Documento preparatorio. In quell’occasione il Cardinale Gualtiero Bassetti aveva annunciato la costituzione della Équipe sinodalediocesana  che si è messa subito al lavoro. Coordinati dal referente/coordinatore diocesano don Calogero Di Leo, direttore dell’Ufficio catechistico diocesano, l’Équipe sinodale diocesana ha predispoto le modalità concrete attraverso cui sostenere e stimolare la partecipazione più ampia possibile.

Il sito internet dedicato

Oltre alla Lettera d’invito dell’arcivescovo card. Gualtiero Bassetti, che viene letta dai parroci al termine delle messe, nelle parrocchie della diocesi da domenica è disponibile anche un dépliant informativo su come fare e a chi rivolgersi per attivare un gruppo sinodale. L’Équipe ha attivato anche il sito internet www.camminosinodaleperugia.it nel quale sono pubblicate tutte le informazioni e i sussidi utili per animare i gruppi sinodali.

Giornata formativa il 3 dicembre

Inoltre è pubblicato il calendario che prevede come primo appuntamento la giornata di formazione per i coordinatori dei gruppi sinodali che si terrà venerdì 3 dicembre. Ecco il programma: ore 18.00 Celebrazione eucaristica presieduta dal Vescovo Card. Gualtiero Bassetti; a seguire: Formazione sulla sinodalità e il discernimento comunitario nei gruppi sinodali; Cena; Divisione in gruppi di discernimento su alcune domande del sinodo (massimo 10-12 persone); Condivisione delle sintesi dei vari gruppi; ore 22.00 Conclusioni dell’equipe sinodale. Per partecipare è obbligatorio il green pass. Le iscrizioni sono aperte dal 22 Novembre sulla pagina dedicata del sito web del Cammino diocesano sinodale.]]>
Il Risorto mantiene le promesse https://www.lavoce.it/il-risorto-mantiene-le-promesse/ Fri, 29 May 2020 17:47:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57245 logo rubrica domande sulla liturgia

Nel giorno in cui si ascolta la promessa della presenza reale costante del Risorto lungo i secoli, tale presenza è stata celebrata come popolo attraverso l’eucarestia comunitaria. Proprio nella prima domenica in cui le comunità cristiane si sono ritrovate nuovamente a celebrare insieme l’eucarestia, si è potuto ascoltare il racconto dell’Ascensione secondo il Vangelo di Matteo (28,16-20). Racconto nel quale il Risorto, oltre ad aver consegnato la missione evangelizzatrice agli apostoli, fa una promessa ai discepoli di ogni generazione: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (v. 20). Infatti, come afferma la Costituzione conciliare sulla liturgia Sacrosanctum Concilium (al numero 7), “Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche” affinché essa possa attuare l’opera della salvezza “mediante il sacrificio e i sacramenti” (SC, 6). Presenza che si attua - continua il numero 7 - “nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro, sia soprattutto sotto le specie eucaristiche”. Non solo, però: “È presente con la sua virtù nei sacramenti… è presente nella sua parola… è presente infine quando la Chiesa prega e loda” (SC, 7).
La Costituzione conciliare, dunque, dà concretezza alla promessa fatta dal Cristo risorto ai discepoli: il Risorto è presente nella messa, sia nella persona del ministro, sia nelle specie eucaristiche, è presente nei sacramenti, nella Parola proclamata, così come nella comunità che si ritrova a pregare e celebrare.
Pur non essendo nuove queste affermazioni, perché già l’enciclica Mediator Dei di Pio XII e il Concilio di Trento a loro volta e a loro modo lo avevano dichiarato, ci permettono di puntualizzare un tema importante: Cristo è presente realmente non solo nelle specie eucaristiche, anche se in special modo in esse. La nostra attenzione infatti si focalizza sul vedere tale presenza “reale” del Risorto nel pane e nel vino consacrati, ma tradizione vuole che il Cristo è presente nella sua Chiesa anche nelle altre modalità di cui abbiamo già detto. Paolo VI nell’enciclica Mysterium Fidei riprende il discorso dando, come è giusto che sia, priorità al sacrificio della messa, nel pane e nel vino, senza però tralasciare la presenza che può essere sempre considerata “reale”, anche se in diversa maniera, nelle forme richiamate dal documento conciliare. Non solo, Paolo VI continua affermando che Cristo è presente nella Chiesa quando essa compie le opere di carità, quando predica il Vangelo, quando regge e governa il popolo. Dunque la promessa del Risorto si compie sì in special modo nella liturgia, e in maniera sublime nella celebrazione eucaristica, ma non esclusivamente in esse. Questa non è solo una consapevolezza da avere ma anche un atteggiamento da assumere: accogliere Cristo presente nell’eucarestia, nei sacramenti, nella Parola proclamata e annunciata, nell’assemblea orante, nel fratello bisognoso. Don Francesco Verzini]]>
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Nel giorno in cui si ascolta la promessa della presenza reale costante del Risorto lungo i secoli, tale presenza è stata celebrata come popolo attraverso l’eucarestia comunitaria. Proprio nella prima domenica in cui le comunità cristiane si sono ritrovate nuovamente a celebrare insieme l’eucarestia, si è potuto ascoltare il racconto dell’Ascensione secondo il Vangelo di Matteo (28,16-20). Racconto nel quale il Risorto, oltre ad aver consegnato la missione evangelizzatrice agli apostoli, fa una promessa ai discepoli di ogni generazione: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (v. 20). Infatti, come afferma la Costituzione conciliare sulla liturgia Sacrosanctum Concilium (al numero 7), “Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche” affinché essa possa attuare l’opera della salvezza “mediante il sacrificio e i sacramenti” (SC, 6). Presenza che si attua - continua il numero 7 - “nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro, sia soprattutto sotto le specie eucaristiche”. Non solo, però: “È presente con la sua virtù nei sacramenti… è presente nella sua parola… è presente infine quando la Chiesa prega e loda” (SC, 7).
La Costituzione conciliare, dunque, dà concretezza alla promessa fatta dal Cristo risorto ai discepoli: il Risorto è presente nella messa, sia nella persona del ministro, sia nelle specie eucaristiche, è presente nei sacramenti, nella Parola proclamata, così come nella comunità che si ritrova a pregare e celebrare.
Pur non essendo nuove queste affermazioni, perché già l’enciclica Mediator Dei di Pio XII e il Concilio di Trento a loro volta e a loro modo lo avevano dichiarato, ci permettono di puntualizzare un tema importante: Cristo è presente realmente non solo nelle specie eucaristiche, anche se in special modo in esse. La nostra attenzione infatti si focalizza sul vedere tale presenza “reale” del Risorto nel pane e nel vino consacrati, ma tradizione vuole che il Cristo è presente nella sua Chiesa anche nelle altre modalità di cui abbiamo già detto. Paolo VI nell’enciclica Mysterium Fidei riprende il discorso dando, come è giusto che sia, priorità al sacrificio della messa, nel pane e nel vino, senza però tralasciare la presenza che può essere sempre considerata “reale”, anche se in diversa maniera, nelle forme richiamate dal documento conciliare. Non solo, Paolo VI continua affermando che Cristo è presente nella Chiesa quando essa compie le opere di carità, quando predica il Vangelo, quando regge e governa il popolo. Dunque la promessa del Risorto si compie sì in special modo nella liturgia, e in maniera sublime nella celebrazione eucaristica, ma non esclusivamente in esse. Questa non è solo una consapevolezza da avere ma anche un atteggiamento da assumere: accogliere Cristo presente nell’eucarestia, nei sacramenti, nella Parola proclamata e annunciata, nell’assemblea orante, nel fratello bisognoso. Don Francesco Verzini]]>
Pastore di un popolo https://www.lavoce.it/pastore-di-un-popolo/ Fri, 01 May 2020 09:37:18 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56999

Nella cammino dell’anno liturgico la IV Domenica di Pasqua è tradizionalmente dedicata alla preghiera per le vocazioni, un termine che si è sempre più declinato sul versante della preghiera per le vocazioni sacerdotali, oscurando un po’ il vero significato della parola “vocazione”. È invece, prima di tutto una chiamata all’amore per tutti, un appello alla santità, per gustare la bellezza della vita. La liturgia stessa, nella “Colletta” iniziale, definisce tutti noi “umile gregge di fedeli” in cammino verso il Padre, preceduti da Cristo unico Pastore. Sappiamo come Gesù istruisce il suo popolo attraverso immagini e parabole, evocando situazioni e racconti tratti dalla vita quotidiana. Una di queste è l’immagine del gregge, del pastore, del recinto delle pecore, di colui che furtivamente entra senza passare dalla porta principale. Una immagine cara alla gente a cui parla Gesù, che vive da vicino la condizione descritta. Non solo, nella tradizione antica Israele è stato un popolo nomade, camminando con i propri animali, ha sperimentato più volte la via dell’esilio e del ritorno. A capo di questo popolo Dio ha sempre scelto uomini che lo guidassero, che fossero la sua presenza in mezzo ad esso, riservandosi però la particolarità di essere l’unico e vero pastore.

Pastori per il popolo

A partire da Abramo, passando per Mosè, per giungere fino al Re Davide, quest’ultimo scelto proprio mentre pascolava il gregge di suo padre (1Sam 16,11-13), Israele ha “sperimentato” cosa significasse essere un gregge, e Dio ha chiamato a guidare questo popolo alcuni uomini come pastori. Essi sono pastori perché rendono presente la guida di un Padre, lo sono non per se stessi ma per il popolo. Potremmo dire una presenza “sacramentale” della paternità di Dio. Ma al Padre è piaciuto inviare il suo figlio Gesù, l’unico pastore, che la Lettera agli Ebrei definisce: “il Pastore grande delle pecore, fatto tornare dai morti” (Eb 13,20). Nel capitolo 10 del Vangelo di Giovanni è tracciata una delle autorivelazioni di Gesù: “Io sono il buon pastore (Gv 10,11), un versetto successivo al Vangelo di questa domenica, preceduto dalla descrizione delle caratteristiche del pastore e della sua autorità, in contrapposizione al ladro e al brigante che entra per rubare e disperdere il gregge (Gv 10,1-2). Viene descritto lo stretto legame, tra pastore e gregge, che si riconoscono vicendevolmente.

Così è il “buon pastore”

Il pastore conosce il nome di ciascuna pecora, e la sua voce è rassicurante perché hanno sperimentato la tenerezza del loro pastore, lo hanno visto preoccuparsi di colei che si era dispersa, lo hanno visto affaticato riportare sulle proprie spalle quella smarrita, quella ferita, (Lc 15,4-6) e condurre dolcemente l’intero gregge, come ci descrive Isaia nel cosiddetto Libro della Consolazione (Is 40,11). Possiamo immaginare che sia questo gregge, che ha visto l’amore del pastore, a cantare il Salmo 22 elencando le sue qualità e soprattutto comprendendo che solo dietro di lui può trovare sicurezza e ristoro (Sal 22,2-4). Questo pastore, in cui Gesù si identifica è amato dal suo gregge perché non solo lo difende, lo cura e lo custodisce ma, come ha dato la sua vita una volta per sempre, è continuamente disposto a “metterla in gioco” per amore del “suo gregge-suo popolo”. Proprio san Pietro, nella seconda lettura, ci descrive come il Pastore Grande delle pecore si fa “capro espiatorio” dei nostri peccati sul legno della croce (1Pt 2,24). Ora ritornato in vita si fa “Cireneo delle nostre anime”, e noi come pecore disperse ritorniamo a Lui. Abbiamo visto le sue piaghe, esse ci hanno guarito (1Pt 2,25). Nella descrizione evangelica del pastore buono, Gesù mette in guardia dai “cattivi pastori” che non hanno a cuore il gregge, ma solo sé stessi. Questa contrapposizione è evocata proprio per descrivere il tradimento del compito affidato da Dio a pastori venuti prima di Lui (Gv 10,8). È evidente, da parte di Gesù, il riferimento a farisei e scribi, incontrati nel capitolo 9 del Vangelo di Giovanni , nell’episodio del cieco nato. Essi sono quelli che non passano per la porta (Gv 10,1-2).

Pregare per le vocazioni

Se questa domenica è dedicata alla preghiera per le vocazioni, è opportuno pregare perché il Signore doni pastori secondo il suo cuore, ma nello stesso tempo è urgente pregare perché le nostre comunità riscoprano la vocazione ad essere grembo fecondo per tutte le vocazioni. Comunità disposte a passare attraverso la porta che è Cristo (Gv 10,9), la cui forma è quella della croce, attraverso la quale si passa non per sfondamento ma per affinamento. Don Andrea Rossi]]>

Nella cammino dell’anno liturgico la IV Domenica di Pasqua è tradizionalmente dedicata alla preghiera per le vocazioni, un termine che si è sempre più declinato sul versante della preghiera per le vocazioni sacerdotali, oscurando un po’ il vero significato della parola “vocazione”. È invece, prima di tutto una chiamata all’amore per tutti, un appello alla santità, per gustare la bellezza della vita. La liturgia stessa, nella “Colletta” iniziale, definisce tutti noi “umile gregge di fedeli” in cammino verso il Padre, preceduti da Cristo unico Pastore. Sappiamo come Gesù istruisce il suo popolo attraverso immagini e parabole, evocando situazioni e racconti tratti dalla vita quotidiana. Una di queste è l’immagine del gregge, del pastore, del recinto delle pecore, di colui che furtivamente entra senza passare dalla porta principale. Una immagine cara alla gente a cui parla Gesù, che vive da vicino la condizione descritta. Non solo, nella tradizione antica Israele è stato un popolo nomade, camminando con i propri animali, ha sperimentato più volte la via dell’esilio e del ritorno. A capo di questo popolo Dio ha sempre scelto uomini che lo guidassero, che fossero la sua presenza in mezzo ad esso, riservandosi però la particolarità di essere l’unico e vero pastore.

Pastori per il popolo

A partire da Abramo, passando per Mosè, per giungere fino al Re Davide, quest’ultimo scelto proprio mentre pascolava il gregge di suo padre (1Sam 16,11-13), Israele ha “sperimentato” cosa significasse essere un gregge, e Dio ha chiamato a guidare questo popolo alcuni uomini come pastori. Essi sono pastori perché rendono presente la guida di un Padre, lo sono non per se stessi ma per il popolo. Potremmo dire una presenza “sacramentale” della paternità di Dio. Ma al Padre è piaciuto inviare il suo figlio Gesù, l’unico pastore, che la Lettera agli Ebrei definisce: “il Pastore grande delle pecore, fatto tornare dai morti” (Eb 13,20). Nel capitolo 10 del Vangelo di Giovanni è tracciata una delle autorivelazioni di Gesù: “Io sono il buon pastore (Gv 10,11), un versetto successivo al Vangelo di questa domenica, preceduto dalla descrizione delle caratteristiche del pastore e della sua autorità, in contrapposizione al ladro e al brigante che entra per rubare e disperdere il gregge (Gv 10,1-2). Viene descritto lo stretto legame, tra pastore e gregge, che si riconoscono vicendevolmente.

Così è il “buon pastore”

Il pastore conosce il nome di ciascuna pecora, e la sua voce è rassicurante perché hanno sperimentato la tenerezza del loro pastore, lo hanno visto preoccuparsi di colei che si era dispersa, lo hanno visto affaticato riportare sulle proprie spalle quella smarrita, quella ferita, (Lc 15,4-6) e condurre dolcemente l’intero gregge, come ci descrive Isaia nel cosiddetto Libro della Consolazione (Is 40,11). Possiamo immaginare che sia questo gregge, che ha visto l’amore del pastore, a cantare il Salmo 22 elencando le sue qualità e soprattutto comprendendo che solo dietro di lui può trovare sicurezza e ristoro (Sal 22,2-4). Questo pastore, in cui Gesù si identifica è amato dal suo gregge perché non solo lo difende, lo cura e lo custodisce ma, come ha dato la sua vita una volta per sempre, è continuamente disposto a “metterla in gioco” per amore del “suo gregge-suo popolo”. Proprio san Pietro, nella seconda lettura, ci descrive come il Pastore Grande delle pecore si fa “capro espiatorio” dei nostri peccati sul legno della croce (1Pt 2,24). Ora ritornato in vita si fa “Cireneo delle nostre anime”, e noi come pecore disperse ritorniamo a Lui. Abbiamo visto le sue piaghe, esse ci hanno guarito (1Pt 2,25). Nella descrizione evangelica del pastore buono, Gesù mette in guardia dai “cattivi pastori” che non hanno a cuore il gregge, ma solo sé stessi. Questa contrapposizione è evocata proprio per descrivere il tradimento del compito affidato da Dio a pastori venuti prima di Lui (Gv 10,8). È evidente, da parte di Gesù, il riferimento a farisei e scribi, incontrati nel capitolo 9 del Vangelo di Giovanni , nell’episodio del cieco nato. Essi sono quelli che non passano per la porta (Gv 10,1-2).

Pregare per le vocazioni

Se questa domenica è dedicata alla preghiera per le vocazioni, è opportuno pregare perché il Signore doni pastori secondo il suo cuore, ma nello stesso tempo è urgente pregare perché le nostre comunità riscoprano la vocazione ad essere grembo fecondo per tutte le vocazioni. Comunità disposte a passare attraverso la porta che è Cristo (Gv 10,9), la cui forma è quella della croce, attraverso la quale si passa non per sfondamento ma per affinamento. Don Andrea Rossi]]>
Coronavirus. Niente messe, ma almeno la comunione si può fare? https://www.lavoce.it/coronavirus-la-comunione-si-puo-fare/ https://www.lavoce.it/coronavirus-la-comunione-si-puo-fare/#comments Tue, 21 Apr 2020 13:11:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56910 logo rubrica domande sulla liturgia

Ad oggi ancora non è possibile partecipare alla Messa. È possibile ricevere almeno la comunione, sempre chiaramente rispettando tutte le norme igienico-sanitarie? In molti se lo chiedono. Cercherò di rispondere tenendo conto dell’attuale situazione che le nostre comunità cristiane stanno vivendo. Non mi permettono di dare una soluzione assoluta ma piuttosto una risposta aperta. Cercando di suscitare una riflessione, anche provocatoria, sia sua sia degli altri lettori, preti o laici che siano.

Comunione fuori dalla messa

Partiamo anzitutto da un dato storico che ci permette di collocare la comunione fuori dalla messa nel suo contesto originario. Giustino, martire e apologeta cristiano del II secolo, nella sua Prima Apologia, descrivendo l’assemblea eucaristica domenicale testimonia che “a ciascuno dei presenti si distribuiscono e si partecipano gli elementi  (il pane e il vino, ndr) sui quali furono rese grazie, mentre i medesimi sono mandati agli assenti per mano dei diaconi” (cfr. Prima Apologia, c.67) (Il brano è proposto nell'Ufficio delle letture della III domenica di Pasqua, quest'anno il 26 aprile). Da questo possiamo dedurre come conseguenza che la Chiesa, almeno in alcune regioni geografiche, sin dalle origini abbia assunto come prassi quella di comunicare anche le persone assenti alla celebrazione. Giustino non specifica il motivo dell’assenza, ma possiamo supporre che gli assenti fossero coloro impossibilitati a prendere parte alla celebrazione, come gli ammalati. Questo in qualche maniera giustificherebbe la prassi sempre più diffusa nella Chiesa di conservare l’eucarestia anzitutto per la comunione ai malati o ai morenti. Il resto dei fedeli partecipavano e partecipano oggi come allora alla comunione sacramentale nella celebrazione della messa – o della celebrazione della Parola nel caso in cui sia un diacono a presiederla - e non al di fuori di essa. Ci sono però alcuni documenti magisteriali, come anche il Rito della comunione fuori dalla messa e culto eucaristico, che aprono alla possibilità di dare la comunione “anche fuori dalla Messa ai fedeli che ne fanno richiesta” (n.14). Possiamo quindi rispondere alla domanda in maniera affermativa. La possibilità di ricevere la comunione fuori dalla messa oggi è legittimata dall’indicazione del rituale, poiché attualmente i fedeli non possono prendere parte alla celebrazione.

Ciò che è legittimo è anche opportuno?

Detto questo, pongo una domanda: cosa ci manca in questo momento emergenziale? Cioè perché chiediamo come laici, o pratichiamo come preti, la comunione fuori dalla messa? Mi permetto di chiederlo perché - senza giudizio alcuno - se la risposta fosse limitata al solo desiderio, più che comprensibile, di fare la comunione allora ci si potrebbe chiedere se abbiamo consapevolezza di cosa sia l’eucarestia. L'eucarestia è una celebrazione ricca di riti e parole che concorrono tutti all’edificazione del corpo di Cristo che è la Chiesa? Oppure l’eucarestia sono solo le specie eucaristiche quasi fossero uno dei tanti oggetti che rispondono a qualche nostro bisogno?

Infine: tutto ciò che è legittimo è anche opportuno?

Nella situazione che stiamo vivendo è opportuno fare la comunione fuori dalla messa, ingenerando il rischio di sganciare l’eucarestia dal suo contesto celebrativo, che non è riducibile alle sole specie eucaristiche, e magari di avallare con questa prassi una fede poco matura che cade nel devozionismo? Buona riflessione. Francesco Verzini]]>
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Ad oggi ancora non è possibile partecipare alla Messa. È possibile ricevere almeno la comunione, sempre chiaramente rispettando tutte le norme igienico-sanitarie? In molti se lo chiedono. Cercherò di rispondere tenendo conto dell’attuale situazione che le nostre comunità cristiane stanno vivendo. Non mi permettono di dare una soluzione assoluta ma piuttosto una risposta aperta. Cercando di suscitare una riflessione, anche provocatoria, sia sua sia degli altri lettori, preti o laici che siano.

Comunione fuori dalla messa

Partiamo anzitutto da un dato storico che ci permette di collocare la comunione fuori dalla messa nel suo contesto originario. Giustino, martire e apologeta cristiano del II secolo, nella sua Prima Apologia, descrivendo l’assemblea eucaristica domenicale testimonia che “a ciascuno dei presenti si distribuiscono e si partecipano gli elementi  (il pane e il vino, ndr) sui quali furono rese grazie, mentre i medesimi sono mandati agli assenti per mano dei diaconi” (cfr. Prima Apologia, c.67) (Il brano è proposto nell'Ufficio delle letture della III domenica di Pasqua, quest'anno il 26 aprile). Da questo possiamo dedurre come conseguenza che la Chiesa, almeno in alcune regioni geografiche, sin dalle origini abbia assunto come prassi quella di comunicare anche le persone assenti alla celebrazione. Giustino non specifica il motivo dell’assenza, ma possiamo supporre che gli assenti fossero coloro impossibilitati a prendere parte alla celebrazione, come gli ammalati. Questo in qualche maniera giustificherebbe la prassi sempre più diffusa nella Chiesa di conservare l’eucarestia anzitutto per la comunione ai malati o ai morenti. Il resto dei fedeli partecipavano e partecipano oggi come allora alla comunione sacramentale nella celebrazione della messa – o della celebrazione della Parola nel caso in cui sia un diacono a presiederla - e non al di fuori di essa. Ci sono però alcuni documenti magisteriali, come anche il Rito della comunione fuori dalla messa e culto eucaristico, che aprono alla possibilità di dare la comunione “anche fuori dalla Messa ai fedeli che ne fanno richiesta” (n.14). Possiamo quindi rispondere alla domanda in maniera affermativa. La possibilità di ricevere la comunione fuori dalla messa oggi è legittimata dall’indicazione del rituale, poiché attualmente i fedeli non possono prendere parte alla celebrazione.

Ciò che è legittimo è anche opportuno?

Detto questo, pongo una domanda: cosa ci manca in questo momento emergenziale? Cioè perché chiediamo come laici, o pratichiamo come preti, la comunione fuori dalla messa? Mi permetto di chiederlo perché - senza giudizio alcuno - se la risposta fosse limitata al solo desiderio, più che comprensibile, di fare la comunione allora ci si potrebbe chiedere se abbiamo consapevolezza di cosa sia l’eucarestia. L'eucarestia è una celebrazione ricca di riti e parole che concorrono tutti all’edificazione del corpo di Cristo che è la Chiesa? Oppure l’eucarestia sono solo le specie eucaristiche quasi fossero uno dei tanti oggetti che rispondono a qualche nostro bisogno?

Infine: tutto ciò che è legittimo è anche opportuno?

Nella situazione che stiamo vivendo è opportuno fare la comunione fuori dalla messa, ingenerando il rischio di sganciare l’eucarestia dal suo contesto celebrativo, che non è riducibile alle sole specie eucaristiche, e magari di avallare con questa prassi una fede poco matura che cade nel devozionismo? Buona riflessione. Francesco Verzini]]>
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Anche senza popolo, è Messa per il popolo https://www.lavoce.it/anche-senza-popolo-messa/ Thu, 12 Mar 2020 14:21:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56433 Mons. Luigi Filippucci celebra la messa

Anche in Umbria le comunità cristiane si sono ritrovate a non potersi riunire per la celebrazione eucaristica a causa dell'emergenza Coronavirus/Covid19. Una decisione che ha sollevato obiezioni, proteste e domande. Infatti il comunicato dell’8 marzo della Conferenza episcopale italiana così afferma: “Il decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri, entrato in vigore quest’oggi, sospende a livello preventivo, fino a venerdì 3 aprile, sull’intero territorio nazionale le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri”. L’interpretazione fornita dal Governo include rigorosamente le messe e le esequie tra le “cerimonie religiose”. Quindi, interpretandola in soldoni: niente più messa.

Cosa dice la Chiesa

Decisione che ad alcuni sembra in contrasto con ciò che la Chiesa vive e insegna. Infatti, dopo quell’Ultima Cena celebrata da Gesù la comunità cristiana mai ha cessato di far memoriale del mistero pasquale. La prima testimonianza ci viene dagli Atti degli apostoli: “Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2, 42), e da quelle prime comunità giudeo-cristiane ininterrottamente l’invito: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19; 1Cor 11, 24) mai ha cessato di risuonare ed essere accolto dalla Chiesa. Questo perché mai e poi mai essa può tralasciare ciò la edifica, ciò che la nutre, ciò che è per la sua stessa vita “fonte” e “culmine” (Sacrosanctum Concilium, 10; Lumen gentium, 11), perché il popolo di Dio non può fare a meno della celebrazione dell’evento che lo ha redento. Ma allora la Chiesa che è in Italia entra in contraddizione con il suo Maestro? Certo che no, anche se a agli occhi di alcuni incauti parrebbe di sì... La Chiesa che è in Italia e di conseguenza le varie Regioni ecclesiastiche si sono conformate a ciò che il Governo ha disposto, con sofferenza, certo, perché in qualche maniera viene meno il nostro cuore, ma come lo stesso comunicato afferma: “L’accoglienza del decreto è mediata unicamente dalla volontà di fare, anche in questo frangente, la propria parte per contribuire alla tutela della salute pubblica”. E dunque come possiamo affermare che non viene meno a quel “fate questo in memoria di me”? Non ne viene meno perché la messa non è finita! Infatti non è stato fatto divieto assoluto di celebrare, ma di celebrare con il popolo; e ciò significa che i Pastori continueranno a celebrare l’eucarestia ma senza la presenza del popolo.

Le indicazioni del Messale Romano

È vero, il Messale romano così afferma: “Quando il popolo si è redunato...”, perché costitutivamente la celebrazione eucaristica è affare di popolo e non di clero. Il Concilio Vaticano II nella Sacrosanctum Concilium al numero 27 afferma: “Ogni volta che i riti comportano, secondo la particolare natura di ciascuno, una celebrazione comunitaria caratterizzata dalla presenza e dalla partecipazione attiva dei fedeli, si inculchi che questa è da preferirsi, per quanto è possibile, alla celebrazione individuale e quasi privata. Ciò vale soprattutto per la celebrazione della messa benché qualsiasi messa abbia sempre un carattere pubblico e sociale e per l’amministrazione dei sacramenti”. Ma, come si dice, di necessità si fa virtù, e quindi possiamo continuare a sostenere i fedeli con la celebrazione eucaristica senza la loro presenza fisica, tanto che nel Messale romano troviamo una sezione dedicata alla messa senza il popolo, che poco cambia dalla celebrazione della messa con il popolo, se non per la presenza di un unico altro ministro. Potremmo così dire: Missa sine populo sed pro populo, messa senza il popolo ma per il popolo. Quindi nulla di contraddittorio, ancor più se si pensa all’eucaristia come sacramento della carità, dell’amore di Dio. Questo spinge la Chiesa a far sì che i frutti di ciò che abbiamo celebrato possano diventare nella nostra vita buoni e maturi con segni di carità concreti quali - per esempio, tanto per richiamarci all’attualità di questi giorni - la tutela della salute dei propri fedeli.

I Vescovi umbri

I Vescovi umbri nel loro messaggio hanno sottolineato che “possono essere d’aiuto le celebrazioni trasmesse tramite radio, televisione e in streaming sui siti internet e sui social”. Pur non potendo in nessuna maniera sostituire la presenza fisica del popolo, tali mezzi possono però rendere visibile il sostegno spirituale che tanti sacerdoti continuano a donare celebrando l’eucaristia a favore del popolo di Dio, diventando così segno di speranza in un tempo dove potremmo rischiare di perderla. Questa “pausa obbligata” dalla celebrazione eucaristica, che i fedeli sono chiamati a vivere in questo momento, oltre a essere motivo di responsabilità nei confronti della salute pubblica, può essere un tempo opportuno per riscoprire due dimensioni. La prima, quella di ritrovare nelle nostre famiglie la dimensione della preghiera, una sorta di recupero di una celebrazione familiare. Purtroppo la liturgia cattolica non ha codificate celebrazioni nelle quali i componenti della famiglia in qualche maniera intervengono attivamente nello svolgimento del rito nelle proprie case, come invece ci testimonia l’Esodo (12,21-27) nel rito della Pasqua ebraica. Ma nulla vieta di ritrovarsi e pregare nell’ascolto della Parola di Dio, la recita della liturgia delle ore, o con la preghiera del rosario e altre devozioni, facendo sì che la famiglia torni a essere “piccola Chiesa e sacramento del Tuo amore”.

Un’ultima considerazione

Nella logica del tempo liturgico che stiamo vivendo, cioè quello di Quaresima, è stato chiesto al popolo cristiano di fare un ‘digiuno’ particolare che difficilmente ci saremmo immaginati, un digiuno che può farci riscoprire il valore delle cose. Forse, dunque, questo tempo può diventare propizio per accogliere in noi questo sentimento di vuoto, così da poter tornare in futuro a celebrare l’eucaristia con una diversa consapevolezza, cioè con la consapevolezza che di essa non possiamo fare a meno. Don Francesco Verzini]]>
Mons. Luigi Filippucci celebra la messa

Anche in Umbria le comunità cristiane si sono ritrovate a non potersi riunire per la celebrazione eucaristica a causa dell'emergenza Coronavirus/Covid19. Una decisione che ha sollevato obiezioni, proteste e domande. Infatti il comunicato dell’8 marzo della Conferenza episcopale italiana così afferma: “Il decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri, entrato in vigore quest’oggi, sospende a livello preventivo, fino a venerdì 3 aprile, sull’intero territorio nazionale le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri”. L’interpretazione fornita dal Governo include rigorosamente le messe e le esequie tra le “cerimonie religiose”. Quindi, interpretandola in soldoni: niente più messa.

Cosa dice la Chiesa

Decisione che ad alcuni sembra in contrasto con ciò che la Chiesa vive e insegna. Infatti, dopo quell’Ultima Cena celebrata da Gesù la comunità cristiana mai ha cessato di far memoriale del mistero pasquale. La prima testimonianza ci viene dagli Atti degli apostoli: “Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2, 42), e da quelle prime comunità giudeo-cristiane ininterrottamente l’invito: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19; 1Cor 11, 24) mai ha cessato di risuonare ed essere accolto dalla Chiesa. Questo perché mai e poi mai essa può tralasciare ciò la edifica, ciò che la nutre, ciò che è per la sua stessa vita “fonte” e “culmine” (Sacrosanctum Concilium, 10; Lumen gentium, 11), perché il popolo di Dio non può fare a meno della celebrazione dell’evento che lo ha redento. Ma allora la Chiesa che è in Italia entra in contraddizione con il suo Maestro? Certo che no, anche se a agli occhi di alcuni incauti parrebbe di sì... La Chiesa che è in Italia e di conseguenza le varie Regioni ecclesiastiche si sono conformate a ciò che il Governo ha disposto, con sofferenza, certo, perché in qualche maniera viene meno il nostro cuore, ma come lo stesso comunicato afferma: “L’accoglienza del decreto è mediata unicamente dalla volontà di fare, anche in questo frangente, la propria parte per contribuire alla tutela della salute pubblica”. E dunque come possiamo affermare che non viene meno a quel “fate questo in memoria di me”? Non ne viene meno perché la messa non è finita! Infatti non è stato fatto divieto assoluto di celebrare, ma di celebrare con il popolo; e ciò significa che i Pastori continueranno a celebrare l’eucarestia ma senza la presenza del popolo.

Le indicazioni del Messale Romano

È vero, il Messale romano così afferma: “Quando il popolo si è redunato...”, perché costitutivamente la celebrazione eucaristica è affare di popolo e non di clero. Il Concilio Vaticano II nella Sacrosanctum Concilium al numero 27 afferma: “Ogni volta che i riti comportano, secondo la particolare natura di ciascuno, una celebrazione comunitaria caratterizzata dalla presenza e dalla partecipazione attiva dei fedeli, si inculchi che questa è da preferirsi, per quanto è possibile, alla celebrazione individuale e quasi privata. Ciò vale soprattutto per la celebrazione della messa benché qualsiasi messa abbia sempre un carattere pubblico e sociale e per l’amministrazione dei sacramenti”. Ma, come si dice, di necessità si fa virtù, e quindi possiamo continuare a sostenere i fedeli con la celebrazione eucaristica senza la loro presenza fisica, tanto che nel Messale romano troviamo una sezione dedicata alla messa senza il popolo, che poco cambia dalla celebrazione della messa con il popolo, se non per la presenza di un unico altro ministro. Potremmo così dire: Missa sine populo sed pro populo, messa senza il popolo ma per il popolo. Quindi nulla di contraddittorio, ancor più se si pensa all’eucaristia come sacramento della carità, dell’amore di Dio. Questo spinge la Chiesa a far sì che i frutti di ciò che abbiamo celebrato possano diventare nella nostra vita buoni e maturi con segni di carità concreti quali - per esempio, tanto per richiamarci all’attualità di questi giorni - la tutela della salute dei propri fedeli.

I Vescovi umbri

I Vescovi umbri nel loro messaggio hanno sottolineato che “possono essere d’aiuto le celebrazioni trasmesse tramite radio, televisione e in streaming sui siti internet e sui social”. Pur non potendo in nessuna maniera sostituire la presenza fisica del popolo, tali mezzi possono però rendere visibile il sostegno spirituale che tanti sacerdoti continuano a donare celebrando l’eucaristia a favore del popolo di Dio, diventando così segno di speranza in un tempo dove potremmo rischiare di perderla. Questa “pausa obbligata” dalla celebrazione eucaristica, che i fedeli sono chiamati a vivere in questo momento, oltre a essere motivo di responsabilità nei confronti della salute pubblica, può essere un tempo opportuno per riscoprire due dimensioni. La prima, quella di ritrovare nelle nostre famiglie la dimensione della preghiera, una sorta di recupero di una celebrazione familiare. Purtroppo la liturgia cattolica non ha codificate celebrazioni nelle quali i componenti della famiglia in qualche maniera intervengono attivamente nello svolgimento del rito nelle proprie case, come invece ci testimonia l’Esodo (12,21-27) nel rito della Pasqua ebraica. Ma nulla vieta di ritrovarsi e pregare nell’ascolto della Parola di Dio, la recita della liturgia delle ore, o con la preghiera del rosario e altre devozioni, facendo sì che la famiglia torni a essere “piccola Chiesa e sacramento del Tuo amore”.

Un’ultima considerazione

Nella logica del tempo liturgico che stiamo vivendo, cioè quello di Quaresima, è stato chiesto al popolo cristiano di fare un ‘digiuno’ particolare che difficilmente ci saremmo immaginati, un digiuno che può farci riscoprire il valore delle cose. Forse, dunque, questo tempo può diventare propizio per accogliere in noi questo sentimento di vuoto, così da poter tornare in futuro a celebrare l’eucaristia con una diversa consapevolezza, cioè con la consapevolezza che di essa non possiamo fare a meno. Don Francesco Verzini]]>
Servi premurosi del popolo di Dio https://www.lavoce.it/servi-premurosi-del-popolo-di-dio/ Wed, 21 Dec 2016 09:00:54 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48115 Mons.-Sigismondi-all'assemblea-diocesana-settembre-2014Se il Canone Romano presenta i ministri ordinati come “peccatori fiduciosi nella infinita misericordia di Dio”, il prefazio della Messa crismale li chiama “servi premurosi del popolo di Dio”. Questo è il profilo che la lex orandi traccia dei ministri ordinati, che hanno la missione di piegare le ginocchia oltre che calzare i sandali, di dilatare il cuore oltre che sottoporre le spalle al peso dell’ufficio pastorale, di porgere l’orecchio oltre che prendere la parola, di tendere le mani oltre che aprire gli occhi, di usare l’aspersorio oltre che il turibolo, di suonare il campanello delle case oltre che le campane. Come c’è una “teologia genuflessa”, così non può mancare una “pastorale genuflessa”. Invano si calzano i sandali se non si piegano le ginocchia, se non si sente il bisogno, ogni giorno, di “soffermarci in preghiera per chiedere al Signore che torni ad affascinarci”. Gesù, alla vista delle folle numerose, non prova agitazione ma sente compassione, spezza i pani per circa cinquemila uomini (cf. Mt 14,13-23), conservando la libertà di salire sul monte, in disparte, per raccogliersi in preghiera, “sorgente inesauribile della consegna di sé al Padre”. L’apostolato del cuore risponde a questa regola: “ciò che non si ama stanca”. Chi si affida al Signore conosce la fatica ma non la stanchezza, che è il salario di chi confida in se stesso. La stanchezza, oltre ad essere causa di affanno pastorale, è sintomo del mancato coinvolgimento del cuore nel portare, “come sigillo impresso sull’anima”, il giogo del gregge caricato sulle spalle. Spendersi senza donarsi, consumarsi senza consegnarsi, è una patologia di cui soffre chiunque ignori che non si può avere la stoffa del buon Pastore senza la lana dell’Agnello immolato. La pastorale dell’orecchio sollecita a “conservare un contatto continuo con le Scritture” e a prestare ascolto ai fratelli senza impazienza e senza fretta.

Papa Francesco afferma che un vero pastore, “avendo accettato di non disporre di sé, non ha un’agenda da difendere, ma consegna ogni mattina al Signore il suo tempo per lasciarsi incontrare dalla gente e farsi incontro”. Frammenta il tempo, trasformandolo in spazio, chi rinuncia a passare dall’irrigazione “a pioggia” delle iniziative pastorali prive di iniziativa a quella “a goccia” della direzione spirituale che avvia processi. L’apostolato delle mani tese sente col cuore quello che vede con gli occhi, esprime nell’abbraccio dello sguardo il battito del cuore, non esitando a fermarsi e chinarsi ovunque ci sia qualcuno che chiede aiuto per rimettersi in piedi. La parabola del buon Samaritano insegna che nulla accade “a caso”, nemmeno negli incontri che avvengono “per caso” (cf. Lc 10,25-37). In ogni strada, per un misterioso accordo di circostanze e di eventi, c’è sempre una corsia che conduce a Dio, che offre alla Provvidenza l’occasione di misericordiosi interventi. La pastorale dell’aspersorio va incontro al popolo di Dio con l’acqua del Battesimo, “fonte dell’umanità nuova”. Chi sa usare l’aspersorio talora è allergico all’incenso, e tuttavia chi maneggia bene il turibolo non sempre prende in mano volentieri il secchiello e le ampolle con gli oli santi. Infonde l’incenso nel turibolo “in spirito e verità” chi non esita a ungere gli infermi, versando sulle loro ferite l’olio della consolazione, e a benedire l’acqua lustrale, mescolando in essa un po’ di sale che, nello sciogliersi, ricorda alla Chiesa la sua funzione risanatrice, quella di mostrare la capacità del Vangelo di umanizzare l’esistenza.

L’apostolato del campanello non rinuncia al suono delle campane, ma lo amplifica avvicinandosi alla porta di casa delle famiglie, senza “passare oltre” davanti a chi ha irrimediabilmente spento il fuoco dell’amore coniugale e senza trascurare quanti attendono di rattizzarlo, di ravvivarlo o, addirittura, di farlo divampare. Se non si riparte dalla famiglia, con una pastorale che “non predica ai bambini e benedice gli adulti ma benedice i bambini e predica agli adulti”, l’impegno per l’evangelizzazione sarà sempre una rincorsa affannosa.

“Instancabili nel dono di sé, vigilanti nella preghiera, lieti e accoglienti nel servizio della comunità”: questo è il “protocollo” stabilito dalla lex orandi per i ministri ordinati, chiamati ad essere “servi premurosi del popolo di Dio”.

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Messa del crisma. Bassetti parla al cuore dei suoi preti e chiede loro tre impegni https://www.lavoce.it/messa-del-crisma-bassetti-parla-al-cuore-dei-suoi-preti-e-chiede-loro-tre-impegni/ Thu, 24 Mar 2016 16:59:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45793 perugia-messaÈ stato un momento tutto e solo per loro. Seminaristi, diaconi, preti, e quattro vescovi (il cardinale Bassetti, l’ausiliare mons. Giulietti, l’emerito mons. Chiaretti e l’abate Farnedi) sfilando, croce in testa, nella piazza e poi intorno alla cattedrale hanno fatto ingresso in cattedrale dalla Porta santa, l’hanno come stretta in un abbraccio e con essa il popolo di Dio che lì dentro li attendeva per la celebrazione della messa del Crisma.

Mercoledì c’erano davvero tantissimi fedeli, religiosi e tanti ragazzi e ragazze che quest’anno ricevono il sacramento della Confermazione. Una presenza che ha suscitato nel Cardinale parole di viva gratitudine per il suo predecessore, l’arcivescovo Chiaretti, perché “nei suoi quattordici anni di episcopato – ha detto Bassetti – è riuscito a far capire il significato della Messa crismale al popolo perugino-pievese. Nel mio lungo pellegrinare di ventitré anni di episcopato non ho mai visto tanta partecipazione, nemmeno quando la Messa crismale si celebrava il Giovedì Santo. Voi avete capito che questa è una celebrazione fondamentale per il nostro essere cristiani, sia come laici che come sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose”.

“Oggi, è festa grande per l’intera chiesa diocesana. Questa – ha detto Bassetti all’omelia – è davvero un’ora di grazia: l’intera realtà della nostra Chiesa, presbiteri, consacrati, laici è pienamente coinvolta in  questa messa crismale” che è “quasi epifania della chiesa, corpo di Cristo”, ma è festa in particolare, ha proseguito, “per i presbiteri, che celebrano la nascita del loro sacerdozio ministeriale all’interno del sacerdozio battesimale e comune dei fedeli”.

Nell’omelia il cardinale è andato al cuore della vocazione del sacerdote che vive “un’esistenza donata” come si è donato Cristo, “protesa verso Cristo”, “vissuta, nella forma propria della carità pastorale”. “Da noi sacerdoti si richiede di vivere orientati a lui, di respirare il suo vangelo, di piacere solo a lui”.

Il Cardinal, citando il vescovo Tonino Bello, ha sottolineato come il “ministero sacerdotale” sia un “ministero, un servizio” per la comunità.

Oggi, ha aggiunto Bassetti, questa casa diocesana “profuma anche delle misteriosa essenza degli Oli santi” la cui consacrazione “dà sicurezza e gioia alla nostra Chiesa” poiché “l’unzione dello Spirito santo che gli oli simboleggiano ed attualizzano, risana, conforta, consacra e permea di doni e di carismi tutto il corpo della chiesa”.

Prima di concludere il Cardinale ha affidato ai suoi sacerdoti tre consegne: “riscoprite la bellezza del presbiterio e della famiglia presbiterale; fate del presbiterio una comunità di volti, di fratelli, che si vogliono bene sul serio. Nei fatti e nella verità; che ogni prete senta per il confratello, di cui dovrà rendere conto un giorno a Dio, profondo senso di responsabilità e di amicizia”.

“La porta santa che assieme abbiamo varcato, ha detto chiaramente al nostro cuore che Dio ci ama e vuole condividere con noi la sua vita”. “Soprattutto noi sacerdoti facciamoci voce e ambasciatori di ogni uomo e di ogni donna e ripartiamo con fiducia e senza sosta: ‘Ricordati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre’”.

(Scarica qui il testo dell’omelia)

 

 

Ricordati gli anniversari di sacerdozio e chi non c’è più. Due i nuovi seminaristi

Bassetti&seminaristi
I seminaristi della diocesi di Perugia – Città della Pieve con il Cardinale Gualtiero Bassetti, in curia, prima della messa del Crisma

Come da tradizione prima di entrare nella celebrazione della messa del Crisma il vescovo ausiliare mons. Paolo Giulietti ha fatto il punto sul presbiterio diocesano. “Ci ritroviamo anche quest’anno in cattedrale con l’intero popolo di Dio per fare grato memoriale dell’elezione e della consacrazione di cui il Signore, nella sua misericordia, ci ha fatto dono” ha detto mons. Giulietti, ricordando “l’esperienza della visita pastorale” che consente al Cardinale “di toccare con mano la reale consistenza” delle comunità cristiane al cui servizio “il Signore ha chiamato il collegio dei presbiteri e la comunità dei diaconi, quali collaboratori – a diverso titolo – dell’ordine episcopale”.

Mons Giulietti a quindi ricordato “i confratelli che hanno concluso nell’anno trascorso il loro cammino terreno: mons. Elio Bromuri, mons. Rino Valigi, don Alviero Mencaroni e mons. Silvio Corgna. La tristezza per averli perduti in questa vita è stata mitigata dall’esperienza delle grandi manifestazioni di affetto e riconoscenza della loro gente in occasione delle esequie e anche dalla personale testimonianza di fede, umiltà e generosità offerta da ciascuno di essi nell’affrontare la morte e nel disporre dei propri beni”.

Ha quindi ricordato gli anniversari di ordinazione, dal primo anno di don Lorenzo Perri, “che concelebra oggi la sua prima messa crismale”; ai 25 anni di don Calogero di Leo, don Amerigo Rossi, padre Bruno Ottavi OFM e dello stesso mons. Giulietti; i 50 anni di don Alviero Buco, don Francesco Bastianoni, don Abele Brunetti, don Saulo Scarabattoli, don Umberto Stoppa e dello stesso Cardinale; i 60 anni di don Nazzareno Marchesi, don Aldo Milli e don Ignazio Zaganelli; i 65 anni di mons. Aldo Federici e don Siro Nofrini.

Mons Giulietti ha quindi ricordato uno a uno “i membri del clero malati e invalidi, che vivono il proprio sacerdozio nella dimensione dell’anzianità o della sofferenza”, ed ha concluso ringraziando il Signore ‘per il dono di due giovani che sono entrati nell’anno propedeutico, portando a 22 il numero dei seminaristi (18 al Regionale, 1 al Seminario romano e 3 diaconi di prossima ordinazione).

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Bassetti: “Come fece Costanzo nella sua epoca, così oggi tocca noi, vivere la fede e trasmetterla alle generazioni future” https://www.lavoce.it/bassetti-come-fece-costanzo-nella-sua-epoca-cosi-oggi-tocca-noi-vivere-la-fede-e-trasmetterla-alle-generazioni-future/ Thu, 28 Jan 2016 19:25:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45252 Luminaria-san-Costanzo2016-Belfiore31 Al suono delle chiarine e dei tamburi dei figuranti in costume medievale di Assisi, Città della Pieve e Montefalco e con l’accensione delle torce nel fuoco davanti al Palazzo comunale dei Priori in Perugia, proprio come sette secoli fa, è iniziata la tradizionale e suggestiva processione della “Luminaria” della vigilia della solennità del santo patrono Costanzo, vescovo e martire. Una processione occasione di incontro tra rappresentanti delle Istituzioni civili e religiose per onorare il patrono Costanzo, fondatore della Chiesa perugina martirizzato intorno all’anno 175 d.C. per difendere l’idea di una società fondata sulla centralità dell’uomo. Un folto popolo di fedeli ha accompagnato il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti e il sindaco Andrea Romizi per le vie e le piazze principali della città fino alla basilica in cui sono custodite le reliquie del santo.

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In questo luogo di culto tanto caro ai perugini, il cardinale ha presieduto i Primi Vespri solenni, animati dalla Corale della Polizia municipale, ed è stato rinnovato l’“Omaggio votivo del cero e dei doni al santo patrono” da parte delle autorità civili e religiose. A mettere in risalto la concordia tra comunità civile e religiosa, che si rinnova nel nome di Costanzo, è stato lo stesso cardinale Bassetti nell’omelia. «Nel ricordo del patrono, la comunità civile e quella religiosa si ritrovano insieme per onorare un fedele servitore della causa del Vangelo e per ciò stesso della causa dell’uomo – ha esordito il porporato –. Ogni cristiano, in particolar modo se si tratta di un pastore, non potrà mai scindere la difesa della causa di Dio dalla difesa della causa della persona umana. Il progresso sociale ci ha fatto capire bene che non si devono mai confondere il piano civile e quello religioso, ma questo non vuole dire che essi, nella concordia e nella sincerità, non possano ricordare i valori, anche religiosi, che tengono unità una comunità, e possano collaborare per il bene comune dell’intera città».

«Per la comunità cristiana però è un momento non solo celebrativo ma anche di seria riflessione – ha commentato il cardinale –. Tutti siamo chiamati, nel giorno del patrono, ad interrogarci sulla vita di fede, personale e comunitaria. Nonostante la pervasiva secolarizzazione, grazie a Dio, non mancano nelle nostre comunità – che sto incontrando con un’intensa visita pastorale – segni, anche commoventi, di fede sincera e profondamente vissuta, sia negli anziani che nei giovani. Fede che è fonte di testimonianza concreta e di opere di carità. Ma questo non può lasciarci tranquilli di fronte al dilagare della mentalità relativista e dell’indifferenza. Come fece Costanzo nella sua epoca, così oggi tocca noi, vivere la fede e trasmetterla alle generazioni future».

«Ha osservato il Santo Padre Francesco, in una recente catechesi – ha ricordato il presule –, che “come di generazione in generazione si trasmette la vita”, così “di generazione in generazione, attraverso la rinascita dal fonte battesimale, si trasmette la grazia, e con questa grazia il Popolo cristiano cammina nel tempo”. Inviati da Gesù, i discepoli sono andati a battezzare in ogni parte del mondo; così ha fatto il primo vescovo Costanzo nella nostra terra, e da quel tempo a oggi c’è una catena nella trasmissione della fede mediante il Battesimo. E ognuno di noi è un anello di questa catena. Così, ha osservato poi papa Francesco, il popolo cristiano è “come un fiume che irriga la terra e diffonde nel mondo la benedizione di Dio”. Ecco perché è importante “trasmettere la nostra fede ai figli, trasmettere la fede ai bambini, perché essi, una volta adulti, possano trasmetterla ai loro figli”. Per il Santo Padre in questa ‘catena di trasmissione’ sta anche il senso dell’essere ‘comunità’, dell’essere Chiesa, perché nessuno si salva da solo. “Siamo comunità di credenti, siamo Popolo di Dio e in questa comunità sperimentiamo la bellezza di condividere l’esperienza di un amore che ci precede tutti, ma che nello stesso tempo ci chiede di essere ‘canali’ della grazia gli uni per gli altri, malgrado i nostri limiti e i nostri peccati. La dimensione comunitaria non è solo una ‘cornice’, un ‘contorno’, ma è parte integrante della vita cristiana, della testimonianza e dell’evangelizzazione”».

«È a Costanzo quindi, testimone di Cristo che confermò con il suo sangue l’annunzio del Vangelo – ha concluso il cardinale Bassetti –, che chiediamo stasera di ravvivare la nostra fede. Lui che fu pietra viva e preziosa, | scolpita dallo Spirito | con la croce e il martirio | per la città dei santi. Sia questo anno che si è aperto dinanzi a noi come tempo del Giubileo della misericordia un’occasione propizia per riconoscere i nostri limiti, personali e comunitari, e divenire così strumenti della misericordia del Signore per tutti gli uomini».

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Religiosità sì, ma con la Parola https://www.lavoce.it/religiosita-si-ma-con-la-parola/ Wed, 22 Jul 2015 14:20:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39840 Papa Francesco in Paraguay visita Bañado Norte, quartiere povero di Asunción
Papa Francesco in Paraguay visita Bañado Norte, quartiere povero di Asunción

Ha commentato brevemente il Vangelo del giorno, Papa Francesco domenica all’Angelus, ma soprattutto ha commentato il suo recente viaggio in America Latina.

Dal brano evangelico di Matteo 6, 30-34, Bergoglio – come spesso gli accade – ha ripreso tre verbi: “vedere, avere compassione, insegnare. Li possiamo chiamare i verbi del Pastore… Il primo e il secondo, vedere e avere compassione, sono sempre associati nell’atteggiamento di Gesù: infatti il suo sguardo non è lo sguardo di un sociologo o di un fotoreporter, perché egli guarda sempre con gli ‘occhi del cuore’. Questi due verbi configurano Gesù come Buon Pastore. Anche la sua compassione non è solamente un sentimento umano, ma è la commozione del Messia in cui si è fatta carne la tenerezza di Dio. E da questa compassione nasce il desiderio di Gesù di nutrire la folla con il pane della sua Parola, cioè di insegnare la Parola di Dio alla gente”.

Di qui l’aggancio all’attualità: “Ho chiesto al Signore che lo Spirito di Gesù, Buon Pastore, questo Spirito mi guidasse nel corso del viaggio apostolico che ho compiuto nei giorni scorsi in America Latina e che mi ha permesso di visitare l’Ecuador, la Bolivia e il Paraguay. Ringrazio Dio con tutto il cuore per questo dono! Ringrazio i popoli dei tre Paesi per la loro affettuosa e calorosa accoglienza ed entusiasmo… Con grande affetto ringrazio i miei fratelli Vescovi, i sacerdoti, le persone consacrate e tutte le popolazioni per il calore con cui hanno partecipato. Con questi fratelli e sorelle ho lodato il Signore per le meraviglie che ha operato nel popolo di Dio in cammino in quelle terre, per la fede che ha animato e anima la sua vita e la sua cultura. E lo abbiamo lodato anche per le bellezze naturali di cui ha arricchito questi Paesi”.

“Il Continente latinoamericano – ha proseguito – ha grandi potenzialità umane e spirituali, custodisce valori cristiani profondamente radicati, ma vive anche gravi problemi sociali ed economici. Per contribuire alla loro soluzione, la Chiesa è impegnata a mobilitare le forze spirituali e morali delle sue comunità, collaborando con tutte le componenti della società. Di fronte alle grandi sfide che l’annuncio del Vangelo deve affrontare, ho invitato ad attingere da Cristo Signore la grazia che salva e che dà forza all’impegno della testimonianza cristiana, a sviluppare la diffusione della Parola di Dio, affinché la spiccata religiosità di quelle popolazioni possa sempre essere testimonianza fedele del Vangelo.

Alla materna intercessione della Vergine Maria, che l’intera America Latina venera quale patrona con il titolo di Nostra Signora di Guadalupe, affido i frutti di questo indimenticabile viaggio apostolico”.

 

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Bassetti: così è l’uomo di concordia e di pace https://www.lavoce.it/bassetti-cosi-e-luomo-di-concordia-e-di-pace/ Thu, 29 Jan 2015 17:25:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30010 San_Costanzo2015_offerta_cero_Romizi
Foto A.Coli – galleria fotografica

Festa di san Costanzo, patrono della città e dell’Archidiocesi, celebrata nel segno della pace e tranquillità simboleggiate dall’antica “Luminaria” resa più solenne quest’anno dal corteo formato da un centinaio di figuranti in costume medioevale, appartenenti alle associazioni del Palio di Città della Pieve e dei Balestrieri di Assisi.

Mercoledì 28, alle 17.30 lo squillo delle clarine (suono inusuale nella medievale Perugia) ha annunciato la lettura del bando dei Priori che sette secoli fa fu emandato per spiegare il senso di questa celebrazione festosa. Con questa processione di popolo di Dio, scriveva l’arcivescovo emerito mons. Giuseppe Chiaretti che molto ha fatto per ripristinare quest’antica tradizione, si voleva salvaguardare ed accrescere la pace e la tranquillità della città, ed oggi di tutto il mondo essendo Perugia sempre più multiculturale, multietnica e multireligiosa.

Nonostante il vento gelido la partecipazione del popolo mercoledì sera non è mancata e nella chiesa di San Costanzo si è celebrato il vespro e ripetuto l’omaggio votivo al Santo patrono dei quattro “simboli”: la corona d’alloro, da parte della polizia municipale; il cero, da parte del sindaco; il torcolo da parte degli artigiani e commercianti; l’incenso, da parte del Consiglio pastorale parrocchiale.

Sul tema della pace e della concordia il Cardinale ha incentrato l’omelia della celebrazione della festa, in cattedrale. Ricordando Costanzo quale testimone per aver “custodito” la fede fino ad affrontare il martirio per Cristo, l’Arcivescovo ha attualizzato l’esempio del Patrono.

“Costanzo ci dice ‘vi scongiuro, conservate la pace fra voi. Pace e concordia. La pace guarda di più sul versante della società, la concordia evoca l’armonia dei cuori e degli intenti ed è sul versante delle persone”. Poi, richiamando le parole di Papa Francesco nel viaggio a Manila, ha ammonito: “ogni minaccia alla famiglia è una minaccia alla società stessa” invitando a “custodire” le famiglie e a opporsi alla “colonizzazione culturale o ideologica della famiglia”, al tentativo di ridefinirne l’identità fino a cancellare la stessa istituzione del matrimonio. Pericoli reali ai quali, però, occorre rispondere con “grande vigilanza per conservare la concordia e la pace necessarie alla stessa vita politica” ha detto Bassetti.

Dalle parole del Cardinale è emersa una indicazione sul modo “cristiano” di essere presenti nello spazio pubblico. “La concordia è lo stile nobile di una politica alta, che guarda al futuro della città, e sa riconoscere le istanze costruttive provenienti da qualsiasi parte”. La Concordia, ha aggiunto, “è la sintesi di una politica previdente e intelligente, capace di aprire direzioni nuove e non rassegnata ad un amaro declino, la concordia – ha aggiunto – è scevra da ogni demonizzazione, è rispettosa di ogni persona e rivela lo stato di salute di una città che voglia chiamarsi comunità”.

“Per questo – ha concluso Bassetti – è necessario mettere da parte quell’‘uomo contro’ che è dentro di noi, critico di tutto e di tutti, che si veste di ostilità nei confronti di ciò che sta oltre la propria appartenenza affettiva, ideologica o partitica. Il vero nemico della pace e della concordia è quell’‘uomo contro’ il quale invece di acquistare con gli anni la sapienza di un cuore misericordioso, comprensivo, magnanimo, lascia crescer la durezza dell’intolleranza, del sospetto, del rifiuto dell’altro”.

Nel giorno di San Costanzo il sindaco Andrea Romizi e il cardinale Bassetti hanno pranzato con gli ospiti e i volontari del Punto di ristoro sociale Comune-Caritas “San Lorenzo” situato in via Imbriani, in pieno centro storico.

GALLERIA FOTOGRAFICA

Foto Andrea Coli

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Non oroscopi ma l’invito a guardare il cielo https://www.lavoce.it/non-oroscopi-ma-linvito-a-guardare-il-cielo/ Fri, 09 Jan 2015 18:34:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29734 Il nuovo anno è iniziato. Ci siamo anche noi. Questo numero de La Voce è il primo con data 2015: più esattamente “Anno Domini 2015”. Sarà bene non dimenticarlo. Noi raccontiamo la nostra storia a partire dalla nascita del Signore Gesù a Betlemme. Secondo alcuni calcoli, l’anno “1” dovrebbe essere spostato indietro di circa sei anni, ma questo non toglie nulla al significato ricco e profondo di questa datazione. Si può legittimamente affermare che con la nascita di Gesù Cristo siamo nati anche noi come popolo, cultura e tradizione. Da lì siamo partiti e da quel riferimento possiamo anche comprendere il senso di secoli di storia. In altri termini, ci possiamo chiedere che cosa è rimasto di cristiano nella nostra storia, e che cosa invece vi è di contrasto.

Che anno sarà? Non chiediamo la risposta agli oroscopi, che riempiono pagine intere di quotidiani e periodici a caccia di illusioni… (vulgus vult decipi, che si può tradurre benevolmente: “il popolo vuole essere illuso”. Vedi le osservazioni di G. Liverani su Avvenire del 4 gennaio).

Possiamo però suggerire una specie di oroscopo che consiste nell’invito a guardare, osservare, scoprire il cielo, di giorno e di notte; il sole, la luna, le costellazioni, magari accompagnando lo sguardo con la ripetizione mentale del Cantico di san Francesco: “Laudato sie mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messer lo frate sole, lo quale è iorno et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore. De te, Altissimo, porta significatione. Laudato si’, mi Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate, clarite et preziose et belle”. Forse così saremo meglio illuminati e disposti a interpretare il senso della nostra vita, il presente e il futuro secondo un progetto e un destino che viene dall’alto.

Se vogliamo gettare uno sguardo fugace all’immediato futuro, possiamo sperare, più che prevedere, che vi sia una svolta nel costume degli italiani e degli umbri: sia nel costume morale, che è un’esigenza primaria, sia nella cultura più in generale, che tenga conto delle novità epocali che stanno avvenendo, auspicando che tale novità sia considerata con occhi nuovi, privi di illusioni e pregiudizi, con coraggio.

Per fare solo un esempio: avreste mai pensato che in una città dell’Umbria il primo nato del nuovo anno si sarebbe chiamato Mohammed e in un’altra, sempre in Umbria, Vladislav? Certamente benvenute al mondo, creature innocenti di Dio. Ma ai nostalgici del passato questo dovrebbe far capire che il mondo è cambiato. Quelli che strillano nelle piazze e si chiudono a ogni riforma e novità, pensando che il mondo sia quello di quando loro erano scolaretti delle elementari, sono fuori dalla storia. È un freno allo sviluppo. Il 2015 dovrebbe essere un anno di svolta coraggiosa, anche se ciò comporta sacrifici e abbandono di rendite finanziarie ed economiche non più sopportabili, come ad esempio i vitalizi, le pensioni milionarie, i privilegi di casta.

Per quanto riguarda la Chiesa, segnaliamo soltanto alcune date importanti che possono anch’esse segnare una svolta: l’Anno dei religiosi; il Sinodo sulla famiglia, seconda parte conclusiva e decisiva (in ottobre); il Convegno della Chiesa italiana a Firenze (novembre) che avrà per titolo “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, e di cui si terrà a Perugia uno dei seminari preparatori. Sono date che coinvolgono l’intero popolo di Dio, guidato dai suoi Pastori.

Per il nostro settimanale, il 2015 segna il superamento della boa dei 60 anni di vita e dei 30 anni del nuovo corso. Si continua un cammino di aggiornamento e modernizzazione, integrando il cartaceo con il digitale. Cammino sostenuto dai Vescovi della Ceu che, anche nel recente incontro degli Amici de La Voce, attraverso le parole del card. Bassetti, hanno riconfermato con fiducia il loro sostegno.

Buon Anno.

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Il cardinale Bassetti a don Paolo Giulietti: “Sarai padre di tutto il Popolo di Dio” https://www.lavoce.it/il-cardinale-bassetti-a-don-paolo-giulietti-sarai-padre-di-tutto-il-popolo-di-dio/ Thu, 07 Aug 2014 13:40:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27500 Mons. Giulietti insieme al Cardinale Bassetti il giorno dell’annuncio della nomina a Vescovo
Mons. Giulietti insieme al Cardinale Bassetti il giorno dell’annuncio della nomina a Vescovo

La nomina cardinalizia dell’arcivescovo di Perugia – Città della Pieve ha inciso nella vita dell’arcivescovo e in quella della stessa diocesi. La accresciuta responsabilità che il Cardinale Gualtiero Bassetti ha nei confronti della Chiesa universale rende più difficoltosa la cura della sua diocesi in un modo che si è fatto sentire nei mesi che sono seguiti alla nomina. Così è maturata la decisione di chiedere al Papa un aiuto che fosse di pari grado nell’ordine della grazia, ovvero un vescovo ausiliario. E non è la prima volta che un arcivescovo di Perugia se ne avvale. L’ultimo durante l’episcoato di mons. Ferdinando Lambruschini, è stato mons. Giovanni Benedetti, nominato ausiliare sul finire del 1974 per poi diventare vescovo residenziale di Foligno nel 1976. Prima di lui, con mons. Raffaele Baratta, ci fu mons. Agostino Ferrari Toniolo, ausiliare dal 1967 al 1969 e poi impegnato al servizio della Santa Sede presso la FAO.

Eminenza, quale è la specificità di un vescovo ausiliare?

“Intanto devo dire che questa nomina ha una rilevanza non solo per la diocesi di Perugia ma anche per l’Umbria. Don Paolo è molto conosciuto in Umbria, in tutte le diocesi, anche per il lavoro fatto in Cei al Servizio di Pastorale giovanile. E credo che la presenza di un vescovo ausiliare a Perugia è un valore aggiunto sia per Perugia che per la regione, perchè è chiaro che poi lui collaborerà condividendo gli altri vescovi la responsabilità della pastorale regionale”.

Il giorno dell’annuncio della sua elezione a vescovo don Paolo con una battuta disse che per lui, essendo già vicario generale, “cambia tutto e non cambia niente”…

“La battuta di don Paolo è vera perché non cambia niente dal punto di vista giuridico in quanto il vescovo ausiliare, secondo il Codice di diritto canonico, non ha nessun ruolo in più del Vicario generale nel governo della diocesi. Ma cambia anche tutto perchè don Paolo con la consacrazione episcopale da fratello e figlio è costituito padre, sposo e pastore della Chiesa. L’anello che gli sarà consegnato nel rito sottolinea bene questa prerogativa. Questo lo porterà ad un rapporto diverso con tutti. Gliel’ho detto di recente: ‘ricordati che sarai costituito padre, padre dei tuoi preti, padre di tutto il Popolo di Dio. E il libro del Vangelo che dai diaconi ti sarà posto sulle spalle durante la consacrazione come un giogo, esprime la tua totale sottomissione alla Parola di Dio’”.

In un primo momento, appena nominato cardinale, non pensava di aver bisogno di un vescovo ausiliare. Come è nata questa decisione?

“Di dove nasce lo dice la parola stessa auxilium, che vuol dire aiuto. Ho chiesto al Santo Padre un aiuto particolare, prima di tutto per esigenze di ministero perché è in atto la Visita Pastorale alla diocesi. È un impegno importante che ha un significato particolare anche perché vuol essere uno strumento di verifica e di attuazione, là dove è necessario, delle Unità pastorali, che sono uno strumento che in questo momento noi riteniamo indispensabile per l’annuncio del Vangelo nella nostra diocesi”.

Con la nomina cardinalizia si sono anche accresciuti i suoi impegni sia nella Chiesa, visto che riceve molti inviti a molti eventi, sia nei confronti della S. Sede…

“Sono impegnato nella Congregazione per il Clero, nella Pontificia Commissione per il dialogo ecumenico, e poi sono anche Vice presidente della Cei, incarico che si conclude in novembre. L’impegno più grande, però, come tempo ed energie, è quello di membro della Congregazione per i Vescovi per la quale vado a Roma ogni 15 giorni e devo giungervi preparato, il che vuol dire che devo aver letto e studiato la positio di 12 candidati perché ogni 15 giorni la Congregazione deve provvedere a quattro diocesi in attesa del Vescovo e per ciascuna vengono valutati tre candidati sulla base dei dossier preparati dalle Nunziature o per alcune aree da Congregazioni particolari”.

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Cristiani perseguitati. La Chiesa prega per rompere il muro dell’indifferenza https://www.lavoce.it/rompiamo-il-muro-dellindifferenza/ Thu, 07 Aug 2014 12:55:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27479 Distruzione e morte dopo un attentato kamikaze in una chiesa a Peshawar
Distruzione e morte dopo un attentato kamikaze in una chiesa a Peshawar

Una giornata di preghiera, il 15 agosto, e un forte invito a rompere il muro dell’indifferenza. Sono le richieste contenute nel recente messaggio della Presidenza della Conferenza episcopale italiana dal titolo Noi non possiamo tacere. La continua e sistematica strage di cristiani dovrà finalmente spingere il mondo occidentale a una convinta presa di posizione.

Perché occuparsi dei cristiani perseguitati? La Scrittura insegna che tutti coloro che sono stati battezzati sono tra loro uniti, formando un unico Corpo. L’apostolo Paolo afferma: “Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo” (1Cor 12,12 -13). Da questo deriva che nessuno può disinteressarsi degli altri. Anzi, “se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme” (12,26).

Davanti alle notizie che ci giungono sul martirio dei cristiani – notizie talvolta poche e sommerse da altre meno importanti – ci si sente colpiti dentro. Quei cristiani le cui case sono state marchiate con l’iniziale del Nazareno, quei cristiani scacciati dalla loro terra, vessati, umiliati e barbaramente uccisi, quei cristiani si sente che ci appartengono, sono parte di noi, sono come noi. La loro sofferenza diventa la nostra, anche se in noi certamente meno forte e devastante. Non è semplice solidarietà, come si può provare nei confronti di coloro che hanno i medesimi nostri ideali, è qualcosa di più. Abbiamo la stessa carne, formiamo insieme il Corpo mistico di Cristo, così le loro ferite sanguinano in tutti.

Questo sguardo permette di intravvedere una realtà tanto misteriosa quanto reale e viva. Per analogia al corpo, le membra posso aiutarsi le une le altre. Questo attesta la consolante verità di fede della Comunione dei santi: tutti i fedeli, in forza del battesimo, sono uniti tra loro e con Cristo, da cui ricevono energia e vita. Così, il bene compiuto da qualcuno – nell’ordine della grazia – va a vantaggio di tutti e la preghiera di intercessione degli uni diviene efficace per gli altri.

In quest’ottica i Vescovi italiani, di fronte alla persecuzione dei cristiani, indicono una giornata di preghiera nazionale. Invitano a pregare affinché gli oppressori desistano, ma anche perché i fratelli e lo sorelle che soffrono a motivo della loro fedeltà a Cristo siano sostenuti con la grazia di Cristo, che come vita corre nel corpo o come linfa scorre dalla vite ai tralci. Questo è un primo e forte motivo per cui i cristiani non possono disinteressarsi dei fratelli nella persecuzione.

Ma c’è ne è un altro di ordine culturale, che deve riguardare tutti gli uomini di buona volontà. Il mondo contemporaneo è giustamente sensibile nei confronti della libertà. I diversi totalitarismi che hanno soffocato l’Europa nel secolo scorso hanno avuto come reazione convinta l’affermazione della libertà nell’esprimere le proprie convinzioni, a cominciare da quelle religiose. La Chiesa cattolica ha offerto nel Concilio Vaticano II un’importante Dichiarazione sul tema della libertà religiosa, affermando che essa affonda le sue radici direttamente nella stessa dignità umana.

Affermare il contrario significa lasciare il predominio alla forza e al sopruso. Ecco perché l’Europa non può continuare a essere – scrivono i Vescovi italiani – “distratta ed indifferente, cieca e muta davanti alle persecuzioni di cui oggi sono vittime centinaia di migliaia di cristiani”. Per l’Europa, distruggere il cristianesimo vuole anche dire, demolire la casa in cui è nata.

 

Preghiera per il 15 agosto

La Cei ha predisposto una Monizione iniziale e una Preghiera dei fedeli da recitare il 15 agosto per i cristiani perseguitati. La preghiera dei fedeli si apre con le parole: “Maria, Madre del Signore, è segno splendente sul cammino del popolo di Dio, figura di un’umanità nuova e fraterna. Chiediamo a lei, Regina della pace, di intercedere perché, nei Paesi devastati da varie forme di conflitti e dove i cristiani sono perseguitati a causa della loro fede, la forza dello Spirito di Dio riporti alla ragione chi è irriducibile, faccia cadere le armi dalle mani dei violenti, e ridoni fiducia a chi è tentato di cedere allo sconforto”.

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Marconi Vescovo. Don Nazzareno si racconta ai lettori de “La Voce” https://www.lavoce.it/marconi-vescovo-don-nazzareno-si-racconta-ai-lettori-de-la-voce/ Thu, 10 Jul 2014 20:51:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=26839 Nazzareno-MarconiDomenica 13 luglio la comunità cristiana di Città di Castello ordina vescovo un suo figlio: don Nazzareno Marconi, conosciuto e stimato non solo nella sua diocesi ma anche oltre, in Umbria e in Italia e, possiamo dirlo, nel mondo. (Guarda il video su FB) A 56 anni, con 31 anni di sacerdozio spesi nel servizio pastorale in parrocchia, nell’insegnamento teologico, nella responsabilità della formazione dei futuri preti al Seminario regionale umbro e tanti altri impegni, “don” Nazzareno (in realtà è “cappellano di Sua Santità” dal 2005 ma gli amici non lo chiamano “mons.”), lascia tutto per dedicarsi al nuovo servizio cui l’ha destinato il Papa.

Don Nazzareno, torniamo al giorno della nomina. Che cosa ha pensato quando ha ricevuto la notizia?

“Se devo essere sincero il primo pensiero è stato: stavolta non l’ho scampata! Poi ho provato una strana serenità, ho riflettuto che, se il Signore ti chiede qualcosa che non ti sei cercato, è obbligato moralmente a darti tutto l’aiuto necessario. Questo sentimento ancora resiste, e spero vivamente che si conservi. Poi ho pensato ai miei, la mamma, i fratelli e soprattutto i nipotini: come spiegare che proprio adesso che ero tornato a fare lo zio in maniera un po’ più presente, sarei dovuto sparire di nuovo? Infine, al fatto che la mia vita sarebbe cambiata. Ho lavorato in tanti ambiti, ma mi sono sempre divertito di più stando dietro le quinte che sul palcoscenico; ora sarà più complicato stare dietro le quinte”.

Quanto ha pensato a suo zio, don Edoardo? Cosa le avrebbe detto se fosse stato in vita?

“La pace che provo, ne sono certo, è anche un regalo suo. A un amico che prevedeva un tale cambiamento nella mia vita, lo sentii rispondere: ‘Speriamo che il Signore gli eviti una cosa del genere’. Il ‘don’ non si è mai fatto troppe illusioni sul fatto che la ‘carriera’ potesse dare gioia e serenità. Un giorno mi disse: ‘Un proverbio africano dice che, più la scimmia sale in alto, meglio le si vede il sedere!’… Chiaramente il testo originale in castellano era un po’ diverso”.

Ci spiega il suo motto episcopale?

“Il motto è tratto dal Primo libro dei Re 3,9: Dabis servo tuo cor docile, ‘Concederai al tuo servo un cuore docile’. È preso dalla preghiera del giovane Salomone a Gabaon. Il nuovo re, dovendo iniziare a governare il popolo di Dio, chiede un cuore saggio come dono più urgente e prezioso. Il testo ebraico recita ‘un cuore in ascolto’, un cuore che si mette in ascolto, intendendo: in ascolto obbediente e contemporaneo sia di Dio che del suo popolo. È l’atteggiamento con cui il vescovo si presenta al suo popolo, ma anche il progetto pastorale che vuol attuare: aiutare tutti a crescere nella capacità di porsi in ascolto obbediente di Dio e in ascolto amichevole e compassionevole delle ‘gioie e speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono’ (GS 1,1)”.

Andando a Macerata, lascia l’Umbria e la chiesa di Città di Castello. Di quali doni ricevuti qui ringrazia il Signore? Di quali peccati gli chiede perdono?

“Il dono più grande ricevuto dalla mia Chiesa e dai miei preti è una fede che punta al concreto, che sa essere auto-ironica, che non diventa mai ideologia, perché le persone valgono sempre più delle teorie. Chiedo scusa perché avrei potuto fare di più, ma quando penso che avrei potuto fare anche danni più grandi, torno in pace”.

Umbria e Marche, due regioni vicine, ma lontane? Che idea si è fatto delle due regioni?

Che è solo questione della quota da cui si guarda. Da 1.000 metri di altezza si distinguono, ma da 50.000 metri sono solo un pezzo molto omogeneo dell’Italia centrale. Forse è ora che cominciamo a pensare da una quota un po’ più alta dei 30 metri di un campanile”.

Ha già avuto modo di conoscere la sua nuova diocesi. Come ce la potrebbe descrivere?

“È un’unione, ormai abbastanza organica, di cinque ex diocesi, attuali Vicarie, con una popolazione di circa 140.000 abitanti, 135 sacerdoti residenti in diocesi e 22 missionari fidei donum in altre parti del mondo. Questi numeri sono dovuti alla presenza dal 1992 di un Seminario diocesano missionario ‘Redemptoris Mater’ legato ai Neocatecumenali. Attualmente vi sono 40 seminaristi che, come i loro predecessori, sono missionari in diocesi e in altre diocesi italiane e mondiali, ma principalmente sono indirizzati alla missione in Cina. Non bisogna dimenticare che Macerata è la patria di padre Matteo Ricci, il grande evangelizzatore della Cina. Parto quindi per una diocesi vicina all’Umbria, ma che, vi assicuro, guarda molto lontano”.

Per il suo pastorale ha scelto il legno di ulivo, ma la particolarità è quella croce di Taizé che ha posto al centro del “riccio”. Da dove nasce questa scelta?

“Un’esperienza che ha caratterizzato la mia formazione è stata certamente il fatto che dal 1980 al 1987, nei miei anni di studi teologici e biblici, ogni estate ho passato, con borse di studio o lavorando, un mese all’estero per imparare un po’ le lingue moderne e conoscere altre culture e altre confessioni religiose. Sono stato in Francia, Inghilterra e Germania. Il lavoro era quello di guida turistica in luoghi religiosi artistici quali la cattedrale di Canterbury, o quella di Notre Dame a Parigi. Era fatto in collaborazione con un’organizzazione ecumenica francese: C.A.S.A., Communautés d’Accueil dans les Sites Artistiques, vivendo e lavorando insieme in piccole comunità con giovani cattolici, protestanti e ortodossi. Ho lavorato così anche in un oratorio estivo anglicano vicino a Brighton”.

E come è arrivato a Taizé?

“Queste esperienze estive le ho concluse sempre con alcuni giorni a Taizé. Un luogo che ho scoperto nell’estate del 1978 e che mi è rimasto nel cuore. È una comunità ecumenica protestante vicino a Lione, dove, sulle orme del fondatore Frère Roger, si insegna ai giovani del mondo la bellezza e l’importanza della preghiera, della vita comunitaria, della gioia di condividere il poco che si ha tra noi e con i poveri”.

Ha conosciuto personalmente Frère Roger?

“Gli incontri con lui, fino alla sua morte violenta [è stato assassinato da una squilibrata il 16 agosto 2005, durante la preghiera serale davanti a migliaia di giovani, ndr], che fu un vero martirio, e con gli altri monaci, mi hanno sempre nutrito profondamente. Taizé mi ha insegnato che ciò che unisce i battezzati è enormemente più grande di ciò che li divide, ma che le differenze vanno rispettate e stimate a vicenda, perché sono il dono delle nostre grandi tradizioni di fede”.

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Marconi vescovo. Le ragioni della scelta dello Stemma, del Motto, del Pastorale, dell’Anello e della Croce https://www.lavoce.it/marconi-vescovo-le-ragioni-della-scelta-dello-stemma-del-motto-del-pastorale-dellanello-e-della-croce/ Thu, 10 Jul 2014 20:32:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=26830 Stemma-marconi-cmykLo stemma, senza violare troppo i principi araldici, cerca di illustrare la scena di Matteo 28,5-7: “L’angelo disse alle donne: ‘Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete’”. I discepoli si incamminano, oltrepassano la croce verso le colline della Galilea, e la stella del mattino indica loro la strada.

Come in ogni immagine, c’è però molto di più di ciò che appare. Quella croce, oltrepassata ma ancora visibile, è la presenza della croce nella nostra vita. Non c’è vita cristiana senza croce, ma la croce non sbarra il cammino di chi ha fede, perché il Signore è risorto: per questo la croce brilla della stessa luce della stella.

Le tre colline simboleggiano Citerna, il colle della mia infanzia, quello di Macerata, che sarà la mia nuova terra, e quello di Nazareth in Galilea, di cui porto il nome. Perché la nostra fede non deve mai dimenticare la testimonianza di chi ci ha preceduto; si radica nella concretezza di una terra con i suoi colori, i suoi profumi, il suo popolo; tende all’incontro con il Signore che è l’inizio, il centro e la meta di tutta la nostra vita.

La stella del mattino è Maria, stella del mattino e stella del mare, e Macerata è la Civitas Mariae! Lei ci indica sempre la via per seguire il Signore. È rappresentata da una stella a sette punte, perché prepara la venuta dell’ottavo giorno, il giorno del Signore, quello della resurrezione e della salvezza. La stella è anche simbolo della Parola di Dio: luce ai nostri passi e ricorda i sette doni dello Spirito santo. Tutta l’immagine corrisponde anche ad uno sguardo volto da Città di Castello verso la terra di Macerata, posta oltre i monti dell’Appennino, contornata dall’azzurro unito del cielo e del mare.

Infine la Galilea rappresenta nel Vangelo quelle “periferie” da cui pensiamo, sbagliando, che non può mai venire nulla di buono. Non dobbiamo compiere l’errore di Natanaele, che dicendo: “Cosa vuoi che venga di buono da Nazareth?” (Gv 1,46), rischiava di non riconoscere la salvezza, che con Gesù di Nazareth gli veniva incontro.

Lo stemma, che non è un’“arma” ma la lavagna del Maestro, ci invita ad andare con coraggio verso le periferie del mondo e le periferie esistenziali. “Non abbiate paura!”, diceva san Giovanni Paolo II, il cui stemma è evocato nella forma della croce: il Signore risorto “vi precede in Galilea! Là lo vedrete”. Nella forma dei tre monti è poi evocato lo stemma di Paolo VI, Papa Montini, che si impegnò con tutto se stesso per la realizzazione del Concilio, e che molto presto verrà proclamato beato.

Il motto è tratto dal Primo libro dei Re 3,9: Dabis servo tuo cor docile, “Concederai al tuo servo un cuore docile”. È preso dalla preghiera del giovane Salomone a Gabaon. Il nuovo re, dovendo iniziare a governare il popolo di Dio, chiede un cuore saggio come dono più urgente e prezioso. Il testo ebraico recita “un cuore in ascolto”, un cuore che si mette in ascolto, intendendo: in ascolto obbediente e contemporaneo sia di Dio che del suo popolo. È l’atteggiamento con cui il vescovo si presenta al suo popolo, ma anche il progetto pastorale che vuol attuare: aiutare tutti a crescere nella capacità di porsi in ascolto obbediente di Dio e in ascolto amichevole e compassionevole delle “gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono” (GS 1,1).

Don Nazzareno

 

 

L’anello, il pastorale e la croce

L’anello ed il pastorale sono due doni della famiglia al nuovo vescovo, sono simbolicamente legati alla sua vita ed ai suoi valori.

anello-cmykL’anello era quello di fidanzamento del padre di don Nazzareno, morto quando lui aveva solo 5 anni. Un anello semplice donatogli da mamma Emiliana ed acquistato grazie ai suoi primi lavori da giovanissima sarta. Su questo è stata montata una medaglietta in oro con il volto di Gesù, ricordo della ordinazione sacerdotale dello zio don Edoardo, che ha tenuto con sé fino alla morte. Così l’anello simboleggia i due amori, sponsale e consacrato, vissuti con fedeltà e passione fino alla morte, che hanno profondamente segnato la vita di don Nazzareno

pastorale-cmykIl pastorale, è opera di un orafo amico, l’orafo Fegadoli di Città di Castello. È realizzato in legno d’ulivo per ricordare questa pianta, simbolo di pace, e delle nostre colline umbre. La forma segue, senza stranezze, la linea classica dei pastorali dei vescovi che hanno trasmesso a don Nazzareno la fede e la passione per la Chiesa.
Al centro del riccio c’è una croce in metallo argentato che rappresenta la Colomba dello Spirito Santo. Questa immagine è nota come “la croce di Taizé”. L’ha voluto perchè Taizé è una esperienza ecumenica che ha caratterizzato la sua formazione.

Croce-Pettorale-cmykLa Croce Pettorale è dono delle monache benedettine del monastero di Citerna. L’ha richiesta lo stesso don Nazzareno perchè voleva, spiega, “un ricordo di una donna che mi ha insegnato grandi cose della vita spirituale della grande tradizione monastica”. È la croce di Madre Ildegarde Sutto, la prima Abbadessa del monastero, inviata a Citerna dal monastero di Santa Caterina di Perugia per fondare una nuova comunità. Il monastero è a cento metri dalla casa natale di don Nazzareno e lo zio don Edoardo ne fu cappellano per 32 anni in quanto parroco del paese. Anche don Nazzareno negli anni in cui fu parroco a Citerna ogni mattina faceva con loro un’ora di celebrazione monastica.

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Papa Francesco apre l’assemblea della Cei: “Dobbiamo essere lievito” https://www.lavoce.it/papa-francesco-apre-lassemblea-della-cei-dobbiamo-essere-lievito/ Fri, 23 May 2014 13:14:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25073 Papa Francesco apre i lavori della 66esima Assemblea Cei
Papa Francesco apre i lavori della 66esima Assemblea Cei

Per la prima volta, un Papa apre l’assemblea dei Vescovi italiani. E i Vescovi ricevono in regalo quello che Francesco definisce un “gioiello”, che “è come se fosse stato pronunciato ieri”: il discorso rivolto da Paolo VI (che il prossimo 19 ottobre verrà proclamato beato) il 19 ottobre di 50 anni fa, allo stesso uditorio: “È venuto il momento di dare a noi stessi e di imprimere alla vita ecclesiastica italiana un forte e rinnovato spirito di unità”, vi si legge; il servizio all’unità è “questione vitale” per la Chiesa. “Nel nostro contesto spesso confuso e disgregato – gli fa eco Papa Francesco – la prima missione ecclesiale rimane quella di essere lievito di unità, che fermenta nel farsi prossimo e nelle diverse forme di riconciliazione: solo insieme riusciremo ad esser profezia del Regno”. Poi la denuncia: “La mancanza o la povertà di comunione costituisce lo scandalo più grande, l’eresia che deturpa il volto del Signore e dilania la sua Chiesa. Nulla giustifica la divisione: meglio cedere, meglio rinunciare piuttosto che lacerare la ‘tunica’ e scandalizzare il popolo santo di Dio”. Poco più di mezz’ora, il discorso del Papa, lungamente applaudito dall’assemblea, che subito dopo si è riunita a porte chiuse con il Vescovo di Roma per un confronto aperto e schietto. Tre i “tratti comuni” dei Vescovi tratteggiati nell’identikit del Papa, in un discorso giocato sui chiaroscuri tra le tentazioni e le virtù. Con indicazioni precise ed esigenti, indirizzate ai presuli. Ma in quelle tre piste di riflessione ogni singolo credente può trovare motivi di discernimento personale, così come ogni porzione di popolo di Dio può trovare spunti di discernimento comunitario e di costruzione pastorale.

La “legione” delle tentazioni. Sono una “legione” le “tentazioni che cercano di oscurare il primato di Dio”: “La tiepidezza che scade nella mediocrità, la ricerca del quieto vivere che schiva il sacrificio”, la tentazione della “fretta pastorale” o dell’accidia di chi considera “tutto un peso”, la presunzione di chi si illude di “far conto solo sulle sue forze, sull’abbondanza di risorse e strutture, sulle strategie organizzative che sa mettere in campo”. “Se ci allontaniamo da Cristo, se l’incontro con Lui perde la sua freschezza, finiamo per toccare con mano soltanto la sterilità delle nostre parole e delle nostre iniziative”, ha ammonito il Papa, secondo il quale “i piani pastorali servono, ma la nostra fiducia è riposta altrove”. Di qui l’invito a tenere “fisso lo sguardo” su Gesù, che “è il centro del tempo e della storia: è Lui ciò che di più prezioso abbiamo da offrire alla gente, pena il lasciarla in balìa della sofferenza se non della disperazione”.

L’antidoto è l’esperienza ecclesiale. Essere sacramento di unità, per la Chiesa, “richiede un cuore spogliato di ogni interesse mondano, lontano dalla vanità e dalla discordia”, ha ammonito il Papa. Tante, anche in questo caso, le tentazioni da sfuggire, come “la gestione personalistica del tempo, le chiacchiere, le mezze verità che diventano bugie, la litania delle lamentele, la durezza di chi giudica senza coinvolgersi e il lassismo di quanti accondiscendono senza farsi carico dell’altro”, la gelosia, l’invidia che “genera correnti, consorterie, settarismo”. “Quanto è vuoto il cielo di chi è ossessionato da se stesso”, ha denunciato il Papa, secondo il quale l’antidoto a queste tentazioni è proprio “l’esperienza ecclesiale”, la capacità di “conservare la pace anche nei momenti più difficili”, senza lasciarsi “sopraffare dai conflitti” e senza “cullarsi nel sogno di ricominciare sempre altrove”.

Valorizzare le diocesi, “anche le più piccole”. Per il Papa, serve a capire che “la forza di una rete sta in relazioni di qualità, che abbattono le distanze e avvicinano i territori”. Di fronte a sacerdoti “spesso provati” o scoraggiati, i Vescovi hanno il dovere di educarli a “non fermarsi a calcolare entrate e uscite”, perché “il nostro, più che di bilanci, è il tempo di quella pazienza che è il nome dell’amore maturo”.

“Ascoltate il gregge”. Perché “il popolo santo di Dio ha il polso per individuare le strade giuste”. Quello di Francesco è un messaggio di fiducia nel laicato, e il suo appello è a riconoscere “spazi di pensieri, di progettazione e di azione alle donne e ai giovani”.

Nessuna distinzione tra “noi” e “gli altri”. È forse questa, per il Papa, la tentazione più pericolosa. Bisogna avere “lo sguardo di Dio sulle persone e sugli eventi”, non si può vivere “nell’attesa sterile di chi non esce dal proprio recinto e non attraversa la piazza, ma rimane sul campanile, lasciando che il mondo vada per la sua strada”. Il regno di Dio è “più grande dei nostri schemi e ragionamenti”, e spesso è “umile e nascosto nella pasta dell’umanità”. Ci vogliono Pastori “liberi”, capaci di affiancare le persone “lungo le notti delle loro solitudini, delle loro inquietudini e dei loro fallimenti”, fino a “riscaldare il loro cuore” e aiutarle a intraprendere “un cammino di senso che restituisca dignità, speranza e fecondità alla vita”.

Famiglia, disoccupati, migranti. Tre i “luoghi” additati dal Papa ai Vescovi come prioritari per “la vostra presenza”: la famiglia, i disoccupati, i migranti. La famiglia, “fortemente penalizzata dalla cultura dei diritti individuali”, che “trasmette la logica del provvisorio”. La “sala d’attesa affollata di disoccupati, di cassintegrati, di precari, dove il diritto di chi non sa come portare a casa il pane si incontra con le difficoltà di chi non sa come portare avanti l’azienda”. Prendersi cura di queste persone, per il Papa, è “una responsabilità storica”, e di fronte alla quale occorre “non cedere al catastrofismo e alla rassegnazione”. Altro imperativo, “abbracciare i migranti”. C’è bisogno di “un nuovo umanesimo”, ha concluso il Papa, esortando i Vescovi ad “andare incontro a chiunque chieda ragione della speranza che è in voi”.

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Tempo di grazia e di gioia https://www.lavoce.it/tempo-di-grazia-e-di-gioia/ Fri, 02 May 2014 13:16:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24645 Abbiamo vissuto nei giorni passati un periodo di intensa partecipazione a fatti, che sono grandi eventi che hanno trascinato folle ed hanno impresso forti emozioni in tutto il mondo. La Chiesa riceve l’attenzione dell’umanità e sta al centro della storia, con dignità e nello stesso tempo con umiltà, quella che proviene dal concepire che tutto è dono, tutto è grazia, che non esiste la grazia pretesa.

La pretesa della grazia è una contraddizione in termini. Se dici: tu mi devi fare la grazia di tua spontanea volontà senza che io la chieda o che mi penta e riconosca un qualche sbaglio è un linguaggio contraddittorio. La Chiesa chiede perdono in ogni circostanza, nelle liturgie di ogni domenica di fronte a Dio e di fronte ai fratelli e invoca la grazia della misericordia. Ricordate il duemila, il grande Giubileo, con il santo papa Giovanni Paolo II che fece una pubblica e solenne confessione dei peccati accumulati dal popolo di Dio lungo i secoli? Ricordate anche le scuse e i pentimenti e le sanzioni e i risarcimenti per i casi di pedofilia del clero? Ebbene, questa è la Chiesa santa e bisognosa sempre di avere la grazia della misericordia e del perdono.

Ma oggi siamo al paradosso di chi ritiene di aver sempre ragione e di volerla affermare con le buone o con le cattive, a tutti i costi, facendo anche stragi e vittime innocenti, come nelle uccisioni di donne, mogli o amanti, o di bambini, nelle vendette e violenze di ogni tipo nel mondo. E c’è sempre qualcuno che storce il naso quando si parla di Chiesa o di cristiani e distoglie lo sguardo esaltando gruppi di credenti diversi e invitando, come hanno fatto due giornali nei giorni scorsi, uno a visitare la moschea e l’altro la sala del regno dei testimoni di Geova. Minuscoli e meschini pur legittimi, tentativi di distogliere l’attenzione da quanto avveniva a Roma.

L’attuale mentalità, impregnata di relativismo e indifferenza, rimane comunque scossa dalla libertà della Chiesa e del suo primo pastore che non teme di allacciare dialoghi e rapporti con persone che non fanno parte delle pecore segnate dal sigillo della fede, e tuttavia non escluse dal circuito vitale della carità. La Chiesa non si vanta, non si gonfia, non rifiuta il contatto, non considera nessuno uno scarto, né da scartare. Neppure gli embrioni. Figuratevi!

Francesco, quello antico del lebbroso e quello nuovo, attuale, vestito di bianco, ma con le scarpe ordinarie e il passo sbilenco, quello di Lampedusa e del bacio al piede dei poveracci nella lavanda del giovedì santo, non si arrogano alcun diritto o pretesa, se non quello di predicare la gioia e la misericordia, l’accoglienza e la pace, l’uguaglianza e la fraternità.

Un docente universitario mi ha domandato chi fosse il teologo francese che ha teorizzato la “risurezione totale”. Dopo qualche incertezza siamo arrivati al gesuita scienziato, geologo e teologo, Theilard de Chardin. Egli afferma che l’evoluzione del cosmo seguirà per fasi successive la traiettoria che Cristo, “nel quale sono state create e costituite tutte le cose”, ha predeterminato il passaggio dalla morte alla vita piena e al compimento del disegno di Dio. L’amico docente attribuisce ciò al “gesuita proibito”, così definito per le sue teorie sospettate di eresia. In realtà questo è scritto nella Bibbia: saranno cieli nuovi e terra nuova, una nuova umanità.

I fatti di questi giorni suscitano e favoriscono tali pensieri.

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Due papi, due santi https://www.lavoce.it/due-papi-due-santi/ Thu, 17 Apr 2014 12:57:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24542 PapaumbriaHo avuto una leggera incrinatura mentale sul titolo da dare a questa riflessione. Scrivere “Due papi due santi” oppure “Due santi due papi”? Sono santi e perciò sono diventati papi, oppure sono papi e per questo sono stati dichiarati santi? Questione di lana caprina, si potrà dire. Ma in questi giorni molti commentatori e storici hanno messo in evidenza che i due personaggi che vengono dichiarati solennemente santi sono tali per grazia di Dio e per loro meriti e non per lo stato di pontefici. In altri termini, scavando nella storia di Carol Woityla e di Angelo Roncalli vi sono tracce che indicano la loro virtù e i grandi doni di grazia ricevuti dallo Spirito che sarebbero emersi anche se non fossero diventati papi. Infati non tutti i papi sono santi. È indubbio che vi sono state nella storia delle canonizzazioni di tipo oggettivo e istituzionale destinate a far emergere la funzione storica e l’influsso esercitato nella storia della Chiesa: diciamo un uso “politico” della canonizzazione. Un esempio tipico è quello di Costantino che gli ortodossi considerano santo per aver dato la libertà ai cristiani con il famoso “Editto di Milano” del 313, e non per meriti personali avendo trascorso una vita tutt’altro che evangelica. Possiamo dire una santità oggettiva, risultata dalle scelte politiche, più che per le virtù praticate. Altra osservazione messa in giro da alcuni tradizionalisti in questi giorni è rivolta ad osservare la “strana” santità di personaggi che hanno avuto una vita normale e bella, piena di soddisfazioni e di riconoscimenti che non sembra paragonabile alla vita di padre Pio da Pietrelcina e di tanti altri Santi della tradizione cattolica. Come se la santità fosse riservata a precisi canoni di comportamento e di spiritualità. I nostri due papi non sono santi perché papi, ma perché riconosciuti degni di questo titolo e posti sul candelabro perché tutti possano continuare a vedere le loro opere buone e glorificare il Padre, e prenderli come guide ed esempi di vita cristiana. Potremmo dire che sono santi e papi nello stesso tempo e in maniera simbiotica. Una santità che si è espressa nella loro vita privata ed è come esplosa nell’esercizio del governo della Chiesa universale. Un grande evento dello Spirito che ha voluto esaltare il carisma e il ministero, la persona e la funzione, la vocazione e la missione, come segno di unità nella pluriformità dalle azioni e dei modi di essere, degli stili di vita, della formazione teologica e culturale. Il papa Francesco da cui dipende in ultima istanza la decisione di “canonizzare” Woityla e Roncalli ha usato il dono del discernimento e non ha fatto una scelta trasversale sommaria dichiarando santi tutti i papi – che tali in generale si potrebbero ritenere almeno da Pio IX a Giovanni Paolo II – ed è stato aiutato in tale decisione di giudizio definitivo dal “sensus ecclesiae”, che in termini banali potremme dire il fiuto del popolo, l’odore di santità, il profumo di vangelo, che il popolo ha recepito da subito, in maniera corale e cordiale, dalla acclamazione al “Papa Buono” al grido “Santo subito” di piazza San Pietro. Sappiamo quanta stima e fiducia papa Francesco riservi al popolo nella sua semplice e immediata percezione di fede, nel suo intuito spirituale. Francesco è il Papa che ha cominciato il suo ministero petrino chiedendo la benedizione del popolo. Se andiamo a vedere la storia della Chiesa possiamo ricordarci che spesso è stata determinante la vox populi per considerare qualcuno santo. Francesco d’Assisi, ad esempio, è stato dichiarato santo due anni dopo la sua morte (1228) in questo modo. Nella Chiesa il popolo di Dio nel suo complesso, guidato dallo Spirito, in comunione con i suoi pastori, è protagonista, soggetto, destinatario e custode della santità, ricchezza e respiro dell’umanità. La festa della Chiesa e la gioia del mondo intero per questa doppia canonizzazione è un evento della Storia e una vittoria dello Spirito che ancora oggi aleggia sulla creazione in cerca di armonia e di pace. Di ciò ognuno di noi deve essere profondamente grato.

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Crisma, il segno di noi Chiesa https://www.lavoce.it/crisma-il-segno-di-noi-chiesa/ Thu, 17 Apr 2014 10:46:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24493 messa-crisma-perugia
Foto Andrea Coli

“Reverendissimo Padre, è una messa crismale un po’ speciale quella che stasera ci apprestiamo a celebrare attorno a lei: è la prima dopo la sua creazione a cardinale da parte di Papa Francesco. L’abbiamo attesa, questa messa crismale, con qualche preoccupazione per le sue condizioni di salute, fortunatamente assai migliorate dopo tre giorni trascorsi in ospedale, durante i quali ha potuto ancora sperimentare l’affetto della sua gente e dei suoi preti”. Con queste parole rivolte dal vicario generale mons. Paolo Giulietti al card. Gualtiero Bassetti, alle quali ha fatto seguito il lungo e caloroso applauso dei numerosi fedeli che gremivano la cattedrale di San Lorenzo, è iniziata la messa crismale, che nel capoluogo umbro è celebrata il Mercoledì santo.

L’Arcivescovo ha ricambiato le espressioni di affetto ricevute dai presbiteri e dai fedeli presenti quando, all’omelia, ha confessato che in questa Quaresima avrebbe voluto scrivere ai suoi preti “una breve lettera di incoraggiamento”, soprattutto una lettera per dire grazie. “Lo faccio ora – ha detto – ponendomi assieme a tutto il popolo di Dio: grazie, sacerdoti! Grazie perché ci siete! Grazie per la vostra donazione! La nostra gente, le famiglie, i ragazzi, i giovani, i malati si rendono conto che la loro vita, senza di voi, sarebbe più povera e abbandonata”.

“Grazie – ha aggiunto – per essere rimasti fedeli al Signore, per essere rimasti in mezzo alla gente, a contatto dei piccoli e dei grandi, condividendo, soprattutto in questo periodo di crisi, anche generosamente, i problemi della gente, senza curare i vostri interessi, senza discriminazione di persone”.

Ben consapevole che anche tra i preti possono esservi “alcune ombre e debolezze” come in tutto il popolo di Dio, Bassetti ha voluto sottolineare che quel “grazie” è per lui una “esigenza di verità” e non un “dovere d’ufficio”, perché “ci sono tantissimi preti fedeli nel quotidiano, che stanno giorno e notte al loro posto di sentinella, che si spendono umilmente, svolgendo anche compiti delicati e difficili con umanità e grazia”.

Contemplando la cattedrale gremita, il Vescovo ha definito l’appuntamento della messa del crisma una “grande festa della Chiesa” in cui è visibile “l’unità del popolo santo di Dio, popolo sacerdotale, del sacerdozio unico e originale di Gesù. La Chiesa, miei cari fratelli, è davvero una meraviglia del nostro Dio. E tutto questo è espresso nel segno del crisma, che sto per consacrare, e degli altri oli, dei catecumeni e degli infermi, che mi appresto a benedire. Tutti noi da questi santi oli siamo o saremo segnati per il ministero della grazia nella nostra vita e della consolazione. Ma stasera, la presenza dell’intero presbiterio orienta la nostra attenzione verso Cristo, il cui nome significa consacrato per mezzo dell’unzione, e verso i nostri sacerdoti”.

Bassetti ha quindi ricordato con emozione tutti i preti da lui consacrati nei suoi anni si episcopato, “dalla cattedrale di Massa Marittima, fino all’ultimo del nostro presbiterio, il carissimo don Emanuele Bolognino… Cari sacerdoti, come abbiamo letto dal profeta Isaia, abbiamo un sacro potere e una responsabilità che trascendono le nostre povere persone; siamo chiamati a sanare le ferite di ogni uomo e di tutto l’uomo. Dalle necessità fisiche dei poveri, dei malati, degli ultimi, a tutte le necessità dell’anima: dalle persone che soffrono per la violazione di un diritto, per un amore distrutto e, soprattutto, a causa del peccato, a chi si trova nel buio e soffre per l’assenza di verità e di amore. Quante piaghe da curare, quante creature bisognose di salvezza: l’ho sperimentato in questi faticosi mesi di visita pastorale in quelli che sono i vari ambiti dell’esistenza umana! E quanto è esigente il Vangelo nei confronti di noi sacerdoti”.

Il card. Bassetti ha infine invitato i fedeli a pregare per lui e “per i preti e a ringraziare il Signore per il grande dono della loro presenza”, e a “pregare anche per le vocazioni”, ricordando in particolare “i nostri carissimi seminaristi”, 17, che si preparano al sacerdozio. Tra questi Lorenzo Marzani, Matteo Rubechini e Marco Cappelletto, i tre diaconi che saranno ordinati il prossimo 28 giugno. L’Arcivescovo ha avuto un affettuoso ricordo anche per le famiglie itineranti del Cammino neocatecumenale e per le 5 ragazze che sono entrate in monastero.

Giubilei e celebrazioni pasquali con il Cardinale

Il vicario generale mons. Giulietti, come è consuetudine all’inizio della messa crismale, ha ricordato i confratelli che nell’ultimo anno il Signore ha chiamato a sé: don Giancarlo Casetto, don Guido Giommi e mons. Antonello Pignatta. Inoltre, ha ricordato i sacerdoti che nel 2014 “vivono particolari anniversari”: il primo anno di sacerdozio di don Emanuele Bolognino; il 25° di don Fabio Fiorini; il 50° di don Bruno Contini, mons. Giuseppe Ricci, don Antonio Santantoni, mons. Remo Serafini, don Mario Tacconi, l’abate benedettino emerito dom Giustino Farnedi, il cappuccino padre Pio Conti e il saveriano padre Dante Volpini; il 60° di don Benito Baldoni, don Dante Ceccarelli, don Augusto Penchini e don Mario Rabica; il 65° di mons. Luciano Tinarelli; il 70° di mons. Rino Valigi, che si avvia ai 95 anni di età.

Triduo pasquale in cattedrale

Nella messa in Coena Domini del Giovedì santo, il Cardinale ha compiuto il rito della Lavanda dei piedi a dodici tra destinatari e operatori della carità e a coloro che si apprestano a ricevere la consacrazione religiosa e l’ordinazione presbiterale. Si tratta di alcuni ospiti delle opere “Villa Nazzarena” in Pozzuolo Umbro, istituto “Don Guanella”, residenza per anziani “Fontenuovo” e “Villaggio della Carità” di Perugia, “Il Casolare” a Sanfatucchio, “Madonna dei Bagni” di Casalina e “Villaggio S. Caterina” a Solfagnano, di un ordinando diacono e di un ordinando prete, di una suora e di un frate in procinto di professione e di un volontario Caritas. Il Venerdì santo, 18 aprile, alle ore 18, l’Arcivescovo celebra la liturgia della Passione con l’adorazione della croce. In serata, alle ore 21, la Via crucis ambientata nel quartiere intorno alla storica via del Verzaro con ritrovo dei fedeli in cattedrale.Sabato santo, 19 aprile, la Veglia pasquale inizia alle ore 22 con il rito della benedizione del fuoco nel chiostro. Riceveranno i sacramenti dell’iniziazione cristiana (battesimo, cresima, eucaristia) tredici catecumeni giovani-adulti con età media di 35 anni, di cui dieci donne, di nazionalità italiana ed estera, in maggioranza dal Continente africano. Domenica di Pasqua, 20 aprile, in cattedrale alle ore 11.30 si terrà la solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal card. Bassetti insieme ai canonici. Al termine, la Corale laurenziana eseguirà il tradizionale canto dell’Alleluia dal Messia di Haendel.

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La diocesi di Terni ricorda mons. Gualdrini “Testimone di Cristo” https://www.lavoce.it/la-diocesi-di-terni-ricorda-mons-gualdrini-testimone-di-cristo/ Thu, 27 Mar 2014 13:58:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23925 Mons. Franco Gualdrini durante un incontro con i giovani della diocesi
Mons. Franco Gualdrini durante un incontro con i giovani della diocesi

Nel quarto anniversario della morte di mons. Franco Gualdrini, vescovo diocesano dal 1983 al 2000, nel cammino di preparazione alla Pasqua, sono stati ricordati con la celebrazione presieduta dal vescovo Ernesto Vecchi tutti i Vescovi defunti della diocesi.

Il ministero del vescovo s’inserisce nel dono della successione apostolica, come ha ricordato mons. Vecchi: “Ogni vescovo deve svolgere il suo ufficio apostolico come testimone di Cristo al cospetto di tutti gli uomini, interessandosi non solo di coloro che già seguono Gesù Cristo, ma dedicandosi con tutta l’anima anche a coloro che in qualsiasi maniera si sono allontanati dalla via della verità, oppure ignorano ancora il Vangelo di Cristo e la sua misericordia salvifica”.

“Mons. Gualdrini – ha aggiunto – aveva ben presente lo spessore teologico ed ecclesiale della successione apostolica, avendo plasmato molte coscienze sacerdotali, prima a Faenza e poi come rettore del collegio Capranica in Roma.

Mons. Gualdrini sentiva la responsabilità di verificare l’autenticità dei carismi e dei ministeri, e l’urgenza di armonizzarli in una concreta comunione ecclesiale, in virtù di una evangelizzazione integrale dell’uomo, della cultura, del lavoro e della vita sociale in tutte le sue espressioni.

Ha insegnato che, attraverso la messa, noi entriamo in profonda e mistica comunione con la realtà totale di Cristo redentore e diamo concretezza all’annuncio della Parola di Dio che abbiamo ascoltato. Essa ci pone di fronte alla sete di verità e di amore del popolo di Dio, che solo Cristo, la vera Roccia, può estinguere nel deserto infuocato della vita”.

Un pensiero particolare è stato dedicato a un aspetto che ha sempre caratterizzato mons. Gualdrini, profuso nell’impegno per lo sviluppo del ‘genio femminile’ nella Chiesa: “Egli era persuaso – ha ricordato mons. Vecchi – che, attraverso il genio femminile, è possibile attivare una delle piste principali di educazione alla fede. Papa Francesco ha esplicitato le intuizioni di mons. Gualdrini. Infatti, nella Evangelii gaudium ha scritto due numeri per mettere a fuoco l’indispensabile apporto della donna nella società e nella Chiesa, ‘perché il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale’”.

La celebrazione si è conclusa con la preghiera nella cripta della cattedrale di Terni dove sono custodite le spoglie di due degli ultimi vescovi contemporanei, mons. Gualdrini e mons. Dal Prà.

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