popolazione Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/popolazione/ Settimanale di informazione regionale Thu, 08 Sep 2022 17:36:02 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg popolazione Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/popolazione/ 32 32 Creare un “fondo” per le mamme in difficoltà. La proposta del MPV https://www.lavoce.it/creare-un-fondo-per-le-mamme-in-difficolta-la-proposta-del-mpv/ Fri, 24 Jul 2020 09:30:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57550

“Perché non istituire un fondo appositamente dedicato alle donne che si trovano ad affrontare una gravidanza difficile?”. La proposta, calata nel pieno delle polemiche sulla decisione della Giunta regionale relativa alla RU486, chiudeva il commento della presidente regionale del Movimento per la Vita, Assuntina Morresi, su La Voce del 10 luglio, in prima pagina. Un commento che invitava a “voltare pagina” nel dibattito sull’aborto, al di là del mezzo utilizzato, chimico o chirurgico che fosse. [caption id="attachment_57559" align="alignleft" width="177"] Assuntina Morresi[/caption] Presidente Morresi, come immagina questo fondo regionale? “Dovrebbe trattarsi di un fondo destinato direttamente alle donne, senza intoppi burocratici, a prescindere dalla loro condizione personale, ovvero se siano coniugate o meno. Donne in stato di gravidanza che hanno difficoltà a portarla avanti per motivi economici o anche sociali o di salute, per i quali un aiuto economico può essere decisivo. Lo immagino come un percorso protetto per chi ha gravidanze vulnerabili, per esempio per le extracomunitarie o per chi ha un lavoro in nero”. Il Movimento per la Vita con i Centri di aiuto alla vita non si limita a dare soldi ma offre un accompagnamento umano e personale. Nel momento in cui si dovesse istituire il fondo si dovranno attivare anche percorsi con figure che accompagnino le donne in difficoltà? O solo con i volontari Mpv? “Lo immagino integrato con le istituzioni. Per esempio nella fase di un eventuale colloquio ci potrebbero essere sia volontari del Mpv sia operatori del Consultorio o l’assistente sociale, secondo le problematiche della madre. Sicuramente la presenza del volontariato, che ha maturato trent’anni di esperienza in questo particolare accompagnamento, può essere un valore aggiunto. Sarebbe in una integrazione con un volontariato che non chiede soldi per sé perché i soldi devono andare alle mamme, alle donne”.

Integrazione tra istituzioni e volontariato

Nel momento in cui si dovesse discutere della istituzione del fondo si dovrebbe anche intervenire sui compiti dei consultori e dei servizi sociali? “Sì, ma la 194 già prevede la collaborazione con le associazioni di volontariato. Si può declinare in una fase di sperimentazione, che so, due anni, in cui si pensa insieme un percorso che abbia al centro l’approccio con la persona, perché il problema di queste iniziative non è la cattiva volontà delle istituzioni ma è una burocrazia che non aiuta le donne. Questa fase “burocratica” con il volontariato non c’è perché ci sono dei colloqui, ci sono degli incontri, c’è un percorso in cui vengono ascoltate le donne. Chiaramente tutto parte da una loro richiesta, ma le donne devono sapere che c’è un posto in cui questo è possibile. Non vorrei entrare nel dettaglio perché penso che questo sia da costruire insieme”. Lei nel suo commento su La Voce parla di “fallimento dello Stato” quando offre l’aborto come unico percorso per una gravidanza difficile… “Quando si parla di fallimento voglio essere esplicita. Parlo del fatto che molte volte il Mpv ha chiesto semplicemente uno spazio fisico all’interno degli ospedali o dei consultori, per consentire alle donne di chiedere aiuto nel rispetto della loro libertà. Ma il fatto stesso di offrire una possibile alternativa all’aborto viene vista purtroppo in maniera ideologica come un voler ostacolare la possibilità di abortire delle donne. Invece non è così. Se si parla di libera scelta la donna dovrebbe poter avere diverse opzioni. La posizione del Movimento per la vita sulla 194 è nota, però questa legge ha delle parti che prevedono la possibilità di eliminare le cause che portano all’aborto e noi ci offriamo di collaborare per quella parte. Una donna che chiede l’interruzione di gravidanza è una donna che dice ‘io non ce la faccio’, e bisogna capire perché, poiché molto spesso ce la potrebbe fare. La nostra esperienza ci dice che quando la donna, opportunamente supportata, ha trovato in sé le risorse per diventare mamma, è fiorita, e nessuna in tanti anni è tornata indietro da noi per dire di essersi pentita di aver fatto nascere il bambino”. Con questa proposta si mette sul tavolo della discussione politica il sostegno a tutte le donne che vorrebbero essere madri? “Se io vedo che lo Stato mi aiuta quando io voglio avere un figlio, perché non è solo una questione privata questo figlio che arriverà, allora anche coloro che hanno una paura diversa, che non hanno figli non per questioni economiche ma per un timore generale, potranno vedere con meno paura la maternità. Iniziare da un sostegno economico e da un accompagnamento sociale e lavorativo quando queste sono le cause, contribuisce a creare una mentalità a favore della maternità”.

Vita e natalità: tema non solo cattolico

Ii dati Istat sul calo della popolazione portano il tema sul piano oggettivo di interesse di tutta la società e in Umbria il dato è drammatico. Non teme che possa ripresentarsi la barriera ideologica che fa del tema una battaglia cattolica? “Questa preoccupazione c’é, ma è talmente evidente che stiamo morendo come nazione, come regione, che chi pensa che sia una battaglia solo cattolica deve fare uno sforzo di onestà intellettuale perché un paese che si spegne, un Paese fatto di Rsa è un paese destinato a finire”. Ha descritto un paese di Rsa e l’Umbria non ne ha poche. Possiamo concludere dicendo che vorreste vedere una regione di asili nido? “Asili nido e famiglie con nonni e bambini. La Rsa è necessaria quando la famiglia che è povera e fragile non può tenere gli anziani in casa. Quindi vorrei vedere un paese con asili nido, con meno Rsa e più famiglie nel territorio con anziani che non vengono istituzionalizzati ma che sono una risorsa per il territorio”.
La 194 da applicare
C’è una parte della legge sull’aborto sulla quale il Movimento per la vita chiede un impegno comune per la sua applicazione. È l’articolo 5 della legge 194 approvata nel 1978 che detta le “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. Eccone un passaggio.
«Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto».
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“Perché non istituire un fondo appositamente dedicato alle donne che si trovano ad affrontare una gravidanza difficile?”. La proposta, calata nel pieno delle polemiche sulla decisione della Giunta regionale relativa alla RU486, chiudeva il commento della presidente regionale del Movimento per la Vita, Assuntina Morresi, su La Voce del 10 luglio, in prima pagina. Un commento che invitava a “voltare pagina” nel dibattito sull’aborto, al di là del mezzo utilizzato, chimico o chirurgico che fosse. [caption id="attachment_57559" align="alignleft" width="177"] Assuntina Morresi[/caption] Presidente Morresi, come immagina questo fondo regionale? “Dovrebbe trattarsi di un fondo destinato direttamente alle donne, senza intoppi burocratici, a prescindere dalla loro condizione personale, ovvero se siano coniugate o meno. Donne in stato di gravidanza che hanno difficoltà a portarla avanti per motivi economici o anche sociali o di salute, per i quali un aiuto economico può essere decisivo. Lo immagino come un percorso protetto per chi ha gravidanze vulnerabili, per esempio per le extracomunitarie o per chi ha un lavoro in nero”. Il Movimento per la Vita con i Centri di aiuto alla vita non si limita a dare soldi ma offre un accompagnamento umano e personale. Nel momento in cui si dovesse istituire il fondo si dovranno attivare anche percorsi con figure che accompagnino le donne in difficoltà? O solo con i volontari Mpv? “Lo immagino integrato con le istituzioni. Per esempio nella fase di un eventuale colloquio ci potrebbero essere sia volontari del Mpv sia operatori del Consultorio o l’assistente sociale, secondo le problematiche della madre. Sicuramente la presenza del volontariato, che ha maturato trent’anni di esperienza in questo particolare accompagnamento, può essere un valore aggiunto. Sarebbe in una integrazione con un volontariato che non chiede soldi per sé perché i soldi devono andare alle mamme, alle donne”.

Integrazione tra istituzioni e volontariato

Nel momento in cui si dovesse discutere della istituzione del fondo si dovrebbe anche intervenire sui compiti dei consultori e dei servizi sociali? “Sì, ma la 194 già prevede la collaborazione con le associazioni di volontariato. Si può declinare in una fase di sperimentazione, che so, due anni, in cui si pensa insieme un percorso che abbia al centro l’approccio con la persona, perché il problema di queste iniziative non è la cattiva volontà delle istituzioni ma è una burocrazia che non aiuta le donne. Questa fase “burocratica” con il volontariato non c’è perché ci sono dei colloqui, ci sono degli incontri, c’è un percorso in cui vengono ascoltate le donne. Chiaramente tutto parte da una loro richiesta, ma le donne devono sapere che c’è un posto in cui questo è possibile. Non vorrei entrare nel dettaglio perché penso che questo sia da costruire insieme”. Lei nel suo commento su La Voce parla di “fallimento dello Stato” quando offre l’aborto come unico percorso per una gravidanza difficile… “Quando si parla di fallimento voglio essere esplicita. Parlo del fatto che molte volte il Mpv ha chiesto semplicemente uno spazio fisico all’interno degli ospedali o dei consultori, per consentire alle donne di chiedere aiuto nel rispetto della loro libertà. Ma il fatto stesso di offrire una possibile alternativa all’aborto viene vista purtroppo in maniera ideologica come un voler ostacolare la possibilità di abortire delle donne. Invece non è così. Se si parla di libera scelta la donna dovrebbe poter avere diverse opzioni. La posizione del Movimento per la vita sulla 194 è nota, però questa legge ha delle parti che prevedono la possibilità di eliminare le cause che portano all’aborto e noi ci offriamo di collaborare per quella parte. Una donna che chiede l’interruzione di gravidanza è una donna che dice ‘io non ce la faccio’, e bisogna capire perché, poiché molto spesso ce la potrebbe fare. La nostra esperienza ci dice che quando la donna, opportunamente supportata, ha trovato in sé le risorse per diventare mamma, è fiorita, e nessuna in tanti anni è tornata indietro da noi per dire di essersi pentita di aver fatto nascere il bambino”. Con questa proposta si mette sul tavolo della discussione politica il sostegno a tutte le donne che vorrebbero essere madri? “Se io vedo che lo Stato mi aiuta quando io voglio avere un figlio, perché non è solo una questione privata questo figlio che arriverà, allora anche coloro che hanno una paura diversa, che non hanno figli non per questioni economiche ma per un timore generale, potranno vedere con meno paura la maternità. Iniziare da un sostegno economico e da un accompagnamento sociale e lavorativo quando queste sono le cause, contribuisce a creare una mentalità a favore della maternità”.

Vita e natalità: tema non solo cattolico

Ii dati Istat sul calo della popolazione portano il tema sul piano oggettivo di interesse di tutta la società e in Umbria il dato è drammatico. Non teme che possa ripresentarsi la barriera ideologica che fa del tema una battaglia cattolica? “Questa preoccupazione c’é, ma è talmente evidente che stiamo morendo come nazione, come regione, che chi pensa che sia una battaglia solo cattolica deve fare uno sforzo di onestà intellettuale perché un paese che si spegne, un Paese fatto di Rsa è un paese destinato a finire”. Ha descritto un paese di Rsa e l’Umbria non ne ha poche. Possiamo concludere dicendo che vorreste vedere una regione di asili nido? “Asili nido e famiglie con nonni e bambini. La Rsa è necessaria quando la famiglia che è povera e fragile non può tenere gli anziani in casa. Quindi vorrei vedere un paese con asili nido, con meno Rsa e più famiglie nel territorio con anziani che non vengono istituzionalizzati ma che sono una risorsa per il territorio”.
La 194 da applicare
C’è una parte della legge sull’aborto sulla quale il Movimento per la vita chiede un impegno comune per la sua applicazione. È l’articolo 5 della legge 194 approvata nel 1978 che detta le “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. Eccone un passaggio.
«Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto».
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Deserto demografico https://www.lavoce.it/deserto-demografico/ https://www.lavoce.it/deserto-demografico/#comments Wed, 10 Jul 2019 10:27:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54837

di Ernesto Rossi*

La contrazione delle nascite è stata per anni definita inverno demografico, ma poiché non si profila alcuna primavera all’orizzonte l’inverno s’è di fatto dimostrato un’era glaciale. Nel nostro caso culle vuote e popolazione sempre più anziana bisognosa di assistenza da parte della generazione produttiva in contrazione numerica e difficoltà economica: le glaciazioni producono desertificazione.

Lo sapevamo, ma lo verifichiamo con precisione oggi, pubblicati i dati Istat sulla demografia italiana e regionale. Un calo deciso di popolazione: meno 4% di abitanti e meno 3,2% di iscritti dall’estero, tutto in un solo anno. Un trend inesorabile, con l’Italia che dal 2015 perde 400.000 abitanti, di cui 124.000 solo quest’anno.

In Umbria, tanto per guardarci in casa e arrotondando le cifre per facilitare i conti, nascono circa 5.000 bambini a fronte di 10.000 morti all’anno, un rapporto di uno a due. Se aggiungiamo i circa 2.500 cittadini che si trasferiscono, tra cui i figli laureati per mancanza di opportunità, a conti fatti ogni anno perdiamo 7.500 abitanti, una contrazione che l’immigrazione non mitiga restando il saldo negativo.

I governi sembrano incapaci di intercettare questo processo storico, pur non pretendendo da essi soluzioni miracolose ma almeno prendere atto delle cose. Questo è un problema nel problema: finora la questione demografica, è stata un impegno differibile sine die.

La denatalità così fa il paio con il tema dei cambiamenti climatici: ci sono voluti decenni per prenderne coscienza e tutt’oggi qualcuno li nega o minimizza per effetto della scarsa informazione o interessi economici contrastanti. Punti di vista, se non fosse che gli interessi generali a un certo punto prevalgono sui particolari e un intervento riequilibratore è richiesto. Traslando la questione alla denatalità, non si può pensare di risolvere il problema delle culle vuote convincendo la gente a far più figli scaricando tutto sulle pance dei cittadini.

Il decisore pubblico deve fare la sua parte creando i presupposti per assecondare un aumento della natalità. Il Forum delle associazioni familiari da tempo sollecita i governi anche locali a farsi carico almeno della narrazione del problema, suggerendo le soluzioni per ridurre gli ostacoli delle coppie a far figli.

Conosciamo già le cause della scarsa natalità: tardivo raggiungimento dell’indipendenza economica e abitativa, carriere che sacrificano la famiglia, scarse politiche di conciliazione famiglia-lavoro, cultura familiare svilita. Fare un figlio poi costa.

Un fattore critico che il Forum denuncia da tempo è la difficoltà economica delle famiglie del ceto medio. In Italia, Paese sviluppato e strategico del G20, il 27% delle famiglie italiane entra nella soglia di povertà relativa alla nascita del terzogenito e il terzo figlio è la seconda causa di povertà dopo la perdita del lavoro.

Un figlio è evento che incide profondamente sull’economia familiare e non stupisce la contrazione di nascite in anni di stagnazione economica che ha prostrato l’umore e il portafoglio della popolazione che silenziosamente generava i numeri che mancano. La denatalità impone di riconsiderare i paradigmi socioeconomici, tuttavia non servono paroloni tecnici per rimboccarsi le maniche. Uno strumento di facile messa a punto è l’assegno familiare.

Il criterio di assegnazione attuale è iniquo e macchinoso, destinato ai soli lavoratori dipendenti, ma nelle stesse difficoltà di filiazione sono anche tutti gli altri, lavoratori autonomi, atipici, specialmente nell’epoca di precari sottopagati e partite iva senza diritti.

Il Forum propone un assegno familiare universale, indipendente dal reddito, in media con quelli europei: 150 euro per ciascun figlio fino ai 26 anni se studente in regola, d’importo crescente col numero dei figli e in caso di disabilità. Il costo è in gran parte derivante dagli strumenti esistenti e razionalizzerebbe molti bizantinismi fiscali.

Quest’anno per esempio, grazie anche all’Associazione famiglie numerose, è stata innalzata a 4.000 euro annui la soglia di reddito per considerare a carico un figlio entro i 24 anni e ottenere sgravi fiscali; ma fa riflettere come una persona dal reddito di 4.001 euro sia indipendente per lo Stato italiano, pensando a quelle famiglie in cui un figlio studente cerca di aiutare a tirare la carretta con un lavoretto stagionale. Il presente è questo, la strada per uscire dal deserto demografico inizia prendendo coscienza di ciò che ci circonda.

* presidente del Forum famiglie Umbria

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https://www.lavoce.it/deserto-demografico/feed/ 1
Investire oggi per gli umbri di domani. Commento ai dati Istat sulle previsioni della popolazione https://www.lavoce.it/investire-oggi-per-gli-umbri-di-domani-commento-ai-dati-istat-sulle-previsioni-della-popolazione/ Fri, 06 Jul 2018 16:00:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52262

di Rosita Garzi I dati demografici dell’Istat denotano una diminuzione generale della popolazione e, negli ultimi anni, un suo invecchiamento costante. Le previsioni demografiche suddivise per fasce di età e riguardanti la regione Umbria ci danno un’immagine sempre più spopolata e per giunta sempre più vecchia. Da precisare che si tratta di previsioni basate sul trend statistico degli ultimi anni, il cui andamento potrebbe subire effettivamente modifiche sul piano reale. Nelle riflessioni che seguono si parte dunque dal presupposto che questa possa essere la realtà futura se, in qualche misura, non si interviene sul piano economico, sociale e culturale. Quali possano essere le conseguenze su questi piani possiamo almeno ipotizzarlo e immaginarlo dal punto di vista sociologico facendo alcune riflessioni. Meno giovani e più anziani Si tratta anzitutto di un fenomeno dovuto essenzialmente a due fattori. Da una parte l’innalzamento dell’età media della popolazione, dovuto a una qualità migliore della vita, e a condizioni migliori di salute tra gli anziani; dall’altra, una costante riduzione del tasso di fertilità. Su questo ultimo aspetto, il contributo fornito dalle donne immigrate, che in un primo momento ha potuto riequilibrare la situazione, oggi non sembra più colmare il gap che impedisce la riproduzione minima della popolazione (Save the Children, La maternità in Italia , 2018). Questo accade probabilmente perché, quando si percepiscono le difficoltà nel generare e far crescere figli, magari creandosi anche una famiglia, si manifesta un rapido adattamento della popolazione straniera ai comportamenti di riproduzione della popolazione autoctona e il tasso di fecondità scende rapidamente nel tempo, avvicinandosi sempre più a quello della popolazione locale. Per quanto concerne l’invecchiamento della popolazione, questo porta con sé anche un invecchiamento della popolazione attiva, con conseguenze a valanga.
Popolazione umbra: dati presenti e proiezioni

L’Istat ha pubblicato nel mese di maggio 2018 i dati relativi alle previsioni demografiche del nostro Paese. Tali dati forniscono un’immagine di come la struttura della popolazione potrebbe cambiare in futuro. Il punto base delle previsioni è il dato certo di 60,6 milioni di italiani residenti al 31 dicembre 2017.

Viene stimato che in Italia la popolazione residente attesa sia pari, secondo lo scenario mediano, a 60,5 milioni nel 2025, per poi passare a 59 milioni nel 2045 e infine a 54,1 milioni nel 2065 con una flessione massima di 6,5 milioni di residenti in meno rispetto al 2017.

Ma nello specifico, quali sono le previsioni demografiche relative alla nostra regione? Dalla banca dati Istat, abbiamo ricavato i dati relativi all’Umbria e dopo averli raggruppati, li abbiamo analizzati secondo i parametri che l’Istat stesso aveva utilizzato per l’Italia.

Il territorio umbro, dal 2017 al 2065, subirà una forte diminuzione di circa 110 mila residenti (dagli attuali 888.908 ai 770.8816) con un aumento significativo della fascia anziana (più di 65 anni) rispetto alla fascia giovane (0-14 anni).

Nel 2017 la popolazione nella nostra regione era così suddivisa: 12,79% giovani, 62,14% adulti e 25,07 % anziani. Tra 27 anni, nel 2045, con .679 abitanti (-36.229 rispetto al 2017) la struttura della popolazione subirà un grande squilibrio con una diminuzione in numeri assoluti e in percentuale della popolazione giovane (-17.469 e l’11,29% del totale) e della fascia media (15-64 anni) (99.318) e sarà il 53,13% del totale degli umbri, con un forte incremento della popolazione anziana (+80.558) che sarà il 35,02% del totale. Nel 2065, con una diminuzione della popolazione di oltre 118 mila residenti scenderà ancora il peso dei più giovani.

In conclusione si stima che, se oggi per ogni giovane ci sono poco meno di 2 anziani, dal 2045 ci saranno più di 3 anziani ogni giovane: una regione che ‘invecchia’!

Arianna Sorrentino

Le conseguenze nel mondo del lavoro Un primo effetto sarebbe nella riduzione di investimenti in processi innovativi, con il rischio di indebolimento della vitalità imprenditoriale e conseguentemente anche della domanda di lavoro. La scarsità di lavoro potrebbe spingere la popolazione più giovane ad allontanarsi dal contesto locale. La componente più giovane della popolazione, tendenzialmente più aperta al cambiamento e utile per la vivacità economica del territorio, potrebbe “scegliere” la strada di abbandonare il territorio per cercare condizioni economiche più favorevoli, e costruendosi un futuro oltre il territorio locale. Il processo di invecchiamento po- trebbe in questo modo inasprirsi, con il conseguente aumento dell’età media e facendo sì che l’evoluzione professionale e i progetti familiari si realizzino al di fuori dell’Umbria. Tre anziani per ogni giovane Lo spopolamento e il probabile aumento della popolazione anziana potrebbe condurre anche alla nascita di zone residenziali popolate in prevalenza da anziani, con tutto ciò che ne consegue sul piano economico e sociale: gli anziani in condizioni di fragilità sociale sarebbero sempre più a rischio di isolamento. Sui giovani che restano graverebbe il peso della cura delle persone anziane (nel 2065, circa tre anziani ogni giovane), con un legame sociale sempre più impoverito dalla quasi assenza di famiglie e forze di lavoro giovani, e con un welfare sempre più in affanno. L’impoverimento generale dal punto di vista economico, ma anche sociale e umano, concorrerebbe al rischio di una più profonda frattura generazionale che potrebbe comportare il collasso sociale, oltre che economico, del nostro “cuore verde d’Italia”. Come invertire la rotta? Cosa fare per evitare una previsione così drammatica sul piano demografico? Non è certo cosa semplice; risposte sicure non ne abbiamo, ma alcune certezze sì. Rimodellare la società sulla base dell’incremento di longevità, investire sull’incremento della fertilità nel nostro Paese e sulle tre dimensioni del welfare (mercato, società e Stato) può essere una prevenzione attuabile. Lavorare quindi sull’idea di business (mercato), sul legame sociale e familiare (società), e investire nelle politiche sociali (Stato e altri), tutto nell’ottica di sostenere le famiglie, la genitorialità e gli anziani, favorendo la riproduzione sociale. È certo che sui curricula non si denunciano gli anziani in casa o i figli appena nati, ma solo i master conseguiti (continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce). *Docente di Sociologia dei processi economici del lavoro all’Università di Perugia]]>

di Rosita Garzi I dati demografici dell’Istat denotano una diminuzione generale della popolazione e, negli ultimi anni, un suo invecchiamento costante. Le previsioni demografiche suddivise per fasce di età e riguardanti la regione Umbria ci danno un’immagine sempre più spopolata e per giunta sempre più vecchia. Da precisare che si tratta di previsioni basate sul trend statistico degli ultimi anni, il cui andamento potrebbe subire effettivamente modifiche sul piano reale. Nelle riflessioni che seguono si parte dunque dal presupposto che questa possa essere la realtà futura se, in qualche misura, non si interviene sul piano economico, sociale e culturale. Quali possano essere le conseguenze su questi piani possiamo almeno ipotizzarlo e immaginarlo dal punto di vista sociologico facendo alcune riflessioni. Meno giovani e più anziani Si tratta anzitutto di un fenomeno dovuto essenzialmente a due fattori. Da una parte l’innalzamento dell’età media della popolazione, dovuto a una qualità migliore della vita, e a condizioni migliori di salute tra gli anziani; dall’altra, una costante riduzione del tasso di fertilità. Su questo ultimo aspetto, il contributo fornito dalle donne immigrate, che in un primo momento ha potuto riequilibrare la situazione, oggi non sembra più colmare il gap che impedisce la riproduzione minima della popolazione (Save the Children, La maternità in Italia , 2018). Questo accade probabilmente perché, quando si percepiscono le difficoltà nel generare e far crescere figli, magari creandosi anche una famiglia, si manifesta un rapido adattamento della popolazione straniera ai comportamenti di riproduzione della popolazione autoctona e il tasso di fecondità scende rapidamente nel tempo, avvicinandosi sempre più a quello della popolazione locale. Per quanto concerne l’invecchiamento della popolazione, questo porta con sé anche un invecchiamento della popolazione attiva, con conseguenze a valanga.
Popolazione umbra: dati presenti e proiezioni

L’Istat ha pubblicato nel mese di maggio 2018 i dati relativi alle previsioni demografiche del nostro Paese. Tali dati forniscono un’immagine di come la struttura della popolazione potrebbe cambiare in futuro. Il punto base delle previsioni è il dato certo di 60,6 milioni di italiani residenti al 31 dicembre 2017.

Viene stimato che in Italia la popolazione residente attesa sia pari, secondo lo scenario mediano, a 60,5 milioni nel 2025, per poi passare a 59 milioni nel 2045 e infine a 54,1 milioni nel 2065 con una flessione massima di 6,5 milioni di residenti in meno rispetto al 2017.

Ma nello specifico, quali sono le previsioni demografiche relative alla nostra regione? Dalla banca dati Istat, abbiamo ricavato i dati relativi all’Umbria e dopo averli raggruppati, li abbiamo analizzati secondo i parametri che l’Istat stesso aveva utilizzato per l’Italia.

Il territorio umbro, dal 2017 al 2065, subirà una forte diminuzione di circa 110 mila residenti (dagli attuali 888.908 ai 770.8816) con un aumento significativo della fascia anziana (più di 65 anni) rispetto alla fascia giovane (0-14 anni).

Nel 2017 la popolazione nella nostra regione era così suddivisa: 12,79% giovani, 62,14% adulti e 25,07 % anziani. Tra 27 anni, nel 2045, con .679 abitanti (-36.229 rispetto al 2017) la struttura della popolazione subirà un grande squilibrio con una diminuzione in numeri assoluti e in percentuale della popolazione giovane (-17.469 e l’11,29% del totale) e della fascia media (15-64 anni) (99.318) e sarà il 53,13% del totale degli umbri, con un forte incremento della popolazione anziana (+80.558) che sarà il 35,02% del totale. Nel 2065, con una diminuzione della popolazione di oltre 118 mila residenti scenderà ancora il peso dei più giovani.

In conclusione si stima che, se oggi per ogni giovane ci sono poco meno di 2 anziani, dal 2045 ci saranno più di 3 anziani ogni giovane: una regione che ‘invecchia’!

Arianna Sorrentino

Le conseguenze nel mondo del lavoro Un primo effetto sarebbe nella riduzione di investimenti in processi innovativi, con il rischio di indebolimento della vitalità imprenditoriale e conseguentemente anche della domanda di lavoro. La scarsità di lavoro potrebbe spingere la popolazione più giovane ad allontanarsi dal contesto locale. La componente più giovane della popolazione, tendenzialmente più aperta al cambiamento e utile per la vivacità economica del territorio, potrebbe “scegliere” la strada di abbandonare il territorio per cercare condizioni economiche più favorevoli, e costruendosi un futuro oltre il territorio locale. Il processo di invecchiamento po- trebbe in questo modo inasprirsi, con il conseguente aumento dell’età media e facendo sì che l’evoluzione professionale e i progetti familiari si realizzino al di fuori dell’Umbria. Tre anziani per ogni giovane Lo spopolamento e il probabile aumento della popolazione anziana potrebbe condurre anche alla nascita di zone residenziali popolate in prevalenza da anziani, con tutto ciò che ne consegue sul piano economico e sociale: gli anziani in condizioni di fragilità sociale sarebbero sempre più a rischio di isolamento. Sui giovani che restano graverebbe il peso della cura delle persone anziane (nel 2065, circa tre anziani ogni giovane), con un legame sociale sempre più impoverito dalla quasi assenza di famiglie e forze di lavoro giovani, e con un welfare sempre più in affanno. L’impoverimento generale dal punto di vista economico, ma anche sociale e umano, concorrerebbe al rischio di una più profonda frattura generazionale che potrebbe comportare il collasso sociale, oltre che economico, del nostro “cuore verde d’Italia”. Come invertire la rotta? Cosa fare per evitare una previsione così drammatica sul piano demografico? Non è certo cosa semplice; risposte sicure non ne abbiamo, ma alcune certezze sì. Rimodellare la società sulla base dell’incremento di longevità, investire sull’incremento della fertilità nel nostro Paese e sulle tre dimensioni del welfare (mercato, società e Stato) può essere una prevenzione attuabile. Lavorare quindi sull’idea di business (mercato), sul legame sociale e familiare (società), e investire nelle politiche sociali (Stato e altri), tutto nell’ottica di sostenere le famiglie, la genitorialità e gli anziani, favorendo la riproduzione sociale. È certo che sui curricula non si denunciano gli anziani in casa o i figli appena nati, ma solo i master conseguiti (continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce). *Docente di Sociologia dei processi economici del lavoro all’Università di Perugia]]>
Quale futuro stiamo costruendo? https://www.lavoce.it/quale-futuro-stiamo-costruendo/ Wed, 06 Jun 2018 16:15:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52036 di Maria Rita Valli

Sabato 9 giugno sarà l’ultimo giorno di scuola. Chi ha gli esami dovrà ancora studiare ma per la maggior parte degli studenti inizia il tempo delle vacanze, il tempo libero dallo studio che non sarà, però, un tempo vuoto viste le numerose proposte di centri estivi di vario genere: dagli oratori parrocchiali ai campi delle associazioni ambientali o di impegno sociale e così via. Proposte che sono per le famiglie un aiuto importante soprattutto quando i genitori lavorano e non ci sono nonni che possano “badare” i nipotini. Si apre, dunque, un periodo pieno di attività e, per gli animatori, di responsabilità alla quale si sono preparati negli incontri formativi. È, anche questo, un tempo di crescita, un tempo in cui si fa esperienza di comunità, si impara a stare insieme in un contesto diverso dalla scuola, dalla famiglia, dal gruppo di amici. L’impegno che nelle prossime settimane verrà profuso dai parroci, dai religiosi e dalle religiose, ma soprattuto dai giovani e dalle giovani animatrici nei Grest umbri è un valore che costruisce la società. I giovani sono il futuro della società e della Chiesa perché sono gli adulti di domani. Dovrebbero poter essere protagonisti, oggi, delle scelte che li riguardano. E chi fa politica dovrebbe avere lo sguardo aperto sul futuro quando discute di economia, di ambiente, di politiche sociali, di scuola, di fine vita e di vita nascente. C’è un dato, su tutti, che dovrebbe “condizionare” ogni dibattito, ogni scelta: il basso numero di bambini che nascono ogni anno in Italia e in Umbria. L’Istat nelle previsioni demografiche avverte che se le cose non cambiano nel 2045, tra 27 anni, la popolazione sarà molto diminuita (più di un milione in meno, più di tutta la popolazione della nostra regione) e sarà molto più anziana. Se le cose non cambiano, con politiche vere a sostegno della natalità e tanto altro, i nostri nipoti vivranno in un paese di vecchi più o meno in buona salute.

Di fronte a questo scenario che senso ha pensare al futuro? O meglio, il futuro di chi stiamo costruendo? Sono domande che anche la Chiesa si pone e non a caso Papa Francesco ha indetto un Sinodo sui giovani, cioé ha chiamato i vescovi di tutto il mondo a riflettere su “I giovani, la fede, il discernimento vocazionale” coinvolgendolo anche nella preparazione al Sinodo. Nella Lettera scritta ai giovani il 13 gennaio 2017 Papa Francesco chiede a loro di farsi coinvolgere in questo percorso riconoscendone il contributo prezioso e insostituibile. “Un mondo migliore si costruisce anche grazie a voi, alla vostra voglia di cambiamento e alla vostra generosità”, scrive Papa Francesco.

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Esisterà ancora la Regione Umbria? https://www.lavoce.it/esistera-ancora-la-regione-umbria/ Thu, 17 Sep 2015 08:50:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43272 L'Umbria vista dallo spazio (foto esa.int)
L’Umbria vista dallo spazio (foto esa.int)

Ci sarà ancora la regione Umbria? Il governo Renzi nell’ambito delle riforme costituzionali aveva annunciato anche la creazione di macro-regioni. Nel dicembre scorso il Pd aveva presentato un disegno di legge costituzionale per ridurre il loro numero da 20 a 12.

Secondo questa proposta, l’Umbria entrerebbe a fare parte della Regione appenninica con la Toscana e la provincia di Viterbo. Una riforma che stravolgerebbe l’attuale assetto amministrativo (e forse anche il quadro politico) dell’Italia. Sul tema però è calato il silenzio, mentre si continua a litigare sulla riforma del Senato e sulla nuova legge elettorale.

Delle macro-regioni però si è tornato a parlare alla fine della scorsa settimana nelle Giornate della geografia, l’incontro annuale dei geografi italiani, che per la prima volta si è svolto a Perugia, organizzato dalla Università degli studi con il coordinamento del prof. Giovanni De Santis. Il tema della prima tavola rotonda era infatti “L’Umbria, regione centrale nell’Italia di mezzo”.

Una posizione di centro che – come emerso dai lavori – l’Umbria occupa soltanto nelle carte geografiche. Non lo è infatti dal punto di vista economico, e con una popolazione in cui gli anziani con più di 65 anni sono percentualmente superiori alla media nazionale.

Una regione di 900.000 abitanti, tanti quanti ne conta un grande quartiere di Roma, che non è mai esistita nelle carte geografiche prima dell’Unità d’ Italia e che – come ha detto lo storico Mario Tosti – è una “costruzione amministrativa”.

Dunque l’Umbria come ente Regione è da cancellare? Una domanda alla quale non possono rispondere i geografi ma i politici, i quali invece – come ha sottolineato il giurista Paolo Rossi – hanno fatto calare il silenzio su una questione complessa che rischierebbe di rimettere in discussione delicati equilibri tra le forze politiche in campo.

L’Umbria geograficamente – ha detto l’economista Sergio Sacchi – è proprio il centro dell’Italia, ma non dal punto di vista economico. Nel 1980 aveva un Pil superiore alla media nazionale, ora non è più così. Soprattutto negli ultimi anni c’è stata una discesa costante, con l’aumento del lavoro precario e irregolare e una diminuzione della capacità di esportare. Dal punto di vista dei parametri economici, l’Umbria – ha spiegato – si colloca al 12° posto tra le 20 regioni italiane. “Dunque – ha sintetizzato – l’essere al centro evidentemente non paga”.

Anche per le difficoltà nei collegamenti stradali e ferroviari, ha osservato il prof. Carlo Pongetti, dell’Università di Macerata, che ha coordinato la tavola rotonda.

Problemi aperti

Dall’intervento del demografo Odoardo Bussini è emerso che l’Umbria è una regione con tanti vecchi e pochi giovani. Il 24,2% degli abitanti hanno più di 65 anni, una percentuale che supera del 2,6% la media nazionale e dell’1,8 quella dell’Italia centrale. Nella classifica degli “over 65” è preceduta soltanto da Liguria, Friuli e Toscana. C’è poi anche una forte riduzione della natalità, superiore alla media nazionale e anche a quella dell’Italia centrale. Le persone che muoiono sono il 3,2% in più dei nati, con un calo demografico cominciato già negli anni ’90 e compensato solo dall’arrivo di immigrati.

Umbria proiettata verso l’Adriatico o verso il Tirreno? Il progetto di riforma costituzionale, con l’Umbria inserita nella Regione appenninica con Toscana e Viterbo, “ci proietta – ha detto ancora il prof. Paolo Rossi – verso il Tirreno”. Di questo si era discusso anche in Umbria, con pareri contrari tra chi lo condivide e chi invece preferisce una “proiezione verso l’Adriatico” con una macro-regione comprendente le Marche.

“Una riforma però – ha ricordato il giurista – della quale non si parla più e che sembra essere un non-problema, il grande assente nel dibattito politico”. Perché? “Si dovrebbero rimettere le mani sulla riforma elettorale e alle Circoscrizioni – ha risposto – riponendo in discussione delicati equilibri politici”.

Nel suo intervento il prof. Mario Tosti, presidente dell’Isuc (Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea), ha sottolineato la “difficoltà di identificare l’Umbria” che per secoli è stata caratterizzata da una frammentazione territoriale. È soltanto con l’Unità d’Italia che ha cominciato ad assumere una sua identità. In merito poi al progetto per le macro-regioni, Tosti ha detto che la Storia insegna che la ridefinizione di assetti amministrativi “non funziona se calata dal centro. Sono invece operazioni che vanno costruite dal basso, tenendo conto delle diversità e delle vocazioni dei territori e della valorizzazione delle autonomie locali”.

“Ogni soluzione – per l’economista Sergio Sacchi – ha aspetti positivi e negativi”. Se si dovesse andare avanti nel progetto di macro-regioni, a suo parere l’Umbria dovrà superare la “riserva mentale” di sentirsi al centro. “Io – ha concluso parlando con La Voce – sogno una Umbria come provincia di una macro-regione”.

 Il demografo Bussini: abbiamo bisogno degli immigrati

L’Umbria, regione di vecchi, è stata ringiovanita dagli immigrati; ma il loro apporto si sta esaurendo. Lo ha sottolineato nel suo intervento il prof. Odoardo Bussini, docente dell’ateneo perugino. Dalla fine dell’Ottocento agli anni Settanta del secolo scorso, 263.000 umbri hanno lasciato la loro terra per cercare fortuna altrove, il 70% all’estero e gli altri in altre regioni d’Italia.

Negli anni Ottanta, l’inversione di tendenza: l’Umbria diventa meta di immigrati. Oggi quelli regolari sono circa 100.000, l’11% della popolazione. Percentuale che colloca la regione al terzo posto in Italia dopo Emilia Romagna e Lombardia. “L’Umbria – ha detto ancora – è un buon esempio di integrazione: i nuovi abitanti si occupano dei nostri anziani, fanno lavori poco ambiti dagli italiani, vanno a scuola e giocano con i nostri figli. Questo loro contributo al ringiovanimento della nostra popolazione si sta però esaurendo, anche per colpa della crisi economica. Stiamo assistendo – ha aggiunto Bussini parlando con La Voce – a questa fuga di massa da Paesi colpiti da guerre e carestie.

È un fenomeno storico destinato a durare e che dobbiamo governare, perché abbiamo ancora bisogno di immigrati da integrare nella nostra economia e nella nostra società. Le ultime stime delle Nazioni Unite dicono che la popolazione nel mondo nei prossimi decenni continuerà a crescere. In Europa siamo 700 milioni, ma nella sola Africa sub-sahariana si supereranno i 2 miliardi.

In Italia solo 13 abitanti su 100 hanno meno di 15 anni, mentre in Africa e negli altri Paesi del cosiddetto terzo mondo sono 35-40, quasi la metà della popolazione. Ci saranno dunque milioni di persone, in gran parte giovani, che nei prossimi decenni inevitabilmente non avranno pane sufficiente nei loro Paesi e quindi premeranno in massa ai confini delle nazioni dell’Occidente. Certo non basteranno i muri a fermarli. E tutto questo avverrà mentre in Italia, senza il loro apporto, saremo sempre di meno e sempre più vecchi”.

 

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Ricostruire non basta https://www.lavoce.it/ricostruire-non-basta/ Thu, 23 Jul 2015 09:56:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39932 GazaPreceduta da un pesante lancio di razzi di Hamas dalla Striscia di Gaza e dagli attacchi aerei di risposta da parte dell’Aviazione israeliana, l’8 luglio 2014 Israele dava il via all’operazione “Margine protettivo”.

L’obiettivo era porre fine al lancio di razzi e distruggere i tunnel dei miliziani scavati da Gaza per penetrare in territorio ebraico e colpire i civili.

Cinquantuno giorni di guerra – la terza in sei anni – che provocarono, secondo il rapporto del Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu, la morte di 2.251 palestinesi, di cui 1.462 civili (tra i quali 299 donne e 551 bambini) e 789 combattenti. Diecimila i feriti.

Un anno dopo, le ferite di questo conflitto sono sotto gli occhi del mondo. Visibili come le macerie delle 18 mila strutture distrutte o severamente danneggiate. Poche le case riparate. Fonti locali e organismi internazionali operanti a Gaza stimano che siano almeno 100 mila i gazawi costretti a vivere in alloggi di fortuna e oltre 8 mila i senzatetto, circa il 5% dell’1,8 milioni di abitanti che sovrappopolano i 362 chilometri quadrati della Striscia.

Gaza vive una continua emergenza umanitaria. I finanziamenti (5 miliardi di dollari) promessi dai donatori internazionali durante la conferenza al Cairo dell’ottobre 2014 arrivano lentamente, così come i materiali per la ricostruzione, che Israele permette di far entrare attraverso il valico di Erez. Secondo la Banca mondiale, nella Striscia si registra il più alto tasso di disoccupazione al mondo, pari al 40%, che sale al 60% tra i giovani che sono la maggioranza della popolazione.

La produzione agricola è diminuita del 31% solamente nell’ultimo anno. Con il collasso economico dietro l’angolo, sono sempre di più i giovani che, in cerca di un lavoro rischiano la vita, scavalcando le recinzioni al confine con Israele. In totale sono oltre 300 mila i giovani e i bambini che attualmente hanno bisogno di assistenza psicologica per riuscire a superare i traumi e le sofferenze causate dai conflitti.

Save the Children ha diffuso in questi giorni uno studio sui bambini della regione. L’89% soffre ancora di forti paure; più del 70% dei piccoli teme un altro conflitto; e ancora: 7 bambini su 10 hanno incubi notturni, nelle zone più colpite, percentuale che raggiunge la quasi totalità nelle città di Beit Hanoun (96%) e Khuza (92%).

Stallo anche nel processo politico con Hamas che continua a governare la Striscia ma ora c’è lo Stato islamico (Isis) interessato a insediarsi a Gaza, come testimonierebbero alcuni attentati contro Hamas. Non si registrano sviluppi positivi nemmeno nel dialogo con l’Autorità palestinese (Anp) e con l’Egitto.

“Non è cambiato nulla – dice con amarezza padre Raed Abusahlia, direttore di Caritas Jerusalem – a Gaza si cammina tra le macerie e la delusione della gente è palpabile. Quartieri interi distrutti. Ci vorranno almeno 5 anni per rimettere in sesto quello che è stato distrutto in 51 giorni. Dei 5 miliardi di dollari promessi dai Paesi donatori, non si è visto nulla. E anche la solidarietà della gente comune è finita.

Come se la guerra fosse finita e tutto fosse tornato a posto. Ma non è così. Nessuno qui nutre più speranze per un futuro migliore. La nostra stessa comunità cristiana, circa 1.300 persone di cui poco meno di 200 cattolici, se mai dovessero aprire i valichi di confine, lascerebbe la Striscia subito… Serve aiuto soprattutto ai più piccoli. I bambini di Gaza sono malnutriti. La situazione è davvero difficile, e a questo si aggiunga il caldo, le precarie condizioni igieniche, la mancanza di acqua e di energia elettrica che viene erogata per circa 4 ore al giorno. Dopo un anno, non basta ricostruire Gaza, ma la speranza della sua gente, per evitare conflitti futuri”.

 

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Quando nacquero le pievanie e perché https://www.lavoce.it/quando-nacquero-le-pievanie-e-perche/ Fri, 18 Jul 2014 12:47:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27098 L'abbazia dei santi Fidenzio e Terenzio a Massa Martana

L’abbazia dei santi Fidenzio e Terenzio a Massa Martana

Siamo in un tempo di transizione, e non è la prima volta che la Chiesa affronta questa situazione. Dal Concilio Trullano (692) fino all’inizio del pontificato di Gregorio VII (1073) – per quattro secoli – la Chiesa si trovò di fronte a condizioni completamente diverse da quelle dell’antichità cristiana. Il pensiero, i rapporti erano tutti volti verso il mondo greco-romano, ora la vita e l’annuncio cristiano è diretto verso nuovi popoli germano-romani. Todi era compresa nel Corridoio bizantino, un’esile striscia di territorio che da Ravenna conduceva a Roma, mentre Orvieto dal 568 si trovava sotto il domino dei Longobardi che non erano cattolici ma seguivano il cristianesimo ariano.

I vescovi, in un territorio dove ormai abitava gente almeno nominalmente cristiana, dovevano provvedere alla loro cura pastorale. Dalla città sede vescovile necessitava costituire delle comunità rurali, tenendo sempre come principio l’unità del popolo cristiano. Per questo si stavano affermando le pievanie o plebanati, chiese del popolo, guidate da un arciprete; in diocesi di Todi in certi periodi se ne contavano diciotto. Chiese dove risiedeva un clero più numeroso, dove si celebrava il battesimo e vi era anche il cimitero.

Dalla pievania dipendevano altre chiese, oratoria, installatasi nei fondi e fatte costruire da signori laici. Data l’insicurezza sociale venutasi a creare, si assiste al fenomeno dell’incastellamento: sorgono villaggi fortificati per proteggere la popolazione dedita al lavoro dei campi delle aristocrazie locali. Questo fatto era fonte di problemi pastorali; in seguito sarà motivo di decadenza e corruzione.

I vescovi, almeno all’inizio, facendosi forti della legislazione gelasiana che prevedeva la distinzione dei poteri secondo il Diritto romano, non facevano molte concessioni al signore laico che edificava una chiesa nei propri possedimenti. Durante le feste di Natale, Epifania, Pasqua, Ascensione, Pentecoste e natività di san Giovanni Battista, la messa non veniva celebrata nelle chiese dipendenti, ma tutti i fedeli si recavano alla pieve.

La Chiesa, anche in situazioni così mutevoli, cercava di svolgere la propria missione e ci ha lasciato numerose testimonianze archeologiche, come il Paliotto dell’altare della chiesa abbaziale dei Santi Severo e Martirio (sec. VI-VIII) con dedica del vescovo Teuzo, presule di origine longobarda. È del 708 una lamina di piombo con inciso: Hec sunt reliquie beatissimi Fortunati episcopi et confessoris. Segno di una forte devozione della Chiesa di Todi per questo santo vescovo vissuto nel secolo VI. Luci e ombre in contesti che mutano, ma d’affrontare, come sempre, con la forza della fede e il discernimento dei segni dei tempi.

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Più sicurezza con l’aiuto dei cittadini https://www.lavoce.it/piu-sicurezza-con-laiuto-dei-cittadini/ Thu, 03 Apr 2014 17:04:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24128 Carmelo Gugliotta
Carmelo Gugliotta

La vera sicurezza si ha quando c’è anche legalità, e ha bisogno della collaborazione dei cittadini. Lo sottolinea il nuovo questore di Perugia Carmelo Gugliotta in un’intervista a La Voce. “La legalità – spiega – crea sicurezza e benessere e quindi conviene a tutti”. Gugliotta è arrivato a Perugia all’inizio dell’anno da Messina, dopo una carriera in polizia che lo ha visto impegnato con vari ruoli in fronti difficili come quelli della Sicilia e della Calabria. In Umbria – dice – ha trovato cittadini che collaborano attivamente con le forze di polizia, e una rete di associazioni spontanee promotrici di progetti che contribuiscono anche alla tutela della sicurezza. Come si spiegano allora i risultati dell’ultimo rapporto Istat secondo il quale nell’arco di un ventennio (1993-2013) l’Umbria è passata dall’ottavo al terzo posto nella classifica delle regioni italiane sulla percezione della sicurezza da parte dei cittadini? Soltanto gli abitanti di due grandi regioni come Lazio e Lombardia avvertono più alto il rischio di potere essere vittima di attività criminali. E questo anche se, per numero di reati in rapporto alla popolazione, la situazione dell’Umbria è migliore di quella della media nazionale e del centro Italia. Alcune risposte ai dati di questo rapporto vengono dal questore e dal suo capo di gabinetto, Salvatore Barba, da molti anni in servizio a Perugia dopo esperienze a Genova e in Lombardia. La prima considerazione è che gli abitanti dell’Umbria erano abituati ad una vita molto più tranquilla di tante altre realtà. Per cui, anche con livelli di criminalità inferiori alla media italiana, gli umbri si sentono sempre più preoccupati e insicuri. “Si è infatti accentuata – spiega il questore – la differenza tra il livello di sicurezza reale e quello della sicurezza percepita dalle persone. Un senso di insicurezza che deriva anche dalla situazione economica e dalla conseguente preoccupazione delle famiglie”. Paure e timori – continua il questore – alimentate anche da certi titoli allarmistici dei giornali. Eppure in provincia di Perugia, con importanti operazioni di polizia come l’operazione “Pitbull”, che ha sgominato un’organizzazione di una quarantina di persone (romeni e albanesi) che svaligiavano case e negozi, negli ultimi tre mesi i furti si sono dimezzati. L’auto della polizia che passa tra la gente – spiega ancora il questore – aumenta la “percezione della sicurezza” nei cittadini, ma per la tutela della sicurezza reale è invece molto più efficace il lavoro quotidiano e nascosto dei tanti poliziotti in borghese.

Ci sono poi dati statistici che alimentano paura e allarme ma che non rispecchiano la realtà. A Perugia – osserva Barba – ci sono più di 20.000 studenti universitari e in Umbria sono decine di migliaia i turisti, la cui presenza altera gli indici del rapporto tra reati e numero di residenti. Come nel caso dei morti per droga. Per la sua posizione geografica e per la presenza di tanti giovani Perugia, è una piazza interessante per il mercato degli stupefacenti. Molte delle vittime della droga a Perugia e in Umbria provengono però da altre regioni, e questo contribuisce a falsare quell’indice del rapporto tra morti e abitanti. Per stroncare questo mercato la questura, oltre che a combattere con successo spacciatori e trafficanti di droga, interviene con fogli di via per i loro clienti. Provvedimenti che impediscono loro di tornare a Perugia per tre anni, riducendo la richiesta di droga sulla piazza perugina. I risultati già ci sono: nell’ultimo anno si è ridotto il numero di overdosi anche mortali e, soprattutto, trafficanti e spacciatori hanno avvertito che il clima a Perugia e in Umbria sta cambiando e che la loro attività è diventata più rischiosa. Il lavoro della questura e delle altre forze di polizia sta infatti producendo risultati positivi anche grazie alla collaborazione della gente. Associazioni e cittadini – sottolinea Gugliotta – “stanno collaborando in modo intelligente con segnalazioni utili e appropriate”. Il questore cita il caso dell’associazione MappiAmo Perugia, con un sito internet dove i cittadini in gran numero stanno immettendo immagini e segnalazioni delle tante cose che non vanno. Una rete di dati, con relativa mappa, utile agli amministratori pubblici ma anche alla polizia per questioni e fatti riguardanti la sicurezza. Ma sono tante le associazioni spontanee di cittadini, sorte nei quartieri e in altre realtà, con le quali – sottolinea il questore – “vorrei trovare una intesa ancora maggiore per iniziative specifiche”. Però anche nella realtà perugina e umbra ci sono “zone grigie”di interessi diffusi non sempre cristallini. Speculazioni immobiliari e guadagni da affitti in nero o con prestanome per alloggiare persone poco raccomandabili (ladri, spacciatori, ecc.), riciclaggio di capitali sporchi da parte di organizzazioni criminali, usura, sfruttamento della prostituzione e gioco d’azzardo. Problemi e situazioni che magistratura e forze di polizia possono affrontare e combattere meglio solo con la collaborazione della gente. Una collaborazione – ripete il questore – non soltanto utile ma indispensabile. Che però non è sufficiente se non affiancata dal rispetto delle regole e delle leggi da parte di tutti. Nei comportamenti quotidiani, dal rispetto del codice della strada al pagamento delle tasse: perché chi evade danneggia gli altri e, nel caso di imprenditori e aziende, opera in concorrenza sleale nelle attività economiche. Perciò la questura è impegnata con tante iniziative anche nelle scuole per fare capire che con il rispetto della legalità la società è migliore. Gugliotta assicura che ci sono mezzi e uomini sufficienti per garantire la sicurezza in provincia di Perugia, ma che una riorganizzazione della spesa in questo settore è possibile eliminando anche alcuni presidi sul territorio per utilizzare meglio le forze disponibili. Auspica anche una giustizia più rapida, e soprattutto una “pena certa e subito” perché un garantismo talvolta eccessivo, nei fatti, non aiuta la gente onesta. Temi questi che saranno anche oggetto dell’incontro che il card. Gualtiero Bassetti avrà con gli uomini e donne della polizia il 6 maggio in questura a Perugia.

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Aiutare la Chiesa con una firma fa bene https://www.lavoce.it/aiutare-la-chiesa-con-una-firma-fa-bene/ Thu, 03 Apr 2014 15:29:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24109 Modello-CUD-730È “iFeelCud” lo slogan del concorso – giunto alla quarta edizione – lanciato dal Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica. Curioso e originale, richiede un minimo di conoscenza dell’inglese di base, in quanto rimanda all’esclamazione I feel good che significa “mi sento bene, sto bene”. Nel nostro caso la parola chiave è quel “Cud” che fa riferimento alla dichiarazione dei redditi di tutte le persone che hanno ricevuto solo redditi da pensione, oppure di lavoro dipendente e che quindi sono esonerati dal presentare la dichiarazione dei redditi tramite, ad esempio, i modelli 730 o 740.

In genere si tratta di anziani in pensione, oppure di giovani al primo impiego o lavoratori dipendenti che non hanno altri redditi. È proprio per queste categorie di percettori di reddito che la campagna “iFeelCud” viene attivata, perché nel loro caso non è prevista la sezione dove possano esprimere la preferenza per la destinazione del cosiddetto “8xmille”. Si tratta di milioni di cittadini che, teoricamente, pur avendo una preferenza magari proprio per la Chiesa cattolica, non trovando il modo di farlo, omettono di esprimerla, perché la loro modulistica non prevede l’opzione. E invece il sistema c’è, soltanto che va fatto conoscere e incentivato in qualche modo.

Il Servizio della Cei per l’8xmille ha così ideato il concorso (sito www.ifeelcud.it) coinvolgendo attivamente l’associazione Acli tramite i propri Caf (Centri di assistenza fiscale).

Gli scopi sono molteplici. Il primo, già accennato, è quello d’incentivare la partecipazione alla scelta dell’8xmille da parte delle categorie di contribuenti su descritte (anziani, giovani, dipendenti senza altri redditi).

Il secondo scopo è coinvolgere attivamente i giovani delle parrocchie sensibili, che decidono di partecipare al concorso, nei confronti degli anziani, unendo le tematiche fiscali con un rapporto positivo giovani-anziani.

Il terzo scopo è offrire al contempo una occasione per fare esperienza concreta di progettualità in favore delle parrocchie.

Il quarto scopo è mettere, in un certo senso, in competizione positiva le parrocchie, chiamate a elaborare progetti di sostegno per specifiche finalità sociali che emergono nei propri contesti.

Le parrocchie sono chiamate in causa perché dovranno allo stesso tempo promuovere una raccolta di schede da allegare ai Cud per le scelte 8xmille, in busta chiusa tra la popolazione, raggiungendo numeri significativi. Il concorso prevede, infatti, un contributo economico alle parrocchie vincitrici, che sarà via via crescente man mano che aumenterà il numero delle scelte 8xmille da accludere ai Cud. Ma parimenti sarà anche importante il progetto con finalità sociali che affiancherà questa azione di raccolta di Cud con firme, e ci sarà un ulteriore incentivo per quei gruppi parrocchiali che insieme a progetto e raccolta firme affiancheranno anche un video illustrativo.

All’Ufficio promotore del concorso sottolineano che questa iniziativa “intende diffondere la consapevolezza dell’importanza di firmare in favore della Chiesa, per sostenere tramite l’8xmille i tanti progetti che la Cei porta avanti in Italia e nel mondo in favore di chi ha bisogno”.

Come funziona: premi crescenti per le parrocchie più attive

Il termine per partecipare presentando i propri progetti e raccogliendo le firme è il 30 maggio. A guidare il gruppo potrà essere il parroco o un suo delegato, meglio se giovane, così da coinvolgerlo in un’esperienza interessante che richiama analoghe campagne nel mondo del lavoro. Il gruppo di giovani che potrà lavorare al progetto non dovrà superare i 35 anni di età. Per le schede di scelta “8xmille” si può scaricare dal sito www.ifeelcud.it. I Caf delle Acli collaboreranno per l’attestazione di ricezione schede firmate. Per convincere le persone a firmare in favore della Chiesa cattolica ci sarà documentazione scaricabile dal sito “iFeelCud”. Venendo alle categorie dei premi previsti per le parrocchie: si va dal più piccolo (1.000-1.700 euro) per chi raccoglierà fino a 100 schede Cud. Dalle 100 alle 300 schede si sale con premio da 3.010 a 5.000 euro. Fino alle 800 schede il premio lievita da 5.510 a 10.500 euro. E ancora fino a 1.600 schede si arriva a cifre tra 11.010 e 19.000 euro. Infine, il premio più alto riguarderà la parrocchia che raccoglierà da 1.601 schede in su: in questo caso il premio spazierà da 19.510 a 29.500 euro. Le schede Cud firmate dovranno essere certificate dai Caf Acli, come già accennato, e inoltre si potrà avere un bonus del 10% in presenza di un video premiato. Anche il pubblico iscritto al sito www.ifeelcud.it potrà dire la sua, votando i vari progetti che verranno caricati e la parrocchia che otterrà più voti del pubblico avrà diritto a un ulteriore premio di 1.000 euro. La giuria che valuterà i progetti sarà composta da Matteo Calabresi, direttore del Servizio Cei promotore, Grazia Cecconi, art director, e don Michele Falabretti, responsabile del Servizio Cei per la pastorale giovanile.

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Una presenza cattolica meno forte ma più diffusa https://www.lavoce.it/una-presenza-cattolica-meno-forte-ma-piu-diffusa/ Thu, 13 Mar 2014 14:20:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23604 processione-fedeliIn Italia tramontano le vocazioni, diminuiscono i battesimi, i matrimoni religiosi sono sempre meno diffusi e il numero delle scuole cattoliche va riducendosi. Sono i risultati del IX Rapporto sulla secolarizzazione in Italia, curato dalla Fondazione Critica liberale e dalla Cgil – Nuovi diritti. Franco Garelli, ordinario di Sociologia all’Università di Torino, commentando i dati parla di un “cambio di passo” che può avere risvolti anche sorprendentemente positivi: “Nessun automatismo”, la fede è sempre più questione “di scelta e non di etichette”, ma la Chiesa è ancora una presenza rilevante nel nostro Paese, e il calo delle vocazioni può essere affrontato puntando sulla “qualità” della testimonianza, in una società in cui la domanda religiosa è molto più “selettiva” rispetto al passato. Senza contare l’“effetto Francesco”, che ancora nessuna statistica ha rilevato…

Professor Garelli, come giudica dal punto di vista scientifico il Rapporto?

“I dati si riferiscono agli ultimi vent’anni, un arco di tempo abbastanza lungo per i tempi che stiamo vivendo. Gli anni dal 1991 a oggi sono stati anni di grandi trasformazioni sociali, alcune prevedibili e altre meno. Siamo passati da una società in cui le figure religiose erano molte – e molte di più nei decenni passati – a una società in cui le figure e le strutture religiose sono ancora rilevanti, ma meno presenti. Contemporaneamente, le associazioni ecclesiali o i gruppi di base sono presenti in maniera proporzionalmente più intensa, più forte, più ramificata rispetto a 20 o 30 anni fa, dove la presenza cattolica era ‘di punta’. In una parola, viviamo in una società più pluralistica, in cui si è ormai passati da un cattolicesimo diffuso e dato per scontato per quote ampie di popolazione a un tipo di appartenenza che si mantiene numericamente abbastanza elevata, ma con una quota di popolazione che aderisce in modo diverso. Di fronte a questo scenario, la questione religiosa è sempre più una questione di scelta e non di etichette”.

Con quali conseguenze?

“In questi vent’anni si è assistito a un vero e proprio cambio di passo. La nostra è oggi una società in cui c’è una quota minoritaria di cattolici convinti, che io definisco ‘sub-cultura’ cattolica; poi c’è una quota rilevante di persone che vivono l’appartenenza religiosa ‘a maglie più larghe’ rispetto al passato; infine ci sono coloro che si pongono ai margini del discorso religioso, che si identificano, cioè, a prescindere da esso. In questo scenario, il ruolo della Chiesa è ancora rilevante, ma deve trovare nuove modalità di presenza rispetto al passato”.

Uno dei dati salienti del rapporto è il calo delle vocazioni…

“I dati degli ultimi due decenni fanno registrare una certa diminuzione del personale religioso, ma direi che 408 nuove vocazioni all’anno non sono poche: in vent’anni, se si dovesse confermare questa tendenza, sarebbero poco meno di 10 mila nuove unità, che di certo non riescono a sostituire le ‘uscite’ per le morti o per l’invecchiamento del clero, ma non sono tuttavia un dato trascurabile. Bisogna uscire da un discorso sempre riferito al passato. Quella di oggi è una Chiesa che restringe un po’ le proprie fila, ma anche la domanda religiosa è molto diversa rispetto a quella di un tempo: è numericamente ridotta, ma molto più selettiva”.

La sua proposta è, quindi, di puntare sulla “qualità”?

“Il cattolico impegnato, molto attivo e convinto, che vuole la socializzazione e l’educazione religiosa per i propri figli, che vive con intensità e continuità la propria fede e testimonia la sua identità religiosa nelle scelte di vita, è minoritario, ieri come oggi. Il vero problema è se il clero è capace di una presenza nella società italiana e nelle nostre comunità che sia davvero rigenerante. Ci vuole più specializzazione, più preparazione per vivere in un contesto in cui i ‘vicini’ sono più esigenti e i ‘lontani’ sono attenti solo se il livello della proposta è alto. Siamo passati dall’unificazione religiosa, dalla domanda diffusa, a un contesto in cui la gente vuole scegliere tra diverse possibilità, o decide di non incamminarsi su un cammino di fede perché non lo ritiene necessario più per la vita. In passato, c’era un’unica alternativa: credere o non credere. Era plausibile credere. Oggi è quasi più plausibile non credere”.

L’“effetto Francesco” può invertire questa tendenza?

“Al di là degli effetti che questo papato già straordinario sta producendo, il vero problema che i dati del Rapporto ci consegnano è che c’è una tenuta del tessuto cattolico, che però indubbiamente si riscopre minoritario nella società. Per invertire la tendenza, bisogna superare l’idea che la fede sia legata a iniziative eccezionali o estemporanee: occorre stare dentro le parrocchie, nel vissuto quotidiano delle persone, altrimenti il rischio è che la Chiesa al tempo di internet sia legata ad eventi eccezionali o spettacolari ma non riesca più a parlare il linguaggio della gente, ad intercettarne le domande. Soprattutto quelle dei giovani, che altrimenti rischiano di restare senza proposte”.

Chi è Franco Garelli

Franco Garelli dopo aver insegnato Sociologia della conoscenza all’Università di Torino, è attualmente professore ordinario di Religioni nel mondo globalizzato e di sociologia della religione. Dirige il Dipartimento di Culture, Politica e Società dello stesso ateneo. I suoi studi hanno riguardato principalmente il mondo giovanile i fenomeni religiosi nella società contemporanea. È membro dell’Associazione Italiana di Sociologia e del Direttivo dell’International Society for the Sociology of Religion. Collabora in modo stabile con La Stampa e con Il Mulino come esperto di temi religiosi.

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Una via contro la crisi di una società sgretolata https://www.lavoce.it/una-via-contro-la-crisi-di-una-societa-sgretolata/ Fri, 28 Feb 2014 12:09:54 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22824 ceccobelliUna società sempre più frantumata è quella che si presenta a una attenta osservazione. La prova più evidente ci viene offerta dalla fase preparatoria alle elezioni amministrative a cui sono chiamati molti Comuni della nostra regione. I partiti tradizionali sono in agitazione per la nomina dei segretari; le correnti interne, sempre più numerose, fanno fatica a trovare persone disponibili e approvate dalla maggioranza. Le fazioni territoriali che non condividono le scelte comuni si costituiscono in gruppi autonomi e si presentano ai cittadini con le liste civiche che prescindono dai partiti. E proprio le liste civiche sono la caratteristica più significativa della nostra società frammentata. Risulta tanto difficile perseguire il bene comune, individuare le necessità più urgenti e le scelte da compiere per costruire un futuro migliore, sia per i giovani in cerca di occupazione, sia per il patrimonio culturale, paesaggistico, spirituale dei nostri paesi e delle nostre città, da valorizzare attraverso l’applicazione di idonee strategie? Questo sgretolamento del tessuto sociale, oltre a ripercuotersi negativamente sulle condizioni di vita della popolazione e sulla conservazione dei beni del territorio, crea anche disaffezione verso la politica intesa come gestione della cosa pubblica, determinando nell’individuo un isolamento e un disinteresse che lo angosciano e lo deludono. Una società frammentata e delusa è quella che si prepara alla scelta degli amministratori pubblici. Sapranno gli uomini della politica trovare soluzioni per superare la crisi? Una via da intraprendere potrebbe essere quella che riconduce ai valori umani che hanno ispirato la nostra civiltà e la nostra cultura: solidarietà, fraternità, onestà, amicizia, condivisione.

Pannelli con i simboli dei partiti per le elezioni del 2013
Pannelli con i simboli dei partiti per le elezioni del 2013

Perché non tornare allora anche ai valori spirituali che hanno fatto nascere nella nostra Umbria tanti santi e sante che ancora oggi sono punti preziosi di riferimento, non solo per noi umbri? La nostra terra vanta due splendidi esempi di santità e di umanità che tutto il mondo conosce: san Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, e san Benedetto da Norcia, patrono d’Europa. Il primo insegna l’umiltà e carità cristiana, l’amore e il rispetto verso tutte le creature, la fede gioiosa e salvifica, che conduce alla pace e alla riconciliazione, tanto necessarie ai nostri giorni. Il secondo, fondatore del monachesimo d’Occidente, con l’istituzione dei cenobi ha recuperato un equilibrio perduto con il disgregarsi dell’organizzazione politico-sociale dell’Impero romano, riuscendo a costituire un nuovo organismo sociale ispirato ai valori umani e spirituali. E che dire degli incanti della nostra terra che hanno ispirato agli artisti opere di straordinaria bellezza? È ancora nei nostri occhi, ad esempio, la bellissima Madonna raffaellesca che è stata esposta a Foligno. E tanti nostri tesori d’arte, non solo pittorica, sono capaci di elevare gli animi e ricondurre le coscienze a una visione più armoniosa della vita individuale e sociale. Sono certo che ci sono ancora uomini e donne capaci di apprezzare i valori più alti, di individuare i problemi reali della gente e di ridare fiducia e speranza con soluzioni coraggiose nell’interesse di tutti e non di parte. Basta saperli cercare, magari anche al di fuori delle segreterie dei partiti, perché possano prendere per mano le nostre comunità, ascoltarne le istanze, stimolarle e guidarle verso giuste e proficue vie. Mi piace, in conclusione, citare quanto si augura Papa Francesco nella esortazione apostolica Evangelii gaudium al n. 205: “Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! È indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini. E perché non ricorrere a Dio affinché ispiri i loro piani? Sono convinto che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed economica che aiuterebbe a superare la dicotomia assoluta tra l’economia e il bene comune sociale”.

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Lavoro giovanile, il progetto Ue https://www.lavoce.it/lavoro-giovanile-il-progetto-ue/ Thu, 23 Jan 2014 15:59:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21709 lavoro-donna-settore-tessileLa disoccupazione non è un problema squisitamente italiano, ma europeo, tanto che la Ue ha promosso da quest’anno la Youth Guarantee (garanzia giovani), per stimolare l’inserimento lavorativo degli oltre 6 milioni di under-25 inattivi.

Il problema ha dimensioni strutturali, perché un Continente in “crisi demografica” come il nostro non può permettersi il lusso di escludere dal mondo della produzione cittadini in età attiva, specialmente giovani, se per il futuro si vorrà mantenere il livello di qualità della vita raggiunto e le politiche sociali che ne garantiscono la diffusione nella gran parte della popolazione.

Anche l’Italia, uno degli Stati nelle condizioni peggiori riguardo alla situazione della disoccupazione giovanile, ha presentato il suo “piano di garanzia”, che la Commissione europea finanzierà. Un’occasione da non perdere per rilanciare il lavoro.

Dal progetto illustrato dal ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, emergono tre elementi positivi che potrebbero rivelarsi fruttuosi ed efficaci.

1. L’elaborazione concertata è il processo con il quale è stato progettato il piano e ha coinvolto vari attori, le parti sociali, gli operatori pubblici e quelli del terzo settore, le istituzioni regionali. Questa modalità concertata potrebbe innescare una sinergia delle azioni che i diversi soggetti mettono in campo.

2. Si auspicano politiche attive che prevedono percorsi personalizzati, finalizzati all’inserimento, esperienze di tirocinio, impegno nel servizio civile, formazione professionalizzante e accompagnamento all’avvio per un’iniziativa imprenditoriale.

3. Il Coordinamento nazionale con delega alle Regioni dovrebbe integrare in un unico sistema le risorse nazionali e dei territori. Mettere in relazione i diversi attori che operano nel campo: imprese, scuole, sindacati, agenzie per l’impiego pubbliche e private, profit e no profit.

Allo stesso tempo alcuni esperti, tra cui Maurizio Ferrera, hanno sollevato alcuni dubbi che evidenziano alcuni punti di debolezza che potrebbero interferire nel progetto. La prima è la fragilità dei servizi per l’impiego, in particolare nel Sud Italia: la questione è centrale, perché i servizi sono un nodo essenziale per connettere domanda e offerta di lavoro. Il secondo punto è l’ambizione di un piano che immediatamente coinvolge tutto il territorio nazionale, mentre altri piani presentati alla Commissione Ue (ad esempio quello francese) hanno scelto di partire con alcune Regioni, per poi allargare l’azione politica ad altre.

Altri ancora hanno aggiunto la seria difficoltà di coinvolgere i giovani scoraggiati, che sono allontanati dalla vita attiva. Si tratta di un compito difficile perché non è una semplice operazione di “reindirizzo” verso un nuovo lavoro, ma di recupero anche psicologico e culturale di persone che hanno abbandonato la speranza di raggiungere un lavoro dignitoso.

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Messaggio del Papa per la Giornata del migrante (19 gennaio). Urge una cultura dell’incontro https://www.lavoce.it/messaggio-del-papa-per-la-giornata-del-migrante-19-gennaio-urge-una-cultura-dellincontro/ Thu, 16 Jan 2014 14:39:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21579 Lampedusa-sbarchi-immigrati-clandestiniÈ passato un secolo da quando, nel 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale, commosso dalla drammatica situazione di migliaia di rifugiati e profughi e di persone e famiglie espulse dai Paesi europei tra loro belligeranti, Benedetto XV scrisse a tutti i Vescovi italiani invitandoli a celebrare in ogni parrocchia una Giornata di preghiera e di solidarietà per i migranti. Da allora, ogni anno, in Italia prima e poi in tutto il mondo, questa Giornata è diventata una tappa fondamentale del magistero della Chiesa sulle migrazioni.

Quest’anno, Papa Francesco, dopo averci sollecitato nelle prime sue due visite in Italia – a Lampedusa e al Centro Astalli di Roma – a guardare al cammino drammatico dei migranti e dei rifugiati, nel suo Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato ci invita a leggere le migrazioni come una risorsa per costruire un mondo migliore.

Di fronte alla paura e ai pregiudizi, alle crescenti discriminazioni nei confronti dei migranti, allo sfruttamento che scade in una rinnovata tratta degli schiavi, Francesco invita anzitutto le nostre comunità cristiane a costruire un alfabeto e uno stile di vita diverso, che aiuti a passare nelle nostre città “da una cultura dello scarto a una cultura dell’incontro”.

Lo sviluppo integrale della persona e dei popoli chiede d’impegnarsi oggi, anche in Italia, in due direzioni. Anzitutto rafforzare, e non indebolire – come sta avvenendo nel nostro Paese e in Europa -, le risorse della cooperazione internazionale che aiutano persone e famiglie a non lasciare il proprio Paese. Inoltre, superare situazioni vergognose in cui vengono accolti o vivono i migranti anche in Italia.

Le drammatiche morti di 366 persone, uomini, donne e bambini, nel tratto di Mediterraneo di fronte a Lampedusa, come i sette operai cinesi arsi vivi nell’azienda tessile di Prato, ci hanno ricordato l’incapacità di avere adeguate strutture di accoglienza in un confine d’Italia che è anche d’Europa. Ma ancor più l’inazione, se non la tolleranza, visti i pochissimi casi di denuncia – 80 riscontrati nel 2012 in sole tre Regioni italiane (70 casi in Puglia, 7 in Campania e 3 in Emilia Romagna) – rispetto alle situazioni di sfruttamento e di lavoro nero di migliaia di immigrati, uomini e donne, dal Nord al Sud del nostro Paese: nelle aziende, nei servizi alla persona, in agricoltura, nei porti. In questi anni il mondo dei lavoratori immigrati in Italia è cresciuto, arrivando a 2.300.000 unità: un lavoratore su 10 in Italia è un lavoratore immigrato.

La crisi economica non può giustificare una caduta così grave della nostra democrazia nella tutela dei diritti dei lavoratori e delle loro famiglie: in Italia i lavoratori immigrati “sotto-inquadrati” sono il 61% contro il 17% dell’Europa; le retribuzioni dei lavoratori immigrati è inferiore a quella degli italiani del 24,2%; 100 mila infortuni sul lavoro denunciati riguardano lavoratori immigrati – con una percentuale doppia e talora tripla rispetto a quella degli italiani – senza contare i cosiddetti “infortuni invisibili”.

L’incapacità legislativa di fare incontrare domanda e offerta di lavoro nel mondo dell’immigrazione, oltre a generare continuamente irregolarità di permanenza nel nostro Paese, alimenta naturalmente lo sfruttamento lavorativo e il lavoro nero. Per queste ragioni, il cammino “verso un mondo migliore”, in compagnia dei migranti, deve essere animato da “sete di giustizia”, perché la storia di molte persone diventi anche la nostra storia sociale ed ecclesiale, e il Mediterraneo sia, come amava dire Giorgio La Pira, non una barriera, un presidio, ma “una fontana”: un luogo comune su cui costruire il domani.

Domenica 19 gennaio, con Papa Francesco, nelle nostre parrocchie siamo invitati a una preghiera comune e a condividere gesti di solidarietà, perché il mondo della mobilità umana sia, almeno per un giorno, al centro della comunità, nello spirito evangelico e conciliare della preferenza per i poveri.

In Umbria

Nella nostra regione, la popolazione straniera residente al 31 dicembre 2013 ammontava a 92.794 persone (51.750 donne, 41.044 uomini). A seguire, i dati Istat – sempre relativi all’Umbria – suddivisi per aree geografiche, aggiornati al 2011 e considerando solo i gruppi superiori alle mille unità, sia comunitari (Ue) che extra: Albania, 17.021 persone; Algeria 1.340; Bulgaria 1.275; Cina 1.900; Ecuador 3.825; Filippine 1.613; Germania 1.109; India 1.526; Macedonia 4.804; Marocco 10.335; Moldova (Moldavia) 2.919; Nigeria 1.114; Perù 2.022; Polonia 3.007; Regno Unito 1.407; Romania 24.321; Tunisia 1.624; Ucraina 4.855.

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Natale a Betlemme: la Città della pace circondata da un alto muro https://www.lavoce.it/venite-nella-citta-della-pace/ Fri, 20 Dec 2013 10:03:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21248 Il grande albero di Natale di Betlemme
Il grande albero di Natale di Betlemme

Dal 1° dicembre un albero svetta luminoso in piena piazza della Natività, antistante l’omonima basilica nel centro di Betlemme. Dall’alto dei suoi 15 metri di altezza, decorato con 12 mila luci e 4.000 palle, l’albero natalizio della città invita tutti, abitanti, turisti e pellegrini, a fare festa. Ogni anno a Natale, Betlemme diventa capitale elettiva della fede cristiana e si dispone per questo ad accogliere decine di migliaia di pellegrini da tutto il mondo. Gli hotel e gli alberghi sono praticamente tutti esauriti.

Nonostante il muro israeliano che la circonda, separandola da Gerusalemme e rendendola quasi una prigione a cielo aperto, l’accoglienza e l’ospitalità della città è grande. In fondo, dicono i betlemiti, “non abbiamo accolto la Sacra Famiglia duemila anni fa… da allora, cerchiamo di recuperare!”.

Padre Nerwan Nasser Al-Bann, francescano di origine irachena, è il parroco di Betlemme e guida la comunità “latina” che conta circa 5.500 fedeli ripartiti in 1.400 famiglie. È arrivato a Betlemme da soli due mesi ed è subito rimasto colpito dall’ospitalità e dall’accoglienza della gente di qui. Dall’altro capo del telefono, racconta del Natale imminente, del grande desiderio di pace della sua gente costretta a vivere nel ristretto spazio di una città, per loro chiusa da un muro, ma che vuole essere aperta al mondo.

Come home for Christmas è lo slogan di queste feste natalizie scelto dalla municipalità di Betlemme: “Vieni a casa per Natale!”, un invito – dice il frate – rivolto non solo alla popolazione locale, ma “a tutti coloro che credono nella pace. Betlemme vuole essere la casa della pace, come ci ha insegnato Gesù”. Per questo fervono i preparativi, che non sono solo esteriori (come l’albero di 15 metri, le luminarie e le vetrine addobbate) ma anche interiori, “rivolgendo il nostro cuore ai fratelli cristiani, e non, che vivono il dramma della guerra e della violenza in Siria, in Iraq come anche in Egitto e Libano. Ai vescovi, ai sacerdoti e alle monache rapite. A loro va la nostra preghiera”.

Non c’è muro che possa fermare il messaggio di pace del Natale. Se il cuore e la preghiera permettono di superare le distanze e le barriere per stare vicino “ai nostri fratelli dei Paesi vicini”, i pellegrini che stanno arrivando in città “sono il segno tangibile della vicinanza della Chiesa universale al piccolo gregge che vive in Terra Santa. Grazie a loro non ci sentiamo soli ma parte di un Corpo”.

Padre Nasser, tuttavia, non si nasconde dietro quella che potrebbe sembrare un’immagine retorica: “Qui a Betlemme, davvero, i pellegrini che arrivano ci danno forza, speranza, e soprattutto il coraggio di restare. Pellegrino significa anche lavoro, salario, la possibilità di avere una casa, di andare a scuola e quindi una vita migliore per le nostre famiglie. Non è mica facile – aggiunge – vivere qui. Non abbiamo libertà di movimento, viviamo in un carcere. Mancano molte cose. Devo essere sincero: se la situazione resterà così, quale futuro avremo? Ogni giorno parliamo con la nostra gente, cerchiamo di infondere coraggio e speranza. Tanti, soprattutto i giovani, meditano di andarsene per farsi una vita fuori, all’estero. Solo con condizioni di vita migliori, con il rispetto della libertà e dei diritti, resteranno. Tante famiglie vengono in parrocchia a chiedere un lavoro. Non vogliono soldi, ma lavorare per provvedere ai loro bisogni”. Pace significa anche lavoro, a Betlemme come nei Territori palestinesi.

Natale a Betlemme diventa anche un monito: “La pace passa per la giustizia e il rispetto del diritto. La preghiera della nostra comunità di Betlemme è un inno all’amore vicendevole. Il mondo sa che il Principe della pace, Gesù, è nato qui. In questo luogo dove a mancare oggi è proprio la pace. Chiediamo pace per Betlemme e preghiamo perché questo avvenga. Lo chiediamo con Papa Francesco, la cui visita, prevista il prossimo anno, ci donerà ancora più speranza e forza. Lo chiediamo ai governanti, ai leader politici, ai rappresentanti dei Paesi che parteciperanno alla messa di mezzanotte nella chiesa di santa Caterina, presieduta dal Patriarca Fouad Twal alla presenza del presidente palestinese Abu Mazen”.

Ci saranno migliaia di persone dentro e fuori la chiesa, nella grande piazza della Natività. Betlemme si prepara ancora una volta a lanciare il suo messaggio di pace. Per un giorno, Betlemme sarà un po’ più vicina a Gerusalemme e centro del mondo cristiano.

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Nel limbo della riforma delle Province https://www.lavoce.it/nel-limbo-della-riforma-delle-province/ https://www.lavoce.it/nel-limbo-della-riforma-delle-province/#comments Wed, 13 Nov 2013 22:42:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20651 Il palazzo della Provincia di Terni e di Perugia
Il palazzo della Provincia di Terni e di Perugia

Le Province saranno riformate o addirittura abolite? Dopo anni di promesse, discussioni e annunci di partiti e Governi, nessuno lo sa. Anzi, l’impressione è che, ancora una volta, non se ne farà nulla. Con il rischio che questa discussione “produca ancora di più benzina nel motore dell’antipolitica”, come sottolineato da Wladimiro Boccali, sindaco di Perugia e presidente regionale dell’Anci (Associazione dei Comuni italiani), in occasione della presentazione dell’ultimo numero della rivista Umbria contemporanea nell’ambito di Umbrialibri. Dal dibattito è emersa la richiesta di avviare, con i fatti, una vera riforma organica dello Stato e delle sue articolazioni istituzionali e amministrative, che riguardi anche le Regioni, enti e agenzie regionali e subregionali. Con tempi e modi diversi (ma questa è una nostra osservazione) di quanto avvenuto con la riforma delle Comunità montane e di Umbria mobilità, che per ora hanno provocato disservizi, confusione e problemi economici.

La crisi della politica – è stato detto – ha aumentato localismi e spinte centrifughe per la mancanza di un coordinamento di politiche e progetti regionali. Anche i consiglieri regionali sempre più spesso si presentano e operano come rappresentanti degli interessi di questo o quel territorio, e non dell’intera regione. Del resto – ha ricordato il prof. Mario Tosti – storicamente l’Umbria è una “regione che ‘non esiste’, con territori che gravitano verso altre regioni”. Anche Perugia come capoluogo è cominciata a emergere soltanto con lo Stato pontificio, e la Provincia di Terni è nata solo nel 1927 per iniziativa di gerarchi fascisti e notabili ternani.

Le proposte del Governo

La Provincia di Terni con il governo Monti rischiava di essere cancellata poiché non aveva i numeri sufficienti per restare: 350 mila abitanti e 2.500 chilometri quadrati di estensione. Si era così aperto il dibattito su un difficile e contestato riequilibro tra le due Province con i Comuni dell’area folignate, spoletina e della Valnerina da accorpare a quella di Terni. Il governo Monti è caduto, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il suo decreto e le Province sono rimaste.

Il governo Letta è però tornato alla carica con due disegni di legge: uno costituzionale che prevede l’abolizione di tutte le Province, e un altro ordinario che in fase transitoria prevede una loro riforma. Il primo, sull’abolizione, richiede tempi molto lunghi, forse incompatibili con quelli di sopravvivenza del governo Letta, visto il clima politico. Il secondo, in sintesi, prevede la nascita dal 1° gennaio di alcune città metropolitane e la trasformazione delle attuali Province in enti territoriali di secondo livello. Consiglieri provinciali, non retribuiti per questo incarico, saranno i sindaci dei Comuni con più di 15 mila abitanti e i presidenti delle nuove Unioni dei Comuni, ancora da costituire. Unioni di più Comuni alle quali trasferire alcune competenze delle attuali Province. Non ci sarà più la Giunta provinciale. Una riforma transitoria che dovrebbe entrare in vigore dal 1° gennaio, ma siamo già a novembre e il decreto, con primo firmatario il ministro degli Affari regionali Graziano Del Rio, è ancora in Commissione.

Nel prossimo anno inoltre sono in programma le elezioni per il rinnovo di numerosi Consigli provinciali. Insomma, la confusione è tanta. “A questo punto – ha detto l’ex senatore Franco Giustinelli, vice direttore e curatore di questo numero della rivista – mi sembra problematico che il Parlamento riesca ad approvare entro dicembre il provvedimento di riforma delle Province come richiesto dallo stesso ministro Del Rio”. Indipendentemente dalla riforma delle Province – ha detto Leopoldo Di Girolamo, presidente del Cal (Comitato delle autonomie locali) dell’Umbria – “serve un ripensamento dell’assetto regionale e subregionale nelle sue varie articolazioni, elettive e non”. Il Cal propone un “riequilibrio complessivo del territorio regionale e la valorizzazione di città e comuni spostando il baricentro sul territorio”.

Perché non abolire le Province

Il compito di difendere le Province è toccato all’assessore provinciale di Perugia Domenico De Marinis. Si vuole abolirle – ha detto – con un “provvedimento antidemocratico e pericoloso, perché sono considerate l’anello debole della Casta che si vuole colpire, e non per motivi di carattere economico”. Uno studio dell’Università Bocconi ha calcolato che le Province costano 113 milioni di euro all’anno, mentre i tanti enti di secondo e terzo livello, agenzie regionali e consorzi, costano 7 miliardi e mezzo di euro. In Umbria le due Province hanno 1.600 dipendenti, che con l’eliminazione degli enti e il loro passaggio alla Regione costerebbero il 20 per cento in più. La Sicilia – ha detto ancora l’assessore – ha eliminato le 9 Province ma ha costituito 33 Unioni speciali di Comuni e 3 Consorzi. E questo – ha chiesto De Marinis – sarebbe il risparmio?

Alcuni dati

Il territorio della Provincia di Perugia si estende per 6.334 kmq, collocandosi quindi al 25° posto a livello nazionale (su 112 Province) per dimensioni. Comprende 59 Comuni. La popolazione – in base ai dati del 2011 – è di 655 mila persone, con più donne che uomini (51,9 per cento contro 48,1) e una presenza di stranieri del 10,4 per cento sul totale. Età media, 44,5 anni. Il territorio della Provincia di Terni si estende su 2.122 kmq, all’82° posto a livello nazionale per dimensioni. Comprende 33 Comuni. La popolazione ammonta a 228 mila persone, di cui ben il 52,4% sono donne. Presenza straniera dell’8,7 per cento. Età media 46,2 anni. (Fonte: UrbiStat)

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Il ministro Kyenge all’Università per Stranieri https://www.lavoce.it/il-ministro-kyenge-alluniversita-per-stranieri/ Thu, 26 Sep 2013 13:04:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=19321 kyenge-5Nella prestigiosa Aula Magna dell’Università per stranieri di Perugia dove troneggiano i mezzi busti di Leonardo e Dante ai lati di un grande affresco di Dottori, mercoledì 25 settembre, si è svolta una intensa serata che aveva per scopo fare memoria della schiavitù africana. È la settima Giornata della Memoria e contro la schiavitù che intende far prender coscienza degli orrori, delle sofferenze e delle umiliazioni che sono state inflitte alle popolazione del Continente africano, ricchissimo e alienato come è stato ricordato da Généviève Makaping, antropologa e giornalista africana.

Non si è trattato di una semplice manifestazione, ma di un convegno di studio che ha visto la presenza di studiosi come Laura Balbo, sociologa e di Federica Guazzini, africanista dell’Università per stranieri. Quest’ultima ha parlato del ruolo delle donne per lo sviluppo dell’Africa.

Sono poi intervenuti altri personaggi italiani e africani che hanno portato i loro saluti ed hanno anche trattato l’argomento centrale da vari punti di vista a cominciare dal rettore Giovanni Paciullo che ha moderato i lavori. Sono state descritte le radici storiche della schiavitù che è durata tre secoli ed è stata ufficialmente abolita dalla Società delle Nazioni solo nel 1926.

Di ciò ha fatto cenno l’assessore regionale Bracco e l’assessore provinciale Donatella Porzi ha svolto una elaborata relazione sulle vecchie e nuove schiavitù. L’iniziativa è stata organizzata dall’Università, dall’Associazione Umbria – Africa, con la collaborazione di Paul Dongmeza, presidente dell’Associazione e coordinatore della Casa delle Culture africane.

I lavori s

ono stati conclusi da Cécile Kyenge Kashetu, Ministro per l’Integrazione della Repubblica italiana, accolta con fragorosi applausi da una grande folla di italiani e africani che ricolmavano l’aula e i corridoi adiacenti. La ministra ha svolto un discorso sui diritti delle persone facendo riferimento non solo alla storia africana, ma alle nuove forme di esclusione, sfruttamento, emarginazione considerando la persona come detentrice di diritti in quanto persone e chiamando in causa tutti coloro che a fronte dei diritti devono assumersi le loro responsabilità e i loro doveri. Ha citato anche papa Francesco quando si è recato a Lampedusa ed ha voluto visitare la porta d’ingresso di moltissimi profughi ed emigrati che devono essere accoti con umanità e solidarietà. Ha ricordato che gli schiavi africani sono stati 15 milioni e di ciò si deve avere sempre viva la memoria.

Al convegno erano presenti Malugeta Gessese, della presidenza dell’Unione africana e anche Kamara Dakamo Mamadou, ambasciatore della Repubblica del Congo e decano del Corpo diplomatico africano presso il Quirinale, che ha ammonito di non perdere la memoria – chi non ha memoria non ha futuro – ed ha ringraziato Perugia e l’Università perché favorisce nel mondo il dialogo tra le culture.

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Il problema non è la Costituzione https://www.lavoce.it/il-problema-non-e-la-costituzione/ Thu, 06 Jun 2013 12:15:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=17193 Ci risiamo con le proposte di riforme costituzionali. Adesso si parla del modello francese (detto semi-presidenziale). Chiedo scusa se mi ripeto; l’ho detto più volte ma continuo a pensarlo: le riforme costituzionali sono un falso problema. O, se volete, una falsa soluzione. Il problema vero è l’incapacità dei partiti di fare buona politica; o peggio, l’incapacità del popolo italiano, nel suo insieme, di esprimere una classe dirigente all’altezza della situazione. Le individualità ci sono, in alto e in basso; quello che manca è “il collettivo”, un costume civile forte e condiviso. Prendiamo a paragone tre Paesi vicini a noi: la Francia, la Gran Bretagna e la Germania. I loro sistemi costituzionali ed elettorali sono radicalmente diversi tra loro. La Francia elegge con voto popolare un Presidente della Repubblica che è anche il vero Capo dell’esecutivo. La Gran Bretagna ha un sovrano ereditario, che politicamente non conta nulla. La Germania ha un Capo dello Stato simile al nostro, che non governa, non è eletto dal popolo e ha un’autorità più che altro morale. Ma funzionano tutti bene, e non sentono il bisogno di copiarsi a vicenda.

Noi vogliamo copiare i francesi? Bene. Ma in Francia, due mesi fa, un ministro si è dimesso a furor di popolo perché accusato – non condannato – di frode fiscale per aver tenuto un conto bancario, uno, in un paradiso fiscale. Vogliamo copiare i tedeschi? In Germania un ministro si è dimesso perché si è scoperto che la sua tesi di laurea era – in parte – copiata. E in un caso e nell’altro dimettersi vuol dire uscire dalla politica per sempre. Non parliamo del presidente americano Clinton, che rischiò di essere destituito per aver detto una bugia, una, su un fatterello molto privato. Meglio non fare confronti, vero? Dunque, quali differenze contano di più: quelle della cosiddetta “ingegneria costituzionale” o quelle della cultura politica e civile della popolazione? La legge elettorale, quella sì, va cambiata, perché è intrinsecamente truffaldina e non garantisce nemmeno la governabilità. Ma per il resto, non c’è nessuna fretta di cambiare.

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Stranieri, la vera “linfa” della demografia umbra https://www.lavoce.it/stranieri-la-vera-linfa-della-demografia-umbra/ Thu, 14 Feb 2013 14:18:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=15056 stranieri_lavoro-immigratiSono 87.715, pari agli abitanti di quella che per grandezza sarebbe la terza città dell’Umbria dopo Perugia e Terni. Sono gli stranieri che abitano accanto a noi, studiano e lavorano con noi e pagano i contributi anche per le nostre pensioni. Sono la linfa nuova della nostra comunità regionale.

Senza di loro, la popolazione dell’Umbria sarebbe in costante calo e sempre più vecchia. Sono infatti soprattutto loro a prendersi cura dei nostri genitori e dei nostri nonni. Sono il nostro presente ed il nostro futuro perché in gran parte giovani. Lo dicono i numeri Istat del 15° Censimento generale della popolazione italiana, esaminati e discussi in un seminario che si è svolto la scorsa settimana nel Centro congressi della Camera di commercio di Perugia.

Al 9 ottobre 2011, giorno dell’ultimo censimento, le persone residenti in Umbria risultavano 884.268, con un aumento di 58 mila (pari al 7,1 per cento) rispetto al precedente censimento del 2001. Una crescita dovuta esclusivamente agli stranieri, che nel decennio sono aumentati di 60 mila, mentre nello stesso periodo gli italiani sono calati. Senza di loro, la popolazione umbra sarebbe infatti diminuita di 2.000 persone, con sempre meno under-40 e sempre più anziani.

I numeri dicono anche un’altra cosa: gli stranieri aumentano in tutte le fasce d’età , ma sono soprattutto giovani (l’età media è di circa 30 anni) e donne. Queste ultime sono il 55,7 per cento, molte provenienti dai Paesi dell’Est Europa. Tra loro ci sono appunto le tante badanti e addette ai servizi domestici nelle nostre case.

La percentuale di immigrati stranieri in Umbria è più alta della media italiana. Nell’ultimo decennio si sono triplicati, passando da 27.266 a 87.715. La gran parte, il 77,66 per cento, abitano in provincia di Perugia. Ne sono stati censiti 68.026, ma probabilmente sono molti di più, considerando i clandestini e quelli che lavorano in nero. In questo caso non ci sono cifre ufficiali, ma alcune stime li calcolano in circa 10.000. Altri indicano numeri ancora maggiori. In provincia di Terni in dieci anni il numero degli stranieri censiti si è addirittura quadruplicato, passando da poco più di 5.000 a quasi 20 mila.

Del “caso Terni” e della straordinaria crescita della presenza di stranieri nella Città dell’acciaio ha parlato la dirigente comunale Simona Coccetta. Nel 1861, nel primo Censimento dell’Italia appena nata come nazione unitaria, Terni era una cittadina di 12.818 abitanti. Il “picco della crescita” – ha detto – si è avuto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del secolo scorso con l’arrivo dell’industria dell’acciaio. Erano altri tempi, perché allora a Terni il flusso migratorio era da Nord a Sud e le braccia per le nuove fabbriche arrivavano in gran parte dall’Italia settentrionale. Un’altra impennata nella crescita demografica della città c’era stata negli anni Trenta del secolo scorso con le fabbriche di armi. Poi negli anni Ottanta e fino al 2001 c’erano stati due decenni di progressivo calo degli abitanti. “Senza stranieri – ha detto Simona Coccetta – oggi Terni sarebbe una città con meno di 100 mila abitanti”. Ne ha invece più di 109.000, di cui 10.291 stranieri (erano 2.400 nel 2001). La maggior parte, come detto, sono donne dei paesi dell’Est. “In un periodo così breve – ha proseguito la dirigente comunale – una immigrazione così massiccia ha influenzato la vita e le abitudini della città”. Ringiovanendo la comunità. L’ eta media dei cittadini italiani di Terni è di 48,1 anni. Quella degli stranieri di 32,5.

A Perugia invece la presenza di stranieri ha tradizioni più lunghe e consolidate. “Nel nostro Comune – ha detto la dirigente comunale Valeria Tocchi – sono l’11,4 per cento, una percentuale superiore alla media umbra ed a quella italiana. Anche la popolazione di Perugia, oggi 162.449 residenti, è cresciuta soprattutto per la componente straniera, con una forte presenza di giovani”. La comunità più numerosa e quella romena, seguita da albanesi, ecuadoriani, marocchini e peruviani. Anche a Perugia tante le badanti. Nella comunità dell’Ucraina il rapporto – ha detto la dirigente – è di 25 uomini ogni 100 donne. Situazione ben diversa per gli immigrati dei Paesi nordfricani. Nella comunità tunisina, ad esempio, ci sono 228 uomini ogni 100 donne.

Quindi rapporti numerici diversi tra uomini e donne nelle varie comunità, che però sono destinati a cambiare con i ricongiungimenti familiari che si stanno intensificando – anche se un po’ rallentati dalla crisi – con i mariti ed i figli maschi che arrivano dai Paesi dell’Est e con le donne provenienti invece dal Nord-Africa.

Sta insomma nascendo una comunità nuova che richiede anche – ha detto Coccetta – un approccio delle istituzioni diverso, con un nuovo welfare. Una sfida e un’opportunità per tutti: i “vecchi” umbri e i “nuovi” chiamati a condividere diritti e doveri.

I comuni

Il record è a Giano

Giano dell’Umbria, la bella cittadina di 3.826 abitanti contornata dal verde dei monti Martani, è il Comune umbro con la più alta percentuale di stranieri: 193 ogni mille abitanti. In questa classifica regionale precede nell’ordine Lisciano Niccone (186 per mille), Montegabbione (173 per mille) e Fossato di Vico (164 per mille). Una forte presenza si registra anche nel Comune di Perugia (114 per mille), in quelli dell’Alto Orvietano, del Folignate e della zona del lago Trasimeno.

Sono l’8 per cento delle imprese

L’8 per cento delle 83.000 imprese attive in Umbria sono state create e gestite da stranieri. In gran parte si tratta di piccole aziende individuali. È quanto risulta da un’indagine di Unioncamere Umbria relativa alla situazione delle imprese del 31 dicembre scorso. In gran parte (18,2 per cento) quelle gestite da stranieri operano nel settore costruzioni, mentre il 10 per cento in quello del commercio.

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L’Italia che cambia https://www.lavoce.it/litalia-che-cambia/ Thu, 03 May 2012 15:25:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=10380 I primi dati, seppur provvisori, del Censimento Istat 2011, presentati a Roma il 27 aprile, fanno emergere il volto di un’Italia che cambia. Più che sui dati generali, ormai noti (59.464.644 abitanti, 2 milioni di donne in più rispetto agli uomini, 27 milioni di persone al Nord e 32 milioni di persone al Centro-Sud, 2 milioni e mezzo di persone in più rispetto al 2001, Roma il Comune più popoloso con 2.600.000 abitanti, seguito da Milano, Napoli, Torino, Palermo e Genova), esistono alcuni dati particolari nel Censimento che possono illuminare percorsi educativi e sociali. Un primo dato che credo importante riguarda i Comuni italiani. Oltre il 70% ha una popolazione non superiore ai 5.000 abitanti. Qui vivono 47 milioni di persone, mentre nelle grandi città 13 milioni di persone. La vita italiana è ancora fortemente segnata dal “municipio”, cioè dalla possibilità di costruire una partecipazione di base, popolare, capace di sollecitare responsabilità comune. Nel e dal “municipio” può crescere un progetto politico e amministrativo che offre strumenti per la gestione delle relazioni: dalla registrazione anagrafica al permesso di soggiorno, alla vita scolastica e formativa, alla tutela della salute e dell’ambiente, all’accompagnamento personale di chi è in difficoltà… Forse il nuovo welfare sociale ha i caratteri più municipali, non nei suoi principi ispiratori e nei suoi livelli essenziali, ma nei suoi strumenti operativi e di garanzia e tutela delle persone e delle famiglie, soprattutto dei più deboli e fragili. Un secondo dato riguarda la popolazione straniera presente in Italia. Il dato della presenza straniera in Italia è ancora provvisorio (3.770.000) rispetto alle stime – legate alle registrazioni anagrafiche, ai permessi di soggiorno e ai minori stranieri – finora note (cioè pari a circa 4.900.000 persone), perché mancano all’appello del Censimento ancora 1.300.000 persone, molte delle quali forse straniere, per l’alta mobilità e le difficoltà di comunicazione. In ogni caso, il dato rispetto al 2001 è superiore di 2.440.000 persone. È facile dedurre che la crescita della popolazione italiana in questi dieci anni sarebbe stata zero senza gli immigrati. Il peso di questa presenza è soprattutto al Nord (64,3%); metà vive nei Comuni sopra i 5.000 abitanti fino a 20.000 abitanti, l’altra metà nelle città di provincia e nelle aree metropolitane. Sono due livelli di presenza degli immigrati in Italia, che meriterebbero una differente attenzione e strutturazione dei servizi alla persona. L’incidenza del 16,1% di presenza straniera immigrata rispetto alla popolazione a Brescia non ha lo stesso peso e non può avere gli stessi servizi rispetto all’incidenza del 25% di popolazione straniera a Corte de’ Cortesi con Cignone, un paese di meno di 1.000 abitanti nel Cremonese. L’ultimo dato che vorrei segnalare riguarda il numero di famiglie, triplicato dal 2001 ad oggi, che vive in baracche o roulotte: da 23.336 del 2001 a oltre 71.000 di oggi. È un ritorno a una situazione di povertà e di miseria di persone che impressiona, e che segnala la necessità di un’attenzione alla povertà estrema, alla precarietà anche nel nostro Paese. Una povertà che riguarda, in particolar modo, minoranze, apolidi, stranieri, ma anche molte persone in Italia da anni. Leggere il Censimento con gli occhi dell’interculturalità, della ricerca di nuove forme di tutela delle persone, della povertà e dell’impoverimento, per ridisegnare il nostro Paese con gli occhi del bene comune, può aiutare a costruire la crescita dell’Italia. Giancarlo Perego Fondazione Migrantes

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