politica Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/politica-2/ Settimanale di informazione regionale Wed, 30 Oct 2024 17:37:11 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg politica Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/politica-2/ 32 32 Ridateci i politici di professione https://www.lavoce.it/ridateci-i-politici-di-professione/ https://www.lavoce.it/ridateci-i-politici-di-professione/#respond Thu, 31 Oct 2024 08:00:28 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78365

Il celebre sociologo tedesco Max Weber (1864-1920), fra i molti suoi scritti ancora studiati, pubblicò nel 1919 il saggio La politica come professione. Non perdeva tempo a discutere se sia un bene o un male che a fare politica sia gente che lo fa per mestiere; registrava che questo accade, così come ci sono professionisti dell’insegnamento e della ricerca scientifica; si chiedeva, semmai, quali requisiti debba avere un buon professionista della politica e a quali valori etici si debba ispirare.

Per quanto ci riguarda, ricordando personalità come Alcide De Gasperi o Sandro Pertini non avremmo nulla da obiettare a che ci siano politici di professione. Ma più di recente sono sorte in Italia chiassose correnti di opinione, dette di “antipolitica”; la più chiassosa era quella che racchiudeva il suo pensiero sui politici in una sola parola: “vaff…”.

Era il movimento grillista, o grillino, dal nome del suo fondatore. Il suo obiettivo dichiarato era il superamento della democrazia rappresentativa, da sostituire con un sistema di consultazione permanente degli elettori tramite una piattaforma Internet; nel frattempo, la degradazione di deputati e senatori a semplici “portavoce”, eleggibili per non più di due mandati, indipendentemente dal livello istituzionale; la drastica limitazione delle relative indennità e l’abolizione degli assegni “vitalizi” previsti per chi ha esaurito il mandato per cui è stato eletto. Grazie a queste proposte, e ad altre simili, alle elezioni politiche del 2018 quel movimento riportò la maggioranza relativa e fu l’asse portante di due governi consecutivi, peraltro l’uno il contrario dell’altro quanto a orientamento politico. Un bel successo di “antipolitica”.

Si sa come è andata a finire: la grande maggioranza dei “portavoce” eletti da quel gruppo tenne comportamenti che avrebbero fatto arrossire, o impallidire, i più navigati carrieristi della vecchia politica. Poi il leggendario fondatore eponimo del movimento accettò di lasciarne le redini a un altro leader, quello che era divenuto capo del Governo senza che nessuno lo avesse votato, né con le schede né con i click su Internet; per cedere il suo ruolo, lo stesso fondatore pretese, e per un po’ ottenne, un “vitalizio” di 300.000 euro annui. Come dicono a Roma, aridatece Max Weber, i suoi politici di professione e la sua serissima visione etica.

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Il celebre sociologo tedesco Max Weber (1864-1920), fra i molti suoi scritti ancora studiati, pubblicò nel 1919 il saggio La politica come professione. Non perdeva tempo a discutere se sia un bene o un male che a fare politica sia gente che lo fa per mestiere; registrava che questo accade, così come ci sono professionisti dell’insegnamento e della ricerca scientifica; si chiedeva, semmai, quali requisiti debba avere un buon professionista della politica e a quali valori etici si debba ispirare.

Per quanto ci riguarda, ricordando personalità come Alcide De Gasperi o Sandro Pertini non avremmo nulla da obiettare a che ci siano politici di professione. Ma più di recente sono sorte in Italia chiassose correnti di opinione, dette di “antipolitica”; la più chiassosa era quella che racchiudeva il suo pensiero sui politici in una sola parola: “vaff…”.

Era il movimento grillista, o grillino, dal nome del suo fondatore. Il suo obiettivo dichiarato era il superamento della democrazia rappresentativa, da sostituire con un sistema di consultazione permanente degli elettori tramite una piattaforma Internet; nel frattempo, la degradazione di deputati e senatori a semplici “portavoce”, eleggibili per non più di due mandati, indipendentemente dal livello istituzionale; la drastica limitazione delle relative indennità e l’abolizione degli assegni “vitalizi” previsti per chi ha esaurito il mandato per cui è stato eletto. Grazie a queste proposte, e ad altre simili, alle elezioni politiche del 2018 quel movimento riportò la maggioranza relativa e fu l’asse portante di due governi consecutivi, peraltro l’uno il contrario dell’altro quanto a orientamento politico. Un bel successo di “antipolitica”.

Si sa come è andata a finire: la grande maggioranza dei “portavoce” eletti da quel gruppo tenne comportamenti che avrebbero fatto arrossire, o impallidire, i più navigati carrieristi della vecchia politica. Poi il leggendario fondatore eponimo del movimento accettò di lasciarne le redini a un altro leader, quello che era divenuto capo del Governo senza che nessuno lo avesse votato, né con le schede né con i click su Internet; per cedere il suo ruolo, lo stesso fondatore pretese, e per un po’ ottenne, un “vitalizio” di 300.000 euro annui. Come dicono a Roma, aridatece Max Weber, i suoi politici di professione e la sua serissima visione etica.

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Orticelli politici, pure esasperati https://www.lavoce.it/orticelli-politici-pure-esasperati/ https://www.lavoce.it/orticelli-politici-pure-esasperati/#respond Wed, 16 Oct 2024 13:39:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77996

Il nostro sistema politico a volte appare inadeguato ad affrontare le grandi sfide di questo tempo difficile e complesso. È un problema di regole e di procedure – e per questo il dibattito sulle riforme istituzionali merita la massima attenzione da parte dei cittadini –, ma anche e forse soprattutto di comportamenti. Pesa in particolare la tendenza dei partiti a concentrarsi sugli interessi di quelli che vengono considerati gli elettorati di riferimento.

La prima preoccupazione è fidelizzare i propri sostenitori. Compiacere chi sventola la stessa bandiera. Questa tendenza rende la politica angusta, asfittica. Impedisce di guardare oltre i confini del proprio orto ideologico. Intendiamoci, qualcosa di simile accadeva anche prima, si potrebbe perfino dire che in una certa misura sia sempre accaduto. Ma ora si è arrivati al paradosso che, anche quando si individuano e si percorrono strade più ampie e magari più corrispondenti agli interessi generali del Paese, quasi lo si nasconde con le armi della retorica. Come se ci si dovesse vergognare nell’anteporre il bene comune a quello della propria fazione. Ovviamente incorrono assai più facilmente in questa perversione le forze che devono misurarsi con le scelte di governo. La concretezza dei problemi lascia spesso intravedere soluzioni ragionevoli e tuttavia, nelle decisioni operative come nella comunicazione pubblica, il più delle volte finiscono per essere privilegiati i cavalli di battaglia che si presumono graditi ai propri sostenitori tradizionali.

Ma anche sul versante delle opposizioni i totem ideologici sono oggetto di una particolare venerazione. Anche a costo di tagliar fuori fasce di elettorato potenzialmente aperte a valutare proposte responsabili, e compromettere così la possibilità di costruire alternative agli attuali equilibri elettorali e parlamentari. Questa politica delle “curve” – nel senso degli stadi calcistici – è una delle cause dell’astensionismo crescente. Non l’unica, ma una delle più robuste.

Ci sono milioni di cittadini che restano alla finestra perché non si riconoscono nell’estremizzazione delle posizioni che caratterizza l’offerta politica in questa fase. Proprio l’esistenza di quest’area enormemente vasta – nelle europee dello scorso giugno l’affluenza non è arrivata alla metà degli aventi diritto – evidenzia gli spazi che si aprirebbero per una politica diversa da parte degli stessi soggetti attualmente in campo o di altri che eventualmente sopraggiungessero. Invece la polarizzazione esasperata ha finito per invadere anche l’ambito che per definizione dovrebbe essere tenuto al riparo dagli eccessi delle rispettive tifoserie, dalle forzature muscolari e revansciste e dalle reazioni aprioristicamente difensive: quello delle istituzioni e delle relative riforme.

A fronte di questa deriva vale la pena riportare le parole di Roberto Ruffilli che l’autorevole rivista Il Mulino, diretta da Paolo Pombeni, pone in testa all’ultimo numero, largamente dedicato proprio al tema delle riforme: “Bisogna impegnarsi nella sfida per costringere le forze politiche a esplicitare la portata effettiva dell’apertura a una ricerca in comune di ‘compromessi ragionevoli’ sulle priorità e le scadenze che consentano di dare gradualità e organicità al processo riformatore, con la garanzia del blocco di ogni manovra strumentale”. Non si trattava di un innocuo auspicio. Il testo citato è dell’inizio del 1988. Poco dopo, il 16 aprile di quello stesso anno, Ruffilli veniva ucciso dalle Brigate rosse. La mediazione autentica ha sempre molti nemici.

Stefano De Martis
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Il nostro sistema politico a volte appare inadeguato ad affrontare le grandi sfide di questo tempo difficile e complesso. È un problema di regole e di procedure – e per questo il dibattito sulle riforme istituzionali merita la massima attenzione da parte dei cittadini –, ma anche e forse soprattutto di comportamenti. Pesa in particolare la tendenza dei partiti a concentrarsi sugli interessi di quelli che vengono considerati gli elettorati di riferimento.

La prima preoccupazione è fidelizzare i propri sostenitori. Compiacere chi sventola la stessa bandiera. Questa tendenza rende la politica angusta, asfittica. Impedisce di guardare oltre i confini del proprio orto ideologico. Intendiamoci, qualcosa di simile accadeva anche prima, si potrebbe perfino dire che in una certa misura sia sempre accaduto. Ma ora si è arrivati al paradosso che, anche quando si individuano e si percorrono strade più ampie e magari più corrispondenti agli interessi generali del Paese, quasi lo si nasconde con le armi della retorica. Come se ci si dovesse vergognare nell’anteporre il bene comune a quello della propria fazione. Ovviamente incorrono assai più facilmente in questa perversione le forze che devono misurarsi con le scelte di governo. La concretezza dei problemi lascia spesso intravedere soluzioni ragionevoli e tuttavia, nelle decisioni operative come nella comunicazione pubblica, il più delle volte finiscono per essere privilegiati i cavalli di battaglia che si presumono graditi ai propri sostenitori tradizionali.

Ma anche sul versante delle opposizioni i totem ideologici sono oggetto di una particolare venerazione. Anche a costo di tagliar fuori fasce di elettorato potenzialmente aperte a valutare proposte responsabili, e compromettere così la possibilità di costruire alternative agli attuali equilibri elettorali e parlamentari. Questa politica delle “curve” – nel senso degli stadi calcistici – è una delle cause dell’astensionismo crescente. Non l’unica, ma una delle più robuste.

Ci sono milioni di cittadini che restano alla finestra perché non si riconoscono nell’estremizzazione delle posizioni che caratterizza l’offerta politica in questa fase. Proprio l’esistenza di quest’area enormemente vasta – nelle europee dello scorso giugno l’affluenza non è arrivata alla metà degli aventi diritto – evidenzia gli spazi che si aprirebbero per una politica diversa da parte degli stessi soggetti attualmente in campo o di altri che eventualmente sopraggiungessero. Invece la polarizzazione esasperata ha finito per invadere anche l’ambito che per definizione dovrebbe essere tenuto al riparo dagli eccessi delle rispettive tifoserie, dalle forzature muscolari e revansciste e dalle reazioni aprioristicamente difensive: quello delle istituzioni e delle relative riforme.

A fronte di questa deriva vale la pena riportare le parole di Roberto Ruffilli che l’autorevole rivista Il Mulino, diretta da Paolo Pombeni, pone in testa all’ultimo numero, largamente dedicato proprio al tema delle riforme: “Bisogna impegnarsi nella sfida per costringere le forze politiche a esplicitare la portata effettiva dell’apertura a una ricerca in comune di ‘compromessi ragionevoli’ sulle priorità e le scadenze che consentano di dare gradualità e organicità al processo riformatore, con la garanzia del blocco di ogni manovra strumentale”. Non si trattava di un innocuo auspicio. Il testo citato è dell’inizio del 1988. Poco dopo, il 16 aprile di quello stesso anno, Ruffilli veniva ucciso dalle Brigate rosse. La mediazione autentica ha sempre molti nemici.

Stefano De Martis
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Politici sotto indagine. Il giudizio prima della sentenza https://www.lavoce.it/politici-sotto-indagine-giudizio-prima-della-sentenza/ https://www.lavoce.it/politici-sotto-indagine-giudizio-prima-della-sentenza/#respond Wed, 15 May 2024 16:17:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=76201

Ci risiamo con le indagini sui politici sospettati di corruzione. Adesso è sotto accusa il presidente della regione Liguria; e puntualmente tutti quelli della sua parte politica si sbracciano ad invocare il garantismo e la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio (e magari oltre).

Sul concetto di garantismo e sulla presunzione di innocenza ci sarebbe molto da dire, ma non posso farlo qui. Mi limito a dire che la presunzione di innocenza vale essenzialmente ai fini penali, ma non vieta che i comportamenti di un uomo politico, se palesi e attinenti alla vita pubblica, siano valutati e giudicati sul piano politico, e che l’elettorato ne possa trarre le conclusioni dovute senza aspettare le sentenze dei giudici. Mi sembra esemplare la vicenda di François Fillon.

Il suo nome è poco conosciuto in Italia, ma era conosciutissimo e rispettato in Francia fino a qualche anno fa. Era l’esponente più autorevole della destra gaullista (noi diremmo un centro-destra liberale e moderato); era stato più volte ministro e anche primo ministro; in vista delle elezioni del 2017 era il candidato favorito per la nomina a Presidente della Repubblica; tutti i sondaggi lo davano vincente.

Quattro mesi prima delle elezioni, però, si scoprì che da anni sua moglie prendeva dallo Stato un lauto stipendio come assistente parlamentare del marito, ma in realtà non aveva mai svolto quel lavoro, neanche per un giorno. In Italia pochi ci avrebbero fatto caso, ma in Francia fu uno scandalo.

Nessuno disse che si doveva aspettare una sentenza della magistratura, tanto meno quella della Cassazione; nessuno parlò di giustizia a orologeria, benché fosse in corso la campagna elettorale. Il fatto c’era, e bastava. La maggioranza dei francesi non voleva un presidente che si approfittasse della sua posizione per fare avere alla moglie uno stipendio statale non guadagnato. Fillon non ritirò la sua candidatura, ma il suo nome crollò nei sondaggi; allo scrutinio risultò terzo, escluso dal ballottaggio dietro lo sconosciuto Macron e Marine Le Pen.

Dopo di allora, lui è scomparso dalla politica, e anche il suo partito è finito nella irrilevanza. Non voglio mitizzare la Francia e i francesi, ma mi pare che sentano molto più di noi il rispetto per le istituzioni e l’esigenza che chi le rappresenta sia moralmente inattaccabile.

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Ci risiamo con le indagini sui politici sospettati di corruzione. Adesso è sotto accusa il presidente della regione Liguria; e puntualmente tutti quelli della sua parte politica si sbracciano ad invocare il garantismo e la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio (e magari oltre).

Sul concetto di garantismo e sulla presunzione di innocenza ci sarebbe molto da dire, ma non posso farlo qui. Mi limito a dire che la presunzione di innocenza vale essenzialmente ai fini penali, ma non vieta che i comportamenti di un uomo politico, se palesi e attinenti alla vita pubblica, siano valutati e giudicati sul piano politico, e che l’elettorato ne possa trarre le conclusioni dovute senza aspettare le sentenze dei giudici. Mi sembra esemplare la vicenda di François Fillon.

Il suo nome è poco conosciuto in Italia, ma era conosciutissimo e rispettato in Francia fino a qualche anno fa. Era l’esponente più autorevole della destra gaullista (noi diremmo un centro-destra liberale e moderato); era stato più volte ministro e anche primo ministro; in vista delle elezioni del 2017 era il candidato favorito per la nomina a Presidente della Repubblica; tutti i sondaggi lo davano vincente.

Quattro mesi prima delle elezioni, però, si scoprì che da anni sua moglie prendeva dallo Stato un lauto stipendio come assistente parlamentare del marito, ma in realtà non aveva mai svolto quel lavoro, neanche per un giorno. In Italia pochi ci avrebbero fatto caso, ma in Francia fu uno scandalo.

Nessuno disse che si doveva aspettare una sentenza della magistratura, tanto meno quella della Cassazione; nessuno parlò di giustizia a orologeria, benché fosse in corso la campagna elettorale. Il fatto c’era, e bastava. La maggioranza dei francesi non voleva un presidente che si approfittasse della sua posizione per fare avere alla moglie uno stipendio statale non guadagnato. Fillon non ritirò la sua candidatura, ma il suo nome crollò nei sondaggi; allo scrutinio risultò terzo, escluso dal ballottaggio dietro lo sconosciuto Macron e Marine Le Pen.

Dopo di allora, lui è scomparso dalla politica, e anche il suo partito è finito nella irrilevanza. Non voglio mitizzare la Francia e i francesi, ma mi pare che sentano molto più di noi il rispetto per le istituzioni e l’esigenza che chi le rappresenta sia moralmente inattaccabile.

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I danni della malapolitica https://www.lavoce.it/danni-malapolitica/ https://www.lavoce.it/danni-malapolitica/#respond Wed, 24 Apr 2024 17:27:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75816

Il moltiplicarsi di inchieste che riguardano episodi di corruzione politica fa emergere un quadro inquietante, tanto più nell’imminenza di importanti appuntamenti elettorali. Naturalmente vale per tutti la presunzione d’innocenza, e il profilo strettamente penale di queste vicende si definirà soltanto al termine dei procedimenti in corso. Da un certo punto di vista si potrebbe perfino rilevare un risvolto positivo di tali inchieste, in quanto dimostrazione di un’intrinseca capacità di reazione del sistema a livello giudiziario. Ma la sensazione è che, se gli episodi su cui si indaga sono così numerosi, i comportamenti illeciti abbiano una diffusione ben più ampia di quella che sta venendo alla luce.

Certo, bisogna evitare di cadere in semplicistiche generalizzazioni, che paradossalmente finiscono per annacquare le responsabilità personali e colpire i tanti amministratori onesti che pure ci sono e – ci ostiniamo convintamente a pensarlo – sono la maggioranza. Tuttavia, quando si attivano massicciamente gli anticorpi, vuol dire che c’è un’infezione in atto.

Purtroppo gli elementi già riferiti dalle cronache autorizzano a pensare che in molte situazioni ci si trovi di fronte a violazioni non marginali del Codice penale. Ma anche se in alcuni casi non si arrivasse all’accertamento di reati (il che, ovviamente, farebbe una grande differenza sul piano processuale), il senso complessivo del discorso non cambierebbe di molto: il malcostume nella gestione della cosa pubblica è di per sé un fenomeno in grado di ferire gravemente la vita democratica. Perché di questo si tratta.

L’antipolitica ha radici molteplici, ma non c’è dubbio che tra le sue cause corruzione e malcostume abbiano un posto di primo piano. Con un’incidenza doppiamente nefasta: da un lato hanno svilito il significato stesso del fare politica, riducendolo a pratica affaristica e di potere autoreferenziale; dall’altro hanno alimentato quella disaffezione, quell’affievolimento della tensione morale e quel senso di rassegnazione (di cui l’astensionismo è la manifestazione più macroscopica, ma non l’unica) in cui i comportamenti negativi trovano spazio per svilupparsi più agevolmente.

La malapolitica non può essere combattuta soltanto sul piano repressivo, come peraltro si continua a fare doverosamente, anche se non mancano i tentativi di delegittimare questa azione. Il suo contrasto richiede un recupero forte della partecipazione, che è impulso costruttivo rispetto al bene comune e anche forma efficace di controllo sociale, soprattutto preventivo.

La partecipazione, però, non può essere ridotta al momento elettorale, che pure è essenziale e decisivo. E non dipende principalmente dai meccanismi istituzionali, la cui importanza nessuno intende ovviamente sottovalutare. Resta il fatto che a livello regionale e locale – quello a cui si riferiscono principalmente le inchieste, non solo in questa fase – sono vigenti da molti anni sistemi che prevedono l’elezione diretta dei vertici.

Un assetto che ha fatto emergere leadership significative ma non è stato di per sé capace di far crescere la partecipazione né di garantire una migliore selezione della classe dirigente. La verticalizzazione del potere è una tendenza irreversibile della politica moderna, ma senza adeguati bilanciamenti, e soprattutto senza il concorso dei cittadini e delle loro formazioni sociali, rischia di produrre più danni che benefici.

di Stefano De Martis
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Il moltiplicarsi di inchieste che riguardano episodi di corruzione politica fa emergere un quadro inquietante, tanto più nell’imminenza di importanti appuntamenti elettorali. Naturalmente vale per tutti la presunzione d’innocenza, e il profilo strettamente penale di queste vicende si definirà soltanto al termine dei procedimenti in corso. Da un certo punto di vista si potrebbe perfino rilevare un risvolto positivo di tali inchieste, in quanto dimostrazione di un’intrinseca capacità di reazione del sistema a livello giudiziario. Ma la sensazione è che, se gli episodi su cui si indaga sono così numerosi, i comportamenti illeciti abbiano una diffusione ben più ampia di quella che sta venendo alla luce.

Certo, bisogna evitare di cadere in semplicistiche generalizzazioni, che paradossalmente finiscono per annacquare le responsabilità personali e colpire i tanti amministratori onesti che pure ci sono e – ci ostiniamo convintamente a pensarlo – sono la maggioranza. Tuttavia, quando si attivano massicciamente gli anticorpi, vuol dire che c’è un’infezione in atto.

Purtroppo gli elementi già riferiti dalle cronache autorizzano a pensare che in molte situazioni ci si trovi di fronte a violazioni non marginali del Codice penale. Ma anche se in alcuni casi non si arrivasse all’accertamento di reati (il che, ovviamente, farebbe una grande differenza sul piano processuale), il senso complessivo del discorso non cambierebbe di molto: il malcostume nella gestione della cosa pubblica è di per sé un fenomeno in grado di ferire gravemente la vita democratica. Perché di questo si tratta.

L’antipolitica ha radici molteplici, ma non c’è dubbio che tra le sue cause corruzione e malcostume abbiano un posto di primo piano. Con un’incidenza doppiamente nefasta: da un lato hanno svilito il significato stesso del fare politica, riducendolo a pratica affaristica e di potere autoreferenziale; dall’altro hanno alimentato quella disaffezione, quell’affievolimento della tensione morale e quel senso di rassegnazione (di cui l’astensionismo è la manifestazione più macroscopica, ma non l’unica) in cui i comportamenti negativi trovano spazio per svilupparsi più agevolmente.

La malapolitica non può essere combattuta soltanto sul piano repressivo, come peraltro si continua a fare doverosamente, anche se non mancano i tentativi di delegittimare questa azione. Il suo contrasto richiede un recupero forte della partecipazione, che è impulso costruttivo rispetto al bene comune e anche forma efficace di controllo sociale, soprattutto preventivo.

La partecipazione, però, non può essere ridotta al momento elettorale, che pure è essenziale e decisivo. E non dipende principalmente dai meccanismi istituzionali, la cui importanza nessuno intende ovviamente sottovalutare. Resta il fatto che a livello regionale e locale – quello a cui si riferiscono principalmente le inchieste, non solo in questa fase – sono vigenti da molti anni sistemi che prevedono l’elezione diretta dei vertici.

Un assetto che ha fatto emergere leadership significative ma non è stato di per sé capace di far crescere la partecipazione né di garantire una migliore selezione della classe dirigente. La verticalizzazione del potere è una tendenza irreversibile della politica moderna, ma senza adeguati bilanciamenti, e soprattutto senza il concorso dei cittadini e delle loro formazioni sociali, rischia di produrre più danni che benefici.

di Stefano De Martis
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Una bussola per la politica https://www.lavoce.it/una-bussola-per-la-politica/ Thu, 17 Feb 2022 15:41:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=65020

Stefano De Martis

La politica è in cerca di una bussola per orientarsi nell’ultimo anno della legislatura parlamentare. O se vogliamo, nel secondo anno di vita del governo Draghi, iniziato con rinnovata determinazione da parte del premier, ma in un contesto di grande confusione tra i partiti. La febbre elettoralistica – peraltro mai del tutto sopita tra un appuntamento con le urne e l’altro – ha ripreso vigore, incurante della situazione internazionale come dell’interesse generale degli italiani. Lo si coglie dall’intensificarsi dello sventolìo delle bandierine ideologiche con cui ciascuna forza politica cerca di marcare il proprio (presunto) territorio di consenso.

Certo, l’attuazione del Pnrr di qui al 2026 rappresenta una traccia da cui non si può prescindere, anche se le forze politiche spesso fanno finta di non saperlo. Così pure la gestione della fase discendente della pandemia è un impegno ineludibile che richiederà nei prossimi mesi scelte chiare, proporzionate e lungimiranti, per evitare di farsi trovare impreparati in futuro.

Ma le incognite in campo, interne ed esterne, sono molte e di grave portata. Senza una scala condivisa e trasparente di priorità, c’è il rischio che le decisioni siano il frutto non di un fisiologico confronto tra posizioni diverse, ma di un continuo braccio di ferro tra i partiti, tra i partiti e il Governo, tra il Governo e il Parlamento, tra le istituzioni centrali e quelle locali. E che alla fine non prevalgano le soluzioni migliori per il Paese, ma quelle sostenute dai più forti, dai più spregiudicati, dai gruppi che gridano di più e sanno forzare a loro vantaggio il corso delle cose.

L’insidia è presente anche all’interno di processi in sé positivi. Clamoroso è l’esempio dei bonus per l’edilizia, che hanno avuto un impatto rilevante sulla ripresa (e speriamo anche sulla transizione ecologica), ma contestualmente hanno aperto la strada a frodi e illeciti per svariati miliardi. Le pur odiose truffe sul Reddito di cittadinanza impallidiscono al confronto, e ben altra è l’indignazione collettiva che suscitano.

Per avere una bussola costituzionalmente fondata bisognerebbe riprendere in mano il discorso del giuramento di Sergio Mattarella, autentica miniera di senso delle istituzioni e di amore per la comunità nazionale. “È necessario assumere la lotta alle disuguaglianze e alle povertà come asse portante della politiche pubbliche” ha detto in quell’occasione il Capo dello Stato, e ha parlato della “dignità” come “pietra angolare del nostro impegno”. Dignità che ha una “dimensione sociale” ma anche un “significato etico e culturale che riguarda il valore delle persone e chiama in causa l’intera società”.

Nelle fasi di transizione e di crisi, la tentazione della cultura dello scarto si fa più pressante. Ed è proprio qui che la politica misura la propria grandezza, nel garantire tutela per i più deboli e giustizia sociale per persone e famiglie. Se non facesse questo, la politica dichiarerebbe in un certo senso la propria inutilità. I più forti, infatti, sanno difendersi benissimo da soli.

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Stefano De Martis

La politica è in cerca di una bussola per orientarsi nell’ultimo anno della legislatura parlamentare. O se vogliamo, nel secondo anno di vita del governo Draghi, iniziato con rinnovata determinazione da parte del premier, ma in un contesto di grande confusione tra i partiti. La febbre elettoralistica – peraltro mai del tutto sopita tra un appuntamento con le urne e l’altro – ha ripreso vigore, incurante della situazione internazionale come dell’interesse generale degli italiani. Lo si coglie dall’intensificarsi dello sventolìo delle bandierine ideologiche con cui ciascuna forza politica cerca di marcare il proprio (presunto) territorio di consenso.

Certo, l’attuazione del Pnrr di qui al 2026 rappresenta una traccia da cui non si può prescindere, anche se le forze politiche spesso fanno finta di non saperlo. Così pure la gestione della fase discendente della pandemia è un impegno ineludibile che richiederà nei prossimi mesi scelte chiare, proporzionate e lungimiranti, per evitare di farsi trovare impreparati in futuro.

Ma le incognite in campo, interne ed esterne, sono molte e di grave portata. Senza una scala condivisa e trasparente di priorità, c’è il rischio che le decisioni siano il frutto non di un fisiologico confronto tra posizioni diverse, ma di un continuo braccio di ferro tra i partiti, tra i partiti e il Governo, tra il Governo e il Parlamento, tra le istituzioni centrali e quelle locali. E che alla fine non prevalgano le soluzioni migliori per il Paese, ma quelle sostenute dai più forti, dai più spregiudicati, dai gruppi che gridano di più e sanno forzare a loro vantaggio il corso delle cose.

L’insidia è presente anche all’interno di processi in sé positivi. Clamoroso è l’esempio dei bonus per l’edilizia, che hanno avuto un impatto rilevante sulla ripresa (e speriamo anche sulla transizione ecologica), ma contestualmente hanno aperto la strada a frodi e illeciti per svariati miliardi. Le pur odiose truffe sul Reddito di cittadinanza impallidiscono al confronto, e ben altra è l’indignazione collettiva che suscitano.

Per avere una bussola costituzionalmente fondata bisognerebbe riprendere in mano il discorso del giuramento di Sergio Mattarella, autentica miniera di senso delle istituzioni e di amore per la comunità nazionale. “È necessario assumere la lotta alle disuguaglianze e alle povertà come asse portante della politiche pubbliche” ha detto in quell’occasione il Capo dello Stato, e ha parlato della “dignità” come “pietra angolare del nostro impegno”. Dignità che ha una “dimensione sociale” ma anche un “significato etico e culturale che riguarda il valore delle persone e chiama in causa l’intera società”.

Nelle fasi di transizione e di crisi, la tentazione della cultura dello scarto si fa più pressante. Ed è proprio qui che la politica misura la propria grandezza, nel garantire tutela per i più deboli e giustizia sociale per persone e famiglie. Se non facesse questo, la politica dichiarerebbe in un certo senso la propria inutilità. I più forti, infatti, sanno difendersi benissimo da soli.

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Ideologie? No, potere https://www.lavoce.it/ideologie-no-potere/ Thu, 17 Feb 2022 15:26:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=65012 Logo rubrica Il punto

Ho sentito un signore di una certa età - quanto serve per ricordare certe cose - lamentarsi perché nella politica mondiale non si capisce più niente. Una volta, diceva, c’erano le ideologie e tutto era chiaro: l’America era per la democrazia capitalista, l’Urss e la Cina per il comunismo e la dittatura del proletariato, si capiva l’ostilità fra i due sistemi; ma adesso? Provo a rispondere. Lo dicevano già Machiavelli e Marx, sia pure con parole molto diverse l’uno dall’altro. Per l’uomo di potere conta solo il potere, il dominio: averlo, consolidarlo, allargarne sempre più i confini, fino a che non trova uno come lui che lo ferma.

L’ideologia è solo una copertura, un pretesto, uno strumento per farsi obbedire dal popolo. Non è sempre vero, o non del tutto: nella politica troviamo anche uomini che non pensano al potere come fine a se stesso: come De Gasperi, Adenauer, Schuman. Ma a livello planetario le superpotenze si fronteggiano per il dominio del mondo, o almeno di un pezzo di mondo, con o senza ideologie. Quando l’Urss mandò i carri armati in Ungheria nel 1956 e a Praga nel 1968, aveva il pretesto della difesa del socialismo (l’ideologia), ma quello che voleva difendere era il suo dominio. L’uomo che poteva sembrare il più ideologico, Stalin, non lo era affatto: nel 1939 si era alleato con Hitler per spartirsi con lui la Polonia e i tre Paesi baltici, si rivoltò contro la Germania quando questa tentò l’invasione della Russia, e a quel punto si alleò con le potenze democratiche occidentali, ma in cambio pretese ed ottenne il dominio dell’Europa centro-orientale.

Quel dominio, appunto, che i suoi eredi difendevano con i carri armati nel 1956 e nel 1968. Adesso al posto di Stalin è arrivato Putin: lui non è ideologico e non fa nemmeno finta di esserlo, la Russia è piena di capitalisti, ma la politica di potenza è sempre quella. L’Ucraina non deve diventare una pedina della potenza americana. Ma in fondo è la stessa logica che aveva portato gli Usa in Iraq e altrove. Potrebbe essere il compito dell’Unione europea portare a livello mondiale uno spirito di pacifica collaborazione; ma ammesso che sia possibile, ne siamo ancora molto lontani.

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Ho sentito un signore di una certa età - quanto serve per ricordare certe cose - lamentarsi perché nella politica mondiale non si capisce più niente. Una volta, diceva, c’erano le ideologie e tutto era chiaro: l’America era per la democrazia capitalista, l’Urss e la Cina per il comunismo e la dittatura del proletariato, si capiva l’ostilità fra i due sistemi; ma adesso? Provo a rispondere. Lo dicevano già Machiavelli e Marx, sia pure con parole molto diverse l’uno dall’altro. Per l’uomo di potere conta solo il potere, il dominio: averlo, consolidarlo, allargarne sempre più i confini, fino a che non trova uno come lui che lo ferma.

L’ideologia è solo una copertura, un pretesto, uno strumento per farsi obbedire dal popolo. Non è sempre vero, o non del tutto: nella politica troviamo anche uomini che non pensano al potere come fine a se stesso: come De Gasperi, Adenauer, Schuman. Ma a livello planetario le superpotenze si fronteggiano per il dominio del mondo, o almeno di un pezzo di mondo, con o senza ideologie. Quando l’Urss mandò i carri armati in Ungheria nel 1956 e a Praga nel 1968, aveva il pretesto della difesa del socialismo (l’ideologia), ma quello che voleva difendere era il suo dominio. L’uomo che poteva sembrare il più ideologico, Stalin, non lo era affatto: nel 1939 si era alleato con Hitler per spartirsi con lui la Polonia e i tre Paesi baltici, si rivoltò contro la Germania quando questa tentò l’invasione della Russia, e a quel punto si alleò con le potenze democratiche occidentali, ma in cambio pretese ed ottenne il dominio dell’Europa centro-orientale.

Quel dominio, appunto, che i suoi eredi difendevano con i carri armati nel 1956 e nel 1968. Adesso al posto di Stalin è arrivato Putin: lui non è ideologico e non fa nemmeno finta di esserlo, la Russia è piena di capitalisti, ma la politica di potenza è sempre quella. L’Ucraina non deve diventare una pedina della potenza americana. Ma in fondo è la stessa logica che aveva portato gli Usa in Iraq e altrove. Potrebbe essere il compito dell’Unione europea portare a livello mondiale uno spirito di pacifica collaborazione; ma ammesso che sia possibile, ne siamo ancora molto lontani.

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Ddl Zan, diritti da bilanciare https://www.lavoce.it/ddl-zan-diritti-da-bilanciare/ Thu, 01 Jul 2021 15:20:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=61254 ferie

Francesco Bonini- Ha fatto molto discutere il Ddl Zan. Tuttavia alla fine è emerso con chiarezza il senso della nota verbale recapitata dalla Santa Sede al governo italiano a proposito del disegno di legge Zan: un contributo al dialogo. Per arrivare ad una soluzione legislativa rispettosa della libertà. In particolare di quelle libertà tutelate dalla Costituzione e sottolineate anche dagli accordi concordatari, la libertà di espressione e quella di educazione, oltre ovviamente la libertà di religione.

Gli inteventi della Cei e del Vaticano

Nel merito dunque evidente sintonia, lo ha ricordato anche il cardinale Parolin, con quanto la Cei aveva già affermato da ultimo in termini molto chiari lo scorso 28 aprile in una Nota della Presidenza. Ma la competenza dell’interlocuzione formale su temi concordatari è della Santa Sede, la quale dunque è intervenuta al livello suo proprio. Con buona pace non solo di chi si è stracciato le vesti gridando alla “ingerenza”, ma anche di chi ha, con più equivoco disegno, cercato di mettere in discussione da un lato il circuito interno vaticano, dall’altro quello tra Santa Sede e Cei. Come se il Papa non fosse stato informato del passo del suo “ministro degli esteri” o la Santa Sede avesse voluto delegittimare i vescovi italiani. Il Papa non è una figurina da giocare nel dibattito ideologico e la Chiesa che Papa Francesco guida si muove nella sua interlocuzione con uno spirito costruttivo, richiedendo il dialogo apertura, sincerità, rispetto e la necessaria chiarezza di riferimenti e di principi.

Disegno di legge “sbilanciato”

Perché, tornando al merito, così come è configurato, il testo del disegno di legge è sbilanciato, oltre che ambiguo nelle definizioni che propone su una materia delicatissima di biopolitica. Tra i molti un giurista molto equilibrato come Gabriele Carapezza, sul Giornale di Sicilia, ha ben argomentato che “la seconda parte del ddl Zan non individua un adeguato bilanciamento con quei diritti di rango costituzionale che segnano i limiti di legittimità dell’intervento legislativo”, richiamando un grande dibattito che attraversa le grandi democrazie.

Prudenza: la virtù del politico (da usare)

Auspicare, come è stato fatto nelle note della Cei prima e poi con autorevolezza diplomatica dalla nota verbale della Santa Sede e dal cardinale Parolin, l’uso della più grande virtù del politico e del legislatore, che è la prudenza, altro non è che un modo per aiutare una decisione che possa resistere nel tempo e non essere il semplice portato di effimere maggioranze politiche del momento o di indirizzi ideologici a breve. I pronunciamenti formali, come quelli appena richiamati, sono accompagnati da forme di interlocuzione molteplici e necessariamente informali. Si può allora fare ancora molto, per una soluzione che in un inglese facile facile si possa definire win-win, in cui a vincere siano i diritti (e i doveri) di tutti e di ciascuno. È lo spirito di convergenza per il bene comune, richiamato alla base degli accordi concordatari del 1984, che si sono confermati un ottimo strumento della democrazia italiana.  ]]>
ferie

Francesco Bonini- Ha fatto molto discutere il Ddl Zan. Tuttavia alla fine è emerso con chiarezza il senso della nota verbale recapitata dalla Santa Sede al governo italiano a proposito del disegno di legge Zan: un contributo al dialogo. Per arrivare ad una soluzione legislativa rispettosa della libertà. In particolare di quelle libertà tutelate dalla Costituzione e sottolineate anche dagli accordi concordatari, la libertà di espressione e quella di educazione, oltre ovviamente la libertà di religione.

Gli inteventi della Cei e del Vaticano

Nel merito dunque evidente sintonia, lo ha ricordato anche il cardinale Parolin, con quanto la Cei aveva già affermato da ultimo in termini molto chiari lo scorso 28 aprile in una Nota della Presidenza. Ma la competenza dell’interlocuzione formale su temi concordatari è della Santa Sede, la quale dunque è intervenuta al livello suo proprio. Con buona pace non solo di chi si è stracciato le vesti gridando alla “ingerenza”, ma anche di chi ha, con più equivoco disegno, cercato di mettere in discussione da un lato il circuito interno vaticano, dall’altro quello tra Santa Sede e Cei. Come se il Papa non fosse stato informato del passo del suo “ministro degli esteri” o la Santa Sede avesse voluto delegittimare i vescovi italiani. Il Papa non è una figurina da giocare nel dibattito ideologico e la Chiesa che Papa Francesco guida si muove nella sua interlocuzione con uno spirito costruttivo, richiedendo il dialogo apertura, sincerità, rispetto e la necessaria chiarezza di riferimenti e di principi.

Disegno di legge “sbilanciato”

Perché, tornando al merito, così come è configurato, il testo del disegno di legge è sbilanciato, oltre che ambiguo nelle definizioni che propone su una materia delicatissima di biopolitica. Tra i molti un giurista molto equilibrato come Gabriele Carapezza, sul Giornale di Sicilia, ha ben argomentato che “la seconda parte del ddl Zan non individua un adeguato bilanciamento con quei diritti di rango costituzionale che segnano i limiti di legittimità dell’intervento legislativo”, richiamando un grande dibattito che attraversa le grandi democrazie.

Prudenza: la virtù del politico (da usare)

Auspicare, come è stato fatto nelle note della Cei prima e poi con autorevolezza diplomatica dalla nota verbale della Santa Sede e dal cardinale Parolin, l’uso della più grande virtù del politico e del legislatore, che è la prudenza, altro non è che un modo per aiutare una decisione che possa resistere nel tempo e non essere il semplice portato di effimere maggioranze politiche del momento o di indirizzi ideologici a breve. I pronunciamenti formali, come quelli appena richiamati, sono accompagnati da forme di interlocuzione molteplici e necessariamente informali. Si può allora fare ancora molto, per una soluzione che in un inglese facile facile si possa definire win-win, in cui a vincere siano i diritti (e i doveri) di tutti e di ciascuno. È lo spirito di convergenza per il bene comune, richiamato alla base degli accordi concordatari del 1984, che si sono confermati un ottimo strumento della democrazia italiana.  ]]>
In questo numero: GrEst, Sinodo, economia sociale, partiti e politica, https://www.lavoce.it/in-questo-numero-grest-sinodo-economia-sociale-partiti-e-politica/ Thu, 03 Jun 2021 17:01:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60920

Questa settimana su La Voce (Leggi tutto nell'edizione digitale)

l’editoriale

Sinodo: è il tempo di nuova semina

di Daniele Morini
Dopo il “torpore” provocato da oltre un anno di pandemia, per la Chiesa italiana è il momento di riprendere il cammino con il popolo di Dio ed è lo stesso Papa Francesco a indicare la strada. Il Santo Padre lo ha detto più volte ai nostri Vescovi negli ultimi anni e lo ha ripetuto anche alla recente Assemblea generale della Cei che si è svolta a Roma la scorsa settimana, a distanza di oltre 700 giorni dall’ultimo incontro dell’episcopato italiano in presenza.

Focus

Economia sociale, anima del welfare

di Pier Luigi Grasselli In questi ultimi anni si è fatto sempre più diffuso e convincente l’appello alla sostenibilità, economica, sociale e ambientale, sotto la spinta dei mutamenti climatici, dei disastri ambientali, delle crisi finanziarie globali, e dell’impatto dominante delle appassionate encicliche di Papa Francesco. È per ciò importante riflettere sul contributo che in questa direzione proviene, e che può essere potenziato, da un ampio comparto dell’economia, definito Economia sociale e costituito da tre grandi famiglie di organizzazioni… (pagina 11)

Partiti oggi senza radici storiche

di Pier Giorgio Lignani Il voto del 2 giugno 1946 per l’Assemblea costituente fu l’inizio di una stagione nella quale si affrontavano partiti politici divisi praticamente su tutto, ma nondimeno capaci di riconoscersi in un sistema di valori di fondo - quelli espressi dalla Costituzione - che sentivano comune. Ma oggi?... (pagina 10)

Nel giornale

La vita è adesso

Riaprono, riprendono, rivivono oratori, parrocchie e centri sportivi, per far riscoprire la sana vita di relazione a bambini e adolescenti dopo un pesante anno di distanziamento. Vediamo in dettaglio chi effettivamente riattiverà queste strutture in Umbria, a cominciare dal Csi. Anche la Regione dovrebbe stanziare fondi consistenti, data l’alta valenza sociale ed educativa di queste attività. Lunghi mesi di scuola e amicizie vissuti in modo provvisorio, a singhiozzo, hanno lasciato un segno nelle nuove generazioni. Ora peròpossiamo dare segni “di vita” CHIESA ITALIANA Il Sinodo è stato il tema centrale - sebbene non l’unico - all’ultima Assemblea generale della Cei. Un grande momento di riflessione per la Chiesa italiana, che andrà a intersecarsi con i lavori a livello nazionale per il Sinodo dei vescovi in programma a tappe fino al 2023. Ma lo stile fraterno, dal basso, caratterizza anche il rapporto con la società e le sue esigenze CORPUS DOMINI La solennità di questa domenica rappresenta un forte punto di sintesi tra le più elevate verità del cristianesimo e la più sentita pietà popolare. La situazione al momento non rende possibile organizzare processioni come da tradizione, ma Gesù eucaristia ha molti luoghi dove essere incontrato. Anche nel proprio cuore CREATO/ECOLOGIA La primavera fa fiorire anche la consapevolezza a favore dell’ambiente. Un seminario di studio e la Giornata ecologica della Cisl; una conferenza di esperti organizzata dal Meic. Intanto Economy of Francesco diventa una summer school alla Lumsa di Gubbio CHIESA & CULTURA Si incrociano, anche in Umbria, due eventi di arte e cultura organizzati in tutta Italia. Si tratta delle iniziative nazionali La lunga notte delle chiese, che si svolge venerdì 4 giugno, e la Notte dei santuari, appena avviata e in corso fino a metà settembre prossimo]]>

Questa settimana su La Voce (Leggi tutto nell'edizione digitale)

l’editoriale

Sinodo: è il tempo di nuova semina

di Daniele Morini
Dopo il “torpore” provocato da oltre un anno di pandemia, per la Chiesa italiana è il momento di riprendere il cammino con il popolo di Dio ed è lo stesso Papa Francesco a indicare la strada. Il Santo Padre lo ha detto più volte ai nostri Vescovi negli ultimi anni e lo ha ripetuto anche alla recente Assemblea generale della Cei che si è svolta a Roma la scorsa settimana, a distanza di oltre 700 giorni dall’ultimo incontro dell’episcopato italiano in presenza.

Focus

Economia sociale, anima del welfare

di Pier Luigi Grasselli In questi ultimi anni si è fatto sempre più diffuso e convincente l’appello alla sostenibilità, economica, sociale e ambientale, sotto la spinta dei mutamenti climatici, dei disastri ambientali, delle crisi finanziarie globali, e dell’impatto dominante delle appassionate encicliche di Papa Francesco. È per ciò importante riflettere sul contributo che in questa direzione proviene, e che può essere potenziato, da un ampio comparto dell’economia, definito Economia sociale e costituito da tre grandi famiglie di organizzazioni… (pagina 11)

Partiti oggi senza radici storiche

di Pier Giorgio Lignani Il voto del 2 giugno 1946 per l’Assemblea costituente fu l’inizio di una stagione nella quale si affrontavano partiti politici divisi praticamente su tutto, ma nondimeno capaci di riconoscersi in un sistema di valori di fondo - quelli espressi dalla Costituzione - che sentivano comune. Ma oggi?... (pagina 10)

Nel giornale

La vita è adesso

Riaprono, riprendono, rivivono oratori, parrocchie e centri sportivi, per far riscoprire la sana vita di relazione a bambini e adolescenti dopo un pesante anno di distanziamento. Vediamo in dettaglio chi effettivamente riattiverà queste strutture in Umbria, a cominciare dal Csi. Anche la Regione dovrebbe stanziare fondi consistenti, data l’alta valenza sociale ed educativa di queste attività. Lunghi mesi di scuola e amicizie vissuti in modo provvisorio, a singhiozzo, hanno lasciato un segno nelle nuove generazioni. Ora peròpossiamo dare segni “di vita” CHIESA ITALIANA Il Sinodo è stato il tema centrale - sebbene non l’unico - all’ultima Assemblea generale della Cei. Un grande momento di riflessione per la Chiesa italiana, che andrà a intersecarsi con i lavori a livello nazionale per il Sinodo dei vescovi in programma a tappe fino al 2023. Ma lo stile fraterno, dal basso, caratterizza anche il rapporto con la società e le sue esigenze CORPUS DOMINI La solennità di questa domenica rappresenta un forte punto di sintesi tra le più elevate verità del cristianesimo e la più sentita pietà popolare. La situazione al momento non rende possibile organizzare processioni come da tradizione, ma Gesù eucaristia ha molti luoghi dove essere incontrato. Anche nel proprio cuore CREATO/ECOLOGIA La primavera fa fiorire anche la consapevolezza a favore dell’ambiente. Un seminario di studio e la Giornata ecologica della Cisl; una conferenza di esperti organizzata dal Meic. Intanto Economy of Francesco diventa una summer school alla Lumsa di Gubbio CHIESA & CULTURA Si incrociano, anche in Umbria, due eventi di arte e cultura organizzati in tutta Italia. Si tratta delle iniziative nazionali La lunga notte delle chiese, che si svolge venerdì 4 giugno, e la Notte dei santuari, appena avviata e in corso fino a metà settembre prossimo]]>
Natalità. Morresi: per un’Agenda che non sia un tweet https://www.lavoce.it/natalita-morresi-per-unagenda-che-non-sia-un-tweet/ Thu, 20 May 2021 17:14:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60729

La ricerca di un consenso immediato, a breve termine, che aumenti i like nei social e gonfi i sondaggi: troppo spesso è diventato questo l’obiettivo della politica negli ultimi anni, a livello nazionale e locale.

Crisi della politica

Con risultati pessimi: la radicalizzazione delle posizioni in gioco, innanzitutto, perché è la dinamica più semplice per guadagnarsi la scena mediatica. Una radicalizzazione che implica la ipersemplificazione delle tematiche trattate, perché così è più facile ridurle a slogan i quali, rispetto a un ragionamento, sono molto più adatti ai tempi veloci televisivi e al breve spazio di un tweet o di un microvideo da far circolare su Whatsapp.

Schieramenti contro a colpi di social

E la ipersemplificazione per antonomasia è quella di sventolare bandiere, dare segnali immediatamente riconoscibili ai propri elettori, e quindi agli avversari: ius soli o controllo dell’immigrazione, Ddl Zan o famiglie tradizionali, “aperturisti” o “chiusuristi” (e chiediamo scusa al vocabolario della lingua italiana, ma è per capirsi), e via dicendo. Allo sventolìo di bandiere gli schieramenti si compattano e si va allo scontro, duro e scontato nelle modalità, nel linguaggio e nei risultati, e soprattutto, infruttuoso. Abbiamo sintetizzato solo alcuni dei segni più eclatanti della crisi che la politica sta attraversando, una crisi che ha radici lontane, nell’anomalia di “Mani pulite” e nelle campagne di discredito orchestrate contro la politica stessa. Ricordate il libro La Casta. Così i politici italiani sono diventati intoccabili, firmato da due giornalisti del Corriere della Sera? Fu pubblicato nel maggio del 2007, e l’8 settembre dello stesso anno Beppe Grillo organizzò il V-day (Vaffa-day). La scelta della data non era certo casuale, richiamando l’armistizio di Badoglio del 1943. La “V” iniziale è entrata a far parte del logo del moVimento 5 stelle, ed è restata.

Ripartire dai territori

Una crisi sulla quale ci sarebbe tanto da dire e che urge affrontare: abbiamo disperatamente bisogno di una buona politica, per un buon governo del Paese. E possiamo farlo a partire dai territori, localmente.

Lavorare insieme per la natalità in Umbria?

Invece di attaccarsi a destra e a sinistra per singoli episodi che assumono dimensioni eccessive rispetto al loro peso reale, perché non proviamo a entrare dentro i contenuti tenendo presente il nostro bene comune, in Umbria? Da tempo parliamo della terribile crisi demografica italiana e della grave denatalità. Draghi è il primo presidente del Consiglio che, finalmente, ha posto la questione con forza, in occasione degli Stati generali della natalità convocati dal Forum delle famiglie. Vogliamo mettere davvero questo problema al primo posto nell’agenda politica della nostra Regione?]]>

La ricerca di un consenso immediato, a breve termine, che aumenti i like nei social e gonfi i sondaggi: troppo spesso è diventato questo l’obiettivo della politica negli ultimi anni, a livello nazionale e locale.

Crisi della politica

Con risultati pessimi: la radicalizzazione delle posizioni in gioco, innanzitutto, perché è la dinamica più semplice per guadagnarsi la scena mediatica. Una radicalizzazione che implica la ipersemplificazione delle tematiche trattate, perché così è più facile ridurle a slogan i quali, rispetto a un ragionamento, sono molto più adatti ai tempi veloci televisivi e al breve spazio di un tweet o di un microvideo da far circolare su Whatsapp.

Schieramenti contro a colpi di social

E la ipersemplificazione per antonomasia è quella di sventolare bandiere, dare segnali immediatamente riconoscibili ai propri elettori, e quindi agli avversari: ius soli o controllo dell’immigrazione, Ddl Zan o famiglie tradizionali, “aperturisti” o “chiusuristi” (e chiediamo scusa al vocabolario della lingua italiana, ma è per capirsi), e via dicendo. Allo sventolìo di bandiere gli schieramenti si compattano e si va allo scontro, duro e scontato nelle modalità, nel linguaggio e nei risultati, e soprattutto, infruttuoso. Abbiamo sintetizzato solo alcuni dei segni più eclatanti della crisi che la politica sta attraversando, una crisi che ha radici lontane, nell’anomalia di “Mani pulite” e nelle campagne di discredito orchestrate contro la politica stessa. Ricordate il libro La Casta. Così i politici italiani sono diventati intoccabili, firmato da due giornalisti del Corriere della Sera? Fu pubblicato nel maggio del 2007, e l’8 settembre dello stesso anno Beppe Grillo organizzò il V-day (Vaffa-day). La scelta della data non era certo casuale, richiamando l’armistizio di Badoglio del 1943. La “V” iniziale è entrata a far parte del logo del moVimento 5 stelle, ed è restata.

Ripartire dai territori

Una crisi sulla quale ci sarebbe tanto da dire e che urge affrontare: abbiamo disperatamente bisogno di una buona politica, per un buon governo del Paese. E possiamo farlo a partire dai territori, localmente.

Lavorare insieme per la natalità in Umbria?

Invece di attaccarsi a destra e a sinistra per singoli episodi che assumono dimensioni eccessive rispetto al loro peso reale, perché non proviamo a entrare dentro i contenuti tenendo presente il nostro bene comune, in Umbria? Da tempo parliamo della terribile crisi demografica italiana e della grave denatalità. Draghi è il primo presidente del Consiglio che, finalmente, ha posto la questione con forza, in occasione degli Stati generali della natalità convocati dal Forum delle famiglie. Vogliamo mettere davvero questo problema al primo posto nell’agenda politica della nostra Regione?]]>
Il Pnrr non è un giocattolo per cercare consensi https://www.lavoce.it/il-pnrr-non-e-un-giocattolo-per-cercare-consensi/ Thu, 13 May 2021 15:08:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60593

A forza di ripeterlo si rischia di diventare noiosi, eppure a osservare i comportamenti dei partiti non sembra che il concetto sia ancora ben chiaro e condiviso: la nostra possibilità di rilancio socio-economico dipende in larghissima misura e comunque in modo decisivo da come sapremo dare concreta attuazione al Pnrr - Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Pnrr. Impegno di tutto il Governo

Su questa sfida ci siamo formalmente impegnati davanti all’Europa (e soprattutto davanti a noi stessi) secondo una serie di scadenze rigorose e verificabili che ci accompagneranno di qui al 2026. Per questo è veramente importante che nell’attuale maggioranza di governo si ritrovino quasi tutte le forze rappresentate in Parlamento. Anche presupponendo che si arrivi al compimento fisiologico della legislatura, al più tardi nel 2023 saranno elette nuove Camere, e nessuno dovrebbe poter dire che quegli impegni sono stati presi da altri.

I "distinguo" di chi sostiene il Governo

Dovrebbe. Il condizionale è mestamente obbligato, perché spesso si ha l’impressione di uno scollamento tra il governo Draghi – che si occupa di mandare avanti il Paese – e i partiti che pure a quel Governo consentono di esistere e in quel Governo hanno ministri di peso. Come se l’esecutivo fosse “altro” rispetto alla maggioranza che lo legittima. Da tempi ormai remoti le cronache specializzate hanno distillato, attingendo alle dichiarazioni dei politici, una formula che esprime sinteticamente (e con un alto tasso di ipocrisia) una situazione analoga a quella presente: “Governo amico”. Soprattutto durante la cosiddetta Prima Repubblica, l’espressione suscitava una certa inquietudine – al di là del tenore letterale delle parole – perché alludeva alla non piena identificazione dei partiti di maggioranza l’esecutivo in carica. Non il “nostro” Governo, piuttosto un Governo da guardare con favore e quindi da sostenere, ma solo fino a un certo punto. Questa dinamica appare attiva anche oggi e, anzi, risulta portata alle estreme conseguenze perché ci sono addirittura partiti che sembrano essere contemporaneamente in maggioranza e all’opposizione. Con un’ulteriore variante paradossale: sulle misure dell’esecutivo che si ritiene possano portare consenso c’è il tentativo di mettere il cappello, come se fossero merito di questo o quel partito; sulle misure impopolari (o che si ritengono tali) si prendono le distanze, talvolta contestandole apertamente e contrastandole nel Paese.

La ricerca del consenso su temi più emotivi

Il terreno su cui questa tattica si manifesta con più evidenza è quello della lotta alla pandemia, perché rispetto al Pnrr è un filone emotivamente molto più carico e quindi propagandisticamente redditizio. L’operazione di qualificare in termini ideologici aperture e chiusure, per esempio, è stupefacente. Come se ci fossero alternative praticabili al metodo di modulare le misure sull’effettivo andamento dei contagi e delle vaccinazioni, richiamando sempre i cittadini al senso di responsabilità. “Riaprire, ma farlo con la testa” ha detto il premier Draghi. Sarà una frase di destra o di sinistra? Forse è solo buon senso. Stefano De Martis]]>

A forza di ripeterlo si rischia di diventare noiosi, eppure a osservare i comportamenti dei partiti non sembra che il concetto sia ancora ben chiaro e condiviso: la nostra possibilità di rilancio socio-economico dipende in larghissima misura e comunque in modo decisivo da come sapremo dare concreta attuazione al Pnrr - Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Pnrr. Impegno di tutto il Governo

Su questa sfida ci siamo formalmente impegnati davanti all’Europa (e soprattutto davanti a noi stessi) secondo una serie di scadenze rigorose e verificabili che ci accompagneranno di qui al 2026. Per questo è veramente importante che nell’attuale maggioranza di governo si ritrovino quasi tutte le forze rappresentate in Parlamento. Anche presupponendo che si arrivi al compimento fisiologico della legislatura, al più tardi nel 2023 saranno elette nuove Camere, e nessuno dovrebbe poter dire che quegli impegni sono stati presi da altri.

I "distinguo" di chi sostiene il Governo

Dovrebbe. Il condizionale è mestamente obbligato, perché spesso si ha l’impressione di uno scollamento tra il governo Draghi – che si occupa di mandare avanti il Paese – e i partiti che pure a quel Governo consentono di esistere e in quel Governo hanno ministri di peso. Come se l’esecutivo fosse “altro” rispetto alla maggioranza che lo legittima. Da tempi ormai remoti le cronache specializzate hanno distillato, attingendo alle dichiarazioni dei politici, una formula che esprime sinteticamente (e con un alto tasso di ipocrisia) una situazione analoga a quella presente: “Governo amico”. Soprattutto durante la cosiddetta Prima Repubblica, l’espressione suscitava una certa inquietudine – al di là del tenore letterale delle parole – perché alludeva alla non piena identificazione dei partiti di maggioranza l’esecutivo in carica. Non il “nostro” Governo, piuttosto un Governo da guardare con favore e quindi da sostenere, ma solo fino a un certo punto. Questa dinamica appare attiva anche oggi e, anzi, risulta portata alle estreme conseguenze perché ci sono addirittura partiti che sembrano essere contemporaneamente in maggioranza e all’opposizione. Con un’ulteriore variante paradossale: sulle misure dell’esecutivo che si ritiene possano portare consenso c’è il tentativo di mettere il cappello, come se fossero merito di questo o quel partito; sulle misure impopolari (o che si ritengono tali) si prendono le distanze, talvolta contestandole apertamente e contrastandole nel Paese.

La ricerca del consenso su temi più emotivi

Il terreno su cui questa tattica si manifesta con più evidenza è quello della lotta alla pandemia, perché rispetto al Pnrr è un filone emotivamente molto più carico e quindi propagandisticamente redditizio. L’operazione di qualificare in termini ideologici aperture e chiusure, per esempio, è stupefacente. Come se ci fossero alternative praticabili al metodo di modulare le misure sull’effettivo andamento dei contagi e delle vaccinazioni, richiamando sempre i cittadini al senso di responsabilità. “Riaprire, ma farlo con la testa” ha detto il premier Draghi. Sarà una frase di destra o di sinistra? Forse è solo buon senso. Stefano De Martis]]>
Alcune idee per efficaci politiche di contrasto alla povertà https://www.lavoce.it/alcune-idee-per-efficaci-politiche-di-contrasto-alla-poverta/ Fri, 05 Mar 2021 06:00:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59416

Con la pandemia da Covid-19 la povertà ha confermato la sua natura di fenomeno complesso e pervasivo, legato strettamente alle dinamiche del sistema, quindi sensibile agli shock da cui questo è colpito, e dipendente dalle caratteristiche strutturali che lo connotano. La crisi è in primo luogo sanitaria, ma produce conseguenze drammatiche sull’economia, sull’occupazione, sull’intera società. Sono colpite massicciamente le attività produttive cosiddette (ma discutibilmente) “non essenziali”: turismo, cultura, pubblici esercizi, commercio al dettaglio, servizi alle persone. E in corrispondenza, le categorie di commercianti, artigiani, professionisti, partite Iva, collaboratori, con pesanti cadute di reddito e di occupazione. Specificamente, tra i lavoratori più colpiti figurano quelli con contratto a tempo determinato (tanto più se vicini alle scadenze), i lavoratori con basse qualifiche (con maggiori difficoltà ad applicare lo smart working), i lavoratori autonomi, atipici, stagionali (D. Mesini, L’aumento delle disuguaglianze in tempo di pandemia, welforum.it, 11/2/2021).

Crisi che aumenta le disuguaglianze

La pandemia tende dunque a produrre nuovi scarti e ad accrescere le preesistenti disuguaglianze, a loro volta generatrici di nuove povertà e di incrementi delle povertà esistenti. Le misure tampone introdotte dal Governo a beneficio di specifiche categorie (Cig, blocco dei licenziamenti, bonus) acuiscono le disuguaglianze tra i lavoratori, in ragione del diverso grado di protezione di cui questi godono (per alcuni dati per l’Umbria, vedi E. Tondini - M. Casavecchia, Coronavirus, cassa integrazione, smart working, Aur Focus, 28/1/2021) . Quanto al Reddito di cittadinanza, attuale misura più importante in Italia contro la povertà, così com’è formulato, non intercetta tutti i bisognosi (3 milioni e 735 mila percettori nel 2020, ma i poveri assoluti sarebbero più del doppio, secondo alcune stime) per mancanza di informazioni, o vergogna, o rifiuto di controlli e condizionalità; né protegge da blocchi improvvisi dell’economia, per la complessità e la rigidità delle procedure di accesso. Né il Reddito di emergenza può porre adeguato rimedio. Per la pandemia è peggiorata anche la situazione delle donne, penalizzate dalla sospensione dei servizi educativi per l’infanzia, e delle attività didattiche nelle scuole. Molto preoccupanti anche le conseguenze sui bambini e sui ragazzi: il riferimento è alle disuguaglianze in termini di opportunità di accesso all’istruzione, con espansione di povertà educativa e dispersione scolastica. Si accentuano anche le fragilità di anziani e disabili, e peggiora al contempo la situazione dei senza fissa dimora.

Serve azione integrata

Si osservi che un’azione di contrasto alla povertà deve compiersi lungo più piani. Da un lato deve erogare sussidi e sostegni immediati per garantire una vita dignitosa a chi si trova in grave difficoltà. Ma deve anche assicurare a questi la formazione delle conoscenze e delle capacità per avviare un’uscita autonoma dalla situazione di indigenza. In una visione ampia, dovrebbe altresì contrastare le disuguaglianze esistenti, ed eventuali processi che portino all’impoverimento di determinate fasce di popolazione. E in questa direzione dovrebbe impegnarsi a superare le criticità strutturali che ne sono all’origine : si pensi ai caratteri del mercato del lavoro, che generano attualmente tali difficoltà sotto la spinta degli effetti della pandemia. Si tratta dunque di un’azione complessa, composta di più politiche tra loro integrate, che si svolge lungo diversi orizzonti temporali, di breve o brevissimo termine, ma anche di medio e lungo periodo.

La Caritas di Perugia

Anche l’azione della Caritas diocesana di Perugia si svolge lungo più piani: a fianco dell’erogazione di beni, servizi e sussidi per contenere le difficoltà del presente, interviene per promuovere formazione professionale e inserimento lavorativo, per assicurare una maggiore efficacia della didattica, per favorire lo sviluppo della protezione civile universale, per sviluppare le capacità degli anziani… È chiaro come una politica efficace contro la povertà si basi sul ricorso razionale ad un complesso organico di politiche tra loro integrate, e debba perciò fondarsi su un approccio programmatico e progettuale (da auspicare anche per l’Umbria), con adeguato coinvolgimento di operatori e cittadini. A spingere verso innovazioni e politiche sociali sempre nuove e migliori, a livello territoriale, possono contribuire il processo e il percorso di co-progettazione, in corso in molte aree del nostro Paese, che istituzioni ed enti della società civile possono e devono perseguire, così da mettere in rete le energie del Paese, combinando competenze ed esperienze complementari, e rispondendo a una domanda crescente di partecipazione (L. Becchetti - A. Moretti,  Avvenire, 23/2/2021).]]>

Con la pandemia da Covid-19 la povertà ha confermato la sua natura di fenomeno complesso e pervasivo, legato strettamente alle dinamiche del sistema, quindi sensibile agli shock da cui questo è colpito, e dipendente dalle caratteristiche strutturali che lo connotano. La crisi è in primo luogo sanitaria, ma produce conseguenze drammatiche sull’economia, sull’occupazione, sull’intera società. Sono colpite massicciamente le attività produttive cosiddette (ma discutibilmente) “non essenziali”: turismo, cultura, pubblici esercizi, commercio al dettaglio, servizi alle persone. E in corrispondenza, le categorie di commercianti, artigiani, professionisti, partite Iva, collaboratori, con pesanti cadute di reddito e di occupazione. Specificamente, tra i lavoratori più colpiti figurano quelli con contratto a tempo determinato (tanto più se vicini alle scadenze), i lavoratori con basse qualifiche (con maggiori difficoltà ad applicare lo smart working), i lavoratori autonomi, atipici, stagionali (D. Mesini, L’aumento delle disuguaglianze in tempo di pandemia, welforum.it, 11/2/2021).

Crisi che aumenta le disuguaglianze

La pandemia tende dunque a produrre nuovi scarti e ad accrescere le preesistenti disuguaglianze, a loro volta generatrici di nuove povertà e di incrementi delle povertà esistenti. Le misure tampone introdotte dal Governo a beneficio di specifiche categorie (Cig, blocco dei licenziamenti, bonus) acuiscono le disuguaglianze tra i lavoratori, in ragione del diverso grado di protezione di cui questi godono (per alcuni dati per l’Umbria, vedi E. Tondini - M. Casavecchia, Coronavirus, cassa integrazione, smart working, Aur Focus, 28/1/2021) . Quanto al Reddito di cittadinanza, attuale misura più importante in Italia contro la povertà, così com’è formulato, non intercetta tutti i bisognosi (3 milioni e 735 mila percettori nel 2020, ma i poveri assoluti sarebbero più del doppio, secondo alcune stime) per mancanza di informazioni, o vergogna, o rifiuto di controlli e condizionalità; né protegge da blocchi improvvisi dell’economia, per la complessità e la rigidità delle procedure di accesso. Né il Reddito di emergenza può porre adeguato rimedio. Per la pandemia è peggiorata anche la situazione delle donne, penalizzate dalla sospensione dei servizi educativi per l’infanzia, e delle attività didattiche nelle scuole. Molto preoccupanti anche le conseguenze sui bambini e sui ragazzi: il riferimento è alle disuguaglianze in termini di opportunità di accesso all’istruzione, con espansione di povertà educativa e dispersione scolastica. Si accentuano anche le fragilità di anziani e disabili, e peggiora al contempo la situazione dei senza fissa dimora.

Serve azione integrata

Si osservi che un’azione di contrasto alla povertà deve compiersi lungo più piani. Da un lato deve erogare sussidi e sostegni immediati per garantire una vita dignitosa a chi si trova in grave difficoltà. Ma deve anche assicurare a questi la formazione delle conoscenze e delle capacità per avviare un’uscita autonoma dalla situazione di indigenza. In una visione ampia, dovrebbe altresì contrastare le disuguaglianze esistenti, ed eventuali processi che portino all’impoverimento di determinate fasce di popolazione. E in questa direzione dovrebbe impegnarsi a superare le criticità strutturali che ne sono all’origine : si pensi ai caratteri del mercato del lavoro, che generano attualmente tali difficoltà sotto la spinta degli effetti della pandemia. Si tratta dunque di un’azione complessa, composta di più politiche tra loro integrate, che si svolge lungo diversi orizzonti temporali, di breve o brevissimo termine, ma anche di medio e lungo periodo.

La Caritas di Perugia

Anche l’azione della Caritas diocesana di Perugia si svolge lungo più piani: a fianco dell’erogazione di beni, servizi e sussidi per contenere le difficoltà del presente, interviene per promuovere formazione professionale e inserimento lavorativo, per assicurare una maggiore efficacia della didattica, per favorire lo sviluppo della protezione civile universale, per sviluppare le capacità degli anziani… È chiaro come una politica efficace contro la povertà si basi sul ricorso razionale ad un complesso organico di politiche tra loro integrate, e debba perciò fondarsi su un approccio programmatico e progettuale (da auspicare anche per l’Umbria), con adeguato coinvolgimento di operatori e cittadini. A spingere verso innovazioni e politiche sociali sempre nuove e migliori, a livello territoriale, possono contribuire il processo e il percorso di co-progettazione, in corso in molte aree del nostro Paese, che istituzioni ed enti della società civile possono e devono perseguire, così da mettere in rete le energie del Paese, combinando competenze ed esperienze complementari, e rispondendo a una domanda crescente di partecipazione (L. Becchetti - A. Moretti,  Avvenire, 23/2/2021).]]>
I soldi non mancano. Il problema adesso è: chi li spenderà e come https://www.lavoce.it/i-soldi-non-mancano-il-problema-adesso-e-chi-li-spendera-e-come/ Thu, 30 Jul 2020 16:27:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57607

Temeva, Giuseppe Conte, di non poter essere lui a gestire e spendere l’inaspettato afflusso di risorse provenienti dall’Europa, per i giochi e i giochini politici - veri o presunti - che si stavano realizzando nel dietro le quinte di una politica italiana dalla trama debole, improvvisata e provvisoria.

“Ora i soldi muovono la politica”

Poi però sono arrivati gli applausi e la stima - anche quella, vera o presunta - per un premier che nella trattativa di Bruxelles, dove ognuno ha cercato di tirare più acqua possibile al proprio mulino (a cominciare dal rappresentante del Paese per eccellenza dei mulini, a vento), con il determinante ausilio di alcuni ministri, tutti Pd, del suo Governo, ha saputo tenere botta, riuscendo a far assegnare all’Italia tanti di quei soldi (207 miliardi di euro, 81 dei quali a fondo perduto) che ora il problema sarà come spenderli. Insomma, la politica a Bruxelles ha mosso i soldi. Ora i soldi muovono la politica. Finito di applaudire Conte, la questione è diventata chi e come debba gestire i fondi europei per far ripartire l’economia massacrata dal coronavirus. Anche perché si sa che in politica poter contare sul denaro equivale alla possibilità di creare consenso. E allargare il proprio potere. Escluso fin da subito che si possa affidare la gestione delle risorse all’ennesima commissione di super-esperti, si sta facendo strada una via intermedia, con Conte (e soprattutto il ministero dell’Economia e i suoi tecnici) a dettare e redigere progetti e obiettivi (il ‘Piano nazionale delle riforme’ da presentare in Ue dev’essere pronto per ottobre). Ma con il Parlamento, il bistrattato e ormai quasi istituzionalmente impalpabile Parlamento italiano, a dire la sua tramite due commissioni, una della Camera e una del Senato. In cui coinvolgere anche le forze di opposizione, a partire dalla ‘dialogante’ Forza Italia. Se questo schema operativo (Giuliano Amato lo ha ‘benedetto’, dicendo che alla responsabilità del Governo si deve affiancare necessariamente quella delle Camere) sarà rispondente alle direttive europee ed efficace nel direzionare dal 2021 nella maniera più incisiva tutti i fondi teoricamente a disposizione, lo sapremo in autunno.

Mattarella:si faccia “concreto ed efficace programma di interventi”

Nel frattempo, uno dei pochi, veri saggi del nostro tempo, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con poche parole ha saputo condensare quanto successo a Bruxelles e quello che dovrà accadere nelle prossime settimane in Italia. Per Mattarella, l’esito della trattativa Ue “contribuisce alla creazione di condizioni proficue perché l’Italia possa predisporre rapidamente un concreto ed efficace programma di interventi”. Un commento le cui parole chiave sono nel testo (“concreto ed efficace programma di interventi”) ma anche fuori dal testo. Perché il Capo dello Stato si è guardato bene dall’usare il termine ‘riforme’, che in Italia da decenni vuol dire tutto e niente. Inutile, dunque, elencare nuovamente i settori da cui ripartire per modernizzare il Paese (sanità, scuola, pensioni, pubblica amministrazione, lavoro): un Paese che ha bisogno, senza tanti giri di parole, di più sviluppo e maggiore equità sociale.

Dove intervenire si sa. Meno il come.

Come arrivarci, lo devono decidere le forze politiche di un panorama italiano in cui sembrano regnare non l’ancoraggio a valori e ideali definiti ma improvvisazione, opportunismo e ricorso a furbizie e stratagemmi. E in cui le differenze di approccio tra le diverse forze politiche si stanno progressivamente minimizzando, a partire dal linguaggio, con “una sorta di involontaria omologazione del ceto politico”, come ha scritto Marco Follini. Dunque, non bisogna farsi illusioni sulla possibilità che la generazione politica tutta, attualmente al comando in Italia riuscirà nell’intento di usare al meglio i tanti soldi europei per evitare il baratro e rigenerare la spenta vitalità di un Paese dove è dimostrato - come ha fatto notare lo stesso Giuliano Amato - che “sappiamo spendere soprattutto per distribuire sussidi”. In questa decisiva partita, non basterà lanciare soldi dall’alto con l’elicottero. Per fare le riforme servirebbero veri e convinti riformisti. Daris Giancarlini]]>

Temeva, Giuseppe Conte, di non poter essere lui a gestire e spendere l’inaspettato afflusso di risorse provenienti dall’Europa, per i giochi e i giochini politici - veri o presunti - che si stavano realizzando nel dietro le quinte di una politica italiana dalla trama debole, improvvisata e provvisoria.

“Ora i soldi muovono la politica”

Poi però sono arrivati gli applausi e la stima - anche quella, vera o presunta - per un premier che nella trattativa di Bruxelles, dove ognuno ha cercato di tirare più acqua possibile al proprio mulino (a cominciare dal rappresentante del Paese per eccellenza dei mulini, a vento), con il determinante ausilio di alcuni ministri, tutti Pd, del suo Governo, ha saputo tenere botta, riuscendo a far assegnare all’Italia tanti di quei soldi (207 miliardi di euro, 81 dei quali a fondo perduto) che ora il problema sarà come spenderli. Insomma, la politica a Bruxelles ha mosso i soldi. Ora i soldi muovono la politica. Finito di applaudire Conte, la questione è diventata chi e come debba gestire i fondi europei per far ripartire l’economia massacrata dal coronavirus. Anche perché si sa che in politica poter contare sul denaro equivale alla possibilità di creare consenso. E allargare il proprio potere. Escluso fin da subito che si possa affidare la gestione delle risorse all’ennesima commissione di super-esperti, si sta facendo strada una via intermedia, con Conte (e soprattutto il ministero dell’Economia e i suoi tecnici) a dettare e redigere progetti e obiettivi (il ‘Piano nazionale delle riforme’ da presentare in Ue dev’essere pronto per ottobre). Ma con il Parlamento, il bistrattato e ormai quasi istituzionalmente impalpabile Parlamento italiano, a dire la sua tramite due commissioni, una della Camera e una del Senato. In cui coinvolgere anche le forze di opposizione, a partire dalla ‘dialogante’ Forza Italia. Se questo schema operativo (Giuliano Amato lo ha ‘benedetto’, dicendo che alla responsabilità del Governo si deve affiancare necessariamente quella delle Camere) sarà rispondente alle direttive europee ed efficace nel direzionare dal 2021 nella maniera più incisiva tutti i fondi teoricamente a disposizione, lo sapremo in autunno.

Mattarella:si faccia “concreto ed efficace programma di interventi”

Nel frattempo, uno dei pochi, veri saggi del nostro tempo, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con poche parole ha saputo condensare quanto successo a Bruxelles e quello che dovrà accadere nelle prossime settimane in Italia. Per Mattarella, l’esito della trattativa Ue “contribuisce alla creazione di condizioni proficue perché l’Italia possa predisporre rapidamente un concreto ed efficace programma di interventi”. Un commento le cui parole chiave sono nel testo (“concreto ed efficace programma di interventi”) ma anche fuori dal testo. Perché il Capo dello Stato si è guardato bene dall’usare il termine ‘riforme’, che in Italia da decenni vuol dire tutto e niente. Inutile, dunque, elencare nuovamente i settori da cui ripartire per modernizzare il Paese (sanità, scuola, pensioni, pubblica amministrazione, lavoro): un Paese che ha bisogno, senza tanti giri di parole, di più sviluppo e maggiore equità sociale.

Dove intervenire si sa. Meno il come.

Come arrivarci, lo devono decidere le forze politiche di un panorama italiano in cui sembrano regnare non l’ancoraggio a valori e ideali definiti ma improvvisazione, opportunismo e ricorso a furbizie e stratagemmi. E in cui le differenze di approccio tra le diverse forze politiche si stanno progressivamente minimizzando, a partire dal linguaggio, con “una sorta di involontaria omologazione del ceto politico”, come ha scritto Marco Follini. Dunque, non bisogna farsi illusioni sulla possibilità che la generazione politica tutta, attualmente al comando in Italia riuscirà nell’intento di usare al meglio i tanti soldi europei per evitare il baratro e rigenerare la spenta vitalità di un Paese dove è dimostrato - come ha fatto notare lo stesso Giuliano Amato - che “sappiamo spendere soprattutto per distribuire sussidi”. In questa decisiva partita, non basterà lanciare soldi dall’alto con l’elicottero. Per fare le riforme servirebbero veri e convinti riformisti. Daris Giancarlini]]>
Dopo Covid19. Non restiamo a guardare https://www.lavoce.it/dopo-covid19-non-restiamo-a-guardare/ Fri, 05 Jun 2020 09:48:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57268

Nulla sarà più come prima. Ce lo sentiamo ripetere spesso, dall’inizio della pandemia sanitaria causata dal Covid19 che - dai polmoni dell’uomo - ha finito per “contagiare” l’economia del mondo intero, il lavoro e la scuola, la nostra socialità, le relazioni quotidiane. Nulla sarà più come prima. Ognuno di noi lo sente sulla propria pelle, camminando per le vie e le piazze delle nostre città, entrando al bar per un caffè, sedendo per ore davanti ai computer che hanno preso il posto (ancora di più) delle relazioni interpersonali, varcando i confini appena riaperti tra le Regioni. Ce lo dicono sui giornali, alla radio e in tv, sul Web e sulle pagine dei social media. Nulla sarà più come prima. C’è chi lo ripete in maniera più “morbida” e chi invece usa toni apocalittici. In questi giorni ce lo hanno detto anche i nostri Vescovi umbri, consegnando nelle diocesi il documento pastorale che segue l’Assemblea ecclesiale regionale dell’ottobre scorso a Foligno. Tornare indietro con la mente, anche solo di sei o sette mesi, sembra davvero parlare di un’altra “epoca”. Eppure, a guardare bene, nelle riflessioni scaturite dal lavoro di quei giorni si trovano già alcuni semi da far germogliare nel “mondo nuovo” che siamo chiamati a costruire.

Cosa possiamo fare

Perché, se è vero che nulla sarà più come prima, ora diventa urgente comprendere in pieno la lezione della pandemia ed essere - ciascuno di noi - autore di un cambiamento ormai non solo necessario, ma urgente e inderogabile. Dobbiamo rimettere mano alla vita sociale e politica, all’economia e al lavoro, ai consumi materiali e immateriali, a relazioni e solidarietà, al ruolo della persona nel suo essere singolo individuo e membro di covidaggregazioni. E tutto questo, come spiega bene il documento delle Chiese umbre dopo l’Assemblea regionale, segna il momento di una chiamata forte a tutti i cristiani e a ogni persona di buona volontà. Se la terrà è inaridita, impoverita, inquinata e abbandonata, è il momento di tirare fuori l’aratro dalla rimessa, riportarlo sui campi da dissodare, seminare e innaffiare con speranza e pazienza. Nulla sarà più come prima. Ma noi non possiamo restare a guardare.]]>

Nulla sarà più come prima. Ce lo sentiamo ripetere spesso, dall’inizio della pandemia sanitaria causata dal Covid19 che - dai polmoni dell’uomo - ha finito per “contagiare” l’economia del mondo intero, il lavoro e la scuola, la nostra socialità, le relazioni quotidiane. Nulla sarà più come prima. Ognuno di noi lo sente sulla propria pelle, camminando per le vie e le piazze delle nostre città, entrando al bar per un caffè, sedendo per ore davanti ai computer che hanno preso il posto (ancora di più) delle relazioni interpersonali, varcando i confini appena riaperti tra le Regioni. Ce lo dicono sui giornali, alla radio e in tv, sul Web e sulle pagine dei social media. Nulla sarà più come prima. C’è chi lo ripete in maniera più “morbida” e chi invece usa toni apocalittici. In questi giorni ce lo hanno detto anche i nostri Vescovi umbri, consegnando nelle diocesi il documento pastorale che segue l’Assemblea ecclesiale regionale dell’ottobre scorso a Foligno. Tornare indietro con la mente, anche solo di sei o sette mesi, sembra davvero parlare di un’altra “epoca”. Eppure, a guardare bene, nelle riflessioni scaturite dal lavoro di quei giorni si trovano già alcuni semi da far germogliare nel “mondo nuovo” che siamo chiamati a costruire.

Cosa possiamo fare

Perché, se è vero che nulla sarà più come prima, ora diventa urgente comprendere in pieno la lezione della pandemia ed essere - ciascuno di noi - autore di un cambiamento ormai non solo necessario, ma urgente e inderogabile. Dobbiamo rimettere mano alla vita sociale e politica, all’economia e al lavoro, ai consumi materiali e immateriali, a relazioni e solidarietà, al ruolo della persona nel suo essere singolo individuo e membro di covidaggregazioni. E tutto questo, come spiega bene il documento delle Chiese umbre dopo l’Assemblea regionale, segna il momento di una chiamata forte a tutti i cristiani e a ogni persona di buona volontà. Se la terrà è inaridita, impoverita, inquinata e abbandonata, è il momento di tirare fuori l’aratro dalla rimessa, riportarlo sui campi da dissodare, seminare e innaffiare con speranza e pazienza. Nulla sarà più come prima. Ma noi non possiamo restare a guardare.]]>
In questo numero: intervista al Card. Bassetti che annuncia la sua nuova rubrica sul settimanale https://www.lavoce.it/in-questo-numero-intervista-al-card-bassetti-che-annuncia-la-sua-nuova-rubrica-sul-settimanale/ Thu, 04 Jun 2020 14:27:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57266

Questo e tanto altro nel numero di questa settimana. Leggilo in edizione digitale.

l'editoriale

Non restiamo a guardare

di Daniele Morini Nulla sarà più come prima. Ce lo sentiamo ripetere spesso, dall’inizio della pandemia sanitaria causata da un virus che - dai polmoni dell’uomo - ha finito per “contagiare” l’economia del mondo intero, il lavoro e la scuola, la nostra socialità, le relazioni quotidiane. Nulla sarà più come prima. Ognuno di noi lo sente sulla propria pelle, camminando per le vie e le piazze delle nostre città, entrando al bar per un caffè, sedendo per ore davanti ai computer che hanno preso il posto (ancora di più) delle relazioni interpersonali, varcando i confini appena riaperti tra le Regioni.…

Focus

Allarme Bankitalia, ma la politica...?

di Daris Giancarlini Se non basterà neanche l’allarme lanciato dal governatore della Banca d’Italia sul baratro economico che aspetta il Paese, a determinare una svolta politica di 180 gradi su come approcciare il futuro prossimo degli italiani, allora vuol dire che Governo, partiti e classe dirigente sono ormai prigionieri di uno schema dall’impronta fortemente autolesionistica e deleteria per quella collettività che dicono di voler rappresentare e tutelare...

Responsabili e fiduciosi

di Andrea Casavecchia Un forte senso di responsabilità ha attraversato il Paese durante il periodo di lockdown. Il comportamento di ogni cittadino ha contribuito a portare la situazione di emergenza sanitaria sottocontrollo. Abbiamo imparato che gli italiani sanno rispettare le regole, apprezzano il clima familiare ed esprimono una forte fiducia nei medici, negli infermieri e nella Protezione civile...

Nel giornale

Chiesa umbra. La gioia che dà coraggio

Con la significativa data della Pentecoste, è uscito il documento della Chiesa umbra che riassume i lavori dell’Assemblea regionale svoltasi lo scorso ottobre a Foligno. Si intitola Cristiani in Umbria con la gioia del Vangelo. Tante cose sono cambiate da allora, a cominciare dall’emergenza Covid che ha colpito pesantemente la società. Eppure da quell’Assemblea arriva un messaggio di grande attualità: un grido, anzi un canto del gallo che costringe a rimanere ben svegli. Un impulso da portare avanti con regolarità. Parla il presidente dei Vescovi umbri, mons. Renato Boccardo.   SANTUARI Con la fase 2 della lotta alla pandemia, sono riaperte le parrocchie. Ma non sono questi gli unici luoghi sacri frequentati dai fedeli. Ce ne sono anche altri, e ben noti in Umbria: i santuari INTERVISTA Colloquio a tutto campo con l’arcivescovo di Perugia e presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti. La riapertura delle chiese, ma anche il modo concreto di “essere Chiesa” dopo l’emergenza. Il dramma che attraversa la società e il mondo del lavoro, che non si riduce a una questione di soldi. E la rubrica che il Cardinale terrà d’ora in poi su La Voce ECONOMIA Alla ripartenza delle imprese colpite dall’emergenza, tanti i settori in sofferenza, anche grave. La Regione Umbria aveva messo a disposizione 18 milioni di euro. Ma potrebbero risultare ampiamente insufficienti di fronte a necessità reali che potrebbero sfiorare i 100 milioni. Diventa indispensabile un ricorso a Fondi europei SCUOLA Siamo arrivati al termine di questo anno scolastico decisamente anomalo. Presto al via gli esami di maturità “in presenza”, che già pongono una serie di problemi. Ancora più vasti quelli relativi alla ripresa delle lezioni a settembre. Ne parliamo con Silvio Improta, dirigente scolastico in due istituti a Perugia NOCERA UMBRA Il parco diventa un giardino dai colori aromatici CASTELLO Il nuovo Annuario diocesano. L’ultimo risaliva al 2013 UMBERTIDE Dopo il restauro, lo stile del dipinto è del Pinturicchio COLLEVALENZA Sei anni fa veniva dichiarata beata Madre Speranza FOLIGNO Il saluto a mons. Sigismondi, vescovo della sinodalità NARNI Il Comune chiede alle famiglie di dire i loro problemi]]>

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Non restiamo a guardare

di Daniele Morini Nulla sarà più come prima. Ce lo sentiamo ripetere spesso, dall’inizio della pandemia sanitaria causata da un virus che - dai polmoni dell’uomo - ha finito per “contagiare” l’economia del mondo intero, il lavoro e la scuola, la nostra socialità, le relazioni quotidiane. Nulla sarà più come prima. Ognuno di noi lo sente sulla propria pelle, camminando per le vie e le piazze delle nostre città, entrando al bar per un caffè, sedendo per ore davanti ai computer che hanno preso il posto (ancora di più) delle relazioni interpersonali, varcando i confini appena riaperti tra le Regioni.…

Focus

Allarme Bankitalia, ma la politica...?

di Daris Giancarlini Se non basterà neanche l’allarme lanciato dal governatore della Banca d’Italia sul baratro economico che aspetta il Paese, a determinare una svolta politica di 180 gradi su come approcciare il futuro prossimo degli italiani, allora vuol dire che Governo, partiti e classe dirigente sono ormai prigionieri di uno schema dall’impronta fortemente autolesionistica e deleteria per quella collettività che dicono di voler rappresentare e tutelare...

Responsabili e fiduciosi

di Andrea Casavecchia Un forte senso di responsabilità ha attraversato il Paese durante il periodo di lockdown. Il comportamento di ogni cittadino ha contribuito a portare la situazione di emergenza sanitaria sottocontrollo. Abbiamo imparato che gli italiani sanno rispettare le regole, apprezzano il clima familiare ed esprimono una forte fiducia nei medici, negli infermieri e nella Protezione civile...

Nel giornale

Chiesa umbra. La gioia che dà coraggio

Con la significativa data della Pentecoste, è uscito il documento della Chiesa umbra che riassume i lavori dell’Assemblea regionale svoltasi lo scorso ottobre a Foligno. Si intitola Cristiani in Umbria con la gioia del Vangelo. Tante cose sono cambiate da allora, a cominciare dall’emergenza Covid che ha colpito pesantemente la società. Eppure da quell’Assemblea arriva un messaggio di grande attualità: un grido, anzi un canto del gallo che costringe a rimanere ben svegli. Un impulso da portare avanti con regolarità. Parla il presidente dei Vescovi umbri, mons. Renato Boccardo.   SANTUARI Con la fase 2 della lotta alla pandemia, sono riaperte le parrocchie. Ma non sono questi gli unici luoghi sacri frequentati dai fedeli. Ce ne sono anche altri, e ben noti in Umbria: i santuari INTERVISTA Colloquio a tutto campo con l’arcivescovo di Perugia e presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti. La riapertura delle chiese, ma anche il modo concreto di “essere Chiesa” dopo l’emergenza. Il dramma che attraversa la società e il mondo del lavoro, che non si riduce a una questione di soldi. E la rubrica che il Cardinale terrà d’ora in poi su La Voce ECONOMIA Alla ripartenza delle imprese colpite dall’emergenza, tanti i settori in sofferenza, anche grave. La Regione Umbria aveva messo a disposizione 18 milioni di euro. Ma potrebbero risultare ampiamente insufficienti di fronte a necessità reali che potrebbero sfiorare i 100 milioni. Diventa indispensabile un ricorso a Fondi europei SCUOLA Siamo arrivati al termine di questo anno scolastico decisamente anomalo. Presto al via gli esami di maturità “in presenza”, che già pongono una serie di problemi. Ancora più vasti quelli relativi alla ripresa delle lezioni a settembre. Ne parliamo con Silvio Improta, dirigente scolastico in due istituti a Perugia NOCERA UMBRA Il parco diventa un giardino dai colori aromatici CASTELLO Il nuovo Annuario diocesano. L’ultimo risaliva al 2013 UMBERTIDE Dopo il restauro, lo stile del dipinto è del Pinturicchio COLLEVALENZA Sei anni fa veniva dichiarata beata Madre Speranza FOLIGNO Il saluto a mons. Sigismondi, vescovo della sinodalità NARNI Il Comune chiede alle famiglie di dire i loro problemi]]>
In questo numero: Famiglia, spina dorsale dell’Italia https://www.lavoce.it/in-questo-numero-famiglia-spina-dorsale-dellitalia/ Fri, 29 May 2020 09:35:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57233

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l’editoriale

Ossigeno per il rilancio

di Nicola Salvagnin Gli ultimi anni governativi, in Italia, hanno registrato un crescendo divario tra le intenzioni e la realtà, tra quello che si prospetta – magari con poderosi decreti legge più voluminosi della Divina Commedia – e quello che poi si riesce a fare. Si colma il divario rinviando: a successivi decreti che concretizzeranno le intenzioni (98, per l’ultimo decreto Rilancio, che quindi dispiegherà tutto il suo potenziale prima dell’estinzione della razza umana); a successive riforme che cambino veramente quel che si è finto di cambiare; a successivi governi che poi mettano una pezza. ...

Focus

Al premier non chiedete la luna

di Daris Giancarlini Non si può chiedere la luna, a Giuseppe Conte. Avvocato, senza una storia politica alle spalle, a capo di una maggioranza precaria, il cui unico punto di stabilità è l’incertezza. E la debolezza, se non l’assoluta evanescenza, delle possibili alternative... (a pag. 9)

Affamati di verità

di Irene Argentiero “Che cos’è la verità?”. In epoca ante-Covid questa sarebbe stata una domanda capace di accendere animate discussioni in salotti teologico-filosofici. Di questi tempi, invece, è un quesito che torna sempre più di frequente in molti salotti italiani, dove fino a qualche mese fa l’argomento filosofico capace di accendere gli animi era, solitamente... (a pag. 9)

Nel giornale

Famiglia, spina dorsale dell’Italia

Ai “microfoni” de La Voce parla la ministra per la Famiglia, Elena Bonetti. Vicina ai valori cattolici fin da quando faceva parte del mondo scout. Il settore di sua competenza è uno di quelli vitali nelle misure di sostegno durante l’emergenza Covid, e adesso, in vista della ripartenza del Paese. Alcune voci critiche hanno accusato il Governo di preoccuparsi di più dell’economia che della famiglia: è così? La diretta interessata ripercorre le politiche adottate finora, ma anche i progetti su cui si sta lavorando, a partire dal Family Act. Le questioni sul tavolo peraltro non sono solo quelle relative al reddito, ma anche quelle educative, soprattutto adesso che l’estate è alle porte e i giovani chiedono spazi. LITURGIA
 Riprendono le messe in presenza del popolo. Presenza per ora cauta, a causa dei timori degli anziani, o della difficoltà di “tenere” i bambini. Si possono valorizzare gli spazi aperti CLERO Don Andrea Andreozzi, nuovo rettore del Seminario regionale umbro COVID UMBRIA La Regione conferma il trend positivo di calo del contagio. Ora anche per gli ospedali ha inizio la fase 2 CULTURA Come è sopravvissuto alla pandemia il settore librerie, in crisi già anche prima. Strategie diverse nella grande e nella piccola distribuzione. Ha aiutato l’online, ma soprattutto la solidarietà interna PERUGIA Le mense scolastiche avranno menù con pesce del Trasimeno NOCERA UMBRA La polemica sulla casa-famiglia, ex casa di riposo CASTELLO Verrà restaurato l’affresco dedicato a mons. Muzi GUBBIO Caritas e Croce rossa insieme per portare la spesa ai bisognosi TODI Mons. Tuzia celebra qui la prima messa aperta al pubblico TERNI È il momento di risolvere il disastro ecologico a Papigno]]>

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l’editoriale

Ossigeno per il rilancio

di Nicola Salvagnin Gli ultimi anni governativi, in Italia, hanno registrato un crescendo divario tra le intenzioni e la realtà, tra quello che si prospetta – magari con poderosi decreti legge più voluminosi della Divina Commedia – e quello che poi si riesce a fare. Si colma il divario rinviando: a successivi decreti che concretizzeranno le intenzioni (98, per l’ultimo decreto Rilancio, che quindi dispiegherà tutto il suo potenziale prima dell’estinzione della razza umana); a successive riforme che cambino veramente quel che si è finto di cambiare; a successivi governi che poi mettano una pezza. ...

Focus

Al premier non chiedete la luna

di Daris Giancarlini Non si può chiedere la luna, a Giuseppe Conte. Avvocato, senza una storia politica alle spalle, a capo di una maggioranza precaria, il cui unico punto di stabilità è l’incertezza. E la debolezza, se non l’assoluta evanescenza, delle possibili alternative... (a pag. 9)

Affamati di verità

di Irene Argentiero “Che cos’è la verità?”. In epoca ante-Covid questa sarebbe stata una domanda capace di accendere animate discussioni in salotti teologico-filosofici. Di questi tempi, invece, è un quesito che torna sempre più di frequente in molti salotti italiani, dove fino a qualche mese fa l’argomento filosofico capace di accendere gli animi era, solitamente... (a pag. 9)

Nel giornale

Famiglia, spina dorsale dell’Italia

Ai “microfoni” de La Voce parla la ministra per la Famiglia, Elena Bonetti. Vicina ai valori cattolici fin da quando faceva parte del mondo scout. Il settore di sua competenza è uno di quelli vitali nelle misure di sostegno durante l’emergenza Covid, e adesso, in vista della ripartenza del Paese. Alcune voci critiche hanno accusato il Governo di preoccuparsi di più dell’economia che della famiglia: è così? La diretta interessata ripercorre le politiche adottate finora, ma anche i progetti su cui si sta lavorando, a partire dal Family Act. Le questioni sul tavolo peraltro non sono solo quelle relative al reddito, ma anche quelle educative, soprattutto adesso che l’estate è alle porte e i giovani chiedono spazi. LITURGIA
 Riprendono le messe in presenza del popolo. Presenza per ora cauta, a causa dei timori degli anziani, o della difficoltà di “tenere” i bambini. Si possono valorizzare gli spazi aperti CLERO Don Andrea Andreozzi, nuovo rettore del Seminario regionale umbro COVID UMBRIA La Regione conferma il trend positivo di calo del contagio. Ora anche per gli ospedali ha inizio la fase 2 CULTURA Come è sopravvissuto alla pandemia il settore librerie, in crisi già anche prima. Strategie diverse nella grande e nella piccola distribuzione. Ha aiutato l’online, ma soprattutto la solidarietà interna PERUGIA Le mense scolastiche avranno menù con pesce del Trasimeno NOCERA UMBRA La polemica sulla casa-famiglia, ex casa di riposo CASTELLO Verrà restaurato l’affresco dedicato a mons. Muzi GUBBIO Caritas e Croce rossa insieme per portare la spesa ai bisognosi TODI Mons. Tuzia celebra qui la prima messa aperta al pubblico TERNI È il momento di risolvere il disastro ecologico a Papigno]]>
I tremendi effetti del coronavirus sul panorama geopolitico mondiale https://www.lavoce.it/i-tremendi-effetti-del-coronavirus-sul-panorama-geopolitico-mondiale/ Thu, 21 May 2020 17:01:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57205

Mappamondo con in primo piano la Cina. Il virus non piace al potere, in ogni sua forma. La Cina ha nascosto a lungo - ormai è assodato - informazioni sulla pandemia che in quel Paese si è originata (anche questo è fuori discussione), e che il resto del mondo avrebbe potuto utilizzare per arginare in modo decisivo il contagio. La Russia, secondo Paese al mondo per numero di contagi e vittime in rapido aumento, continua a ripetere che “la situazione è sotto controllo”. Ma il virus è entrato anche al Cremlino, infettando il portavoce di Putin. Così come non ha risparmiato alla Casa Bianca alcuni collaboratori del Presidente americano e lo stesso primo ministro inglese al numero 10 di Downing Street. Per non parlare del Brasile, dove si scavano ampie fosse comuni all’aperto per seppellire le vittime. Mentre il presidente Bolsonaro continua a minimizzare gli effetti della pandemia. “Il segreto appartiene al potere”, annotava Elias Canetti. Ma nel caso del contagio mondiale da Covid-19, è sempre più evidente che il virus sta mettendo in difficoltà quei sistemi di potere dove la ricerca del consenso si basa su un’immagine irrealistica di totale controllo degli avvenimenti e di reazione agli eventi. E su una narrazione di infallibilità e potenza dei singoli leader che i fatti, e i numeri, smentiscono in un batter d’occhio. Così il potere reagisce aumentando la quantità di fake news e di informazioni artefatte. Russia e Cina in questa classifica sono ai primi posti.

Nuovi equilibri internazionali

Osservano gli analisti dell’Aspen Institute che l’immagine del gigante cinese “esce almeno in parte deteriorata” da quanto successo con l’origine e la propagazione del virus. Tra l’altro - è sempre Aspen a farlo presente - “per un Paese che aspira al dominio tecnologico, la persistenza di forme di arretratezza come la commistione tra essere umani e animali è una contraddizione notevole”. La reazione mediatica della Cina alla sua caduta d’immagine è stata veemente; ogni invio di aiuti ai Paesi occidentali colpiti dal virus è stato accompagnato da un contorno cospicuo e penetrante di messaggi atti a magnificare la capacità di risposta di quel Paese alla pandemia e, nel contempo, a evidenziare le lentezze delle democrazie occidentali. Non è stata da meno la Russia. Ogni suo invio di aiuti ai Paesi europei è stato corredato da una quantità ingente di messaggi autocelebrativi. Nell’ambito di quella che è stata definita “diplomazia aggressiva della generosità”. Emerge da questo scenario il valore geopolitico che lo scoppiare del contagio e la sua evoluzione potrebbero giocare nel determinare nuovi equilibri internazionali. In questa ottica, è facile valutare l’aggressività diplomatica della Cina e della Russia come strategia per ‘riempire’, a livello planetario, quei vuoti che l’America di Trump (ma già prima quella di Obama) hanno lasciato in alcune zone del mondo, a partire dall’Europa. Quell’Europa in cui la presenza economica e finanziaria cinese è già consistente. Per alcuni Paesi, assolutamente vitale per tenere a galla i singoli sistemi produttivi. Questo, non soltanto per gli scambi commerciali. Ma anche e soprattutto perché la maggior parte di quegli stessi sistemi produttivi occidentali prevedono il partner cinese come fondamentale per certe forniture e produzioni (basti pensare che, con il lockdown di Wuhan, epicentro del contagio, l’Europa ha rischiato di rimanere senza paracetamolo, prodotto per larga parte nelle fabbriche di quella regione cinese).

Disinformazione per destabilizzare le democrazie

“Con propaganda e disinformazione sul Covid, Russia e Cina sono impegnate in atti destabilizzanti contro le democrazie occidentali”, ha detto il segretario della Nato, Jan Stoltenberg, rilanciando la richiesta, avviata dall’Unione europea, di un’inchiesta internazionale indipendente “che faccia chiarezza su quanto accaduto”. Inchiesta che Pechino continua a osteggiare, tenendo chiusi i laboratori di Wuhan e arrivando a minacciare il blocco delle esportazioni di forniture mediche. Un clima, insomma, che rende difficile prendere in seria considerazione gli studi scientifici che arrivano dalla Cina su origine e diffusione del Covid. Questo avviene proprio nel momento in cui, sul fronte scientifico, ci sarebbe bisogno della massima cooperazione tra gli istituti di ricerca coinvolti nella ricerca di un vaccino. A esasperare il clima di contrapposizione contribuisce la campagna elettorale in atto (fino al voto di novembre) negli Stati Uniti di quel Donald Trump che fin dall’inizio ha bollato il contagio come ‘virus cinese’ e che continua a esasperare i toni nei confronti di quel Paese, anche allo scopo di distogliere il suo elettorato dalle responsabilità che lui stesso ha avuto nel gestire in modo riduttivo, altalenante e confuso la reazione alla pandemia. Tenendo conto che, a causa del coronavirus, i disoccupati americani sono già oltre 36 milioni, si può facilmente prevedere che il Presidente in carica, per farsi rieleggere, non allenterà la presa nel rimarcare le origini cinesi del contagio. Fino a novembre. Poi si vedrà come sarà cambiato il mondo. Daris Giancarlini]]>

Mappamondo con in primo piano la Cina. Il virus non piace al potere, in ogni sua forma. La Cina ha nascosto a lungo - ormai è assodato - informazioni sulla pandemia che in quel Paese si è originata (anche questo è fuori discussione), e che il resto del mondo avrebbe potuto utilizzare per arginare in modo decisivo il contagio. La Russia, secondo Paese al mondo per numero di contagi e vittime in rapido aumento, continua a ripetere che “la situazione è sotto controllo”. Ma il virus è entrato anche al Cremlino, infettando il portavoce di Putin. Così come non ha risparmiato alla Casa Bianca alcuni collaboratori del Presidente americano e lo stesso primo ministro inglese al numero 10 di Downing Street. Per non parlare del Brasile, dove si scavano ampie fosse comuni all’aperto per seppellire le vittime. Mentre il presidente Bolsonaro continua a minimizzare gli effetti della pandemia. “Il segreto appartiene al potere”, annotava Elias Canetti. Ma nel caso del contagio mondiale da Covid-19, è sempre più evidente che il virus sta mettendo in difficoltà quei sistemi di potere dove la ricerca del consenso si basa su un’immagine irrealistica di totale controllo degli avvenimenti e di reazione agli eventi. E su una narrazione di infallibilità e potenza dei singoli leader che i fatti, e i numeri, smentiscono in un batter d’occhio. Così il potere reagisce aumentando la quantità di fake news e di informazioni artefatte. Russia e Cina in questa classifica sono ai primi posti.

Nuovi equilibri internazionali

Osservano gli analisti dell’Aspen Institute che l’immagine del gigante cinese “esce almeno in parte deteriorata” da quanto successo con l’origine e la propagazione del virus. Tra l’altro - è sempre Aspen a farlo presente - “per un Paese che aspira al dominio tecnologico, la persistenza di forme di arretratezza come la commistione tra essere umani e animali è una contraddizione notevole”. La reazione mediatica della Cina alla sua caduta d’immagine è stata veemente; ogni invio di aiuti ai Paesi occidentali colpiti dal virus è stato accompagnato da un contorno cospicuo e penetrante di messaggi atti a magnificare la capacità di risposta di quel Paese alla pandemia e, nel contempo, a evidenziare le lentezze delle democrazie occidentali. Non è stata da meno la Russia. Ogni suo invio di aiuti ai Paesi europei è stato corredato da una quantità ingente di messaggi autocelebrativi. Nell’ambito di quella che è stata definita “diplomazia aggressiva della generosità”. Emerge da questo scenario il valore geopolitico che lo scoppiare del contagio e la sua evoluzione potrebbero giocare nel determinare nuovi equilibri internazionali. In questa ottica, è facile valutare l’aggressività diplomatica della Cina e della Russia come strategia per ‘riempire’, a livello planetario, quei vuoti che l’America di Trump (ma già prima quella di Obama) hanno lasciato in alcune zone del mondo, a partire dall’Europa. Quell’Europa in cui la presenza economica e finanziaria cinese è già consistente. Per alcuni Paesi, assolutamente vitale per tenere a galla i singoli sistemi produttivi. Questo, non soltanto per gli scambi commerciali. Ma anche e soprattutto perché la maggior parte di quegli stessi sistemi produttivi occidentali prevedono il partner cinese come fondamentale per certe forniture e produzioni (basti pensare che, con il lockdown di Wuhan, epicentro del contagio, l’Europa ha rischiato di rimanere senza paracetamolo, prodotto per larga parte nelle fabbriche di quella regione cinese).

Disinformazione per destabilizzare le democrazie

“Con propaganda e disinformazione sul Covid, Russia e Cina sono impegnate in atti destabilizzanti contro le democrazie occidentali”, ha detto il segretario della Nato, Jan Stoltenberg, rilanciando la richiesta, avviata dall’Unione europea, di un’inchiesta internazionale indipendente “che faccia chiarezza su quanto accaduto”. Inchiesta che Pechino continua a osteggiare, tenendo chiusi i laboratori di Wuhan e arrivando a minacciare il blocco delle esportazioni di forniture mediche. Un clima, insomma, che rende difficile prendere in seria considerazione gli studi scientifici che arrivano dalla Cina su origine e diffusione del Covid. Questo avviene proprio nel momento in cui, sul fronte scientifico, ci sarebbe bisogno della massima cooperazione tra gli istituti di ricerca coinvolti nella ricerca di un vaccino. A esasperare il clima di contrapposizione contribuisce la campagna elettorale in atto (fino al voto di novembre) negli Stati Uniti di quel Donald Trump che fin dall’inizio ha bollato il contagio come ‘virus cinese’ e che continua a esasperare i toni nei confronti di quel Paese, anche allo scopo di distogliere il suo elettorato dalle responsabilità che lui stesso ha avuto nel gestire in modo riduttivo, altalenante e confuso la reazione alla pandemia. Tenendo conto che, a causa del coronavirus, i disoccupati americani sono già oltre 36 milioni, si può facilmente prevedere che il Presidente in carica, per farsi rieleggere, non allenterà la presa nel rimarcare le origini cinesi del contagio. Fino a novembre. Poi si vedrà come sarà cambiato il mondo. Daris Giancarlini]]>
Questa settimana su La Voce n. 16 https://www.lavoce.it/questa-settimana-su-la-voce-n-16/ Thu, 21 May 2020 13:29:54 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57181

Questo e tanto altro nel numero di questa settimana. Leggilo in edizione digitale.

L'editoriale

Come aiutare le famiglie?

di Andrea Casavecchia In questi giorni è forte il richiamo a sostenere le famiglie, per permettere loro di ripartire dopo i sacrifici vissuti durante il lockdown. Sarebbe il minino, dato che le famiglie si sono dimostrate in questi giorni il tassello originario della socialità. Ma cosa significa realmente aiutare le famiglie? Perché i problemi che affrontano sono differenti, e andrebbero ponderati in modo approfondito per fornire pari opportunità a ogni nucleo familiare. I temi più urgenti che sembrano emergere appartengono almeno a tre categorie di problemi. Erano presenti anche prima, la crisi dovuta al Covid19 le ha soltanto …

Focus

Il coronavirus fa geopolitica

di Daris Giancarlini Il virus non piace al potere, in ogni sua forma. La Cina ha nascosto a lungo - ormai è assodato - informazioni sulla pandemia che in quel Paese si è originata (anche questo è fuori discussione), e che il resto del mondo avrebbe potuto utilizzare per arginare in modo decisivo il contagio. La Russia, secondo Paese al mondo per numero di contagi...

Una autentica “apocalisse”

di Pier Luigi Galassi In alcuni ambienti religiosi la pendemia da coronavirus è stata vista come “castigo di Dio” e “biblica apocalisse”. Ma la parola “apocalisse”, figlia del verbo greco apokalypto, significa “rivelare, svelare o togliere la copertura” non allude a un castigo divino né a una enigmatica catastrofe; si riferisce invece alla “rimozione di un velo che ostacola una corretta visione della realtà”...

Nel giornale

La famiglia va in fase 2

Con la fase 2 dell’emergenza riaprono molte attività, a cominciare dagli attesi ristoranti e parrucchieri. Ma sono anche e soprattutto le famiglie a dover ripartire, spesso a pieno ritmo e con difficoltà aggiuntive, tra lavoro e relativa emergenza economica, congedi e bonus baby-sitting, scuola, centri estivi e oratori... Le criticità non mancano, insomma, ma la società e la Chiesa si stanno mobilitando. Per il mondo cattolico si riapre la questione delle scuole paritarie, già in sofferenza prima della pandemia. Vivace e attivo invece il mondo di oratori e campi estivi, che adesso potranno avvalersi di sussidi pubblici. Le iniziative allo studio del Csi. Andrà tutto bene solo se andrà bene per tutti. Insieme. LAUDATO SI’ A cinque anni dalla promulgazione della profetica enciclica di Papa Francesco, il suo messaggio diventa il tema di una intera settimana di riflessioni ed eventi. 
Di più, un anno intero. Inizialmente si tratterà soprattutto di formazione via Web, ma tanti altri appuntamenti sono in calendario fino a maggio 2021 ECUMENISMO Il culto riapre al pubblico anche per le altre Chiese cristiane e le altre religioni. Tuttavia le problematiche possono essere diverse. La situazione di ortodossi romeni, valdesi 
e musulmani in Umbria LITURGIA Il periodo di emergenza, con modi diversi di partecipare alla vita della Chiesa, ha anche lasciato emergere la voce dei laici in forme nuove e coraggiose (la biblica parresìa). Anche questo aiuta a promuovere uno stile di vita ecclesiale più sinodale, sulla spinta del Concilio e di Papa Francesco. Intervista alla teologa umbra Simona Segoloni Ruta ASSISI Crisi ancora peggiore per le strutture ricettive religiose CASTELLO Non la “ruota” ma una porta collegherà Cappuccine e ospiti GUBBIO Per sant’Ubaldo due iniziative extra del Vescovo TODI Mons. Sigismondi arriverà nella festa posticipata di Maria SPOLETO
 100 anni di Wojtyla: inaugurazione della chiesa a ottobre TERNI Dalle telefonate ai volontari nasce libro di racconti]]>

Questo e tanto altro nel numero di questa settimana. Leggilo in edizione digitale.

L'editoriale

Come aiutare le famiglie?

di Andrea Casavecchia In questi giorni è forte il richiamo a sostenere le famiglie, per permettere loro di ripartire dopo i sacrifici vissuti durante il lockdown. Sarebbe il minino, dato che le famiglie si sono dimostrate in questi giorni il tassello originario della socialità. Ma cosa significa realmente aiutare le famiglie? Perché i problemi che affrontano sono differenti, e andrebbero ponderati in modo approfondito per fornire pari opportunità a ogni nucleo familiare. I temi più urgenti che sembrano emergere appartengono almeno a tre categorie di problemi. Erano presenti anche prima, la crisi dovuta al Covid19 le ha soltanto …

Focus

Il coronavirus fa geopolitica

di Daris Giancarlini Il virus non piace al potere, in ogni sua forma. La Cina ha nascosto a lungo - ormai è assodato - informazioni sulla pandemia che in quel Paese si è originata (anche questo è fuori discussione), e che il resto del mondo avrebbe potuto utilizzare per arginare in modo decisivo il contagio. La Russia, secondo Paese al mondo per numero di contagi...

Una autentica “apocalisse”

di Pier Luigi Galassi In alcuni ambienti religiosi la pendemia da coronavirus è stata vista come “castigo di Dio” e “biblica apocalisse”. Ma la parola “apocalisse”, figlia del verbo greco apokalypto, significa “rivelare, svelare o togliere la copertura” non allude a un castigo divino né a una enigmatica catastrofe; si riferisce invece alla “rimozione di un velo che ostacola una corretta visione della realtà”...

Nel giornale

La famiglia va in fase 2

Con la fase 2 dell’emergenza riaprono molte attività, a cominciare dagli attesi ristoranti e parrucchieri. Ma sono anche e soprattutto le famiglie a dover ripartire, spesso a pieno ritmo e con difficoltà aggiuntive, tra lavoro e relativa emergenza economica, congedi e bonus baby-sitting, scuola, centri estivi e oratori... Le criticità non mancano, insomma, ma la società e la Chiesa si stanno mobilitando. Per il mondo cattolico si riapre la questione delle scuole paritarie, già in sofferenza prima della pandemia. Vivace e attivo invece il mondo di oratori e campi estivi, che adesso potranno avvalersi di sussidi pubblici. Le iniziative allo studio del Csi. Andrà tutto bene solo se andrà bene per tutti. Insieme. LAUDATO SI’ A cinque anni dalla promulgazione della profetica enciclica di Papa Francesco, il suo messaggio diventa il tema di una intera settimana di riflessioni ed eventi. 
Di più, un anno intero. Inizialmente si tratterà soprattutto di formazione via Web, ma tanti altri appuntamenti sono in calendario fino a maggio 2021 ECUMENISMO Il culto riapre al pubblico anche per le altre Chiese cristiane e le altre religioni. Tuttavia le problematiche possono essere diverse. La situazione di ortodossi romeni, valdesi 
e musulmani in Umbria LITURGIA Il periodo di emergenza, con modi diversi di partecipare alla vita della Chiesa, ha anche lasciato emergere la voce dei laici in forme nuove e coraggiose (la biblica parresìa). Anche questo aiuta a promuovere uno stile di vita ecclesiale più sinodale, sulla spinta del Concilio e di Papa Francesco. Intervista alla teologa umbra Simona Segoloni Ruta ASSISI Crisi ancora peggiore per le strutture ricettive religiose CASTELLO Non la “ruota” ma una porta collegherà Cappuccine e ospiti GUBBIO Per sant’Ubaldo due iniziative extra del Vescovo TODI Mons. Sigismondi arriverà nella festa posticipata di Maria SPOLETO
 100 anni di Wojtyla: inaugurazione della chiesa a ottobre TERNI Dalle telefonate ai volontari nasce libro di racconti]]>
Il grande ballo in mascherina https://www.lavoce.it/il-grande-ballo-in-mascherina/ Thu, 14 May 2020 15:18:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57155 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

“Ti conosco, mascherina”... ma non ti trovo! Una delle poche, minime certezze della ‘fase 2’, insieme ai guanti in lattice, al distanziamento (termine orribile) e al lavaggio delle mani, - la mascherina, appunto - sta sparendo quando servirebbe di più. Il supercommissario all’emergenza Arcuri dice che la colpa è dei fornitori che non le fanno arrivare alle farmacie, i farmacisti appendono cartelli per dire che no, le mascherine - quelle a 50 centesimi, il prezzo stabilito dal Governo - non ci sono (invece quelle 3 euro, sì?). Tutti le cercano, qualcuno si arrangia autoproducendole, con il via libera delle autorità scientifiche. E se ne vedono di ogni tipo e foggia, colorate o scure, maculate o a righe. Ma proteggono veramente? I virologi non confermano e non smentiscono: sono utili, vanno indossate, ma che preservino dal contagio è tutto da dimostrare. E allora? Allora, nel dubbio, meglio mettersele in faccia. Se si trovassero. Insomma, del virus la scienza sa ancora poco o nulla, la politica si muove con pressappochismo e approssimazione, la burocrazia arranca e la disorganizzazione dilaga. Anche nelle piccole cose, come le mascherine, che poi tanto piccole e insignificanti non sono. Magari la mattina, prima di uscire di casa, insieme alla mascherina adottiamo un’altra precauzione: facciamoci il segno della croce. Daris Giancarlini]]>
lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

“Ti conosco, mascherina”... ma non ti trovo! Una delle poche, minime certezze della ‘fase 2’, insieme ai guanti in lattice, al distanziamento (termine orribile) e al lavaggio delle mani, - la mascherina, appunto - sta sparendo quando servirebbe di più. Il supercommissario all’emergenza Arcuri dice che la colpa è dei fornitori che non le fanno arrivare alle farmacie, i farmacisti appendono cartelli per dire che no, le mascherine - quelle a 50 centesimi, il prezzo stabilito dal Governo - non ci sono (invece quelle 3 euro, sì?). Tutti le cercano, qualcuno si arrangia autoproducendole, con il via libera delle autorità scientifiche. E se ne vedono di ogni tipo e foggia, colorate o scure, maculate o a righe. Ma proteggono veramente? I virologi non confermano e non smentiscono: sono utili, vanno indossate, ma che preservino dal contagio è tutto da dimostrare. E allora? Allora, nel dubbio, meglio mettersele in faccia. Se si trovassero. Insomma, del virus la scienza sa ancora poco o nulla, la politica si muove con pressappochismo e approssimazione, la burocrazia arranca e la disorganizzazione dilaga. Anche nelle piccole cose, come le mascherine, che poi tanto piccole e insignificanti non sono. Magari la mattina, prima di uscire di casa, insieme alla mascherina adottiamo un’altra precauzione: facciamoci il segno della croce. Daris Giancarlini]]>
Coronavirus. Emergenza gestita spesso male https://www.lavoce.it/coronavirus-emergenza-gestita-spesso-male/ Fri, 01 May 2020 11:46:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57009

“All’inizio del virus ci hanno detto di lavarci le mani, stare in casa e tenere le distanze: due mesi dopo siamo ancora lì”: un ‘vecchio saggio’ della sociologia italiana, il fondatore del Censis Giuseppe De Rita, non nasconde il suo disagio nel constatare non soltanto che tutta la scienza sulla quale può contare il genere umano non è ancora servita a mettere a fuoco due o tre certezze sulla pandemia in atto, ma che anche sul versante della politica non siamo messi meglio. Un esempio, evidente e tragicamente lampante, di quanto l’accoppiata scienza-politica non stia producendo i frutti che i cittadini di questo pianeta si attenderebbero è la faciloneria con cui nientemeno che il Presidente della prima potenza mondiale, gli Stati Uniti, ha proposto di curare il Covid-19 con iniezioni di disinfettante. Salvo poi fare una tragicomica marcia indietro per dire che la sua era una battuta sarcastica. La classica toppa peggio del buco, tenendo conto che i suoi connazionali muoiono al ritmo di oltre 2.500 al giorno.

Scienziati e scienza indipendenti?

Un sociologo e storico della scienza di fama mondiale, Steven Shapin, pone una domanda fondamentale: “Perché dovremmo aspettarci che la scienza sia immune dalle dispute, quando non è vista come indipendente e non vive in una torre d’avorio?”. Insomma, secondo lo studioso newyorchese, non ci si devono aspettare certezze dagli scienziati, men che meno magie, soprattutto perché “analizzare la capacità infettiva di un virus non è come dire che due più due fa quattro”. Meno aspettative, dunque, e molta più consapevolezza che la conoscenza è tale in quanto provvisoria. Allora sarebbe fondamentale, dal punto di vista della comunicazione, che per primi gli scienziati della materia (in questo caso virologi, infettivologi, biologi ed altri impegnati negli studi sul contagio) si presentassero intanto con minore frequenza nei talk show televisivi, e poi dessero meno l’impressione a chi li guarda e ascolta di voler prima di tutto mettere in discussione le capacità ed il curriculum del collega intervistato su un altro canale. Secondo lo storico Frank Snowden, “la salute pubblica moderna dipende in realtà dalla libera informazione”. Un punto nodale, che il neurologo Giuseppe Lauria si premura di approfondire, quando sostiene che “i ricercatori e i medici dovrebbero per primi essere molto attenti a non comunicare le ipotesi come quasi certezze”. Commisurare le parole alle conoscenze, “altrimenti cresce il disordine”, ammonisce Lauria.

Ma le scelte spettano ai politici

“Gli scienziati non cedano al sovranismo, alla pressione della politica o del mercato, mettendosi loro stessi sul piedistallo dell’unica verità”, è la riflessione di mons. Vincenzo Paglia. Anche perché - è lo stesso ex vescovo di Terni a parlare - l’ultima parola spetta alla politica. E ai politici. Qui il tasto si fa dolente. Ne abbiamo viste e sentite di ogni, da parte della classe politica, da quando è in atto la pandemia in Italia. Governatori e sindaci che prima chiedono di aprire, poi chiudere e poi riaprire le loro Regioni e città. Ministri che si fanno scudo del parere di pletoriche quanto inconcludenti Commissioni per non decidere. Segretari di partito più attenti ai sondaggi e al gradimento dei propri post sui social piuttosto che all’interesse generale. E tutti a dare la colpa a tutti gli altri dei propri errori, inadempienze e tentennamenti.

I cittadini fanno la loro parte

Mentre i cittadini hanno dimostrato di aver preso sul serio il problema contagio, rispettando in grandissima maggioranza regole da tempo di guerra. “Come cittadini stiamo facendo la nostra parte - è ancora il pensiero di mons. Paglia -, i politici facciano la loro per disegnare società veramente solidali e con opportunità di sviluppo economico, sociale e culturale per tutti”. Massimo Giannini, nuovo direttore della Stampa, nel suo editoriale di insediamento ha definito il coronavirus come “il pettine della Storia, che fa venir fuori tutti i nodi irrisolti del Paese”. Uno di questi nodi, forse il più consistente, è sapere se le attuali classi dirigenti saranno all’altezza della sfida dei tempi cupi che ci attendono, rispetto ai quali sembra che la politica stia vivendo alla giornata. La parola che aleggia sulle teste di scienziati e politici è la stessa in base alla quale milioni di persone hanno accettato di cedere quote della propria personale libertà in cambio di sicurezza: la parola è responsabilità . Meno protagonismo per chi lotta contro il virus dentro a un laboratorio, meno demagogia per chi decide sui destini delle persone. Se non ora, quando? Daris Giancarlini]]>

“All’inizio del virus ci hanno detto di lavarci le mani, stare in casa e tenere le distanze: due mesi dopo siamo ancora lì”: un ‘vecchio saggio’ della sociologia italiana, il fondatore del Censis Giuseppe De Rita, non nasconde il suo disagio nel constatare non soltanto che tutta la scienza sulla quale può contare il genere umano non è ancora servita a mettere a fuoco due o tre certezze sulla pandemia in atto, ma che anche sul versante della politica non siamo messi meglio. Un esempio, evidente e tragicamente lampante, di quanto l’accoppiata scienza-politica non stia producendo i frutti che i cittadini di questo pianeta si attenderebbero è la faciloneria con cui nientemeno che il Presidente della prima potenza mondiale, gli Stati Uniti, ha proposto di curare il Covid-19 con iniezioni di disinfettante. Salvo poi fare una tragicomica marcia indietro per dire che la sua era una battuta sarcastica. La classica toppa peggio del buco, tenendo conto che i suoi connazionali muoiono al ritmo di oltre 2.500 al giorno.

Scienziati e scienza indipendenti?

Un sociologo e storico della scienza di fama mondiale, Steven Shapin, pone una domanda fondamentale: “Perché dovremmo aspettarci che la scienza sia immune dalle dispute, quando non è vista come indipendente e non vive in una torre d’avorio?”. Insomma, secondo lo studioso newyorchese, non ci si devono aspettare certezze dagli scienziati, men che meno magie, soprattutto perché “analizzare la capacità infettiva di un virus non è come dire che due più due fa quattro”. Meno aspettative, dunque, e molta più consapevolezza che la conoscenza è tale in quanto provvisoria. Allora sarebbe fondamentale, dal punto di vista della comunicazione, che per primi gli scienziati della materia (in questo caso virologi, infettivologi, biologi ed altri impegnati negli studi sul contagio) si presentassero intanto con minore frequenza nei talk show televisivi, e poi dessero meno l’impressione a chi li guarda e ascolta di voler prima di tutto mettere in discussione le capacità ed il curriculum del collega intervistato su un altro canale. Secondo lo storico Frank Snowden, “la salute pubblica moderna dipende in realtà dalla libera informazione”. Un punto nodale, che il neurologo Giuseppe Lauria si premura di approfondire, quando sostiene che “i ricercatori e i medici dovrebbero per primi essere molto attenti a non comunicare le ipotesi come quasi certezze”. Commisurare le parole alle conoscenze, “altrimenti cresce il disordine”, ammonisce Lauria.

Ma le scelte spettano ai politici

“Gli scienziati non cedano al sovranismo, alla pressione della politica o del mercato, mettendosi loro stessi sul piedistallo dell’unica verità”, è la riflessione di mons. Vincenzo Paglia. Anche perché - è lo stesso ex vescovo di Terni a parlare - l’ultima parola spetta alla politica. E ai politici. Qui il tasto si fa dolente. Ne abbiamo viste e sentite di ogni, da parte della classe politica, da quando è in atto la pandemia in Italia. Governatori e sindaci che prima chiedono di aprire, poi chiudere e poi riaprire le loro Regioni e città. Ministri che si fanno scudo del parere di pletoriche quanto inconcludenti Commissioni per non decidere. Segretari di partito più attenti ai sondaggi e al gradimento dei propri post sui social piuttosto che all’interesse generale. E tutti a dare la colpa a tutti gli altri dei propri errori, inadempienze e tentennamenti.

I cittadini fanno la loro parte

Mentre i cittadini hanno dimostrato di aver preso sul serio il problema contagio, rispettando in grandissima maggioranza regole da tempo di guerra. “Come cittadini stiamo facendo la nostra parte - è ancora il pensiero di mons. Paglia -, i politici facciano la loro per disegnare società veramente solidali e con opportunità di sviluppo economico, sociale e culturale per tutti”. Massimo Giannini, nuovo direttore della Stampa, nel suo editoriale di insediamento ha definito il coronavirus come “il pettine della Storia, che fa venir fuori tutti i nodi irrisolti del Paese”. Uno di questi nodi, forse il più consistente, è sapere se le attuali classi dirigenti saranno all’altezza della sfida dei tempi cupi che ci attendono, rispetto ai quali sembra che la politica stia vivendo alla giornata. La parola che aleggia sulle teste di scienziati e politici è la stessa in base alla quale milioni di persone hanno accettato di cedere quote della propria personale libertà in cambio di sicurezza: la parola è responsabilità . Meno protagonismo per chi lotta contro il virus dentro a un laboratorio, meno demagogia per chi decide sui destini delle persone. Se non ora, quando? Daris Giancarlini]]>
Pandemia. Il momento delle scelte difficili https://www.lavoce.it/pandemia-il-momento-delle-scelte-difficili/ Fri, 01 May 2020 09:52:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57002 Logo rubrica Il punto

In questo tempo di pandemia, non essendo proprietario di cani, da qualche settimana guardo con un certo risentimento quelli che vanno a spasso con il cane – di fatto, tutto il tempo che vogliono – mentre io non posso portare a spasso me stesso. Ma queste regole apparentemente balorde rispondono a una certa logica che però non viene spiegata abbastanza. La logica del rischio epidemico, che si basa sulla matematica e sulla statistica, specialmente con un virus come questo, che si trasmette con dannata facilità anche senza contatti diretti fra le persone. Il rischio epidemico aumenta vertiginosamente quanto più la gente va in giro, si mescola, diventa fitta. Se in uno dei nostri centri storici circolano 100 persone, c’è un indice di rischio “x”. Se nella stessa area le persone diventano mille (dieci volte tanto) il fattore di rischio aumenta, ma non di dieci volte: aumenta di cento o di mille. Quindi ogni persona in più aggrava il rischio, di quasi niente finché resta una, ma di tantissimo se le persone, una dopo l’altra, diventano tante e sempre più fitte. E dal punto di vista dell’epidemiologo non fa nessuna differenza se il tizio che va in giro è uno spacciatore di droga o un volontario della Caritas che porta cibo ai senzatetto.

Uno vale uno

Uno vale uno davvero, in questo caso. L’ideale, per cancellare il virus, sarebbe tenere tutti fermi e al chiuso, ma proprio tutti senza nessuna eccezione, per almeno due o tre settimane. Chiaramente non è possibile perché la gente morirebbe di fame nelle case. Quindi bisogna cercare il difficile equilibrio fra l’esigenza che in giro ci sia meno gente possibile, e quella di lasciare che qualcuno circoli per assicurare i servizi di base, come la cura dei malati, la produzione e il commercio degli alimentari, e poco altro. Sapendo però che c’è una soglia – io non so qual è ma qualcuno lo sa – che non si può superare perché altrimenti il contagio esplode, come la peste di Milano nei Promessi Sposi. Si torna sempre allo stesso concetto: non si può garantire tutto a tutti e sempre; alla fine arriva il momento delle scelte difficili e dolorose. Pier Giorgio Lignani]]>
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In questo tempo di pandemia, non essendo proprietario di cani, da qualche settimana guardo con un certo risentimento quelli che vanno a spasso con il cane – di fatto, tutto il tempo che vogliono – mentre io non posso portare a spasso me stesso. Ma queste regole apparentemente balorde rispondono a una certa logica che però non viene spiegata abbastanza. La logica del rischio epidemico, che si basa sulla matematica e sulla statistica, specialmente con un virus come questo, che si trasmette con dannata facilità anche senza contatti diretti fra le persone. Il rischio epidemico aumenta vertiginosamente quanto più la gente va in giro, si mescola, diventa fitta. Se in uno dei nostri centri storici circolano 100 persone, c’è un indice di rischio “x”. Se nella stessa area le persone diventano mille (dieci volte tanto) il fattore di rischio aumenta, ma non di dieci volte: aumenta di cento o di mille. Quindi ogni persona in più aggrava il rischio, di quasi niente finché resta una, ma di tantissimo se le persone, una dopo l’altra, diventano tante e sempre più fitte. E dal punto di vista dell’epidemiologo non fa nessuna differenza se il tizio che va in giro è uno spacciatore di droga o un volontario della Caritas che porta cibo ai senzatetto.

Uno vale uno

Uno vale uno davvero, in questo caso. L’ideale, per cancellare il virus, sarebbe tenere tutti fermi e al chiuso, ma proprio tutti senza nessuna eccezione, per almeno due o tre settimane. Chiaramente non è possibile perché la gente morirebbe di fame nelle case. Quindi bisogna cercare il difficile equilibrio fra l’esigenza che in giro ci sia meno gente possibile, e quella di lasciare che qualcuno circoli per assicurare i servizi di base, come la cura dei malati, la produzione e il commercio degli alimentari, e poco altro. Sapendo però che c’è una soglia – io non so qual è ma qualcuno lo sa – che non si può superare perché altrimenti il contagio esplode, come la peste di Milano nei Promessi Sposi. Si torna sempre allo stesso concetto: non si può garantire tutto a tutti e sempre; alla fine arriva il momento delle scelte difficili e dolorose. Pier Giorgio Lignani]]>