Pio XII Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/pio-xii/ Settimanale di informazione regionale Thu, 03 Sep 2015 12:55:19 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Pio XII Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/pio-xii/ 32 32 Giorno che non voleva finire https://www.lavoce.it/giorno-che-non-voleva-finire-2/ Thu, 03 Sep 2015 12:50:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43064 Non voleva finire, quel giorno. Il giorno dell’Ad Deum a don Elio, amico e maestro. Sono tornato a casa sfinito come si conviene a un vecchietto che ama fare cosa da ventenne. In questi casi “il materasso è il massimo che c’è”, come cantava anni fa Renzo Arbore. Il massimo: in lana, in latice o ad acqua: il materasso a quell’ora è il massimo che c’è. Ma solo dopo un ultimo zapping fra i maggiori canali televisivi, che stasera sarà particolarmente rapido. “Sarà”… avrebbe dovuto essere.

Perché, arrivato al canale 28, sullo schermo apparve una figura di statista che ho amato visceralmente, come può amare solo un adolescente precocemente contagiato dalla passione politica. Alcide De Gasperi, c’è ancora da aspettare molto per vederlo nella gloria degli altari? Avevo 16 anni quando partecipai alla sua liturgia di commiato. Fine estate 1954. In S. Maria degli Angeli alle Terme. Piazza dell’Esedra, un passo da Termini.

Non esisteva ancora l’autostrada, e il nostro pullman (“torpedone” lo chiamavamo allora noi villici) partì da Gubbio a mezzanotte per essere a Roma alle 9… su e giù, giù e su, dentro e fuori Gualdo, dentro e fuori Nocera, dentro e fuori Foligno, dentro e fuori Spoleto. Arrivammo a Roma alle 8 e mezza. Gualciti. Ma quel giorno, quella folla immensa, quei volti irrigati di lacrime, quelle 50.000 bandiere bianche che garrivano gioiose al vento… ho tutto qui, davanti al mio sguardo di vecchio che con uno gnocco in gola loda, ringrazia, rimpiange.

Ma lo sceneggiato che scorreva sul piccolo schermo alle 23 del giorno delle esequie di don Elio non ha catturato la mia attenzione solo per questo ricordo. Ad affascinarmi era soprattutto la qualità di quella vita, personale e politica, il suo spessore umano e cristiano. Stanchissimo. “Ma una mezz’ora posso ancora dedicargliela, al mio De Gasperi”.

Sono rimasto fino alle una e un quarto, fino alla fine. Il difficile mixage fra idealità e realismo di cui dette prova nel 1946, alla Conferenza di pace di Parigi; nel 1952 con la sua dolorosa resistenza all’inaccettabile comando di Pio XII, il suo Pio XII; nel 1954 quando si dimise da Presidente del Consiglio perché incredibilmente dalle urne non era uscito quel premio di maggioranza che la sua saggezza aveva pensato, e sul quale la sinistra avevano sparato cannonate tanto fragorose quanto indegne, Perle, nel contesto di una vita tutta da rimeditare. Dal rapporto spirituale con sua figlia suora, quasi un suo padre spirituale, al rapporto incredibilmente rispettoso con i suoi avversari, anche quando cercavano di schiacciarlo. Roba di ieri? No, roba da “ora e sempre”.

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Lo invidia https://www.lavoce.it/lo-invidia/ Wed, 13 May 2015 09:55:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=33283 Come possiamo noi cattolici contribuire al bene comune? Ieri c’era la Dc. È andata bene, all’inizio, e anche abbastanza a lungo. Poi nei suoi sotterranei hanno prolificato le pantecane. Ma oggi? Ne sto parlando, nel corso di una cena di “quelle di una volta”, con un amico che di politica ne sa molto più di me. Nostalgia, nostalgia canaglia. “Bianco Padre, che da Roma // ci sei meta, luce e guida… // siamo arditi della fede, // siamo araldi della croce…”. C’era dell’integrismo in quelle note baldanzose, caspita se c’era!, ma c’era anche la voglia irruente di costruire quella giustizia che poi abbiamo costruito solo in alcune sue parti periferiche, non insignificanti, peraltro.

Ricordi. E subito si disegna nella memoria il profilo di De Gasperi. Di come resistette con la stessa forza al radicalismo di Dossetti e alla volontà di Pio XII di un’alleanza dei cattolici con i fascisti, “purché Roma non cadesse in mano della sinistra”. E il mio ricordo va subito a quella giornata di fine agosto 1954 quando, per partecipare ai funerali del grande statista, alle 9 di mattina nella basilica romana di Santa Maria degli Angeli alle Terme, partimmo da Gubbio in pullman… a mezzanotte e percorremmo tutta la Flaminia, dentro e fuori mille paesi e cento città, alla velocità di un ciclista zoppo.

Ma oggi? Silenzio. Stiamo aspettando un porceddu dalla Sardegna, dovrebbe arrivare bell’e cotto, ma evidentemente il servizio traghetti ha difficoltà con i porceddu cotti. “Dimmi un po’, ma quel Graziano del Rio…”. Già, quello che al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti ha sbarellato i veri padroni dell’Italia, i direttori generali dei vari Ministeri. E qui mi accorgo che il mio amico di Del Rio sa tutto. Della sua numerosissima famiglia, del suo impegno come medico e come ricercatore universitario, della sua fedeltà al ministero di diacono (o forse solo di ministro straordinario dell’eucaristia).

“Per di più, in una Roma pesante, bloccata dalla massoneria culturale dell’anti-cattolicesimo, quella che impedisce a Eugenio Scalfari di saltare il fosso e convertirsi a quel Cristo del quale parla come nessun altro esponente del suo mondo, e anche, in parte, del nostro mondo cattolico”. Silenzio. “Ma come fai a sapere tutto di un uomo politico di una generazione diversa dalla nostra?”. Silenzio. Mi guarda. E mi gela: “Perché lo invidio!”. L’ennesima riproposta di un motto sacro, antico e sempre nuovo: “Siate sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in voi”.

 

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A 75 anni dalla proclamazione di san Francesco e santa Caterina da Siena a patroni d’Italia https://www.lavoce.it/a-75-anni-dalla-proclamazione-di-san-francesco-e-santa-caterina-da-siena-a-patroni-ditalia/ Fri, 20 Jun 2014 13:39:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25677 San-Francesco-CimabueUna data storica: il 18 giugno 2014 ricorre il 75° anniversario della proclamazione di san Francesco d’Assisi e santa Caterina da Siena Patroni d’Italia. La decisione fu presa da Pio XII (2 marzo 1939 – 9 ottobre 1958) pochi mesi dopo la sua elezione, con un solenne documento, Breve pontificio, firmato dal cardinale segretario di Stato Luigi Maglione.

Siamo in piena epoca fascista, al culmine della sua tracotante sicurezza. In Germania domina Hitler, che il 1 settembre 1939 decreta l’aggressione della Polonia e determina a catena la Seconda guerra mondiale che farà milioni di morti e disastrose rovine in tutta Europa. Anche l’Italia, dopo circa due anni di incertezze, sciaguratamente si lascia trascinare nella guerra a fianco della Germania. Sembra che per un presagio celeste il Papa abbia sentito il bisogno di chiamare in causa due grandi santi come patroni e difensori della patria. Sapeva che san Francesco e santa Caterina avevano fama e ammirazione da parte di tutti, anche dei fascisti che in queste figure vedono una gloria dell’Italia sia per la santità sia per il lustro che recano al Paese presso tutte le nazioni del mondo cattolico ed anche per la loro opera letteraria e per l’arte che hanno suscitato. È stata più volte ripetuta, ad esempio, la frase attribuita contemporaneamente a Pio XII e a Mussolini secondo cui san Francesco è ”il più santo degli italiani e il più italiano dei santi”. Per Pio XII però era più importante additare queste due straordinarie figure, nella eccezionalità della loro esperienze religiosa, come veri patrocinatori della causa della pace e del benessere per l’Italia e come modelli di vita per tutti, perché cresca il fervore religioso e la pietà nel popolo cristiano.

Secondo l’intenzione di Papa Pacelli i Patroni assegnati alle “genti d’Italia”, ai “nostri connazionali, presso il Signore” hanno la funzione di “custodi e difensori” del popolo. Non esiste d’altra parte nessuna nazione che sia orfana di patroni e protettori.

In antico il clero e il popolo, d’accordo con i pubblici poteri, si preoccupavano anche di avere i corpi dei santi o almeno le loro reliquie da custodire devotamente in santuari posti ai confini del territorio della città per svolgere la funzione di difensori della sicurezza e della pace contro gli assalti dei nemici. È evidente che la fede cattolica e la santità non hanno confini e soffrono ad essere ristretti in una dimensione nazionale. Sappiamo dello spirito e della vocazione universalistica di Francesco che va dal sultano d’Egitto, scrive una lettera ai reggitori del mondo e a tutti i fedeli della terra e così santa Caterina che si adopera e riesce a convincere Papa Gregorio XI a lasciare la sede di Avignone e ritornare a Roma. Ma è pur vero che Francesco e Caterina sono esempi di lingua e letteratura italiana, appartenevano ad un città e ad un territorio e si adoperavano per la pace tra le città e le fazioni cittadine.

Per quanto riguarda Francesco e il suo essere dichiarato Patrono d’Italia per noi umbri è un vanto e un motivo di adesione concreta al suo insegnamento e al suo esempio.

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Roncalli raccontato da “La Voce” nel 1955 https://www.lavoce.it/roncalli-raccontato-da-la-voce-nel-1955/ Thu, 17 Apr 2014 12:54:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24534 La prima pagina de “La Voce” in occasione del viaggio a Perugia nel 1955 del card. Roncalli
La prima pagina de “La Voce” in occasione del viaggio a Perugia nel 1955 del card. Roncalli

“Benedetto Colui che viene nel nome del Signore, ad illustrare con lo splendore della Sua porpora, ma soprattutto con la profondità della Sua devozione e pietà mariana, la nostra grande festa a Maria!”.

Così scriveva il 22 maggio 1955 La Voce a proposito del card. Angelo Giuseppe Roncalli, attesissimo ospite d’onore alle celebrazioni nel primo centenario dell’incoronazione della Madonna delle Grazie nella cattedrale di Perugia l’8 settembre 1855 per mano di Gioacchino Pecci, futuro Leone XIII. Patriarca di Venezia, primate della Dalmazia e metropolita della provincia ecclesiastica delle Tre Venezie, Roncalli viene mostrato in una foto a Beirut, dove era stato inviato nell’ottobre 1954 da Pio XII al Congresso nazionale mariano libanese e aveva incoronato Maria Regina del Libano nel santuario di Harissa, prospiciente il mare.

Sabato 28 maggio 1955, il Patriarca di Venezia arrivò in treno a Terontola nel pomeriggio, accolto dall’arcivescovo Mario Vianello e dalle autorità cittadine. Un corteo di oltre sessanta auto lo condusse nel cuore di Perugia da Tuoro a Corciano a Fontivegge, con soste frequenti tra la folla festante. Domenica 29, solennità di Pentecoste, presiedette il pontificale (con la corale diretta da don Pietro Squartini e un giovane don Dino Contini all’organo) e nel pomeriggio la grandiosa processione, che si dovette abbreviare a causa di una minaccia di temporale. Il lunedì di Pentecoste visitò le opere diocesane dedicate a Maria: i lavori del nascente seminario di Montemorcino, il santuario di Castel Rigone, la colonia permanente di Preggio (che a ricordo dell’evento si appresta a intitolare a Giovanni XXIII la piazza principale) e il Collegio per l’educazione e l’istruzione della gioventù a Pieve del Vescovo.

Il Cardinale ripartì sempre da Terontola il 31 maggio, dopo aver celebrato, a chiusura del mese mariano, all’altare della Madonna. Già amatissimo e “in mirabile ascesa”, conquistò sin dalle prime battute i perugini rievocando l’incontro giovanile a Roma con il card. Satolli, colui che il 4 settembre 1898 aveva posto sul capo della Madonna una seconda volta la corona (che nel frattempo era stata rubata). La Voce sottolinea più volte le consonanze spirituali tra Perugia e il presule, simboleggiate dalla coincidenza dell’ordinazione sacerdotale di Roncalli il 10 agosto 1904, festa di san Lorenzo.

Alla fine della processione, il Patriarca espresse “il suo compiacimento per uno spettacolo di fede che gli è parso il più bello di quanti egli abbia mai visto nel suo intenso pellegrinare e in oriente e in occidente” e dichiarò – profetico al di là delle intenzioni – che la data del 29 maggio 1955 si dovesse allineare alle grandi ricorrenze mariane della città di Perugia: prima ancora del 1855, il “voto” del 1629 e del 1631 (attestati dagli Annali decemvirali, come più tardi nel 1716), quando la cittadinanza si pose all’unanimità sotto la protezione di Maria.

La Voce accompagnò l’evento del 1955 con un apparato di articoli storici che oggi rimangono fonti insostituibili per gli studiosi.

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Quell’impareggiabile Papa “di transizione” https://www.lavoce.it/quellimpareggiabile-papa-di-transizione/ Thu, 17 Apr 2014 12:49:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24532 Giovanni XXIII saluta i fedeli dal finestrino del treno durante il viaggio a Loreto, 4 ottobre 1962
Giovanni XXIII saluta i fedeli dal finestrino del treno durante il viaggio a Loreto, 4 ottobre 1962

Che Papa Giovanni sia stato “buono” lo dice innanzitutto la bonomia del suo tratto e dei suoi rapporti con tutti, sempre sorridente, pronto a vedere il lato migliore di persone e di avvenimenti, senza furbizie ma anche senza ingenuità. Fu chiamato a succedere al grande Papa Pacelli, Pio XII, all’apparenza inflessibile e rigoroso, il Papa degli anni terribili della guerra e di violenze inaudite. È in questo scenario che Dio fece piovere il Suo segno di misericordia donando non solo alla Chiesa ma all’umanità intera un Papa mite e buono, che dice e fa con semplicità cose grandiose, a cominciare dalla ricercata pace sociale e politica. Tale si rivelò fin da subito Papa Giovanni, assumendo a ragione proprio quel nome, usato ben 22 volte dai predecessori e – se si vuole – piuttosto logoro. Il nuovo “inquilino” lo fece però rivivere in pienezza di significato, riproponendo nei comportamenti l’apostolo prediletto da Gesù, quello che, come il Maestro, diceva cose che sapevano di amore.

Già nella sua prima scelta, Papa Giovanni, figlio e fratello di contadini d’una terra italiana che sa coniugare bene lavoro e serietà di vita con l’amore di Dio, fece capire di che stoffa fosse fatta la sua personalità. Per muoversi a Venezia, sua prima diocesi, usava inevitabilmente barche e motoscafi; ma per visitare luoghi significativi della sua Chiesa, italiana e universale, scelse il treno, fosse pure bianco come la sua veste di Pastore. E in treno, atteso a ogni fermata da un subisso di gente plaudente, fece il suo primo viaggio in Umbria, ad Assisi, il 4 ottobre 1962, per rendere omaggio al Patrono d’Italia e al più santo degli italiani, Francesco d’Assisi, e affidargli la protezione del Concilio. Era la prima volta che il Papa usciva dalla “prigione dorata” del Vaticano per tuffarsi familiarmente tra la gente, prigioniero solo del suo amore.

Dopo quel viaggio, il rapporto tra Papa e popolo italiano non è stato più lo stesso: è nata una confidenza e una immediatezza che è andata sempre più crescendo, per poi a rinnovarsi con Papa Francesco.

Papa “di transizione”

Quando Angelo Giuseppe Roncalli fu eletto Papa, tutti dissero che sarebbe stato un Papa di transizione perché era anziano. Lui stesso ne era convinto e lo scrisse nel suo diario (il “giornale dell’anima” cominciato a scrivere a 14 anni), dicendo che era stato scelto come Papa di “provvisoria transizione”. Ma in quella “provvisoria transizione” fece a tempo a fare parecchie cose e a provocare un ribaltone quasi incredibile con il Concilio Vaticano II, da lui promosso nel 1962 e condotto a termine dal suo successore Paolo VI nel 1965: quattro anni di riflessioni e di decisioni dei Vescovi di tutto il mondo, che dettero a santa Madre Chiesa un volto del tutto nuovo con l’avvio d’una pastorale evangelizzatrice, missionaria, integrata.

Scriveva da nunzio apostolico, nel suo Giornale dell’anima (paragrafo 824):”Il mio temperamento e l’educazione ricevuta mi aiutano nell’esercizio dell’amabilità con tutti, della indulgenza, del garbo, della pazienza. Non recederò da questa vita: san Francesco di Sales è il mio grande maestro. Oh!, lo rassomigliassi davvero e in tutto!… Io lascio a tutti la sovrabbondanza della furberia e della cosiddetta destrezza diplomatica, e continuo ad accontentarmi della mia bonomia e semplicità di sentimenti, di parola, di tutto. Le somme, infine, tornano sempre a vantaggio di chi resta fedele alla dottrina e agli esempi del Signore!”. Questi erano i sentimenti del card. Angelo Giuseppe Roncalli, e questi furono i comportamenti di Giovanni XXIII, che oggi proclamiamo gioiosamente santo per solenne definizione di Papa Francesco, che molto gli assomiglia.

La “Mater et Magistra”

Nel suo prolungato servizio di nunziatura ebbe sempre cura della verità e della carità, nel linguaggio e nei gesti, dall’aiuto agli ebrei ai soccorsi per gli ortodossi, a Sofia in Bulgaria come a Istanbul in Turchia, o nella Parigi del generale De Gaulle, il quale non voleva persone compromesse con il regime di Pétain, e per questo rifiutò malamente il nunzio Valerio Valeri. Anche la Chiesa cattolica aveva i suoi problemi disciplinari e dottrinali, muovendosi tra i postumi del dopoguerra e le violenze del mondo comunista, con l’urgenza ormai improrogabile di una nuova evangelizzazione.

Papa Giovanni, turbato dalle rovine fisiche, morali, sociali prodotte dall’ingiustizia, che faceva da moltiplicatore delle rovine non ancora recuperate del lungo dopoguerra, cogliendo l’occasione del 70° anniversario della Rerum novarum di Leone XIII, offrì il 20 maggio 1961 agli operatori pastorali il supporto d’un rilancio aggiornato della dottrina sociale cristiana con l’enciclica Mater et Magistra “sui recenti sviluppi della questione sociale”, ribadendo che “la dottrina sociale cristiana è parte integrante della concezione cristiana della vita” (n. 206), particolarmente necessaria in questa nostra epoca, “percorsa da errori radicali, straziata e sconvolta da disordini profondi” (n. 238) che hanno provocato notevoli squilibri. L’enciclica, com’è noto, suscitò vasta eco nella stampa mondiale. Scrisse il quotidiano francese Le Monde: “È rivolta verso l’azione e l’attualità. È adatta all’epoca, conforme all’esigenza delle giovani generazioni, che non vogliono discorsi accademici e non apprezzano le astrazioni dottrinali”. L’enciclica riscosse favorevoli consensi anche nell’opinione pubblica dei Paesi in via di sviluppo, in particolare India e Paesi arabi.

Il Concilio

Venne finalmente l’ora del nuovo Concilio, dai più non creduto possibile, da molti temuto, dai “profeti” atteso come segno di un nuovo impulso per l’evangelizzazione. Papa Giovanni stesso ne dette l’annuncio con il mirabile radiomessaggio dell’11 settembre 1962 ai fedeli di tutto il mondo. Lo qualificò subito come “una primavera della Chiesa”, paragonandolo alla valenza liturgica del Cero pasquale, che è lumen Christi, lumen ecclesiae, lumen gentium: una “vera letizia per la Chiesa universale, Chiesa di tutti, particolarmente Chiesa dei poveri”.

All’annuncio seguì la solenne apertura del Concilio l’11 ottobre 1962, con un discorso particolarmente energico per “dissentire dai profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo”. La Chiesa, invece, “guarda con realismo al presente”, e anzi “non ha assistito indifferente al mirabile progresso delle scoperte dell’umano ingegno, e non ha lasciato mancare la giusta estimazione”. In ogni caso, dinanzi ai tanti errori che si fanno, la Chiesa “preferisce oggi la medicina della misericordia”.

La gente di Roma corse ad ascoltare e ad applaudire il Papa in piazza San Pietro, e ad essa egli parlò con giovialità “a braccio”, ammirando la bella luna che splendeva sulla città, quasi a mostrare la gioia anche del Cielo. E terminò quel suo saluto con la celebre “carezza” da portare a tutti i bambini.

La “Pacem in terris”

Altro fatto da ricordare si ebbe con la pubblicazione dell’altra sua mirabile enciclica, Pacem in terris, l’11 aprile 1963, che fu il suo testamento sociale e religioso. Fu definita come la “Nona Sinfonia della pace”, paragonando alle cinque parti dell’opera di Beethoven (i quattro movimenti più il coro finale) i cinque temi portanti dell’enciclica: la pace universale fondata sui diritti e i doveri della persona umana; lo Stato di diritto come garanzia di pace all’interno d’ogni comunità politica; una pace duratura basata sui quattro pilastri della verità, della giustizia, della solidarietà, della libertà; una garanzia di vera pace in un efficace governo mondiale della grande famiglia umana; un dialogo sincero e fecondo tra tutti come radice e salvaguardia della pace, distinguendo sempre tra errore ed errante, e facendo leva su ciò che unisce, non su ciò che divide.

Ricordiamo tutti il tragico contesto in cui l’enciclica nacque: era in atto una vera guerra fredda, cioè la crisi per i missili russi a Cuba. Nel marzo 1963 Papa Giovanni aveva concesso un’udienza ad A. Ajubej, genero di Kruschëv, che valse anche ad ammorbidire i rapporti tra Chiesa cattolica perseguitata e dittatura comunista (quanti credenti e quanti sacerdoti e vescovi, martiri dell’età moderna, languivano nelle carceri della Russia e dei Paesi satelliti!). Questo fatto creò le premesse per un forte rilancio del tema della pace, parlando sia dei diritti che dei doveri delle singole persone, e delle comunità politiche anche a livello mondiale, secondo il principio di sussidiarietà. In quel contesto Giovanni XXIII ebbe parole di compiacimento anche per l’Organizzazione delle Nazioni Unite e la Dichiarazione universale dei diritti umani (del 10 dicembre 1948).

L’eredità spirituale

Era ormai vicina la conclusione della sua vita terrena. Il Papa di transizione, che aveva 82 anni, fu aggredito da un tumore maligno che provocò una lunga agonia, vissuta momento per momento dalla gente che seguiva direttamente l’evolversi della situazione in piazza San Pietro attraverso i mass media. Il “Papa buono” morì il 3 giugno 1963 con grande rimpianto di tutti, credenti e non credenti, cattolici e di altre confessioni religiose.

Aveva scritto nel suo Giornale dell’anima: “La senescenza, che è pure grande dono del Signore, deve essere per me motivo di silenziosa gioia interiore e di quotidiano abbandono nel Signore stesso, al quale mi tengo rivolto come un bambino verso le braccia aperte del padre. La mia umile e ormai lunga vita si è sviluppata come un gomitolo nel segno della semplicità e della purezza. Nulla mi costa il riconoscere e il ripetere che io sono e non valgo un bel niente! Il Signore mi ha fatto nascere da povera gente e ha pensato a tutto: io l’ho lasciato fare. Da giovane sacerdote mi ha colpito l’oboedientia et pax del padre Cesare Baronio, con la testa chinata al bacio sul piede della statua di san Pietro. E ho lasciato fare, e mi sono lasciato condurre, in perfetta conformità alle disposizioni della Provvidenza” (par. 897-898).

Ora per volontà di Papa Francesco sarà proclamato santo insieme a Giovanni Paolo II: due fiaccole d’amore nell’attuale “inequità”, come la chiama Papa Francesco, qualificandola come “la radice dei mali sociali” (Evangelii gaudium, n. 202). E anzi, “finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, come l’ha chiamata anche Papa Benedetto XVI, non si risolveranno i problemi del mondo, e in definitiva non si risolverà nessun problema”.

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60 anni di informazione al passo con i tempi https://www.lavoce.it/60-anni-di-informazione-al-passo-con-i-tempi/ Thu, 09 Jan 2014 18:00:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21431 Senza-titolo-1La storia de La Voce potrebbe essere raccontata come una successione di scelte che segnano dei passaggi – delle svolte, scrive il direttore nella pagina accanto – nella vita della comunità ecclesiale dell’Umbria. Fin dalla nascita, e non solo successivamente. Nel 1953, infatti, la scelta delle 14 diocesi umbre di unirsi per realizzare un comune settimanale diocesano matura all’interno di una strategia di impegno pastorale più vasta che porta alla decisione di chiudere le testate diocesane esistenti (tra queste Il Segno di Perugia e la stessa Voce Cattolica di Città di Castello della quale resta, in parte, il nome).

Fu una scelta decisamente in controtendenza rispetto ai campanilismi allora come oggi fortemente radicati nella cultura umbra, e l’unica diocesi a non aderire al progetto fu Foligno che non se la sentì di abbandonare la Gazzetta regolarmente pubblicata dal 1886 e il più antico dei settimanali diocesani.

La “svolta”, prima di tutto pastorale, non fu decisa a cuor leggero. Sollecitata da papa Pio XII preoccupato della penetrazione dell’ateismo comunista nelle masse contadine e operaie del tempo, maturò in un grande convegno ecclesiale regionale in cui si decise di unire le forze e i propri mezzi di comunicazione. Il primo numero del nuovo settimanale comune La Voce uscì il 13 dicembre 1953. Sotto la direzione di mons. Pietro Fiordelli fa subito sentire il suo peso, ma appena un anno dopo con la sua nomina a vescovo di Prato, si profila una nuova svolta con il cambio del direttore. Gli succede mons. Antonio Berardi, parroco di Fossato di Vico e collaboratore della prima ora, che negli anni estende la diffusione del giornale in molte diocesi italiane con la formula delle “edizioni separate”, fino al giorno della sua morte, giunta improvvisa l’8 novembre 1972.

Il 1972 è anche l’anno in cui arriva nella Chiesa umbra mons. Cesare Pagani artefice della seconda “fondazione” del giornale e della nascita della radio diocesana Radio Augusta Perusia, oggi Umbria Radio, che giungerà in porto nel 1983 quando i vescovi umbri decidono di tornare alla formula originaria dell’unico settimanale per le diocesi umbre. Anche l’assetto proprietario segna una svolta innovatrice: i vescovi decidono di dare vita ad una società per azioni lanciando una campagna di azionariato popolare il cui scopo è sì di raccogliere fondi ma ha di fare de La Voce il giornale della comunità.

Mons. Elio Bromuri, sacerdote della diocesi perugina all’epoca insegnante di Filosofia al Liceo cittadino, è chiamato alla direzione del giornale. Il primo numero del nuovo corso esce con la data del 1 gennaio 1984 ed è stampato sulla rotativa acquistata appositamente, la prima e per diversi anni l’unica in regione. Il giornale ha 16 pagine delle quali 7 sono affidate ai corrispondenti diocesani (1 per ogni diocesi esclusa Foligno) mentre la redazione regionale è composta da giovani laici (Luca Diotallevi di Terni oggi docente universitario di sociologia, Marco Tarquinio di Assisi oggi direttore di Avvenire, e Maurizio Maio di Città di Castello ai quali ben presto si aggiunge Daris Giancarlini affermato giornalista all’Ansa di Perugia) e da don Antonio Santantoni.

Il nuovo direttore non è ancora iscritto all’albo dei giornalisti e così, per i primi due anni necessari per l’iscrizione, è direttore responsabile un’altra firma nota del giornalismo cattolico, mons. Remo Bistoni.

Negli anni che seguono cambiano sia gli assetti societari che le collaborazioni ma il settimanale prosegue sulla linea editoriale indicata sulla prima pagina del primo numero del 1984 negli editoriali dell’editore, a firma del vescovo Carlo Urru, e del direttore.

Nel 1993 La Voce celebra i 40 anni della fondazione ospitando il convegno nazionale della Federazione dei settimanali cattolici. È un grande evento che ha eco sulla stampa nazionale per il dibattito dei direttori dei settimanali cattolici con il segretario del Partito Popolare Mino Martinazzoli.

Un anniversario che coincide con la “svolta” politica e sociale di un’Italia e di un mondo cattolico “orfani” della Dc.

Molte sono le firme che negli anni arricchiscono il settimanale e grandi sono i cambiamenti tecnologici che hanno portato tra l’altro La Voce ad essere, nel 1994, tra i primissimi giornali in Italia ad essere presenti in internet con il proprio sito web www.lavoce.it, e il webmaster Massimo Cecconi riceve, via e-mail, le congratulazioni del direttore dell’Unità Valter Veltroni.

Gli anni ’90 sono gli anni dell’evoluzione tecnologica che cambia anche il modo di fare il giornale: entrano in redazione i primi personal computer a sostituire le macchine da scrivere e ben presto anche la fotocomposizione passa dalla tiporafia alla redazione, gli articoli dei corrispondenti arrivano sempre meno con i “fuori sacco” postali e sempre più con il fax e infine con le e-mail.

Il processo si conclude nel 2003, in occasione del 50° de La Voce con il passaggio alla stampa a colori di alcune pagine.

Con la produzione del giornale in sede inizia anche la produzione editoriale come casa editrice con la pubblicazione di libri di vario genere di autori locali. Nel 1994 inizia la pubblicazione degli opuscoli proposti ai parroci quale segno da portare nelle famiglie nelle benedizioni pasquali.

La Voce si fa presente nei più importanti eventi ecclesiali (dalle visite dei Papi agli ingressi dei nuovi vescovi ai convegni pastorali regionali) con edizioni speciali a grande diffusione.

Trenta anni dopo La Voce ha mantenuto la struttura di fondo fatta di una redazione centrale e redazioni diocesane.

Tra i collaboratori ci sono state e ci sono firme che offrono la loro collaborazione in spirito di volontariato e infine, ma non ultimo, gli stessi vescovi dal 2003 sono presenti settimanalmente in pagina con un loro intervento che sul sito web abbiamo chiamato “Parola di vescovo”.

Infine nel 2012 si rinnova anche il sito web www.lavoce.it che diventa multimediale e interattivo. È la nuova “svolta” di una comunicazione che negli ultimi trent’anni è cambiata radicalmente ponendo ai media tradizionali come il giornale, la radio e la televisione, la grande sfida dell’integrazione con il web e il digitale. È la “svolta” tecnologica e culturale non ancora risolta.

La Voce è entrata nel futuro con tutto il patrimonio che viene dalla sua storia e dal suo essere il giornale della comunità cristiana dell’Umbria.

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9 ottobre, memoria di Pio XII il “Pastor angelicus” https://www.lavoce.it/9-ottobre-memoria-di-pio-xii-il-pastor-angelicus/ Thu, 10 Oct 2013 12:34:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20014 pio-XII-braccia-aperteIl 9 ottobre di 55 anni fa moriva Pio XII, uno dei grandi Pontefici del passato secolo, chiamato a regnare sulla Chiesa durante gli anni più bui del Novecento.

Proveniente da famiglia tradizionalmente legata al mondo vaticano – il padre Filippo era avvocato concistoriale, la madre Virginia Graziosi traeva le sue origini dall’aristocrazia della solenne Tivoli -, Eugenio Pacelli percorse via via tutti i gradi della gerarchia vaticana.

Eletto al Soglio di Pietro il 2 marzo 1939, giorno del suo 63° compleanno, con quasi un plebiscito, si sentì subito un Papa di pace compiacendosi che proprio la parola “pace” fosse contenuta nel suo cognome (la pace del cielo: in latino Pax coeli = Pacelli). Secondo la profezia di san Malachia, a Pio XII era assegnato il titolo di Pastor angelicus, e mai altro nome, neppure oggi, seppe rendere meglio la sua intima natura.

Venne incoronato, come da tradizione, con il triregno che fu di Pio IX e volle, affacciandosi la prima volta dal balcone centrale di san Pietro, il drappo con le insegne pontificali del suo predecessore Pio XI del quale fu segretario di Stato e al quale lo legava un affetto filiale.

La benedizione a braccia aperte, in atteggiamento ieratico, sembrava voler abbracciare le gioie e le angoscie della intera umanità

Già nunzio apostolico a Monaco e Berlino, conobbe fin troppo bene i retroscena del Terzo Reich, comprendendo come un suo intervento esplicito non avrebbe risolto nulla, anzi peggiorato ancora di più la situazione. Non fu dunque silenzio il suo, ma azione senza clamore, volta a guadagnare il bene dei perseguitati più che la lode del mondo alla sua persona.

Qualcuno lo disse cieco, quasi “prigioniero” nella sua principesca lontananza dal mondo, ma Pio XII fu più lungimirante di molti. Pù del Duce, ad esempio, che credeva di poter manovrare Hitler a suo piacimento, forte dell’ammirazione che nutriva per lui, e dal quale venne invece fagocitato.

Durante il conflitto mondiale, che cercò con ogni mezzo di scongiurare, la sua attività diplomatica, come quella di tutta la Chiesa per ordine suo, era volta al soccorso non solo spirituale ma anche materiale di quanti erano oppressi (come non ricordare quel grande “archivio di carità” che fu la Pontificia opera di assistenza), in modo particolare i nostri fratelli ebrei per i quali era disposto anche a “raschiare l’oro delle nostre chiese”: è una realtà storicamente indiscutibile e visibile a chiunque. Tanto grande fu l’attività caritativa, fino a partecipare egli stesso delle sofferenze e privazioni del popolo, andando tra le macerie della “sua diletta Roma” bombardata, quando ancora le sirene non avevano dato il segnale di cessato allarme, che la gente prese a chiamarlo “l’angelo con gli occhiali”.

Dopo lo “spettro satanico” del nazional-socialismo (come ebbe a definirlo), venne la volta del marxismo ateo, contro il quale mobilitò le coscienze fino a fulminare la scomunica, distinguendo però il comunismo dalla persona, anticipando così quella distinzione tra errore ed errante, comunemente associata al beato Giovanni XXIII.

L’introduzione della messa serale, con la conseguente attenuazione delle norme sul digiuno, la riforma della liturgia della Veglia pasquale (enciclica Mediator Dei), prima del Concilio Vaticano II bastano da sole per dare la misura della sua modernità.

Alto, esile – riusciva a levarsi in piedi mentre era portato in sedia gestatoria -, di aspetto ascetico ma di modi cordiali, lasciò una profonda impressione sui milioni di persone che affluirono a Roma per l’Anno santo del 1950 e nell’anno mariano del 1954. Fu anche il Papa che comprese per primo l’importanza della televisione, allora nascente, orientando quel potere per il bene delle anime.

Nel 1956 compie 80 anni. La cattolicità gli si stringe attorno per festeggiarlo e ringraziarlo, ma anche per confortarlo delle tante calunnie che alcuni andavano diffondendo sulla sua persona e sul suo operato. Nel cortile di San Damaso i popolani di Genzano gli preparano un tappeto di fiori con le immagini che rievocano le benemerenze del suo pontificato. Sono gli ultimi istanti della vita di questo Papa che spese tutto se stesso per la pace, annullando se stesso, avvolgendo il pontificato di un’aura di santità personale.

Pio XII, che ebbe un culto tenerissimo per la Vergine, che proclamò Assunta al cielo e per la quale indisse l’Anno mariano, che fu vicino a tutti pur restando distante da tutti, tari fu, è e resterà sempre il Pastor angelicus.

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Pio XII, il Papa che aiutò gli ebrei https://www.lavoce.it/pio-xii-il-papa-che-aiuto-gli-ebrei/ Thu, 12 Nov 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8005 Dopo la guerra ha ricevuto i ringraziamenti dalle più alte autorità del mondo ebraico per quanto aveva fatto in favore dei perseguitati. Quando si è spento, il 9 ottobre 1958, il mondo lo ha pianto come un grande Papa. Oggi, invece, è accusato di essere moralmente responsabile dell’Olocausto. Come nascono i famosi “silenzi” di Pio XII? Una sua plateale scomunica lanciata contro Hitler avrebbe fermato l’orribile “soluzione finale”? Davvero questo Pontefice è stato indulgente verso il nazismo, se non addirittura suo “complice”, come si legge nel dramma Il Vicario di Rolf Hochhuth? Di questo ha parlato Andrea Tornielli, noto giornalista e vaticanista e autore di una biografia di papa Pacelli nel corso dell’incontro che ha tenuto a Terni nella chiesa di San Cristoforo, di fronte a centinaia di persone. Il rapporto di Eugenio Pacelli con gli ebrei è stato analizzato a partire dai primi anni del secolo: è emerso, ad esempio, che il futuro Papa, il quale aveva avuto un compagno di scuola ebreo e ne era diventato amico, è stato più indulgente verso le istanze sioniste di quanto non lo fossero i suoi superiori in Segreteria di Stato. Sono stati citati documenti, manoscritti autografi e resoconti di riunioni segrete tenute in Vaticano, che dimostrano quale fosse il reale atteggiamento del cardinale Pacelli, segretario di Stato di Pio XI, nei confronti di Hitler. Sono stati ricordati i tanti interventi e radiomessaggi di Pio XII a partire dal 1939 fino al 1945 dai quali emerge che Pacelli non è stato così in “silenzio”. A questo proposito è interessante la testimonianza contenuta in un saggio di don Giuseppe Dossetti, il quale ammette che, a conflitto iniziato, l’atteggiamento del Pontefice doveva essere caratterizzato dalla prudenza per non provocare rappresaglie e inasprire le già terribili persecuzioni. Tornielli ha infine ricordato le decine di testimonianze autorevoli che dimostrano l’unanime gratitudine delle più alte autorità israelitiche verso Pio XII: il Papa era un uomo sensibile, preoccupato per la sorte delle vittime della persecuzione. Non è vero che sia stato silenzioso: ha parlato – con vari riferimenti agli ebrei ben compresi da tutti – ma ha parlato prudentemente. Sapeva benissimo quale sarebbe stata la reazione di Hitler e dei nazisti di fronte a una plateale denuncia. Sapeva benissimo, perché ne aveva avuto le prove, che una sua condanna esplicita avrebbe solo peggiorato la situazione dei perseguitati e aumentato le persecuzioni stesse. Fra la parola, che gli avrebbe precostituito una buona fama presso i posteri, e l’azione in favore delle vittime, scelse di agire. I conventi di Roma si riempirono di ebrei e l’ex console onorario di Israele Pinchas Lapide ha calcolato che furono così salvate tra le 750.000 e le 800.000 vite di ebrei.

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Il Papa che sfidò Hitler https://www.lavoce.it/il-papa-che-sfido-hitler/ Thu, 27 Aug 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7783 Da quarant’anni scatena aspri dibattiti il tema dei rapporti tra Pio XII e il regime nazista negli anni ’30-40. Su La Voce siamo tornati più volte sull’argomento, anche in tempi recenti, contribuendo a dissipare le calunnie che continuano a infangare il nome di Eugenio Pacelli. E presto, entro ottobre, le edizioni Paoline pubblicheranno la versione italiana del documentatissimo saggio Der Papst, der Hitler trotze (Il Papa che sfidò Hitler) dello storico tedesco Michael Hesemann. Lo abbiamo intervistato.

Quali sono le principali novità del suo libro? “Beh, vi si trovano approfondimenti che è raro rinvenire in pubblicazioni italiane. Grazie al fatto di essere tedesco, ho avuto accesso a documenti altrimenti difficili da reperire. Inoltre mi sono avvalso della collaborazione di numerosi specialisti, come la professoressa Ilse-Lore Konopatzki, autrice del più dettagliato saggio esistente sull’infanzia di Pacelli, che presenta in esclusiva i temi da lui scritti al liceo. Purtroppo il volume della Konopazki non ha trovato un editore in Italia, quindi lei stessa mi ha autorizzato a riportare nel mio libro varie citazioni. Per i lettori italiani sarà un’anteprima assoluta”.

E c’è dell’altro..”Sì, ho ottenuto il permesso di consultare l’Archivio segreto vaticano, dove ho scoperto testi che testimoniano i rapporti di Pacelli con l’allora neonato movimento sionista, all’indomani della Prima guerra mondiale. Va ricordato che il sionismo era guardato con sospetto in molti circoli cattolici, mentre Pacelli simpatizzava esplicitamente con gli ebrei. Ebbe anche un compagno di scuola ebreo, del quale frequentava la casa e con il quale, addirittura, celebrava il Sabato. Il che dimostra che le accuse di antisemitismo che gli vengono mosse da biografi come John Cornwell e Daniel J. Goldhagen sono totalmente false. Pacelli fece sempre del suo meglio per venire incontro alle richieste da parte ebraica, sia quando lavorava in Segreteria di Stato, sia quando era nunzio apostolico in Germania”.

E quindi, la sua presunta simpatia per Hitler? “Ho avuto l’opportunità di documentare a fondo uno degli aspetti più affascinanti del suo pontificato: la sua collaborazione segreta con la Resistenza militare tedesca per abbattere Hitler. Per quel tentativo è diventato famoso il colonnello Claus von Stauffenberg, che però entrò solo alla fine a far parte della cospirazione, ordita fin dal 1939 dal generale Ludwig Beck. Tramite l’avvocato Joseph Mueller, i cospiratori si misero in contatto con il Papa perché chiedesse il sostegno degli inglesi. Pio XII accettò, nonostante i Patti lateranensi lo vincolassero alla neutralità. Altro che amico di Hitler! Tramava contro di lui!”.

Tant’è che al termine della Seconda guerra mondiale Pio XII era considerato un eroe da tutti, ebrei compresi. Poi cos’è successo? “Pio XII salvò 850.000 ebrei dalla Shoah, come è stato appurato dallo storico israeliano Pinchas Lapide. Per la sua opera il Papa venne elogiato da personaggi come Chaim Weizmann, primo presidente dello Stato di Israele, e Golda Meir. Numerosi sopravvissuti andarono a ringraziarlo di persona. Gli ebrei italiani gli dedicarono una giornata di ringraziamento il 17 aprile 1955, appendendo anche una targa commemorativa al Museo della Resistenza di Roma’ targa che ‘stranamente’ non c’è più. Allora, cos’è successo? È successo che la propaganda ha funzionato. A oliare la macchina propagandistica è stato il drammaturgo opportunista tedesco Rolf Hochhuth, autore dell’opera Il Vicario, prodotta con l’appoggio di Mosca. Hochhuth dipinge Pacelli come un gelido politicante che decide di tacere sulla Shoah perché Hitler gli torna utile per frenare Stalin. E siccome oggi la Storia non la scrivono più gli storici ma i mass media’ ecco che è nata una nuova ‘leggenda nera’ contro la Chiesa. La verità è che Pio XII, al contrario, accettò l’alleanza tra America e Russia purché Hitler venisse sconfitto. Solo al termine della guerra si impegnò nella lotta contro il comunismo”.

“Leggenda nera”? Che significa? “È un tema su cui ho scritto un altro libro, pubblicato di recente in Italia: Contro la Chiesa. Si tratta di leggende anticlericali fabbricate ad hoc, che utilizzano sempre gli stessi mezzi. Il triste è che alla fine ci credono anche molti cattolici’. Tornando a ‘Il Vicario” ‘Il Pio XII rappresentato da Hochhuth è pura finzione. Non ha nulla in comune con il vero Eugenio Pacelli. Un esempio: nel dramma teatrale, il Papa viene a sapere dello sterminio degli ebrei da un gesuita, padre Riccardo, ma non se ne cura; preferisce pensare alle somme versate dai ricchi benefattori alle casse vaticane per Natale’ Ora, il vero Pio XII ebbe notizia della Shoah da un sacerdote romano, don Pirro Scavizzi, che aveva visitato i soldati italiani al fronte orientale. Quando ascoltò il suo racconto, il Papa pianse e pregò, poi i due studiarono immediatamente un piano di intervento concreto. Per i due anni seguenti, la priorità umanitaria fu la salvezza degli ebrei. L’unico motivo per cui il Papa non denunciò pubblicamente Hitler fu per evitare ritorsioni contro i cattolici tedeschi e, soprattutto, vessazioni ancora peggiori contro gli ebrei. Una netta opposizione avrebbe impedito la silenziosa opera di soccorso. Tacere gli era pesante, ma sapeva che solo due eventi potevano fermare il Fuehrer: un colpo di Stato o una vittoria degli Alleati. E lui diede sostegno a entrambe le operazioni”.
C’è la possibilità che Pio XII venga presto beatificato? ‘Come afferma un proverbio cinese: è sempre difficile fare previsioni’ soprattutto per il futuro. Personalmente lo ritengo non solo un santo, ma un grande santo e un eroe. Il processo di beatificazione ha raccolto dati stupefacenti sulle sue virtù; adesso la decisione spetta a Benedetto XVI. La situazione è spinosa, con molti aspetti di cui tener conto. Purtroppo parecchi ebrei si sono lasciati convincere dalle tesi di Hochhuth. A volte le passioni in campo sono più forti dell’evidenza dei fatti; però, alla fine, la Verità vince’.

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I focolarini in Umbria dalle prime visite di Chiara Lubich a oggi https://www.lavoce.it/i-focolarini-in-umbria-dalle-prime-visite-di-chiara-lubich-a-oggi/ Fri, 20 Mar 2009 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7394 Nel 1943, data di nascita del movimento dei Focolari, Trento era assediata dalla guerra come molte altre città italiane, e dalle macerie nacque qualcosa che ora oggi continua a crescere e a portare numerosi frutti nella Chiesa e nel mondo. Un ideale, quello del carisma dell’unità, che non si è fermato davanti a nulla ma ha saputo vincere tutte le barriere dimostrando al mondo che omnia vincit amor: l’amore vince tutto. Chiara ha creduto a questo e con lei molti lo hanno fatto e continuano a farlo.

Arrivò qui in Umbria negli anni ’50, con alcune visite di Chiara stessa ai frati francescani di Assisi. Poi fu la volta di Foligno, dove parecchi giovani che facevano il servizio militare nella città vennero in contatto con il movimento abbracciandone lo spirito e suscitando intorno a loro varie comunità. Solo dopo le prime approvazioni della Chiesa, negli anni ’70 il movimento inizia la sua vita pubblica anche in Umbria, grazie alle iniziative dei Gen (la seconda generazione), grazie alle prime Mariapoli, città temporanee, esperienze di convivenza nell’amore scambievole. Ancora oggi questa è un’esperienza molto viva e forte che coinvolge giovani in varie esperienze ormai consolidate, come “Il cantiere dei ragazzi” a Norcia, “Pallavolando” a Perugia. Alcune famiglie cominciarono a condividere con altre la scelta di vita evangelica che li portava anche a realizzare una comunione di beni materiali e spirituali nella propria regione e oltre, nasceva così Famiglie nuove.

Nei primi anni ’80 il movimento si diffuse anche tra adulti laici: i Volontari, intuizione di Chiara come risposta all’appello lanciato nel 1956 da Papa Pio XII in occasione dei moti d’Ungheria. In Umbria attraverso l’associazione “Il Mosaico” varie sono le iniziative a sfondo sociale intraprese per rispondere ai bisogni della città. Il carisma di Chiara entra anche in ambito politico con la nascita del Movimento politico per l’unità, che si rivolge a persone impegnate politicamente a diversi livelli e di varie appartenenze partitiche. Dalla politica all’economia: vari imprenditori vivono l’economia di comunione, un’innovativa forma di agire economico, dove è possibile coniugare le imprese all’aiuto agli indigenti: con centinaia di aziende in tutto il mondo, anche l’Umbria conta attività che vi aderiscono appieno.

L’Umbria, terra che accoglie gente di ogni popolo, cultura e religione, ha fatto proprio il carisma applicandolo a 360’nel confronto tra le diverse confessioni cristiane e altre fedi, come ha fatto Chiara per prima. Un’unica grande famiglia che ha fatto del carisma nato da Chiara Lubich il suo centro, lasciandosi modellare dall’amore di Dio. Così Todi è una delle città che hanno attribuito a Chiara la cittadinanza onoraria.

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L’innocenza di Papa Pio XII https://www.lavoce.it/linnocenza-di-papa-pio-xii/ Thu, 13 Nov 2008 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7100 In margine al convegno tenutosi nei giorni scorsi a Roma nel 50’della morte di Pio XII, abbiamo intervistato Philippe Chenaux, storico, docente alla Pontificia università lateranense. Siamo alle battute finali delle polemiche contro Papa Pacelli? ‘Era doveroso, da parte della Santa Sede, difendere la memoria di Pio XII e cercare di porre fine agli attacchi contro di essa. Bisogna riconoscere, tuttavia, che il Papa lo ha fatto con grande coraggio e tenendo conto, mi pare, del lavoro degli storici seri (ad esempio, nel modo di presentare la questione dei silenzi). È del tutto inusuale che l’anniversario della morte di un Pontefice venga commemorato con tanta solennità. Penso che Benedetto XVI abbia parlato solo per i cattolici, e fra i cattolici, solo per chi è sinceramente convinto della innocenza di Pacelli. Non avrà convinto coloro che invece lo ritengono colpevole di non aver denunciato con forza la Shoah. Finché la Santa Sede non avrà aperto completamente i suoi archivi per l’intero pontificato, sarà difficile uscire completamente da queste polemiche. La non apertura degli Archivi vaticani rappresenta un”arma’ per chi vuole condurre una battaglia contro la sua beatificazione. Ma è vero, come diceva il cardinale Bertone nel suo intervento al convegno, che, una volta aperti, gli Archivi sono consultati da pochi studiosi. Qualcosa della ‘legenda nera’ di Pio XII rimarrà, purtroppo’. La mostra su Pio XII inaugurata nei giorni scorsi in Vaticano contribuirà a una visione più oggettiva sulla sua figura? ‘Spero proprio di sì, anche se non è stata concepita in una prospettiva apologetica. Come ha detto giustamente il presidente del Pontificio comitato di scienze storiche, mons. Walter BrandmÈller, la polemica sui silenzi riguarda la storia post mortem di Pio XII, la quale non viene, come tale, affrontata nella mostra. Essa si limita (e non è cosa da poco) a ricostruire, con la più rigorosa oggettività possibile e con tutta la documentazione disponibile, il percorso umano ed ecclesiale di Eugenio Pacelli. La mostra ci dà così delle chiavi interpretative preziose per capire meglio le ragioni del suo atteggiamento durante la Seconda guerra mondiale. Come storico e biografo di Papa Pacelli, sono convinto che non si può separare la sua azione da Papa da quella svolta come diplomatico della Santa Sede al servizio dei suoi quattro predecessori’. Cosa resta di Pio XII dal punto di vista pastorale? ‘Prima d’intraprendere la carriera diplomatica, Eugenio Pacelli, questo ‘politico suo malgrado’ (secondo l’espressione così azzeccata del ministro britannico presso la Santa Sede, sir d’Arcy Osborne) aveva voluto essere sacerdote. Fu la sua prima vocazione, la sua vocazione originaria, alla quale volle rimanere sempre fedele. È questa prima vocazione, a lungo contrastata, di pastore di anime (nel senso tridentino della parola) che egli ritrovava con la sua elezione al pontificato, il 2 marzo 1939, anche se è anzitutto il brillante diplomatico che i suoi colleghi cardinali avevano scelto, dopo appena tre scrutini, per guidare la Chiesa nella tormenta che si annunciava. Tra i tanti aspetti della sua azione pastorale, c’è da ricordare la sua attenzione premurosa per preservare la sua diletta città di Roma dalle ferite della guerra, e la sua preoccupazione costante di fare tutto il possibile per aiutare le vittime del conflitto. Ho sottolineato anche, nel mio intervento al convegno, l’importanza del suo magistero per la rivalutazione del ruolo dei laici nella Chiesa’.

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Papa Pacelli, pastore angelico https://www.lavoce.it/papa-pacelli-pastore-angelico/ Thu, 16 Oct 2008 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7031 Il 9 ottobre di cinquanta anni fa moriva Papa Pio XII, uno dei grandi pontefici del passato secolo, chiamato a regnare sulla Chiesa di Cristo durante la parte più buia del ‘900. Proveniente da famiglia legata al mondo vaticano – il padre Filippo era avvocato concistoriale – percorse tutti i gradi della diplomazia curiale entrando al servizio, poco dopo la sua ordinazione, dell’allora mons. Pietro Gasparri. Eletto il 2 marzo del 1939, giorno del suo 63’compleanno, con quasi un plebiscito, si sentì subito un Papa di pace, compiacendosi che proprio la parola ‘pace’ fosse contenuta nel suo cognome (la pace del cielo, in latino Pax coeli = Pacelli). Secondo la profezia di san Malachia Pio XII fu il ‘Pastor Angelicus’ e mai altro nome, neppure oggi, saprebbe render meglio la sua intima natura. Venne incoronato, come da tradizione, col triregno che fu di Pio IX ma volle, affacciandosi la prima volta dal balcone centrale di San Pietro, il drappo con le insegne pontificali del suo predecessore, Pio XI, del quale fu segretario di Stato ed al quale lo legava un affetto filiale. La benedizione a braccia aperte, in atteggiamento solenne e ieratico, sembrava voler abbracciare le gioie e le angoscie dell’intera umanità. Già nunzio apostolico a Monaco e Berlino, conobbe anche troppo bene i retroscena del Terzo Reich, comprendendo come un suo intervento esplicito non avrebbe risolto nulla, anzi peggiorato ancora di più la situazione. Non fu dunque silenzio il suo, ma azione senza clamore, volta a guadagnare il bene di quegli infelici più che la lode del mondo alla sua persona. Qualcuno lo disse cieco, ma Pio XII fu più lungimirante di molti: dello stesso Duce, che credeva di poter manovrare Hitler a suo piacimento, forte dell’ammirazione che nutriva per lui, e dal quale venne invece fagocitato. Durante il conflitto mondiale, che cercò con ogni mezzo di scongiurare, la sua attività diplomatica, come quella di tutta la Chiesa per ordine suo, fu volta al soccorso non solo spirituale ma anche materiale di quanti erano oppressi, primi fra tutti i nostri fratelli ebrei per i quali era disposto anche a ‘raschiare l’oro delle nostre chiese’: è una realtà storicamente indiscutibile e visibile a chiunque non ami i paraocchi. Tanto grande fu l’attività caritativa – fino a partecipare egli stesso alle sofferenze e privazioni del popolo, andando tra le macerie della ‘sua diletta Roma’ bombardata quando ancora le sirene non avevano dato il segnale di cessato allarme – che la gente prese a chiamarlo ‘l’angelo con gli occhiali’. Dopo lo ‘spettro satanico ‘del nazionalsocialismo, come ebbe a definirlo, venne la volta del marxismo ateo, contro il quale mobilitò le coscienze fino a fulminare la scomunica, distinguendo però il comunismo dalla persona, anticipando così quella distinzione tra errore ed errante, comunemente associata al beato Giovanni XXIII. L’introduzione della messa serale, con la conseguente attenuazione delle norme sul digiuno, la riforma della liturgia della Veglia pasquale, quando ancora di Concilio Vaticano II non si aveva nemmeno idea, bastano da sole per dare la misura della sua illuminata modernità. Alto, esile – riusciva a levarsi in piedi mentre era portato in sedia gestatoria -, di aspetto ascetico ma di modi cordiali, lasciò una profonda impressione sui milioni di persone che affluirono a Roma per l’anno santo del 1950 e nell’Anno mariano del 1954. Fu anche il Papa che comprese per primo l’importanza della televisione, allora nascente, orientando quel potere per il bene delle anime. Nel 1956 compie 80 anni, la cattolicità gli si stringe attorno per festeggiarlo e ringraziarlo, ma anche per confortarlo delle tante calunnie che alcuni andavano diffondendo sulla sua persona e sul suo operato. Nel cortile di San Damaso i popolani di Genzano gli preparano un tappeto di fiori con le immagini che rievocano le benemerenze del suo pontificato. Sono gli ultimi istanti della vita di questo Papa che spese tutto se stesso per la pace, che si incarnò nel pontificato, annullando se stesso, fino a essere avvolto in un’aura di santità personale; tanto che più di ‘un Papa’ apparve a tutti come ‘il Papa’. Pio XII, che ebbe un culto tenerissimo per la Vergine, che proclamò Assunta al cielo e per la quale indisse l’Anno mariano, che fu vicino a tutti pur restando distante da tutti, che una parte della critica ha posto sotto inchiesta ed ingiuriato mentre la Chiesa attende di elevarlo all’onore degli altari… fu, è e resterà sempre il Pastor Angelicus.

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Quanto è cambiato il mondo e la Chiesa nel dopoguerra! https://www.lavoce.it/quanto-e-cambiato-il-mondo-e-la-chiesa-nel-dopoguerra/ Thu, 30 Oct 2003 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=3447 La settimana scorsa, ascoltando alcune relazioni sulla storia della Chiesa dal 1958 ad oggi tenute da studiosi di professione, ho ripensato alla vita di un qualsiasi prete o religioso o laico cristiano impegnato e alle loro molteplici conversioni e sollecitazioni che in questi anni hanno sperimentato non senza lacerazioni e sofferenze. Si è partiti da una stagione di entusiasmante ricostruzione morale e materiale dell’Italia, con una forte carica di entusiasmo cattolico anticomunista, antimaterialista e antiateo. I giovani cattolici erano molto ‘anti’, anche antiprotestanti e antimodernisti. Erano caricati per la lotta aperta e coraggiosa contro il nemico, guidati dal bianco e santo Padre che da Roma era l’ideale pastore e guida. Il tempo di Pio XII, faro luminoso che aveva la parola giusta per ogni questione antica e nuova. Alla morte, penosa, di Eugenio Pacelli, molti hanno pianto ed hanno pensato di aver perduto una luce luminosa e una guida sicura. Quando apparve il suo successore, Roncalli, dopo un momento di spaesamento per la differente mole fisica e per lo stile bonario e quasi banale del suo linguaggio, si intravvidero orizzonti nuovi, un’aria fresca e frizzante, e uno slancio in una direzione diversa, se non opposta, incominciò a serpeggiare non più ‘contro’ ma piuttosto nel senso dell’incontro’. Molti si dovettero convertire soprattutto quando fu annunciato un concilio ecumenico. Ci fu entusiasmo e i cattolici scoprirono l’ecumenismo, le religioni, la libetà religiosa, il mondo con il gaudio e la speranza. Ci fu conversione pastorale. Si attenuarono alcuni aspetti tipicamente cattolici in un misto di transizione che culminò nella celebrazione conciliare in un tempo di grande fermento e attesa. Giovanni conquistò progressivamente tutti con il carismo della sua paternità e fu amato come un padre buono che tutti accoglie. Poi ci fu la stagione della resa dei conti con la conclusione del Concilio e la sua attuazione che portò a qualche durezza, ad abbandoni, a eccessive interpretazioni, a fughe in avanti e fuori. Ci furono i progressisti, gli alternativi, i dissidenti, i contestatori, gli innovatori radicali e per contraccolpo i tradizionalisti e i nostalgici. Paolo VI soffrì e pensò di poter governare la complessità della vita della Chiesa con il suo magistero lucido, intelletualmete perfetto, dal calore umano che traspariva appena dalla secca figura e dal tagliente tono della voce. Furono anni importanti in cui si vissero in profondità i problemi e con una certa angoscia venivano cercate soluzioni difficili per trattenere il popolo di Dio entro i confini della antica tradizione cattolica. Italo Mancini scriveva ‘Come poter continuare a credere’. C’era la contestazione giovanile. Un assistente Fuci in quegli anni non poteva parlare prima degli altri perché avrebbe potuto condizionare, non poteva parlare per ultimo perché avrebbe potuto stravolgere il senso del discorso con delle sue conclusioni. Era l’amore alla critica e alla libertà portata dentro la Chiesa. Ma un’altra conversione doveva succedere con l’avvento del Papa che veniva da lontano e che portava una robusta carica di fede salda indiscussa e invincibile, senza tentennamenti e paure. E questa è la storia che sta sotto gli occhi di tutti, fresca di giornata, si potrebbe dire. Ebbene tutto questo è stato tematizzato nelle giornate di Assisi ed è notevole il fatto che degli autentici storici abbiano preso in esame non più il passato prossimo o remoto ma il presente, aiutando le persone che lo vivono, a capire se stesse attraverso le vicende in cui in qualche modo direttamente o indirettamente sono coinvolte. Quando usciranno gli Atti di questo convegno potremo ripercorrere le vicende e ripensare con serenità una storia, che comunque ha il sapore della vita. Di crisi in crisi, per una sempre ulteriore crescita verso la piena maturità dei figli di Dio.

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