Pio IX Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/pio-ix/ Settimanale di informazione regionale Thu, 02 Dec 2021 17:03:23 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Pio IX Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/pio-ix/ 32 32 Il culto di San Giuseppe nella Chiesa fino ad oggi https://www.lavoce.it/il-culto-di-san-giuseppe-nella-chiesa-fino-ad-oggi/ Wed, 18 Mar 2015 17:54:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30941 San-giuseppeIl mese di marzo, che quest’anno porta con se anche il giorno della domenica delle Palme,scorre all’interno dei suoi 31 giorni molto belle ed illustri figure di santi.

Tra queste, una però spicca per la pietà e la devozione di cui è fatta oggetto, quella di San Giuseppe sposo della Vergine Maria.

Il culto di san Giuseppe fu introdotto molto tardi nella Chiesa, essendo necessario che fossero prima ben definite la Divinità del Redentore e la Maternità di Maria. Una prima traccia si trova in alcuni calendari Copti del secolo VIII-IX. In occidente,benché il santo Patriarca sia stato oggetto di lode da parte dei Padri, il suo culto si trova nel secolo XI. Nel secolo seguente i Crociati edificarono una grandiosa basilica a san Giuseppe nel luogo, dove la tradizione indicava la sua casa e la sua bottega. Il culto di san Giuseppe prese largo sviluppo dal 1400 anche per opera di Giovanni Gersone, san Bernardino da Siena, dei Francescani e dei Carmelitani.

Ad invocare il suo alto patrocinio hanno invitato i fedeli tra i più grandi santi della Chiesa come Alfonso de Liguori o santa Teresa d’Avila. Costei nella sua Autobiografia scrisse: “Non so come si possa pensare alla Regina degli Angeli e al molto da lei sofferto col Bambino Gesù, senza ringraziare san Giuseppe che fu loro di tanto aiuto”.

La santa Chiesa attraverso i Sommi Pontefici ha continuamente onorato (e tuttora onora) la figura di san Giuseppe, elevandolo a modello di pietà e devozione per tutti i fedeli.

Sisto IV inserì nel Messale la sua festa, con il grado di Rito semplice fissandola per il 19 marzo;

Gregorio XV la rese di precetto, mentre Clemente X la elevò a festa Doppia di seconda classe.

Il beato Pio IX il 10 settembre 1847 estese la festa di san Giuseppe a tutta la Chiesa, e l’8 dicembre 1870 lo proclamava ufficialmente Patrono della Chiesa universale. Papa Mastai Ferretti aveva saputo cogliere in san Giuseppe due aspetti straordinari: l’essere il Padre davidico del Redentore e lo Sposo della sua Vergine Madre. San Giuseppe viene chiamato ad esercitare i diritti e i doveri di vero Padre e di vero Sposo, compito questo che non termina colla morte terrena del santo, ma che prosegue nella vita della Chiesa fino alla fine dei tempi.

Leone XIII nell’enciclica Quamquam pluries del 15 agosto 1889 , dichiara solennemente che “tutti i Cristiani di qualunque condizione o stato, hanno ben motivo di affidarsi e abbandonarsi all’amorosa tutela di san Giuseppe.”. Nella stessa occasione papa Pecci concede l’indulgenza di 7 anni e 7 quarantene a tutti i fedeli ogni qual volta reciteranno l’Orazione “A te, o Beato Giuseppe, stretti nella tribolazione ricorriamo……”

Di san Giuseppe, san Giovanni XXIII – che volle il suo nome inserito accanto a quello della Vergine Maria nel Canon Missae – parlava spesso nei suoi discorsi ed allocuzioni. Come bonariamente rimproverava a san Pietro di “non essersi comportato troppo bene” nel momento in cui la triste vicenda del Cristo chiedeva aperto e leale appoggio, così raffigurava il falegname di Nazaret come un uomo taciturno, modesto, appartato, intento al duro lavoro. A lui il Papa Buono fece destinare l’Altare principale della crociera di sinistra della basilica vaticana, precedentemente dedicato alla crocifissione di san Pietro, e si recò egli stesso ad inaugurarlo. Nell’ occasione papa Giovanni si compiacque con l’artista Achille Funi di Milano, autore del disegno del mosaico posto sull’Altare, per aver raffigurato” finalmente un san Giuseppe dall’aspetto giovanile” .

In altra occasione, durante un udienza generale, notò come le chiese dedicate a san Giuseppe non fossero molte nel mondo e aggiunse, con tono di raccomandazione:” San Giuseppe bisogna tenerselo da conto! Sorpassa sant’Antonio ed altri Santi, ai quali è giusto che si conservi la venerazione: E’ ben vero ciò che sentivo dire sin da ragazzo, che cioè non si è mai sentito dire che qualcuno si sia rivolto a san Giuseppe senza ottener grazia.”

Questo per citare soltanto alcuni dei grandi Pontefici che all’interno del loro Magistero hanno riservato a san Giuseppe un posto di grande rilevanza.

Non si deve dimenticare poi,che tra i tanti patrocini del Padre-Custode di Gesù vi è anche quello degli agonizzanti, dai quali viene invocato, poiché soltanto san Giuseppe ebbe la felice sorte di essere assistito nel momento del trapasso da Gesù e Maria.

In virtù di tutto questo e di molto altro ancora, la Chiesa incoraggia da sempre i fedeli a rivolgersi a questo celeste patrono,con quella bella ed antica frase latina così scolpita nella mente e nel cuore dei buoni Cristiani da non aver bisogno di alcuna traduzione: Ite ad Joseph.

 

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Due papi, due santi https://www.lavoce.it/due-papi-due-santi/ Thu, 17 Apr 2014 12:57:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24542 PapaumbriaHo avuto una leggera incrinatura mentale sul titolo da dare a questa riflessione. Scrivere “Due papi due santi” oppure “Due santi due papi”? Sono santi e perciò sono diventati papi, oppure sono papi e per questo sono stati dichiarati santi? Questione di lana caprina, si potrà dire. Ma in questi giorni molti commentatori e storici hanno messo in evidenza che i due personaggi che vengono dichiarati solennemente santi sono tali per grazia di Dio e per loro meriti e non per lo stato di pontefici. In altri termini, scavando nella storia di Carol Woityla e di Angelo Roncalli vi sono tracce che indicano la loro virtù e i grandi doni di grazia ricevuti dallo Spirito che sarebbero emersi anche se non fossero diventati papi. Infati non tutti i papi sono santi. È indubbio che vi sono state nella storia delle canonizzazioni di tipo oggettivo e istituzionale destinate a far emergere la funzione storica e l’influsso esercitato nella storia della Chiesa: diciamo un uso “politico” della canonizzazione. Un esempio tipico è quello di Costantino che gli ortodossi considerano santo per aver dato la libertà ai cristiani con il famoso “Editto di Milano” del 313, e non per meriti personali avendo trascorso una vita tutt’altro che evangelica. Possiamo dire una santità oggettiva, risultata dalle scelte politiche, più che per le virtù praticate. Altra osservazione messa in giro da alcuni tradizionalisti in questi giorni è rivolta ad osservare la “strana” santità di personaggi che hanno avuto una vita normale e bella, piena di soddisfazioni e di riconoscimenti che non sembra paragonabile alla vita di padre Pio da Pietrelcina e di tanti altri Santi della tradizione cattolica. Come se la santità fosse riservata a precisi canoni di comportamento e di spiritualità. I nostri due papi non sono santi perché papi, ma perché riconosciuti degni di questo titolo e posti sul candelabro perché tutti possano continuare a vedere le loro opere buone e glorificare il Padre, e prenderli come guide ed esempi di vita cristiana. Potremmo dire che sono santi e papi nello stesso tempo e in maniera simbiotica. Una santità che si è espressa nella loro vita privata ed è come esplosa nell’esercizio del governo della Chiesa universale. Un grande evento dello Spirito che ha voluto esaltare il carisma e il ministero, la persona e la funzione, la vocazione e la missione, come segno di unità nella pluriformità dalle azioni e dei modi di essere, degli stili di vita, della formazione teologica e culturale. Il papa Francesco da cui dipende in ultima istanza la decisione di “canonizzare” Woityla e Roncalli ha usato il dono del discernimento e non ha fatto una scelta trasversale sommaria dichiarando santi tutti i papi – che tali in generale si potrebbero ritenere almeno da Pio IX a Giovanni Paolo II – ed è stato aiutato in tale decisione di giudizio definitivo dal “sensus ecclesiae”, che in termini banali potremme dire il fiuto del popolo, l’odore di santità, il profumo di vangelo, che il popolo ha recepito da subito, in maniera corale e cordiale, dalla acclamazione al “Papa Buono” al grido “Santo subito” di piazza San Pietro. Sappiamo quanta stima e fiducia papa Francesco riservi al popolo nella sua semplice e immediata percezione di fede, nel suo intuito spirituale. Francesco è il Papa che ha cominciato il suo ministero petrino chiedendo la benedizione del popolo. Se andiamo a vedere la storia della Chiesa possiamo ricordarci che spesso è stata determinante la vox populi per considerare qualcuno santo. Francesco d’Assisi, ad esempio, è stato dichiarato santo due anni dopo la sua morte (1228) in questo modo. Nella Chiesa il popolo di Dio nel suo complesso, guidato dallo Spirito, in comunione con i suoi pastori, è protagonista, soggetto, destinatario e custode della santità, ricchezza e respiro dell’umanità. La festa della Chiesa e la gioia del mondo intero per questa doppia canonizzazione è un evento della Storia e una vittoria dello Spirito che ancora oggi aleggia sulla creazione in cerca di armonia e di pace. Di ciò ognuno di noi deve essere profondamente grato.

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Quelle due ore e passa https://www.lavoce.it/quelle-due-ore-e-passa/ Fri, 28 Feb 2014 14:43:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22856 DON ANGELO fanucciChe belle, il pomeriggio di domenica 23 febbraio 2014, le due ore e passa trascorse nel Duomo di Perugia gremito di gente, stretti intorno a Gualtiero Bassetti, neo cardinale di Santa Romana Chiesa, che Papa Francesco ha capato in una selva di zucchetti violacei assortiti, regalandogli uno zucchetto color porpora, perché faccia il cardinale così come lo intende lui.

Dalla parte destra del transetto, dov’ero seduto, tra i preti come me, riuscivo a vedere poco o niente, anche per la barriera formata dalle mitre dei Vescovi che sedevano 80 cm. più in alto. “Babo, perché ‘l vescovo se mette su la testa quela gumèra?” Gumèra, vomero. Da bambino l’avevo chiesto a babbo Adamo, che non aveva saputo rispondermi. Se qualcuno me le chiedesse oggi, risponderei: per impedire di vedere. Effettivamente non di rado la politica di certi settori delle gerarchie ecclesiastiche è stata improntata al proposito di nascondere, più che a quello di trasmettere.

Ma se non vedi, pensi. E io ho pensato a lungo, in quelle due ore. A molte cose. Anche, a quel 20 giugno 1859, quando le truppe papali, forti di duemila Svizzerotti dagli occhi di ghiaccio, sfondarono a Porta San Pietro le gracili difese dei Perugini, rei di non volere più lo Stato Pontificio, e passarono sopra le barricate, presero d’assalto tutte le case ed il convento ove uccisero e ferirono quanti poterono, non eccettuate alcune donne, e … nella Locanda a S. Ercolano uccisero il proprietario e due addetti: è la testimonianza di prima mano di un ufficiale dell’Esercito pontificio. Poi il beato Pio IX, a malincuore (credo, e spero) fece coniare una medaglia al valore per gli “eroi” di quelle giornate.

Quanto tempo è passato! Molto più di un secolo e mezzo. Intravvedevo a tratti, fra la selva di “gumère” vescovili, la faccia paciosa di Catiuscia Marini e quella arguta di Wladimiro Boccali, che è la stessa di quando, poco meno di venti anni fa, fondammo il CeSVol di Perugia, mia la prima firma, sua la seconda: aveva messo i calzoni lunghi da pochi giorni. Pensavo: loro sarebbero gli eredi delle vittime di allora, noi saremmo gli eredi dei carnefici di allora? Ma anche stavolta il calcolo dei dadi più non torna. Le parti si invertono, e la vittima diventa il prepotente. Il vero incontro fra Stato e Chiesa doveva avvenire sul piano sociale, lo Stato doveva chiedere alla Chiesa di esprimere al massimo le enormi potenzialità che nel rapporto con i poveri il Vangelo le assegna, e riservarsi di verificarne la correttezza civile e l’inquadramento in un disegno operativo d’insieme stabilito dallo Stato. E invece … Eh sì! La lingua batte dove il dente duole. Duole da quando Lorsignori nel 2005 dissero di voler recuperare il principio di sussidiarietà nel nuovo Statuto della Regione Umbria e riuscirono solo ad abbozzarne una caricatura.

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9 ottobre, memoria di Pio XII il “Pastor angelicus” https://www.lavoce.it/9-ottobre-memoria-di-pio-xii-il-pastor-angelicus/ Thu, 10 Oct 2013 12:34:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20014 pio-XII-braccia-aperteIl 9 ottobre di 55 anni fa moriva Pio XII, uno dei grandi Pontefici del passato secolo, chiamato a regnare sulla Chiesa durante gli anni più bui del Novecento.

Proveniente da famiglia tradizionalmente legata al mondo vaticano – il padre Filippo era avvocato concistoriale, la madre Virginia Graziosi traeva le sue origini dall’aristocrazia della solenne Tivoli -, Eugenio Pacelli percorse via via tutti i gradi della gerarchia vaticana.

Eletto al Soglio di Pietro il 2 marzo 1939, giorno del suo 63° compleanno, con quasi un plebiscito, si sentì subito un Papa di pace compiacendosi che proprio la parola “pace” fosse contenuta nel suo cognome (la pace del cielo: in latino Pax coeli = Pacelli). Secondo la profezia di san Malachia, a Pio XII era assegnato il titolo di Pastor angelicus, e mai altro nome, neppure oggi, seppe rendere meglio la sua intima natura.

Venne incoronato, come da tradizione, con il triregno che fu di Pio IX e volle, affacciandosi la prima volta dal balcone centrale di san Pietro, il drappo con le insegne pontificali del suo predecessore Pio XI del quale fu segretario di Stato e al quale lo legava un affetto filiale.

La benedizione a braccia aperte, in atteggiamento ieratico, sembrava voler abbracciare le gioie e le angoscie della intera umanità

Già nunzio apostolico a Monaco e Berlino, conobbe fin troppo bene i retroscena del Terzo Reich, comprendendo come un suo intervento esplicito non avrebbe risolto nulla, anzi peggiorato ancora di più la situazione. Non fu dunque silenzio il suo, ma azione senza clamore, volta a guadagnare il bene dei perseguitati più che la lode del mondo alla sua persona.

Qualcuno lo disse cieco, quasi “prigioniero” nella sua principesca lontananza dal mondo, ma Pio XII fu più lungimirante di molti. Pù del Duce, ad esempio, che credeva di poter manovrare Hitler a suo piacimento, forte dell’ammirazione che nutriva per lui, e dal quale venne invece fagocitato.

Durante il conflitto mondiale, che cercò con ogni mezzo di scongiurare, la sua attività diplomatica, come quella di tutta la Chiesa per ordine suo, era volta al soccorso non solo spirituale ma anche materiale di quanti erano oppressi (come non ricordare quel grande “archivio di carità” che fu la Pontificia opera di assistenza), in modo particolare i nostri fratelli ebrei per i quali era disposto anche a “raschiare l’oro delle nostre chiese”: è una realtà storicamente indiscutibile e visibile a chiunque. Tanto grande fu l’attività caritativa, fino a partecipare egli stesso delle sofferenze e privazioni del popolo, andando tra le macerie della “sua diletta Roma” bombardata, quando ancora le sirene non avevano dato il segnale di cessato allarme, che la gente prese a chiamarlo “l’angelo con gli occhiali”.

Dopo lo “spettro satanico” del nazional-socialismo (come ebbe a definirlo), venne la volta del marxismo ateo, contro il quale mobilitò le coscienze fino a fulminare la scomunica, distinguendo però il comunismo dalla persona, anticipando così quella distinzione tra errore ed errante, comunemente associata al beato Giovanni XXIII.

L’introduzione della messa serale, con la conseguente attenuazione delle norme sul digiuno, la riforma della liturgia della Veglia pasquale (enciclica Mediator Dei), prima del Concilio Vaticano II bastano da sole per dare la misura della sua modernità.

Alto, esile – riusciva a levarsi in piedi mentre era portato in sedia gestatoria -, di aspetto ascetico ma di modi cordiali, lasciò una profonda impressione sui milioni di persone che affluirono a Roma per l’Anno santo del 1950 e nell’anno mariano del 1954. Fu anche il Papa che comprese per primo l’importanza della televisione, allora nascente, orientando quel potere per il bene delle anime.

Nel 1956 compie 80 anni. La cattolicità gli si stringe attorno per festeggiarlo e ringraziarlo, ma anche per confortarlo delle tante calunnie che alcuni andavano diffondendo sulla sua persona e sul suo operato. Nel cortile di San Damaso i popolani di Genzano gli preparano un tappeto di fiori con le immagini che rievocano le benemerenze del suo pontificato. Sono gli ultimi istanti della vita di questo Papa che spese tutto se stesso per la pace, annullando se stesso, avvolgendo il pontificato di un’aura di santità personale.

Pio XII, che ebbe un culto tenerissimo per la Vergine, che proclamò Assunta al cielo e per la quale indisse l’Anno mariano, che fu vicino a tutti pur restando distante da tutti, tari fu, è e resterà sempre il Pastor angelicus.

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Per amore dello studio https://www.lavoce.it/335/ Tue, 03 Jan 2012 07:06:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=335 Si è tenuto di recente a Castel Rigone una serata di approfondimento sugli studi storici di mons. Giuseppe Cernicchi. Di umilissime origini, con il proprio ingegno e ferrea volontà si fece largo nella strada del sapere e si distinse su tanti altri coetanei raggiungendo traguardi ragguardevoli.
Era nato a Castel Rigone, in piazza Monterone al n. civico 16 (primo piano) il 31 agosto 1846 da Angelo e Teresa Bonelli, ai quali fu sempre obbediente, i quali per necessità dovettero avviarlo al lavoro dei campi. Crebbe con sani insegnamenti da parte della pia madre troppo prematuramente perduta. Giuseppe amava appassionatamente lo studio, e nei campi, mentre i buoi riposavano o pascolavano, apriva il libro e soddisfaceva l’intelletto, e poi la sera, anche se stanco, andava dal buon parroco che lo aiutò non poco: controllava i suoi progressi e gli dava nuove spiegazioni.
Il parroco don Andrea Lucarini si era accorto della prodigiosa capacità di apprendere del suo allievo, e così per le cose di Dio. L’occasione si presentò con la visita pastorale del card. Gioacchino Pecci al quale fu presentato e, con l’aiuto finanziario della confraternita Maria Ss. dei Miracoli, poté entrare in Seminario, alla vigilia dei Santi del 1862. Affrontò con successo gli studi. Il 17 dicembre 1870 celebrò in cattedrale la prima messa fra l’esultanza di tutti coloro avevano preso a stimarlo e a frequentarlo. Già nel 1871 in un dibattito sulla recente costituzione “De ecclesia”, dimostrò la profondità del suo pensiero, tanto che la notizia giunse al Papa Pio IX che gli fece pervenire una lode autografa.
Il card. Gioacchino Pecci lo mise in condizione di insegnare nelle scuole pubbliche; fu mandato, a sue spese, all’Università di Napoli. Gli fu quindi offerta una cattedra in un ginnasio della regione campana; rifiutò per tornare a Perugia per l’insegnamento nei licei statali di italiano, latino, greco e filosofia. Alla fine del XIX secolo, quando si dibatteva il problema del rapporto scienza-fede che dette vita a vari movimenti di pensiero i quali mettevano in discussione i dogmi rigidi della Chiesa, si oppose agli stessi con un’opera dal titolo “L’esistenza di Dio di fronte alla scienza”. Era un conservatore, ma libero da preconcetti convenzionali, per cui nemmeno la dottrina giunta d’oltralpe, il modernismo, lo trovò impreparato. Era sempre disponibile verso tutti per consigli che elargiva con saggezza e prudenza. Era aperto anche all’incontro con gli anglicani, tanto che la sua eloquenza persuasiva, li convertiva al cattolicesimo (sic!). Nel 1886 fece stampare un grosso volume su Progresso della Scienza e i suoi rapporti con la Rivelazione.
Il card. Pecci, poi Papa Leone XIII (1878), lo volle alla Accademia filosofico-teologica. Nel 1881 ebbe il diploma di Socio dell’Accademia Filosofico-medica di S. Tommaso con sede in Roma; nel 1884 fu eletto membro effettivo dell’Accademia Cattolica di Roma, ecc.
Ma nel turbinio di tutti gli incarichi non dimenticò il dolce suolo natìo; partecipò sempre alle feste religiose solenni e nemmeno i vari problemi inerenti alla manutenzione del tempio e al suo decoro. Scrisse un opuscolo con il titolo La confraternita della Madonna in Castel Rigone e la legge sulle Opere pie. Nel 1887 raccolse in un volume le sue conferenze accademiche con il tema Che cosa è il Papa. La sua perplessità giovanile era svanita. Aveva compreso l’importanza della figura del Pontefice, la sua alta funzione come rappresentante di Cristo in terra e ne divenne suo strenuo difensore. Scrisse anche una Guida della Cattedrale di Perugia e negli ultimi giorni della sua vita terrena L’acropoli di Perugia e i nostri archivi. Ma non ne vide la luce. Morì il 12 ottobre 1909. Vari organi di stampa – Vita umbra, L’Unione liberale, Etruria di Cortona – ne onorarono con bellissimi articoli la bontà, la varia e profonda cultura, il temperamento leale e sincero, lontano da compromessi, e la serenità in tutte le circostanze. Poi, come aveva scritto “c’ove ebbi la culla abbia la tomba”, dopo 37 anni dalla sua morte, la sua salma fu traslata al cimitero di Castel Rigone per volere riconoscente della confraternita Maria Ss. dei Miracoli di Castel Rigone. Era l’11 novembre del 1946.

Danilo Cardinali

Si è tenuta presso il teatro “G. Verdi” di Castel Rigone, frazione del Comune di Passignano, una serata di cultura per mettere in evidenza come il borgo sia debitore nei riguardi degli studi compiuti da Giuseppe Cernicchi sulla storia delle sue origini e del “nostro magnifico” santuario della Madonna dei Miracoli (1a ed. 1904).Danilo Cardinali, storico di alta levatura – basti citare il suo Castel Rigone. Sette secoli di storia, ristampato di nuovo ultimamente – ha ricostruito la figura di questo sacerdote nato a Castel Rigone nel 1846, ed ordinato sacerdote nel 1870 dal vescovo Gioacchino Pecci (futuro Leone XIII). In particolare è emerso il grande legame che univa mons. Cernicchi alla confraternita di Maria Santissima dei Miracoli alla quale sempre si sentì debitore per avergli pagato metà della retta del seminario, attraverso l’assegnazione di una borsa di studio, ed alla quale evitò di essere assorbita nelle Congregazioni di carità, come imposto dalla legge del 17 luglio 1890 sulle Opere pie. Unanime la gratitudine dei presenti espressa allo storico Cardinali per questa sua paziente disamina storiografica, in primis del sindaco di Passignano Claudio Bellaveglia che ha immediatamente disposto affinché una copia del testo a stampa della relazione “Ricordo di mons. Giuseppe Cernicchi” (otto cartellette di testo) venga custodita anche presso la Biblioteca comunale.

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Fatta l’Italia, la Chiesa fece gli italiani https://www.lavoce.it/fatta-litalia-la-chiesa-fece-gli-italiani/ Thu, 29 Dec 2011 08:34:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=223 “La Chiesa da sempre – prima e dopo il 1861 -, educando le coscienze al senso del bene e del male, all’onestà e all’altruismo, ha contribuito efficacemente a formare gli italiani, continuando una lunga tradizione educativa e culturale e avviando opere di solidarietà e di promozione umana”: così si è espresso il rettore della Pontificia università lateranense di Roma, mons. Enrico dal Covolo, nel discorso introduttivo al convegno “Le radici cristiane dell’Italia unita”, promosso il 30 novembre in occasione dell’esposizione di libri antichi e moderni della biblioteca Beato Pio IX per il 150° dell’Unità d’Italia. “In particolare – ha sottolineato – non possiamo dimenticare il contributo decisivo offerto dai cosiddetti ‘santi sociali’ dell’Ottocento”. Citando un passaggio di un recente intervento del Papa, mons. dal Covolo ha aggiunto che “l’Unità d’Italia ha potuto avere luogo non come artificiosa costruzione politica d’identità diverse, ma come naturale sbocco politico di un’identità nazionale forte e radicata, sussistente da tempo, al cui modellamento il cristianesimo e la Chiesa hanno dato un contributo fondamentale”. “L’Italia ha bisogno dei cattolici, anzi non può farne a meno. Il percorso unitario, non a caso, ha sofferto quando non ha potuto valersi del loro contributo, nei primi decenni della sua storia”, ha poi ricordato mons. Cosimo Semeraro, segretario del Pontificio comitato di scienze storiche. “L’Italia – ha proseguito – ha conosciuto una delle sue stagioni più costruttive quando i cattolici sono stati pienamente coinvolti, nei primi decenni del secondo dopoguerra. Negli ultimi anni, invece, questo rapporto Italia-cattolici è apparso nuovamente più problematico. E non sono stati, come possiamo ben constatare, anni particolarmente felici”. Lo storico ha anche affermato che “un popolo è meno disancorato quando può disporre di radici profonde e avere alle spalle generazioni segnate dalla fede. Specialmente nel campo educativo un popolo siffatto conosce un processo più lento di fronte all’inquinamento dei valori”. Mons. Semeraro ha quindi fatto un cenno di attualità: “Il fatto che uomini come Andrea Riccardi e Lorenzo Ornaghi vengano chiamati oggi a far parte di un governo di emergenza, la dice lunga sul frutto delle radici cristiane in Italia”.

“Senza il cristianesimo questa Europa non sarebbe esistita” secondo il filosofo Dario Antiseri, intervenuto sul tema “Il cattolicesimo liberale nell’epoca del Risorgimento”. “La Grecia – ha evidenziato Antiseri – ha dato all’Europa l’idea di razionalità, ma non ha ‘passato’ i suoi dèi. Invece il cristianesimo ha passato l’idea che un conto è Dio e un altro è lo Stato e le sue istituzioni. Quest’ultimo non deve essere adorato, ma semmai dal cristianesimo è venuto il dovere di ‘giudicare’ lo Stato e il suo rispetto della libertà e della dignità di ogni essere umano. I cattolici liberali dell’Ottocento per lo più erano ‘federalisti’ – ha aggiunto – e condividevano un’idea di persona libera e responsabile, assegnando allo Stato il compito di servire le necessità collettive”. Il “governo cristiano” ipotizzato da alcuni di loro “consisteva nel decentrare con l’arte del ‘lasciar fare’, il contrario dello Stato centralizzato che invece vuole fare tutto. Il liberalismo è un legittimo ‘figlio spirituale’ del cristianesimo, in quanto sa che ogni potere che non è controllato da alcuni contrappesi prima o poi degenera in totalitarismo. Pensatori come Croce, Salvemini e Popper, pur non credenti, riconoscono che valori occidentali come uguaglianza, libertà, giustizia li dobbiamo al cristianesimo”. Riferendosi all’attualità, anche Antiseri ha fatto una riflessione: “I politici cattolici, nella diaspora a partire dal 1994, si è visto che nei vari partiti non contano niente. Oggi succede che per un cane puoi detrarre 360 euro dai tuoi redditi, mentre per un figlio solo 150. Per non parlare dell’incapacità di difendere la scuola libera, per lo più cattolica. Dobbiamo seguitare a essere una presenza nella diaspora – si è chiesto – o pensare a un partito di cattolici liberali? Perché Sturzo e De Gasperi un partito lo hanno fatto…”.

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I doni di Leone XIII https://www.lavoce.it/i-doni-di-leone-xiii/ Thu, 03 Nov 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9749 L’ostensorio raggiato in metallo dorato, smalto e cristallo, dono di Leone XIII nell’anno del suo giubileo (1887), rappresenta certamente uno dei pezzi più significativi dell’esposizione in corso al Museo del Capitolo della cattedrale di Perugia. Il tema è “Il sacrificio di Gesù Cristo. Forma e funzioni. Temi sacri nell’arte antica e contemporanea”. Il recente Congresso eucaristico che si è svolto ad Ancona, a cui ha partecipato anche la Chiesa umbra, ha spinto la Conferenza episcopale umbra a sviluppare un’idea comune di riflessione su tale tema. Una riflessione nella quale sono stati coinvolti i tredici musei della Rete ecclesiastica umbra, con la realizzazione di una mostra in simultanea nelle loro rispettive sedi. Ogni museo espone dunque con particolare attenzione alcune opere, di varia tipologia, legate al tema del sacrificio di Cristo. Un tema a cui la Chiesa nel corso dei secoli ha dedicato sempre grande venerazione e a cui artisti di ogni epoca si sono ispirati per realizzare opere di estremo valore simbolico, oltre che artistico. Finalità della mostra – scrive nella presentazione della piccola guida l’arcivescovo mons. Gualtiero Bassetti, delegato Ceu per i B eni culturali ecclesiastici dell’Umbria – “è stata quella di predisporre degli itinerari di fede e di cultura che sapranno guidare i visitatori nella meditazione sulla redenzione umana e sull’istituzione dell’eucaristia. Lungo i secoli la Chiesa ha ricordato e celebrato questo grande mistero, circondandolo di venerazione e bellezza, con profondi gesti liturgici e grande decoro artistico”. La maggior parte delle opere in mostra a Perugia appartengono già al patrimonio espositivo del Museo del Capitolo della cattedrale. Per l’occasione vengono mostrate con particolare attenzione: una scheda ne spiega forma e caratteristiche, nonché funzione liturgica e significato religioso. Tra le varie opere esposte attraggono senz’altro l’occhio del visitatore le argenterie: accanto all’ostentorio raggiato di Leone XIII, se ne trova un altro in stile neogotico a forma di guglia, dell’argentiere belga Bordon Gand, sempre dono di Leone XIII per il 50° anniversario della sua nomina a vescovo di Perugia, in argento dorato, pietre dure e gemme vitree. Bellissima la croce processionale, opera di un argentiere francese del XIX secolo: l’abile mano dell’artista ha saputo applicare con cura smalti e gemme vitree. E poi il prezioso calice papale, realizzato nel XIX secolo dall’argentiere Giovanni Bellezza: venne donato dal marchese Paolo Rescalli a papa Pio IX che, a sua volta, lo donò alla cattedrale di Perugia. In un’altra sala è stato ricomposto parte dell’altare della Pietà, opera di Agostino di Duccio che lo eseguì tra il maggio del 1473 e l’aprile del 1474 su commissione dell’ospedale della Misericordia e realizzato grazie al lascito testamentario del perugino Niccolò Ranieri. I bassorilievi ricomposti appartenevano ad un’altare originariamente collocato nella cattedrale di San Lorenzo. L’altare venne smantellato nei secoli XVII e XVIII e poi, nel secolo XIX, ricomposto in modo incompleto e improprio. I pezzi sono stati recentemente restaurati a cura dell’Istituto centrale del restauro di Roma. Al centro si trova il Cristo morto, seduto sul sepolcro, alla cui sinistra figura Gesù insieme a Maria, sua madre, e a destra l’apostolo Giovanni. Tra le altre opere in mostra vi è anche un crocifisso in bronzo, di splendida fattura, nonché calici, un gonfalone di Benedetto Bonfigli e un manoscritto risalente al XIII secolo, opera di straordinaria qualità esecutiva che, secondo alcuni studiosi, sarebbe stato prodotto nella roccaforte templare di San Giovanni d’Acri, in Terra Santa. La mostra rimarrà aperta fino al 31 marzo, da martedì a venerdì dalle 9 alle 14, sabato e domenica 10 – 17. Lunedì chiuso.

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I cattolici volevano gli Stati uniti d’Italia https://www.lavoce.it/i-cattolici-volevano-gli-stati-uniti-ditalia/ Thu, 28 Jul 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9547 Le celebrazioni per il 150° dell’Unità hanno prodotto un rilancio, mai così vasto e diffuso, dei nostri simboli, della bandiera tricolore, dell’Inno di Mameli, delle melodie risorgimentali. Si è dunque largamente compresa e condivisa la convinzione, anche da parte dei Vescovi italiani, che la memoria degli eventi che condussero alla nascita dello Stato nazionale unitario e la riflessione sul lungo percorso successivamente compiuto possono risultare preziose nella difficile fase che l’Italia sta attraversando, in un’epoca di profondo e incessante cambiamento della realtà mondiale. È stato un successo inatteso poiché da tempo, ormai, il Risorgimento non toccava più il cuore degli italiani, anzi negli ultimi anni sono ricomparse le memorie antirisorgimentali veicolate dall’antiunitarismo della Lega, dalla ripresa in una parte dell’opinione pubblica meridionale delle antiche recriminazioni sul “saccheggio del Sud”, e infine dalle pulsioni antirisorgimentali di una parte del mondo cattolico, che continua a considerare il Risorgimento come un grande complotto “laico-massonico”. Ricostruzioni legittime del Risorgimento, ma il cui fine sembra essere in prevalenza quello della polemica politica da spendere nell’attualità. Soprattutto il tema del rapporto tra cattolici e Risorgimento merita qualche ulteriore considerazione perché – accanto a libri e interventi che hanno messo in evidenza il rapporto tra movimento unitario e processo di scristianizzazione dell’Italia (M. Viglione, 1861: Le due Italie e A. Pellicciari , L’altro Risorgimento, entrambi editi da Ares, 2011), oppure al revisionismo positivo del cardinal Giacomo Biffi che in un pamphlet (L’Unità d’Italia. Centocinquant’anni 1861-2001, Cantagalli Editore 2011), pur non mettendo in dubbio i risultati dell’Unità, segnala i tanti punti da considerare per celebrare senza retorica e false certezze un evento così importante – hanno visto la luce riflessioni e saggi che hanno profondamente riconsiderato questo rapporto e messo in evidenza che l’Italia restò un Paese cattolico (A. Riccardi, Avvenire 03/11/2010) e che i cattolici, per usare una metafora calcistica, entrarono nel secondo tempo: non fecero l’Italia, ma gli italiani (P. Viana, Avvenire 12/03/2011). Il punto centrale da cui partire è quello di operare una distinzione tra il processo che ha portato all’Unità d’Italia, a cui diamo nome di Risorgimento, e il periodo successivo, ovvero i primi passi dello Stato nazionale italiano. Se è vero che accanto a Mazzini, a Garibaldi e a Cavour ci sono stati Antonio Rosmini e Vincenzo Gioberti, che pensarono al nuovo assetto politico e sociale della penisola in termini “italiani”, e che videro nel confluire di culture e tradizioni locali diverse, amalgamate dallo stesso cemento della fede cattolica, le condizioni per la nascita di uno Stato confederale, sul tipo della Svizzera o degli Stati Uniti d’America, è pure vero che la “questione cattolica” nasce con la Breccia di Porta Pia, nel 1870, quando, con un atto di forza, finisce il Risorgimento e si completa la formazione dello Stato italiano, riconosciuto in quanto tale a livello internazionale. Ma anche qui: Manzoni, non curandosi della scomunica, votò a favore di Roma capitale, e come lui altri cattolici si dichiararono favorevoli al nuovo Regno, rendendo così difficile l’individuazione di un esplicito disegno di esclusione dei cattolici dal processo risorgimentale. Certamente ci sono state fasi in cui una classe politica fortemente condizionata dalla massoneria ha attuato misure repressive; ciò nonostante, soprattutto a livello locale, personaggi radicalmente anticlericali intrattenevano buone relazioni con i vescovi e il clero, mentre i cattolici liberali o i cattolici transigenti avevano valutazioni molto difformi rispetto alle indicazioni vaticane. Sturzo, per esempio, rimase sempre obbediente, ma era contrario al Non expedit. La storia, insomma, va letta come un processo in cui contrapposizioni e conflitti alla fine tendono a smussarsi e a ricomporsi e i ruoli, qualche volta, persino a rovesciarsi. L’avvento del nuovo Regno costrinse la Chiesa a rimodellare profondamente la sua struttura. Ci sono atti e cambiamenti radicali: le leggi sull’asse ecclesiastico e la soppressione degli Ordini religiosi chiudono storici monasteri, demoliscono un mondo antico di vita religiosa, mentre si secolarizzano le opere pie, l’assistenza, l’istruzione. Sembra la fine di un mondo e tuttavia, ha scritto Andrea Riccardi, “nonostante le comprensibili deprecazioni di fronte alla volontà di ridurre il ruolo della Chiesa, questa fine del mondo diventa la fine di un mondo, non la fine del cattolicesimo nel Regno d’Italia”. Resta in piedi, infatti, riconosciuta dallo Stato, la struttura pastorale della cura d’anime, rappresentata dalle parrocchie e dalle diocesi, con la funzione primaria di fornire assistenza religiosa ai nuovi cittadini italiani; una responsabilità non messa in discussione dal governo italiano, che continua a considerare il cattolicesimo religione di Stato. Ma esso resta tale soprattutto tra la gente, e almeno fino all’avvento dell’anticlericalismo socialista che, al contrario di quello borghese e liberale, penetra profondamente nelle masse italiane, l’Italia resta un Paese cattolico. La storiografia più accreditata ha dimostrato che i cattolici nei decenni successivi divennero “canali di integrazione dentro lo Stato”, che essi in fondo non erano contro l’unità ma contro lo Stato liberale, e che lo stesso Pio IX non era contro l’Italia ma contro il concetto di rivoluzione. Del resto, se guardiamo la storia nel lungo periodo dobbiamo pensare che il Ppi di Sturzo e, anni dopo, la Dc di De Gasperi, non nascono per caso, ma sono il frutto dell’evoluzione di questo processo. Dall’altra parte si deve prendere atto che la creazione dello Stato italiano ha fatto nascere, seppur lentamente, non solo una Chiesa italiana ma ha anche consentito alla Chiesa di Roma di accentuare il suo universalismo. (Nella foto l’inaugurazione del Parlamento a palazzo Madama a Torino il 2 aprile 1860, a cui parteciparono anche Manzoni e Cavour)

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Il mondo non lo si salva con i luoghi comuni https://www.lavoce.it/il-mondo-non-lo-si-salva-con-i-luoghi-comuni/ Thu, 09 Jul 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7684 L’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, presentata il 7 luglio, trasforma la dottrina sociale della Chiesa nientemeno che nel rapporto tra la Chiesa e il mondo, dato che essa tratta dello ‘sviluppo umano integrale nella carità e nella verità’, dilatando all’estremo il tema della Populorum progressio di Paolo VI.

È quindi una grande enciclica perfettamente inserita nel pontificato di Benedetto XVI, che non solo ha fatto dei due termini carità e verità il cuore del suo magistero, ma ha anche posto nel modo più radicale il tema di “Dio nel mondo” ossia se il cristianesimo sia solo utile o anche indispensabile alla costruzione di un vero sviluppo umano. Il Papa pensa che sia indispensabile e in questa enciclica dice perché. È un’enciclica coraggiosa, in quanto elimina ogni possibile perplessità sul ruolo pubblico della fede cristiana e sul fatto che da essa derivi una coerente visione della vita, in concorrenza con altre visioni. Il mondo, secondo la Caritas in veritate, non è solo da accompagnare nel dialogo e mediante una carità senza verità, ma è da salvare mediante la carità nella verità. Per ottenere questo risultato il Papa ha da un lato “riabilitato” Paolo VI e dall’altro ha indicato il punto di vista teologico dal quale la Chiesa deve considerare i fatti sociali.

Un ostacolo rimosso

L’intero primo capitolo dell’enciclica è dedicato a Paolo VI, appunto per ricordare la sua Populorum progressio del 1967. Paolo VI non era incerto sul valore della dottrina sociale della Chiesa, come molti hanno detto e continuano a dire, e non ha per nulla ridimensionato l’importanza di una presenza pubblica del cristianesimo nella storia. Anzi, dice Benedetto XVI, egli ha gettato le basi del grande rilancio che di lì a poco avrebbe fatto Giovanni Paolo II. Viene così tolto di mezzo uno dei principali argomenti dei teologi che hanno contestato il presunto carattere ideologico della dottrina sociale della Chiesa.

Essendo Paolo VI il Papa del Concilio, va da sé che le precisazioni della nuova enciclica riguardano la valutazione di un intero periodo. Queste affermazioni del Papa hanno la stessa importanza della condanna dell’ermeneutica della frattura circa il Vaticano II da lui fatta nel dicembre 2005. La Caritas in veritate, infatti, afferma che non esistono due dottrine sociali, una pre-conciliare ed una post-conciliare, ma un’unica dottrina sociale della Chiesa. Pio IX o Leone XIII non si erano sbagliati. Fonte: il VangeloQuanto alla visione teologica da cui partire, il Papa chiarisce che questa è la fede apostolica e non qualche problema sociologicamente inteso.

Insomma la Chiesa non parte “dal mondo”ma dalla fede degli apostoli. Solo così essa può essere utile al mondo. Questa è la prospettiva centrale di tutta l’enciclica e spiega l’insieme delle valutazioni che vi sono contenute. Che lo sviluppo vero non possa tenere separati i temi della giustizia sociale da quelli del rispetto della vita e della famiglia; che non si possa lottare per la salvaguardia della natura dimenticando la superiorità della persona umana nel creato; che l’eugenetica sia molto più preoccupante della diminuzione della biodiversità nell’ecosistema; che l’aborto e l’eutanasia corrodano il senso della legge e impediscano all’origine l’accoglienza dei più deboli, rappresentando una ferita alla comunità umana dalle enormi conseguenze di degrado; che l’economia abbia bisogno di gratuità e che questa non si debba aggiungere alla fine o a latere dell’attività economica, ma deve essere elemento di solidarietà dall’interno dei processi economici, dato che ormai, tra l’altro, l’attività redistributiva dello Stato è pressoché impossibile.

Queste ed altre valutazioni l’enciclica le trae dal Vangelo, e mentre con il Vangelo illumina queste realtà – società, economia, politica – le restituisce anche a se stesse, all’autonomia della loro dignità, riscontrando impensate convergenze tra la visione cristiana e i bisogni autentici della società umana. Pensiamo, per esempio, all’economia: la globalizzazione impedisce di fatto agli Stati di organizzare la solidarietà “dopo” la produzione.

Bisogna organizzare la solidarietà già dentro la produzione, come cerca di fare per esempio, tra mille contraddizioni, il movimento della responsabilità sociale dell’impresa. Qui si incontrano i bisogni concreti dell’economia globalizzata di oggi e le indicazioni della fede cristiana, secondo le quali l’economia è sempre un fatto umano e comunitario e, quindi, la dimensione etica non la riguarda solo “dopo” ma fin dall’inizio.

Le novità

In questa enciclica per la prima volta vengono trattati in modo sistematico i temi della globalizzazione, del rispetto dell’ambiente, della bioetica e della sua centralità sociale, che nelle precedenti encicliche erano stati solo sfiorati. È un’enciclica che guarda decisamente al futuro, con il coraggio del realismo della sapienza cristiana. Lo schema Nord-Sud è superato, dice Benedetto XVI; la responsabilità del sottosviluppo non è solo di alcuni ma di tanti, compresi i Paesi emergenti e le élites di quelli poveri; talvolta anche le organizzazioni umanitarie e gli organismi internazionali sembrano più interessati al proprio benessere e a quello delle proprie burocrazie che non allo sviluppo dei poveri; il turismo sessuale è sostenuto non solo dai Paesi da dove partono i “clienti”, ma anche da quelli che lo ospitano; la corruzione la si ritrova in tutta la filiera degli aiuti umanitari, se i Paesi occidentali sbagliano a proteggere eccessivamente la proprietà intellettuale, specialmente per i farmaci, nelle culture dei paesi arretrati ci sono superstizioni e visioni ancestrali che bloccano lo sviluppo, e così via.

È un’enciclica che condanna le ideologie del passato ed anche quelle nuove: dall’ecologismo al terzomondismo. Essa affronta però soprattutto una ideologia, l’ideologia della tecnica, alla quale è dedicato l’intero capitolo sesto. Dopo il crollo delle ideologie politiche si è consolidata l’ideologia della tecnica, tanto più pericolosa in quanto si alimenta di una cultura relativista, alimentandola a sua volta. Il punto di vista centrale dell’enciclica è stato riassunto dal vescovo Crepaldi come la “prevalenza del ricevere sul fare”.

E siamo così tornati al problema di fondo: senza Dio gli uomini sono frutto del caso e della necessità e nulla possono ricevere. Ma il mondo – il mercato come la comunità politica – ha bisogno di presupposti che esso stesso non si sa dare. La pretesa cristiana rimane sempre la stessa.

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Le iniziative in diocesi per il primo centenario di Leone XIII https://www.lavoce.it/le-iniziative-in-diocesi-per-il-primo-centenario-di-leone-xiii/ Thu, 24 Oct 2002 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=2747 Il 2003 sarà l’anno di Leone XIII, il Papa che prima di salire al soglio pontificio fu vescovo di Perugia dal 1846 al 1878. L’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Giuseppe Chiaretti ha illustrato alla stampa le numerose iniziative culturali messe in cantiere in diocesi per celebrare il primo centenario della morte di Leone XIII (1903-2003), al secolo Gioacchino Pecci (nato il 2 marzo 1810 a Carpineto Romano), vissuto a Perugia per ben 34 anni. Giunse per la prima volta nel capoluogo umbro come delegato pontificio nel biennio 1841-1842, quindi, dopo un periodo di nunziatura in Belgio, fu nominato vescovo di Perugia. Mons. Chiaretti ha sottolineato la “benemerita azione culturale e sociale” del cardinale Pecci distintasi proprio in questa città negli anni difficili della nascita dello Stato unitario. “Il suo è stato un operato saggio e moderato – afferma mons. Chiaretti – e nel corso del suo episcopato perugino ha lasciato significative tracce di un lavoro pastorale anche nel mondo dell’arte e della cultura. Per questo intendiamo celebrare questo centenario onorandone la memoria con iniziative culturali che facciano il punto sul significato della sua presenza perugina. Poiché della sua intensa attività sociale – ricorda l’Arcivescovo – s’è parlato a lungo nelle celebrazioni del 1991, in occasione del primo centenario dell’enciclica Rerum Novarum, sembra opportuno riflettere sulla sua multiforme attività culturale, che ebbe poi notevole influsso sulla vita della Chiesa”. Sarà l’Associazione culturale “Leone XIII”, costituita all’inizio del 2002 e presieduta dal docente universitario Marco Moschini, a curare la ‘regia’ delle “Celebrazioni leonine” che sono articolate su quattro filoni di ricerca e di studio: il rilancio della filosofia tomista a Perugia e nella Chiesa; l’apertura alla cultura moderna dopo il pontificato di Pio IX; l’operosità ecumenica; l’attività costruttiva nel territorio diocesano con oltre cinquanta chiese ed altri edifici affidati ad architetti perugini, quali Nazareno Biscarini, Guglielmo Rossi, Guglielmo Calderini e Giovanni Caproni. Ad aprire le “Celebrazioni leonine” sarà l’Incontro Ecumenico su “Problemi e prospettive ecumeniche dell’età leonina giunti sino a noi”, fissato per gennaio 2003 e che vedrà la partecipazione del cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Il pontificato di Leone XIII, che fu caratterizzato, infatti, anche da una trattazione più aperta di questioni ecumeniche: dall’istituzione della Commissione biblica alla spinosa questione delle ordinazioni anglicane, ma soprattutto dal ripristino della gerarchia cattolica nelle regioni protestanti, alla settimana di preghiera per l’unità dei cristiani in coincidenza con la festa di Pentecoste. Nell’ultima settimana di maggio 2003 si terrà il Convegno Internazionale su “La filosofia cristiana tra ottocento e novecento e l’opera di Leone XIII, che si svolgerà a Perugia, presso la Sala dei Notari, i primi due giorni, e nel castello di Pieve del Vescovo, la giornata conclusiva. Ai lavori interverranno insigni accademici provenienti da alcune università di Francia, Gran Bretagna e Spagna. E’ in programma anche il Convegno di studi storici su “Il movimento cattolico nell’età leonina e le aperture alla democrazia e alla libertà”, che si terrà nel mese di ottobre 2003. Legato all’opera di Gioacchino Pecci è anche il primo periodico cattolico di Perugia, Il Paese, iniziato nel 1876 e durato sino al 1906. In questa cornice rievocativa si collocherà anche una solenne celebrazione in diocesi del 50’anniversario di fondazione del settimanale cattolico umbro La Voce (1953-2003). Inoltre, nel mese di dicembre 2003, si svolgerà il Seminario di studi ecclesiastici su “La Chiesa perugina nel primo millennio e il ‘Memoriale della diocesi'”. Quest’ultimo sarà inaugurato in occasione del Seminario stesso ed attualmente è in fase di realizzazione in un ampio vano all’interno della cattedrale di San Lorenzo, dove si intende allestire, con opportuni diagrammi e testimonianze fotografiche e documentarie, una storia delle origini della Chiesa di Perugia e di Arna e del loro sviluppo nel primo millennio. Previste anche due mostre documentarie. La prima, curata dall’architetto perugino Aldo Bastianini, è dedicata alle cinquanta chiese perugine costruite, ampliate o recuperate per volontà del cardinale Pecci. La seconda presenterà “I cimeli leonini”, i doni (paramenti sacri, calici, campane…) del vescovo Pecci, e ancor più di Papa Leone XIII, fatti alle diverse chiese e soprattutto alla cattedrale di San Lorenzo in Perugia. A memoria dell’anno Leonino resterà la Biblioteca di teologia moderna in fase di allestimento nella ex chiesa restaurata del vecchio monastero olivetano di Montemorcino, sede del Comitato operativo del centenario leonino e dell'”Associazione culturale Leone XIII”. Le archiviste Isabella Farinelli e Sara Piccolo stanno procedendo all’ordinamento del “Fondo Pecci” dell’archivio storico diocesano ed i risultati del lavoro e i documenti più importanti saranno illustrati nella rivista “Archivio Perugino -Pievese”. In programma anche due pubblicazioni “commemorative” del primo centenario della morte di Leone XIII: la ristampa anastatica del volume “La filosofia, la storia e le lettere nel concetto di Leone XIII” e la riproduzione, in due volumi, de “Le Pergamene dell’Archivio capitolare di Perugia”. In questo nutrito programma non poteva mancare l’appuntamento con le “musiche leonine”, che saranno eseguite dalla Corale Laurenziana. Le musiche sono tratte dall’archivio musicale della cattedrale di San Lorenzo, che custodisce vari brani musicali di maestri della Corale Laurenziana del secondo Ottocento, con canti dedicati a Leone XIII o composti su testi dello stesso.

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Polemiche troppo politiche? Sì, ma il problema esiste https://www.lavoce.it/polemiche-troppo-politiche-si-ma-il-problema-esiste/ Thu, 16 Nov 2000 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=1081 Cosa imparano sui testi di storia i nostri studenti? C’è una faziosità voluta e programmata? C’è un ritardo dei manuali scolastici rispetto al lavoro fatto dagli storici che rischia di non avere una adeguata ricaduta sul piano divulgativo? C’è un vero interesse dei docenti, delle famiglie, degli alunni e, non ultime, delle case editrici alla validità scientifica, oltre che didattica, dei testi in adozione? Se la proposta di qualche Consiglio regionale italiano, quello del Lazio in testa, di istituire delle commissioni che valutino l’attendibilità scientifica dei testi di storia riuscisse a far riflettere su questi problemi, sarebbe positivo. Sull’istituzione di commissioni siamo molto più perplessi anche se riteniamo che l’interesse del governo in questo settore non dovrebbe essere solo quello del peso e del costo dei libri scolastici. Ci riferiamo, naturalmente, alle recenti disposizioni sul tetto posto al peso degli zainetti e al costo dei libri di scuola. Ci sembra che tra rispolverare il Minculpop (Ministero fascista della cultura popolare) e disinteressarsi della validità scientifica dei testi ci siano delle posizioni intermedie. Sarebbe utile che su questo problema si aprisse un dibattito caratterizzato da libertà intellettuale invece che da passionalità politica e ideologica. Esso, infatti, concerne il rapporto tra ricerca e divulgazione, il retaggio di posizioni ideologiche ormai superate, l’assunzione di responsabilità culturale di fronte alle nuove generazioni. Attende anche al nostro rapportarci alla memoria storica: non riusciamo a trovare un equilibrio tra oblìo e utilizzo interessato del nostro passato. Certamente i libri di storia continuano ad essere ricchi di inesattezze, superficialità, luoghi comuni. Da decenni si sa che quando il popolo parigino entrò nella Bastiglia il 14 luglio del 1789 non c’erano masse di oppositori politici di Luigi XVI che venivano sadicamente torturati. C’erano invece solo sette detenuti, tra cui qualche falsario e un debosciato: nessun prigioniero politico. Eppure i manuali di storia continuano a seguire la vulgata giacobina della presa della Bastiglia come atto eroico del popolo parigino. Croati e bosniaci desideravano veramente nel 1918 l’annessione alla Serbia come dicono i manuali? La guerra nella ex Yugoslavia ha ampiamente smentito questo luogo comune. Numerosi testi scientifici hanno messo a fuoco di recente il fenomeno delle “insorgenze” antinapoleoniche in Italia alla fine del Settecento e nei primi anni dell’Ottocento. Un vero fenomeno di massa, molto più di massa della rivoluzione francese stessa. La maggioranza dei testi scolastici non ne parla nemmeno. Molto prima del Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, testi autorevoli avevano messo in luce le responsabilità del Risorgimento nell’accentuare il distacco tra laici e cattolici, ma i manuali si attengono alla versione liberale accreditata ormai da decenni. Di Innocenzo III si continua a dare la versione del pontefice che voleva essere un principe, tesi che farebbe ridere qualsiasi storico della Chiesa. Pio IX viene presentato dai manuali come un ottuso retrogrado e la recente beatificazione, che pure ha indirettamente favorito anche una riconsiderazione storica del personaggio, non produrrà significativi esami di coscienza negli autori di testi scolastici. Colpa degli storici di professione che non tengono i contatti con il mondo della divulgazione? Colpa delle case editrici “di sinistra”? Forse sì. Ma colpa anche di insegnanti, studenti e famiglie. Quanti insegnanti si interrogano seriamente sul valore della verità nelle scienze storico-sociali? Sul piano formale il processo di adozione dei libri di testo è qualcosa di molto complesso e articolato prevedendo l’assunzione di responsabilità di diverso livello di vari organi collegiali. Non c’è bisogno di commissioni, ma di attenzione non solo al peso e al prezzo dei libri, di autori di manuali che si aggiornino su quanto scrivono gli storici, di insegnanti interessati alla verità della loro disciplina, di famiglie curiose di valutare quanto passa nelle mani dei loro figli e di una scuola che, in generale, riprenda il gusto della verità.

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Gli ebrei si sentono offesi dalla Chiesa. Perché? https://www.lavoce.it/gli-ebrei-si-sentono-offesi-dalla-chiesa-perche/ Thu, 05 Oct 2000 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=1017 Non da oggi gli ebrei lamentano di essere sottoposti ad una specie di doccia scozzese, come si espresse alcuni anni fa il rabbino Elio Toaff. Una volta sentono rivolte verso di loro espressioni di stima e di fraternità (i nostri fratelli maggiori) e un’altra volta si sentono freddati da espressioni, gesti e documenti che ai loro occhi appaiono come segnali di presa di distanza, e persino di rifiuto. E’ successo anche a seguito della beatificazione di Pio IX e della dichiarazione Dominus Jesus, che ha indotto la comunità ebraica a tirarsi fuori dall’incontro già programmato per la giornata del dialogo ebraico cristiano nel contesto del Giubileo. Non entriamo nell’ermeneutica di questi fatti recenti, come nella canonizzazione di Edith Stein, che, almeno nelle intenzioni di chi li ha compiuti, non hanno alcun carattere di disprezzo o di rifiuto del popolo dell’alleanza biblica. La Chiesa cattolica ha anche sincera consapevolezza che in questi atti non c’è nulla che possa ferire e provocare sofferenza spirituale e psicologica in questo popolo amico e amato.Essa ribadisce all’interno del proprio popolo di fedeli le sue convinzioni di fede, che non possono essere sacrificate sull’altare del dialogo interreligioso, come non sono da trascurare o far cadere né uno iota né un segno della Legge. Si deve prendere atto, tuttavia, e con altrettanta sincerità, che gli ebrei hanno manifestato di sentirsi colpiti da profondo dolore e di questo è giusto farsene carico, nella considerazione di quanto nella storia questo popolo ha dovuto subire e che nessuno può dimenticare (Noi ricordiamo). I gesti e le dichiarazioni della Chiesa che sopravvengono lungo la sua ordinaria attività pastorale devono essere letti alla luce di questa memoria e nel solco del cammino della Chiesa, che, dal Concilio Vaticano II in poi, è rivolto, in maniera convinta e irreversibile, verso una sempre più piena conoscenza, una più profonda comprensione e un vero dialogo. Questo cammino non è interrotto, ma continua, ed anche in questo anno giubilare ha ottenuto sensibili progressi, tra cui, il più significativo, il pellegrinaggio di Giovanni Paolo II a Gerusalemme. Se di questa volontà di dialogo della Chiesa cattolica qualcuno nutrisse dei dubbi, potrà leggere con interesse il messaggio che il Papa ha inviato alla Comunità di S. Egidio impegnata a celebrare a Lisbona l’incontro Uomini e religioni. In quel messaggio, a firma autografa, pur non riferito esplicitamente agli ebrei, Giovanni Paolo II riafferma la determinazione di voler tenere in vita lo “spirito di Assisi”, riferito all’incontro del 1986, in cui i capi delle maggiori religioni del mondo, compresi gli ebrei, si ritrovarono insieme per invocare la pace fra loro stessi, i loro popoli e l’intera l’umanità. Egli conferma esplicitamente tutto quanto è stato detto sul dialogo nei documenti della Chiesa a partire dalla dichiarazione Nostra aetate, sulle religioni non cristiane. Non dimentichiamo che in questa dichiarazione conciliare la maggior parte del testo è dedicata proprio al popolo ebraico. Nello stesso messaggio poi esorta, con parole ispirate, ad avere maggiore audacia nell’intraprendere il dialogo tra le religioni. E nota con precisa analisi quanto lega tra loro e accomuna all’unico destino gli uomini di ogni razza popolo e religione, tutti figli amati da Dio in cammino verso la comune patria. Se tale volontà di dialogo è rivolta in generale a tutte le religioni, ha un valore ancora maggiore e privilegiato, in qualche modo esclusivo, per quel popolo che ai cristiani ha donato il salvatore e redentore Gesù di Nazaret. I cristiani non potranno mai rinnegare la propria origine e la loro “santa radice” in cui sono stati innestati, qualsiasi cosa accada. Gli ebrei, forse, potranno anche fare a meno dei cristiani per continuare a vivere secondo la loro tradizione religiosa. Ma i cristiani non potranno mai rinunciare a bussare alla loro porta per essere aiutati a comprendere appieno il Vangelo attraverso la lettura della Legge, dei Profeti e degli altri scritti del Primo Testamento, con i relativi commenti rabbinici. Gesù, infatti, non è venuto ad abolire, ma a compiere la Legge e la Chiesa non può allontanarsi dalla linea segnata dal suo Maestro e Signore.

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