Pietro Fiordelli Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/pietro-fiordelli/ Settimanale di informazione regionale Tue, 11 Aug 2015 08:35:13 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Pietro Fiordelli Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/pietro-fiordelli/ 32 32 Fiordelli, energico e intelligente precursore https://www.lavoce.it/fiordelli-energico-e-intelligente-precursore/ Fri, 12 Dec 2014 12:45:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29486 Mons. Pietro Fiordelli con Papa Giovanni Paolo II
Mons. Pietro Fiordelli con Papa Giovanni Paolo II

Il 23 dicembre cadrà il 10° anniversario di morte di mons. Pietro Fiordelli (1916-2004), il primo vescovo residenziale di Prato, sacerdote umbro di nascita e di antiche origini familiari nella nostra regione.

Le origini

Questa straordinaria figura di ecclesiastico nasce il 9 gennaio 1916 a Città di Castello, quarto di cinque fratelli, da padre tifernate e madre originaria della vicina Sansepolcro. A 6 anni Fiordelli è avviato agli studi primari nella stessa città, frequentando la scuola elementare fondata dal vescovo Carlo Liviero (1866-1932). Il 4 ottobre 1927 fa ingresso nel Seminario di Città di Castello e, 5 anni dopo, nell’ottobre 1932, è inviato da mons. Liviero a Roma, come promettente alunno del Pontificio seminario romano maggiore. A soli 22 anni è quindi ordinato sacerdote a Roma e, dopo aver concluso gli studi filosofici e teologici nel Laterano, è incardinato nella diocesi di Città di Castello, allora guidata da mons. Filippo Maria Cipriani (1878-1956).

Dal suo vescovo don Fiordelli è incaricato di numerose mansioni, tra cui quella di insegnante di Religione al liceo classico di Città di Castello, di assistente della locale sezione di Azione cattolica, di padre spirituale nel Seminario diocesano e, infine, di altri svariati compiti pastorali negli ambiti – a lui congeniali – della pastorale della famiglia, della gioventù e della cultura.

Fonda “La Voce”

In particolare, per quanto riguarda quest’ultimo settore, nei difficili anni dell’immediato dopoguerra il giovane sacerdote s’impegnò a puntellare la comunità politica locale sull’urgenza di un ritorno, a tutti i livelli, al pieno rispetto delle leggi morali e civili, fondando ad esempio La Voce cattolica, il cui primo numero esce appunto nella primavera del 1945, a guerra non ancora terminata. In breve tempo il nostro giornale, grazie al dinamismo e all’intraprendenza di Fiordelli, raggiunse la tiratura – eccezionale, per il tempo – di oltre 24 mila copie, divenendo uno dei più importanti settimanali regionali (tanto per farsi un’idea, il maggiore quotidiano nazionale, il Corriere della sera, in quello stesso periodo raggiungeva una tiratura di 400 mila copie).

Nel 1953 La Voce, per espresso volere di tutti i Vescovi umbri, diventa, grazie anche a Fiordelli, il settimanale cattolico di tutta la regione. Dalle sue colonne, fino alla nomina a vescovo di Prato, egli firmò articoli e riflessioni di acuta analisi culturale e politica: originali e, diremmo, inconsueti per le testate diocesane del tempo.

Dopo 16 anni di un così attivo ministero presbiterale nella diocesi di Città di Castello, Fiordelli viene nominato dal servo di Dio papa Pio XII (1939-1958), il 7 luglio 1954, vescovo di Prato, ricevendo la consacrazione episcopale il 3 ottobre 1954, cioè a soli 38 anni (fu il più giovane vescovo d’Italia), dalle mani di mons. Cipriani. Ricoprì il suo incarico a Prato fino al 7 dicembre 1991, giorno nel quale rassegnò le dimissioni, come canonicamente prescritto per raggiunti limiti d’età.

Esce la sua biografia

La sua vicenda umana ed ecclesiale è ora ricostruita nel libro di Giuseppe Brienza, La difesa sociale della famiglia. Diritto naturale e dottrina cristiana nella pastorale di Pietro Fiordelli, vescovo di Prato (editrice Leonardo da Vinci, Roma 2014, pp. 161, euro15), che rievoca episodi interessanti della vita della Chiesa e del movimento cattolico italiano in difesa della famiglia e della vita negli anni 1950-70.

Brienza, giornalista e saggista che non è nuovo a ben documentate ricostruzioni biografiche di protagonisti della Chiesa in Italia, ricorda ad esempio l’impegno di mons. Fiordelli durante il Concilio Vaticano II e, in particolare, la sua “primogenitura” nella definizione, accolta nel testo della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (21 novembre 1964), della comunione coniugale sacramentale come Chiesa domestica, piccola Chiesa.

Non manca l’attenzione al contributo teologico di Fiordelli in campo ecclesiologico, di dottrina sociale della Chiesa e di spiritualità, laicale e familiare in particolare, che ne fa parlare come il “padre” della pastorale familiare in Italia.

Fiordelli si spese fin dall’inizio del suo episcopato per diffondere su larga scala corsi di preparazione al matrimonio che sviluppassero – soprattutto verso i più giovani – una rinnovata consapevolezza dell’importanza del vincolo sacramentale e della chiamata “alta” al matrimonio. Ancora, sempre su sua proposta la Cei costituì il Comitato episcopale per la famiglia (oggi Commissione episcopale per la famiglia e la vita), del quale Fiordelli fu eletto presidente per più mandati consecutivi.

Profeta anti-abortista

La lettura delle pagine di un breve saggio del vescovo Fiordelli, L’aborto e la coscienza (1975), intelligentemente riproposto come appendice nel volume di Brienza, è quanto mai importante per comprendere il passato socio-politico di cui viviamo gli esiti e la natura delle sfide etico-giuridiche che oggi ci interpellano. Lo scritto raccoglie una serie di conferenze sul tema, “profeticamente” tenute dal vescovo di Prato ben tre anni prima dell’approvazione della legge 194/1978, che ha introdotto l’Ivg nel nostro ordinamento.

Per questa sua opera, come ha riconosciuto l’arcivescovo di Ferrara, mons. Luigi Negri, nel suo Invito alla lettura, mons. Fiordelli va ricordato per la sua preziosa e coraggiosa difesa della famiglia, “spendendosi in un’intensa, profonda, intelligente ed equilibrata pastorale che assunse, in più di un’occasione, un carattere obiettivamente profetico. Capì e fece capire – certamente alla sua diocesi, ma non solo – che la battaglia per la difesa della sacralità della vita, della famiglia, della paternità, della maternità, dell’educazione dei figli, è stata ed è la grande battaglia della Chiesa e del popolo del nostro Paese, e che la si poteva fare non soltanto con la chiarezza dei princìpi, che mons. Fiordelli sapeva evocare da par suo, ma anche con una vera esperienza di famiglia cristiana” (p. 11).

Né va dimenticato, in tema di difesa della famiglia cristiana, che mons. Fiordelli era già stato al centro di una polemica a livello nazionale per aver dichiarato che, dal punto di vista della Chiesa, erano da considerare pubblici peccatori e concubini coloro che erano sposati civilmente. In tale polemica si inserì Aldo Capitini, che decise di farsi cancellare dal registro del battesimo, e quindi di rinunciare anche formalmente all’appartenenza alla Chiesa cattolica; fu il primo caso di “sbattezzo”. Fiordelli finì sotto processo, con sentenza di condanna in primo grado (28 febbraio 1958), ma venne poi assolto in appello (25 ottobre 1958).

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60 anni di informazione al passo con i tempi https://www.lavoce.it/60-anni-di-informazione-al-passo-con-i-tempi/ Thu, 09 Jan 2014 18:00:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21431 Senza-titolo-1La storia de La Voce potrebbe essere raccontata come una successione di scelte che segnano dei passaggi – delle svolte, scrive il direttore nella pagina accanto – nella vita della comunità ecclesiale dell’Umbria. Fin dalla nascita, e non solo successivamente. Nel 1953, infatti, la scelta delle 14 diocesi umbre di unirsi per realizzare un comune settimanale diocesano matura all’interno di una strategia di impegno pastorale più vasta che porta alla decisione di chiudere le testate diocesane esistenti (tra queste Il Segno di Perugia e la stessa Voce Cattolica di Città di Castello della quale resta, in parte, il nome).

Fu una scelta decisamente in controtendenza rispetto ai campanilismi allora come oggi fortemente radicati nella cultura umbra, e l’unica diocesi a non aderire al progetto fu Foligno che non se la sentì di abbandonare la Gazzetta regolarmente pubblicata dal 1886 e il più antico dei settimanali diocesani.

La “svolta”, prima di tutto pastorale, non fu decisa a cuor leggero. Sollecitata da papa Pio XII preoccupato della penetrazione dell’ateismo comunista nelle masse contadine e operaie del tempo, maturò in un grande convegno ecclesiale regionale in cui si decise di unire le forze e i propri mezzi di comunicazione. Il primo numero del nuovo settimanale comune La Voce uscì il 13 dicembre 1953. Sotto la direzione di mons. Pietro Fiordelli fa subito sentire il suo peso, ma appena un anno dopo con la sua nomina a vescovo di Prato, si profila una nuova svolta con il cambio del direttore. Gli succede mons. Antonio Berardi, parroco di Fossato di Vico e collaboratore della prima ora, che negli anni estende la diffusione del giornale in molte diocesi italiane con la formula delle “edizioni separate”, fino al giorno della sua morte, giunta improvvisa l’8 novembre 1972.

Il 1972 è anche l’anno in cui arriva nella Chiesa umbra mons. Cesare Pagani artefice della seconda “fondazione” del giornale e della nascita della radio diocesana Radio Augusta Perusia, oggi Umbria Radio, che giungerà in porto nel 1983 quando i vescovi umbri decidono di tornare alla formula originaria dell’unico settimanale per le diocesi umbre. Anche l’assetto proprietario segna una svolta innovatrice: i vescovi decidono di dare vita ad una società per azioni lanciando una campagna di azionariato popolare il cui scopo è sì di raccogliere fondi ma ha di fare de La Voce il giornale della comunità.

Mons. Elio Bromuri, sacerdote della diocesi perugina all’epoca insegnante di Filosofia al Liceo cittadino, è chiamato alla direzione del giornale. Il primo numero del nuovo corso esce con la data del 1 gennaio 1984 ed è stampato sulla rotativa acquistata appositamente, la prima e per diversi anni l’unica in regione. Il giornale ha 16 pagine delle quali 7 sono affidate ai corrispondenti diocesani (1 per ogni diocesi esclusa Foligno) mentre la redazione regionale è composta da giovani laici (Luca Diotallevi di Terni oggi docente universitario di sociologia, Marco Tarquinio di Assisi oggi direttore di Avvenire, e Maurizio Maio di Città di Castello ai quali ben presto si aggiunge Daris Giancarlini affermato giornalista all’Ansa di Perugia) e da don Antonio Santantoni.

Il nuovo direttore non è ancora iscritto all’albo dei giornalisti e così, per i primi due anni necessari per l’iscrizione, è direttore responsabile un’altra firma nota del giornalismo cattolico, mons. Remo Bistoni.

Negli anni che seguono cambiano sia gli assetti societari che le collaborazioni ma il settimanale prosegue sulla linea editoriale indicata sulla prima pagina del primo numero del 1984 negli editoriali dell’editore, a firma del vescovo Carlo Urru, e del direttore.

Nel 1993 La Voce celebra i 40 anni della fondazione ospitando il convegno nazionale della Federazione dei settimanali cattolici. È un grande evento che ha eco sulla stampa nazionale per il dibattito dei direttori dei settimanali cattolici con il segretario del Partito Popolare Mino Martinazzoli.

Un anniversario che coincide con la “svolta” politica e sociale di un’Italia e di un mondo cattolico “orfani” della Dc.

Molte sono le firme che negli anni arricchiscono il settimanale e grandi sono i cambiamenti tecnologici che hanno portato tra l’altro La Voce ad essere, nel 1994, tra i primissimi giornali in Italia ad essere presenti in internet con il proprio sito web www.lavoce.it, e il webmaster Massimo Cecconi riceve, via e-mail, le congratulazioni del direttore dell’Unità Valter Veltroni.

Gli anni ’90 sono gli anni dell’evoluzione tecnologica che cambia anche il modo di fare il giornale: entrano in redazione i primi personal computer a sostituire le macchine da scrivere e ben presto anche la fotocomposizione passa dalla tiporafia alla redazione, gli articoli dei corrispondenti arrivano sempre meno con i “fuori sacco” postali e sempre più con il fax e infine con le e-mail.

Il processo si conclude nel 2003, in occasione del 50° de La Voce con il passaggio alla stampa a colori di alcune pagine.

Con la produzione del giornale in sede inizia anche la produzione editoriale come casa editrice con la pubblicazione di libri di vario genere di autori locali. Nel 1994 inizia la pubblicazione degli opuscoli proposti ai parroci quale segno da portare nelle famiglie nelle benedizioni pasquali.

La Voce si fa presente nei più importanti eventi ecclesiali (dalle visite dei Papi agli ingressi dei nuovi vescovi ai convegni pastorali regionali) con edizioni speciali a grande diffusione.

Trenta anni dopo La Voce ha mantenuto la struttura di fondo fatta di una redazione centrale e redazioni diocesane.

Tra i collaboratori ci sono state e ci sono firme che offrono la loro collaborazione in spirito di volontariato e infine, ma non ultimo, gli stessi vescovi dal 2003 sono presenti settimanalmente in pagina con un loro intervento che sul sito web abbiamo chiamato “Parola di vescovo”.

Infine nel 2012 si rinnova anche il sito web www.lavoce.it che diventa multimediale e interattivo. È la nuova “svolta” di una comunicazione che negli ultimi trent’anni è cambiata radicalmente ponendo ai media tradizionali come il giornale, la radio e la televisione, la grande sfida dell’integrazione con il web e il digitale. È la “svolta” tecnologica e culturale non ancora risolta.

La Voce è entrata nel futuro con tutto il patrimonio che viene dalla sua storia e dal suo essere il giornale della comunità cristiana dell’Umbria.

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1984, l’anno della svolta https://www.lavoce.it/1984-lanno-della-svolta/ Fri, 13 Dec 2013 09:18:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21047 composizione-2013Per una felice e del tutto fortuita circostanza, nel 1983, a trent’anni di distanza dalla fondazione, il settimanale La Voce sale all’attenzione di mons. Cesare Pagani divenuto arcivescovo di Perugia (1981-1988), personaggio aperto alla dimensione sociale e in particolare alla problematica delle comunicazioni sociali. Egli si propose di rimettere in mano ai Vescovi la proprietà e la gestione del settimanale, che dalla morte di don Antonio Berardi (1972) aveva preso una direzione diversa, divenendo un giornale cattolico generalista che non rappresentava più l’originaria dimensione regionale umbra.

In quel periodo era in atto nel Paese un’aspra lotta tra i due “blocchi” della destra e della sinistra, nel mondo e in Italia, e quindi anche il giornale era divenuto un organo di forte polemica anticomunista, che per alcuni, anche vescovi, era eccessivamente aspra. Mons. Giuliano Agresti, arcivescovo di Spoleto (1969-1973), giunse a consigliare ai preti di non diffondere il giornale in diocesi. Pagani, com’era suo stile, decise di “voltare pagina” e ridare a La Voce il carattere regionale e la finalità pastorale che erano state all’origine della sua fondazione. Per questo mise in piedi una struttura amministrativa e una redazionale che potessero garantire al settimanale una diffusione capillare e un continuità nel futuro per il bene religioso e sociale dell’Umbria. Fu una scelta coraggiosa, perfino rischiosa, perché si dovette rinunciare alla diffusione fuori regione, che garantiva una tiratura molto maggiore. Pagani sapeva che l’Umbria è piccola e povera di mezzi, ma era convinto che il criterio economico non fosse quello decisivo per fare le scelte pastorali.

È sciocco infatti dire che il gioco non vale la candela quando si ha a che fare con la predicazione del Vangelo o con la formazione di una opinione pubblica favorevole alla Chiesa e alla sua predicazione. Sulla base di queste premesse, il 1° gennaio 1984 uscì il primo numero firmato a nome dei Vescovi dal vescovo di Città di Castello mons. Carlo Urru, segretario della Conferenza episcopale umbra, e dal novello diettore don Elio Bromuri per la redazione. Non essendo quest’ultimo ancora nell’Albo dei giornalisti – proveniendo dal mondo della scuola, in quanto insegnante di Storia e filosofia al liceo Galilei, poi comandato presso il Provveditorato agli studi -, la firma ufficiale era quella di don Remo Bistoni, il quale non solo era giornalista iscritto all’Albo, ma uno dei primi fondatori del settimanale insieme a don Pietro Fiordelli e altri.

Nella foto una delle prime riunioni di redazione agli inizi del 1984 nella prima sede di via della Gabbia a Perugia
Nella foto una delle prime riunioni di redazione agli inizi del 1984 nella prima sede di via della Gabbia a Perugia

La prima redazione era formata da rappresentanti delle diocesi, personaggi che poi hanno fatto la loro vita altrove in posti di responsabilità. Queste storie sono note e ormai narrate più volte. Quello che forse è da sottolineare consiste nella stabilità in cui si è assestato questo strumento di comunicazione sociale, che a trent’anni da questa rinascita rappresenta un elemento costitutivo dell’identità della nostra regione. Vi sono infatti realtà che scorrono come un ruscello nelle pagine del settimanale, che senza clamori racconta le gioie e le tristezze, soprattutto le promesse e le speranze, e anche le sofferenze che serpeggiano o si manifestano in modo eclatante nel tessuto sociale del nostro popolo umbro.

Un docente di Storia, esperto anche di storia locale, Stramaccioni, mi diceva pochi giorni fa che nessuno potrà fare a meno de La Voce se vuole scrivere o conoscere la storia dell’Umbria di questi decenni trascorsi. Ciò vale soprattutto per la storia religiosa, la pietà popolare, la successione e l’opera pastorale dei vescovi e di molti parroci, le visite dei Papi in terra umbra. Ciò vale anche per il modo di accostarsi al Testo sacro, con i commenti che hanno visto succedersi molte firme, tutte di alta competenza. Voglio ricordare la teologa Lilia Sebastiani, i vescovi Benedetti, Chiaretti, Paglia, i biblisti Oscar Battaglia, Giulio Michelini, Bruno Pennacchini, fino alle famiglie che ci accompagnano in questi mesi. Ma quello che soprattutto conta è la stima di credibilità e affidabilità – e lo stile di dialogo e di rispetto nell’affermazione delle verità e delle convinzioni di un popolo credente – che La Voce si è conquistata nel tempo. Il futuro che si presenta offre novità di carattere tecnico (il digitale e il Web), con una mentalità in rapido cambiamento con la quale si devono fare i conti per non essere una “voce che grida nel deserto”, ma poter incrociare le sfide che stanno di fronte agli uomini e alle donne del nostro tempo.

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La Voce ha 60 anni: le tappe della sua storia https://www.lavoce.it/la-voce-ha-60-anni-tappe-della-sua-storia/ Tue, 23 Apr 2013 12:56:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=16378 diffusione-voce1Tra poco tempo La Voce celebrerà il 60° anno di vita. Il primo numero uscì il 13 febbraio 1953. Con molta intelligenza e anche genialità, mons. Elio Bromuri ha portato questa pubblicazione alla vera dignità di un settimanale informato e gradevole. L’Ordine regionale dei giornalisti ha insignito, giustamente, il nostro direttore di una targa-premio alla carriera (trenta anni).

L’inizio non fu così. Mentre nell’epoca leonina (a fine Ottocento) i cattolici vantavano un giornale importante, Il Paese, con la tempesta modernista il silenzio regnò a lungo. Alla diocesi di Perugia furono vietate pubblicazioni periodiche; le fu solo concesso in occasione del Congresso eucaristico del 1926. Tuttavia non si rinunciò a qualche sporadica pubblicazione da parte di singole associazioni.

Intanto esisteva a Perugia una rivista, La Voce di Maria, che affrontava svariati argomenti, ma negli anni tra il ’40 e il ’50 ignoravamo chi l’avesse pubblicata; sapevamo che nelle facoltà di Lettere e Storia era ricercata affannosamente perché raccontava episodi non solo ecclesiastici ma anche civili del primo ventennio del secolo.

Chiostro e inchiostro

Tuttavia noi perugini nel dopoguerra pensammo subito ad una pur modesta pubblicazione; questo ci fu facilitato dal fatto che nel chiostro antico della cattedrale con l’ingresso da piazza Cavallotti (dove furono celebrati cinque Conclavi, tra cui due celeberrimi: quello di Celestino V e quello di Bonifacio VIII; per di più in questo luogo Onorio III concesse l’indulgenza del Perdono a san Francesco) in un locale molto modesto si trovava la tipografia Panti.

Nel 1947 o ’48 il Seminario di Perugia acquistò questa tipografia, e comincio a servirsene per tutte le sue pubblicazioni. Sono gli anni in cui l’arcivescovo Giovanni Battista Rosa (1922-1942) dette un impulso straordinario alle vocazioni ecclesiastiche che negli anni ’50 fornirono di un parroco tutte le parrocchie della diocesi, anche piccole.

Il rettore del seminario Fabio Italiani, che fu il più zelante collaboratore di Rosa, fondò un piccolo giornale che poteva facilmente stampare ogni mese nella tipografia del Seminario. Gli stessi seminaristi degli ultimi anni di Teologia potevano lavorarci sostenuti prima da Panti poi da Frenguelli e da un “proto” molto intelligente e attivo, Nello Orselli, per cui possiamo considerare questo giornalino il primo lavoro giornalistico della nostra diocesi.

Monsignori scrittori

Su questo foglio scrivevano mons. Bruno Frattegiani, poi arcivescovo di Camerino, che vi sostenne una polemica con un’altra pubblicazione di Rieti perché le due città si contendevano il primato del primo seminario, prima che lo imponesse a tutte le diocesi il Concilio di Trento.

Vi scriveva poi con interesse anche economico mons. Fabio Italiani, il rettore, che vi pubblicava l’opera delle Zelatrici del seminario (Maria e Gaetana Brunelli) che avevano creato collaboratrici per sostenere le vocazioni ecclesiastiche in tutta la diocesi.

Questo periodico dava notizie del Seminario, rendendo conto non solo delle offerte ma delle uova e di altri alimenti raccolti nella diocesi in favore del Seminario, e la cronaca si allargava un po’ ovunque

Quasi subito venne a tutti l’idea di stampare un altro periodico intitolato L’aratro, che aveva il compito di rispondere alle accuse, alle polemiche, insomma alla battaglia che in quel periodo il Partito comunista infliggeva alla Chiesa.

Finalmente uscì un periodico vero che trattava di tutti gli argomenti, naturalmente anche questo non lontano dalle battaglie tipiche del dopoguerra italiano e perugino.

Il peso, la responsabilità e la redazione di questo nuovo giornale, su cui scrivevano persone di pregio e cultura, fu assunto dai giovani dell’Azione cattolica giovanile sotto la guida del prof. Ferruccio Chiuini, allora studente di Medicina.

Tra i lettori: Pio XII

Quasi tutte le diocesi dell’Umbria, che allora erano 14, avevano un giornalino. Il più interessante era La Voce cattolica di Città di Castello, dove erano ricercati con gusto gli articoli di mons. Pietro Fiordelli, divenuto poi vescovo di Prato.

Il settimanale capitò sul tavolo di Papa Pio XII che si impressionò dell’articolo di fondo di mons. Fiordelli che diceva così: in Umbria le cose non vanno bene, anzi vanno male. Il Papa ricorse ai rimedi ordinando un risveglio nella regione con un grande convegno di tutte le associazioni cattoliche.

Tuttavia questi giornalini, compreso il nostro, avevano una difficoltà enorme, quella economica, perché la diffusione del giornale era difficile e i costi anche nel dopoguerra erano altissimi. I responsabili delle pubblicazioni diocesane si incontrarono e decisero di riunire sotto una pubblicazione sola tutti i giornaletti, facendone uno molto più complesso in formato, e battagliero.

Perché il nome “La Voce”

Siccome il giornale più quotato era quello di Città di Castello, La Voce cattolica, ci si accordò su questo come titolo, ma alcuni consigliarono di togliere l’aggettivo “cattolica” e così è da 60 anni. Il primo direttore fu appunto Fiordelli, pur molto impegnato nella sua attività di vicario generale, ma dopo un paio d’anni dovette lasciare perché nominato vescovo di Prato.

Si dette alla redazione mons. Antonio Berardi di Fossato di Vico ,che purtroppo trasformò il giornale in una raccolta di offerte e rosari da mandare alle missioni. Questo non piacque a molti, e cominciarono delle difficoltà per il proseguimento delle pubblicazioni, che pur avevano acquistato quote non indifferenti. Si susseguirono vari direttori, incoraggiati dagli interventi di vari Vescovi regionali. Le difficoltà economiche continuavano perché anche allora, mentre si concedeva il prezzo politico ai grandi giornali, ai piccoli giornali alla stampa minore non si dava nessun sussidio.

La attuale gestione

Per queste difficoltà, alcuni Vescovi, scoraggiati, volevano sospendere questo prezioso mezzo di apostolato; ma i responsabili sacerdoti e laici fecero molte pressioni perché il giornale non cessasse. Fu così che, trent’anni dopo, La Voce tornò sotto la diretta gestione dei Vescovi umbri, che per l’impulso di mons. Cesare Pagani la rinnovarono affidandola all’attuale direttore mons. Elio Bromuri, che firmò il suo primo editoriale il 1° gennaio 1984.

Sarebbe troppo lungo raccontare le vicende di questa che fu veramente un’avventura, ma ci risolviamo di scrivere altre cose riguardanti questo settore pastorale della buona stampa, che rimane un’arma preziosa per diffondere la dottrina, la morale della dottrina di Cristo.

A solo titolo di curiosità, il sacerdote americano Filippe Paolucci, costretto a stare in Italia per motivi di studio, si affezionò molto al settimanale. Mentre studiava, aiutò nel ministero don Feliciano Tinarelli, parroco a Ferro di Cavallo. Ritornato in patria, esigeva il giornale, e una volta ringraziando dichiarò: è un giornale piccolo, La Voce, ma io mi ci informo delle cose principali del mondo, delle cose principali d’Europa, dei fatti principali d’Italia, della vita di Perugia, e anche di quello che avviene a Ferro di Cavallo!

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Un secolo fa, si levò una Voce squillante https://www.lavoce.it/un-secolo-fa-si-levo-una-voce-squillante/ Fri, 23 Jul 2010 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8630 23 luglio 1910: esce il primo numero del settimanale Voce di popolo. Lo aveva voluto fortissimamente il nuovo Pastore di Città di Castello mons. Carlo Liviero, che aveva preso possesso della sede vescovile solo da una ventina di giorni. In un certo senso, pur nella multiformità dell’azione pastorale del Vescovo, messosi subito all’opera soprattutto con la predicazione, la nascita del settimanale diocesano può essere considerata la sua prima opera pastorale. Come ci ricorda don Oreste Fiorucci, allora il “giornaletto uscì, modesto nelle proporzioni del formato e della tiratura (4 pagine), ma ardito e battagliero nei propositi”. Il settimanale veniva redatto in vescovado e aveva come direttore responsabile un laico, Fedele Lensi. Mons. Liviero non manca di benedire il nuovo periodico e l’intenzione di fare del bene con la quale nasce. Lo scopo del settimanale era quello di dare voce a chi non aveva voce: cioè, difendere i principi religiosi e cristiani dagli attacchi insolenti ed ingiusti di tanti avversari.

Fin dal primo numero Voce di popolo va all’attacco e denuncia senza mezzi termini “uno spirito anticristiano e massonico” che si andava infiltrandosi in ogni pubblica istituzione sotto lo specioso titolo di modernità e di progresso. Denunciava la pretesa volontà di ingannare il popolo facendo credere che nulla vi potesse essere di buono, se non separato dall’idea religiosa. Il settimanale nasceva per la difesa del Vero: “A mostrare che non v’ha nulla di più patriottico, noi imprendiamo la pubblicazione di questo umile periodico, colla fiducia che tutti i buoni ci aiuteranno; che quanti dubitano ci vorranno leggere e che chiunque ama la giustizia e l’ordine si vorrà schierare dalla nostra parte”. Non mancarono le reazioni; e furono violente.

Il settimanale socialista La rivendicazione e quello anticlericale Il tafano vomitarono parole di fuoco contro il settimanale e contro mons. Liviero “che fra molti suoi mestieri – compreso quello di accenditore di candele al duomo – fa anche quello di giornalista”.

23 luglio 2010. A cento anni di distanza esce questo numero de La Voce, il numero 27 dell’anno. Abbiamo voluto solennizzare il centenario dedicando questa pagina a Voce di popolo perché il nostro settimanale di quella intuizione di mons. Liviero può considerarsi figlio. Sappiamo bene che nel 1910 dovevano ancora nascere don Pietro Fiordelli e don Benso Benni che fecero del nostro settimanale un’avventura che dura a tutt’oggi. Anche attraverso le pagine di questo giornale mons. Liviero spezzò il pane della Parola di Dio e offrì al popolo nozioni elementari di cultura. Questa nuova aria fu respirata anche da coloro che in seguito fecero La Voce.Vogliamo ricordare il centenario del settimanale, ma anche l’opera di Carlo Liviero che continua oggi, anche a Città di Castello. E mentre le immagini ci riportano a quei tempi lontani vorremmo rivolgere ai nostri lettori l’invito del primo numero: “Volete che questo numero diventi più ben fatto?”. Allora si scriveva: “Voi tutti che lo leggete inviate il vostro abbonamento e trovatene un altro”. Noi aggiungiamo: arricchite il giornale facendo sentire la vostra voce.

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Mons. Pietro Fiordelli, un pastore appassionato e fermo nella difesa dei valori del Vangelo https://www.lavoce.it/mons-pietro-fiordelli-un-pastore-appassionato-e-fermo-nella-difesa-dei-valori-del-vangelo/ Thu, 06 Jan 2005 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=4236 Il 23 dicembre scorso è morto mons. Pietro Fiordelli. Aveva quasi novant’anni. Da poco aveva celebrato il cinquantesimo di consacrazione episcopale. Anniversario raramente raggiunto che per lui è stato possibile oltre che per l’età avanzata anche per essere stato a suo tempo il Vescovo più giovane d’Italia (38 anni). Il legame che ha avuto sempre con il nostro settimanale La Voce è ben noto ai nostri lettori e lo ricorda efficacemente il direttore de La voce di Prato Gianni Rossi: ‘Don Pietro Fiordelli, giovane e intraprendente prete di Città di Castello ebbe un’intuizione che diremmo profetica. Ancora le macerie della guerra non erano state rimosse, ma il sacerdote tifernate capisce che un nuovo mondo si profila all’orizzonte. Un nuovo mondo che va capito, interpretato, che necessita di nuove vie di comunicazione’.E continua raccontando il viaggio rocambolesco che fece a Perugia per chiedere al Governatore alleato il permesso di stampare un giornale. Nacque La Voce Cattolica di Città di Castello che usciva ogni quindici giorni in settemila copie e che poi, per volere dei vescovi umbri e dietro suggerimento di Fiordelli, divenne La Voce, come settimanale regionale che si diffuse poi anche in altre diocesi fino a diventare nel 1958 uno dei settimanali più diffusi d’Italia. Ora da vent’anni La Voce è ritornata ad essere settimanale regionale ed a lui deve vita e prestigio. Lui stesso è rimasto affezionato e curioso lettore fino alla fine. Sono stati molti e sinceri gli attestati di stima e di affetto che ha espresso in molteplici occasioni nei nostri confronti. La vita di questo che è stato certamente un personaggio ‘storico’ nella Chiesa italiana degli anni del dopoguerra qualcuno la scriverà certamente, per segnare la sua attività pastorale in una diocesi nuova, Prato, resa autonoma rispetto a Pistoia cui era precedentemente unita, il suo impegno a difesa della famiglia e tutti gli altri settori della attività propria di un Vescovo diocesano. È nota la polemica in cui si è trovato coinvolto a proposito delle censure canoniche comminate ad una coppia che si era unita in matrimonio civilmente e la condanna per diffamazione che lo colpì in primo grado dal tribunale di Firenze (1958), una condanna che turbò profondamente il mondo cattolico. Venne poi assolto in secondo grado, ma la vicenda ebbe uno strascico polemico ad opera di Aldo Capitini che per quella vicenda chiese di essere cancellato dalla lista dei battezzati. Ma a noi piace ricordare mons.Fiordelli per la sua umiltà e mitezza di modi, per la sua interiorità, il suo spirito di preghiera la sua ansia di apostolato che trasmetteva con i toni appassionati e i discorsi che scorrevano come fiumi senza argine. Mi è rimasta nel ricordo una sua meditazione sulla preghiera che egli svolse in seminario a Perugia prima di diventare vescovo. Disse che ‘si prega con tutto l’essere personale, si prega anche con il corpo’. Un’espressione inusuale non rivolta a raccomandare soltanto la compostezza e l’educazione formale dei comportamenti, ma la totale offerta di sé a Dio con la concentrazione di tutti i sensi nell’unica ricerca della comunicazione con Dio. La Voce non può fare a meno di ricordare la sua penna fine e tagliente, suadente e decisa con la quale ha scritto gli articoli fino a quello più famoso di Biancospino, il suo pseudonimo, in cui avverte i lettori della sua nomina a Vescovo. Nella storia di questo giornale Fiordelli rappresenta una pietra fondamentale di cui possiamo andare fieri e un’ispirazione di cui sentiamo la responsabilità che, anche in sua memoria, intendiamo onorare con il nostro impegno e, speriamo, con la fedeltà dei lettori.

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50 (e più) anni de La Voce a Castello https://www.lavoce.it/50-e-piu-anni-de-la-voce-a-castello/ Fri, 23 Jan 2004 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=3588 Cosa vogliamo festeggiare il 31 gennaio? Anzitutto il passato. In 50 anni La Voce ha accompagnato la storia della Chiesa di Città di Castello e di tutta la comunità civile. Quante ne ha raccontate La Voce in 50 anni! Quante iniziative svolte dalle parrocchie, dai gruppi, dalle associazioni! Quante vicende vissute dai vescovi che si sono succeduti sulla sede di san Florido, dai preti che hanno operato in diocesi, dai laici che si sono impegnati per la costruzione della città di Dio e di quella degli uomini. Quante polemiche ha fatto La Voce! Soprattutto quando – altri tempi – era alto lo scontro con gli anticlericali. La Voce fin dall’inizio ha parlato da un proprio ed esclusivo punto di vista: quello della diocesi, la Chiesa che vive nel nostro territorio, e non da un’altra parte. Festeggiare dunque, non semplicemente ricordando dei fatti che sono avvenuti, ma pensando a tutte le persone che li hanno determinati. Vogliamo dunque ricordare più le persone che hanno fatto il giornale che i tanti fatti raccontati da La Voce.

Per primo mons. Pietro Fiordelli che, nel marzo 1945, fondò proprio a Città di Castello La Voce Cattolica, periodico che poi confluì – nel 1953 – ne La Voce. Mons. Fiordelli fu poi il direttore regionale che accompagnò i primi mesi di vita del settimanale e continuò ad amarlo tanto da adottarlo per la sua diocesi di Prato. Questo deve essere ben ricordato. È il primo motivo per fare a Città di Castello la festa al giornale. Poi vengono tutte le persone che hanno lavorato, ogni settimana, per anni, per fare uscire il giornale: don G. Battista Polchi, mons. Benso Benni, don Loris Giacchi, don Luigi Guerri, don Gino Capacci.

Oggi tutti i mezzi tecnologici permettono di comporre il giornale da una scrivania, allora si compiva ogni settimana un pellegrinaggio da Città di Castello a Fossato di Vico (dove si componeva il giornale) a Roma (dove lo si stampava). Un lavoro eroico. L’elenco dei responsabili e dei collaboratori deve rimanere aperto perché molti possano aggiungere il loro nome. Una delle caratteristiche de La Voce è proprio questa: i collaboratori non sono giornalisti, ma sono preti o laici che vivono “sul campo” e raccontano a tutti la loro esperienza. Sicuramente non può mancare un festeggiato: don Nazzareno Amantini, il prete che da più di 20 anni sta seguendo settimana dopo settimana le due pagine diocesane nel settimanale. A lui abbiamo chiesto una testimonianza che è diventata un ringraziamento (vedi box). Ma il 31 gennaio si farebbe solo una mesta commemorazione di un passato che non c’è più se non guardassimo al futuro, almeno secondo due direzioni. La prima, considerando l’importanza della stampa, non solo di quella cattolica. Quel giorno il vescovo ha invitato anche i giornalisti per celebrare il loro patrono, san Francesco di Sales. Tutti dovremmo riflettere seriamente sull’importanza dei mezzi di comunicazione! Una domanda può invece aiutare a pensare al futuro de La Voce: esistesse o non esistesse sarebbe la stessa cosa? Se il giornale non ci fosse, sarebbe come oggi che invece c’è? Una provocazione, forse, che però può servire a chiarire alcune motivazioni del settimanale.

La Voce è uno strumento delle chiese dell’Umbria, tra queste quella di Città di Castello. È solo uno strumento: come tale può essere utilizzato (oppure no) a servizio della comunione tra tutti i componenti della comunità ecclesiale. Se si sceglie di utilizzarlo ognuno è chiamato ad assumersi una duplice responsabilità: contribuire alla diffusione del settimanale, ma anche contribuire ad arricchirlo di contenuti (oggi basta un’e-mail all’indirizzo: castello.redazione@lavoce.it). Anche dalla conoscenza reciproca può nascere ed alimentarsi la comunione. Il 31 gennaio il Vescovo ha invitato i giornalisti ed i collaboratori ‘storici’ del giornale, ma tutta la comunità diocesana è invitata proprio perché La Voce è il suo giornale e perché ogni cristiano della Chiesa tifernate può essere un collaboratore.

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Cinquant’annni di passione per la vita https://www.lavoce.it/cinquantannni-di-passione-per-la-vita/ Fri, 28 Nov 2003 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=3506 La Voce è stata fondata nel 1953. Non ha un solo fondatore perchè è frutto della decisione concorde delle (allora) 14 diocesi umbre. Fin dall’inizio sacerdoti e laici fecero una scelta strategica: stare insieme, unire le forze per affrontare una situazione che, l’avevano ben chiaro, coinvolgeva tutti senza riguardo per i confini diocesani. Erano i primi anni del dopoguerra e le elezioni avevano già decretato l’Umbria regione “rossa”: il comunismo conquistava voti e mente e cuore, e svuotava le chiese. Il settimanale comune era parte di un più ampio e appassionante impegno delle chiese umbre, che vedeva in prima fila non i preti, ma uomini e donne dell’Azione cattolica. Anche le diocesi che avevano già un proprio settimanale (Città di Castello, Perugia, Spoleto, Assisi) scelsero di partecipare al progetto di un unico giornale.

Non aderì Foligno la cui Gazzetta usciva regolarmente dal 1886. Dall’esperienza di Città di Castello presero ispirazione e il nome e quindi il direttore, don Pietro Fiordelli che dirigeva La Voce Cattolica. Fu deciso quindi di chiamare il nuovo giornale La Voce. Avrebbe avuto quattro pagine di cui una sarebbe stata diversa e propria di ciascuna diocesi. Da lì è nata la formula unica ed originale del settimanale cattolico regionale quando la regola era, ed ancora è, che sia diocesano. Da quell’inizio molte cose sono avvenute. Mons. Fiordelli dopo sette mesi fu eletto Vescovo diPrato. Là non c’era il settimanale ed allora adottò La Voce che, nel frattempo era stata affidata a don Antonio Berardi e la redazione trasferita nella sua parrocchia a Fossato di Vico. Con lui La Voce si diffuse fino a servire 35 diocesi e raggiungere le 65mila copie. Alla sua morte, nel 1972, cambiarono diversi direttori ma a dare continuità all’opera rimare don Benso Benni, amministratore del giornale fin dai tempi di Fiordelli. Nel 1983 i vescovi umbri vollero confermare il giornale come settimanale regionale, tagliando tutte le diocesi fino allora servite, e ne affidarono la direzione a don Elio Bromuri che in questi venti anni ha dato al giornale una nuova identità, sempre al servizio delle chiese e della gente umbra. Una storia ricca, fatta di passione per il vangelo e per gli uomini, che avremo modo di raccontare.

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Un anno dedicato al rinnovamento de La Voce https://www.lavoce.it/un-anno-dedicato-al-rinnovamento-de-la-voce/ Fri, 20 Jun 2003 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=3215 Entrare nell’anno del Signore 2003 per La Voce ha significato entrare nell’anno cinquantesimo della sua fondazione. Un anniversario ufficiale (1953-2003) che non rende completa ragione della storia della comunicazione sociale attraverso la carta stampata nella nostra regione. A parte l’esistenza di un settimanale più che centenario quale la Gazzetta di Foligno che è strettamente legato a quel territorio diocesano, prima de La Voce ci sono stati altri tentativi, più o meno riusciti di periodici, tra i quali quello voluto da Gioacchino Pecci (poi papa Leone XIII) quando, vescovo di Perugia, dette vita a Il Paese.

La Voce si rinnova

Rimanendo dentro i cinquant’anni de La Voce possiamo segnalare le iniziative che si stanno attivando, anche se ancora in fase di sviluppo, come l’inchiesta conoscitiva tra gli abbonati, la ridefinizione della impostazione grafica, il rinnovamento delle redazioni locali e l’aggiornamento dei metodi di scrittura e del programma di impaginazione, insomma un lavoro che intende rinnovare profondamente il settimanale senza perderne l’identità.

Feste diocesane e convegno regionale

Nel quadro delle iniziative del cinquantesimo si pongono le feste diocesane durante le quali si potranno rileggere le storie piccole e grandi delle singole diocesi attraverso le pagine de La Voce per mettere in evidenza il ruolo “storico” che il settimanale cattolico ha rappresentato per le diocesi umbre e il suo stretto legame con il territorio. Queste celebrazioni offriranno l’occasione per ringraziare coloro che hanno lavorato come giornalisti, redattori e collaboratori in genere, quasi sempre del tutto volontariamente e senza retribuzione alcuna con sacrificio e capacità professionale. Le feste diocesane avranno come conclusione un convegno regionale che si terrà nella primavera del 2004 e costituirà il momento culminante del rilancio de La Voce in tutto il territorio. I 20 anni di Fossato di Vico Il convegno di Fossato di Vico, voluto organizzato e realizzato con cura e passione dal locale Circolo Acli e dal suo presidente Giovanni Pascucci, si pone entro questo quadro, tra memoria e prospettiva.

Sarà fatto un doveroso ricordo di don Antonio Berardi, parroco di Fossato e per quasi vent’anni direttore del settimanale, ma sarà fatta anche una riflessione sulla comunicazione sociale cattolica oggi in un mondo che è cambiato e continua a cambiare. Il modo migliore, infatti, per onorare il passato consiste proprio nel continuarne con fedeltà la missione ideale rendendola attuale. Ripensare il periodo di Berardi significa anche riandare con la memoria ad un tempo di grandi cambiamenti e di grandi problemi per la società e per le Chiese umbre, soprattutto nei confronti del partito comunista che era il più forte partito della regione, a torto o a ragione ritenuto il pericolo maggiore per la Chiesa e per il futuro del cristianesimo. Con il convegno di Fossato di Vico possiamo dire che inizia la riflessione sulla storia di questi cinquant’anni che La Voce ha segnato settimana per settimana nelle sue pagine.

I cinquant’anni de La Voce

Il primo numero de La Voce esce per la festa dell’Immacolata (8 dicembre) del 1953. È il primo “vagito” di un progetto nato dalla cooperazione di tutte le diocesi dell’Umbria, in quegli anni, e fino al 1970, regione solo geografica. La Chiesa umbra sceglie, già nel 1952, di lavorare su un comune progetto pastorale: una commissione formata da preti e laici, è incaricata di studiare la questione sociale delle genti umbre. Fin dalla prima riunione pone sul tavolo l’idea di un settimanale cattolico che fosse unico per tutte le diocesi della regione. Ne discutono anche i direttori delle testate diocesane esistenti e la proposta viene accolta. Si sceglie un nuovo nome, La Voce, e affidano la direzione a don Pietro Fiordelli, prete di Città di Castello fondatore e direttore de “La Voce cattolica”, il settimanale della diocesi tifernate. Il nuovo settimanale esce con regolarità dal gennaio 1954. Mons. Fiordelli lo dirige fino al luglio dello stesso anno quando viene eletto vescovo di Prato. È chiamato a sostituirlo mons. Antonio Berardi che lo dirige fino alla morte, avvenuta il 10 novembre 1972. Dal 1972 al 1976 è direttore don Giovanni Benedetti e poi don Oreste Cioppi fino al 1982. In questi anni La Voce diviene organo ufficiale di 42 diocesi italiane diffondendo 60mila copie. Nel 1983 su impulso di mons. Cesare Pagani i vescovi umbri riprendono in mano il settimanale e decidono di farne, nuovamente, il giornale delle diocesi umbre. Affidano la direzione de La Voce a mons.Elio Bromuri, che firma il primo numero il 1 gennaio 1984.

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