papa Giovanni Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/papa-giovanni/ Settimanale di informazione regionale Thu, 09 Apr 2020 07:58:39 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg papa Giovanni Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/papa-giovanni/ 32 32 Nessuno è ateo in trincea https://www.lavoce.it/nessuno-e-ateo-in-trincea/ Thu, 09 Apr 2020 07:54:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56823

Tante volte ci siamo chinati ad ascoltare, sul petto ansante dei nostri fratelli… molte volte mi accadde di dovermi buttare in ginocchio e piangere come un fanciullo non potendo più contenere l’emozione provata della morte semplice e santa di tanti poveri figli del nostro popolo…”. Così scrive Giovanni XXIII il 15 aprile 1962 nel suo “Breviario” ricordando l’esperienza di cappellano militare durante il primo conflitto mondiale. “Nessuno è ateo in trincea” è il titolo di questa pagina. La pandemia che continua a colpire il mondo viene definita “guerra”, guerra contro un nemico sconosciuto, invisibile e crudele. Ricorrono i termini “prima linea”, “trincea”, “campo di battaglia” che sono propri del linguaggio bellico. È una guerra diversa da quelle tradizionali, qualcuno afferma che neppure si può chiamare guerra. Le immagini che arrivano dagli ospedali confermano entrambe le versioni. In ogni caso la “pietas” che l’allora don Angelo Roncalli provava nei confronti delle vittime della “inutile strage” – così Benedetto XV aveva denunciato quella guerra – oggi è un palpito del cuore che, in credenti e non credenti, nasconde una domanda. La fede si lascia interrogare, si lascia provocare, non rifiuta alcun “perché” soprattutto quando attraversa le lacrime. Non importa se le domande vengono da un credente o da un ateo, non sono provocazioni. Sono tracce di una ricerca interiore. A sua volta chi non crede, chi è ateo, si lascia interrogare. La fede risponde nel silenzio, con dolcezza, rispetto e retta coscienza. Nella prima linea, nella trincea di una sala di terapia intensiva avviene il dialogo tra il nulla e l’infinito. Non sembri eccessivo: credenti e non credenti sono insieme in quegli spazi e in quei tempi ristretti. L’immagine riporta alla mente una considerazione tratta da un saggio sul credo dei non credenti: “Che l’uomo sia esigenza di Infinito, che la sua ragione costitutivamente reclami l’Infinito, che l’uomo sia essenzialmente Mistero che trascende la sua finitezza, è un’esperienza umana universale, comune a tutti gli uomini, a qualunque espressione religiosa appartengano, non è certamente monopolio esclusivo dei credenti”. E’ fuori “luogo” pensare che questa ricerca possa avvenire dentro un ospedale, dentro un’ambulanza, dentro una casa? “Nessuno è ateo in trincea”, scriveva don Angelo Roncalli, “nessuno è ateo in trincea” possiamo ripetere oggi guardando a chi soffre e muore, guardando chi rischia la propria vita per salvare quella di altri. La fede è nel palpito del cuore dell’uomo, là dove Dio abita. Paolo Bustaffa]]>

Tante volte ci siamo chinati ad ascoltare, sul petto ansante dei nostri fratelli… molte volte mi accadde di dovermi buttare in ginocchio e piangere come un fanciullo non potendo più contenere l’emozione provata della morte semplice e santa di tanti poveri figli del nostro popolo…”. Così scrive Giovanni XXIII il 15 aprile 1962 nel suo “Breviario” ricordando l’esperienza di cappellano militare durante il primo conflitto mondiale. “Nessuno è ateo in trincea” è il titolo di questa pagina. La pandemia che continua a colpire il mondo viene definita “guerra”, guerra contro un nemico sconosciuto, invisibile e crudele. Ricorrono i termini “prima linea”, “trincea”, “campo di battaglia” che sono propri del linguaggio bellico. È una guerra diversa da quelle tradizionali, qualcuno afferma che neppure si può chiamare guerra. Le immagini che arrivano dagli ospedali confermano entrambe le versioni. In ogni caso la “pietas” che l’allora don Angelo Roncalli provava nei confronti delle vittime della “inutile strage” – così Benedetto XV aveva denunciato quella guerra – oggi è un palpito del cuore che, in credenti e non credenti, nasconde una domanda. La fede si lascia interrogare, si lascia provocare, non rifiuta alcun “perché” soprattutto quando attraversa le lacrime. Non importa se le domande vengono da un credente o da un ateo, non sono provocazioni. Sono tracce di una ricerca interiore. A sua volta chi non crede, chi è ateo, si lascia interrogare. La fede risponde nel silenzio, con dolcezza, rispetto e retta coscienza. Nella prima linea, nella trincea di una sala di terapia intensiva avviene il dialogo tra il nulla e l’infinito. Non sembri eccessivo: credenti e non credenti sono insieme in quegli spazi e in quei tempi ristretti. L’immagine riporta alla mente una considerazione tratta da un saggio sul credo dei non credenti: “Che l’uomo sia esigenza di Infinito, che la sua ragione costitutivamente reclami l’Infinito, che l’uomo sia essenzialmente Mistero che trascende la sua finitezza, è un’esperienza umana universale, comune a tutti gli uomini, a qualunque espressione religiosa appartengano, non è certamente monopolio esclusivo dei credenti”. E’ fuori “luogo” pensare che questa ricerca possa avvenire dentro un ospedale, dentro un’ambulanza, dentro una casa? “Nessuno è ateo in trincea”, scriveva don Angelo Roncalli, “nessuno è ateo in trincea” possiamo ripetere oggi guardando a chi soffre e muore, guardando chi rischia la propria vita per salvare quella di altri. La fede è nel palpito del cuore dell’uomo, là dove Dio abita. Paolo Bustaffa]]>
Gli annunciatori della Vita https://www.lavoce.it/gli-annunciatori-della-vita/ Fri, 27 Mar 2020 10:10:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56638 logo reubrica commento al Vangelo

La vita che si fa speranza di un’Altra Vita

“La nostra vita è pellegrinaggio, di cielo siamo fatti: ci soffermiamo un po’ qui e poi riprendiamo la nostra strada” (Loreto, 4 ottobre 1962). Questa frase fu pronunciata da Papa Giovanni nel suo pellegrinaggio a Loreto, per affidare a Maria la prossima apertura del Concilio, precedentemente era stato ad Assisi, presso la tomba di San Francesco con la medesima intenzione. Una frase che se accolta in profondità ci riconcilia con gli eventi della nostra vita. Di cielo siamo fatti e la nostra abituale dimora è l’eternità. Da quella “casa”, Lazzaro, l’amico di Gesù, è richiamato per un motivo ben preciso: “affinché voi crediate” (Gv 11,15). Il “segno” che Gesù compie, ossia la resurrezione dell’amico ha una efficacia immediata: “molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui” (v. 45). Lo leggiamo nelle letture di questa V Domenica di Quaresima – 29 marzo 2020. Sì, Gesù si serve di questo segno come annuncio della “salvezza integrale”, che si identifica con la sua persona: “Io sono la risurrezione e la vita” (v. 25). Ma il miracolo si compie per la fede già presente di qualcun altro, Marta, sorella di Lazzaro e Maria. Di fronte alla domanda ben precisa di Gesù, ella professa la sua fede riconoscendolo come il Messia: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo” (v. 27). Lazzaro è richiamato in vita, all’amore dei cari, per la fede della sue sorelle, che “incrociando” la vita di Gesù lo accolgono nella loro casa. Betania sarà sempre una sosta di ristoro del cammino di Gesù, lì “poserà il capo” più volte, lì troverà ristoro e calore umano.  

I legami veri non generano mai possesso ma nella libertà spingono ad amare senza misura.

Per questa famiglia che custodisce l’intimità di Gesù, il segno del ritorno in vita di Lazzaro, indica la via privilegiata che attesta la possibilità dei legami che vanno oltre la morte. Lazzaro torna in vita, momentaneamente, sarebbe poca cosa la fede nel miracolo di Gesù, se essa non abbracciasse la fede nella vita senza fine. È questa fede che rende possibili anche quei segni terreni che hanno l’eco dell’eternità. La fede è il filo conduttore che tiene uniti i tre brani di queste tre domeniche, una fede che nasce dall’ascolto, che nel dialogo aperto senza preclusioni fa scoprire Gesù, il salvatore della tua vita e fa scaturire l’amore per lui che si fa annuncio gioioso.
  • La samaritana scopre che l’acqua viva, quella disseta in eterno è Gesù ed in lei diventa sorgente che zampilla.
  • Il cieco nato scopre che la vera luce è Gesù e alla sua luce vede la Luce. Possiamo immaginare che il nuovo “vedente”, illuminerà quanti ascolteranno la sua parola di “salvato”.
  • Lazzaro, richiamato in vita, è il segno della vita che non muore perché Gesù è la risurrezione e la vita.
Ma la nostra fede in Gesù ha le “stimmate” della fatica del credere, le ferite sanguinanti delle cadute lungo il nostro cammino. In questi brani così univoci sul tema della fede, in ognuno di essi è presente anche una frase oscura di Gesù, il quale attesta che c’è un’oltre da comprendere, oltre l’evidenza del miracolo.  

La vita quotidiana e la vita oltre questa vita

Cosa significa nel Vangelo della Samaritana: “Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete” (Gv 4,32), come risposta ai discepoli che gli danno mangiare? Cosa significa nel Vangelo del cieco nato: “Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire” (Gv 9,4), pronunciate da Gesù prima di compiere il miracolo? Cosa significa nella Vangelo della resurrezione di Lazzaro: "Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui" (Gv 11,9-10)? È certamente un linguaggio simbolico che tiene unite due realtà: la vita quotidiana e la vita oltre questa vita. Solo inserendo il “passepartout della fede” si accede alla stanza del “piano superiore”, la cui fede ci da la “chiave di lettura” per comprendere anche l’essenza di questa vita. Noi cittadini del cielo, abbiamo lì la residenza, qui su questa terra abbiamo solo il domicilio e per un tempo. La Lettera a Diogneto illumina questa condizione:
“i cristiani vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera”.
Su questo crinale, da cristiani, la nostra vita scorre tra le vicende dolorose e la consolazione dello spirito e proprio perché consolati siamo abilitati al “ministero della consolazione. Non mancano infatti in questi giorni il dolore e a volte la disperazione, ma sono evidenti anche luci di speranza, che attestano un “oltre” non solo sperato, ma vivo ed attuale.  

Uomini e donne mettono in gioco la propria vita

Quanti uomini e donne di buona volontà, che insieme a coloro che si professano cristiani, mettono in gioco la propria vita.
  • Medici che si rimettono in gioco rischiando la vita e diventano l’ultima carezza umana per molti che si apprestano per l’ultimo viaggio e in quella carezza c’è la tenerezza del Padre buono che li attende
  • Sacerdoti che nel ministero condividono la malattia di quanti avevano bisogno di consolazione, anzi uno di loro sceglie di non farsi intubare per lasciare il respiratore ad una persona più giovane
  • Volontari che non fanno mancare il necessario a quanti attendono la loro visita, garantendo quel pane che serve per questa vita, ma che viene “consacrato” dal dono della vita messa in pericolo.
Questo decidere di scendere nella morte è il più sorprendente e luminoso annuncio della vita che non muore. È la vita che si fa speranza di un’Altra Vita. don Andrea Rossi]]>
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La vita che si fa speranza di un’Altra Vita

“La nostra vita è pellegrinaggio, di cielo siamo fatti: ci soffermiamo un po’ qui e poi riprendiamo la nostra strada” (Loreto, 4 ottobre 1962). Questa frase fu pronunciata da Papa Giovanni nel suo pellegrinaggio a Loreto, per affidare a Maria la prossima apertura del Concilio, precedentemente era stato ad Assisi, presso la tomba di San Francesco con la medesima intenzione. Una frase che se accolta in profondità ci riconcilia con gli eventi della nostra vita. Di cielo siamo fatti e la nostra abituale dimora è l’eternità. Da quella “casa”, Lazzaro, l’amico di Gesù, è richiamato per un motivo ben preciso: “affinché voi crediate” (Gv 11,15). Il “segno” che Gesù compie, ossia la resurrezione dell’amico ha una efficacia immediata: “molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui” (v. 45). Lo leggiamo nelle letture di questa V Domenica di Quaresima – 29 marzo 2020. Sì, Gesù si serve di questo segno come annuncio della “salvezza integrale”, che si identifica con la sua persona: “Io sono la risurrezione e la vita” (v. 25). Ma il miracolo si compie per la fede già presente di qualcun altro, Marta, sorella di Lazzaro e Maria. Di fronte alla domanda ben precisa di Gesù, ella professa la sua fede riconoscendolo come il Messia: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo” (v. 27). Lazzaro è richiamato in vita, all’amore dei cari, per la fede della sue sorelle, che “incrociando” la vita di Gesù lo accolgono nella loro casa. Betania sarà sempre una sosta di ristoro del cammino di Gesù, lì “poserà il capo” più volte, lì troverà ristoro e calore umano.  

I legami veri non generano mai possesso ma nella libertà spingono ad amare senza misura.

Per questa famiglia che custodisce l’intimità di Gesù, il segno del ritorno in vita di Lazzaro, indica la via privilegiata che attesta la possibilità dei legami che vanno oltre la morte. Lazzaro torna in vita, momentaneamente, sarebbe poca cosa la fede nel miracolo di Gesù, se essa non abbracciasse la fede nella vita senza fine. È questa fede che rende possibili anche quei segni terreni che hanno l’eco dell’eternità. La fede è il filo conduttore che tiene uniti i tre brani di queste tre domeniche, una fede che nasce dall’ascolto, che nel dialogo aperto senza preclusioni fa scoprire Gesù, il salvatore della tua vita e fa scaturire l’amore per lui che si fa annuncio gioioso.
  • La samaritana scopre che l’acqua viva, quella disseta in eterno è Gesù ed in lei diventa sorgente che zampilla.
  • Il cieco nato scopre che la vera luce è Gesù e alla sua luce vede la Luce. Possiamo immaginare che il nuovo “vedente”, illuminerà quanti ascolteranno la sua parola di “salvato”.
  • Lazzaro, richiamato in vita, è il segno della vita che non muore perché Gesù è la risurrezione e la vita.
Ma la nostra fede in Gesù ha le “stimmate” della fatica del credere, le ferite sanguinanti delle cadute lungo il nostro cammino. In questi brani così univoci sul tema della fede, in ognuno di essi è presente anche una frase oscura di Gesù, il quale attesta che c’è un’oltre da comprendere, oltre l’evidenza del miracolo.  

La vita quotidiana e la vita oltre questa vita

Cosa significa nel Vangelo della Samaritana: “Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete” (Gv 4,32), come risposta ai discepoli che gli danno mangiare? Cosa significa nel Vangelo del cieco nato: “Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire” (Gv 9,4), pronunciate da Gesù prima di compiere il miracolo? Cosa significa nella Vangelo della resurrezione di Lazzaro: "Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui" (Gv 11,9-10)? È certamente un linguaggio simbolico che tiene unite due realtà: la vita quotidiana e la vita oltre questa vita. Solo inserendo il “passepartout della fede” si accede alla stanza del “piano superiore”, la cui fede ci da la “chiave di lettura” per comprendere anche l’essenza di questa vita. Noi cittadini del cielo, abbiamo lì la residenza, qui su questa terra abbiamo solo il domicilio e per un tempo. La Lettera a Diogneto illumina questa condizione:
“i cristiani vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera”.
Su questo crinale, da cristiani, la nostra vita scorre tra le vicende dolorose e la consolazione dello spirito e proprio perché consolati siamo abilitati al “ministero della consolazione. Non mancano infatti in questi giorni il dolore e a volte la disperazione, ma sono evidenti anche luci di speranza, che attestano un “oltre” non solo sperato, ma vivo ed attuale.  

Uomini e donne mettono in gioco la propria vita

Quanti uomini e donne di buona volontà, che insieme a coloro che si professano cristiani, mettono in gioco la propria vita.
  • Medici che si rimettono in gioco rischiando la vita e diventano l’ultima carezza umana per molti che si apprestano per l’ultimo viaggio e in quella carezza c’è la tenerezza del Padre buono che li attende
  • Sacerdoti che nel ministero condividono la malattia di quanti avevano bisogno di consolazione, anzi uno di loro sceglie di non farsi intubare per lasciare il respiratore ad una persona più giovane
  • Volontari che non fanno mancare il necessario a quanti attendono la loro visita, garantendo quel pane che serve per questa vita, ma che viene “consacrato” dal dono della vita messa in pericolo.
Questo decidere di scendere nella morte è il più sorprendente e luminoso annuncio della vita che non muore. È la vita che si fa speranza di un’Altra Vita. don Andrea Rossi]]>