Palestina Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/palestina/ Settimanale di informazione regionale Thu, 03 Oct 2024 08:37:33 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Palestina Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/palestina/ 32 32 Ai killer robot non interessa chi muore https://www.lavoce.it/ai-killer-robot-non-interessa-chi-muore/ https://www.lavoce.it/ai-killer-robot-non-interessa-chi-muore/#respond Thu, 03 Oct 2024 08:37:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77830

Mentre le Nazioni unite e il “Gruppo degli esperti governativi sulle tecnologie emergenti nel settore dei sistemi di armi autonome letali” continuano a discutere, i Killer robot vengono ampiamente utilizzati nei conflitti in corso. Sono sistemi d’arma che utilizzano gli standard più avanzati dell’intelligenza artificiale per colpire strutture e persone senza il controllo, la verifica e la decisione finale da parte di un essere umano. Ormai da tempo alcune fonti militari israeliane hanno rivelato il largo impiego dei sistemi Lavender e Gospel nella Striscia di Gaza e, si suppone, anche in Libano. Il sistema Lavender utilizza una grande quantità di informazioni che l’intelligence israeliana ha raccolto sui cittadini della Striscia di Gaza nel corso degli anni. Si tratta di dati personali e biometrici raccolti tramite intercettazioni e rilevamenti da droni che riguardano comportamenti (frequentazioni, idee politiche…), modelli di comunicazione, connessioni ai social media e cambi frequenti di indirizzo. A ciascuna/o cittadina/o viene assegnato un punteggio circa la sua potenziale pericolosità. Il sistema Gospel si comporta allo stesso modo riguardo alle strutture e, in particolare, su quella che viene definita la metropolitana di Gaza, la fittissima rete dei cammini sotterranei. Ogni qualvolta che Lavender individua un obiettivo pericoloso, invia un impulso che permette il lancio di un missile o altra arma che uccide la persona individuata senza alcun riguardo per le altre che ne vengono coinvolte. È così che siamo arrivati al numero impressionante di vittime che si contano fino ad oggi in quei contesti di guerra. Serve urgentemente quantomeno una legislazione mondiale per la messa al bando delle armi autonome letali.]]>

Mentre le Nazioni unite e il “Gruppo degli esperti governativi sulle tecnologie emergenti nel settore dei sistemi di armi autonome letali” continuano a discutere, i Killer robot vengono ampiamente utilizzati nei conflitti in corso. Sono sistemi d’arma che utilizzano gli standard più avanzati dell’intelligenza artificiale per colpire strutture e persone senza il controllo, la verifica e la decisione finale da parte di un essere umano. Ormai da tempo alcune fonti militari israeliane hanno rivelato il largo impiego dei sistemi Lavender e Gospel nella Striscia di Gaza e, si suppone, anche in Libano. Il sistema Lavender utilizza una grande quantità di informazioni che l’intelligence israeliana ha raccolto sui cittadini della Striscia di Gaza nel corso degli anni. Si tratta di dati personali e biometrici raccolti tramite intercettazioni e rilevamenti da droni che riguardano comportamenti (frequentazioni, idee politiche…), modelli di comunicazione, connessioni ai social media e cambi frequenti di indirizzo. A ciascuna/o cittadina/o viene assegnato un punteggio circa la sua potenziale pericolosità. Il sistema Gospel si comporta allo stesso modo riguardo alle strutture e, in particolare, su quella che viene definita la metropolitana di Gaza, la fittissima rete dei cammini sotterranei. Ogni qualvolta che Lavender individua un obiettivo pericoloso, invia un impulso che permette il lancio di un missile o altra arma che uccide la persona individuata senza alcun riguardo per le altre che ne vengono coinvolte. È così che siamo arrivati al numero impressionante di vittime che si contano fino ad oggi in quei contesti di guerra. Serve urgentemente quantomeno una legislazione mondiale per la messa al bando delle armi autonome letali.]]>
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… e la gente dell’Arena si alza https://www.lavoce.it/la-gente-arena-si-alza/ https://www.lavoce.it/la-gente-arena-si-alza/#respond Fri, 24 May 2024 15:45:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=76339

Il momento emotivamente più coinvolgente e significativamente più profondo dell’incontro di Papa Francesco con il popolo della pace dell’Arena di pace di Verona è stato sicuramente la presenza e l’intervento dell’israeliano Maoz Inon, a cui Hamas ha ammazzato i genitori il 7 ottobre, e il palestinese Aziz Sarah, che ha perso il fratello nell’inferno della guerra.

Non sono tanto le loro parole ad aprire un varco di luce nelle tenebre di quel conflitto, basta la loro sola presenza. La presenza e l’abbraccio che si scambiano tra loro e che regalano al Papa che li stringe a sé. Poi la richiesta di un momento di silenzio da parte di Francesco e un pensiero ai “bambini che nella guerra perdono il sorriso”.

È questa l’icona di una giornata che non può essere archiviata sbrigativamente tra i viaggi del Papa ma che chiede di essere a lungo metabolizzata nella vita delle nostre comunità - ecclesiali e civili – per comprendere che ci vuole più coraggio per costruire la pace che per fare la guerra. Noi siamo chiamati a crederci profondamente e a “seminare la speranza! - dice Papa Francesco - Ognuno cerchi il modo di farlo, sempre. Non scoraggiatevi. Non diventate spettatori della guerra cosiddetta ‘inevitabile’”. E cita don Tonino Bello: “In piedi tutti, costruttori di pace!”. E la gente dell’Arena si alza.

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Il momento emotivamente più coinvolgente e significativamente più profondo dell’incontro di Papa Francesco con il popolo della pace dell’Arena di pace di Verona è stato sicuramente la presenza e l’intervento dell’israeliano Maoz Inon, a cui Hamas ha ammazzato i genitori il 7 ottobre, e il palestinese Aziz Sarah, che ha perso il fratello nell’inferno della guerra.

Non sono tanto le loro parole ad aprire un varco di luce nelle tenebre di quel conflitto, basta la loro sola presenza. La presenza e l’abbraccio che si scambiano tra loro e che regalano al Papa che li stringe a sé. Poi la richiesta di un momento di silenzio da parte di Francesco e un pensiero ai “bambini che nella guerra perdono il sorriso”.

È questa l’icona di una giornata che non può essere archiviata sbrigativamente tra i viaggi del Papa ma che chiede di essere a lungo metabolizzata nella vita delle nostre comunità - ecclesiali e civili – per comprendere che ci vuole più coraggio per costruire la pace che per fare la guerra. Noi siamo chiamati a crederci profondamente e a “seminare la speranza! - dice Papa Francesco - Ognuno cerchi il modo di farlo, sempre. Non scoraggiatevi. Non diventate spettatori della guerra cosiddetta ‘inevitabile’”. E cita don Tonino Bello: “In piedi tutti, costruttori di pace!”. E la gente dell’Arena si alza.

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Si potrà riprendere il filo dei dialoghi di pace? https://www.lavoce.it/si-potra-riprendere-il-filo-dei-dialoghi-di-pace/ https://www.lavoce.it/si-potra-riprendere-il-filo-dei-dialoghi-di-pace/#respond Thu, 18 Apr 2024 14:36:09 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75715 In primo pian macerie causate dalle bombe a gaza, sullo sfondo palazzi distrutti

Tutti auguriamo – o comunque io auguro – una vita lunga e serena allo Stato di Israele. Ma purtroppo il suo attuale governo sembra che stia facendo di tutto per tirarsi addosso quelli che vogliono distruggerlo. Questo è il commento che ci sentiamo di fare alla sciagurata iniziativa di portare un attacco aereo mortale alla rappresentanza diplomatica dell’Iran in una paese terzo. Sapendo che è sin dal 1979 – quando l’ala estremista e fanatica dell’islamismo sciita ha preso il potere in Iran rovesciando il governo monarchico – che quel grande paese ha messo al primo posto del suo programma politico la distruzione di Israele.

Certo, venire a patti con il regime degli ayatollah era impossibile. Ma almeno non offritegli pretesti per scatenarsi. È impressionante ricordare che appena dieci anni fa – era l’8 giugno del 2014Papa Francesco chiese ed ottenne che l’allora presidente di Israele, Shimon Peres, e il capo dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, si incontrassero in Vaticano per pregare, con lui, per la pace; c’era anche Bartolomeo di Costantinopoli. La formula era di nuovo quella di Assisi: se non ci sentiamo ancora pronti per “pregare insieme” possiamo però trovarci “insieme per pregare”. Assistemmo a quell’incontro in diretta televisiva, e fu emozionante. Dunque era possibile che la ricerca della pace facesse un passo in avanti, sia pure solo simbolico. Che cosa non si pagherebbe oggi per tornare a quel momento?

Shimon Peres era agli ultimi giorni del suo mandato come capo dello Stato; capo del governo israeliano era Netanyahu; da allora quest’uomo e la sua politica hanno reso sempre più evanescente lo schema “due popoli, due stati” che pure era stato consacrato dagli accordi di Oslo nel 1993 e nell’anno successivo aveva meritato il premio Nobel per la pace allo stesso Peres, all’allora primo ministro Rabin e al capo palestinese Arafat.

Purtroppo quelle promesse non hanno portato (ancora) i loro frutti, come abbiamo visto tragicamente negli ultimi mesi. Ma lo straordinario episodio del 2014 ci ricorda che vi è stato un tempo in cui il cammino per la pace in Palestina era in corso, e ai due popoli venivano offerte occasioni che alcuni avevano saputo raccogliere e altri, dopo, hanno lasciato cadere. Sarà ancora possibile recuperare il filo di quel cammino?

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In primo pian macerie causate dalle bombe a gaza, sullo sfondo palazzi distrutti

Tutti auguriamo – o comunque io auguro – una vita lunga e serena allo Stato di Israele. Ma purtroppo il suo attuale governo sembra che stia facendo di tutto per tirarsi addosso quelli che vogliono distruggerlo. Questo è il commento che ci sentiamo di fare alla sciagurata iniziativa di portare un attacco aereo mortale alla rappresentanza diplomatica dell’Iran in una paese terzo. Sapendo che è sin dal 1979 – quando l’ala estremista e fanatica dell’islamismo sciita ha preso il potere in Iran rovesciando il governo monarchico – che quel grande paese ha messo al primo posto del suo programma politico la distruzione di Israele.

Certo, venire a patti con il regime degli ayatollah era impossibile. Ma almeno non offritegli pretesti per scatenarsi. È impressionante ricordare che appena dieci anni fa – era l’8 giugno del 2014Papa Francesco chiese ed ottenne che l’allora presidente di Israele, Shimon Peres, e il capo dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, si incontrassero in Vaticano per pregare, con lui, per la pace; c’era anche Bartolomeo di Costantinopoli. La formula era di nuovo quella di Assisi: se non ci sentiamo ancora pronti per “pregare insieme” possiamo però trovarci “insieme per pregare”. Assistemmo a quell’incontro in diretta televisiva, e fu emozionante. Dunque era possibile che la ricerca della pace facesse un passo in avanti, sia pure solo simbolico. Che cosa non si pagherebbe oggi per tornare a quel momento?

Shimon Peres era agli ultimi giorni del suo mandato come capo dello Stato; capo del governo israeliano era Netanyahu; da allora quest’uomo e la sua politica hanno reso sempre più evanescente lo schema “due popoli, due stati” che pure era stato consacrato dagli accordi di Oslo nel 1993 e nell’anno successivo aveva meritato il premio Nobel per la pace allo stesso Peres, all’allora primo ministro Rabin e al capo palestinese Arafat.

Purtroppo quelle promesse non hanno portato (ancora) i loro frutti, come abbiamo visto tragicamente negli ultimi mesi. Ma lo straordinario episodio del 2014 ci ricorda che vi è stato un tempo in cui il cammino per la pace in Palestina era in corso, e ai due popoli venivano offerte occasioni che alcuni avevano saputo raccogliere e altri, dopo, hanno lasciato cadere. Sarà ancora possibile recuperare il filo di quel cammino?

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Gaza, Calvario dei cristiani https://www.lavoce.it/gaza-calvario-dei-cristiani/ https://www.lavoce.it/gaza-calvario-dei-cristiani/#respond Wed, 27 Mar 2024 10:12:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75482 Un bambino viene recuperato tra le macerie di un edificio residenziale raso al suolo da un attacco aereo israeliano. Sta in braccio ad un uomo di spalle, tutto introno ci sono altri soccorritori. Striscia di Gaza

Il Calvario di Gaza è pieno di croci. Il “luogo del cranio” è tornato a essere luogo di morte. Il sangue di migliaia di persone che sono cadute in questa guerra continua a insanguinare, ancora una volta, questa terra benedetta. Benedetta perché un giorno ha bevuto il sangue innocente e redentore dell’Agnello immacolato, Gesù Cristo. Benedetta perché quella stessa terra, dalle sue viscere, è stata costretta a restituire quel sangue al corpo glorioso del Signore Gesù risorto.

E così, da quel benedetto Venerdì santo la terra, questa terra, sa che il sangue innocente, come quello dei bambini innocenti degli ebrei uccisi dal crudele Erode, diventa misteriosamente segno e pegno di benedizione e risurrezione.

Ma intanto, sul Calvario di Gaza, le croci continuano a sanguinare, e i martellanti bombardamenti e gli spari continuano a mettere in croce migliaia e migliaia di persone. C’è chi schernisce, c’è chi si volta dall’altra parte per non vedere la sofferenza altrui… Com’è difficile prendersi cura di un malato o di un ferito senza avere il necessario per curarlo! Sì, è difficile essere testimoni della croce degli altri. È difficile, è noioso, è desolante. È difficile pensare alle sofferenze di prigionieri e ostaggi, ai morti, ai feriti, alle violenze di ogni genere. Eppure è proprio ciò che sta accadendo.

Sul Calvario di Gaza arriva anche la carestia. Non c’è mai stata una situazione del genere, i bambini muoiono di fame. Sembra impossibile che il cibo arrivi alle bocche affamate, ma non è impossibile che le bombe e i proiettili raggiungano le case di migliaia e migliaia di civili, la maggior parte delle vittime.

Anche la comunità cristiana è sul Calvario di Gaza. Questa comunità, che contava 1.017 membri all’inizio della guerra (135 cattolici e 882 grecoortodossi), ha perso 31 membri: 18 sono morti in un bombardamento israeliano di fronte alla chiesa ortodossa che ha causato la distruzione di un edificio parrocchiale che ospitava dei rifugiati cristiani che stavano dormendo; due donne, rifugiate cattoliche, sono state assassinate all’interno della parrocchia latina da un cecchino delle Forze di difesa israeliane (come riporta una nota del Patriarcato latino di Gerusalemme del dicembre 2023). E altri 11 cristiani sono morti per mancanza di assistenza ospedaliera. Nella parrocchia cattolica ci sono circa 600 parrocchiani rifugiati, in quella ortodossa 250.

La gente vaga in questa ‘Via crucis’ da una parte all’altra in cerca di tutto: riparo, una coperta, acqua, qualcosa da mangiare, vaga da una parte all’altra cercando di schivare i bombardamenti. Migliaia e migliaia di persone così bisognose! Soprattutto hanno bisogno di essere trattate con un po’ di umanità.

I cristiani che hanno deciso di rimanere “accanto a Gesù in ciò che Gesù ha vissuto” soffrono come il resto della popolazione e chiedono a Dio e a sua Madre la cessazione immediata e permanente delle ostilità, la liberazione dei prigionieri, gli urgentissimi aiuti umanitari in tutta la Striscia (Nord e Sud) e assistenza per migliaia e migliaia di feriti. Gaza vive un Calvario. E sul suo Calvario c’è morte e ci sono ombre di morte. Ma, al tempo stesso, sappiamo che vicino al Calvario c’è la Tomba vuota. La morte non ha l’ultima parola. Preghiamo e lavoriamo per essere testimoni di speranza in mezzo a tanto dolore. Continuiamo a pregare per la pace in Palestina e Israele.

Padre Gabriel Romanelli parroco latino di Gaza  
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Un bambino viene recuperato tra le macerie di un edificio residenziale raso al suolo da un attacco aereo israeliano. Sta in braccio ad un uomo di spalle, tutto introno ci sono altri soccorritori. Striscia di Gaza

Il Calvario di Gaza è pieno di croci. Il “luogo del cranio” è tornato a essere luogo di morte. Il sangue di migliaia di persone che sono cadute in questa guerra continua a insanguinare, ancora una volta, questa terra benedetta. Benedetta perché un giorno ha bevuto il sangue innocente e redentore dell’Agnello immacolato, Gesù Cristo. Benedetta perché quella stessa terra, dalle sue viscere, è stata costretta a restituire quel sangue al corpo glorioso del Signore Gesù risorto.

E così, da quel benedetto Venerdì santo la terra, questa terra, sa che il sangue innocente, come quello dei bambini innocenti degli ebrei uccisi dal crudele Erode, diventa misteriosamente segno e pegno di benedizione e risurrezione.

Ma intanto, sul Calvario di Gaza, le croci continuano a sanguinare, e i martellanti bombardamenti e gli spari continuano a mettere in croce migliaia e migliaia di persone. C’è chi schernisce, c’è chi si volta dall’altra parte per non vedere la sofferenza altrui… Com’è difficile prendersi cura di un malato o di un ferito senza avere il necessario per curarlo! Sì, è difficile essere testimoni della croce degli altri. È difficile, è noioso, è desolante. È difficile pensare alle sofferenze di prigionieri e ostaggi, ai morti, ai feriti, alle violenze di ogni genere. Eppure è proprio ciò che sta accadendo.

Sul Calvario di Gaza arriva anche la carestia. Non c’è mai stata una situazione del genere, i bambini muoiono di fame. Sembra impossibile che il cibo arrivi alle bocche affamate, ma non è impossibile che le bombe e i proiettili raggiungano le case di migliaia e migliaia di civili, la maggior parte delle vittime.

Anche la comunità cristiana è sul Calvario di Gaza. Questa comunità, che contava 1.017 membri all’inizio della guerra (135 cattolici e 882 grecoortodossi), ha perso 31 membri: 18 sono morti in un bombardamento israeliano di fronte alla chiesa ortodossa che ha causato la distruzione di un edificio parrocchiale che ospitava dei rifugiati cristiani che stavano dormendo; due donne, rifugiate cattoliche, sono state assassinate all’interno della parrocchia latina da un cecchino delle Forze di difesa israeliane (come riporta una nota del Patriarcato latino di Gerusalemme del dicembre 2023). E altri 11 cristiani sono morti per mancanza di assistenza ospedaliera. Nella parrocchia cattolica ci sono circa 600 parrocchiani rifugiati, in quella ortodossa 250.

La gente vaga in questa ‘Via crucis’ da una parte all’altra in cerca di tutto: riparo, una coperta, acqua, qualcosa da mangiare, vaga da una parte all’altra cercando di schivare i bombardamenti. Migliaia e migliaia di persone così bisognose! Soprattutto hanno bisogno di essere trattate con un po’ di umanità.

I cristiani che hanno deciso di rimanere “accanto a Gesù in ciò che Gesù ha vissuto” soffrono come il resto della popolazione e chiedono a Dio e a sua Madre la cessazione immediata e permanente delle ostilità, la liberazione dei prigionieri, gli urgentissimi aiuti umanitari in tutta la Striscia (Nord e Sud) e assistenza per migliaia e migliaia di feriti. Gaza vive un Calvario. E sul suo Calvario c’è morte e ci sono ombre di morte. Ma, al tempo stesso, sappiamo che vicino al Calvario c’è la Tomba vuota. La morte non ha l’ultima parola. Preghiamo e lavoriamo per essere testimoni di speranza in mezzo a tanto dolore. Continuiamo a pregare per la pace in Palestina e Israele.

Padre Gabriel Romanelli parroco latino di Gaza  
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Cosa aspetta il mondo? https://www.lavoce.it/cosa-aspetta-il-mondo/ https://www.lavoce.it/cosa-aspetta-il-mondo/#respond Thu, 14 Dec 2023 09:23:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=74286 Palazzi a Gaza distrutti dai bombardamenti

Siamo sempre più vicini a un Natale che quest’anno è assai difficile da vivere e che ci porta con il cuore in tutti quei luoghi dove la Natività è coperta dalle macerie, dalla violenza e dalla guerra.

Il nostro pensiero ricorrente va all’amata Terra Santa e alla catastrofe umanitaria che si traduce in decine di migliaia di morti, in un numero imprecisato di feriti e in milioni di persone in grave difficoltà, con poche aspettative di futuro. Il pensiero più straziante è quello per i tanti bambini innocenti e indifesi che stanno subendo tutto questo.

Chi ha seguito in presenza o attraverso i mezzi di comunicazione la giornata di riflessione e di marcia per la pace di domenica scorsa, ha potuto ascoltare parole soffocate in gola e autentica commozione in vari momenti della manifestazione. Vi confesso che lo scoraggiamento - pensando al fronte mediorientale, a quello russo-ucraino e ai tanti conflitti dimenticati nel mondo - spesso prende il sopravvento anche su chi vi scrive queste poche righe.

Proprio domenica scorsa, in parallelo con il corteo assisano dei costruttori di pace, il Sacro Convento francescano ha ospitato la maratona televisiva delle emittenti locali del circuito Corallo Tv. Tra gli ospiti dello speciale “Pace in terra” c’era anche il patriarca di Gerusalemme dei Latini, il card. Pierbattista Pizzaballa.

Commentando le ultime notizie da Gaza e il veto degli Stati Uniti alla risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu sul cessate il fuoco umanitario, la domanda ci è uscita d’impeto. Cosa sta aspettando il mondo? Come si può scorgere e ritrovare il Bambino Gesù in mezzo alle macerie e alle distruzioni di Gaza?

“Gli occhi della fede non ci devono aiutare solo a guardare la realtà che ci circonda - ci ha risposto Pizzaballa - ma la fede ci deve aiutare anche a guardare oltre. Se restiamo solo dentro al dolore che ci circonda, all’odio che ci inonda, non riusciremo ad andare oltre. La fede è un’esperienza di perdono e di salvezza che ci tocca il cuore e ci cambia la prospettiva. Dove c’è ancora qualcuno cristiano, ebreo o musulmano che è capace di dare la vita per l’altro, lì è Natale”.

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Palazzi a Gaza distrutti dai bombardamenti

Siamo sempre più vicini a un Natale che quest’anno è assai difficile da vivere e che ci porta con il cuore in tutti quei luoghi dove la Natività è coperta dalle macerie, dalla violenza e dalla guerra.

Il nostro pensiero ricorrente va all’amata Terra Santa e alla catastrofe umanitaria che si traduce in decine di migliaia di morti, in un numero imprecisato di feriti e in milioni di persone in grave difficoltà, con poche aspettative di futuro. Il pensiero più straziante è quello per i tanti bambini innocenti e indifesi che stanno subendo tutto questo.

Chi ha seguito in presenza o attraverso i mezzi di comunicazione la giornata di riflessione e di marcia per la pace di domenica scorsa, ha potuto ascoltare parole soffocate in gola e autentica commozione in vari momenti della manifestazione. Vi confesso che lo scoraggiamento - pensando al fronte mediorientale, a quello russo-ucraino e ai tanti conflitti dimenticati nel mondo - spesso prende il sopravvento anche su chi vi scrive queste poche righe.

Proprio domenica scorsa, in parallelo con il corteo assisano dei costruttori di pace, il Sacro Convento francescano ha ospitato la maratona televisiva delle emittenti locali del circuito Corallo Tv. Tra gli ospiti dello speciale “Pace in terra” c’era anche il patriarca di Gerusalemme dei Latini, il card. Pierbattista Pizzaballa.

Commentando le ultime notizie da Gaza e il veto degli Stati Uniti alla risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu sul cessate il fuoco umanitario, la domanda ci è uscita d’impeto. Cosa sta aspettando il mondo? Come si può scorgere e ritrovare il Bambino Gesù in mezzo alle macerie e alle distruzioni di Gaza?

“Gli occhi della fede non ci devono aiutare solo a guardare la realtà che ci circonda - ci ha risposto Pizzaballa - ma la fede ci deve aiutare anche a guardare oltre. Se restiamo solo dentro al dolore che ci circonda, all’odio che ci inonda, non riusciremo ad andare oltre. La fede è un’esperienza di perdono e di salvezza che ci tocca il cuore e ci cambia la prospettiva. Dove c’è ancora qualcuno cristiano, ebreo o musulmano che è capace di dare la vita per l’altro, lì è Natale”.

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Piccoli semi di speranza gettati da israeliani e palestinesi https://www.lavoce.it/piccoli-semi-di-speranza-gettati-da-israeliani-e-palestinesi/ https://www.lavoce.it/piccoli-semi-di-speranza-gettati-da-israeliani-e-palestinesi/#respond Fri, 03 Nov 2023 15:01:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73887

Non ci resta che raccogliere frammenti di speranza – colligere fragmenta – per seminarli in attesa di un altro tempo. Questo tempo sembra infatti ormai perduto. Un gesto che sembra uno spreco, quello compiuto da Yocheved Lifshitz, 85 anni, una delle due donne ostaggio liberate da Hamas il 23 ottobre scorso. Al momento del rilascio, si è rivolta ai miliziani di Hamas regalandogli uno shalom e una stretta di mano. È un segno inatteso di apertura e di speranza.

Quando possono, come possono, i Parents Circle continuano a riunirsi almeno via Internet. Sono madri e padri che hanno perso i figli in un attentato o in conflitto, sono genitori israeliani e palestinesi uniti dal medesimo dolore. Una di loro è ostaggio di Hamas. E loro continuano a sostenersi vicendevolmente e a progettare percorsi di educazione alla pace con in più giovani.

E poi ci sono alcune comunità cristiane che, come sempre è avvenuto in tutti questi anni, riescono a farsi ponte tra arabi musulmani ed ebrei israeliani. Sono i frati della Custodia di Terra Santa, i Patriarcati a Gerusalemme e tante piccole comunità disseminate in quello scampolo di lievito madre che ha fecondato le tre fedi nell’unico Dio di Abramo. Si sa, i semi sono piccola cosa, quasi invisibili rispetto alle bombe e al loro fragore… ma guai se non ci fossero.

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Non ci resta che raccogliere frammenti di speranza – colligere fragmenta – per seminarli in attesa di un altro tempo. Questo tempo sembra infatti ormai perduto. Un gesto che sembra uno spreco, quello compiuto da Yocheved Lifshitz, 85 anni, una delle due donne ostaggio liberate da Hamas il 23 ottobre scorso. Al momento del rilascio, si è rivolta ai miliziani di Hamas regalandogli uno shalom e una stretta di mano. È un segno inatteso di apertura e di speranza.

Quando possono, come possono, i Parents Circle continuano a riunirsi almeno via Internet. Sono madri e padri che hanno perso i figli in un attentato o in conflitto, sono genitori israeliani e palestinesi uniti dal medesimo dolore. Una di loro è ostaggio di Hamas. E loro continuano a sostenersi vicendevolmente e a progettare percorsi di educazione alla pace con in più giovani.

E poi ci sono alcune comunità cristiane che, come sempre è avvenuto in tutti questi anni, riescono a farsi ponte tra arabi musulmani ed ebrei israeliani. Sono i frati della Custodia di Terra Santa, i Patriarcati a Gerusalemme e tante piccole comunità disseminate in quello scampolo di lievito madre che ha fecondato le tre fedi nell’unico Dio di Abramo. Si sa, i semi sono piccola cosa, quasi invisibili rispetto alle bombe e al loro fragore… ma guai se non ci fossero.

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Il silenzio dei potenti sulla pace nella Striscia di Gaza https://www.lavoce.it/il-silenzio-dei-potenti-sulla-pace-nella-striscia-di-gaza/ https://www.lavoce.it/il-silenzio-dei-potenti-sulla-pace-nella-striscia-di-gaza/#respond Thu, 26 Oct 2023 09:12:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73806 Una donna reagisce disperataaccanto alle macerie di un edificio in seguito agli attacchi israeliani su Rafah nel sud della Striscia di Gaza

di padre Ibrahim Faltas*

Ancora morti innocenti, ancora sofferenze del corpo e dell’anima, ancora voci inascoltate. Quando si fermeranno le armi? Chi sta usando l’arma del dialogo e della pace? In questi giorni abbiamo visto arrivare e ripartire governanti, leader e personaggi importanti, che analizzano, consigliano, parteggiano… ma purtroppo tacciono e non intervengono per porre fine a questa guerra. È giunto il momento per tutti i potenti, che hanno un ruolo importante, di far cessare il fuoco, di far deporre le armi, di tirare fuori il coraggio di uomini che siano degni dell’importante ruolo che rivestono.

Purtroppo le nostre speranze sono state deluse perché non abbiamo sentito voci che chiedono il rispetto della vita umana, non abbiamo sentito implorare con forza la pace. Solo da Papa Francesco abbiamo udito parole forti, equilibrate e portatrici di verità. Perché i suoi appelli non ricevono ancora una risposta concreta? Perché il suo affermare con forza che la guerra è una sconfitta per l’umanità non spinge a comprendere che bisogna bloccare questa spirale di violenza? Sono certo che, se potesse, Papa Francesco verrebbe di persona a parlare ai cuori dei governanti, verrebbe a fermare le mani armate, verrebbe a portare una carezza ai bambini oltraggiati e indifesi. Noi, uomini di buona volontà, abbiamo solo il potere di parole e di azioni in difesa della vita. Tutti avremo sulla coscienza e dovremo rispondere a Dio e alla Storia di tanti innocenti morti, perché non siamo stati capaci di difendere il bene prezioso di ogni singola vita umana.

Sono arrivati in questi giorni in Terra Santa molti giornalisti e televisioni a documentare la brutalità della guerra. Anche i media possono fare molto in questo momento storico. La comunicazione è fondamentale: vogliamo un’informazione corretta, che non dia notizie non verificate che poi diventano strumenti di incitamento all’odio. Ciò è dannoso e non aiuta a salvare vite umane. L’obiettivo primario per tutti deve essere solo di fermare questa guerra, per il bene dell’umanità intera. La coscienza di ognuno si risvegli per porre fine a questa disumanità che sta colpendo tante vite, e che rischia di coinvolgere il mondo.  Facciamoci tutti strumenti di pace, perché non vogliamo la guerra.

* vicario custodiale della Custodia francescana di Terra Santa

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Una donna reagisce disperataaccanto alle macerie di un edificio in seguito agli attacchi israeliani su Rafah nel sud della Striscia di Gaza

di padre Ibrahim Faltas*

Ancora morti innocenti, ancora sofferenze del corpo e dell’anima, ancora voci inascoltate. Quando si fermeranno le armi? Chi sta usando l’arma del dialogo e della pace? In questi giorni abbiamo visto arrivare e ripartire governanti, leader e personaggi importanti, che analizzano, consigliano, parteggiano… ma purtroppo tacciono e non intervengono per porre fine a questa guerra. È giunto il momento per tutti i potenti, che hanno un ruolo importante, di far cessare il fuoco, di far deporre le armi, di tirare fuori il coraggio di uomini che siano degni dell’importante ruolo che rivestono.

Purtroppo le nostre speranze sono state deluse perché non abbiamo sentito voci che chiedono il rispetto della vita umana, non abbiamo sentito implorare con forza la pace. Solo da Papa Francesco abbiamo udito parole forti, equilibrate e portatrici di verità. Perché i suoi appelli non ricevono ancora una risposta concreta? Perché il suo affermare con forza che la guerra è una sconfitta per l’umanità non spinge a comprendere che bisogna bloccare questa spirale di violenza? Sono certo che, se potesse, Papa Francesco verrebbe di persona a parlare ai cuori dei governanti, verrebbe a fermare le mani armate, verrebbe a portare una carezza ai bambini oltraggiati e indifesi. Noi, uomini di buona volontà, abbiamo solo il potere di parole e di azioni in difesa della vita. Tutti avremo sulla coscienza e dovremo rispondere a Dio e alla Storia di tanti innocenti morti, perché non siamo stati capaci di difendere il bene prezioso di ogni singola vita umana.

Sono arrivati in questi giorni in Terra Santa molti giornalisti e televisioni a documentare la brutalità della guerra. Anche i media possono fare molto in questo momento storico. La comunicazione è fondamentale: vogliamo un’informazione corretta, che non dia notizie non verificate che poi diventano strumenti di incitamento all’odio. Ciò è dannoso e non aiuta a salvare vite umane. L’obiettivo primario per tutti deve essere solo di fermare questa guerra, per il bene dell’umanità intera. La coscienza di ognuno si risvegli per porre fine a questa disumanità che sta colpendo tante vite, e che rischia di coinvolgere il mondo.  Facciamoci tutti strumenti di pace, perché non vogliamo la guerra.

* vicario custodiale della Custodia francescana di Terra Santa

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Conflitto Israele – Palestina. La prima cosa da restituire sono i volti https://www.lavoce.it/conflitto-israele-palestina-prima-cosa-restituire-sono-volti/ https://www.lavoce.it/conflitto-israele-palestina-prima-cosa-restituire-sono-volti/#respond Wed, 18 Oct 2023 14:16:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73702

È molto difficile in queste ore ascoltare qualche considerazione sul conflitto israelo-palestinese, fosse pure un’analisi geopolitica, che non sia la replica più o meno aggiornata di ciò che è stato già ripetuto altre volte. Le modalità con cui si sta realizzando quella carneficina è piuttosto la conferma che non sarebbe possibile metterla in atto senza aver prima disumanizzato il nemico, ovvero il proprio sguardo sull’altro.

Da una parte e dall’altra si cercano pretesti irragionevoli e giustificazioni improbabili sulla decisione di coinvolgere i civili, gli innocenti, i bambini in questo conflitto, e per commettere crimini efferati. Il presidente israeliano Isaac Herzog ha detto: “Non è vera la retorica secondo cui i civili non sono consapevoli e coinvolti. Avrebbero potuto ribellarsi, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio che ha preso il controllo di Gaza”.

Pertanto i civili, secondo Herzog, non sono più considerati “danni collaterali” ma sono piuttosto corresponsabili delle efferatezze commesse da Hamas. Nello stesso tempo i terroristi di Hamas considerano i civili israeliani colpevoli di essere cittadini di uno Stato che quotidianamente e continuativamente vessa la popolazione civile palestinese. D’altra parte, non c’è niente di più esplicito di quanto ha dichiarato il ministro della Difesa israeliano: “Combattiamo contro degli animali umani e agiamo di conseguenza”.

Tragica ironia della Storia, si tratta delle stesse teorie prodotte da Hitler e dall’ideologia nazista a proposito degli ebrei. Sono le medesime tragiche conseguenze vissute nei campi di sterminio, in cui ogni persona era ridotta a un numero di matricola tatuato sull’avambraccio sinistro. Disumanizzare il nemico è assolutamente necessario per poter usare ogni sorta di violenza contro di lui senza convivere con alcun senso di colpa. È così che si arriva a fare scempio perfino del corpo dei bambini o a togliere l’energia elettrica anche agli ospedali, che non possono più alimentare le incubatrici e assistono impotenti alla morte dei neonati.

Nell’unica volta che mi è stato consentito di visitare Gaza, ho incontrato un medico psichiatra palestinese che curava i traumi causati dagli attacchi quotidiani e dai bombardamenti. Tra le altre cose, diceva che aveva studiato in un’università israeliana, e di conservare bellissime amicizie israeliane, al punto da saper distinguere tra questi e i governanti o gli appartenenti alle forze armate. Dopo che i palestinesi sono stati rinchiusi nella Striscia, gli unici israeliani che hanno conosciuto sono quelli che hanno imparato a definire come nemici. È questo che genera l’odio, il conflitto violento e la disumanizzazione.

È per questo che lo sforzo della comunità internazionale deve essere orientato a una pacificazione che restituisca un volto all’altro. È la via maestra per sottrare consenso al terrorismo d’ogni tipo, e restituire una dignità alle vittime. È la strada indicata dal Vangelo e praticata da Gesù di Nazareth. È ciò per cui tutti oggi dovremmo impegnarci.

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È molto difficile in queste ore ascoltare qualche considerazione sul conflitto israelo-palestinese, fosse pure un’analisi geopolitica, che non sia la replica più o meno aggiornata di ciò che è stato già ripetuto altre volte. Le modalità con cui si sta realizzando quella carneficina è piuttosto la conferma che non sarebbe possibile metterla in atto senza aver prima disumanizzato il nemico, ovvero il proprio sguardo sull’altro.

Da una parte e dall’altra si cercano pretesti irragionevoli e giustificazioni improbabili sulla decisione di coinvolgere i civili, gli innocenti, i bambini in questo conflitto, e per commettere crimini efferati. Il presidente israeliano Isaac Herzog ha detto: “Non è vera la retorica secondo cui i civili non sono consapevoli e coinvolti. Avrebbero potuto ribellarsi, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio che ha preso il controllo di Gaza”.

Pertanto i civili, secondo Herzog, non sono più considerati “danni collaterali” ma sono piuttosto corresponsabili delle efferatezze commesse da Hamas. Nello stesso tempo i terroristi di Hamas considerano i civili israeliani colpevoli di essere cittadini di uno Stato che quotidianamente e continuativamente vessa la popolazione civile palestinese. D’altra parte, non c’è niente di più esplicito di quanto ha dichiarato il ministro della Difesa israeliano: “Combattiamo contro degli animali umani e agiamo di conseguenza”.

Tragica ironia della Storia, si tratta delle stesse teorie prodotte da Hitler e dall’ideologia nazista a proposito degli ebrei. Sono le medesime tragiche conseguenze vissute nei campi di sterminio, in cui ogni persona era ridotta a un numero di matricola tatuato sull’avambraccio sinistro. Disumanizzare il nemico è assolutamente necessario per poter usare ogni sorta di violenza contro di lui senza convivere con alcun senso di colpa. È così che si arriva a fare scempio perfino del corpo dei bambini o a togliere l’energia elettrica anche agli ospedali, che non possono più alimentare le incubatrici e assistono impotenti alla morte dei neonati.

Nell’unica volta che mi è stato consentito di visitare Gaza, ho incontrato un medico psichiatra palestinese che curava i traumi causati dagli attacchi quotidiani e dai bombardamenti. Tra le altre cose, diceva che aveva studiato in un’università israeliana, e di conservare bellissime amicizie israeliane, al punto da saper distinguere tra questi e i governanti o gli appartenenti alle forze armate. Dopo che i palestinesi sono stati rinchiusi nella Striscia, gli unici israeliani che hanno conosciuto sono quelli che hanno imparato a definire come nemici. È questo che genera l’odio, il conflitto violento e la disumanizzazione.

È per questo che lo sforzo della comunità internazionale deve essere orientato a una pacificazione che restituisca un volto all’altro. È la via maestra per sottrare consenso al terrorismo d’ogni tipo, e restituire una dignità alle vittime. È la strada indicata dal Vangelo e praticata da Gesù di Nazareth. È ciò per cui tutti oggi dovremmo impegnarci.

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Il Padre nostro serve alla pace? https://www.lavoce.it/il-padre-nostro-serve-alla-pace/ https://www.lavoce.it/il-padre-nostro-serve-alla-pace/#respond Wed, 18 Oct 2023 13:00:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73686

Diceva Niccolò Machiavelli che “gli stati non si governano con i paternostri”. Troppo cinico? Diciamo che i Papi del suo secolo – e anche quelli dei secoli precedenti e successivi – come sovrani dello Stato pontificio hanno mostrato, con i fatti, di pensarla allo stesso modo. Tanto che, per consolidare il loro dominio sull’Umbria, l’avevano disseminata di robuste fortezze, da un capo all’altro. Comunque, con quella frase Machiavelli non voleva mancare di rispetto alla preghiera e alle persone che pregano. Con la parola “paternostri” alludeva piuttosto alle buone parole, alle esortazioni, alle prediche; le quali possono convertire ed educare alcuni, ma lasciano indifferenti gli altri. Purtroppo questi temi non si possono trattare con leggerezza. La guerra fra la Russia (attaccante) e l’Ucraina (aggredita) già ci mostrava ogni giorno che le speranze di pace si allontanano di più; e intanto è scoppiato un nuovo conflitto ferocissimo in Medio Oriente, fra Hamas e Israele. Si sono viste e sentite raccontare azioni terribili di aggressione e di ritorsione; e il terrorismo dei fanatici islamisti colpisce anche in Europa. E mentre c’è chi, in nome di Dio, supplica i violenti ad abbandonare le armi e a convertirsi alla pace, c’è chi uccide e devasta sentendosi in missione per conto di Dio. In queste condizioni, raggiungere la pace può apparire un’impresa disperata. Viene da pensare che nell’umanità coesistano e si mescolino le tendenze a fare il bene e gli impulsi a fare il male, fra i popoli come fra gli individui. Vediamo come anche nei rapporti fra le persone si moltiplicano i casi di violenza, i femminicidi, gli stupri. L’aspirazione dell’umanità al bene si è manifestata, nei millenni, con la costruzione della società civile e di comunità politiche (gli Stati) dotate di leggi, tribunali, scuole, apparati di governo e di servizio: queste sono le armi della pace. Ma non sono bastate, almeno finora, a estinguere i semi della violenza, dell’odio, della ferocia. Non dico che ci si debba arrendere all’idea che la guerra fa parte dell’umanità e non scomparirà mai. Ma la ricerca della via per raggiungere la pace è dura e faticosa – perché gli Stati, appunto, non si governano con i “paternostri”. E però se, quando preghiamo con il Padre nostro, prendessimo sul serio le parole che pronunciamo, proprio lì troveremmo la vera formula della pace.]]>

Diceva Niccolò Machiavelli che “gli stati non si governano con i paternostri”. Troppo cinico? Diciamo che i Papi del suo secolo – e anche quelli dei secoli precedenti e successivi – come sovrani dello Stato pontificio hanno mostrato, con i fatti, di pensarla allo stesso modo. Tanto che, per consolidare il loro dominio sull’Umbria, l’avevano disseminata di robuste fortezze, da un capo all’altro. Comunque, con quella frase Machiavelli non voleva mancare di rispetto alla preghiera e alle persone che pregano. Con la parola “paternostri” alludeva piuttosto alle buone parole, alle esortazioni, alle prediche; le quali possono convertire ed educare alcuni, ma lasciano indifferenti gli altri. Purtroppo questi temi non si possono trattare con leggerezza. La guerra fra la Russia (attaccante) e l’Ucraina (aggredita) già ci mostrava ogni giorno che le speranze di pace si allontanano di più; e intanto è scoppiato un nuovo conflitto ferocissimo in Medio Oriente, fra Hamas e Israele. Si sono viste e sentite raccontare azioni terribili di aggressione e di ritorsione; e il terrorismo dei fanatici islamisti colpisce anche in Europa. E mentre c’è chi, in nome di Dio, supplica i violenti ad abbandonare le armi e a convertirsi alla pace, c’è chi uccide e devasta sentendosi in missione per conto di Dio. In queste condizioni, raggiungere la pace può apparire un’impresa disperata. Viene da pensare che nell’umanità coesistano e si mescolino le tendenze a fare il bene e gli impulsi a fare il male, fra i popoli come fra gli individui. Vediamo come anche nei rapporti fra le persone si moltiplicano i casi di violenza, i femminicidi, gli stupri. L’aspirazione dell’umanità al bene si è manifestata, nei millenni, con la costruzione della società civile e di comunità politiche (gli Stati) dotate di leggi, tribunali, scuole, apparati di governo e di servizio: queste sono le armi della pace. Ma non sono bastate, almeno finora, a estinguere i semi della violenza, dell’odio, della ferocia. Non dico che ci si debba arrendere all’idea che la guerra fa parte dell’umanità e non scomparirà mai. Ma la ricerca della via per raggiungere la pace è dura e faticosa – perché gli Stati, appunto, non si governano con i “paternostri”. E però se, quando preghiamo con il Padre nostro, prendessimo sul serio le parole che pronunciamo, proprio lì troveremmo la vera formula della pace.]]>
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Terra Santa. L’appello del Sovrano Ordine di Malta https://www.lavoce.it/terra-santa-lappello-del-sovrano-ordine-di-malta/ https://www.lavoce.it/terra-santa-lappello-del-sovrano-ordine-di-malta/#respond Mon, 16 Oct 2023 08:00:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73668 Carro armato e soldati israeliani

Il Sovrano Ordine di Malta esprime la sua più profonda preoccupazione per i tragici eventi degli ultimi giorni in Terra Santa. Condanna fermamente gli atti di terrorismo perpetrati in Israele contro la popolazione locale e le tragiche morti che hanno causato. Rifiuta la cultura della violenza che tollera l’uccisione indiscriminata di civili e la detenzione di ostaggi. L’Ordine di Malta ritiene che la spirale di violenza debba essere immediatamente interrotta. Nessun atto di terrorismo e l’uso indiscriminato della forza contro popolazioni innocenti possono essere giustificati.

Il Sovrano Ordine di Malta chiede il rispetto del Diritto internazionale umanitario

La distruzione e le sofferenze causate ai civili non sono mai accettabili. La tragedia dei conflitti e delle lotte si protrae in Terra Santa da troppo tempo. Chiediamo il pieno rispetto del Diritto internazionale umanitario, dello Stato di diritto e della protezione degli innocenti coinvolti nel conflitto.

Si rispettino i diritti di coloro che operano negli ospedali, nelle cliniche, nel primo soccorso e di chi gestisce i servizi di ambulanza

Ci appelliamo a tutte le parti affinché rispettino i diritti di coloro che prestano servizio negli ospedali e nelle cliniche, che forniscono il primo soccorso e che gestiscono i servizi di ambulanza. Troppo spesso coloro che assistono disinteressatamente i malati e i bisognosi diventano essi stessi vittime. A questo proposito ricordiamo il ruolo dell’Ospedale della Sacra Famiglia di Betlemme, che serve tutti i bisognosi, indipendentemente dalla loro origine, nazionalità, credo religioso, nello spirito stesso dell’assistenza umanitaria prestata dall’Ordine di Malta, secondo la sua storica missione.

L'invito a compiere ogni sforzo per porre fine alla spirale di violenza per proteggere le vite umane

L’Ordine di Malta invita la comunità internazionale a compiere ogni sforzo possibile per porre fine all’escalation e alla spirale di violenza, per proteggere le vite umane e creare le condizioni per una soluzione globale e duratura del conflitto israelo-palestinese, nello spirito delle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite. Lo status e il libero accesso a tutti i Luoghi Santi e ai siti religiosi in Terra Santa dovrebbero essere garantiti. Tutte le parti interessate dovrebbero cooperare per evitare l’ulteriore diffusione di una cultura ispirata all’odio e all’estremismo. La Terra Santa e il suo popolo occupano un posto speciale nel cuore del Sovrano Ordine di Malta.]]>
Carro armato e soldati israeliani

Il Sovrano Ordine di Malta esprime la sua più profonda preoccupazione per i tragici eventi degli ultimi giorni in Terra Santa. Condanna fermamente gli atti di terrorismo perpetrati in Israele contro la popolazione locale e le tragiche morti che hanno causato. Rifiuta la cultura della violenza che tollera l’uccisione indiscriminata di civili e la detenzione di ostaggi. L’Ordine di Malta ritiene che la spirale di violenza debba essere immediatamente interrotta. Nessun atto di terrorismo e l’uso indiscriminato della forza contro popolazioni innocenti possono essere giustificati.

Il Sovrano Ordine di Malta chiede il rispetto del Diritto internazionale umanitario

La distruzione e le sofferenze causate ai civili non sono mai accettabili. La tragedia dei conflitti e delle lotte si protrae in Terra Santa da troppo tempo. Chiediamo il pieno rispetto del Diritto internazionale umanitario, dello Stato di diritto e della protezione degli innocenti coinvolti nel conflitto.

Si rispettino i diritti di coloro che operano negli ospedali, nelle cliniche, nel primo soccorso e di chi gestisce i servizi di ambulanza

Ci appelliamo a tutte le parti affinché rispettino i diritti di coloro che prestano servizio negli ospedali e nelle cliniche, che forniscono il primo soccorso e che gestiscono i servizi di ambulanza. Troppo spesso coloro che assistono disinteressatamente i malati e i bisognosi diventano essi stessi vittime. A questo proposito ricordiamo il ruolo dell’Ospedale della Sacra Famiglia di Betlemme, che serve tutti i bisognosi, indipendentemente dalla loro origine, nazionalità, credo religioso, nello spirito stesso dell’assistenza umanitaria prestata dall’Ordine di Malta, secondo la sua storica missione.

L'invito a compiere ogni sforzo per porre fine alla spirale di violenza per proteggere le vite umane

L’Ordine di Malta invita la comunità internazionale a compiere ogni sforzo possibile per porre fine all’escalation e alla spirale di violenza, per proteggere le vite umane e creare le condizioni per una soluzione globale e duratura del conflitto israelo-palestinese, nello spirito delle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite. Lo status e il libero accesso a tutti i Luoghi Santi e ai siti religiosi in Terra Santa dovrebbero essere garantiti. Tutte le parti interessate dovrebbero cooperare per evitare l’ulteriore diffusione di una cultura ispirata all’odio e all’estremismo. La Terra Santa e il suo popolo occupano un posto speciale nel cuore del Sovrano Ordine di Malta.]]>
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Terra Santa. L’arcivescovo Renato Boccardo invita la comunità ad una fiaccolata di riflessione e preghiera https://www.lavoce.it/terra-santa-larcivescovo-renato-boccardo-invita-la-comunita-ad-una-fiaccolata-di-riflessione-e-preghiera/ https://www.lavoce.it/terra-santa-larcivescovo-renato-boccardo-invita-la-comunita-ad-una-fiaccolata-di-riflessione-e-preghiera/#respond Fri, 13 Oct 2023 16:00:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73658

Lettera d'invito dell’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo alla comunità a partecipare alla fiaccolata di riflessione e preghiera del 17 ottobre che si svolgerà a Montefalco, dove c'è il convento di San Fortunato dei Frati Minori della Custodia di Terra Santa.   Ancora una volta la Terra Santa, la terra di Gesù, è scenario di barbarie e di inaudita violenza, e in Israele e Palestina tanti innocenti sono vittime dell’odio che insanguina e divide la società, le famiglie e il vivere civile, generando distruzione e disperazione. «Il terrorismo e gli estremismi non aiutano a raggiungere una soluzione al conflitto tra Israeliani e Palestinesi, ma alimentano l’odio, la violenza, la vendetta, e fanno solo soffrire gli uni e gli altri. Il Medio Oriente non ha bisogno di guerra, ma di pace, di una pace costruita sulla giustizia, sul dialogo e sul coraggio della fraternità» (Papa Francesco, Udienza Generale, 11 ottobre). Come cristiani, non possiamo non prendere su di noi e condividere il dolore di tanti fratelli e sorelle in umanità e dobbiamo fare ricorso all’unica forza su cui possiamo contare: la preghiera corale e intensa che implora da Dio, Padre di tutti, il dono della riconciliazione e della pace. In sintonia con quanto si farà a livello nazionale, invito tutte le comunità della diocesi e le persone di buona volontà ad una fiaccolata di riflessione e preghiera martedì 17 ottobre p.v. alle ore 21 a Montefalco con partenza da piazza del Comune verso il Convento di San Fortunato, dove vive una comunità dei Frati Francescani della Custodia di Terra Santa. A chi lo desidera e può, suggerisco anche un gesto penitenziale: astenersi dalla cena di quella sera e offrire il digiuno come sacrificio di intercessione. Nel nostro camminare non dimenticheremo la tragedia dell’Ucraina e i tanti altri focolai di guerra che punteggiano il pianeta, mentre deporremo nel cuore di Dio Onnipotente il nostro desiderio di pace, di giustizia e di riconciliazione. Spoleto, 12 ottobre 2023 + Renato Boccardo, Arcivescovo ]]>

Lettera d'invito dell’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo alla comunità a partecipare alla fiaccolata di riflessione e preghiera del 17 ottobre che si svolgerà a Montefalco, dove c'è il convento di San Fortunato dei Frati Minori della Custodia di Terra Santa.   Ancora una volta la Terra Santa, la terra di Gesù, è scenario di barbarie e di inaudita violenza, e in Israele e Palestina tanti innocenti sono vittime dell’odio che insanguina e divide la società, le famiglie e il vivere civile, generando distruzione e disperazione. «Il terrorismo e gli estremismi non aiutano a raggiungere una soluzione al conflitto tra Israeliani e Palestinesi, ma alimentano l’odio, la violenza, la vendetta, e fanno solo soffrire gli uni e gli altri. Il Medio Oriente non ha bisogno di guerra, ma di pace, di una pace costruita sulla giustizia, sul dialogo e sul coraggio della fraternità» (Papa Francesco, Udienza Generale, 11 ottobre). Come cristiani, non possiamo non prendere su di noi e condividere il dolore di tanti fratelli e sorelle in umanità e dobbiamo fare ricorso all’unica forza su cui possiamo contare: la preghiera corale e intensa che implora da Dio, Padre di tutti, il dono della riconciliazione e della pace. In sintonia con quanto si farà a livello nazionale, invito tutte le comunità della diocesi e le persone di buona volontà ad una fiaccolata di riflessione e preghiera martedì 17 ottobre p.v. alle ore 21 a Montefalco con partenza da piazza del Comune verso il Convento di San Fortunato, dove vive una comunità dei Frati Francescani della Custodia di Terra Santa. A chi lo desidera e può, suggerisco anche un gesto penitenziale: astenersi dalla cena di quella sera e offrire il digiuno come sacrificio di intercessione. Nel nostro camminare non dimenticheremo la tragedia dell’Ucraina e i tanti altri focolai di guerra che punteggiano il pianeta, mentre deporremo nel cuore di Dio Onnipotente il nostro desiderio di pace, di giustizia e di riconciliazione. Spoleto, 12 ottobre 2023 + Renato Boccardo, Arcivescovo ]]>
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Medio Oriente nel sangue https://www.lavoce.it/medio-oriente-nel-sangue/ https://www.lavoce.it/medio-oriente-nel-sangue/#respond Thu, 12 Oct 2023 12:22:09 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73619

La carneficina israelo-palestinese di questi giorni è il prodotto di una spirale di violenza che dura ormai da 75 anni. Sangue chiama sangue. L’attacco terroristico del 7 ottobre è da condannare senza esitazione, ma rispondere con la vendetta al terrorismo sanguinario e crudele di Hamas non risolve la questione, l’aggrava e serve esclusivamente a prolungare il conflitto. Se anche la risposta violenta riuscisse a neutralizzare tutte le cellule di terrorismo e a salvare il maggior numero di ostaggi, si porrebbero comunque le basi per l’odio e la violenza di domani. Sono ragioni sufficienti per far comprendere al mondo intero che non si può continuare a fare da spettatori, e che la comunità internazionale è l’unico soggetto con la titolarità e la forza per trarre quelle popolazioni fuori dalla logica della violenza e avviare a una soluzione pacifica. In questa direzione vanno gli appelli del Papa e le dichiarazioni dei Patriarchi e dei capi delle Chiese di Gerusalemme. E noi non possiamo che unirci alla preghiera, alimentare la speranza, sottrarci al linguaggio della violenza, e continuare a credere nel dialogo anche quando sembra lontano e difficile.]]>

La carneficina israelo-palestinese di questi giorni è il prodotto di una spirale di violenza che dura ormai da 75 anni. Sangue chiama sangue. L’attacco terroristico del 7 ottobre è da condannare senza esitazione, ma rispondere con la vendetta al terrorismo sanguinario e crudele di Hamas non risolve la questione, l’aggrava e serve esclusivamente a prolungare il conflitto. Se anche la risposta violenta riuscisse a neutralizzare tutte le cellule di terrorismo e a salvare il maggior numero di ostaggi, si porrebbero comunque le basi per l’odio e la violenza di domani. Sono ragioni sufficienti per far comprendere al mondo intero che non si può continuare a fare da spettatori, e che la comunità internazionale è l’unico soggetto con la titolarità e la forza per trarre quelle popolazioni fuori dalla logica della violenza e avviare a una soluzione pacifica. In questa direzione vanno gli appelli del Papa e le dichiarazioni dei Patriarchi e dei capi delle Chiese di Gerusalemme. E noi non possiamo che unirci alla preghiera, alimentare la speranza, sottrarci al linguaggio della violenza, e continuare a credere nel dialogo anche quando sembra lontano e difficile.]]>
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Conflitto israelo-palestinese. La soluzione non è schierarsi https://www.lavoce.it/conflitto-israelo-palestinese-la-soluzione-non-e-schierarsi/ https://www.lavoce.it/conflitto-israelo-palestinese-la-soluzione-non-e-schierarsi/#respond Thu, 12 Oct 2023 09:40:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73603

di Fra' Stefano Tondelli*

Cosa ci dice ciò che è successo nei territori israelo-palestinesi, con la sua violenza e crudezza? Ci dice anzitutto che la pace è l’unica soluzione, non c’è altra possibilità che cercare modalità di convivenza pacifica nel rispetto di tutti: imparare a vivere insieme. Senza questo, ogni soluzione politica sarà fragile. E dobbiamo agire in fretta! Papa Francesco nella Laudate Deum ci rimprovera per la lentezza nel promuovere il bene quando il male avanza così velocemente.

Una particolarità del conflitto da non trascurare è che i due popoli che si scontrano sono mescolati tra loro: già in Israele vive circa un 20% di arabi, inoltre i Territori palestinesi si intrecciano con lo Stato ebraico in modo inestricabile. Non è come la guerra tra due Paesi ben distinti in cui uno vince, l’altro perde, ma poi ognuno sta a casa sua a leccarsi le ferite. Qui no. Qui gli sconfitti covano vendetta accanto ai vincitori. Storicamente questo tipo di conflitti in cui i duellanti vivono nello stesso territorio si conclude solo con genocidi e deportazioni dei più forti contro i più deboli (vedi il genocidio armeno, la Shoah, hutu e tutsi, le foibe…). E questo va evitato a ogni costo.

Un’altra cosa che questi eventi ci insegnano è di stare attenti a schierarsi ideologicamente da una parte contro l’altra, spesso condizionati dai mass media o dalle simpatie politiche. Il conflitto arabo-israeliano è un coacervo tale di errori storici, violenze, intrighi politici e manovre occulte che individuare con certezza buoni e cattivi, ragione e torto, diventa quantomeno ingenuo, se non presuntuoso. Inoltre il vizio di schierarsi fa parte appunto di quella politica vecchia, eredità della guerra fredda, che ha portato alla guerra in Ucraina e in tante altre parti del mondo. Siamo in un mondo nuovo, e c’è bisogno di nuovi paradigmi che guidino le azioni della comunità internazionale.

E questo nuovo modo di approcciare i conflitti non è quello di schierarci con un popolo contro un altro, ma condannare le azioni, le ingiustizie. Questo sì possiamo farlo, anzi dobbiamo farlo, come esigenza umana ma anche biblica e profetica. Denunciare e intervenire contro l’ingiustizia. Questo è il ruolo della comunità internazionale, oltre che del cristiano.

In questo contesto i cristiani rappresentano circa l’1% della popolazione: pur essendo un piccolo numero, il loro ruolo è fondamentale perché agiscono come ponti di pace. In modo forte, Papa Francesco in questi giorni ha voluto farsi vicino ai cristiani di Terra Santa nominando cardinale il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, che continua l’opera di riconciliazione: “Non basta non volere la guerra. Bisogna impegnarsi per favorire relazioni di buon vicinato”.

Così i cristiani, pur denunciando ogni ingiustizia, non si schierano per una delle due sponde e possono diventare “ponti” affinché gli avversari si incontrino per dialogare e imparare a convivere: se il ponte funziona, le due sponde opposte saranno unite e non diventeranno più due, ma una sola.

Questa metodologia i cristiani l’hanno imparata da Gesù stesso, come ci ricorda san Paolo: “Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia… distruggendo in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini” (Ef 2,14 ss).

Pace per tutti i popoli, pace per Gerusalemme!

*commissario di Terra Santa per l’Umbria
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di Fra' Stefano Tondelli*

Cosa ci dice ciò che è successo nei territori israelo-palestinesi, con la sua violenza e crudezza? Ci dice anzitutto che la pace è l’unica soluzione, non c’è altra possibilità che cercare modalità di convivenza pacifica nel rispetto di tutti: imparare a vivere insieme. Senza questo, ogni soluzione politica sarà fragile. E dobbiamo agire in fretta! Papa Francesco nella Laudate Deum ci rimprovera per la lentezza nel promuovere il bene quando il male avanza così velocemente.

Una particolarità del conflitto da non trascurare è che i due popoli che si scontrano sono mescolati tra loro: già in Israele vive circa un 20% di arabi, inoltre i Territori palestinesi si intrecciano con lo Stato ebraico in modo inestricabile. Non è come la guerra tra due Paesi ben distinti in cui uno vince, l’altro perde, ma poi ognuno sta a casa sua a leccarsi le ferite. Qui no. Qui gli sconfitti covano vendetta accanto ai vincitori. Storicamente questo tipo di conflitti in cui i duellanti vivono nello stesso territorio si conclude solo con genocidi e deportazioni dei più forti contro i più deboli (vedi il genocidio armeno, la Shoah, hutu e tutsi, le foibe…). E questo va evitato a ogni costo.

Un’altra cosa che questi eventi ci insegnano è di stare attenti a schierarsi ideologicamente da una parte contro l’altra, spesso condizionati dai mass media o dalle simpatie politiche. Il conflitto arabo-israeliano è un coacervo tale di errori storici, violenze, intrighi politici e manovre occulte che individuare con certezza buoni e cattivi, ragione e torto, diventa quantomeno ingenuo, se non presuntuoso. Inoltre il vizio di schierarsi fa parte appunto di quella politica vecchia, eredità della guerra fredda, che ha portato alla guerra in Ucraina e in tante altre parti del mondo. Siamo in un mondo nuovo, e c’è bisogno di nuovi paradigmi che guidino le azioni della comunità internazionale.

E questo nuovo modo di approcciare i conflitti non è quello di schierarci con un popolo contro un altro, ma condannare le azioni, le ingiustizie. Questo sì possiamo farlo, anzi dobbiamo farlo, come esigenza umana ma anche biblica e profetica. Denunciare e intervenire contro l’ingiustizia. Questo è il ruolo della comunità internazionale, oltre che del cristiano.

In questo contesto i cristiani rappresentano circa l’1% della popolazione: pur essendo un piccolo numero, il loro ruolo è fondamentale perché agiscono come ponti di pace. In modo forte, Papa Francesco in questi giorni ha voluto farsi vicino ai cristiani di Terra Santa nominando cardinale il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, che continua l’opera di riconciliazione: “Non basta non volere la guerra. Bisogna impegnarsi per favorire relazioni di buon vicinato”.

Così i cristiani, pur denunciando ogni ingiustizia, non si schierano per una delle due sponde e possono diventare “ponti” affinché gli avversari si incontrino per dialogare e imparare a convivere: se il ponte funziona, le due sponde opposte saranno unite e non diventeranno più due, ma una sola.

Questa metodologia i cristiani l’hanno imparata da Gesù stesso, come ci ricorda san Paolo: “Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia… distruggendo in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini” (Ef 2,14 ss).

Pace per tutti i popoli, pace per Gerusalemme!

*commissario di Terra Santa per l’Umbria
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Sono tante le storie resilienti di agricoltura biologica e rispetto della Terra che si affermano anche in condizioni difficilissime; ed è importante farle conoscere in questo Tempo del creato. Ghassan è un palestinese di 33 anni e, pur laureato in Filologia inglese, ha scelto di seguire la sua vocazione agrobiologica dando vita alla Land and Farming Cooperative Association, azienda quasi tutta al femminile (12 donne e due uomini) nelle campagne di Burin, a soli 12 km da Nablus. Deve vedersela ogni giorno con i 1.200 coloni dei tre Territori occupati che quotidianamente lo minacciano, fino a bruciare o tagliare alcuni alberi di olivo e a spargere veleno sulla terra.

Deve contrastare le provocazioni dell’esercito israeliano che, soprattutto in prossimità del raccolto, fa sentire la propria pressione con perquisizioni e arresti. Si aggiungono il prezzo dell’acqua, che per i palestinesi ha un costo “maggiorato”, il boicottaggio delle aziende chimiche e la mentalità degli altri contadini che trovano più produttivo l’uso dei fertilizzanti chimici. Ma Ghassan prosegue in quella che lui stesso definisce una resistenza nonviolenta della Terra in nome della difesa della dignità di un popolo.

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Sono tante le storie resilienti di agricoltura biologica e rispetto della Terra che si affermano anche in condizioni difficilissime; ed è importante farle conoscere in questo Tempo del creato. Ghassan è un palestinese di 33 anni e, pur laureato in Filologia inglese, ha scelto di seguire la sua vocazione agrobiologica dando vita alla Land and Farming Cooperative Association, azienda quasi tutta al femminile (12 donne e due uomini) nelle campagne di Burin, a soli 12 km da Nablus. Deve vedersela ogni giorno con i 1.200 coloni dei tre Territori occupati che quotidianamente lo minacciano, fino a bruciare o tagliare alcuni alberi di olivo e a spargere veleno sulla terra.

Deve contrastare le provocazioni dell’esercito israeliano che, soprattutto in prossimità del raccolto, fa sentire la propria pressione con perquisizioni e arresti. Si aggiungono il prezzo dell’acqua, che per i palestinesi ha un costo “maggiorato”, il boicottaggio delle aziende chimiche e la mentalità degli altri contadini che trovano più produttivo l’uso dei fertilizzanti chimici. Ma Ghassan prosegue in quella che lui stesso definisce una resistenza nonviolenta della Terra in nome della difesa della dignità di un popolo.

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