Organizzazioni non governative Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/organizzazioni-non-governative/ Settimanale di informazione regionale Thu, 17 Nov 2022 12:19:57 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Organizzazioni non governative Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/organizzazioni-non-governative/ 32 32 Profughi nel Mediterraneo tra lacune giuridiche e miopia https://www.lavoce.it/profughi-mediterraneo-lacune-giuridiche-miopia/ Thu, 17 Nov 2022 12:04:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=69285

Siamo rimasti tutti sorpresi dal litigio scoppiato fra l’Italia e la Francia riguardo al salvataggio in mare dei profughi e al trattamento dei migranti in genere. Non voglio discutere ora – non ne vale la pena – da che parte stiano i torti e le ragioni, né se ci siano state strumentalizzazioni e malafede (un po’ sì, diciamo). Conviene invece andare più a fondo e capire che queste liti insorgono quando i rapporti sono regolati da un quadro giuridico sommario e incerto.

È il caso delle norme internazionali, che in parte sono consuetudinarie e in parte derivano da convenzioni scritte. In un caso e nell’altro fissano solo alcuni punti essenziali e lasciano nel vago tutto il resto. Vedi la regola che obbliga i naviganti a prestare soccorso ai naufraghi, raccoglierli e condurli fino a un porto sicuro. Anche ammettendo che sia chiaro che cosa s’intenda per “porto sicuro”, non viene detto che cosa si debba fare “prima” e “dopo”; tanto meno “chi” debba pensarci (al “prima” e al “dopo”).

Per esempio: qual è il ruolo dei volontari delle organizzazioni non governative, dove arrivano i loro diritti e i loro doveri? Ma c’è di peggio: anche le norme del Diritto interno sono spesso incomplete e imprecise al pari di queste; ma almeno, nel Diritto interno ci sono le autorità giudiziarie e amministrative che risolvono caso per caso i problemi con le loro decisioni. Nei rapporti internazionali – salvo che in situazioni particolari – non esistono autorità superiori che abbiano questi compiti e i relativi poteri. Una partita di calcio, anche amichevole, non si può giocare senza un arbitro, non importa quanto bravo, altrimenti finisce in litigio.

Queste semplici riflessioni ci fanno capire quanto sia necessario nel mondo di oggi, molto più che in quello di ieri, avere regole sovranazionali precise e autorità sovranazionali con il potere effettivo di decidere e richiamare all’ordine chi non ci sta. Molto diverso dalle teorie sovraniste, secondo le quali devono esserci, sì, strutture internazionali di coordinamento e collaborazione (tanto meglio se possono darti generosi aiuti in denaro), ma senza che questo comporti alcun vincolo o limite alla sovranità dei singoli Stati.

Tornando ora alla questione dei naufraghi del Mediterraneo, c’è un altro aspetto inquietante. Le regole relative al soccorso in mare e all’accoglienza dei naufraghi sono state concepite per il caso “normale”: qualcuno si è messo in mare pensando di arrivare senza problemi in un porto dove era atteso, ma poi per disgrazia è incappato in un naufragio imprevisto; comunque, una volta soccorso e portato a terra, sa dove andare e ha i mezzi per andarci. I migranti del Mediterraneo, invece, già sanno (o almeno questo è quello che pensano Salvini e i salviniani) che con quel barcone non approderanno mai e rischiano di morirci, ma puntano sul fatto che ci saranno anime buone che andranno a soccorrerli e poi si prenderanno cura di loro a tempo indeterminato.

Questo, sia chiaro, non comporta che sia lecito abbandonarli al loro destino, ci mancherebbe: l’obbligo di salvataggio vale per chiunque è in pericolo, non importa come e perché ci sia arrivato. Ma ci fa capire che abbiamo davanti un fenomeno inconsueto che richiede risposte adeguate, anche per essere pronti ad aiutare quegli sventurati. E vi è ancora un altro aspetto della questione, il più inquietante di tutti. Ciò che spinge quei migranti sui barconi non è una scelta isolata di quelle persone.

È la spia, il primo manifestarsi di un fenomeno enorme e inarrestabile: l’esodo in massa dei popoli dell’Africa, e più in generale del Sud del mondo. Popoli che stanno vivendo una crescita demografica impetuosa (fino a raddoppiare ogni 20 anni) unitamente all’impoverimento delle loro risorse anche per effetto dei cambiamenti climatici e della siccità. Sono, questi, problemi terribili di cui noi dovremmo essere consapevoli e farcene carico… noi chi? Noi, tutti gli abitanti del mondo, collettivamente, a partire dai più ricchi, si capisce. Fare i puntigliosi sui barconi e sulle Ong, in questo quadro, appare, più che inadeguato, tragicamente ridicolo.

Piaccia o non piaccia, problemi di queste dimensioni si possono affrontare e risolvere – ammesso che ci si riesca – solo con un’azione coordinata e decisa a livello mondiale. Solo pensarci fa paura. Ma chiudersi nel nazionalismo è come tapparsi gli occhi per non vedere l’acqua che sale e sta per sommergerci.

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Nazionalisti per paura https://www.lavoce.it/nazionalisti-per-paura/ Thu, 10 Nov 2022 11:38:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=69212

di Andrea Casavecchia

Crescono senza controllo le “piante” della diffidenza e dell’astio verso gli altri, a volte senza ragioni concrete. Molto spesso, per difendere princìpi si trascura la sorte delle persone. Invece di cercare relazioni e costruire spazi di dialogo che possano offrire occasioni e percorsi alternativi, si innalzano muri e si sbarrano le porte.

Così, ad esempio, vengono lasciate in attesa del permesso di attraccare, per giorni, navi di organizzazioni non governative che hanno raccolto in mare migranti su insicuri barconi. “In fondo non ci si può caricare il peso di tutti”… “Però la responsabilità dovrebbe essere condivisa con gli altri Paesi dell’Ue”… sono alcune delle risposte neutre.

Dietro quelle risposte, però, c’è la paura. C’è la paura dell’altro, di qualcuno che non conosciamo e che viene a bussare alla nostra porta. E poi c’è la ricerca di creare una contrapposizione. In Italia ed Europa ci sono politiche che si radicano sulla ricerca della contrapposizione, e oggi rispolverano la vecchia idea dei nazionalismi.

Questa idea si è aggiornata ed è diventata più subdola. Non si tratta più di professare il riconoscimento di un popolo sulla base di una comune origine etnica, sebbene poi si continui a difendere la legittimità di una cittadinanza fondata sullo jus sanguinis rispetto ad altre opzioni valide e percorribili.Oggi si marca una “differenza culturale” – come evidenzia il massmediologo Chirstian Fuchs – nella quale si dichiara che la convivenza tra persone che appartengono a comunità differenti non è possibile.

Le differenze culturali, insomma, ci renderebbero incompatibili. Innalzerebbero una barriera tra noi e loro , gli altri. Secondo Fuchs, le piattaforme web 2.0 diventano le maggiori casse di risonanza dove la distanza si tramuta in paura, dove l’insicurezza genera l’antagonismo. Tutto nascosto dalla giustificazione dell’insufficienza delle risorse: allora, prima gli italiani!

Così si confrontano l’assistenza sanitaria ai migranti con il degrado urbano, la chiusura delle imprese con lo sbarco dei migranti. Questi tanti, piccoli, paragoni senza connessioni reali costruiscono una narrazione che finisce per validare una politica precisa: attenzione a noi stessi e disinteresse per gli altri.

Si potrà uscire da questa strada di paura solo con il coraggio del dialogo, perché il dialogo compone l’incontro di mondi diversi, è uno spazio aperto che avvicina le culture, le confronta, le riconosce e le rispetta senza volerle omologare. Nel percorso del dialogo, l’imprevedibilità del futuro diventa la gioia dello stare insieme. Certo, ci vuole intraprendenza e ci vuole disponibilità all’ascolto.

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di Andrea Casavecchia

Crescono senza controllo le “piante” della diffidenza e dell’astio verso gli altri, a volte senza ragioni concrete. Molto spesso, per difendere princìpi si trascura la sorte delle persone. Invece di cercare relazioni e costruire spazi di dialogo che possano offrire occasioni e percorsi alternativi, si innalzano muri e si sbarrano le porte.

Così, ad esempio, vengono lasciate in attesa del permesso di attraccare, per giorni, navi di organizzazioni non governative che hanno raccolto in mare migranti su insicuri barconi. “In fondo non ci si può caricare il peso di tutti”… “Però la responsabilità dovrebbe essere condivisa con gli altri Paesi dell’Ue”… sono alcune delle risposte neutre.

Dietro quelle risposte, però, c’è la paura. C’è la paura dell’altro, di qualcuno che non conosciamo e che viene a bussare alla nostra porta. E poi c’è la ricerca di creare una contrapposizione. In Italia ed Europa ci sono politiche che si radicano sulla ricerca della contrapposizione, e oggi rispolverano la vecchia idea dei nazionalismi.

Questa idea si è aggiornata ed è diventata più subdola. Non si tratta più di professare il riconoscimento di un popolo sulla base di una comune origine etnica, sebbene poi si continui a difendere la legittimità di una cittadinanza fondata sullo jus sanguinis rispetto ad altre opzioni valide e percorribili.Oggi si marca una “differenza culturale” – come evidenzia il massmediologo Chirstian Fuchs – nella quale si dichiara che la convivenza tra persone che appartengono a comunità differenti non è possibile.

Le differenze culturali, insomma, ci renderebbero incompatibili. Innalzerebbero una barriera tra noi e loro , gli altri. Secondo Fuchs, le piattaforme web 2.0 diventano le maggiori casse di risonanza dove la distanza si tramuta in paura, dove l’insicurezza genera l’antagonismo. Tutto nascosto dalla giustificazione dell’insufficienza delle risorse: allora, prima gli italiani!

Così si confrontano l’assistenza sanitaria ai migranti con il degrado urbano, la chiusura delle imprese con lo sbarco dei migranti. Questi tanti, piccoli, paragoni senza connessioni reali costruiscono una narrazione che finisce per validare una politica precisa: attenzione a noi stessi e disinteresse per gli altri.

Si potrà uscire da questa strada di paura solo con il coraggio del dialogo, perché il dialogo compone l’incontro di mondi diversi, è uno spazio aperto che avvicina le culture, le confronta, le riconosce e le rispetta senza volerle omologare. Nel percorso del dialogo, l’imprevedibilità del futuro diventa la gioia dello stare insieme. Certo, ci vuole intraprendenza e ci vuole disponibilità all’ascolto.

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