ndrangheta Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/ndrangheta/ Settimanale di informazione regionale Thu, 20 Jul 2023 09:44:33 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg ndrangheta Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/ndrangheta/ 32 32 Pietralunga. Rinascita post-mafia https://www.lavoce.it/pietralunga-rinascita-post-mafia/ https://www.lavoce.it/pietralunga-rinascita-post-mafia/#respond Wed, 19 Jul 2023 13:36:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=72327

La grande Storia italiana accanto alle storie più piccole, ma comunque importanti, vicine a casa nostra. Nel giorno della commemorazione della strage di via D’Amelio a Palermo, 31 anni dopo l’attentato mafioso al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della sua scorta, anche l’Umbria taglia un nastro importante, lontano da troppe formalità e con grande concretezza.

Fa una certa impressione sapere che a Pietralunga, paesino tranquillo tra Città di Castello e Gubbio, erano arrivati i tentacoli della cosca ’ndranghetista De Stefano, considerata una delle più potenti e influenti della Calabria, con interessi ben al di fuori dei confini regionali e nazionali. I procedimenti giudiziari che hanno coinvolto le famiglie Tegano e Tripodo hanno portato anche alla confisca di beni di loro proprietà tra le colline dell’Umbria settentrionale.

L'inaugurazione di un ostello della legalità

Ora, dopo ben quindici anni dall’inizio della vicenda, l’inaugurazione di un vero e proprio ostello della legalità riaccende i riflettori sulla storia e segna un nuovo inizio. L’ex complesso conventuale di Sant’Agostino, nel centro storico pietralunghese, sarà ora a disposizione della comunità, come il casolare e i 95 ettari dell’azienda agraria Col della Pila, a poca distanza dal borgo. Un fondo abbandonato a se stesso sul quale - negli ultimi anni - i volontari dell’associazione Libera hanno già organizzato campi di lavoro. Insieme a loro, in prima linea nel rivitalizzare questi patrimoni ci sarà la cooperativa sociale “Paneolio”, che intende rilanciare le attività per dare lavoro a soggetti svantaggiati e valorizzare il territorio e le sue produzioni agricole tipiche.

La speranza è quella di convertire i frutti del “male” mafioso in qualcosa che farà del bene a tutti. Certo, la giornata inaugurale dedicata ai beni confiscati e recuperati ha sollevato anche alcune riflessioni. Quello di Pietralunga (lo stesso vale per un palazzo nel centro di Acquasparta) è stato un percorso complesso e tortuoso, frutto di una legislazione specifica che va migliorata e aggiornata.

Poi, la carta vincente in questa vicenda è stata l’alleanza tra forze dell’ordine, magistratura, istituzioni locali, associazioni e cooperazione. Infine, sarebbe utile prevedere risorse pubbliche da destinare a progetti di rilancio di questi beni confiscati, anche per evitare che tornino in mani sbagliate, come già accaduto.

Un ultimo pensiero: luoghi e progetti come quello di Pietralunga sono “aule” eccezionali dove i nostri giovani possono sperimentare responsabilità e cittadinanza attiva. Dunque, sono occasioni preziose da non sprecare, e che ciascuno di noi dovrebbe sentire un po’ anche “sue”.

]]>

La grande Storia italiana accanto alle storie più piccole, ma comunque importanti, vicine a casa nostra. Nel giorno della commemorazione della strage di via D’Amelio a Palermo, 31 anni dopo l’attentato mafioso al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della sua scorta, anche l’Umbria taglia un nastro importante, lontano da troppe formalità e con grande concretezza.

Fa una certa impressione sapere che a Pietralunga, paesino tranquillo tra Città di Castello e Gubbio, erano arrivati i tentacoli della cosca ’ndranghetista De Stefano, considerata una delle più potenti e influenti della Calabria, con interessi ben al di fuori dei confini regionali e nazionali. I procedimenti giudiziari che hanno coinvolto le famiglie Tegano e Tripodo hanno portato anche alla confisca di beni di loro proprietà tra le colline dell’Umbria settentrionale.

L'inaugurazione di un ostello della legalità

Ora, dopo ben quindici anni dall’inizio della vicenda, l’inaugurazione di un vero e proprio ostello della legalità riaccende i riflettori sulla storia e segna un nuovo inizio. L’ex complesso conventuale di Sant’Agostino, nel centro storico pietralunghese, sarà ora a disposizione della comunità, come il casolare e i 95 ettari dell’azienda agraria Col della Pila, a poca distanza dal borgo. Un fondo abbandonato a se stesso sul quale - negli ultimi anni - i volontari dell’associazione Libera hanno già organizzato campi di lavoro. Insieme a loro, in prima linea nel rivitalizzare questi patrimoni ci sarà la cooperativa sociale “Paneolio”, che intende rilanciare le attività per dare lavoro a soggetti svantaggiati e valorizzare il territorio e le sue produzioni agricole tipiche.

La speranza è quella di convertire i frutti del “male” mafioso in qualcosa che farà del bene a tutti. Certo, la giornata inaugurale dedicata ai beni confiscati e recuperati ha sollevato anche alcune riflessioni. Quello di Pietralunga (lo stesso vale per un palazzo nel centro di Acquasparta) è stato un percorso complesso e tortuoso, frutto di una legislazione specifica che va migliorata e aggiornata.

Poi, la carta vincente in questa vicenda è stata l’alleanza tra forze dell’ordine, magistratura, istituzioni locali, associazioni e cooperazione. Infine, sarebbe utile prevedere risorse pubbliche da destinare a progetti di rilancio di questi beni confiscati, anche per evitare che tornino in mani sbagliate, come già accaduto.

Un ultimo pensiero: luoghi e progetti come quello di Pietralunga sono “aule” eccezionali dove i nostri giovani possono sperimentare responsabilità e cittadinanza attiva. Dunque, sono occasioni preziose da non sprecare, e che ciascuno di noi dovrebbe sentire un po’ anche “sue”.

]]>
https://www.lavoce.it/pietralunga-rinascita-post-mafia/feed/ 0
Convegno Fondazione Sinderesi. La ’ndrangheta senza frontiere https://www.lavoce.it/sinderesi-ndrangheta/ Thu, 16 Jan 2020 16:51:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56033 ’ndrangheta

“Accendi la legalità, l’etica come risposta alla crisi odierna” era il tema del convegno svoltosi sabato scorso nella sede del Consiglio regionale con la partecipazione, tra gli altri, del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catanzaro, Nicola Gratteri, e di mons. Samuele Sangalli, presidente della Fondazione Sinderesi che aveva promosso l’evento.

Gratteri è un magistrato in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata, in particolare contro la ’ndrangheta che ormai dalla Calabria - ha detto - ha esteso la sua attività non solo in tutta Italia, ma in tutti i Continenti.

Un ruolo coraggioso e scomodo il suo, per il quale - ha ricordato mons. Sangalli “ogni giorno rischia la vita”.

Nella lotta non bastano polizia e magistrature da sole

Tanto che proprio a Catanzaro è nato un “Comitato spontaneo di prossimità” che per sabato 18 gennaio ha promosso una manifestazione davanti al Palazzo di giustizia della città calabrese per manifestare vicinanza al procuratore. Nel convegno è stato infatti sottolineato come la lotta a ’ndrangheta e mafie non può essere affidata soltanto a magistratura e forze di polizia, ma è l’intera società e i singoli cittadini che con il loro comportamento devono sentirsi in prima linea, perché sono solo l’etica e il rispetto delle regole a garantirci una convivenza civile.

La “situazione è drammatica - ha detto Gratteri concludendo il suo intervento. - Noi siamo marci, non abbiamo etica; oggi un avviso di garanzia si ostenta come un merito. Nel lavoro ognuno di noi cominci a fare bene quello per cui siamo pagati. Aiutiamo chi ha bisogno, sporchiamoci le mani, impegniamoci nel volontariato, nel sociale, in politica”. Parole accolte da scroscianti applausi.

Occorre una “ripartenza etica ha sottolineato anche mons. Sangalli - dobbiamo cominciare percorsi diversi, per non precipitare nel baratro che abbiamo davanti. La nostra Fondazione da alcuni anni ha cominciato questo cammino per preparare le persone di domani”.

Il convegno - coordinato da Constantino Cristoyannis, console della Grecia a Perugia - è stato aperto dal presidente del Consiglio regionale, Marco Squarta.

Perchè la ’ndrangheta si sta espandendo così tanto

Dal Canada, in videoconferenza, è intervenuto il prof. Antonio Nicaso, autore di vari libri sulle mafie e la criminalità organizzata. La ’ndrangheta - ha detto - si sta espandendo e radicando in tutto il mondo perché ricorre sempre di meno alla violenza e sempre di più alla corruzione. Non cerca solo i paradisi fiscali per custodire i soldi da riciclare, ma i “paradisi normativi” per agire indisturbata. Gli ingenti guadagni del traffico della droga finiscono in banca, e i soldi riciclati vengono investiti in attività economiche.

’Ndrangheta in Umbria

Il problema del radicamento delle mafie esiste anche in Umbria - ha ricordato il prof. Enrico Carloni, docente di Diritto amministrativo all’Università di Perugia - come dimostrato anche dalla recente operazione, diretta proprio dal procuratore Gratteri, con 27 misure cautelari per presunti appartenenti alla ’ndrangheta, dieci delle quali eseguite nella nostra regione. Il sistema normativo e giudiziario - ha spiegato - “è complesso e farraginoso, una matassa intricata che lascia spazio al malaffare e alla corruzione”.

Da dove viene la ricchezza della ’ndrangheta 

La ’ndrangheta - ha aggiunto Gratteri è una potenza economica che in tutti i Continenti sta acquistando “tutto il vendibile”. Nel corso di alcune indagini sono stati bloccati “camion pieni di banconote”. Una ricchezza esplosa negli anni Settanta e Ottanta con i tanti sequestri di persona. Sui monti della Calabria in certi momenti, nel raggio di pochi chilometri, vi erano le prigioni di sei-sette persone sequestrate.

Una valanga di soldi investiti nel traffico della cocaina con altri ingenti guadagni da riciclare. Così la ’ndrangheta si è estesa in tutta Italia soprattutto con gli affari, e senza sparare. “Si uccide di meno - ha detto - perché è più facile corrompere”. Grazie anche alla complicità di “uomini dello Stato”, nella comune appartenza a “logge massoniche deviate”.

Con la crisi economica, troppi imprenditori in difficoltà non si sono chiesti da dove venivano i tanti soldi loro offerti. “Anche la politica - ha proseguito - appare incapace di provvedimenti e ricette di lungo periodo e da tempo ha rinunciato ad investire nella istruzione. Senza istruzione però non c’è cultura”. Anche quella della legalità.

Enzo Ferrini

]]>
’ndrangheta

“Accendi la legalità, l’etica come risposta alla crisi odierna” era il tema del convegno svoltosi sabato scorso nella sede del Consiglio regionale con la partecipazione, tra gli altri, del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catanzaro, Nicola Gratteri, e di mons. Samuele Sangalli, presidente della Fondazione Sinderesi che aveva promosso l’evento.

Gratteri è un magistrato in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata, in particolare contro la ’ndrangheta che ormai dalla Calabria - ha detto - ha esteso la sua attività non solo in tutta Italia, ma in tutti i Continenti.

Un ruolo coraggioso e scomodo il suo, per il quale - ha ricordato mons. Sangalli “ogni giorno rischia la vita”.

Nella lotta non bastano polizia e magistrature da sole

Tanto che proprio a Catanzaro è nato un “Comitato spontaneo di prossimità” che per sabato 18 gennaio ha promosso una manifestazione davanti al Palazzo di giustizia della città calabrese per manifestare vicinanza al procuratore. Nel convegno è stato infatti sottolineato come la lotta a ’ndrangheta e mafie non può essere affidata soltanto a magistratura e forze di polizia, ma è l’intera società e i singoli cittadini che con il loro comportamento devono sentirsi in prima linea, perché sono solo l’etica e il rispetto delle regole a garantirci una convivenza civile.

La “situazione è drammatica - ha detto Gratteri concludendo il suo intervento. - Noi siamo marci, non abbiamo etica; oggi un avviso di garanzia si ostenta come un merito. Nel lavoro ognuno di noi cominci a fare bene quello per cui siamo pagati. Aiutiamo chi ha bisogno, sporchiamoci le mani, impegniamoci nel volontariato, nel sociale, in politica”. Parole accolte da scroscianti applausi.

Occorre una “ripartenza etica ha sottolineato anche mons. Sangalli - dobbiamo cominciare percorsi diversi, per non precipitare nel baratro che abbiamo davanti. La nostra Fondazione da alcuni anni ha cominciato questo cammino per preparare le persone di domani”.

Il convegno - coordinato da Constantino Cristoyannis, console della Grecia a Perugia - è stato aperto dal presidente del Consiglio regionale, Marco Squarta.

Perchè la ’ndrangheta si sta espandendo così tanto

Dal Canada, in videoconferenza, è intervenuto il prof. Antonio Nicaso, autore di vari libri sulle mafie e la criminalità organizzata. La ’ndrangheta - ha detto - si sta espandendo e radicando in tutto il mondo perché ricorre sempre di meno alla violenza e sempre di più alla corruzione. Non cerca solo i paradisi fiscali per custodire i soldi da riciclare, ma i “paradisi normativi” per agire indisturbata. Gli ingenti guadagni del traffico della droga finiscono in banca, e i soldi riciclati vengono investiti in attività economiche.

’Ndrangheta in Umbria

Il problema del radicamento delle mafie esiste anche in Umbria - ha ricordato il prof. Enrico Carloni, docente di Diritto amministrativo all’Università di Perugia - come dimostrato anche dalla recente operazione, diretta proprio dal procuratore Gratteri, con 27 misure cautelari per presunti appartenenti alla ’ndrangheta, dieci delle quali eseguite nella nostra regione. Il sistema normativo e giudiziario - ha spiegato - “è complesso e farraginoso, una matassa intricata che lascia spazio al malaffare e alla corruzione”.

Da dove viene la ricchezza della ’ndrangheta 

La ’ndrangheta - ha aggiunto Gratteri è una potenza economica che in tutti i Continenti sta acquistando “tutto il vendibile”. Nel corso di alcune indagini sono stati bloccati “camion pieni di banconote”. Una ricchezza esplosa negli anni Settanta e Ottanta con i tanti sequestri di persona. Sui monti della Calabria in certi momenti, nel raggio di pochi chilometri, vi erano le prigioni di sei-sette persone sequestrate.

Una valanga di soldi investiti nel traffico della cocaina con altri ingenti guadagni da riciclare. Così la ’ndrangheta si è estesa in tutta Italia soprattutto con gli affari, e senza sparare. “Si uccide di meno - ha detto - perché è più facile corrompere”. Grazie anche alla complicità di “uomini dello Stato”, nella comune appartenza a “logge massoniche deviate”.

Con la crisi economica, troppi imprenditori in difficoltà non si sono chiesti da dove venivano i tanti soldi loro offerti. “Anche la politica - ha proseguito - appare incapace di provvedimenti e ricette di lungo periodo e da tempo ha rinunciato ad investire nella istruzione. Senza istruzione però non c’è cultura”. Anche quella della legalità.

Enzo Ferrini

]]>
Lavoro e scuola di legalità sui terreni della ’ndrangheta https://www.lavoce.it/lavoro-e-scuola-di-legalita-sui-terreni-della-ndrangheta/ https://www.lavoce.it/lavoro-e-scuola-di-legalita-sui-terreni-della-ndrangheta/#comments Wed, 05 Aug 2015 11:00:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=41885 libera-pietralungaA Pietralunga è in corso il “campo” estivo dell’associazione Libera contro le mafie al quale, con 5 turni settimanali, partecipano ragazzi e ragazze di tutta Italia (30 per volta) che danno una mano ai volontari di Libera per una prima sistemazione di questi terreni da tempo abbandonati.

In particolare li stanno ripulendo dalla vegetazione infestante e stanno sistemando una strada di accesso, con la guida e l’assistenza di un giovane del posto. È un volontario del presidio Libera di Pietralunga – Città di Castello che con altri tre giovani, tutti con esperienze nel lavoro agricolo, ha fondato una cooperativa che intende partecipare al bando per l’assegnazione definitiva del bene confiscato. Per loro, e per altri giovani della zona, questi terreni potrebbero essere una grande opportunità di lavoro.

Già l’anno scorso i volontari di Libera vi avevano avviato una coltivazione della tipica patata di Pietralunga. Esperienza che quest’anno è stata ripetuta in modo più professionale e, si spera, con un raccolto ancora più abbondante. Raccolto previsto per l’inizio del prossimo mese, con l’aiuto dei partecipanti al campo. Per piantare e raccogliere le patate è nata una sorta di rete tra volontari di Libera – arrivati da tutta la provincia con zappe e attrezzi vari – e la gente del posto che ha messo a disposizione trattori e altri mezzi di lavoro.

Insomma un bell’esempio di recupero di un bene che dalle mani della criminalità organizzata è tornato in possesso dei cittadini e che – come sperano i giovani della nuova cooperativa – potrebbe diventare un’occasione di lavoro per loro e di sviluppo per l’intera comunità locale.

Non solo lavoro ma anche attività formativa e divertimento

I partecipanti al campo di lavoro di Pietralunga sono ragazzi e giovani tra i 15 e 35 anni. Due dei cinque turni settimanali sono stati prenotati da gruppi parrochiali provenienti dalla Toscana con i loro accompagnatori. Dormono nel ristrutturato convento medievale di Sant’Agostino, assistiti da volontari di Libera. Della cucina in particolare si occupano cuoche messe a disposizione dalla Spi Cgil di Terni. Ma sono anche i ragazzi a dare una mano e a occuparsi, a turno, delle pulizie e degli altri servizi necessari per una condivisione di vita e di lavoro.

La giornata-tipo prevede al mattino il lavoro nei campi e nel pomeriggio attività formativa. Ci sono incontri con rappresentanti delle forze di polizia e di associazioni come Legambiente, Cittadinanza attiva e Tavolo per la pace, le quali, come Libera, sono impegnate sui temi della legalità e giustizia sociale, della cittadinanza attiva e della solidarietà. Non mancano momenti ricreativi con la partecipazione a feste e sagre, attività e tornei sportivi, ma anche escursioni turistiche nelle città umbre. Come avvenuto ad esempio per Umbria Jazz a Perugia, e quella in programma a fine agosto all’isola Maggiore del lago Trasimeno per un incontro con il figlio di Pio La Torre, nota vittima di mafia.

“Ragazzi fantastici che insegnano tante cose anche a noi educatori”

Questi campi – spiega Pinuccia Neve, insegnante, una delle responsabili del programma di attività formativa a Pietralunga – sono “un’occasione per far comprendere che le mafie non sono solo quelle della Sicilia, della Campania o della Calabria, e le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico della droga, dello smaltimento illecito dei rifiuti o il gioco d’azzardo. No. La cultura mafiosa prospera quando ci giriamo dall’altra parte davanti a comportamenti illegali, quando accettiamo la raccomandazione per il posto di lavoro o altri favori non leciti. Quando pensiamo soltanto ai fatti e agli interessi nostri, mentre per sconfiggerla e per poter vivere tutti meglio bisogna fare comunità, rete, bisogna affermare il noi sull’io ”. È la lezione che si apprende in questa vita di comunità tra lavoro, formazione e divertimento al campo di Pietralunga dove – dice – “in questi tre anni ho trovato ragazzi fantastici che in certe occasioni hanno saputo insegnare tante cose anche a noi educatori”.

Il terreno

Per il terzo anno consecutivo è in corso a Pietralunga, da luglio a settembre, uno dei 52 campi di “ E! state liberi” dell’associazione Libera contro le mafie. Sono più di 7.000 i posti disponibili in tutta Italia per giovani e adulti interessati a un’esperienza di impegno civile in campi di volontariato su terreni e beni sequestrati a boss e organizzazioni criminali. A Pietralunga nel 2011 fu confiscata alla famiglia De Stefano della ’ndrangheta reggina l’azienda agricola “Col di Pila” di circa 100 ettari, 80 dei quali di bosco. Un bene attualmente gestito dal Comune e affidato provvisoriamente a Libera, in attesa del bando pubblico per l’assegnazione definitiva. Sono terreni incolti che necessitano di vari lavori per tornare a essere fruttuosi.

 

]]>
https://www.lavoce.it/lavoro-e-scuola-di-legalita-sui-terreni-della-ndrangheta/feed/ 1
Resistere all’avanzata della mafia, si può https://www.lavoce.it/resistere-allavanzata-della-mafia-si-puo/ Fri, 19 Dec 2014 15:06:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29548 Volontari durante la raccolta delle patate a Pietralunga in un terreno gestito da Libera
Volontari durante la raccolta delle patate a Pietralunga in un terreno gestito da Libera

“Le mafie avanzano quando è basso il livello di allerta della società civile” afferma Walter Cardinali, coordinatore regionale di Libera. “Quello che è accaduto nella nostra regione – secondo Cardinali – è sintomatico di un’aggressione invisibile e lenta. Le mafie si fermano e si sconfiggono solo se c’è una diffusa consapevolezza e corresponsabilità, un ‘noi’ che rafforza la legalità e il senso della comunità”. “Corresponsabilità” e “noi” che sono mancati nel caso di quei cittadini e imprenditori umbri che “hanno taciuto di fronte alle minacce e alle violenze della ’Ndrangheta, e che hanno vinto la paura – ha detto Cardinali – solo quando hanno sentito sicura la presenza, attorno a sé, di carabinieri e magistrati. Bisogna aumentare la vigilanza, fare sì che denunce di questo tipo arrivino fin dall’inizio, prima che si producano danni gravi alla economia e alla società. Le vittime – ha sottolineato – saranno più pronte alla denuncia e collaborazione se sentiranno la vicinanza e il sostegno non solo degli inquirenti, ma anche delle istituzioni locali e di tutta la società regionale”. In Umbria – aveva detto il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti -, a differenza di altre realtà, non sono emersi collegamenti con la politica e la pubblica amministrazione. Un fatto sicuramente positivo, che però non può fare dimenticare recenti vicende giudiziarie non ancora concluse come “Appaltopoli” (‘bustarelle’ e favori per l’aggiudicazione di appalti pubblici) e “Sanitopoli” (assunzioni e altro, con imputati come l’ex governatrice Maria Rita lorenzetti). “Accogliamo con soddisfazione le dichiarazioni del procuratore sulla estraneità della politica” ha commentato Fabrizio Ricci, referente del presidio di Libera a Perugia intitolato ad Antonio Montinaro, uno dei poliziotti della scorta di Giovanni Falcone ucciso nella strage di Capaci. Tuttavia – ha continuato Ricci – “chiediamo alle Amministrazioni pubbliche la massima trasparenza nelle procedure per l’aggiudicazione degli appalti perché vicende come quelle di ‘Appaltopoli’ e ‘Sanitopoli’ ci preoccupano. Rischiano infatti di creare un humus favorevole per corruzione e illegalità. In questo senso, è fondamentale l’impegno di Confindustria e delle altre associazioni imprenditoriali per una vigilanza più attenta”.

Quali sono i segnali e i campanelli di allarme del ‘pericolo mafia’ che devono metterci in guardia? Prima di tutto – ha detto Ricci – la grande disponibilità di soldi. Quello che al venditore, soprattutto in tempo di crisi economica, può sembrare un affare (il prezzo dell’immobile o del negozio spropositato rispetto al mercato) è invece uno strumento delle mafie per investire proventi di traffici illeciti e penetrare nell’economia locale, inquinandola con la concorrenza sleale (lavoro nero, ma anche minacce e danneggiamenti) agli imprenditori onesti. Altro campanello d’allarme sono i prestiti facili ad aziende e persone in difficoltà, con tassi però da usura. È uno degli strumenti più usati dalle mafie per impadronirsi di beni e attività economiche. A volte l’approccio è amichevole e apparentemente disinteressato. A Ponte Felcino, ad esempio, da alcuni anni veniva segnalata la presenza di un gruppo di persone che passavano la giornata in bar e locali pubblici. Prima comportandosi da ‘amici’, poi cominciavano a non pagare più le consumazioni, disturbavano le attività e facevano minacce più o meno esplicite, fino a offrire la loro ‘protezione’. Alcune di queste persone sono nella lista degli arrestati dell’operazione “Quarto passo”. Ci sono tanti altri segnali di allarme di presenze delle mafie, come negozi e attività commerciali che continuano a cambiare di proprietà, o che aprono o chiudono in pochi mesi. Attività imprenditoriali avviate al di fuori di ogni logica di mercato, e che evidentemente nascondono altre finalità, come quella del riciclaggio di illeciti guadagni.

Libera già nel 2012 aveva redatto una inquietante mappa degli incendi dolosi in Umbria, dove il fuoco aveva distrutto auto, negozi e anche una discoteca. La Commissione di inchiesta del Consiglio regionale sulla criminalità organizzata e le tossicodipendenza ha proposto la costituzione di una sorta di intelligence sul problema delle infiltrazioni nel tessuto economico umbro e un monitoraggio sui passaggi di proprietà degli esercizi commerciali. Cittadini e istituzioni devono affiancare magistratura e forze di polizia in questa vigilanza contro il pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata. “Però quello che fa più male alle mafie – ha sottolineato Ricci – è quando vengono colpite nel loro patrimonio” con la confisca dei beni degli affiliati. Purtroppo le procedure sono ancora troppo complesse e lunghe. In Umbria – ha detto Ricci – ci sono 25 proprietà confiscate. Si tratta di terreni, supermercati ed esercizi commerciali, appartamenti e immobili vari che devono ancora avere una utilizzazione sociale. Un primo risultato è stato ottenuto a Pietralunga nella proprietà sequestrata al clan De Stefano. Un immobile con 90 ettari di terreno, dove quest’ anno per la prima volta i volontari di Libera hanno coltivato patate, poi vendute durante la Marcia della pace Perugia-Assisi. “L’utilizzo sociale dei beni delle mafie, quando funziona – ha detto Ricci -, dimostra ai cittadini che quei beni che la mafia ha sottratto con violenze e illegalità oggi creano posti di lavoro e sono una fonte di ricchezza per la comunità. Insomma sono un esempio di buona economia contro la crisi e per l’affermazione della legalità”. Anche se – è opportuno ripeterlo – per difficoltà burocratiche, ancora troppi di questi beni formalmente confiscati restano inutilizzati, o addirittura continuano a rimanere nella disponibilità di persone che sono o dovrebbero essere in galera.

 

Chi è “Libera”

Libera – associazioni, nomi e numeri contro le mafie” è nata nel 1995 con l’intento di sollecitare la società civile nella lotta alle mafie e promuovere legalità e giustizia. Presidente è don Luigi Ciotti, già fondatore del gruppo Abele di Torino; presidente onorario è Nando Dalla Chiesa, figlio del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa che fu ucciso nel 1982 a Palermo dalla mafia. All’associazione si collegano Libera Terra, che vende prodotti (li si trova alla Coop) frutto del lavoro di giovani che, riuniti in cooperative sociali, coltivano terreni confiscati ai boss. Per promuovere il turismo responsabile è da poco nata “Libera il g(i)usto di viaggiare”. In Umbria, Libera è attiva da una decina di anni; è articolata in 10 presìdi territoriali, ha circa 500 soci e collabora con associazioni, gruppi e scuole.

]]>
L’ombra della ’Ndrangheta https://www.lavoce.it/lombra-della-ndrangheta/ Fri, 12 Dec 2014 13:10:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29495 CarabinieriIn Umbria la mafia è diventata una realtà. Lo dimostra la retata dei carabinieri che hanno eseguito, nella provincia di Perugia e in altre località del territorio nazionale, 62 misure cautelari (46 persone arrestate, 7 ai domiciliari e le altre sottoposte a obbligo di dimora), emesse su richiesta della Procura distrettuale antimafia di Perugia, per associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, danneggiamento, bancarotta fraudolenta, truffa, trasferimento fraudolento di valori, con l’aggravante delle finalità mafiose, nonché per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e sfruttamento della prostituzione. Sono stati pure sequestrati beni per 30 milioni.

Nel dettaglio, l’organizzazione criminale appartiene alla ’ndrangheta, con un sodalizio radicato in Umbria, con diffuse infiltrazioni nel tessuto economico locale e saldi collegamenti con le cosche calabresi di origine. Sono state documentate le modalità tipicamente mafiose di acquisizione e condizionamento di attività imprenditoriali, in particolare nel settore edile, anche mediante incendi e intimidazioni con finalità estorsive.

L’operazione, denominata “Quarto passo”, ha messo in evidenza un’organizzazione collegata alla cosca Farao-Marincola di Cirò, capeggiata dal pregiudicato Natalino Paletta, attiva nel capoluogo umbro dal 2008.

“Il territorio umbro, a torto ancora ritenuto da taluni ‘isola felice’, è invece in via di progressiva ‘mafizzazione’”, ha scritto il Gip di Perugia Alberto Avenoso. “L’associazione di tipo ’ndranghetista stanziatasi in Perugia – ha spiegato il giudice – non può, semplicisticamente, essere definita come un’articolazione periferica della struttura criminale calabrese sorta e radicata nel territorio d’origine, ma si configura invece come un’autonoma associazione composta da soggetti residenti in Umbria da oltre un decennio, i quali, pur avvalendosi dei metodi tipici delle associazioni di tipo mafioso e chiaramente conservando gli originari rapporti di parentela e contiguità con soggetti operanti nella regione di provenienza, operano autonomamente e in via esclusiva in Umbria, conservando sempre un ‘basso profilo’ criminale, al fine di non attirare sull’organizzazione l’attenzione delle forze dell’ordine”.

Il sodalizio criminale si era radicato nella provincia perugina consolidando progressivamente la propria influenza sul territorio e infiltrando il tessuto economico, anche mediante una diffusa attività estorsiva e usuraria nei confronti di imprenditori locali.

In particolare – hanno riferito gli inquirenti – è stato accertato come alcuni imprenditori siano stati costretti a emettere false fatture per dissimulare gli illeciti pagamenti, nonché a cedere le proprie imprese agli indagati o a loro prestanome. In altri casi, pur rimanendo formalmente intestatarie, le vittime venivano sostituite nella gestione da esponenti del gruppo criminale che, dopo aver privato l’azienda delle sue linee di credito, ne provocavano la bancarotta fraudolenta.

Il gruppo – spiegano ancora gli investigatori – era dedito anche a truffe, furti e traffico di droga. Truffe accertate erano in danno di fornitori di materiali edili, che venivano rivenduti a ricettatori calabresi titolari di imprese che li reimpiegavano nelle costruzioni di edifici e fabbricati in Umbria, Toscana e Calabria.

I proventi illeciti sono stati utilizzati per acquistare beni immobili e attività commerciali nel settore dell’intrattenimento e del fotovoltaico, anche intestati a prestanome, allo scopo di dissimulare la reale riconducibilità dei beni alla cosca.

Il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, che ha illustrato il contenuto dell’operazione, ha sottolineato, tra l’altro, che “l’intervento è stato estremamente tempestivo perché questo gruppo era in espansione in termini imprenditoriali. Mi ha colpito l’interesse, ad esempio, nel settore del fotovoltaico”. La presidente della Regione Catiuscia Marini ha parlato dell’Umbria come “una terra che ha anticorpi robusti per reagire”.

]]>
Laboratori anti-mafia https://www.lavoce.it/laboratori-anti-mafia/ Thu, 11 Jul 2013 11:00:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=17991 casa-della-gioventu-di-rasiglia-foligno“La lotta alla mafia non si può fermare a una sola stanza … la lotta alla mafia deve coinvolgere l’intero palazzo. All’opera del muratore deve affiancarsi quella dell’ingegnere […]”, una frase diventata celebre, pronunciata da Giovanni Falcone durante il suo trasferimento a Roma. Una frase che ci ricorda che c’è qualcuno che ogni giorno lotta per vedersi riconosciuto un diritto umano: la libertà. La Caritas diocesana di Foligno insieme ai Presidi Libera di Foligno e Spoleto hanno promosso per martedì 16 luglio LAM_01: Laboratori-Anti-Mafia. La Casa della gioventù di Rasiglia diventerà palcoscenico di temi importanti: Donne e mafia, le Agromafie, Teatro e mafia, Gioco d’azzardo e mafia, la Legalità, la giustizia e le esperienze di vita. Questi i laboratori/workshop che verranno coordinati da alcuni ragazzi di Libera. Grandi temi per grandi scopi. Divertirsi condividendo temi che nascono nell’ombra e non possono e non devono rimanere invisibili. Alle ore 21 poi la Società dello Spettacolo, insieme a C.L. Crugher e Michelangelo Bellani, metterà in scena Infami – Venti storie di ordinaria antimafia. Lo spettacolo è tratto dall’omonimo libro scritto da Alfonso Russi, in cui racconta la sua esperienza di lotta alla malavita organizzata, vissuta in prima linea nella terra gestita dalla ‘ndrangheta. Una giornata di condivisione, ma anche di riflessione, per trasformare le nostre azioni in un “agire sociale dotato di senso”, e contribuire a sconfiggere questo fenomeno anche attraverso l’informazione e la presa di coscienza. Siete tutti invitati a partecipare, basta iscriversi entro il 12 luglio. La Giornata inizierà alle ore 14.30 con la registrazione ai laboratori, a cui seguirà un dibattito sui temi che verranno trattati, la cena e lo spettacolo (per partecipare l’offerta minima è di 10 euro). È possibile anche prendere parte solo alla cena e allo spettacolo (offerta minima 8 euro). Per info ufficiostampa@caritasdiocesanafoligno.it.

]]>
Rischia di chiudere la Fondazione anti-usura https://www.lavoce.it/rischia-di-chiudere-la-fondazione-anti-usura/ Thu, 23 May 2013 15:11:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=16946 Un manifestante del No Usura Day (Credits Guido Montani-Ansa)
Un manifestante del No Usura Day (Credits Guido Montani-Ansa)

Le banche non concedono crediti, le piccole aziende hanno sempre di più l’acqua alla gola, i risparmi e le pensioni di nonni e genitori non bastano più per pagare i mutui e le bollette di figli e nipoti che hanno perso il lavoro o che non riescono a trovarlo, e in questa difficile situazione una di quelle che erano le bandiere della solidarietà e del ‘buon governo’ della nostra regione rischia di sparire. È la Fondazione Umbria contro l’usura, nata negli anni ’90 per iniziativa della Regione, con il sostegno economico di enti locali, associazioni di categoria, Camere di commercio e Fondazioni bancarie, per aiutare famiglie e aziende in difficoltà e salvarle dal baratro del credito facile di strozzini e usurai. La benemerita Fondazione rischia infatti di restare senza soldi. Lo Stato dal 2007 non le concede più finanziamenti, la Regione, dalla quale veniva il contributo più rilevante, lo ha ridotto, la Provincia di Perugia che era tra i fondatori ha cancellato i suoi 5.000 euro, altri enti e soci da anni non pagano più la loro quota.

Giovedì 16 maggio a palazzo Donini era in programma l’assemblea annuale per l’approvazione del bilancio 2012, ma non si è potuta svolgere per mancanza del numero legale. Erano infatti presenti soltanto 9 dei 22 soci: Regione, Comune di Perugia, Camera di commercio, Cisl, Uil e Cgil, Confindustria, Cna e Confcommercio. “A questo punto – ha detto sconsolato il presidente della Fondazione, Alberto Bellocchi – bisogna capire se c’è un reale interesse dei soci per continuare a sostenere la nostra attività. Il tutto in un momento di grande difficoltà per l’economia e le famiglie dell’Umbria, terra dove purtroppo il fenomeno dell’usura è rilevante”.

Mafia, ’ndrangheta, camorra e criminalità organizzata brindano. Per loro si apre un’altra porta in Umbria. I ‘padrini’ e i loro figli e eredi non portano più la coppola, hanno studiato nelle migliori università, hanno reclutato ‘colletti bianchi’ che girano con valigie di soldi sporchi da riciclare. Buoni per acquistare negozi e aziende in difficoltà e per concedere, con le loro società finanziarie, prestiti facili alle famiglie. Per poi impossessarsi legalmente delle loro case e dei loro beni quando non avranno più soldi per pagare i loro debiti. Facendo crescere ancora quella “economia grigia’ al confine tra legalità e illegalità, che prospera quando lo Stato e le istituzioni non sono più in grado di garantire la dignità e i bisogni primari dei loro cittadini.

“In questi momenti di grande difficoltà – ha affermato l’assessore regionale allo Sviluppo economico, Vincenzo Riommi – strumenti di sostegno come la Fondazione Umbria contro l’usura devono essere più forti perché svolgono un ruolo importante: la Regione cercherà di trovare una soluzione, anche facendo pressioni sugli altri soci. Tutti gli enti locali hanno problemi di bilancio, e i Comuni in particolare attraversano una fase delicatissima, ma la mancanza di liquidità impedisce proprio l’operatività della Fondazione. Tutti – ha proseguito – dobbiamo quindi fare la nostra parte per garantirne l’attività, con grande determinazione”.

Per Riommi però “il più grande interlocutore che ‘spicca per assenza’ in questa fase è proprio lo Stato” che da anni non concede più contributi alla Fondazione. Anche le banche devono però rivedere la loro posizione. “C’è bisogno – ha concluso l’assessore – dell’impegno di tutti per sostenere la Fondazione, perché c’è la fila di cittadini che richiedono aiuto e non possono essere lasciati soli, con il rischio di finire nelle grinfie di organizzazioni che sfruttano proprio queste situazioni”.

In sette mesi, 300 le richieste di aiuto

usuraLa Fondazione anti-usura rischia di chiudere i battenti mentre aumentano le richieste di aiuto. Più di 300 – ha detto il presidente Bellocchi – solo negli ultimi sette mesi, tanto che è stata creata una linea telefonica dedicata, dalle 11 alle 13 di ogni giorno, per filtrare queste domande. Sono soprattutto famiglie di piccoli commercianti, artigiani e imprenditori con debiti che non riescono a saldare. Ci sono le banche che premono, e spesso hanno pendenze fiscali con Equitalia. Stanno però aumentando anche le richieste di famiglie normali con stipendi che non bastano più, e di quelle i cui componenti hanno perso il lavoro. Prestiti, mutui, bollette da pagare, debiti a volte anche non rilevanti ma che sono macigni quando i soldi non ci sono. Una realtà – ha detto Bellocchi – che è più o meno uguale in tutta l’ Umbria. La novità preoccupante – ha sottolineato – è l’ aumento delle richieste che vengono fatte dalle donne: in un anno sono passate dal 25 al 38 per cento delle pratiche trattate. Nel 2012 – ha riferito il presidente – sono stati deliberati aiuti per 613.000 euro. Dall’inizio della sua attività la Fondazione ha aiutato 509 tra persone, aziende e famiglie, mettendo a loro disposizione più di 16 milioni di euro. Aiuti che nella quasi totalità sono stati poi restituiti alla Fondazione da chi li aveva ricevuti nel momento del bisogno.

]]>
Il coraggio della legalità https://www.lavoce.it/il-coraggio-della-legalita/ Thu, 31 Jan 2013 11:46:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=14844 incontro-con-don-PanizzaSu invito dell’associazione Altotevere senza frontiere, venerdì 25 gennaio presso la sala degli Specchi del Circolo degli Illuminati di Città di Castello, don Giacomo Panizza, fondatore della comunità Progetto Sud, è intervenuto sul tema “Libertà e condivisione”. Semplice, fuori dagli schemi, ma soprattutto don Giacomo Panizza è coraggioso come nelle battaglie sociali della Brescia operaia degli anni Sessanta quando lui è metalmeccanico in fabbrica, o nelle lotte politiche degli anni Settanta, gli anni degli scontri e delle stragi come quella di piazza della Loggia (1974). Ma don Giacomo dimostra un coraggio fuori dal comune quando, ancora seminarista, si offre per andare in Calabria al fianco degli ultimi. È il 1976 quando da un gruppo di scout viene a sapere della forte necessità di aiuto che hanno i disabili in un Sud a lui ancora sconosciuto. Imparerà a conoscerlo e a capire la sua vocazione nei pregi e nei difetti di quella gente. Panizza ricorda più volte durante il suo intervento del suo trascorso di operaio, di quella vita della fabbrica che lo segnerà per sempre e in ogni circostanza farà riaffiorare in lui quel sentimento buono di giustizia sociale. Poco dopo il suo arrivo a Lamezia Terme fonda Progetto Sud, comunità autogestita nella quale uomini uguali e liberi condividono progetti, lavorano insieme. Con un piccolo gruppo di disabili don Giacomo occupa uno stabile di proprietà del Comune e organizza un laboratorio dove si lavorano lastre di rame. Questo è il primo passo contro la cultura dell’emarginazione che in quella terra aveva isolato i disabili togliendo loro ogni possibilità di riscatto sociale. Sono state molte le battaglie combattute per il diritti di tanti malati e persone con gravi difficoltà psico-fisiche, ma l’ostacolo più grande – ha sottolineato Panizza – è la cultura mafiosa radicata e dominante, la ’ndrangheta che più volte lo minaccia e che don Giacomo all’inizio fatica anche a capire, tanto è distante quel sistema dal suo modo di fare e di pensare. Nel 2002 il commissario prefettizio di Lamezia gli affida una delle case sequestrate alla mafia, la peggiore, ubicata all’interno di un cortile a fianco di case ancora abitate dalle famiglie dei boss. Nessuno a Lamezia voleva quelle case perché sarebbe stato come opporsi al sistema mafioso, schierarsi apertamente; ma don Giacomo, forte della volontà della sua comunità, accetta. In seguito subirà gravi minacce per le quali è tuttora sottoposto ad un programma di protezione. Don Giacomo conclude il suo intervento lanciando una sfida importante alla comunità civile ma anche e soprattutto alla Chiesa che, dice, non può non vedere chi è povero, sofferente e in difficoltà. Non può non sporcarsi le mani. Certo, ci vuole coraggio.

Progetto sud

Giacomo Panizza nasce a Pontoglio (Brescia) nel 1947 e dopo aver lavorato per anni in fabbrica inizia a studiare nel seminario di Brescia e poi nelle Marche dove presso la comunità di Capodarco di Fermo presta servizio fino al ’76 quando viene ordinato sacerdote e si trasferisce a Lamezia Terme in Calabria. Qui fonda la comunità Progetto Sud che oggi conta su centinaia di volontari e collaboratori che lavorano per la diffusione di politiche di integrazione, di tutela dei diritti di cittadinanza sperimentando servizi innovativi e di sostegno socio-economico. Progetto Sud opera con disabili fisici e psichici, malati, sostiene e affianca persone vittime di usura ed estorsione.

]]>
Domande sulla ’ndrangheta https://www.lavoce.it/domande-sulla-ndrangheta/ Thu, 06 Dec 2012 14:41:54 +0000 https://www.lavoce.it/?p=14112
I partecipanti all’incontro all’Onaosi di Perugia

La ’ndrangheta è leader in Europa per lo spaccio di cocaina, con un fatturato annuo di 44 miliardi di euro. I suoi riti, le sue “strategie di mercato”, le sue contraddizioni e le sue ipocrisie sono oggi raccontate, con dovizia di particolari e testimonianze, da Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, e Antonio Nicaso, scrittore e docente di Storia delle organizzazioni criminali al Middlebury College (Vermont, Stati Uniti), nel libro Dire e non dire. I due autori hanno presentato la loro opera giovedì scorso nel teatro del Collegio unico dell’Onaosi di Perugia alla presenza, reale e virtuale, di un nutrito pubblico di giovani. L’evento, infatti, era trasmesso in diretta, tramite Youtube, negli altri collegi Onaosi presenti in tutta Italia. “Siamo riusciti – ha spiegato Nicaso – a mettere insieme una banca dati straordinaria, fatta di sentenze di tribunali, verbali di interrogatori, intercettazioni, documentari, ecc., così da poter raccontare la ’ndrangheta dall’interno: organizzazione mafiosa dalle antichissime origini, che ha saputo coniugare nel tempo riti secolari e spinte della globalizzazione”. La ’ndrangheta è, infatti, presente e ramificata in tutta la Penisola (e il Continente) – hanno sottolineato gli autori – e si nutre dei rapporti strettissimi con il mondo politico e imprenditoriale. “Le mafie vanno là dove c’è ricchezza e potere – ha spiegato Nicaso -. Ma se, per decenni, è stata la ’ndrangheta a rivolgersi alla politica per avere favori in cambio di voti, oggi sono i politici che si rivolgono ad essa per reclamare elettori”. Il procuratore Gratteri si è poi rivolto principalmente ai giovani, mettendoli in guardia dalle false attrattive del denaro e della considerazione sociale con cui, ancora oggi, la ’ndrangheta attira i giovani. “Il vero potere e denaro – ha detto Gratteri – resta solo ai capi, tutti gli altri sono solo degli esecutori materiali, capri espiatori da mandare in carcere se qualcosa va storto”. I giovani, dal canto loro, hanno chiesto agli autori cosa poter fare per cambiare le cose, partendo da esempi pratici della vita quotidiana. Così un gruppo di studenti di Messina ha chiesto consigli su come comportarsi con i bulli, i delinquenti in erba che si incontrano a scuola. Mentre da Bologna e Perugia gli universitari hanno domandato: “C’è speranza di cambiare le cose?” e “La morte può essere un ‘incidente del mestiere’ per chi combatte le mafie?”. “Sì, lo è – ha risposto realisticamente Gratteri -, ma ogni cosa nella vita ha un prezzo, e non ha senso vivere da vigliacchi. Purtroppo ritengo che, finché rimarrà questo sistema giudiziario, ingolfato da costi eccessivi, tempi lunghissimi e da una soffocante burocrazia, e questo sistema scolastico, con classi di 30 persone, non ce la faremo. Solo cambiando i ‘codici’ potremo vincere questa guerra. In ogni caso, io continuerò a combattere la mia battaglia. Prima di tutto, ciascuno deve fare il proprio dovere”.

]]>
La cosa giusta è dire “no” alla ’ndrangheta https://www.lavoce.it/la-cosa-giusta-e-dire-no-alla-ndrangheta/ Thu, 15 Nov 2012 11:22:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=13791
Tiberio Bentivoglio, in piedi, durante uno degli incontri di presentazione del libro

Il 9 novembre presso la sala comunale “Pio La Torre” di Foligno è stato presentato dai giovani di Libera-Foligno il libro della giornalista Daniela Pellicanò Colpito. La vera storia di Tiberio Bentivoglio. Ospite speciale di quest’evento è stato proprio il signor Bentivoglio, protagonista delle vicende riportate nel libro. Tiberio Bentivoglio è un piccolo commerciante di Reggio Calabria, titolare insieme alla moglie di un negozio di articoli sanitari, ortopedici e per la prima infanzia. Nel 1992, dopo tredici anni di attività, Tiberio e sua moglie decidono di ingrandire il negozio.

Due mesi dopo l’inaugurazione, subisce il primo furto nel nuovo locale. A distanza di pochi anni i furti non cessano, gli viene bruciato il furgone con cui lavorava, ma non viene aperta nessuna inchiesta. Nel 2003 iniziano i problemi economici di Tiberio, e proprio in quell’anno il negozio viene bombardato; due anni dopo viene devastato da un incendio. Infine, il 9 febbraio 2011 Tiberio rimane ferito in un attentato: gli vengono sparati sei colpi di cui solo uno lo colpisce, ad una gamba, mentre un altro miracolosamente rimane incastrato nel marsupio.

Sono passati vent’anni. Vent’anni di processi, di sospetti, di silenzi, di sconfitte. Ma Tiberio e sua moglie hanno scelto sin dall’inizio da che parte stare, hanno subito detto di no alla ’ndrangheta e sanno che stanno facendo la cosa giusta. Lo Stato non li aiuta, anzi rischiano di perdere la casa, perché i debiti aumentano sempre di più e i soldi del risarcimento in quanto vittime di mafia tardano ad arrivare. Rimangono soli, nessuno va a comprare al negozio, tutti si allontanano, testimoniando il falso o, peggio ancora, rimanendo in silenzio.

Tiberio pensa anche di chiudere il negozio, ma nel 2005 conosce don Luigi Ciotti e scopre Libera, un’associazione che ha lo scopo di promuovere la legalità e la giustizia per distruggere le mafie. “Oggi per me far parte di Libera attivamente è fondamentale. Non si può che provare contentezza e appagamento, quando si ha la fortuna di stare tra persone che condividono le tue scelte… Nelle nostre sedi e in tutti i coordinamenti, siamo come un’équipe, sempre coesi, pronti a cercare di lenire i mali che la mafia procura, combattiamo uniti e affiatati nel rispetto della diversità, mettendo da parte ogni colore ideologico”.

È una storia di orgoglio e di paura, di speranza e di dignità. La sala era davvero varia nella composizione: politici, commercianti, professori, ma soprattutto quei giovani a cui Tiberio rivolge uno sguardo di speranza. Non rendiamo vano il sacrificio di chi ha deciso di stare dalla parte giusta.

]]>
Nella “zona grigia” c’è la mafia https://www.lavoce.it/nella-zona-grigia-ce-la-mafia/ Fri, 19 Oct 2012 14:02:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=13475 Boccate di ossigeno? No,è aria viziata

La mafia c’è anche in Umbria, ma molti non lo sanno, ed in troppi fanno finta di non saperlo perché ne traggono qualche vantaggio. Le cosche mafiose, i clan della Camorra, la ’Ndrangheta e le organizzazioni criminali qui non sparano e non chiedono il pizzo. I loro emissari e prestanome arrivano invece con valige di banconote, acquistano negozi ed aziende in crisi, immobili che non si riesce a vendere, e prestano soldi quando le banche non fanno credito. Con il silenzio interessato di chi fa affari con loro, di funzionari di banca compiacenti e di avvocati, commercialisti e notai che incassano parcelle d’oro. Soldi sporchi che arrivano dal traffico della droga e delle armi, dall’usura, dal gioco d’azzardo, dallo sfruttamento della prostituzione e del lavoro nero, e che magari in momenti di crisi economica per un imprenditore, un professionista o una famiglia possono essere una “boccata d’ossigeno”. Non è così, perché l’impiego di denaro di provenienza illecita – come ha scritto la Direzione investigativa antimafia – anche in considerazione della facilità con cui si possono spostare i capitali, “costituisce una grave minaccia per l’economia legale mondiale, alterando il corretto funzionamento dei meccanismi finanziari e di mercato”. Non è infatti un caso che sono proprio i Paesi dove illegalità e corruzione sono maggiormente diffusi (l’Italia è tra questi) a subire i maggiori effetti dell’attuale crisi economica.

I mafiosi non girano più con la lupara e la coppola. I loro figli e nipoti “da briganti sono diventati gentiluomini”, professionisti della finanza e dell’economia, ha riferito l’ex comandante regionale della Guardia di finanza, il gen. Fabrizio Cuneo, in una delle 10 audizioni della Commissione d’inchiesta sulle infiltrazioni mafiose in Umbria. La Commissione la scorsa settimana ha presentato in Consiglio regionale la relazione sui circa due anni di lavori durante i quali ha ascoltato ufficiali e dirigenti delle forze di polizia, magistrati e rappresentanti delle organizzazioni degli imprenditori e delle associazioni impegnate nella lotta alla illegalità. Nella relazione, approvata all’unanimità dal Consiglio regionale, è detto testualmente che “emerge con chiarezza che la situazione umbra manifesta i segni di infiltrazioni criminali di stampo mafioso nell’economia legale”. La nuova strategia di queste organizzazioni criminali è quella di espandersi in regioni come l’Umbria, al di fuori del tradizionale “contesto territoriale del Mezzogiorno, non nella forma classica del controllo pieno, di domonio del territorio” come avviene in molte zone del Sud, ma “nella ricerca di impieghi ed attività utili al riciclaggio di enormi quantità di denaro liquido proveniente dal traffico di droga, armi ed essere umani”. Il rischio più grave – si afferma ancora nella relazione della commissione presieduta dal consigliere regionale Paolo Brutti (Idv) – è che non essere abituati come in Umbria “a convivere con forme di criminalità organizzata di stampo mafioso stabilmente insediate nel territorio porti ad una sottovalutazione del fenomeno, rallenti la formazione di anticorpi sociali, abbassi la guardia”, consentendo così alle organizzazioni mafiose di insediarsi nel tessuto economico e sociale “senza incontrare resistenze e contrasti”, fino a fare maturare nella gente “forme di acquiescenza, di convivenza, di supporto e di servizio”. Di fronte alle inchieste giudiziarie e a quelle giornalistiche – si legge nella relazione – “è prevalsa a lungo l’idea di considerarli episodi isolati, intrusioni in un contesto sano che restava totalmente refrattario all’infiltrazione”. Così intanto questa “zona grigia” dell’economia – così viene definita nella relazione – cresce tra complicità interessate ed indifferenza colpevole dell’opinione pubblica, mentre è una sorta di cancro che – se non estirpato in tempo – rischia di stravolgere la convivenza, la qualità ed il modo di vivere della civile Umbria.

’Ndrangheta e Camorra
Le ultime indagini confermano la presenza di importanti diramazioni della ’Ndrangheta e della Camorra in provincia di Perugia ed in modo più limitato in quella di Terni. L’Umbria è diventato un luogo appetibile dove riciclare il denaro proveniente da sporchi affari. La loro attenzione è rivolta al mondo delle scommesse e del gioco (quello lecito con il controllo e manomissione delle cosiddette ‘macchinette’del Monopolio) ed in particolare a quello delle bische e delle scommesse clandestine. L’usura è uno dei modi migliori per infiltrarsi nell’economia legale. Si presta denaro all’imprenditore in crisi per poi, senza ricorrere ad intimidazioni e violenze, rilevare la sua azienda quando non riesce più a fare fronte ai pagamenti. Ci sono anche denunce contro funzionari di banca che, negando il finanziamento, hanno messo in contatto il richiedente con queste organizzazioni di usurai. I locali notturni sono oggetto delle mire della criminalità organizzata non tanto come attività economica, ma per lo sfruttamento della prostituzione che viene esercitata – è detto nella relazione – nel 95 per cento di questi esercizi. ’Ndrangheta e Camorra sono molto attive anche nel settore dello smaltimento illecito dei rifiuti che, per quanto riguarda l’Umbria – rileva la Commissione -, non è rilevante, anche se “sono scattati alcuni allarmi” in provincia di Terni.

Gli investimenti dei Casalesi e il caso del riciclaggio a Ponte San Giovanni

I temibili clan camorristici dei Casalesi sono ben insediati anche in Umbria. Comprano aziende ed attività in crisi promettendo più del loro valore di mercato. Aziende che vengono utilizzate per l’emissione di fatture false e che poi vengono portate al fallimento senza pagare fornitori e creditori. I soldi “sporchi” vengono così riciclati con guadagni in soldi puliti che servono ad ampliare questa rete di illegalità. È quanto accaduto ad esempio con l’acquisto del complesso immobiliare ex Margaritelli di Ponte San Giovanni (320 appartamenti in costruzione) e di quattro alberghi. L’operazione “Apogeo” di carabinieri e Guardia di finanza del settembre 2011, con 16 arresti, rappresenta – è detto nella relazione – “una plastica rappresentazione di come funziona concretamente la colonizzazione economica mafiosa in Umbria”. Un gruppo legato ai Casalesi aveva investito a Perugia somme enormi provenienti dal pizzo, dallo spaccio e dagli incassi dei videopoker.

Oltre ai 320 appartamenti per un valore di 48 milioni di euro ed ai 4 albergi (due a Perugia e gli altri in Toscana e nelle Marche) sono state sequestrate 18 società, 144 automobili per un valore di un milione, due barche da 750 mila euro, 200 conti correnti in 53 banche, polizze assicurative e partecipazini azionarie in 45 aziende. Un affare da 90 milioni di euro, per il quale un ex imprenditore già dichiarato fallito si era avvalso di un prestanome locale incensurato, che per firmare come amministratore di varie società riceveva 3.000 euro al mese. Risultato: aziende, tra le quali una di Bastia Umbra, “spogliate” di ogni bene e fatte fallire e perfino alberghi che cambiavano continuamente il numero di telefono per non rispondere ai creditori.

La droga a Perugia

“La situazione umbra desta forte preoccupazione” è detto nella relazione. “Perugia è al centro di una rete di smercio che copre un’area molto più vasta della regione”. La facilità dell’acquisto “solleva pesantissimi interrogativi e problemi di natura familiare, educativa e sociale”. ’Ndrangheta, Cosa nostra e Camorra gestiscono i rifornimenti ed i contatti internazionali con i “cartelli” colombiani (per la cocaina), con l’Afghanistan (per l’eroina), i Paesi del Nord Africa (hashish) e con l’Olanda (droghe sintetiche e hashish). Il rifornimento diretto e lo spaccio sul territorio è affidato ad organizzazioni di magrebini, nigeriani, albanesi. Sono loro a spartirsi, talvolta anche a coltellate, il controllo del territorio. “Queste organizzazioni – scrive la Commissione – hanno trovato albergo in alcune aree della città, nel centro storico ed in quartieri di media periferia, dove costituiscono ormai una presenza radicata, diffusa, organizzata e con profili preoccupangti di controllo e dominio del territorio. A ciò è risultato funzionale il permesso di adibire ad alloggi spazi che non avevano questa destinazione d’uso, il proliferare di attività commerciali di copertura e la mancata vigilanza di edifici abbandonati”.

Le proposte della Commissione

Polizia, carabinieri, Guardia di finanza e magistratura con varie operazioni, anche negli ultimi mesi, hanno arrestato esponenti della criminalità organizzata che operavano in Umbria, ma “risulta evidente come il fenomeno criminale sia ancora ai margini del dibattito pubblico, soprattutto quello politico-istituzionale” rileva la relazione della Commissione d’inchiesta. Per questo si propone, tra l’altro, di “formare ed informare la società umbra, con seminari e convegni”, monitorare le imprese edili, in particolare nei settori dei subappalti, e le variazioni di prezzo dei terreni edificabili, e di approfondire i controlli nel settore smaltimento rifiuti. Per quanto riguarda il problema della droga, si propone di istituire anche in Umbria un sistema di intelligence a disposizione di magistratura e forze di polizia, e di applicare alle organizzazioni dedite allo spaccio le misure speciali che la legge prevede per le associazioni di stampo mafioso.

]]>
Per combattere la mafia in Umbria https://www.lavoce.it/per-combattere-la-mafia-in-umbria/ Thu, 15 Mar 2012 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=10032 I tentacoli della mafia si allungano anche sulla nostra regione, e ne sono un indice i beni confiscati e sequestrati. Negli ultimi anni sono stati decine: a Bastia, Foligno, Terni, Narni, Acquasparta, Amelia, Perugia. “Si va dagli appartamenti, agli esercizi commerciali, alle sale da gioco – racconta Walter Cardinali, referente del coordinamento regionale dell’Umbria di Libera “Renata Fonte”. – Poi ci sono le operazioni delle forze dell’ordine che hanno portato alla confisca di terreni agricoli: uno a Pietralunga, a danno di una famiglia dei Di Stefano, appartenente alla ’ndrangheta calabrese, e l’altra a Panicale avvenute pochi anni fa. Senza contare i vari maxi-sequestri di droga avvenuti di recente nel capoluogo e non solo. Sin dal 2005, anno della fondazione ufficiale di Libera Umbria – prosegue -, avevamo avuto segnali che le mafie avevano interessi nella nostra regione. Sappiamo come si muovono e che si spostano dove ci sono interessi economici a cui attaccarsi, e soprattutto vanno a occupare sempre più territori tranquilli, dove c’è una popolazione meno avvertita. All’inizio la situazione sembrava meno pesante. Oggi ci siamo resi conto che non è proprio così. Comunque lo stato di allerta delle istituzioni è alto, così come quello della società civile e delle associazioni”. Quali sono i settori privilegiati dalle mafie? “Commercio, locali notturni, il riciclaggio dei rifiuti, la droga, la tratta della prostituzione. A Perugia si sono divisi la città in zone. Dalla mafia albanese a quella italiana ed extra-europea: lo dicono gli atti. A volte fanno affari insieme, ma ci sono anche legami internazionali. Per questo, due anni fa abbiamo raccolto decine di firme perché la Regione costituisse una Commissione anti mafia, oggi diretta da Paolo Brutti, che poi si è dotata di un Osservatorio regionale sulla criminalità organizzata.

Al momento, però, a me sembra che queste stesse istituzioni abbiano bisogno di continue sollecitazioni perché tale Commissione si riempia di contenuti e che alle parole seguano i fatti. C’è un rapporto di estrema collaborazione con la prefettura, la questura e le forze dell’ordine. Noi proviamo a stare attenti, soprattutto con la gente nei quartieri. Ognuno però fa il suo lavoro. Noi abbiamo la funzione di stimolo, di informazione e di sollecitazione”. Quali sono le attività di Libera Umbria? “Quella più importante è sicuramente la formazione dei giovani. Sono anni che programmiamo incontri nelle scuole superiori, al centro congressi Capitini di Perugia, con progetti che sensibilizzano i giovani alla legalità e all’antimafia sociale.

Progetti svolti con i ragazzi dal nostro Presidio scuola, un coordinamento composto da 35 insegnanti e dedicato a Giuseppe Rechichi, preside del liceo di Polistena, in provincia di Reggio Calabria, ucciso venti anni fa dalla ’ndrangheta. Di questo presidio fanno parte 15 scuole, ognuna delle quali lavora su un argomento che viene proposto e discusso durante uno di questi incontri. Anche con l’Università sono stati attivati dei corsi di legislazione antimafia nella facoltà di Giurisprudenza e di Scienze politiche”. C’è poi il settore di Libera Terra. “Si tratta di un consorzio di cooperative che producono prodotti biologici nelle terre confiscate alla mafia. Vini, pasta, legumi, olio, agrumi, conserve: sono solo alcuni dei prodotti che vengono dalle cooperative in Sicilia, Campania, Puglia e Calabria. I

l nostro compito è quello di far conoscere quello che fanno”. Infine la Fondazione Libera informazione… “La Fondazione nasce nel settembre 2007 con l’obiettivo di mettere in rete le informazioni sulle diverse realtà territoriali che si battono contro le mafie e il grande mondo dell’informazione nazionale: a novembre Libera Umbria ha pubblicato un dossier Umbria a cura di Norma Ferrara, Il covo freddo. Mafia e antimafia in Umbria, (che è possibile scaricare dal sito dell’associazione) nel quale è raccolto tutto ciò che è successo in Umbria in tema di mafia e antimafia nel triennio 2008-2011”.

]]>
Uccisi dalla droga, 5 in una settimana https://www.lavoce.it/uccisi-dalla-droga-5-in-una-se/ Tue, 03 Jan 2012 06:59:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=326 La droga continua ad uccidere in Umbria ed in particolare a Perugia. Quest’ anno le vittime sono già state 26, con la speranza che il numero non sia aumentato quando il lettore vedrà questo articolo. Solo nella prima settimana di dicembre i morti sono stati infatti cinque e tutti, stando ai primi risultati delle indagini, per overdosi di eroina.
Una tossicodipendente di 41 anni si è accasciata morente sul tavolo di un bar di Perugia, poi chiuso dalla polizia perché luogo di ritrovo di spacciatori. Poche ore dopo un romeno di 28 anni è morto all’ospedale di Perugia. A Pila, frazione del capoluogo, sono stati i genitori a trovare in casa il cadavere del figlio di 34 anni. In un appartamento di via Imbriani, nell’acropoli perugina, è morta sola una tossicodipendente di 50 anni. Vicino al cadavere due siringhe con le quali si era iniettata l’eroina. C’era una siringa anche vicino al cadavere della quinta vittima, un 38enne di Passignano sul Trasimeno. A trovarlo nelle campagne di Magione è stato un cacciatore. Lo cercavano da giorni, dopo che si era allontanato da una comunità di recupero di Deruta alla quale era stato affidato per cercare di salvarlo dalla schiavitù della droga.
Perché così tanti morti in pochi giorni? Sembra un paradosso, ma la causa di tanti decessi sarebbe dovuta anche alla scomparsa degli spacciatori “professionisti” che rifornivano il mercato della droga in Umbria ed in particolare a Perugia. Arrestati, o fuggiti per non finire in galera, grazie alle continue e brillanti operazioni di polizia, carabinieri e Guardia di finanza che hanno ripulito le ‘piazze’ dello spaccio e bloccato importanti canali di rifornimento della droga in Umbria. Il 5 dicembre la Squadra mobile di Perugia ha arrestato un italiano ed un albanese e sequestrato 165 chilogrammi di marijuana. Pochi giorni prima con l’operazione “Termopili 6” la polizia aveva arrestato 16 spacciatori (15 dei quali tunisini). Poliziotti “sotto copertura”, fingendosi acquirenti, avevano setacciato le zone ‘calde’ dello spaccio e preso contatto con i fornitori che poi hanno arrestato. Importante è stata anche la collaborazione dei cittadini, che hanno indicato persone e luoghi sospetti. Indagini ed operazioni non solo a Perugia ma in tutta l’Umbria perché negli stessi giorni, ad esempio, la Squadra mobile di Terni ha arrestato un albanese ed un romeno con due chilogrammi di marijuana.
Quando però la richiesta di droga è alta, come purtroppo accade in Umbria, per le leggi del mercato ci sono subito altri venditori pronti a sfruttare la situazione. Il posto dei fornitori e piccoli spacciatori finiti in galera o comunque scomparsi dalla piazza di Perugia è subito stato preso da altri delinquenti e disperati. Spacciatori improvvisati, soprattutto clandestini, che hanno venduto eroina e cocaina con principi attivi – come accertato per gli stupefacenti sequestrati dalla polizia – che oscillano da un minimo del 5 al massimo del 77 per cento. Differenza, dovuta alla impreparazione dei venditori, che è una delle probabili cause delle tante overdosi di dicembre. È come bere un quarto di vino o un quarto di grappa e di altri superalcolici: le conseguenze sono ben diverse. La situazione che si è determinata in questi giorni a Perugia ed in Umbria conferma che il “problema droga” non è solo una “questione di polizia”. Droga e criminalità sono strettamente connessi e quindi le forze di polizia stanno svolgendo il loro compito. I grandi traffici di droga sono gestiti dalle tante mafie internazionali. In Umbria arrivano i tentacoli di ’ndrangheta e camorra, che si avvalgono di organizzazioni criminali di nigeriani ed albanesi. La cocaina arriva generalmente dal Sud America, l’eroina dall’Afghanistan. L’Umbria, per la sua posizione, è anche crocevia e luogo di smistamento. Ci sono i vicini porti dell’Adriatico per la droga che arriva dall’Est, le autostrade e le ferrovie tra il Nord ed il Sud dell’Italia. Più un ricco mercato locale, soprattutto a Perugia con le sue due università e gli oltre 30 mila giovani che le frequentano, e la domanda dei consumatori delle province confinanti di Lazio, Toscana e Marche.
La vendita al dettaglio viene gestita soprattutto da clandestini nordafricani. Alcuni di loro sono stati arrestati a Perugia pochi giorni dopo essere stati sbarcati a Lampedusa. Evidentemente erano già in contatto con chi gestisce lo spaccio in Umbria. Altri avevano anche ottenuto il permesso per fini umanitari, tanto che il Sindaco di Perugia ha chiesto all’Ambasciatore della Tunisia una collaborazione attiva per il loro rimpatrio. È quindi necessario contrastare sul piano repressivo e penale il traffico della droga, ma non basta. I 26 morti di quest’anno in Umbria sono infatti solo la punta di un iceberg di disperazione, fragilità, delusione, emarginazione e di rinuncia a vivere una vita vera che è fatta anche di tanti problemi.

Cifre da valutare

La nostra regione in Italia ha il più alto numero di morti per droga in rapporto ai suoi abitanti. La “Relazione annuale al Parlamento 2010 sull’uso delle sostanze stupefacenti e sulle tossicodipendenze in Italia” indica che in Umbria il tasso di mortalità per droga è di 2,62 casi per 100 mila residenti, rispetto al dato nazionale dell’1,26. Bisogna però tenere conto del fatto che alcune delle vittime non erano residenti in Umbria (provenivano dalle regioni confinanti o erano straniere) e che quindi probabilmente i consumi di droga in Umbria sono nella media nazionale. Delle 24 vittime del 2010 solo 19 erano residenti nella nostra regione. Solo uno dei decessi è avvenuto in provincia di Terni. Con 17 morti per droga, Perugia si conferma centrale di rifornimento e di consumo, perché dei 19 umbri morti solo tre erano perugini. Quattro erano di Spoleto, due di Città di Castello, due di Todi. Diciannove delle 24 persone uccise dalla droga nel 2010 erano uomini. Cinque delle vittime erano ventenni, otto ultraquarantenni.

 

]]>
Un segno concreto contro la malavita https://www.lavoce.it/un-segno-concreto-contro-la-malavita/ Thu, 04 Nov 2010 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8873 Una Chiesa che parta dal sogno di Dio per arrivare ai segni concreti. È questa la chiesa di mons. Giancarlo Bregantini, invitato dai volontari di Altotevere senza frontiere onlus nell’incontro dal titolo “Una Chiesa non indifferente”. Bregantini ha parlato con immagini e colori, come un profeta dei nostri giorni. Incantando i moltissimi, credenti e non credenti, che hanno gremito la sala “Carlo Liviero” dell’istituto Sacro Cuore, gentilmente concessa dalle Piccole Ancelle ai giovani dell’associazione. L’Arcivescovo di Campobasso, già vescovo di Locri, parte dalla sua esperienza di vita: nato in Trentino, studia in seminario a Verona, lavorando per due anni in una fabbrica di Porto Marghera a contatto con i preti operai: “Un’esperienza che mi ha insegnato a uscire dalle quattro mura del seminario, inserirmi in un ambiente, avere il coraggio di parlare con la gente”. Ordinato sacerdote, vive per 25 anni in Calabria, e dal 2008 è a Campobasso. Terre diverse, colori diversi. Dai paesaggi vivaci del Trentino ai colori accesi della Calabria, infiammati dalla bellezza ma anche da tanta violenza, ai colori più sfumati del Molise. Il compito della Chiesa è proprio questo, per mons. Bregantini: “Far vivere ogni terra dei colori che Dio le ha dato, ed ogni cuore dei colori che il Signore ha posto dentro. La miglior forma di antimafia – ha spiegato – è il gusto del bello. Se diamo ai giovani il senso che la propria terra è da custodire, da amare, non la potranno sporcare con la mafia”. E neanche con l’indifferenza, che colpisce i giovani anche in realtà meno problematiche come la nostra, e sulla quale la Chiesa ha grandi responsabilità. Parole semplici, ma concrete e profonde. Come agire? Con un gioco di parole, Bregantini afferma che bisogna partire dai “sogni” per arrivare, cambiando una lettera, ai “segni”. “Non bastano i sogni, gli ideali – spiega il vescovo “antindrangheta” – ma servono segni visibili. Quando, dopo che avevano avvelenato i campi di una cooperativa nata sui terreni confiscati, ho lanciato la scomunica contro chi commetteva violenze mafiose, è stato un segno che ha colpito la ’ndrangheta più di quanto credessi. Un boss in carcere mi disse: ‘Per la prima volta ci siamo sentiti anche noi maledetti da Dio’. Ecco – conclude Bregantini – la Chiesa ha degli strumenti che a volte potrebbe utilizzare in maniera più efficace. Il sogno di Dio ci faccia diventare dei segni luminosi e coerenti”. In tutti i campi: lavoro, ecologia, energia, economia, politica. L’incontro si inserisce nel ciclo “ContAtti”, organizzato da Altotevere senza frontiere per creare momenti di riflessione con persone impegnate in vari campi del sociale.

]]>
Rosarno. Sud amaro https://www.lavoce.it/rosarno-sud-amaro/ Thu, 14 Jan 2010 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8126 Rosarno è una cittadina di 16.000 abitanti della Calabria, il “Sud nel Sud”, come ricordava Franco Verga nella prefazione del libro-inchiesta sulle Regioni del Meridione “Sud amaro”, pubblicato nel 1970 da un giornalista, Adriano Baglivo, e un sociologo, Giovanni Pellicciari. Rosarno, l’antica Medma, la città di Filippo, segretario di Platone, è come un balcone naturale che guarda alla piana di Gioia Tauro, la pianura verde della Calabria, all’epoca romana definita “granaio dell’Impero”. Dagli schiavi di allora agli schiavi di oggi, la situazione di sfruttamento nella piana di Rosarno non sembra cambiata, alla luce delle immagini e dei fatti di violenza e di sfruttamento di cui tutti ormai siamo testimoni. Nell’Angelus del Papa di domenica scorsa la città di Rosarno è diventata il simbolo di un rinnovato magistero e impegno sociale. Anzitutto, il Papa ha ricordato che “bisogna ripartire dal cuore del problema! Bisogna ripartire dal significato della persona!”. “Un immigrato è un essere umano – ha ricordato Benedetto XVI –, differente per provenienza, cultura, e tradizioni, ma è una persona da rispettare e con diritti e doveri, in particolare, nell’ambito del lavoro, dove è più facile la tentazione dello sfruttamento, ma anche nell’ambito delle condizioni concrete di vita”. È il ritorno al personalismo sociale, di cui sono stati maestri illustri Mounier, Maritain, Stefanini ieri, Ricouer e Levinas oggi, e di cui sono stati protagonisti della vita sociale italiana Giorgio la Pira, Adriano Olivetti, Amintore Fanfani, Giordano dell’Amore, Aldo Moro, per ricordare solo alcuni nomi. Una seconda direzione a cui guardare, secondo il Papa, è l’esclusione di un ritorno alla lotta di classe, alla violenza sociale come base per la difesa dei diritti, ma un rinnovato impegno per il dialogo sociale, la mutualità, di cui il mondo sindacale – che vede iscritti oggi 1 milione dei 2 milioni dei lavoratori stranieri in Italia – diventi un luogo fondamentale di tutela.“La violenza – ha ricordato Benedetto XVI – non deve essere mai per nessuno la via per risolvere le difficoltà”. Anche la mafia, la ‘ndrangheta che oggi è ancora padrona in questo territorio non può essere sconfitta solo con misure di polizia, ma con una grande azione sociale e di responsabilità comune. Infine, il Papa invita a una riflessione culturale nuova, come già scriveva nella recente enciclica “Caritas in veritate”, che abbia al centro una nuova riflessione sulla relazione, necessaria per dare una base all’incontro tra culture diverse, e che ha il suo fondamento nella visone “fraterna” del mondo, ma anche nella prospettiva conciliare di una “nuova civiltà dell’amore”. “Invito – ha concluso il Papa – a guardare il volto dell’altro e a scoprire che egli ha un’anima, una storia e una vita: è una persona e Dio lo ama come ama me”. Per le comunità cristiane Rosarno, nelle parole del Papa, diventa il simbolo di un rinnovato impegno educativo in campo politico e sociale, che aiuti a costruire una “città dell’uomo”, dove il lavoro, la casa, non sono “merce”, ma beni comuni da promuovere e difendere per tutti.

]]>
Se la Piovra c’è, la snideremo https://www.lavoce.it/se-la-piovra-ce-la-snideremo/ Thu, 22 Jan 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7241 L’ha chiesta per prima Rifondazione comunista, c’è stato un percorso accidentato che sembrava pregiudicarne la nascita, ma alla fine il Consiglio regionale ha scelto, con voto unanime, di varare una Commissione speciale per verificare se in Umbria ci siano rischi seri di infiltrazioni della criminalità organizzata.La decisione non è di poco conto: intanto perché dimostra che tutte le forze politiche presenti a palazzo Cesaroni hanno superato una certa ritrosia ad affrontare argomenti che possono avere un ritorno d’immagine negativo sull’Umbria nel suo insieme, a partire proprio dalle sue istituzioni. Varare una Commissione sul rischio che le mafie possano posare lo sguardo ed allungare i tentacoli su una regione piccola ma appetibile non è direttamente un’ammissione che questo sia successo o debba inveitabilmente succedere: l’auspicio, anzi, è che in questo caso la stalla possa essere chiusa prima che i soliti buoi diventino dei fuggiaschi. Nell’atto di nascita della Commissione – a costo zero, ci tengono a dire i suoi promotori, in questi tempi di polemiche sulla ‘Casta’ – i suoi promotori (Vinti e Lupini del Prc, Girolamini dello Sdi e Bracco del Pd) hanno snocciolato dati non proprio tranquillizzanti: su cosche di ‘Ndrangheta già insediate in gangli criminali consistenti, su un traffico di droga da primato negativo per Perugia, su appalti edili da tenere d’occhio. Il vero scatto in avanti positivo compiuto dalla massima istituzione elettiva dell’Umbria non sta nella decisione di indagare con una sua Commissione su settori a rischio come quello dello smaltimento dei rifiuti: quello che questa scelta porta come valore aggiunto è l’intento dichiarato di collaborare in maniera fattiva con altre istituzioni impegnate su questo versante, a partire dalla magistratura e dalle forze di polizia. Troppo spesso, infatti, il malaffare prospera se chi deve tutelare il corretto svolgimento della vita pubblica, economica e sociale, si limita a curare il proprio orticello, senza mettersi in sintonia con gli altri comparti della società. Per questa occasione, dunque, dal Consiglio regionale è arrivato un esempio importante, che potrebbe rivelarsi fondamentale nel metodo, per i tempi futuri e per affrontare difficoltà, in altri campi, che in tanti danno come ineluttabili. Di fronte a minacce gravi, come quella della criminalità organizzata, i ‘giochini’ della politica non sono una semplice perdita di tempo, ma uno sgarbo nei confronti di chi si aspetta senso di responsabilità ed impegno serio a risolvere i problemi. Il resto sono chiacchiere inutili. Da evitare, se possibile, per il bene di tutti.

]]>
Tre operatrici di ‘miracoli’ nella società di oggi https://www.lavoce.it/tre-operatrici-di-miracoli-nella-societa-di-oggi/ Thu, 15 May 2008 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=6675 Anche quest’anno, a Cascia, la festa di santa Rita (si veda a pagina 21) verrà accompagnata dalla consegna del Premio a lei intitolato, conferito a figure femminili che nel nostro tempo diano testimonianza dei valori sprituali e sociali che furono propri della Santa: la pace, il perdono, la riconciliazione. Qui di seguito forniamo le schede biografiche delle tre donne vincitrici dell’edizione 2008 del Premio santa Rita. Teresa StrangioSi piange a San Luca, in Calabria, uno dei centri in cui la ‘ndrangheta è più forte. Teresa Strangio è madre di Francesco Giorgi (17 anni) e sorella di Sebastiano Strangio (di 39), uccisi nella strage di Duisburg nell’agosto 2007.”anno scorso, nel nome di santa Rita, Cascia ha celebrato il gemellaggio con questo paese in cui bisogna continuare ad essere presenti nel promuovere gli altissimi valori cristiani del perdono e della riconciliazione, per arginare il fiume travolgente e subdolo della violenza. Teresa Strangio è stata indicata da don Pino Strangio, parroco di San Luca nella diocesi di Locri, provincia di Reggio Calabria,’er il Riconoscimento internazionale santa Rita 2008. Teresa, devota di santa Rita, ha infatti avuto la forza di perdonare pubblicamente gli assassini di suo figlio e di suo fratello, nel pacifico tentativo cristiano di distruggere la forza dell’odio e della violenza con le armi evangeliche del perdono e della pace. Marcella DemofontiNata a Cascia il 26 aprile 1952, Marcella Demofonti, amichevolmente chiamata da tutti ‘Marcellina’, ha dedicato e tuttora dedica la sua vita per le bimbe e le ragazze dell’Alveare Santa Rita, l’opera caritativa che fu promossa nel 1938 dalla beata Maria Teresa Fasce, accanto alla basilica. Rimasta orfana di padre in tenera età, Marcellina entra a far parte dell’Alveare dapprima come ‘apetta’, per continuare poi da adulta come collaboratrice ed educatrice. La sua disponibilità va oltre l’Alveare e raggiunge quelle situazioni di disagio presenti nell’ambiente casciano. I malati, le famiglie in difficoltà, i giovani di Cascia: tutti apprezzano la disponibilità e la capacità di donarsi di Marcellina. Per i malati soprattutto, da anni, si adopera con l’Unitalsi nei pellegrinaggi ai grandi santuari mariani in qualità di sorella collaboratrice. Anche la parrocchia di Cascia la vede valente e premurosa catechista. È stata indicata per il Premio dal monastero di Santa Rita. ‘
Carla FacontiÈ la fondatrice dell’opera caritativa ‘Centro d’amore di Gesù’ a Palermo. Carla è una mamma di famiglia, una casalinga apparentemente senza grandi ‘numeri’ se non una grande fede e un corredo di sofferenze interiori ed esteriori. È nata nel 1927 a Ranzano (Gorizia), in territorio oggi sloveno allora italiano. Dopo vari traslochi e la nascita dei figli, dai quartieri della ‘Palermo-bene’ approda nella zona popolare di via Marinuzzi. E così, da oltre quindici anni, ogni settimana alza la saracinesca di quello che era un garage e una folla di poveri l’aspetta per la distribuzione di abbondanti pacchi con ogni ben di Dio; e soprattutto, Carla ascolta e parla con tutti. Il suo nome è stato segnalato da padre Giuseppe Turco, rettore agostiniano del santuario di Santa Rita a Palermo.

]]>
Il nome della Piovra https://www.lavoce.it/il-nome-della-piovra/ Thu, 28 Feb 2008 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=6486 Un direttore di banca, un tecnico, un commercialista sono stati coinvolti nell’indagine antimafia che ha scosso l’Umbria. Le tre professioni sono state citate ‘ al di là delle effettive responsabilità di ognuno ‘ proprio perché si sta delineando un quadro forse più allarmante di quanto si vuol far credere. La presenza di un nucleo forte delle cosche criminali calabresi e campane in Umbria ha fatto scoprire come la ‘piovra’ non appartenga alla fiction televisiva ma si sia allargata anche nella nostra regione. Le indagini degli investigatori su tante operazioni bancarie compiute ha fatto salire la tensione, ma anche la preoccupazione per capire quanto ‘denaro sporco’ sia stato riciclato nella nostra regione in attività considerate ‘pulite’. I vari contatti avuti tra gli esponenti più in vista della cosca, messa in ginocchio dall’operazione Neos dei carabinieri dei Ros con una sessantina di arresti, e i diversi professionisti implicati sono all’esame degli inquirenti. In questa fase molte voci si susseguono, con presunti pentimenti di persone arrestate ‘ smentiti dalla Procura – ma il clima è un po’ pesante. Perché questa inchiesta potrebbe spiegare nel dettaglio le fortune improvvise di alcuni imprenditori edili che, in pochissimo tempo, quasi dal nulla, sono diventate potenze economiche. Il sisma del ’97 ha attirato molte imprese, diverse delle quali provenienti da altre regioni. Ma non si sono mai verificati episodi che possano aver destato la preoccupazione per le infiltrazioni criminali. La piovra si sarebbe sviluppata in Umbria soprattutto attraverso il traffico di droga e il susseguente investimento in attività cosiddette lecite. Ma in questi giorni gli inquirenti vogliono capire, come detto, tutti i collegamenti con i professionisti umbri, che potrebbero essere stati avvicinati dagli esponenti delle cosche per valutare la possibilità di entrare più compiutamente nel settore degli appalti, tradizionale filone di interesse della malavita. L’unico esempio citato dall’inchiesta è un progetto per alcune villette nei pressi di Norcia. Nelle intercettazioni si fa infatti riferimento ad alcuni appalti in Calabria. Ma la ‘ndrangheta ‘ presentata recentemente come sorta di Al Qaeda ‘ era pronta ad approdare in Umbria in forza e con grandi disponibilità economiche per investire. E nei prossimi giorni si annunciano novità di grande rilievo nell’inchiesta.

]]>
Mafia: Legambiente la denunciava da tempo https://www.lavoce.it/mafia-legambiente-la-denunciava-da-tempo/ Thu, 21 Feb 2008 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=6469 L’immagine dell’Umbria è messa in discussione dalle infiltrazioni criminali (camorra e ‘ndrangheta) scoperte dall’inchiesta, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Perugia, che ha portato all’arresto di oltre 50 persone tra Calabria ed Umbria. L’obiettivo delle cosche era quello di impadronirsi di aziende ‘pulite’ con le quali espandere le proprie attività, anche attraverso varie complicità. A quanto risulta, la scelta dell’Umbria per programmare e gestire le attività criminali, anche in altre regioni, è stata dettata dalla possibilità di agire con più ‘tranquillità’ rispetto a quelle meridionali. I personaggi di spicco arrestati, a partire dall’assessore al Turismo della Regione Calabria, Pasquale Tripodi, sono per lo più calabresi. Solo qualche fiancheggiatore è umbro. È però il contesto a preoccupare. Quando si scoprono ramificazioni così complesse, vuol dire che il tessuto socio-economico del territorio si è indebolito. In passato se ne è parlato in un convegno, ma l’attenzione è rapidamente calata. È probabile che dall’analisi dei documenti sequestrati possa scaturire qualche novità sul coinvolgimento di personaggi legati all’imprenditoria operanti in Umbria. Sulla vicenda è intervenuta la sezione regionale di Legambiente. ‘Negli ultimi giorni è un susseguirsi di informazioni sempre più allarmanti: una risposta a chi si ostinava a chiudere gli occhi e continuava a parlare di un’isola felice che non c’è – sostiene l’associazione ‘ e le rappresentanze istituzionali e tutte le forze titolate al controllo del sistema sociale regionale sembrano accorgersi solo adesso del fenomeno’. Nella nota si ricorda che Legambiente ‘da anni pubblica il rapporto sulle ecomafie, in cui si ripeteva e si ripete che la nostra regione, a dispetto della convinzione di molti, non è immune da infiltrazioni di eco-criminalità organizzata. Sono stati così individuati due settori più permeabili e già permeati: il traffico dei rifiuti e il ciclo del cemento’. A questo proposito si ricorda l’arresto del legale rappresentante di una società di Trevi che si occupa della gestione dei rifiuti. Fu il primo arresto che evidenziava l’organizzazione per il traffico illecito dei rifiuti. Legambiente ritiene che i reati, riconducibili al ciclo del cemento, ‘sembrano coincidere invece con i lavori di ricostruzione avviati dopo il sisma del 1997. Allora tornarono in attività, dopo anni di blocco, cave terrestri e fluviali con un parallelo aumento del ritiro di concessioni di nuove autorizzazioni. La situazione dei fiumi si fece allarmante perché furono oggetto di un vero e proprio assalto dietro la giustificazione di ‘opere di manutenzione idraulica’, che mascheravano vere e proprie attività di cava in alveo. Da allora prolificano in modo impressionante le cementificazioni, molte delle quali sottintendono con ogni probabilità intenti riciclatori di denaro sporco. Un fenomeno che ormai colpisce tutto il territorio regionale, dalle più grandi città ai più piccoli agglomerati urbani, attraverso l’interessamento di grandi e piccoli cosiddetti ‘immobiliaristi”. La situazione regionale forse non sarà così compromessa, ma ‘Umbria, isola felice’ sembra solo uno spot.

]]>
Rose più potenti delle pistole https://www.lavoce.it/rose-piu-potenti-delle-pistole/ Thu, 17 May 2007 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=5886 Entrano nel vivo i festeggiamenti per santa Rita, la ‘Santa dei casi difficili e disperati’, la cui solennità ricorre il 22 maggio. Ma accanto alle celebrazioni liturgiche, a Cascia da alcuni anni ha assunto molta importanza il ‘riconoscimento internazionale’, per il quale ogni anno si omaggiano varie donne che si sono distinte per avere imitato, nel proprio quotidiano, le virtù eroiche del perdono e della pacificazione, che sono state segni evidenti nella vita di Rita. Domenica 20 maggio, alle 21.15 presso l’Auditorium di Santa Chiara verranno presentate le tre donne a cui andrà quest’anno il riconoscimento, che sono: Marina Grasso, vedova dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, rimasto ucciso durante degli scontri allo stadio di Catania lo scorso 2 febbraio; Lidia Cavenaghi, madre di Paola Galli Castagna, uccisa ad Erba l’11 dicembre 2006, durante una strage provocata dall’odio e dall’incomprensione tra vicini di casa; Teresa Cataldo, vedova di Vincenzo, ucciso nel 2000 nella frazione Bosco di Bovalino, nella Locride, vittima della lotta tra faide e della ‘ndrangheta.La Grasso ha inizialmente provato pena per i ragazzi che hanno ucciso il marito, riuscendo poi a perdonarli in un secondo momento, grazie alla forte fede e convinta che ‘la miglior vendetta è il perdono’. Lidia Cavenaghi, 85 anni e malata, ha invece sperimentato la perdita di una figlia, della nipote e del pronipote, perdonando subito gli assassini e superando il dolore con la forza della preghiera, della quale ha dato testimonianza agli altri cinque figli, e soprattutto per questo viene omaggiata del riconoscimento. La terza che riceverà il riconoscimento è Teresa Cataldo, la cui esperienza è molto simile a quella di santa Rita: testimone dell’assassinio del marito, non solo ha perdonato ma è riuscita a placare il desiderio di vendetta dei due figli, che per amor suo hanno ceduto, e non ha riferito i nomi dei persecutori proprio per non aizzare la sete dell’odio. Quest’ultimo omaggio è legato anche al gemellaggio di quest’anno tra Cascia e San Luca (Calabria), per il quale sarà il vescovo della diocesi di Locri-Gerace, mons. Giancarlo Bregantini, a presiedere il Transito, lunedì 21 maggio alle 18, nella basilica superiore, accanto a mons. Riccardo Fontana. E proprio al termine del Transito verrà consegnato il riconoscimento internazionale Santa Rita alle tre donne. Il giorno della festa, 22 maggio, partirà da Roccaporena il corteo in costume che giungerà a Cascia, di fronte alla basilica, intorno alle 10. Qui verranno benedette le rose e, alle 11, avrà inizio il solenne pontificale, presieduto da mons. Giuseppe Bertello, nunzio apostolico in Italia.

]]>