Nazzareno Marconi Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/nazzareno-marconi/ Settimanale di informazione regionale Thu, 02 Dec 2021 16:42:57 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Nazzareno Marconi Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/nazzareno-marconi/ 32 32 L’Uomo custode del creato https://www.lavoce.it/luomo-custode-del-creato/ Fri, 30 Oct 2015 14:17:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44123

[caption id="attachment_44095" align="alignleft" width="350"]Mons. Nazzareno Marconi durante il suo intervento Mons. Nazzareno Marconi durante il suo intervento[/caption] La Chiesa tifernate torna ad approfondire il messaggio dell’enciclica Laudato si’. Dopo l’appuntamento di “Ospedale da campo” del 28 settembre, lunedì scorso è stato mons. Nazzareno Marconi, biblista e vescovo di Macerata, a guidare la riflessione. “L’enciclica - ha detto - è un testo denso e profondo che ci aiuta a capire come abitare il mondo da cristiani e vivere le relazioni fondamentali. Molto altro rispetto a un manifesto ecologista, come alcuni l’hanno interpretata, fornisce un giusto quadro del modo in cui rapportarsi con la realtà. L’uomo creato a immagine di Dio non può accollarsi il diritto di supremazia, anzi deve farsi carico del resto del creato che dal canto suo ha un valore, una ‘vocazione’ che merita rispetto. Tutto, in questo equilibrio, è carezza di Dio”. La frase della Genesi in cui Dio affida all’uomo il compito di “dominare e soggiogare la terra” - aggiunge Marconi - “va letta in chiave diversa. L’uomo, pur fatto di una qualità diversa rispetto al mondo, non è autorizzato allo sfruttamento senza regole. Questo messaggio, presente anche in altri testi dell’Antico e Nuovo Testamento che invitano ad un atteggiamento rispettoso del creato, è il senso della prima parte dell’enciclica. La terra appartiene a Dio, e l’uomo, che l’ha ricevuta in dono, ha il compito di amministrarla responsabilmente. Non è chiamato al potere assoluto, a impadronirsi di tutto senza accogliere il creato come opera divina con una sua sapienza”. Anche considerare l’uomo identico agli animali è “un naturalismo che non porta da nessuna parte - continua il relatore. - L’uomo è amato da Dio in modo speciale ed è chiamato a una centralità costruttiva che non domina ma si prende cura. Come essere spirituale, l’uomo è al di sopra del creato in maniera responsabile, ma come creatura è collocato al di sotto di Dio, quindi è signore e servitore al tempo stesso. Questo è l’equilibrio che ci indica la Laudato si’, che nella seconda parte confronta tre culture. Quella dell’accumulo e della speculazione è ricerca spasmodica di dominio che porta alla distruzione. La cultura dello spreco e del divertimento è basata sulla deresponsabilizzazione del comportamento umano. L’alternativa che indica il Papa è la cultura del custodire, dell’avere a cuore il creato. Attraverso le parole dell’enciclica ci offre la logica per capire l’uomo nella sua differenza con il creato, che è sì creazione ma non è immagine di Dio. Nella cultura del custodire, Dio, l’uomo e il creato sono nel giusto equilibrio, che rispecchia la vocazione cristiana, ma che è anche vocazione che riguarda tutti gli uomini di buona volontà”.]]>

[caption id="attachment_44095" align="alignleft" width="350"]Mons. Nazzareno Marconi durante il suo intervento Mons. Nazzareno Marconi durante il suo intervento[/caption] La Chiesa tifernate torna ad approfondire il messaggio dell’enciclica Laudato si’. Dopo l’appuntamento di “Ospedale da campo” del 28 settembre, lunedì scorso è stato mons. Nazzareno Marconi, biblista e vescovo di Macerata, a guidare la riflessione. “L’enciclica - ha detto - è un testo denso e profondo che ci aiuta a capire come abitare il mondo da cristiani e vivere le relazioni fondamentali. Molto altro rispetto a un manifesto ecologista, come alcuni l’hanno interpretata, fornisce un giusto quadro del modo in cui rapportarsi con la realtà. L’uomo creato a immagine di Dio non può accollarsi il diritto di supremazia, anzi deve farsi carico del resto del creato che dal canto suo ha un valore, una ‘vocazione’ che merita rispetto. Tutto, in questo equilibrio, è carezza di Dio”. La frase della Genesi in cui Dio affida all’uomo il compito di “dominare e soggiogare la terra” - aggiunge Marconi - “va letta in chiave diversa. L’uomo, pur fatto di una qualità diversa rispetto al mondo, non è autorizzato allo sfruttamento senza regole. Questo messaggio, presente anche in altri testi dell’Antico e Nuovo Testamento che invitano ad un atteggiamento rispettoso del creato, è il senso della prima parte dell’enciclica. La terra appartiene a Dio, e l’uomo, che l’ha ricevuta in dono, ha il compito di amministrarla responsabilmente. Non è chiamato al potere assoluto, a impadronirsi di tutto senza accogliere il creato come opera divina con una sua sapienza”. Anche considerare l’uomo identico agli animali è “un naturalismo che non porta da nessuna parte - continua il relatore. - L’uomo è amato da Dio in modo speciale ed è chiamato a una centralità costruttiva che non domina ma si prende cura. Come essere spirituale, l’uomo è al di sopra del creato in maniera responsabile, ma come creatura è collocato al di sotto di Dio, quindi è signore e servitore al tempo stesso. Questo è l’equilibrio che ci indica la Laudato si’, che nella seconda parte confronta tre culture. Quella dell’accumulo e della speculazione è ricerca spasmodica di dominio che porta alla distruzione. La cultura dello spreco e del divertimento è basata sulla deresponsabilizzazione del comportamento umano. L’alternativa che indica il Papa è la cultura del custodire, dell’avere a cuore il creato. Attraverso le parole dell’enciclica ci offre la logica per capire l’uomo nella sua differenza con il creato, che è sì creazione ma non è immagine di Dio. Nella cultura del custodire, Dio, l’uomo e il creato sono nel giusto equilibrio, che rispecchia la vocazione cristiana, ma che è anche vocazione che riguarda tutti gli uomini di buona volontà”.]]>
Azione cattolica: con il cuore alla meta https://www.lavoce.it/azione-cattolica-con-il-cuore-alla-meta/ Wed, 29 Jul 2015 10:40:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=40841 CAMPO-ESTIVO
I ragazzi del campo estivo dell’Azione Cattolica della diocesi di Orvieto-Todi

Gli educatori del settore Giovani dell’Azione cattolica della diocesi di Orvieto-Todi hanno proposto come esperienza estiva per adolescenti e ragazzi un “campo” diverso da quelli vissuti negli ultimi anni.

La meta è stata la città di Loreto, e non casualmente, dato che si è seguito un progetto, o meglio una necessità: quella di mettersi in cammino non solo spiritualmente ma anche fisicamente, assaporando la fatica e la bellezza al contempo, di chi, passo dopo passo, raggiunge la sua tappa finale.

Perché si parla di una meta? Perché il campeggio è stato caratterizzato nei primi tre giorni da un cammino che ha portato i partecipanti a percorrere a piedi il tratto stradale che collega Macerata a Loreto, lungo la settima tappa della via Lauretana.

Una scelta coraggiosa e “rischiosa” quella di sfidare il caldo di un’estate torrida e di mettere in cammino circa 70 persone con esigenze e tempi diversi, ma solo facendo così si sarebbe creato il clima e la tensione giusta per vivere in pienezza l’arrivo alla Santa Casa nella basilica di Loreto.

La prima tappa nella città di Macerata ha visto protagonista una catechesi di mons. Nazzareno Marconi, vescovo della diocesi, che ha dato ufficialmente inizio al viaggio da percorrere. Ha infatti messo a paragone, tramite una catechesi, la figura del pellegrino e quella del vagabondo, portando i ragazzi a riflettere sulla condizione stessa dei due: il primo rappresenta loro stessi, cioè chi ha una meta precisa da raggiungere, e con perseveranza e con cuore sincero cammina senza farsi distrarre, portando con sé l’essenziale.

Il cammino è poi proseguito fino a Recanati dove i pellegrini sono stati accolti calorosamente e hanno soggiornato presso il convento dei Cappuccini per terminare poi l’indomani nella basilica di Loreto.

Un momento che ha caratterizzato la maggior parte delle soste nei vari paesi attraversati è stato il saluto del rispettivo sindaco, ed è da sottolineare in quanto il passaggio effervescente di tanti giovani abbia destato un interesse particolare. Come è stato spiegato, ultimamente – da quando cioè sono stati rilanciati i cammini lauretani tra Assisi e Loreto – questo era il primo gruppo numeroso a fare questa esperienza all’interno di un campo estivo.

I ragazzi nei giorni successivi si sono stabiliti nel Centro “Giovanni Paolo II” dove i ritmi sono tornati a essere quelli tradizionali: la preghiera, le catechesi, la condivisione insieme a momenti di divertimento, di gioco e anche di relax al mare.

Il tema trattato quest’anno era tutto incentrato sulla figura di Maria, madre di Gesù e di tutti noi, infinitamente buona e dolce, partendo concretamente dal passo del Vangelo di Luca sull’Annunciazione.

 

Inno a Maria

Maria è il modello da seguire, colei che ha detto “sì” in maniera definitiva al progetto di Dio, senza esitazioni, senza scuse, senza intermittenze ma totalmente. Questa è la fede che siamo chiamati a vivere nella vita quotidiana, nonostante i limiti e le fragilità che spesso ci fanno soccombere e chiudere nell’egoismo e nella tristezza.

Il nostro cuore è chiamato a desideri alti che profumano di Infinito, e solo camminando a testa in su possiamo arrivare a realizzarli in pienezza. L’inno del campeggio, nel ritornello, recita: “L’impossibile è possibile, / anche noi vogliamo dire sì, Maria! / Superiamo questo limite, / ma soltanto Tu sai come si fa!”.

Ed è proprio questo che i ragazzi e gli educatori hanno affrontato in questa settimana. Il cammino concreto e interiore ha condotto verso mete alte, verso Dio e verso il Suo amore, che si è fatto testimonianza viva nei volti e negli occhi pieni di luce di tanti ragazzi che si sono affidati e fidati, probabilmente senza neanche accorgersene totalmente.

 

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“Dico con gioia: prete è bello” https://www.lavoce.it/dico-con-gioia-prete-e-bello/ Wed, 24 Jun 2015 09:03:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36411 Milli-1“Prete è bello, e posso dirlo con la gioia nel cuore”. Don Filippo Milli, con l’occhio umido e la voce rotta dall’emozione, al termine della celebrazione in cui è stato ordinato sacerdote, domenica 21 giugno, ha salutato con queste parole i tanti fedeli presenti in cattedrale.

La liturgia era presieduta dal vescovo Cancian, che ha concelebrato con mons. Pellegrino Tomaso Ronchi, mons. Nazzareno Marconi e tutto il clero diocesano. L’evento ha rappresentato una grande festa per la Chiesa tifernate, che ha accolto con calore il giovane don Filippo (24 anni), in servizio come vicario parrocchiale a San Giustino, dove già svolgeva il ministero di diacono.

Durante l’omelia il Vescovo ha detto che “Cristo, con il suo amore, vuole cambiare le nostre vite, vuole farci persone nuove, libere dal male”. In seguito, dispensando alcuni consigli a don Filippo e ai presenti, ha ricordato anche quanto sia importante “fidarsi del Signore” e di dedicarsi assiduamente alla preghiera, cercando di “restare con Cristo” e di seguire i suoi insegnamenti.

Ha terminato con due richieste al neo-sacerdote: “Da oggi appartieni a questo presbiterio. Cerca di vivere con il massimo impegno la fraternità sacerdotale, la comunione presbiterale da cui partire per portare il Vangelo a tutti. Infine ti chiedo l’obbedienza, che probabilmente è la cosa più difficile; legato a questa è anche il tuo prossimo servizio pastorale come vice parroco nella comunità di San Giustino”.

Alla stessa comunità di San Giustino sono andati i primi pensieri di don Filippo, che nei ringraziamenti conclusivi ha ricordato, con emozione, anche l’accoglienza e il sostegno dimostratagli da don Gino Capacci, al suo arrivo nella parrocchia sangiustinese.

Don Filippo, infine, al termine della celebrazione, ha colto l’occasione dei tanti giovani presenti in chiesa per proporre una piccola testimonianza del suo percorso verso il sacerdozio e invitare tutti a riflettere su quale sia la propria vocazione. “Non abbiate paura di seguire Gesù – ha affermato. – Se sono qui, lo devo all’amore di Gesù, che è più forte dei nostri peccati… Prendi in mano la tua vita e non avere paura, perché con te c’è il Signore. E anche se sembra chiedere tanto, la Sua ricompensa sarà sempre molto più grande di quanto possiamo immaginare”.

Milli-3Don Filippo celebrerà a Promano, sua parrocchia di provenienza, la sua prima messa domenica prossima, 28 giugno, alle ore 11.30.

 

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Il Vescovo Giulietti: “Chiamatemi don Paolo” https://www.lavoce.it/il-vescovo-giulietti-chiamatemi-don-paolo/ https://www.lavoce.it/il-vescovo-giulietti-chiamatemi-don-paolo/#comments Mon, 11 Aug 2014 00:49:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27571

[caption id="attachment_27580" align="alignleft" width="313"]ordinazione don Giulietti_2 Foto A.Coli - Galleria fotografica[/caption] Gli applausi a più riprese hanno inondato al Cattedrale di San Lorenzo di Perugia, domenica pomeriggio 10 agosto, per esprimere l'abbraccio caloroso a don Paolo Giulietti nel giorno della sua ordinazione episcopale. Domenica pomeriggio davvero in tanti, e dai più diversi angoli d'Italia, non  hanno voluto mancare alla liturgia presieduta dal Cardinale Gualtiero Bassetti. Dall'applauso che lo ha accolto al suo ingresso, a quello che ha segnato la lettura della Bolla pontificia di nomina, letta dal Priore della Cattedrale mons. Fausto Sciurpa; da quello che è scrosciato come un torrente montagna alla conclusione del Rito di consacrazione,  fino a quello che ha come ricambiato le parole di saluto prounciate da “don Paolo” al termine della messa. Già, “don Paolo”, così come ha chiesto di essere chiamato al termine di un breve discorso che oltre agli applausi ha strappato anche qualche risata. Al Cardinale, che nell'omelia lo aveva invitato a vivere “la metafora del seme che muore, per portare molto frutto”, ha detto “lo farò”, raccontando come si fosse dovuto impegnare per spiegarne il valore e la bellezza, ai bambini della prima comunione che alla domanda “se foste farina ti faresti mangiare? e se fossi seme ti faresti seminare?” risposero con decisione “ma manco per sogno!”. Ha quindi richiamato gli eventi non usuali dei mesi scorsi. “Fino a sei mesi fa eravamo una diocesi normale” ha detto - e qui è seguio un lungo applauso - ed ha aggiunto “Tutto ciò che è successo forse lo capiremo più aventi. Penso che ora tutto ciò ci chieda una comunione più profonda e creativa”. Infine, ha aggiunto, “rispondo a una domanda che mi hanno fatto: ‘come ti dobbiamo chiamare?’. Il Cardinale ad una risposta simile ha chiesto di essere chiamato ‘padre Vescovo’”. Don Paolo ha quindi scherzato sulla possibilità che vi siano due Padri in una Chiesa. “Con i tempi che corrono bisogna stare attenti …” ha detto, ed ha escluso anche che pur essendo “fratello nell'episcopato” possa essere chiamato “zio”! Quindi con tono serio ha concluso “io vi dico chiamatemi come vi pare, ma io preferirei essere chiamato don Paolo”. Don Paolo Giulietti è stato consacrato vescovo titolare di Termine Imerese ed ausiliare di Perugia-Città della Pieve dai cardinali consacranti Gualtiero Bassetti ed Ennio Antonelli e dall’arcivescovo emerito Giuseppe Chiaretti. Hanno concelebrato il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, 20 vescovi tra i quali i vescovi delle diocesi dell'Umbria e i vescovi provenienti dal clero umbro, e 140 sacerdoti provenienti da diverse regioni. Tra i fedeli che gremivano la Cattedrale c'erano i rappresentanti delle Istituzioni civili del capoluogo umbro; una delegazione guidata dal sindaco Salvatore Burrafato di rappresentanti delle Istituzioni civili e di fedeli delle sei parrocchie del comune siciliano di Termini Imerese, antica diocesi della quale il neo vescovo ausiliare di Perugia è titolare; fedeli della parrocchia di origine di don Paolo, Case Bruciate, e della parrocchia da lui guidata, Ponte San Giovanni. Hanno partecipato anche sacerdoti e laici con incarichi di responsabilità presso gli Uffici Pastorali della Conferenza episcopale italiana (Cei), e numerosi membri della Confraternita di San Jacopo di Compostela, di cui mons. Giulietti è assistente spirituale. Il cardinale Bassetti all’inizio della concelebrazione ha ringraziato il Signore e il Santo Padre per i «grandi doni» che la Chiesa dell’Umbria ha ricevuto nel corso del 2014 riferendosi ai tre nuovi vescovi: mons. Giuseppe Piemontese di Terni-Narni-Amelia, ordinato il 21 giugno, mons. Nazareno Marconi, di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, ordinato nella cattedrale di Città di Castello il 13 luglio, e ora mons. Paolo Giulietti, vescovo titolare e ausiliare di Perugia-Città della Pieve. ordinazione don Giulietti_3Al momento dell’ordinazione a mons. Giulietti sono stati consegnati i “segni visibili del ministero episcopale”: il Vangelo, l’anello, lo zucchetto, la mitra e il pastorale in legno d’ulivo con il simbolo del Tau donato dal cardinale Bassetti. Mons. Giulietti è giunto a Perugia, facendo ingresso in arcivescovado, poco prima delle 14.30 di domenica, dopo aver percorso a piedi l’antica Via Francigena da Assisi a Perugia così come nei giorni scorsi, ha percorso la Via Lauretana, da Loreto ad Assisi compiendo in questo modo il suo  “ritiro spirituale” in preparazione all'ordinazione. Mons. Giulietti ha scelto il Monastero delle Clarisse di Santa Lucia in Città della Pievecele per celebrare la sua prima S. Messa da vescovo, lunedì mattina 11 agosto, solennità liturgica di Santa Chiara d’Assisi. Galleria fotografica  ]]>

[caption id="attachment_27580" align="alignleft" width="313"]ordinazione don Giulietti_2 Foto A.Coli - Galleria fotografica[/caption] Gli applausi a più riprese hanno inondato al Cattedrale di San Lorenzo di Perugia, domenica pomeriggio 10 agosto, per esprimere l'abbraccio caloroso a don Paolo Giulietti nel giorno della sua ordinazione episcopale. Domenica pomeriggio davvero in tanti, e dai più diversi angoli d'Italia, non  hanno voluto mancare alla liturgia presieduta dal Cardinale Gualtiero Bassetti. Dall'applauso che lo ha accolto al suo ingresso, a quello che ha segnato la lettura della Bolla pontificia di nomina, letta dal Priore della Cattedrale mons. Fausto Sciurpa; da quello che è scrosciato come un torrente montagna alla conclusione del Rito di consacrazione,  fino a quello che ha come ricambiato le parole di saluto prounciate da “don Paolo” al termine della messa. Già, “don Paolo”, così come ha chiesto di essere chiamato al termine di un breve discorso che oltre agli applausi ha strappato anche qualche risata. Al Cardinale, che nell'omelia lo aveva invitato a vivere “la metafora del seme che muore, per portare molto frutto”, ha detto “lo farò”, raccontando come si fosse dovuto impegnare per spiegarne il valore e la bellezza, ai bambini della prima comunione che alla domanda “se foste farina ti faresti mangiare? e se fossi seme ti faresti seminare?” risposero con decisione “ma manco per sogno!”. Ha quindi richiamato gli eventi non usuali dei mesi scorsi. “Fino a sei mesi fa eravamo una diocesi normale” ha detto - e qui è seguio un lungo applauso - ed ha aggiunto “Tutto ciò che è successo forse lo capiremo più aventi. Penso che ora tutto ciò ci chieda una comunione più profonda e creativa”. Infine, ha aggiunto, “rispondo a una domanda che mi hanno fatto: ‘come ti dobbiamo chiamare?’. Il Cardinale ad una risposta simile ha chiesto di essere chiamato ‘padre Vescovo’”. Don Paolo ha quindi scherzato sulla possibilità che vi siano due Padri in una Chiesa. “Con i tempi che corrono bisogna stare attenti …” ha detto, ed ha escluso anche che pur essendo “fratello nell'episcopato” possa essere chiamato “zio”! Quindi con tono serio ha concluso “io vi dico chiamatemi come vi pare, ma io preferirei essere chiamato don Paolo”. Don Paolo Giulietti è stato consacrato vescovo titolare di Termine Imerese ed ausiliare di Perugia-Città della Pieve dai cardinali consacranti Gualtiero Bassetti ed Ennio Antonelli e dall’arcivescovo emerito Giuseppe Chiaretti. Hanno concelebrato il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, 20 vescovi tra i quali i vescovi delle diocesi dell'Umbria e i vescovi provenienti dal clero umbro, e 140 sacerdoti provenienti da diverse regioni. Tra i fedeli che gremivano la Cattedrale c'erano i rappresentanti delle Istituzioni civili del capoluogo umbro; una delegazione guidata dal sindaco Salvatore Burrafato di rappresentanti delle Istituzioni civili e di fedeli delle sei parrocchie del comune siciliano di Termini Imerese, antica diocesi della quale il neo vescovo ausiliare di Perugia è titolare; fedeli della parrocchia di origine di don Paolo, Case Bruciate, e della parrocchia da lui guidata, Ponte San Giovanni. Hanno partecipato anche sacerdoti e laici con incarichi di responsabilità presso gli Uffici Pastorali della Conferenza episcopale italiana (Cei), e numerosi membri della Confraternita di San Jacopo di Compostela, di cui mons. Giulietti è assistente spirituale. Il cardinale Bassetti all’inizio della concelebrazione ha ringraziato il Signore e il Santo Padre per i «grandi doni» che la Chiesa dell’Umbria ha ricevuto nel corso del 2014 riferendosi ai tre nuovi vescovi: mons. Giuseppe Piemontese di Terni-Narni-Amelia, ordinato il 21 giugno, mons. Nazareno Marconi, di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, ordinato nella cattedrale di Città di Castello il 13 luglio, e ora mons. Paolo Giulietti, vescovo titolare e ausiliare di Perugia-Città della Pieve. ordinazione don Giulietti_3Al momento dell’ordinazione a mons. Giulietti sono stati consegnati i “segni visibili del ministero episcopale”: il Vangelo, l’anello, lo zucchetto, la mitra e il pastorale in legno d’ulivo con il simbolo del Tau donato dal cardinale Bassetti. Mons. Giulietti è giunto a Perugia, facendo ingresso in arcivescovado, poco prima delle 14.30 di domenica, dopo aver percorso a piedi l’antica Via Francigena da Assisi a Perugia così come nei giorni scorsi, ha percorso la Via Lauretana, da Loreto ad Assisi compiendo in questo modo il suo  “ritiro spirituale” in preparazione all'ordinazione. Mons. Giulietti ha scelto il Monastero delle Clarisse di Santa Lucia in Città della Pievecele per celebrare la sua prima S. Messa da vescovo, lunedì mattina 11 agosto, solennità liturgica di Santa Chiara d’Assisi. Galleria fotografica  ]]>
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Quant’è bella questa Chiesa https://www.lavoce.it/quante-bella-questa-chiesa/ Fri, 18 Jul 2014 13:11:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27114 Manifestazione più solenne non poteva esserci, l’ordinazione episcopale di Nazzareno Marconi: le trenta “mitre” svettanti dei Vescovi umbri e marchigiani, la gran folla che riempiva anche la cripta del duomo, i 200 preti bianco-vestiti, e soprattutto la musica. Musica composta per l’occasione dal più prolifico compositore di musica sacra contemporanea (Marco Frisina) eseguita da tre corali di alta qualità, accompagnate da strumenti musicali tra cui le trombe vibranti di pathos. Solo un’altra occasione mi ha spinto a scrivere “quant’è bella questa Chiesa”, riferita a una liturgia celebrata nello stadio di Palermo tanti anni fa, con canti e proclamazione della Parola talmente elevati che sembrava dovessero raggiungere i confini del mondo. Questa volta è stato il festeggiato che ha dato l’idea, don Nazzareno, quando alla fine, con spontaneità, si è rivolto all’assemblea e ha detto: “Abbiamo fatto una cosa molto bella ed è merito di tutti, di tanti, ognuno per la propria parte, tutti insieme”. Poi ha proseguito invitando tutti a continuare l’opera andando a “restaurare” la Chiesa.

Sembrava di sentire san Francesco quando udì l’invito di Gesù con l’uso di un verbo analogico: “Francesco, ripara la mia chiesa che è in rovina”. Una differenza tra le due parole è che la riparazione suppone una situazione di pericolo e quindi di urgenza, mentre il restauro è più legato all’ambito estetico, tanto che Marconi ha fatto riferimento alla Madonna del Donatello, aggiungendo che la Chiesa ha bisogno di essere restaurata fin dall’inizio. In questo modo si è avvicinato al senso della “riforma continua” e della “continua conversione” cui sono chiamati tutti i membri della Chiesa, condividendo la posizione conciliare che parla della Chiesa sempre bisognosa di riforma (semper reformanda). Al fondo del discorso, don Nazzareno voleva mettere in evidenza che dietro ogni restauro vi è la convinzione che la cosa da restaurare meriti di essere rimessa a nuovo e riportata al suo splendore. Così è della Chiesa.

In questi giorni, discorsi di questo genere li troviamo anche in ambito sociale e politico. Si parla insistentemente di riforme. Anche qui ci domandiamo che cosa significhi. Si tratta di togliere la polvere da vecchie strutture, ridefinire alcune regole, rifondare e non solo riformare, cambiare radicalmente, oppure fermarsi alla superficie delle cose? In ambito internazionale – Siria, Ucraina, Israele – Palestina, Afghanistan – si fanno continui aggiustamenti, si ridefiniscono confini e competenze, si aggiornano programmi di sviluppo, e tuttavia sembra che alla fine vinca la forza di chi riesce ad imporre non il bene comune ma l’interesse di parte.

Mi viene in mente che, forse, per rinnovare la faccia della Terra si debba ricorrere all’unica forza capace e legittimata a operare, che è lo Spirito santo. È solo Lui che può cambiare il cuore delle persone. Ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi nella tragica vicenda di quella che noi giustamente continuiamo a chiamare “Terra Santa” per la sua storia, mentre di fatto è terra tragica e disperata, sta lì a dimostrare che non ci si può limitare a un restauro, ma serve una rivoluzione, una metànoia, una conversione del modo di pensare la vita, nelle relazioni tra persone e popoli. In quella terra benedetta, Gesù lo ha detto chiaramente a Nicodemo: “si deve ri-nascere”. Deve nascere l’uomo nuovo, la nuova umanità, quindi un nuovo umanesimo. Ne ha parlato recentemente il card. Bassetti in occasione della festa di san Benedetto. Ed è ciò che don Nazzareno evidentemente intendeva, e ciò che pensiamo di proporre a noi stessi per primi, ai nostri lettori, chiunque siano, senza escludere chi fa il Ramadan e chi celebra lo Yom Kippur.

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Marconi Vescovo. Don Nazzareno si racconta ai lettori de “La Voce” https://www.lavoce.it/marconi-vescovo-don-nazzareno-si-racconta-ai-lettori-de-la-voce/ Thu, 10 Jul 2014 20:51:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=26839 Nazzareno-MarconiDomenica 13 luglio la comunità cristiana di Città di Castello ordina vescovo un suo figlio: don Nazzareno Marconi, conosciuto e stimato non solo nella sua diocesi ma anche oltre, in Umbria e in Italia e, possiamo dirlo, nel mondo. (Guarda il video su FB) A 56 anni, con 31 anni di sacerdozio spesi nel servizio pastorale in parrocchia, nell’insegnamento teologico, nella responsabilità della formazione dei futuri preti al Seminario regionale umbro e tanti altri impegni, “don” Nazzareno (in realtà è “cappellano di Sua Santità” dal 2005 ma gli amici non lo chiamano “mons.”), lascia tutto per dedicarsi al nuovo servizio cui l’ha destinato il Papa.

Don Nazzareno, torniamo al giorno della nomina. Che cosa ha pensato quando ha ricevuto la notizia?

“Se devo essere sincero il primo pensiero è stato: stavolta non l’ho scampata! Poi ho provato una strana serenità, ho riflettuto che, se il Signore ti chiede qualcosa che non ti sei cercato, è obbligato moralmente a darti tutto l’aiuto necessario. Questo sentimento ancora resiste, e spero vivamente che si conservi. Poi ho pensato ai miei, la mamma, i fratelli e soprattutto i nipotini: come spiegare che proprio adesso che ero tornato a fare lo zio in maniera un po’ più presente, sarei dovuto sparire di nuovo? Infine, al fatto che la mia vita sarebbe cambiata. Ho lavorato in tanti ambiti, ma mi sono sempre divertito di più stando dietro le quinte che sul palcoscenico; ora sarà più complicato stare dietro le quinte”.

Quanto ha pensato a suo zio, don Edoardo? Cosa le avrebbe detto se fosse stato in vita?

“La pace che provo, ne sono certo, è anche un regalo suo. A un amico che prevedeva un tale cambiamento nella mia vita, lo sentii rispondere: ‘Speriamo che il Signore gli eviti una cosa del genere’. Il ‘don’ non si è mai fatto troppe illusioni sul fatto che la ‘carriera’ potesse dare gioia e serenità. Un giorno mi disse: ‘Un proverbio africano dice che, più la scimmia sale in alto, meglio le si vede il sedere!’… Chiaramente il testo originale in castellano era un po’ diverso”.

Ci spiega il suo motto episcopale?

“Il motto è tratto dal Primo libro dei Re 3,9: Dabis servo tuo cor docile, ‘Concederai al tuo servo un cuore docile’. È preso dalla preghiera del giovane Salomone a Gabaon. Il nuovo re, dovendo iniziare a governare il popolo di Dio, chiede un cuore saggio come dono più urgente e prezioso. Il testo ebraico recita ‘un cuore in ascolto’, un cuore che si mette in ascolto, intendendo: in ascolto obbediente e contemporaneo sia di Dio che del suo popolo. È l’atteggiamento con cui il vescovo si presenta al suo popolo, ma anche il progetto pastorale che vuol attuare: aiutare tutti a crescere nella capacità di porsi in ascolto obbediente di Dio e in ascolto amichevole e compassionevole delle ‘gioie e speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono’ (GS 1,1)”.

Andando a Macerata, lascia l’Umbria e la chiesa di Città di Castello. Di quali doni ricevuti qui ringrazia il Signore? Di quali peccati gli chiede perdono?

“Il dono più grande ricevuto dalla mia Chiesa e dai miei preti è una fede che punta al concreto, che sa essere auto-ironica, che non diventa mai ideologia, perché le persone valgono sempre più delle teorie. Chiedo scusa perché avrei potuto fare di più, ma quando penso che avrei potuto fare anche danni più grandi, torno in pace”.

Umbria e Marche, due regioni vicine, ma lontane? Che idea si è fatto delle due regioni?

Che è solo questione della quota da cui si guarda. Da 1.000 metri di altezza si distinguono, ma da 50.000 metri sono solo un pezzo molto omogeneo dell’Italia centrale. Forse è ora che cominciamo a pensare da una quota un po’ più alta dei 30 metri di un campanile”.

Ha già avuto modo di conoscere la sua nuova diocesi. Come ce la potrebbe descrivere?

“È un’unione, ormai abbastanza organica, di cinque ex diocesi, attuali Vicarie, con una popolazione di circa 140.000 abitanti, 135 sacerdoti residenti in diocesi e 22 missionari fidei donum in altre parti del mondo. Questi numeri sono dovuti alla presenza dal 1992 di un Seminario diocesano missionario ‘Redemptoris Mater’ legato ai Neocatecumenali. Attualmente vi sono 40 seminaristi che, come i loro predecessori, sono missionari in diocesi e in altre diocesi italiane e mondiali, ma principalmente sono indirizzati alla missione in Cina. Non bisogna dimenticare che Macerata è la patria di padre Matteo Ricci, il grande evangelizzatore della Cina. Parto quindi per una diocesi vicina all’Umbria, ma che, vi assicuro, guarda molto lontano”.

Per il suo pastorale ha scelto il legno di ulivo, ma la particolarità è quella croce di Taizé che ha posto al centro del “riccio”. Da dove nasce questa scelta?

“Un’esperienza che ha caratterizzato la mia formazione è stata certamente il fatto che dal 1980 al 1987, nei miei anni di studi teologici e biblici, ogni estate ho passato, con borse di studio o lavorando, un mese all’estero per imparare un po’ le lingue moderne e conoscere altre culture e altre confessioni religiose. Sono stato in Francia, Inghilterra e Germania. Il lavoro era quello di guida turistica in luoghi religiosi artistici quali la cattedrale di Canterbury, o quella di Notre Dame a Parigi. Era fatto in collaborazione con un’organizzazione ecumenica francese: C.A.S.A., Communautés d’Accueil dans les Sites Artistiques, vivendo e lavorando insieme in piccole comunità con giovani cattolici, protestanti e ortodossi. Ho lavorato così anche in un oratorio estivo anglicano vicino a Brighton”.

E come è arrivato a Taizé?

“Queste esperienze estive le ho concluse sempre con alcuni giorni a Taizé. Un luogo che ho scoperto nell’estate del 1978 e che mi è rimasto nel cuore. È una comunità ecumenica protestante vicino a Lione, dove, sulle orme del fondatore Frère Roger, si insegna ai giovani del mondo la bellezza e l’importanza della preghiera, della vita comunitaria, della gioia di condividere il poco che si ha tra noi e con i poveri”.

Ha conosciuto personalmente Frère Roger?

“Gli incontri con lui, fino alla sua morte violenta [è stato assassinato da una squilibrata il 16 agosto 2005, durante la preghiera serale davanti a migliaia di giovani, ndr], che fu un vero martirio, e con gli altri monaci, mi hanno sempre nutrito profondamente. Taizé mi ha insegnato che ciò che unisce i battezzati è enormemente più grande di ciò che li divide, ma che le differenze vanno rispettate e stimate a vicenda, perché sono il dono delle nostre grandi tradizioni di fede”.

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Il motto episcopale di don Nazzareno https://www.lavoce.it/il-motto-episcopale-di-don-nazzareno/ Fri, 04 Jul 2014 13:55:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25960 icona_amicizia-2-cmyk“Concedi al tuo servo un cuore docile”

(1Re 3,9) è il motto episcopale che mons. Nazzareno Marconi (da poco nominato vescovo di Macerata – Tolentino – Recanati – Cingoli – Treia) – il nostro don Nazzareno – ha molto opportunamente scelto. È la preghiera del giovane re Salomone che si definisce un ragazzo senza esperienza di governo. Dinanzi all’invito del Signore: “Chiedimi ciò che vuoi ch’io ti conceda” (3,5), non cerca la ricchezza o la gloria (magari come il padre David), ma semplicemente “un cuore docile”. Si intende: nei confronti del Signore, per fare quello che Lui vuole.

Don Nazzareno, giustamente, rileva che il testo originale parla di “cuore in ascolto”, un cuore che si mette in ascolto obbediente sia di Dio sia del popolo. Il Signore stesso fa capire a Salomone che questo è il dono del “discernimento nel giudicare; un cuore saggio e intelligente”. Interessante l’espressione “cuore saggio” perché in questo modo l’amore obbediente al Signore e agli uomini è collegato alla sapienza. Così il cuore docile è il cuore sapiente.

La capacità di porsi nell’atteggiamento di ascolto obbediente di Dio e di amorevole attenzione e cura delle persone, specialmente di quelle che sono nella sofferenza, è certamente la qualità principale del buon/bel pastore Gesù e di quelli che sono chiamati a continuare la sua missione. Ma è anche qualità principale di ogni discepolo, che “ogni mattina fa attento il suo orecchio per ascoltare” il Signore (cf. Is 50,4). Il discepolo ideale è quello che può dire come il Servo di JHWH: “Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro” (50,5).

In questa direzione ci porta una bellissima icona intitolata “Cristo e l’abate Mena. L’icona dell’amicizia”. La voglio descrivere perché mi è piaciuta molto. Risale al VII secolo d.C. e proviene dalla Chiesa copta. Raffigura Gesù che accompagna san Mena, abate del monastero di Alessandria. Chi contempla è invitato a mettersi al posto di san Mena. Gesù appoggia la mano destra sulla spalla dell’amico per condividere fraternamente la sofferenza e per incoraggiare. La spalla è simbolo delle nostre fatiche; la mano del Cristo consola, conforta e sostiene. Il tocco di Cristo imprime al braccio destro dell’amico la forza di portare a tutti la benedizione del Signore agli uomini bisognosi di conforto. Gesù ha due occhi molto grandi: guarda l’amico invitando a procedere nella sua direzione. Anche l’amico, quasi in modo strabico, tiene un occhio rivolto a Gesù e l’altro sulla strada indicata da Lui. L’amico ha due orecchie molto grandi: esprimono l’importanza dell’ascolto della Parola. La bocca molto piccola dice l’esigenza del silenzio e della sobrietà. Gesù sostiene un grosso libro decorato e prezioso: è Lui che apre i sigilli delle sacre Scritture. L’amico tiene in mano un piccolo rotolo nel quale annota le parole di Gesù per imparare ad assimilarle. Gesù non ha piedi: cammina con i piedi dell’amico. Il discepolo riflette la luce del Maestro (le aureole infatti si richiamano) e continua la missione dell’evangelizzazione e della carità portata da Gesù.

Auguriamo a don Nazzareno, ma anche a ognuno di noi, la grazia di diventare sempre più “amici di Gesù” o anche “amici dello Sposo” (cf Gv 3,29), pronti per la missione che ci affida. In sua compagnia i problemi, le difficoltà e le sofferenze possiamo portarli “pazientemente, e forse anche gioiosamente” (Tommaso Moro).

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La buona notizia: Paolo e Nazzareno vescovi https://www.lavoce.it/la-buona-notizia-paolo-e-nazzareno-vescovi/ Thu, 05 Jun 2014 19:25:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25345 Osservando il panorama politico-sociale del momento, sulla spinta del messaggio ispirato a fiducia e moderato ottimismo del presidente Napolitano per la festa della Repubblica, ci sembra giusto dare anche noi qualche segnale positivo e di incoraggiamento, dando voce a quanto di buono avviene vicino a noi e spesso rimane sconosciuto. Il male in genere fa più rumore e si fa maggiormente notare del bene.

Come i lettori attenti avranno notato, da qualche tempo dedichiamo servizi a fatti, persone e iniziative positive che avvengono nel nostro territorio. In questo numero c’è un servizio sull’istituto “Don Guanella”; prima abbiamo scritto degli Alcolisti anonimi e del bar di Perugia che ha tolto slot machine. Anzi, se vi sono fatti o realtà sociali che meritano di essere conosciute, potete segnalarle.

In quest’ottica, vorrei porre l’attenzione sull’imprevisto straordinario evento di due nostri preti, nel giro di una settimana, nominati vescovi: Paolo Giulietti di Perugia e Nazzareno Marconi di Città di Castello (vedi pagg. 10-11); senza dimenticare il prossimo arrivo di padre Piemontese come vescovo di Terni, che sarà il primo ad essere consacrato e ad entrare nel pieno delle sue funzioni pastorali il prossimo 21 giugno a cui va tutto il nostro affettuoso augurio.

Tornando ai due umbri mi pare che si possa dire che la nostra regione non deve essere considerata priva di risorse spirituali e culturali, se può esprimere due persone ritenute nella loro piena maturità umana, capaci e degne di rappresentare e guidare la comunità cristiana – perugina o maceratese, poco importa – al massimo livello di responsabilità. Una persona non si forma da sola e non è un’isola o un fungo solitario ma, in misura più o meno decisiva, è il risultato di una comunità, di un ambiente, di uno stile di vita, di una mentalità. Se andiamo a vedere in dettaglio la storia dei due nuovi Vescovi troviamo persone, avvenimenti e perfino avventure che, magari, pochi conoscono, ma che hanno modellato la loro personalità.

Non si può negare che quando una comunità esprime un vescovo, – ciò vale anche per una vocazione di speciale consacrazione religosa – la comunità respira e si sente viva. Al contrario, si sente mortificata se, come è accaduto in tempi passati, il vescovo era una persona sconosciuta, veniva da lontano e talvolta si portava dietro anche il segretario o il vicario.

È chiaro che la Chiesa, pur essendo legata al territorio, non ha vincoli localistici, avendo per sua natura e per dato storico una dimensione universale. Per tale ragione è in grado di realizzare uno scambio di energie e di risorse materiali, spirituali e umane, operando un reclutamento – si direbbe in gergo manageriale della sua classe dirigente – dei suoi “servi” destinati all’esercizio dell’episcopato secondo un discernimento non sindacabile.

La storia della Chiesa in generale, e l’esperienza dei rapporti delle nostre popolazioni con i loro Pastori, sono una testimonianza della cattolicità della Chiesa secondo un intimo sensus fidei che non manca nella mentalità dei fedeli. La Chiesa, nella sua più che millenaria tradizione, ha coniugato “locale” e “globale”, Chiesa territoriale e Chiesa universale. Con una brutta parola moderna, si direbbe che nessuna realtà sociale è più “glocale” della Chiesa. L’idea è stata anche teorizzata nella Lettera a Diogneto, dove si dice che per i cristiani “ogni terra è loro patria e ogni patria è per loro terra straniera”.

Il card. Bassetti – nell’annunciare la nomina di Giulietti – ha fatto notare che, con l’episcopato, si entra a far parte del Collegio dei vescovi che, unito a Pietro (che oggi si chiama Francesco), ha avuto da Cristo il mandato di guidare la Chiesa intera sparsa nel mondo. A Paolo e Nazzareno, con simpatia, La Voce, cui da molto tempo e in varia misura sono particolarmente legati, insieme a tutti i suoi lettori, augura un’ampia benedizione da parte di Dio e del loro popolo.

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La Chiesa umbra si riorganizza così https://www.lavoce.it/la-chiesa-umbra-si-riorganizza-cosi/ Thu, 05 Jun 2014 17:52:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25279 I responsabili delle nuove commissioni Ceu
I responsabili delle nuove commissioni Ceu

Presso il Pontificio seminario regionale umbro “Pio XI” di Assisi, nella giornata del 3 giugno, si è riunita la Conferenza episcopale umbra (Ceu) presieduta dal card. Gualtiero Bassetti. Ai lavori sono intervenuti anche i vescovi eletti padre Giuseppe Piemontese per la diocesi di Terni – Narni – Amelia e mons. Paolo Giulietti, ausiliare di Perugia – Città della Pieve. Padre Piemontese sarà ordinato vescovo il 21 giugno nella cattedrale di Terni, mentre mons. Giulietti il 10 agosto nella cattedrale di Perugia. I Vescovi umbri hanno espresso viva soddisfazione anche per la nomina di mons. Nazzareno Marconi, già rettore del Seminario regionale, a vescovo di Macerata – Tolentino – Recanati – Cingoli – Treia.

Tra gli argomenti all’ordine del giorno della sessione pomeridiana della Ceu, la presentazione della nuova strutturazione della Regione ecclesiastica secondo la riforma approvata lo scorso marzo dalla stessa Conferenza episcopale umbra, che ha visto la partecipazione dei coordinatori delle diverse “sezioni” che compongono i sei nuovi ambiti. Come hanno precisato il presidente, card. Gualtiero Bassetti, e il segretario Ceu, mons. Renato Boccardo, questa ristrutturazione segue la linea indicata da Papa Francesco che vuole dare alle Conferenze episcopali regionali più peso per lavorare di più.

I Vescovi umbri, accogliendo queste indicazioni, hanno ritenuto opportuno valorizzare la Regione ecclesiastica rendendone più agile e operativo il servizio così da accompagnare il cammino delle Chiese umbre nei vari ambiti della pastorale, condividendo le ricchezze di ciascuno. Pertanto, i Vescovi hanno definito la costituzione dei sei ambiti: Liturgia, Evangelizzazione, Carità, Clero e vita consacrata, Laici, Beni culturali.

Alla Ceu fanno riferimento, come organismi collegati, il Pontifico seminario regionale “Pio XI”, l’Istituto teologico di Assisi (Ita), il Tribunale ecclesiastico regionale umbro (Teru) e la Promozione al sostegno economico alla Chiesa cattolica. All’inizio del prossimo anno pastorale, un apposito Regolamento definirà il ruolo di ciascuna area e il funzionamento delle diverse sezioni, i cui coordinatori potranno dare vita a una sorta di “Consulta pastorale regionale” per condividere le varie esperienze e fornire – come ha proposto il vice presidente della Ceu, mons. Domenico Sorrentino – dei contributi alfine di poter elaborare degli “orientamenti pastorali” della Regione ecclesiastica.

Tra i primi eventi d’inizio anno pastorale 2014-2015 di rilevanza nazionale che l’Umbria ospiterà, sarà il raduno degli oratori d’Italia in Assisi dal 4 al 7 settembre, con la partecipazione di mille rappresentanti provenienti da tutte le Regioni ecclesiastiche.

Le 6 aree con relative sezioni

Le sei nuove aree della pastorale Ceu  sono a loro volta suddivise in sezioni, affidate a uno o più coordinatori.

Liturgia: vescovo delegato mons. Gualtiero Sigismondi. Sezioni: Liturgia ed Esorcismo, entrambe coordinate da padre Vittorio Viola.

Evangelizzazione: vescovo delegato mons. Renato Boccardo. Sezioni: Annuncio (dottrina della fede, catechesi, ecumenismo e dialogo interreligioso), coord. don Luca Delunghi; Comunicazioni (comunicazioni sociali, servizio informatico regionale), coord. Riccardo Liguori; Giovani, coord. don Marcello Cruciani per la pastorale e don Riccardo Pascolini per gli oratori.

Carità: vescovo delegato mons. Benedetto Tuzia. Sezioni: Caritas (Caritas, migranti, Pastorale della sanità) e Solidarietà (Fondo di solidarietà, Fondazione umbra contro l’Usura, Osservatorio sulle povertà) , entrambe coord. Giorgio Pallucco; Lavoro, pace e salvaguardia del creato, coord. Massimiliano Marianelli.

Clero e vita consacrata: vescovo delegato mons. Domenico Cancian, coordinatori – rispettivamente – mons. Carlo Franzoni per la sezione Clero (Commissione presbiterale regionale,Pastorale vocazionale, Diaconato permanente), fr. Leonardo De Mola per la Vita consacrata, Anna Maria Federico per le Missioni (Evangelizzazione e cooperazione tra le Chiese).

Laici: vescovo delegato mons. Domenico Sorrentino. Sezioni: Laici (Laici famiglia e vita), coord. Stefano e Barbara Rossi [che attualmente curano il commento al Vangelo su La Voce], con don Fabrizio Crocioni; Educazione (Educazione, scuola e università, insegnanti di religione), coord. Annarita Caponera.

Beni culturali: vescovo delegato mons. Mario Ceccobelli, coadiuvato da mons. Paolo Giulietti; coordinatori mons. Giampiero Ceccarelli per i Beni culturali e la Rete museale, mons. Francesco De Santis per l’Edilizia di culto, Roberto Pascucci per lo Sport, il turismo e tempo libero.

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Marconi Vescovo: il saluto e il messaggio alla diocesi di Macerata https://www.lavoce.it/marconi-vescovo-il-saluto-e-il-messaggio-alla-diocesi-di-macerata/ Tue, 03 Jun 2014 18:43:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25263 don Nazareno2Don Nazzareno, come tutti lo chiamano e come si è firmato nel messaggio alla sua nuova diocesi, ha salutato questo annuncio con queste parole:

«Carissimi amici della Diocesi di Città di Castello
nella mia vita è la terza volta che il Signore, attraverso la sua Chiesa, mi dice “esci dalla tua terra e vai dove ti indicherò”.
La prima volta Mons. Pagani mi spedì a Roma in Seminario, perchè Assisi era troppo vicino … e dovevo scoprire che il mondo era più grande della nostra valle. Credo di avere imparato la lezione, ma non ho perso l’accento a metà tra citernese e castellano.
La seconda volta i Vescovi umbri mi hanno spedito ad Assisi, a far crescere una nuova generazione di preti umbri. Ho imparato a “pensare umbro” e non solo castellano. Credo sia una cosa buona per tutti noi.
Ora è il Papa che mi spedisce a Macerata. Non so cosa abbiano in mente sia il Papa che soprattutto il Buon Dio, ma mi fido ciecamente di tutti e due, per questo non ce l’ho fatta a dire di no.
Temo che questa volta non sia facile tornare, almeno fino alla pensione … per questo voglio dire: “Grazie!”. Grazie alla mia famiglia che mi ha allevato nella fede e nell’amore per tutti, senza eccezioni.
Grazie alla gente dell’alta valle del Tevere. Ho fatto il prete a nord, al centro ed ora a sud. Dappertutto ho trovato tanto bene. Sono grato ed orgoglioso di essere uno di voi.
Grazie ai consacrati ed alle consacrate. Mi avete insegnato a pregare, soprattutto col vostro esempio. È un dono prezioso, che cercherò sempre di far fruttificare.
Grazie ai Preti e Diaconi di Castello. A volte sembriamo un’Armata Brancaleone, ma vi stimo tutti, la vostra fede e carità mi hanno sempre edificato, non vi cambierei con nessun’altra diocesi di quelle che conosco … ed ora ne conosco diverse. Prometto che cercherò di farvi onore.
Grazie ai miei vescovi, con cui ho sempre cercato di essere schietto ed amico. Anche in tutti loro ho riconosciuto sempre questa buona volontà. Spero di non deludere né quelli che sono in cielo, né quelli che sono tra noi.
A luglio scorso ho sciolto un voto, facendo un pellegrinaggio a Lisieux per ringraziare Santa Teresa che durante il mio servizio da rettore non avevo fatto danni irreparabili.
Vorrei ripetere il voto e magari promettere che se arrivo a diventare un vescovo pensionato senza avere fatto grossi guai, il pellegrinaggio a Lisieux lo faremo insieme. Se poi il Signore mi farà partire prima di allora per l’ultimo viaggio, rigraziateLo da parte mia, perché quello che fa Lui è sempre il meglio per noi.
Dio vi benedica.
Don Nazzareno »

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E questo è il messaggio che il neo eletto Vescovo ha inviato ai fedeli della sua diocesi

«Carissime Sorelle e Fratelli in Cristo
ed anche voi Uomini e Donne di buona volontà, di ogni popolo e fede, che abitate nella terra benedetta di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli e Treia, il Signore vi dia la Sua Pace.
Permettete che mi rivolga a voi con le parole del cuore e la semplicità che amo da sempre. Quando ho saputo della decisione del Santo Padre, che mi nominava vescovo della vostra Diocesi, ho provato insieme timore e pace profonda. Il timore nasce dalla coscienza dei miei limiti e difetti, per i quali già da ora vi domando perdono. La pace dall’esperienza, fatta ormai tante volte nella mia vita che: quando il Signore mi affida compiti superiori alle mie forze, non fa mai mancare il Suo aiuto generoso.

Così può brillare meglio, nella nostra debolezza, la luce della Sua potenza (2Cor 12,13). Ripeto perciò a me ed a voi le Parole del Signore a S.Paolo: «Non aver paura, perché io sono con te: in questa città io ho un popolo numeroso» (Atti 18,9).
Per questo ho accettato questo incarico, ricordando ciò che mia madre ed il mio santo parroco, da poco tornato in cielo, mi hanno insegnato fin dall’infanzia: “per obbedire a Dio, si obbedisce alla Chiesa”.
Mi sento poi confortato dal dono dell’amicizia, che ho già con tanti tra voi, a partire dal Vescovo Claudio, da cui ricevo il testimone in questa corsa. Gli sono grato perché trovo una strada ben tracciata, sulla quale spero di continuare, nella sequela di Gesù Maestro e Pastore.

Parlando del compito del vescovo, un amico che ama usare le immagini, mi disse un giorno: “è come l’allenatore nel calcio: da gli incarichi, progetta la strategia, ordina le sostituzioni…”. In tutta sincerità non mi trovo in questa definizione. Preferisco pensare a quelle partite tra amici, in cui nessuno sta in panchina. Ogni squadra ha un capitano, che in campo con gli altri corre, fatica e magari fa anche qualche fallo… amichevole!!! Il capitano cerca di avere uno sguardo più ampio su tutto il gioco e spinge la squadra avanti, quando ci si sente troppo sicuri e soddisfatti del risultato. O corre per primo a coprire gli spazi, se qualcuno sbaglia, o non ce la fa più. Un capitano così non ha grandi strategie, o complessi schemi già pronti, ma ascolta e guarda, consiglia ed incoraggia, cerca sempre di imparare dagli errori, senza troppa preoccupazione di essere perfetto.
Vorrei fare il Vescovo così, se voi tutti mi aiuterete. Nessuno resti in panchina, o sugli spalti a guardare: Gesù chiama tutti ad annunciare il Vangelo.

Vorrei soprattutto che ci sentissimo un Popolo unito ed in cammino sulla via di Dio, per costruire la civiltà dell’Amore, come amava dire il Papa della mia giovinezza: Paolo VI.
Ci attende una lunga e bella avventura, come è sempre la vita cristiana, con le sue croci e le sue resurrezioni.
Io da qualche giorno prego intensamente per voi, per tutti e per ciascuno, a cominciare dai preti, perchè un saggio vescovo mi ha insegnato che: “un vescovo senza preti è un uomo senza braccia”.
Voi da oggi iniziate a pregare anche per me, in modo particolare invocando la Mater Misericordiae: che la Madre di Dio interceda per noi peccatori, ora e fino all’ora della nostra morte.
Vi saluto nell’attesa di poterci incontrare personalmente e vi chiedo, almeno per questa volta, di potermi ancora firmare

Don Nazzareno»

E questo è il messaggio

 

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Marconi Vescovo. Le parole del vescovo Cancian https://www.lavoce.it/marconi-vescovo-le-parole-del-vescovo-cancian/ Tue, 03 Jun 2014 18:41:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25258 don Nazareno1Con queste parole questa mattina in cattedrale il vescovo di Città di Castello  ha annunciato la nomina di mons. Nazzareno Marconi a Vescovo di Macerata.

«Siamo qui ad accogliere una notizia in un clima di preghiera e di fede. Riguarda la vita della nostra Chiesa.

Ascoltiamo prima una parola del Signore. Atti degli Apostolo 1, 12-14 Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in giorno di sabato. Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi: vi erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda figlio di Giacomo. Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui.

In questi giorni che vanno dall’Ascensione del Signore alla Pentecoste abbiamo particolarmente nel cuore questo evento. Attendiamo in preghiera una nuova effusione dello Spirito. Riviviamo come cristiani di Città di Castello il momento che ricorda la nascita della comunità cristiana: lo Spirito Santo irrompe e fa partire la Chiesa, la guida attraverso i secoli per continuare la missione di Gesù.

Da sempre la Chiesa è composta dallo Spirito Santo e noi. Un soffio particolare dello Spirito ci porta una bella notizia che ora vi leggo:

Eccellenza Reverendissima, Mi reco a doverosa premura di comunicare a Vostra Eccellenza che il Santo Padre ha nominato Mons. Nazareno Marconi finora co-parroco di San Donato in Trestina, diocesi di Città di Castello, nuovo vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia.
Profitto della circostanza per confermarmi, con sensi di distinto ossequio, dell’Eccellenza Vostra Reverendissima
dev.mo Adriano Bernardini, Nunzio Apostolico in Italia

Da questo momento il nostro Don Nazzareno è vescovo eletto!!

Carissimo fratello vescovo a nome della Chiesa tifernate e mio personale ti esprimo sentimenti di gioia e di affetto, di gratitudine e di fraterno augurio. La tua e nostra Chiesa che è in Città di Castello ha un altro figlio vescovo! Questa Chiesa ti ha donato la fede e ti ha accompagnato nel cammino spirituale fin qui e tu l’hai servita con dedizione intelligente e generosa. Ora ti incoraggia ad accogliere il mandato del Signore attraverso il successore di Pietro e ti augura di amare e servire la Chiesa che è in Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, lasciandoti ispirare dall’unico Buon-Bel Pastore, il Signore nostro Gesù.

Mentre ci rallegriamo con te e ti assicuriamo la nostra preghiera, ti chiediamo di dare la tua prima benedizione a questa Chiesa tifernate. Benedici naturalmente la tua mamma Emiliana e i tuoi cari che sono qui. Ci dispiace che lo zio Don Edoardo non sia fisicamente qui a dirti una parola carica di sapienza e di umorismo. Io, che sono stato tuo vescovo per sette anni, ti ringrazio, ti benedico e ti affido alla materna protezione di Maria e alla Chiesa di Macerata Ricordo che l’ordinazione episcopale avrà luogo nella cattedrale di Città di Castello domenica 13 luglio alle 18.00.

Ricordo anche che sabato 7 giugno, alle 18.00 nella stessa Cattedrale, avremo il dono dell’ordinazione sacerdotale di Davide e Simone. Di tutto rendiamo gloria a Dio!
† Domenico Cancian Vescovo»

 

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Mons. Nazzareno Marconi nominato vescovo di Macerata https://www.lavoce.it/mons-nazzareno-marconi-nominato-vescovo-di-macerata/ https://www.lavoce.it/mons-nazzareno-marconi-nominato-vescovo-di-macerata/#comments Tue, 03 Jun 2014 10:17:56 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25242 Nazzareno-Marconi-webQuesta mattina alle 12 il Vescovo di Città di Castello mos. Domenico Cancian ha annunciato la nomina di mons. Nazzareno Marconi a vescovo di Macerata ed ha annunciato la data dell’0rdinazione episcopale, il 13 luglio.

Mons. Marconi è nato a Città di Castello (Perugia) il 12 febbraio 1958. Dopo gli studi liceali ha intrapreso il cammino di formazione al sacerdozio come alunno del Pontificio Seminario Romano Maggiore. Ha conseguito il Baccalaureato in Filosofia alla Pontificia Università Lateranense e in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. È stato ordinato presbitero per la diocesi di Città di Castello il 2 luglio 1983.

Successivamente si è licenziato in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico conseguendo poi il Dottorato in Teologia Biblica presso la Pontificia Università Urbaniana. Durante il periodo degli studi è stato scelto per alcuni anni come educatore al Seminario Romano.

Dopo l’esperienza di Viceparroco a San Giustino, nel settembre 1988 è stato nominato Parroco della Parrocchia di S. Michele Arcangelo a Citerna (PG). In diocesi ha ricoperto numerosi incarichi, tra i quali quello di Direttore dell’Ufficio Catechistico docesano. Contemporaneamente viene scelto come consulente religioso e biblico per produzioni cinematografiche e multimediali della RAI-Radiotelevisone Italiana.

Dal 1988 insegna Esegesi dell’Antico Testamento all’Istituto Teologico di Assisi. Dal 2004 al 2012 è stato Rettore del Seminario Regionale Umbro “Pio XI”. Dal settembre 2013 fino alla data odierna è stato Parroco della parrocchia di San Donato in Trestina, nella diocesi di Città di Castello.

Il 10 marzo 2005 è stato insignito del titolo di Cappellano di Sua Santità.

Tra le sue molteplici attività notiamo anche la apprezzata collaborazione con il nostro settimanale La Voce, sia nelle pagine locali sia in quelle regionali. L’ultimo contributo che gli abbiamo chiesto ed al quale non si è sottratto confermando la sua disponibilità è stato per la Quaresima una riflessione su “La Croce, da patibolo orrendo a simbolo universale(puoi leggerla qui).

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https://www.lavoce.it/mons-nazzareno-marconi-nominato-vescovo-di-macerata/feed/ 1
Ritiro del clero perugino-pievese con don Nazzareno Marconi: lo stile cristiano di vita dei preti https://www.lavoce.it/ritiro-del-clero-perugino-pievese-con-don-nazzareno-marconi-lo-stile-cristiano-di-vita-dei-preti/ Thu, 20 Feb 2014 13:31:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22474 ritiro-del-cleroGiovedì scorso, 14 febbraio, a Montemorcino si è svolto il ritiro del clero perugino-pievese, seguendo il “rituale” di preghiera di adorazione, meditazione, aggiornamento pastorale e convivialità fraterna. Al centro di tutto, com’è evidente, è stato il vescovo Bassetti, come sempre affabile e paterno verso tutti e da tutti festosamente salutato con espressioni di soddisfazione e di gioia per la nomina a cardinale.

Questa nomina comporterà per lui un supplemento di lavoro, ma non lo distoglierà dai suoi impegni in diocesi. Di questo ha rinnovato l’assicurazione, e ha annunciato che sta concludendo la stesura di una Lettera pastorale che dovrà costituire il programma dei prossimi anni per la diocesi, mentre ha già avviato la visita pastorale di cui diamo notizia in queste pagine. La lettera sarà incentrata sulla “conversione pastorale” in sintonia con l’insegnamento di Papa Francesco.

La parte più spirituale del ritiro, oltre alla preghiera di adorazione silenziosa in cappella – dove, tra l’altro, tutti i preti presenti ordinariamente non entrano, essendo stata progettata negli anni Cinquanta per i circa 80 seminaristi di allora – è stata la meditazione “dettata” (così si dice) da don Nazzareno Marconi, con il suo stile brillante e ricco di sapienza biblica e popolare.

Don Nazzareno è molto stimato e amato dal clero perugino e umbro in generale per avere svolto per dieci anni il delicato ruolo di rettore del Seminario regionale e contemporaneamente docente di Sacra Scrittura all’Istituto teologico di Assisi. La sua formazione biblica e l’esperienza educativa e pastorale lo rendono particolarmente adatto a comprendere e illustrare la vita e la spiritualità del prete diocesano, qual è lui stesso attualmente, impegnato nella cura pastorale di una parrocchia della sua diocesi di Città di Castello.

La meditazione di don Nazzareno è stata seguita con grande attenzione e intima soddisfazione, essendo stati toccati alcuni fondamentali aspetti della vita del prete, in modo particolare i “consigli evangelici” riferibili ai tre voti religiosi di povertà, castità e obbedienza, posti in relazione con le tre virtù teologali di fede, speranza e carità. Una meditazione che meriterebbe di essere stampata e diffusa per far crescere nei sacerdoti la autocoscienza di ciò che sono per vocazione e grazia, e nei fedeli laici la conoscenza dei loro preti per ciò che sono, oltre che per ciò che fanno o non fanno.

L’aspetto che più ha tenuto a sottolineare don Nazzareno è stato il carattere di libertà della scelta e lo stile della vita del prete, che non è un impiegato né un funzionario di una istituzione, né un esecutore di regole e precetti, ma un cristiano autentico che ha scelto di vivere con radicalità e fedeltà la fede, la speranza e la carità, come dovrebbe essere per ogni cristiano nel proprio contesto di vita.

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E ora… altri 100 anni così! https://www.lavoce.it/e-ora-altri-100-anni-cosi/ Thu, 06 Dec 2012 15:10:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=14123
La messa a conclusione della celebrazione per il centenario del seminario alla Porziuncola di Santa Maria degli Angeli

Anche il Centenario si è concluso. Non nego che, quando l’ultimo ex alunno nel pomeriggio del 3 dicembre (dopo la celebrazione alla Porziuncola, presieduta dal cardinale Ennio Antonelli (leggi l’omelia) e dal cardinale Giusebbe Betori, ex alunni del seminario, e dopo l’incontro che abbiamo avuto in seminario) ha attraversato il cancello del nostro cortile per tornare a casa, abbiamo tutti tirato un sospiro di sollievo. So bene che i problemi seri sono altri, ma in quel “piccolo mondo antico” che è pur sempre il seminario, ci tenevamo tanto che andasse tutto bene, e la Madonna del Buon Consiglio, nostra protettrice, non si è smentita, c’era anche una straordinaria giornata di sole su Assisi!

Il Centenario era iniziato il 18 dicembre 2011 con la celebrazione della Festa dei genitori presieduta da un illustre ex alunno ed ex rettore, mons. Bottaccioli, vescovo emerito di Gubbio, che da rettore aveva celebrato il 75°. Con i suoi sinceri auguri è partito un percorso segnato da molte tappe.

Il 17 gennaio 2012 cominciarono gli incontri con gli ex alunni. Ogni 15 giorni tre o quattro classi insieme si sono ritrovate a partire dagli ottuagenari fino ai più giovani. Sono stati momenti emozionanti per chi veniva, ma anche per chi accoglieva. Incontri semplici, condividendo la messa e la mensa di una normale giornata di seminario, ma preziosi soprattutto per noi. Parlare della vita del prete come di un cammino faticoso, ma bello, è diventato ora più concreto, dopo che ci sono passati davanti agli occhi un secolo di preti umbri!

Ciò che colpisce, pur nella diversità delle età, è che dalle loro testimonianze è emerso un ritratto degli ingredienti fondamentali del prete felice: fede solida, speranza anche un po’ incosciente, carità vissuta con entusiasmo e fantasia, preghiera e concretezza, ma soprattutto la capacità di saper accogliere le proprie fragilità e debolezze, attraverso le quali tuttavia Dio passa e raggiunge gli uomini.

Il 26 gennaio 2012 l’udienza privata concessaci dal Papa, assieme ai seminari Calabro e Campano, ci ha fatto sperimentare il legame con la Chiesa universale che invita a superare i particolarismi, soprattutto oggi in un mondo globalizzato. È stato un giorno di grazia, prezioso per riflettere sul valore di un cammino regionale al sacerdozio. Certo non è facile, né per noi né per i Vescovi, cercare sempre una via che possa tenere insieme le giuste differenze tra le nostre otto diocesi, ma è innegabilmente molto più ciò che ci unisce rispetto a quanto ci distingue. Questa coscienza ecclesiale regionale è innegabilmente più forte nel clero umbro che in quello di tante altre regioni italiane, a partire dalla vicina Toscana o dalle Marche. I preti ed i vescovi che giungono da fuori faticano all’inizio a capire, ma poi ne apprezzano sinceramente il valore.

Una nota di colore si è avuta dall’11 al 14 aprile, quando abbiamo ospitato il Torneo nazionale di calcio a 5 tra i seminari. Dal punto di vista sportivo il centenario è stato un trionfo: guidati da don Mauro Salciarini, padre spirituale, ma soprattutto presidente della nostra squadra, abbiamo vinto sia il Torneo nazionale che il campionato locale tra le squadre dei religiosi che frequentano l’Istituto teologico. E la squadra di quest’anno dovrebbe andare ancora bene. Di più non posso anticipare, per “giusta scaramanzia calcistica”!

La conclusione nelle ultime settimane è stata poi un bel finale. La riflessione che ci ha offerto il card. Piovanelli servirà non solo al Seminario, ma anche a molti preti, per questo l’abbiamo diffusa attraverso il sito de La Voce.

Una serata di preghiera, vissuta nella piccola chiesetta di San Niccolò appena restaurata, ci ha introdotto nel triduo finale. Il concerto del m° don Gerardo Balbi è stato un dono molto apprezzato, sia dai seminaristi che dagli amici intervenuti. Don Gerardo ci ha insegnato, in teoria ed in pratica, come davvero la musica possa elevare lo spirito umano ed aprire il cuore all’accoglienza dello Spirito di Dio.

Il giorno del Centenario infine, è stato sereno come il cielo sopra Assisi. La presenza di circa 200 sacerdoti tra cui 16 vescovi e due cardinali ex alunni, più molti amici laici, ci ha fatto toccare con mano l’affetto per il Seminario che è cresciuto via via in questi 100 anni. Tra i presenti un arzillo perugino 92enne, il dott. Giuseppe Cerbini, degno rappresentante di tanti laici formati nel nostro liceo, che aveva assistito anche al 25°, 50° e 75°. E mons. Oscar Battaglia, che il card. Betori in sacrestia ha amichevolmente presentato al neo eletto segretario della Congregazione per l’educazione cattolica, mons. Zani, un sincero amico del nostro Seminario, come “il vero padre e maestro di tutti noi preti umbri”.Il Centenario ci lascia ora un compito spirituale notevole: iniziare il prossimo secolo restando all’altezza di una tale tradizione. Ci consegna anche l’impegno di cercare di concludere i restauri del Regionale. Non sarà possibile se non con l’impegno concreto ed il coinvolgimento di tutti, ma di questo torneremo a parlare presto dalle pagine de La Voce.

Mons. Nazzareno Marconi

Clicca sull’immagine sotto per  guardare il video della celebrazione

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Si “semina” bene da 100 anni https://www.lavoce.it/si-semina-bene-da-100-anni/ Thu, 29 Nov 2012 18:00:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=14068  

Foto di gruppo degli attuali seminaristi con il Rettore mons. Nazareno Marconi, l’assistente spirituale don Mauro Salciarini e il responsabile del Propedeutico don Simone Sorbaioli, davanti all’ingresso del Seminario regionale

TUTTI GLI ARTICOLI DI QUESTA SETTIMANA

Per il 100° del Seminario regionale, ecco la “ricetta” per il prete

Le celebrazioni conclusive del centenario del Seminario regionale sono entrate nel vivo lo scorso 22 novembre con la bellissima conferenza tenuta nell’aula magna dal card. Silvano Piovanelli (Leggi il testo).

Il Cardinale, arcivescovo emerito di Firenze, con i suoi 88 anni ma lo spirito di un giovane, ha proposto ai seminaristi e ad alcuni amici una sapiente riflessione sul ruolo del sacerdote nella Chiesa di oggi. Partendo dalla convinzione conciliare che l’eucarestia è culmine e fonte della vita della Chiesa, Piovanelli ha proposto una meditazione ricca di citazioni e di esempi di vita, che ripercorrendo lo svolgimento della messa ha messo in luce come la spiritualità del presbitero sgorghi da ciò che celebra. “Imita ciò che celebri, per diventare eucarestia con tutta la tua vita”. Questa è l’esortazione che alla luce del Concilio ogni prete deve sentirsi rivolta. Perciò il prete deve vivere in serenità un costante atteggiamento di riconoscimento del peccato e richiesta di perdono. Deve poi lasciarsi illuminare e guidare dalla Parola di Dio: infatti per “rispecchiare ciò che viene realizzato sull’altare, deve rispecchiare nella vita l’ascolto attento della Parola”.

Il Cardinale ha ricordato a più riprese che “occorre riscoprire la qualità sacramentale della sacra Scrittura. Nel cuore della Chiesa, la Scrittura deve essere accolta come sacramento della Parola di Dio”.

Ciò si compie in modo particolare attraverso la pratica della lectio divina a cui deve accostarsi tutto il popolo cristiano, ma in maniera particolare i sacerdoti. A questo proposito il Cardinale ha ricordato il consiglio dato ad un giovane seminarista da Papa Benedetto XVI: “Ho una ricetta abbastanza semplice: combinare la preparazione dell’omelia con la meditazione personale. Il mio consiglio è cominciare il lunedì… Già il lunedì leggere semplicemente le letture della prossima domenica… Con questo lavorio interiore, giorno per giorno, si vede come man mano matura una risposta”. La lectio sulle letture della domenica seguente come perno della meditazione quotidiana del prete darà alle omelie una qualità del tutto particolare e preziosa, ha ribadito il conferenziere, proponendo il ricordo del suo compagno di studi don Lorenzo Milani: “Dopo aver incontrato il Signore, si ‘ingozzò’ letteralmente di Vangelo e di Cristo. Quel ragazzo partì subito per l’Assoluto, senza vie di mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo”.

L’arcivescovo emerito di Firenze cardinale Silvano Piovanelli

La grandezza della liturgia nella vita del prete è stata anche illuminata da un gustoso ricordo della vita dello stesso card. Piovanelli: “Mia madre, il giorno in cui sono tornato da Roma dopo aver ricevuto la berretta cardinalizia e sono stato accolto festosamente in cattedrale, ad una ragazza che volle complimentarla dicendole: ‘Sarà contenta, signora, nel vedere suo figlio tutto vestito di rosso!’, rispose: ‘0 nina, sono stata contenta quando l’ho visto salire l’altare. Le altre cose dopo, credilo, sono tutte preoccupazioni’”.

Ciò che nella messa nutre in particolare la spiritualità del prete è la consacrazione e la comunione. Il Cardinale ha esortato ogni celebrante a far sua questa aspirazione: “Rispecchia il dono che Gesù fa di se stesso agli uomini e diventa anche tu pane che si fa mangiare e vino che viene generosamente versato”. Questo si concretizza “annunciando agli altri il Vangelo con la compagnia, la condivisione, il dono di sé”. Una serata davvero preziosa, che ha aperto “alla grande” queste celebrazioni.

Il centenario: gli appuntamenti

VEGLIA DI PREGHIERA

Dopo l’incontro con il card. Silvano Piovanelli è stata organizzata una veglia di preghiera per chiedere al Signore il dono di nuove e sante vocazioni alla vita sacerdotale per la nostra Umbria. La veglia era animata dai seminaristi nella chiesa di San Nicolò giovedì 29 novembre a partire dalle ore 21.

CONCERTO D’ORGANO

Venerdì 30 novembre è in programma un concerto d’organo del maestro don Gerardo Balbi, sacerdote e musicista non vedente della diocesi di Gubbio, che assieme alla bellezza della sua musica poterà anche la sua testimonianza sacerdotale. Sarà anche l’occasione per inaugurare l’organo della cappella del Seminario dopo il recente restauro ed ampliamento.

LUNEDÌ 3 DICEMBRE MESSA DEL CENTENARIO

Sono attesi ex alunni e amici il 3 dicembre alle ore 10 per la celebrazione eucaristica del Centenario presso la basilica di Santa Maria degli Angeli. Celebreranno il card. Ennio Antonelli e il card. Giuseppe Betori, ex alunni del Seminario, e tanti vescovi e sacerdoti che hanno vissuto gli anni della formazione nel Seminario delle diocesi umbre. Sono ovviamente invitati anche tutti gli ex alunni laici.

RIVISTA DEI 100 ANNI

Al termine della messa tutti sono attesi in Seminario per un rinfresco insieme. Sarà l’occasione per consegnare il primo numero della nuova serie della rivista Cor Unum.

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I cattolici in politica e le sfide dei nostri tempi https://www.lavoce.it/i-cattolici-in-politica-e-le-sfide-dei-nostri-tempi/ Thu, 23 Feb 2012 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=884 Come già la volta scorsa, il secondo incontro della Scuola della Parola prende avvio con una lectio biblica tenuta da mons. Nazzareno Marconi, rettore del Seminario regionale. Il brano scelto, dalla Lettera ai Romani (8,1-17), invita a riflettere sulla “identità regale del cristiano”; l’argomento che concorda appieno con la relazione della seconda parte, dopo cena. In particolare l’approfondimento si sofferma sul versetto 5: “Quelli infatti che vivono secondo la carne, tendono verso ciò che è carnale; quelli che invece vivono secondo lo spirito, tendono verso ciò che è spirituale”.I cristiani, afferma don Nazzareno, sono “figli”, e non servi, eredi per regnare come Gesù e non secondo regole del potere, cioè secondo la carne. Non c’è una gerarchia quando si parla di cristiani, e Dio non è al culmine di una piramide gerarchica. Bisogna partire dall’uomo nuovo: non un re che comanda, ma un Re che si mette a servizio.I cristiani sono chiamati ad uscire dalla logica di schiavitù e di morte, cioè dalla logica carnale (del mondo e quindi del potere) per incamminarsi verso una logica spirituale. Scegliere Cristo come modello deve diventare l’arma per regnare secondo la logica del servizio. L’impegno dei cristiani è per la costruzione di una società secondo la logica dello spirito, partendo dal proprio cuore. Si prosegue con l’adorazione eucaristica, la riflessione personale e le confessioni. Dopo cena, la relazione di Paolo Nepi, professore ordinario alla Università Roma 3 e delegato dell’Azione cattolica per la Toscana. Dopo una introduzione legata al Concilio Vaticano II, usando la metafora del “sentiero interrotto” – che non comporta pessimismo, ma apre ad una prospettiva di speranza – e qualche precisazione intorno alla Gaudium et spes, definita Costituzione pastorale, in grado di far misurare la Chiesa con le sfide del proprio tempo, il prof. Nepi è giunto al cuore del tema. La Gaudium et spes definisce in modo perentorio la natura della “missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa”, che “non è d’ordine politico, economico e sociale”, ma “d’ordine religioso”. È però altrettanto vero, ha affermato il relatore citando la Lettera a Diogneto, che la vita delle persone non si svolge solo sul terreno ecclesiale, ma anche su quello più vasto della società politica: da qui nasce la necessità della “mediazione” tra le due comunità, quella ecclesiale e quella politica, che il Concilio affida soprattutto ai laici illuminati. La Gaudium et spes mette al centro dello scenario non più gli “Stati sovrani”, ma la comunità politica, la società civile, soggetto detentore dei diritti e delle responsabilità politiche, e pertanto dei poteri distribuiti secondo il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale. Paolo Nepi ha quindi concluso che oggi, a partire dai comportamenti individuali dei politici più rappresentativi, si fa molta fatica a cogliere la “differenza cristiana”. Ha quindi suggerito all’Ac, oltre a quella tradizionale della formazione, due prospettive di impegno: il raccordo con altre esperienze, soprattutto a livello locale; la testimonianza e il gesto simbolico.“Il popolo di Dio, mosso dalla fede, per cui crede di essere condotto dallo Spirito santo del Signore che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio” (GS 11). Per un ampio approfondimento della conversazione svolta dal prof. Nepi è possibile accedere allo “Schema ragionato” – che lo stesso ci ha fatto pervenire – sul sito www.diocesiorvietoto-di.it. I prossimiIncontriProsegue il cammino formativo della Scuola della Parola promossa dall’Azione cattolica, nella casa diocesana di Spagliagrano, alla riscoperta della “missione” dei fedeli laici nella Chiesa e nel mondo, testimoni di Cristo, chiamati a vivere quotidianamente come “sacerdoti, re e profeti”. Il secondo appuntamento si è tenuto lo scorso sabato 18 febbraio. Di seguito le prossime date: 3 marzo (relatore don Luciano Avenati); 21 aprile (relatore Franco Miano, presidente nazionale Ac); 12 maggio (relatore Luigi Alici, ex presidente nazionale Ac).

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A scuola per diventare cristiani di nome e di fatto https://www.lavoce.it/a-scuola-per-diventare-cristiani-di-nome-e-di-fatto/ Wed, 22 Feb 2012 13:21:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=512 Dopo l’incontro propedeutico svoltosi in dicembre e la programmazione delle attività, sabato 14 gennaio, presso la casa diocesana di Spagliagrano di Todi, è ripartita la Scuola della Parola promossa dall’Azione cattolica di Orvieto-Todi. Questo primo incontro ha avuto inizio con la lectio biblica, curata da mons. Nazzareno Marconi, rettore del Seminario regionale umbro, sul tema “Cristiani di nome e di fatto: verso la piena maturità di Cristo” (Ef 4,7-16).
Dopo la proclamazione della Parola, don Nazzareno ha posto in risalto il concetto fondamentale che è alla base del testo paolino proclamato: l’edificazione della Chiesa corre di pari passo con la maturazione spirituale ed umana dei credenti. La fede cristiana è chiamata alla crescita e la comunità cristiana è l’ambiente favorevole alla maturazione globale dei suoi membri. Il brano giovanneo – ha ricordato don Nazzareno – che caratterizza il rapporto tra noi e Gesù come quello tra pastore e pecore illumina la visione della fede e della sua maturazione.
“Il pastore le chiama per nome”. La nostra fede è possibile solo così: come risposta ad una chiamata. Noi possiamo credere perché chiamati da Lui. La fede non è quindi un fare qualcosa per Dio, ma un ascoltare la sua chiamata, una risposta a qualcuno che per primo chiama per nome la nostra vita. Ci chiama perché ci conosce, conosce il nostro vero volto, la nostra vera identità e ci chiede di affidarci a Lui. Guai se pensassimo – ha soggiunto – che la fede è una scelta nostra e basta, qualcosa che nasce da noi, o dalla tradizione perché qualcuno ci ha insegnato a fare così. La fede è una realtà viva che interpella gli uomini di ogni tempo della storia a “stare dentro” questa relazione con Dio che prende il volto del Suo Figlio Gesù. Credere allora è un seguire Gesù. Nella Parola e nell’esempio Gesù ci prende per mano, ci conduce nel cammino della vita: abbiamo il coraggio per questo confronto?
“Il pastore le conduce”. Non solo chiama, ma accompagna, conduce. Siamo chiamati ad essere parte viva di un unico corpo che si muove nella sintonia dell’amore del Figlio verso il Padre. Lui ci indica la tensione, Lui ci alimenta con la Sua linfa, Lui ci anima con la forza dello Spirito. È il confronto vivo della nostra vita con la Sua – ha detto don Nazzareno – che ci permette di continuare a crescere secondo la Sua volontà, nella riconciliazione, nella direzione spirituale, nella preghiera, nella carità.
Questo maturare nel confronto vivo con Lui in una costante crescita è una verità che deriva dall’esperienza del credente che vede la propria fede modificarsi, approfondirsi e maturare. Ma come matura l’uomo di fede? Matura seguendo la verità nell’amore, cresciamo in ogni cosa verso colui che è il Capo, cioè Cristo. Il compito dei credenti è di crescere verso Gesù Cristo; come il corpo umano nello sviluppo trova le giuste proporzioni, così il credente raggiunge, con la maturità di fede, le giuste proporzioni con il capo del corpo. Così non solo è maturato il credente, ma anche la comunità è stata edificata, in un tutt’uno.
Al termine della lectio e durante l’adorazione eucaristica è stato possibile confessarsi. Dopo una breve pausa per la cena al sacco, alle 20.30 sul tema generale scelto per quest’anno, la “Scoperta/riscoperta dell’impegno dei fedeli laici nella Chiesa e nel mondo”, ha svolto una interessantissima relazione ricca di stimoli il sociologo Luca Diotallevi dell’Università Roma 3, di cui daremo un resoconto nel prossimo numero de La Voce.

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Dal “triplice” Isaia a Gesù https://www.lavoce.it/dal-triplice-isaia-a-gesu-2/ Thu, 09 Feb 2012 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=850 Nonostante il perdurare delle avversità meteorologiche, a Collevalenza, nell’ambito delle celebrazioni per il 29° anniversario del transito di Madre Speranza, sabato 4 febbraio nel salone della Casa del Pellegrino mons. Nazzareno Marconi, rettore del Seminario regionale di Assisi – accolto da p. Aurelio Perez, superiore generale dei Figli dell’Amore Misericordioso – ha svolto una catechesi su “Mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri” (Is 61,2). Gesù nella sinagoga di Nazareth rivela ai suoi compaesani come abbia compreso la sua vocazione e la sua missione alla luce della Parola di Dio, e lo fa citando un bellissimo brano tratto dal profeta Isaia. Egli sente con chiarezza che ciò che il profeta dice, ciò in cui questo anonimo scrittore del post-esilio aveva riconosciuto la sua stessa vocazione e missione, si è di nuovo compiuto. Anzi in Gesù queste parole hanno raggiunto la loro definitiva pienezza. Lo ha detto mons. Marconi invitando ad approfondire il brano di Isaia, rileggendone le parole seguendo il loro cammino, cioè come si sono compiute nel profeta del 500 a.C. e poi come hanno raggiunto la loro pienezza definitiva in Gesù. “In particolare – ha sottolineato – ci interessano queste parole perché caratterizzano la vocazione di Gesù come quella dell’araldo, dell’annunciatore di una buona notizia ai miseri. Ma c’è ancora di più, il testo sintetizza anche qual è il cuore di questa buona notizia: è l’inizio di un tempo di particolare misericordia da parte di Dio”. Don Nazzareno, svolgendo attenta analisi esegetica del “secondo Isaia” che si riconosce “servo del signore”, ha posto in risalto come il “terzo Isaia”, autore dei tre poemi, si sente in continuità e vive di nuovo e più intensamente la stessa vocazione. Ancora di più lo fa Gesù, in maniera somma, e ci invita ad imitarlo seguendo le sue orme e quelle di questo grandi profeti dell’Antico Testamento. Il sacerdote e profeta del terzo Isaia si è sentito mandato al popolo con un incarico importante: sette incarichi che dice di aver ricevuto dallo Spirito. Ad ognuno corrisponde in qualche modo un dono, una comunicazione di forza spirituale. Il primo è quello di evangelizzatore: “Mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri”. Il secondo mandato è “fasciare le piaghe dei cuori spezzati”. Il terzo è “proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri”. Il quarto, che è anche centrale: “Mi ha mandato a promulgare l’anno di misericordia del Signore”. Il quinto mandato si concretizza nel “consolare tutti gli afflitti”. L’amore misericordioso non conosce confini o razze, si apre a tutto il mondo. Il sesto: “allietare gli afflitti di Sion”. Il settimo: “Mi ha mandato per dare loro una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, canto di lode invece di un cuore (alla lettera: uno spirito) mesto”. “È significativo – ha sottolineato don Nazzareno – vedere poi tutti questi incarichi, ad ognuno dei quali Gesù darà un compimento particolare, nell’ottica del compimento definitivo: l’inizio del tempo della misericordia. La pienezza della misericordia si compie quando tutte queste missioni sono compiute da Gesù ed attuate oggi dalla Chiesa, suo Mistico Corpo. Si può ben capire – ha concluso – che Gesù, dotato di una comprensione della Parola molto più profonda di quella che ho cercato di indicare io, abbia riconosciuto in questo testo di straordinaria bellezza la descrizione più perfetta della sua vocazione e missione”. Quattro nuovi sacerdoti SdfamAlle 17.30 del 4 febbraio, nella cripta del santuario, ove riposano le spoglie della venerabile Madre Speranza, p. Aurelio Perez, superiore generale Fam, ha presieduto una solenne concelebrazione eucaristica in cui ha avuto luogo il rito della professione perpetua di 4 sacerdoti diocesani che, avendo completato il periodo di formazione, sono entrati a far parte della congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. I Sdfam (Sacerdoti diocesani Figli dell’Amore Misericordioso) sono chierici diocesani consacrati che, senza mutare la loro condizione canonica, si uniscono, in quanto singoli, alla congregazione dei Fam mediante la professione dei consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza e partecipano alla vita comune. Sono chiamati ad annunciare la pienezza della bontà di Dio, il quale ama tutti i suoi figli e li vuole rendere felici: per questo in Gesù Cristo si è rivelato ricco di amore e di misericordia, affinché l’uomo, anche il più malvagio e peccatore, non temesse di tornare pentito alla casa del Padre per esservi di nuovo accolto in qualità di figlio. Essi, attraverso la pratica della vita comune, animata dalla carità, attestano il valore dell’intima fraternità sacerdotale che unisce i ministri sacri e si pongono in condizione di superare più facilmente i pericoli dell’isolamento.

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Lo “stile” fa la differenza https://www.lavoce.it/lo-stile-fa-la-differenza/ Fri, 22 Oct 2010 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8827 Mentre la politica fa fatica a combattere la povertà, per le strade del mondo si muovono samaritani, persone semplici, famiglie, associazioni che con le loro scelte quotidiane, con il loro stile di vita, rendono concreto l’appello dell’Anno europeo “Zero poverty agisci ora”. I “samaritani” sono anche tra noi, tra le case e le vie delle città e paesi dell’Umbria, e alcune esperienze sono state presentate al convegno regionale delle Caritas dell’Umbria, il 9 ottobre scorso. Nel pomeriggio le risposte della chiesa hanno reso possibile vedere che al di là della campagna “Zero povertà” c’è un impegno, una vita spesa per una carità capace di andare oltre gli slogan e di agganciarsi alla quotidianità attraverso proposte diverse.

Oltre al fondo di solidarietà che ha accompagnato le 8 chiese nel dare una risposta alle famiglie colpite dalla crisi economica, sono emerse le testimonianze su stili educativi capaci di andare incontro alla povertà con speranza, confidando in Dio più che sui potenti, proprio come aveva ricordato mons. Nazzareno Marconi nella meditazione biblica della mattina. Da Assisi è stata portata l’esperienza del Gruppo di acquisto solidale (Gas) tra famiglie, promosso dal “Circolo dell’amicizia” della Caritas diocesana. L’idea è “costruire un futuro di solidarietà e giustizia” attraverso l’acquisto direttamente da produttori che rispettano alcuni requisiti quali il rispetto per la persona (il lavoratore) e per l’ambiente. A Perugia un gruppo di famiglie hanno deciso di mettere in comune “la decima” parte dello stipendio (chi può anche più e chi non può anche meno). Da due anni sono fedeli all’impegno mensile che si sono assunti accogliendo l’invito dei Vescovi umbri a riprendere questa antica tradizione in solidarietà con le famiglie colpite dalla crisi.

E sono sempre famiglie a dare vita alla “comunità di tipo familiare” di Passignano sul Trasimeno impegnata a tempo pieno nell’accoglienza di bambini in affido. A Foligno con la “Bibliomediateca multilingue” ai giovani è proposto uno stile di vita aperto alle persone di altre culture e religioni che vivono nelle nostre città, spesso emarginati e guardati con sospetto. A Terni è nato il “Gruppo delle famiglie solidali” che hanno scelto di essere “insieme” aperti e accoglienti verso i poveri, i senza dimora, i disagiati. In 6 anni di esperienza hanno aperto due case di accoglienza (una per uomini e una per donne) e una comunità residenziale. Famiglie protagoniste anche a Gubbio. Dopo essere stati alcuni anni in Perù una missione dell’Operazione Mato Grosso una famiglia, ora con ciqnue figli, ha coinvolto altre dieci famiglie nell’“Oratorio familiare”, un’esperienza di educazione alla solidarietà e ad uno stile di vita fatto di semplicità e condivisione. Hanno coinvolto altre 200 famiglie nell’iniziativa “1 kg al giorno” con la quale riescono a spedire in Perù tre o quattro container di cibo l’anno. Nuovi stili di vita solidali sono queli proposti a Città di Castello dai soci della “Altotevere senza frontiere Onlus” nata dal desiderio di alcuni giovani di continuare il lavoro svolto a L’Aquila nel 2009 e andare oltre: a Castello come in Kossovo nella missione della Caritas Umbria. Da Spoleto sono state presentate le testimonianze sulle esperienze formative nelle Case regionali della Carità e da Orvieto nelle case famiglia e comunità giovani cristiani.

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Idee e proposte per lavorare insieme https://www.lavoce.it/idee-e-proposte-per-lavorare-insieme/ Thu, 18 Mar 2010 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8316 La presente sintesi, che riporta alcuni degli interventi svolti durante il seminario di studio “La Chiesa umbra: oggi e domani”, è il frutto di una rielaborazione volta a riportare i contenuti essenziali di quanto esposto dai relatori. Non hanno la pretesa di essere esaustivi della ricchezza di quanto è emerso dall’incontro, quanto piuttosto di sottolineare gli aspetti che ci sono sembrati più adatti a promuovere una riflessione. Con questo auspicio li proponiamo ai nostri lettori. Non è escluso che si possano riportare nei prossimi numeri degli interventi di coloro che erano presenti e anche di chi, non avendo partecipato all’incontro, volesse dire la sua sulle questioni che in questo “speciale” sono trattate. L’importanza, infatti, di quello che i vescovi umbri hanno proposto non è finalizzato solo ad ottenere risposte meditate e proposte fattibili nella concreta azione pastorale unitaria della regione ecclesiastica umbra, quanto ancor più di dinamizzare la comunità intera facendola esercitare nella riflessione facendola sentir coinvolta con le sorti della Chiesa e della società. Mettersi in gioco, sentire responsabilità e passione per la Chiesa, la sua unità, la sua capacità di parlare agli uomini e alle donne di oggi, avere un peso specifico nella società di essere riconosciuta come portatrice di speranza, tutto questo fa crescere le persone e l’intera comunità. Questo è quanto direttamente o indirettamente vuole, realizzare l’iniziativa svolta ad Assisi. Ha rotto il ghiaccio, come si dice, con un primo intervento Carlo Salciarini dell’Azione cattolica di Gubbio, che ha ricordato la definizione di Chiesa come “popolo in cammino” ed ha marcato la carenza di promozione del laicato, considerato come supplenza alla gerarchia. Quando si dice ai laici “datevi da fare perché mancano i preti, io mi sento offeso e umiliato”. Ha detto anche di non condividere le messe riservate a qualche gruppo o movimento, perché rischiano di dividere il popolo di Dio. Un’immediata risposta a Salciarini è venuta da Stefano Ragnacci, della comunità Magnificat. Egli ha detto che i movimenti sono una realtà ecclesiale che vale la pena di studiare e conoscere. Le parrocchie hanno il fiato corto e lui le conosce bene perché vi è vissuto ed ha avuto anche uno zio sacerdote morto prematuramente. Perciò non ha pregiudizi nei confronti delle parrocchie che per riprendere vitalità devono servirsi dell’animazione dei movimenti stessi Su una linea simile si è mosso l’intervento di Giuseppe Capaccioni, responsabile Comunione e Liberazione, che ha iniziato il suo intervento citando Dostoevskij: “Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, credere proprio, alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?”. E sottolinea la necessità di riscoprire le ragioni profonde dell’adesione di ciascuno alla fede cristiana. Lo stupore e la coscienza di quanto il Mistero fa accadere in mezzo a noi è, prima di qualsiasi analisi o progetto, il punto di partenza per portare la speranza cristiana nel mondo. La Chiesa umbra è ricca di tali testimoni, in tutti gli ambiti della società. In questa ottica appare fuorviante la contrapposizione che alcuni vorrebbero vedere tra movimenti e parrocchie: la Chiesa è una, e raggiunge ciascuno attraverso i diversi carismi che lo Spirito suscita al suo interno. Bellissimo ed efficace è stato l’intervento del professore universitario di grande prestigio Pierluigi Grasselli il quale ha fermato efficacemente l’attenzione sul bene comune, inteso in senso ampio. Il Bene comune è un bene relazionale, alla realizzazione del quale tutti concorrono e dal quale tutti traggono beneficio. Tutti i principi della dottrina sociale cristiana convergono nella definizione del Bene comune. Ripensare il programmazione pastorale sotto questo aspetto può essere risolutivo, sia sul versante della Chiesa che su quello della società civile e aiuta a sciogliere quei nodi che talvolta sembrano troppo stretti. Mons. Franco Sgoluppi, vicario della diocesi di Città di Castello, a sua volta si è detto disposto a ritornare in campo nela dimensione della pastorale regionale, purché non sia… un “fuoco di paglia” (come ha suggerito, con humor, mons. Paglia). Ha indicato come prima esigenza quella di “ritrovarci insieme a pensare”. Ha ricordato a questo proposito ina lettera del Consiglio presbiterale regionale del 1999 in cui si proponeva di scambiarsi dei servizi pastorali secondo un principio di complementarietà e di comunione. L’intervento di don Luciano Avenati è stato complesso e stimolante, difficile da sintetizzarsi. In poche parole possiamo dire che ha lamentato la poca aderenza al Concilio della Chiesa che si trova a vivere in Umbria. È arrivato a dire che oggi nella mentalità del mondo ecclesiale regionale, e oltre, sembra che sia attuale e moderno ciò che apparteneva all’antica tradizione e sembra vecchio e invecchiato quanto definito dal Concilio Vaticano II. Ha avuto parole di difesa della parrocchia, che alcuni vorrebbero relegare tra le cose vecchie e sorpassate a favore dei movimenti, che secondo lui non possono avere il monopolio della pastorale. Ha fatto anche proposte operative molto concrete come l’indicazione di uno o due centri diocesani spiritualità che siano di supporto alle parrocchie, sottolineando “diocesani”. A questo proposito, saltando altri interventi, ci sembra giusto riportare quanto detto dal rettore del seminario regionale mons. Nazzareno Marconi, il quale ha difeso i movimenti affermando che devono essere considerati come gli ordini religiosi del medioevo che hanno portato vitalità e slancio nuovo alla Chiesa fino a i nostri giorni. “Pensate cosa sarebbe l’Umbria senza i francescani!”, ha detto, aggiungendo una sottolineatura del fatto che anche il mondo cambia e noi siamo preti e laici del secolo scorso. Mentre il mondo cambia sotto i nostri occhi, non abbiamo il diritto di scomunicarci a vicenda. I preti futuri vengono dai movimenti e saranno preti di questo secolo e non di quello trascorso. Un intervento suggestivo, secondo lo stile a lui proprio, è stato quello di don Angelo Fanucci, l’assiduo estensore della rubrica, ironicamente titolata “Abat jour”, che ha lamentato la diminuzione dei servizi sociali ed ha tenuto a fare la distinzione tra Chiesa e Regno di Dio. La Chiesa è anticipazione, preparazione, del Regno. Ha poi messo in successione progressiva lo Stato assoluto, lo Stato democratico e infine lo Stato sociale. Non si è capito bene cosa intendesse dire precisamente, ma l’allusione ad un avvicinamento verso il regno che si realizza anche fuori della Chiesa nell’apertura versoi poveri, sembra plausibile.Su questo terreno si è mosso anche mons. Elio bromuri, quando ha citato Benedetto XVI che a sua volta aveva citato san Bonavetura, secondo il quale le chiese “deficiunt sed proficiunt”, in conseguenza del seme che cresce e si sviluppa sia che tu vegli sia che tu dorma, come dice il Vangelo. Ciò nonostante e qundi con la serenità che ci viene dalla fede possiamo mettere in campo tutte le nostre risorse di mente e di cuore per lavorare nella vigna del Signore. Nel suo intervento, Lucio Conti vice presidente della Azione cattolica di Terni, ha lamentato la tendenza a lavorare da soli mentre si deve prendere lo stile del lavorare insiemeUn intervento di grande spessore e passione è stao fatto dall’avvocato Nicola Molè che ha invitato a riflettere su quale comunità cristiana noi puntiamo l’attenzione. Ha criticato forme sbrigative e superficiali di affrontare le cose di Dio e della Chiesa, asserendo che vi sono anche degli abbandoni silenziosi che dovrebbero far pensare. Rievocando esperienze passate di Azione cattolica in cui Molè è stato protagonista per molti anni ha perorato la causa della formazione permanente del laicato perché possa inserirsi consapevolmente e responsabilmente nella vita della Chiesa. Non è mancato il baldanzoso intervento del giovane che opera nella Chiesa e nella società in prima persona e con idee precise, con pronta determinazione, persino entusiastica, di impegno. Non ha detto il suo nome, per tutti era il giovane. Si chiama Diego Catanossi ha 24 anni ed è di Spoleto. Ha provocatoriamente fatto alcune domande e dato risposte fuori da schemi preconfezionati suscitando interesse nell’assemblea. Ha detto che mancano i maestri, mancano i testimoni, basta con il passato, guardiamo al futuro ed ha finito con il dire che le utopie che sono il “non luogo” possono dare senso ai “luoghi” volendo invitare al coraggio nell’affrontare il futuro e nutrire la speranza nei giovani, che non vanno delusi. Sono intervenuti anche Antonio Nizzi e Vittorio Peri con significativi contributi che sono riportati in altra pagine del giornale.

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