musulmani Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/musulmani/ Settimanale di informazione regionale Thu, 21 Mar 2024 12:02:35 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg musulmani Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/musulmani/ 32 32 Un giorno di festa per la fine del Ramadan https://www.lavoce.it/giorno-festa-fine-ramadan/ https://www.lavoce.it/giorno-festa-fine-ramadan/#respond Thu, 21 Mar 2024 12:02:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75416

Il consiglio di istituto di una scuola statale in Lombardia ha deciso che sarà giorno di vacanza il prossimo 10 aprile, per la ricorrenza della fine del Ramadan, il mese di digiuno e preghiera dei musulmani.

Circa la metà degli studenti sono di famiglia musulmana e starebbero a casa comunque; allora, ha pensato il preside, tanto vale mettere in vacanza tutti per un giorno, visto che l’autonomia scolastica lo consente. Il Ministro dell’Istruzione – che non ha il potere di impedirlo – lo ha severamente criticato.

Ma quella decisione è legittima? La risposta è sì; per le stesse ragioni per le quali una ventina di anni fa il Tar dell’Umbria rigettò il ricorso presentato contro una scuola di Corciano che su richiesta di molti studenti e delle loro famiglie aveva autorizzato la sospensione delle lezioni (per pochi minuti) per consentire lo svolgimento della benedizione pasquale.

Quella benedizione, dissero i giudici, si poteva fare perché non era offensiva per nessuno, non provocava sconquassi nella vita della scuola; e perché era stato precisato che tutti sarebbero stati liberi di scegliere se partecipare o no. I giudici aggiunsero che se in altre occasioni avessero fatto richieste simili i fedeli di altre confessioni, ovviamente la risposta sarebbe stata la stessa. Perché la Costituzione italiana riconosce non solo la libertà di religione, ma anche l’uguale diritto di praticare pubblicamente i culti, nel rispetto dei diritti altrui.

Ora si stima che in Italia ci siano circa due milioni e mezzo di musulmani, sia pure divisi fra diverse tendenze; l’Islam è la confessione più diffusa, dopo quella cattolica, e lo Stato non può negare ai suoi seguaci le libertà previste dalla costituzione, compresa quella di avere i propri luoghi pubblici di culto (molte autorità locali, per esempio in Lombardia cercano di opporsi, ma è illegale).

Ai seguaci di altre religioni (ebrei, avventisti) è concesso per legge di considerare festivi, a tutti gli effetti, i giorni previsti come tali dal loro calendario; ai musulmani questo non è ancora concesso, ma solo perché, per ragioni tecniche, non si è ancora conclusa la “intesa” prevista dall’art. 8 della Costituzione. Ma al di sopra dei sofismi legali, c’è il fatto che, piaccia o no, viviamo ora in una società multiculturale e multietnica, e dobbiamo accettarlo nel rispetto di tutti verso tutti.

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Il consiglio di istituto di una scuola statale in Lombardia ha deciso che sarà giorno di vacanza il prossimo 10 aprile, per la ricorrenza della fine del Ramadan, il mese di digiuno e preghiera dei musulmani.

Circa la metà degli studenti sono di famiglia musulmana e starebbero a casa comunque; allora, ha pensato il preside, tanto vale mettere in vacanza tutti per un giorno, visto che l’autonomia scolastica lo consente. Il Ministro dell’Istruzione – che non ha il potere di impedirlo – lo ha severamente criticato.

Ma quella decisione è legittima? La risposta è sì; per le stesse ragioni per le quali una ventina di anni fa il Tar dell’Umbria rigettò il ricorso presentato contro una scuola di Corciano che su richiesta di molti studenti e delle loro famiglie aveva autorizzato la sospensione delle lezioni (per pochi minuti) per consentire lo svolgimento della benedizione pasquale.

Quella benedizione, dissero i giudici, si poteva fare perché non era offensiva per nessuno, non provocava sconquassi nella vita della scuola; e perché era stato precisato che tutti sarebbero stati liberi di scegliere se partecipare o no. I giudici aggiunsero che se in altre occasioni avessero fatto richieste simili i fedeli di altre confessioni, ovviamente la risposta sarebbe stata la stessa. Perché la Costituzione italiana riconosce non solo la libertà di religione, ma anche l’uguale diritto di praticare pubblicamente i culti, nel rispetto dei diritti altrui.

Ora si stima che in Italia ci siano circa due milioni e mezzo di musulmani, sia pure divisi fra diverse tendenze; l’Islam è la confessione più diffusa, dopo quella cattolica, e lo Stato non può negare ai suoi seguaci le libertà previste dalla costituzione, compresa quella di avere i propri luoghi pubblici di culto (molte autorità locali, per esempio in Lombardia cercano di opporsi, ma è illegale).

Ai seguaci di altre religioni (ebrei, avventisti) è concesso per legge di considerare festivi, a tutti gli effetti, i giorni previsti come tali dal loro calendario; ai musulmani questo non è ancora concesso, ma solo perché, per ragioni tecniche, non si è ancora conclusa la “intesa” prevista dall’art. 8 della Costituzione. Ma al di sopra dei sofismi legali, c’è il fatto che, piaccia o no, viviamo ora in una società multiculturale e multietnica, e dobbiamo accettarlo nel rispetto di tutti verso tutti.

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Il card. Ayuso invitato all’ateneo musulmano https://www.lavoce.it/il-card-ayuso-invitato-allateneo-musulmano/ Thu, 09 Dec 2021 07:08:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=63896 Un primo piano del cardinale

Il dialogo e l’incontro tra cristiani e musulmani non fa più notizia. E di per sé, questa sarebbe una “buona notizia”. Ma crediamo sia bene far conoscere i passi che preparano la pace del presente e del futuro, i gesti che fanno crescere una cultura della comprensione reciproca e dell’intesa a favore della fraternità. Il card. Miguel Ángel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e dell’Higher Committee of Human Fraternity (Comitato superiore per la fratellanza umana), ha risposto all’invito del prof. Muhammad Hussein Al-Mahrasawy, presidente dell’Università di Al-Azhar (Il Cairo) e il 4 dicembre ha visitato la comunità accademica. “La fratellanza è una pianta che sta crescendo e perciò va innaffiata ogni giorno perché produca i suoi abbondanti frutti” ha detto. D’altra parte sono passati 800 anni dall’incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano Malik al-Kamil. E il cardinale Ayuso ha aggiunto: “Dobbiamo essere grati sia a san Francesco, che ha avuto l’ispirazione e il coraggio di incontrare il sultano, sia a Malik al-Kamil per la sua apertura e accoglienza”. Ora tocca a tutte le Chiese locali - aggiungiamo noi - promuovere occasioni di incontro, dialogo, preghiera, amicizia e azione comune]]>
Un primo piano del cardinale

Il dialogo e l’incontro tra cristiani e musulmani non fa più notizia. E di per sé, questa sarebbe una “buona notizia”. Ma crediamo sia bene far conoscere i passi che preparano la pace del presente e del futuro, i gesti che fanno crescere una cultura della comprensione reciproca e dell’intesa a favore della fraternità. Il card. Miguel Ángel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e dell’Higher Committee of Human Fraternity (Comitato superiore per la fratellanza umana), ha risposto all’invito del prof. Muhammad Hussein Al-Mahrasawy, presidente dell’Università di Al-Azhar (Il Cairo) e il 4 dicembre ha visitato la comunità accademica. “La fratellanza è una pianta che sta crescendo e perciò va innaffiata ogni giorno perché produca i suoi abbondanti frutti” ha detto. D’altra parte sono passati 800 anni dall’incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano Malik al-Kamil. E il cardinale Ayuso ha aggiunto: “Dobbiamo essere grati sia a san Francesco, che ha avuto l’ispirazione e il coraggio di incontrare il sultano, sia a Malik al-Kamil per la sua apertura e accoglienza”. Ora tocca a tutte le Chiese locali - aggiungiamo noi - promuovere occasioni di incontro, dialogo, preghiera, amicizia e azione comune]]>
Ghada, focolarina di origini libanesi, racconta la situazione nel suo Paese https://www.lavoce.it/ghada-focolarina-libano/ Thu, 21 Mar 2019 10:48:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54230 Libano

Libano, terra in cui la convivenza tra popoli e religioni sarebbe facile... se tutto non congiurasse a renderla difficile. È l’impressione che si riceve ascoltando Ghada Karyoty, focolarina libanese - oggi residente nella comunità di Assisi - che nei giorni scorsi a Perugia è intervenuta all’incontro del lunedì presso il Centro ecumenico.

Tre le religioni presenti sul territorio del Paese mediorientale: cristiani, musulmani e i ‘misteriosi’ drusi. La legge determina in modo chiaro in che modo vadano ripartite le cariche istituzionali tra le diverse appartenenze religiose. Non sempre però funziona: “In Libano - racconta Ghada - è stato da poco creato un Governo dopo otto mesi di latitanza. Non riuscivano a mettersi d’accordo”.

La capacità delle religioni di vivere pacificamente le une accanto alle altre è un fiore all’occhiello del Paese, “tranne durante la guerra del 1978-1990, quando venne fomentato l’odio. Dopo la guerra, le varie religioni si erano stanziate in diverse aree della nazione, poi pian piano si sono rimescolate. Anche se rimane sempre un po’ di fuoco a covare sotto la cenere”.

In Libano il movimento dei Focolari conta una decina di consacrati, cinque uomini e cinque donne, più tutta una serie di famiglie, sacerdoti e anche vescovi “amici del Focolare”. “Come movimento - prosegue Karyoty - organizziamo incontri con gli sciiti più moderati, istruiti, aperti al dialogo. Durante i bombardamenti effettuati da Israele nel 2006 abbiamo accolto nella ‘Mariapoli’, nell’area montana fuori Beirut, un centinaio di rifugiati, tutti sciiti”.

La questione interreligiosa si annoda a quella dei profughi. In un Paese di soli 4 milioni di abitanti, sono presenti mezzo milione di palestinesi, sfollati al tempo della creazione dello Stato di Israele (1948), e un milione e mezzo di persone fuggite dalle guerre in corso, soprattutto dalla Siria (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

Dario Rivarossa

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Libano

Libano, terra in cui la convivenza tra popoli e religioni sarebbe facile... se tutto non congiurasse a renderla difficile. È l’impressione che si riceve ascoltando Ghada Karyoty, focolarina libanese - oggi residente nella comunità di Assisi - che nei giorni scorsi a Perugia è intervenuta all’incontro del lunedì presso il Centro ecumenico.

Tre le religioni presenti sul territorio del Paese mediorientale: cristiani, musulmani e i ‘misteriosi’ drusi. La legge determina in modo chiaro in che modo vadano ripartite le cariche istituzionali tra le diverse appartenenze religiose. Non sempre però funziona: “In Libano - racconta Ghada - è stato da poco creato un Governo dopo otto mesi di latitanza. Non riuscivano a mettersi d’accordo”.

La capacità delle religioni di vivere pacificamente le une accanto alle altre è un fiore all’occhiello del Paese, “tranne durante la guerra del 1978-1990, quando venne fomentato l’odio. Dopo la guerra, le varie religioni si erano stanziate in diverse aree della nazione, poi pian piano si sono rimescolate. Anche se rimane sempre un po’ di fuoco a covare sotto la cenere”.

In Libano il movimento dei Focolari conta una decina di consacrati, cinque uomini e cinque donne, più tutta una serie di famiglie, sacerdoti e anche vescovi “amici del Focolare”. “Come movimento - prosegue Karyoty - organizziamo incontri con gli sciiti più moderati, istruiti, aperti al dialogo. Durante i bombardamenti effettuati da Israele nel 2006 abbiamo accolto nella ‘Mariapoli’, nell’area montana fuori Beirut, un centinaio di rifugiati, tutti sciiti”.

La questione interreligiosa si annoda a quella dei profughi. In un Paese di soli 4 milioni di abitanti, sono presenti mezzo milione di palestinesi, sfollati al tempo della creazione dello Stato di Israele (1948), e un milione e mezzo di persone fuggite dalle guerre in corso, soprattutto dalla Siria (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

Dario Rivarossa

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Documento di Abu Dhabi. Pietra miliare, non solo per cristiani e musulmani https://www.lavoce.it/documento-abu-dhabi-cristiani-musulmani/ Wed, 13 Mar 2019 13:48:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54176 Dhabi

Il Documento sulla fraternità umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato congiuntamente ad Abu Dhabi il 4 febbraio da Papa Francesco e Ahmad Al-Tayyeb, Grande imam di Al-Azhar, è senza dubbio una pietra miliare nelle relazioni tra cattolici e musulmani (vedi anche Documento di Assisi).

Ma forse, detta così, non dice della portata storica, della profondità teologica e umana e del radicale cambiamento che esso tende a promuovere. È necessario definirne il contesto storico e geografico nel quale il Documento nasce e matura. Nasce nel tempo in cui sembra prevalere lo “scontro di civiltà”, su cui sono in tanti a gettare benzina per alimentare parole e pensieri di odio e di distorsione della verità con la presentazione mostruosa dell’altro.

Avviene così che la pluralità dei mondi islamici vengano assimilati all’estremismo fondamentalista, e la storia millenaria del cristianesimo venga presentata esclusivamente come eco di crociate antiche e moderne!

Per questo lo stesso Documento ammonisce: “La storia afferma che l’estremismo religioso e nazionale e l’intolleranza hanno prodotto nel mondo, sia in Occidente sia in Oriente, ciò che potrebbe essere chiamato i segnali di una ‘terza guerra mondiale a pezzi’, segnali che, in varie parti del mondo e in diverse condizioni tragiche, hanno iniziato a mostrare il loro volto crudele; situazioni di cui non si conosce con precisione quante vittime, vedove e orfani abbiano prodotto”.

Il contesto immediato è dato dalla prima visita di un Papa nella Penisola arabica, in un Paese difficilmente decifrabile per le nostre mentalità moderne e occidentali. Si tratta di una federazione con quasi 10 milioni di abitanti di oltre cento nazionalità diverse, tra cui moltissimi lavoratori filippini, indiani ma anche europei, e con una presenza di circa il 14% di cristiani. Un Paese in cui pochi sanno che gli “emiratini Doc” costituiscono una minoranza.

Ma l’attenzione del Pontefice alle relazioni con l’islam è tale che dall’inizio del suo pontificato abbiamo registrato le visite in Myanmar e Bangladesh, in Egitto, Azerbaigian, Repubblica Centrafricana. Inoltre l’amicizia, la frequentazione e la stima tra i due firmatari hanno contribuito a creare un clima di fiducia determinante per giungere ad assumere impegni tanto vincolanti (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

Tonio Dell’Olio

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Dhabi

Il Documento sulla fraternità umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato congiuntamente ad Abu Dhabi il 4 febbraio da Papa Francesco e Ahmad Al-Tayyeb, Grande imam di Al-Azhar, è senza dubbio una pietra miliare nelle relazioni tra cattolici e musulmani (vedi anche Documento di Assisi).

Ma forse, detta così, non dice della portata storica, della profondità teologica e umana e del radicale cambiamento che esso tende a promuovere. È necessario definirne il contesto storico e geografico nel quale il Documento nasce e matura. Nasce nel tempo in cui sembra prevalere lo “scontro di civiltà”, su cui sono in tanti a gettare benzina per alimentare parole e pensieri di odio e di distorsione della verità con la presentazione mostruosa dell’altro.

Avviene così che la pluralità dei mondi islamici vengano assimilati all’estremismo fondamentalista, e la storia millenaria del cristianesimo venga presentata esclusivamente come eco di crociate antiche e moderne!

Per questo lo stesso Documento ammonisce: “La storia afferma che l’estremismo religioso e nazionale e l’intolleranza hanno prodotto nel mondo, sia in Occidente sia in Oriente, ciò che potrebbe essere chiamato i segnali di una ‘terza guerra mondiale a pezzi’, segnali che, in varie parti del mondo e in diverse condizioni tragiche, hanno iniziato a mostrare il loro volto crudele; situazioni di cui non si conosce con precisione quante vittime, vedove e orfani abbiano prodotto”.

Il contesto immediato è dato dalla prima visita di un Papa nella Penisola arabica, in un Paese difficilmente decifrabile per le nostre mentalità moderne e occidentali. Si tratta di una federazione con quasi 10 milioni di abitanti di oltre cento nazionalità diverse, tra cui moltissimi lavoratori filippini, indiani ma anche europei, e con una presenza di circa il 14% di cristiani. Un Paese in cui pochi sanno che gli “emiratini Doc” costituiscono una minoranza.

Ma l’attenzione del Pontefice alle relazioni con l’islam è tale che dall’inizio del suo pontificato abbiamo registrato le visite in Myanmar e Bangladesh, in Egitto, Azerbaigian, Repubblica Centrafricana. Inoltre l’amicizia, la frequentazione e la stima tra i due firmatari hanno contribuito a creare un clima di fiducia determinante per giungere ad assumere impegni tanto vincolanti (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

Tonio Dell’Olio

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ll Papa negli Emirati Arabi Uniti. Un evento eccezionale per vari motivi https://www.lavoce.it/papa-emirati-arabi-uniti/ Thu, 07 Feb 2019 10:21:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53969 emirati

Eccezionale per tanti versi, la visita di Papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti svoltasi dal 3 al 5 febbraio. Il primo Pontefice a mettere piede nella Penisola arabica, proprio nell’ottavo centenario dell’incontro (avvenuto però in Egitto) tra san Francesco e il sultano Malik al-Kamil. Una liturgia celebrata in pubblico, in un Paese musulmano, di fronte a 120-130 mila persone, tra cui 4.000 fedeli del Corano.

[caption id="attachment_53972" align="aligncenter" width="640"]emirati Il Papa celebra la messa presso la Zayed Sports City[/caption]

E ancora, la firma del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, tra il Papa e il Grande imam dell’università di Al-Azhar (al Cairo), principale centro di formazione dell’islam sunnita. Ma non basta, perché, anche se Al-Azhar ‘parla’ a nome dell’islam sunnita, erano presenti anche gli sciiti tra i 700 leader che, ad Abu Dhabi, hanno partecipato all’Incontro interreligioso sulla fratellanza umana organizzata dal Muslim Council of Elders (Consiglio islamico degli anziani).

[caption id="attachment_53971" align="aligncenter" width="755"]emirati La firma del documento sulla fratellanza[/caption]

“Seguire la via di Gesù - ha detto il Papa all’omelia della messa non significa stare sempre allegri. Chi è afflitto, chi patisce ingiustizie, chi si prodiga per essere operatore di pace sa che cosa significa soffrire. Per voi non è certo facile vivere lontani da casa e sentire magari, oltre alla mancanza degli affetti più cari, l’incertezza del futuro. Ma il Signore è fedele e non abbandona i suoi...

Quando Gesù ci ha detto come vivere, non ha chiesto di innalzare grandi opere o di segnalarci compiendo gesta straordinarie. Ci ha chiesto di realizzare una sola opera d’arte, possibile a tutti: quella della nostra vita... Vi auguro di essere così, ben radicati in Cristo, in Gesù, e pronti a fare del bene a chiunque vi sta vicino. Le vostre comunità siano oasi di pace”.

Commentando la messa, padre Francesco Patton, custode di Terra Santa, l’ha definita un segno di “grande apertura, e sintomo che qualcosa sta cambiando. Questa messa, con la partecipazione di decine di migliaia di cattolici, avrà un’enorme risonanza in tutta la Penisola arabica, dove ci sono in totale qualcosa come tre milioni di cattolici, tutti lavoratori stranieri da diversi Paesi asiatici, come India, Pakistan e Filippine, e ricchi di grande fede. Credo che sia anche un segno di quella ‘reciprocità’ che tante volte abbiamo invocato - qualche volta per difenderci - e che adesso comincia a essere accolta”.

Tra i commenti più positivi da parte del mondo musulmano, spicca quello del giovane studioso algerino Kamel Abderrahmani: “Sono meravigliato dalla bellezza e sincerità delle proposte fatte. Dopo questa visita, alle istituzioni musulmane non resterà nulla da dire sulla violenza che si compie in nome dell’islam, se non scomunicare in modo diretto e imperativo i fabbricanti di morte.

Non siamo più nel Medioevo, e i Governi occidentali non sono la Chiesa cattolica. Il che significa che nell’ambiente moderno non vi è alcuna crociata nel nome della fede cristiana. Papa Francesco ha teso le braccia ai musulmani, offerto fraternità, amore e pace, ed essi non dovrebbero rifiutare questa occasione per costruire ponti di umanità insieme”.

Dario Rivarossa

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emirati

Eccezionale per tanti versi, la visita di Papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti svoltasi dal 3 al 5 febbraio. Il primo Pontefice a mettere piede nella Penisola arabica, proprio nell’ottavo centenario dell’incontro (avvenuto però in Egitto) tra san Francesco e il sultano Malik al-Kamil. Una liturgia celebrata in pubblico, in un Paese musulmano, di fronte a 120-130 mila persone, tra cui 4.000 fedeli del Corano.

[caption id="attachment_53972" align="aligncenter" width="640"]emirati Il Papa celebra la messa presso la Zayed Sports City[/caption]

E ancora, la firma del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, tra il Papa e il Grande imam dell’università di Al-Azhar (al Cairo), principale centro di formazione dell’islam sunnita. Ma non basta, perché, anche se Al-Azhar ‘parla’ a nome dell’islam sunnita, erano presenti anche gli sciiti tra i 700 leader che, ad Abu Dhabi, hanno partecipato all’Incontro interreligioso sulla fratellanza umana organizzata dal Muslim Council of Elders (Consiglio islamico degli anziani).

[caption id="attachment_53971" align="aligncenter" width="755"]emirati La firma del documento sulla fratellanza[/caption]

“Seguire la via di Gesù - ha detto il Papa all’omelia della messa non significa stare sempre allegri. Chi è afflitto, chi patisce ingiustizie, chi si prodiga per essere operatore di pace sa che cosa significa soffrire. Per voi non è certo facile vivere lontani da casa e sentire magari, oltre alla mancanza degli affetti più cari, l’incertezza del futuro. Ma il Signore è fedele e non abbandona i suoi...

Quando Gesù ci ha detto come vivere, non ha chiesto di innalzare grandi opere o di segnalarci compiendo gesta straordinarie. Ci ha chiesto di realizzare una sola opera d’arte, possibile a tutti: quella della nostra vita... Vi auguro di essere così, ben radicati in Cristo, in Gesù, e pronti a fare del bene a chiunque vi sta vicino. Le vostre comunità siano oasi di pace”.

Commentando la messa, padre Francesco Patton, custode di Terra Santa, l’ha definita un segno di “grande apertura, e sintomo che qualcosa sta cambiando. Questa messa, con la partecipazione di decine di migliaia di cattolici, avrà un’enorme risonanza in tutta la Penisola arabica, dove ci sono in totale qualcosa come tre milioni di cattolici, tutti lavoratori stranieri da diversi Paesi asiatici, come India, Pakistan e Filippine, e ricchi di grande fede. Credo che sia anche un segno di quella ‘reciprocità’ che tante volte abbiamo invocato - qualche volta per difenderci - e che adesso comincia a essere accolta”.

Tra i commenti più positivi da parte del mondo musulmano, spicca quello del giovane studioso algerino Kamel Abderrahmani: “Sono meravigliato dalla bellezza e sincerità delle proposte fatte. Dopo questa visita, alle istituzioni musulmane non resterà nulla da dire sulla violenza che si compie in nome dell’islam, se non scomunicare in modo diretto e imperativo i fabbricanti di morte.

Non siamo più nel Medioevo, e i Governi occidentali non sono la Chiesa cattolica. Il che significa che nell’ambiente moderno non vi è alcuna crociata nel nome della fede cristiana. Papa Francesco ha teso le braccia ai musulmani, offerto fraternità, amore e pace, ed essi non dovrebbero rifiutare questa occasione per costruire ponti di umanità insieme”.

Dario Rivarossa

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UMBERTIDE. Si riapre il dibattito sulla moschea https://www.lavoce.it/umbertide-dibattito-moschea/ Mon, 15 Oct 2018 10:00:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53135 moschea

Sul caso del Centro culturale islamico la Giunta comunale di Umbertide rilancia: “No alla moschea”. A commentare l’esito del parere “pro veritate” è il sindaco Luca Carizia, il quale precisa come l’Amministrazione abbia ritenuto fondamentale richiedere la consulenza ad uno studio legale per capire come, a livello tecnico e giuridico, ci si possa approcciare sulla questione.

L’esito rappresenta un punto di partenza perché indirizza verso un percorso assolutamente conforme alla legge e in sintonia con le competenze amministrative. Mossa che, qualora non venissero rispettati i termini della destinazione d’uso, potrebbe portare alla chiusura dell’immobile.

Carizia continua dicendo che “da parte mia, della Giunta, posso assicurare un impegno certosino nel vigilare che la struttura di via Madonna del Moro non venga trasformata in moschea”.

Tiene inoltre a precisare che, diversamente da quanto riportato nei titoli di alcuni quotidiani, l’Amministrazione comunale, anche durante l’ultima assise cittadina, non ha mai parlato di “moschea”, bensì di Centro culturale islamico. Sul quale si hanno delle forti perplessità relative all’utilizzo, alle dimensioni e, non ultimo, alla provenienza dei fondi.

Va ricordato, comunque, che dallo scorso 3 settembre, dopo lo sgombero della vecchia moschea di via Battisti, la numerosa comunità musulmana locale non ha un posto dove pregare. Come affermato dall’imam Chafiq El Oqayly in una lettera inviata al primo cittadino, mancherebbero ancora sei mesi per la fine definitiva dei lavori del nuovo Centro islamico. L’attenzione sul caso resta più alta che mai. Stiamo a vedere.

Fabrizio Ciocchetti

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moschea

Sul caso del Centro culturale islamico la Giunta comunale di Umbertide rilancia: “No alla moschea”. A commentare l’esito del parere “pro veritate” è il sindaco Luca Carizia, il quale precisa come l’Amministrazione abbia ritenuto fondamentale richiedere la consulenza ad uno studio legale per capire come, a livello tecnico e giuridico, ci si possa approcciare sulla questione.

L’esito rappresenta un punto di partenza perché indirizza verso un percorso assolutamente conforme alla legge e in sintonia con le competenze amministrative. Mossa che, qualora non venissero rispettati i termini della destinazione d’uso, potrebbe portare alla chiusura dell’immobile.

Carizia continua dicendo che “da parte mia, della Giunta, posso assicurare un impegno certosino nel vigilare che la struttura di via Madonna del Moro non venga trasformata in moschea”.

Tiene inoltre a precisare che, diversamente da quanto riportato nei titoli di alcuni quotidiani, l’Amministrazione comunale, anche durante l’ultima assise cittadina, non ha mai parlato di “moschea”, bensì di Centro culturale islamico. Sul quale si hanno delle forti perplessità relative all’utilizzo, alle dimensioni e, non ultimo, alla provenienza dei fondi.

Va ricordato, comunque, che dallo scorso 3 settembre, dopo lo sgombero della vecchia moschea di via Battisti, la numerosa comunità musulmana locale non ha un posto dove pregare. Come affermato dall’imam Chafiq El Oqayly in una lettera inviata al primo cittadino, mancherebbero ancora sei mesi per la fine definitiva dei lavori del nuovo Centro islamico. L’attenzione sul caso resta più alta che mai. Stiamo a vedere.

Fabrizio Ciocchetti

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Il Vangelo? Per gli italiani è uno sconosciuto https://www.lavoce.it/il-vangelo-per-gli-italiani-e-uno-sconosciuto/ Fri, 28 Oct 2016 16:21:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47770 Leggere-vangelo“Devota incompetenza”: è la formula coniata dal Censis per sintetizzare il rapporto degli italiani con il Vangelo, in genere ridotto ad un libro in bella mostra sugli scaffali di casa ma quasi mai degno di essere sfogliato. “Il Vangelo secondo gli italiani”, come recita il titolo del rapporto-ricerca presentato oggi a Roma, è un libro, insomma, da “comò”, la cui conoscenza si riduce a spigolature e reminiscenze catechistiche sulla vita di Cristo, anche per chi frequenta abitualmente i circuiti ecclesiali. Unica sorpresa in controtendenza: l’interesse suscitato tra i giovani.

“Circa l’80% degli italiani non ha dimestichezza col Vangelo”.  Così il curatore, Giulio De Rita, ha sintetizzato i risultati del rapporto, presentato presso la sede del Censis contestualmente all’opera “Vangeli nella cultura e nell’arte”, un’edizione di pregio a tiratura limitata dei Vangeli, realizzata dalla casa editrice Utet Grandi Opere. “Quasi il 70% degli italiani possiede una copia del Vangelo – tutti ce l’abbiamo nello scaffale di casa – ma di questi il 51% non lo apre mai”. Se si somma questa percentuale al 30% degli italiani che non possiede una copia del Vangelo, si arriva al dato dell’80%: ciò significa che il 20% degli italiani non legge mai il Vangelo, e di questi il 33% frequenta la Chiesa. Circa un terzo di coloro che vanno a Messa, insomma, non lo conosce.

Solo il 21% degli italiani, tuttavia, si mostra distaccato nei confronti del Vangelo: il 48% lo considera un testo fondamentale del nostro patrimonio culturale, il 31% se ne dice “toccato nell’animo”, ma poi il 44% non sa quanti sono gli evangelisti e l’11% non sa citarne a memoria il nome di almeno uno. In compenso, il 78% degli italiani dimostra di sapere che l’Ave Maria non è contenuta del Vangelo. Più che parole, il Vangelo evoca immagini: solo il 20% degli italiani è in grado infatti di citarne un versetto, ma il 66% ne ha in mente un’immagine, come quella dell’Ultima Cena o del Presepe.

La buona notizia, però, è che torna l’interesse dei giovani per il libro sacro: dal rapporto Censis risulta infatti che i giovani hanno più confidenza con il Vangelo delle persone di mezza età: il 70% ne possiede una copia, contro il 65% della generazione di mezzo. Si tratta, in particolare, di un interesse molto polarizzato, che va dalla “indifferenza informata” alla “attenzione informata”: la metà dei giovani che ne possiedono una copia ammettono di leggerlo, anche se non spesso, contro il 43% dei 30-50enni

“Far uscire il Vangelo fuori dagli scaffali e dai circuiti più scontati, per cercare di tramandarlo nei contesti in cui è più sorprendente, e quindi restituirlo come annuncio vivo, nuovo e sorprendente”. È il suggerimento di Marco Damilano, vicedirettore de L’Espresso, secondo il quale sul fronte cattolico occorre chiedersi “che frutti porta l’albero della formazione, dell’educazione che parte dalla catechesi, passa per l’ora di religione – il cui rifiuto di avvelarsene a scuola è cresciuto vertiginosamente negli ultimi anni, passando dal 6 al 12% – e interessa poi la formazione dei giovani adulti, le associazioni, i movimenti, i gruppi spirituali, tutti quelli che fanno informazione a vario titolo nel mondo cattolico, chi fa cultura, chi fa televisione…”. “Se lasciamo il Vangelo in un ghetto”, ha proseguito Damilano, la responsabilità è anche della “cultura laica”, “del mondo culturale in senso ampio”, che “ha perso dimestichezza con queste pagine e con quelle immagini”.

“Oggi viviamo in un mondo Occidentale che si sente fortemente minacciato”. È l’analisi di monsignor Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera del Duomo di Firenze e autore del volume “I Vangeli nella cultura e nell’arte”. “Anche le persone che vorrebbero relegare il Vangelo al passato – la tesi dell’esperto – cominciano a capire che, di fronte a nemici che ritengono di avere un’identità radicata in testi sacri letti in un certo modo, anche l’Occidente deve riscoprire non generiche radici, ma le radici di un umanesimo cristiano: un umanesimo di cui tutti siamo eredi, ma che ha bisogno di essere rimesso nelle sue giuste prospettive, come lampada e luce nel nostro cammino”. “A differenza degli ebrei e dei musulmani, noi non siamo una religione del libro”.

La provocazione è giunta da Giuseppe De Rita, presidente del Censis. “Se non partiamo da una cultura del libro, come fanno gli ebrei e i musulmani, noi cristiani andiamo in regressione”, la tesi del sociologo, secondo il quale “in una cultura politeista il Vangelo come libro è il riferimento della nostra identità non solo religiosa, ma culturale”. “All’interno di una cultura che ci bombarda di messaggi, perché non arrivano i messaggi evangelici?”, il secondo interrogativo posto dal relatore: “Oggi i messaggi che arrivano sono troppi, si sovrappongono, e il modo in cui un tweet mette in circuito un messaggio non è lo stesso con cui lo metteva in circuito un’ edicola”. Altro problema, la mediazione: “Prima la svolgeva un élite, oggi chi fa mediazione deve rincorrere disperatamente la notizia”. Cosa resta, allora? “La devozione”, ha spiegato il sociologo.

“Oggi in Italia c’è un astensionismo culturale”. Ne è convinto Fabio Lazzari, presidente Utet Grandi Opere. “Il 40% delle persone non legge neanche un libro l’anno – ha fatto notare l’esperto – e di questi il 27% sono astensionisti totali, che non hanno nessun rapporto con la cultura: non leggono libri, non vanno al teatro, al cinema, in un museo…”. “I cattolici mostrano un così grande rispetto nei confronti delle Sacre Scritture che se ne stanno il più lontano possibile”, ha chiosato Lazzari citando Claudel.

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Francesco in Africa: perché il popolo lo ha sentito vicino https://www.lavoce.it/francesco-in-africa-perche-il-popolo-lo-ha-sentito-vicino/ Sat, 05 Dec 2015 10:46:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44606 Apertura della Porta Santa nella Cattedrale di Bangui
Apertura della Porta Santa nella Cattedrale di Bangui

L’Africa sta vivendo un momento magico: cresce la fede, con milioni di battesimi ogni anno; le strade si moltiplicano, l’elettricità è portata anche in zone remote, l’acqua diventa più disponibile. Però non è tutto oro quello che luccica. I benefici sono ancora limitati al 30% della popolazione, l’altro 70% ha ancora a che fare con pane insufficiente, acqua non potabile, ospedali senza medicine e letti… Francesco, pur apprezzando il progresso raggiunto, si è decisamene schierato dalla parte dei poveri, che sono la maggioranza, con chiari richiami e indicazioni per i Governi, la politica, il mondo finanziario e le Chiese. Francesco ha cercato di convincerci che possiamo sognare un grande futuro se lavoreremo più assieme, se debelleremo i demoni del tribalismo e del fondamentalismo religioso che oppongono un gruppo umano a un altro, sempre fonte di violenza distruttrice. Francesco ci ha aiutato a debellare il pessimismo che spinge tanti africani a fuggire dal Continente, credendo che il paradiso si trovi altrove, magari in Europa! Ha cercato di convincerci che è possibile costruire una vita più dignitosa anche in Africa.

Il fascino della sua persona: umiltà, gioia, sincerità, speranza.

Perché Papa Francesco è così popolare in Africa? Quale dei suoi tratti personali colpisce di più? Qui siamo abituati a vedere il Presidente della Repubblica, ministri, cardinali e vescovi lontani dalla gente; sembra che, più si cresce nella carriera, più ci si debba distanziare dal popolo con grandi macchine, elicotteri, aerei personali, case lussuose… Francesco colpisce per la sua semplicità: di vestire, di presentarsi, di parlare, di portare la sua borsa, di andare dall’ottico a comprare gli occhiali. Assieme alla semplicità colpisce la sua l’umiltà di ammettere i limiti, saper chiedere scusa. Allo stadio Kasarani di Nairobi, di fronte a migliaia di giovani, ha bollato con parole di fuoco la corruzione che sottrae infinite risorse finanziarie allo sviluppo del Kenya; ma ha pure aggiunto: “Non è soltanto una sfida per voi in Kenya, ma anche per me in Vaticano”. Poi la sua insistenza sulla compassione e misericordia di Dio, che costituiscono il tema dell’Anno santo che Francesco ha aperto a Bangui, la capitale del Centrafrica, domenica 29 novembre. In Francesco vediamo il volto di Dio Padre che accoglie il figlio, che può aver sbagliato, ma senza umiliarlo per l’errore. Nell’Africa tradizionale la grandezza della persona è nella sua magnanimità, nella sua capacità di accogliere e fare posto a tutti attorno alla stessa tavola per godere assieme dello stesso cibo. I giornali, le televisioni, le radio lo hanno salutato milioni volte come il Papa della speranza, Papa del popolo, soprattutto dei più poveri. Tutti sono venuti alle celebrazioni da lui presiedute: cristiani, musulmani, indù. Tutti affermano: questo Papa è anche nostro perché rappresenta Dio nel quale anche noi crediamo! Lui prega per tutti, non solo per i cattolici! Infine, il coraggio. Obama qui a Nairobi si è mosso su un’auto super-blindata a prova di missile. Francesco ha detto di temere soltanto le zanzare. Un’ottima combinazione di grande sintonia con il popolo e di immensa fiducia in Dio!

La fede e l’impegno sociale per gli altri: la Chiesa, attore religioso e sociale

Il Papa cerca di ripulire la Chiesa da una religione unilateralmente incentrata sui riti liturgici e preghiere intimiste che poi non aprono il cuore al perdono, alla solidarietà, alla collaborazione, all’accoglienza. Francesco ama ripetere: la preghiera che non conduce a un impegno pratico per gli altri, per il tuo fratello più povero, malato, che ha bisogno di aiuto; che non apre il cuore alla sorella, al fratello in difficoltà, è una preghiera sterile e incompleta. Sant’Ubaldo da Gubbio aveva come ispirazione il motto: “Nessuna Chiesa senza un ospizio per i poveri’. La Chiesa di mattoni è il posto in cui Gesù sacramentato viene custodito, dove la comunità si riunisce per pregarlo, per ascoltarlo, per adorarlo, per ringraziarlo. Ma Gesù non è soltanto nell’ostia, o oso dire: non è principalmente nell’ostia, ma nel fratello e nella sorella che a ogni passo incontriamo, soprattutto il povero e l’estraneo. Nella messa più partecipata, all’Università di Nairobi il 26 novembre, Francesco ha indossato una mitria di pelle di capra. Cerca di snellire la Chiesa liberandola da aspetti di pomposità barocca di altri tempi: liturgie con abiti dorati, calici preziosi, porpora, stonano con l’identità di Gesù di Nazareth che la liturgia celebra. Alcuni Padri della Chiesa insistevano nel vendere i paramenti per investirne il ricavato per i poveri. Qui in Africa tutti hanno l’esperienza che la Chiesa è un attore sociale di prima grandezza: tutte le parrocchie hanno la scuola, il dispensario, la Caritas per i poveri. Questa è la Chiesa che Francesco è venuto a consolidare in Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana.

Collaborazione tra le varie religioni: mai violenza in nome di Dio

L’ultima tappa del viaggio è stato il Centrafrica, una nazione di 5 milioni di abitanti a stragrande maggioranza cristiana, ora devastata dalla violenza e terrore di gruppi islamici finanziati e armati dal Medio Oriente. Se c’è una nazione che ha infinito bisogno di riconciliazione e giustizia in questo momento, è proprio lì. L’idea di aprire lì l’Anno santo, che è anno di riconciliazione come frutto di compassione e misericordia, esprime più di mille parole dove batta il cuore di Francesco. Non è stato lui ad invitare in Vaticano il leader palestinese Abu Mazen, il presidente israeliano Shimon Peres e il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo per pregare per la riconciliazione tra israeliani e palestinesi? Senza un dignitoso mutuo riconoscimento di due nazioni indipendenti fra i due popoli, ogni sogno di pace in Medio Oriente è puro fumo. In uno degli incontri più toccanti con tutti i leader delle varie religioni presenti in Kenya, la mattina del 26 novembre, ha ripetuto con forte emozionalità: “Mai più violenza in nome di Dio!”. Pure ai giovani ha ripetuto di non lasciarsi abbacinare dai fautori di violenza e dagli esecutori di condanne a morte. Non si può dimenticare che il primo grande attentato terroristico di matrice islamica avvenne a Nairobi l’8 agosto 1998, con 252 vittime. Non c’è dubbio che Francesco ci ha lasciato un capitale di speranza, di motivazioni e di ispirazione, oltre che di preghiera, che non potranno non portare frutto – se noi ci impegneremo con coerenza e tenacia!

25-30/11/2015

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Chiesa e islam, dialogo possibile https://www.lavoce.it/chiesa-e-islam-dialogo-possibile/ Fri, 30 Oct 2015 14:02:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44114

[caption id="attachment_44092" align="alignleft" width="350"]Un momento dell’incontro sul tema “Cristianesimo e islam, quale dialogo è possibile?” che si è svolto a Umbertide Un momento dell’incontro sul tema “Cristianesimo e islam, quale dialogo è possibile?” che si è svolto a Umbertide[/caption] Due religioni e due culture a confronto, per avviare un dialogo che favorisca la conoscenza reciproca e l’integrazione nella comunità locale. Era questo il filo conduttore dell’incontro pubblico “Cristianesimo e islam, quale dialogo è possibile?” che si è tenuto sabato 24 ottobre nel centro socio-culturale San Francesco, affollatissimo, promosso dal Comune insieme al Centro culturale islamico di Umbertide, parrocchia di Cristo Risorto, Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della diocesi di Gubbio e Centro francescano internazionale per il dialogo (Cefid) dei Frati minori conventuali di Assisi. L’obiettivo era agevolare la socializzazione e il rapporto tra la popolazione umbertidese e la numerosa comunità islamica presente in città attraverso il dialogo e la comprensione, nella convinzione che la riflessione e il confronto tra due diverse religioni e culture non possa che arricchire la vita della comunità umbertidese dove vive una comunità islamica di circa 1.500 unità, il 10% della popolazione locale, per la maggior parte marocchini, ma anche algerini, tunisini, albanesi, oltre a persone dell’Africa subsahariana. L’incontro si è aperto e concluso con i saluti del sindaco Marco Locchi, che ha parlato di Umbertide come di “un piccolo laboratorio del dialogo islam-cristianesimo” ricordando la realizzazione del Centro “Jerry Masslo” nato e portato avanti in collaborazione con la Caritas diocesana. “Questo incontro è stato di grande interesse per me” ha detto il Sindaco a conclusione dell’incontro, esprimendo la volontà di proseguire con appuntamenti analoghi, periodici, nei quali confrontarsi su temi concreti. Si è quindi proseguito con i contributi di illustri esponenti delle due religioni, moderati dalla giornalista de La Voce Maria Rita Valli, che ha subito espresso la forte necessità del dialogo, ormai diventato imprescindibile tra le persone che credono in un Dio misericordioso ed ha sottolineato la diversità e varietà sia dei cristiani che si articolano nelle tre grandi famiglie cattolica, ortodossa e evangelica, sia dei musulmani che oltre alle due grandi tradizioni sunnita e sciita, conoscono una varietà di aggregazioni che si traducono, anche in Italia, in diverse associazioni quali, per esempio, l’Ucoii, il Coreis, la Lega musulmana mondiale e la Confederazione islamica italiana fondata dall’imam Abdallah Massimo Cozzolino e della quale fa parte anche l’imam di Umbertide Chafiq El Oquayly. Sono intervenuti don Stefano Bocciolesi, direttore dell’ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso, padre Silvestro Bejan, delegato generale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso dell’Ordine dei frati minori Conventuali e direttore del Cefid, Chafiq El Oquayly, presidente del Centro culturale islamico di Umbertide e presidente della Federazione regionale islamica dell’Umbria, e l’imam Cozzolino. “La maggioranza dei musulmani ritiene inammissibile la violenza del Daesh e dell’Is “ha detto Cozzolino, sottolineando la necessità del dialogo tra i credenti, perché, ha aggiunto, “non sono le religioni a dialogare ma le persone”. “la bella integrazione che è avvenuta a Umbertide (dove molti suoi confratelli hanno deciso di fermarsi e di far crescere i loro figli), può diventare il modello ideale per stabilire corrette relazioni tra musulmani e cristiani”.

Il Centro islamico

Nel suo intervento l’imam Chafiq El Oqayly si è soffermato in particolare nel descrivere la vita di un centro islamico. “In un centro islamico - ha detto l’imam - si prega, si studia il Corano, si impara la lingua italiana e si insegna ai bambini quella del Paese in cui sono, si ritrovano le proprie radici”. Sulla questione del Centro culturale islamico l’Amministrazione Comunale in una nota in risposta ad un ordine del giorno presentato da Umbertide Cambia, “precisa che da tempo ad Umbertide è presente un centro islamico situato presso l’area ex tabacchi” in un edificio non più adeguato e che “nel 2011 l’associazione Centro culturale islamico ha acquistato una porzione di terreno in zona Madonna del Moro al fine di realizzare una nuova struttura in cui trasferire il centro”.

Da parte cattolica

"In questo incontro - ha detto padre Silvestro Bejan - vogliamo parlare col vero islam, che è capace di dialogare e di confrontarsi, non con quelli che strumentalizzano il Corano per fini politici, economici. È chiaro che per parlare bisogna porsi davanti l’uno all’altro, come fece san Francesco, pieni dello Spirito di Dio che ci saprà guidare”. E don Stefano Bocciolesi: “È importante riconoscerci in una apertura reciproca, senza cadere nei sincretismi, ma affrontando un dialogo vero che riconosca la propria identità e radici. Bisogna avere la voglia di incontrare la persona nella sua diversità”.]]>

[caption id="attachment_44092" align="alignleft" width="350"]Un momento dell’incontro sul tema “Cristianesimo e islam, quale dialogo è possibile?” che si è svolto a Umbertide Un momento dell’incontro sul tema “Cristianesimo e islam, quale dialogo è possibile?” che si è svolto a Umbertide[/caption] Due religioni e due culture a confronto, per avviare un dialogo che favorisca la conoscenza reciproca e l’integrazione nella comunità locale. Era questo il filo conduttore dell’incontro pubblico “Cristianesimo e islam, quale dialogo è possibile?” che si è tenuto sabato 24 ottobre nel centro socio-culturale San Francesco, affollatissimo, promosso dal Comune insieme al Centro culturale islamico di Umbertide, parrocchia di Cristo Risorto, Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della diocesi di Gubbio e Centro francescano internazionale per il dialogo (Cefid) dei Frati minori conventuali di Assisi. L’obiettivo era agevolare la socializzazione e il rapporto tra la popolazione umbertidese e la numerosa comunità islamica presente in città attraverso il dialogo e la comprensione, nella convinzione che la riflessione e il confronto tra due diverse religioni e culture non possa che arricchire la vita della comunità umbertidese dove vive una comunità islamica di circa 1.500 unità, il 10% della popolazione locale, per la maggior parte marocchini, ma anche algerini, tunisini, albanesi, oltre a persone dell’Africa subsahariana. L’incontro si è aperto e concluso con i saluti del sindaco Marco Locchi, che ha parlato di Umbertide come di “un piccolo laboratorio del dialogo islam-cristianesimo” ricordando la realizzazione del Centro “Jerry Masslo” nato e portato avanti in collaborazione con la Caritas diocesana. “Questo incontro è stato di grande interesse per me” ha detto il Sindaco a conclusione dell’incontro, esprimendo la volontà di proseguire con appuntamenti analoghi, periodici, nei quali confrontarsi su temi concreti. Si è quindi proseguito con i contributi di illustri esponenti delle due religioni, moderati dalla giornalista de La Voce Maria Rita Valli, che ha subito espresso la forte necessità del dialogo, ormai diventato imprescindibile tra le persone che credono in un Dio misericordioso ed ha sottolineato la diversità e varietà sia dei cristiani che si articolano nelle tre grandi famiglie cattolica, ortodossa e evangelica, sia dei musulmani che oltre alle due grandi tradizioni sunnita e sciita, conoscono una varietà di aggregazioni che si traducono, anche in Italia, in diverse associazioni quali, per esempio, l’Ucoii, il Coreis, la Lega musulmana mondiale e la Confederazione islamica italiana fondata dall’imam Abdallah Massimo Cozzolino e della quale fa parte anche l’imam di Umbertide Chafiq El Oquayly. Sono intervenuti don Stefano Bocciolesi, direttore dell’ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso, padre Silvestro Bejan, delegato generale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso dell’Ordine dei frati minori Conventuali e direttore del Cefid, Chafiq El Oquayly, presidente del Centro culturale islamico di Umbertide e presidente della Federazione regionale islamica dell’Umbria, e l’imam Cozzolino. “La maggioranza dei musulmani ritiene inammissibile la violenza del Daesh e dell’Is “ha detto Cozzolino, sottolineando la necessità del dialogo tra i credenti, perché, ha aggiunto, “non sono le religioni a dialogare ma le persone”. “la bella integrazione che è avvenuta a Umbertide (dove molti suoi confratelli hanno deciso di fermarsi e di far crescere i loro figli), può diventare il modello ideale per stabilire corrette relazioni tra musulmani e cristiani”.

Il Centro islamico

Nel suo intervento l’imam Chafiq El Oqayly si è soffermato in particolare nel descrivere la vita di un centro islamico. “In un centro islamico - ha detto l’imam - si prega, si studia il Corano, si impara la lingua italiana e si insegna ai bambini quella del Paese in cui sono, si ritrovano le proprie radici”. Sulla questione del Centro culturale islamico l’Amministrazione Comunale in una nota in risposta ad un ordine del giorno presentato da Umbertide Cambia, “precisa che da tempo ad Umbertide è presente un centro islamico situato presso l’area ex tabacchi” in un edificio non più adeguato e che “nel 2011 l’associazione Centro culturale islamico ha acquistato una porzione di terreno in zona Madonna del Moro al fine di realizzare una nuova struttura in cui trasferire il centro”.

Da parte cattolica

"In questo incontro - ha detto padre Silvestro Bejan - vogliamo parlare col vero islam, che è capace di dialogare e di confrontarsi, non con quelli che strumentalizzano il Corano per fini politici, economici. È chiaro che per parlare bisogna porsi davanti l’uno all’altro, come fece san Francesco, pieni dello Spirito di Dio che ci saprà guidare”. E don Stefano Bocciolesi: “È importante riconoscerci in una apertura reciproca, senza cadere nei sincretismi, ma affrontando un dialogo vero che riconosca la propria identità e radici. Bisogna avere la voglia di incontrare la persona nella sua diversità”.]]>
Israeliani e palestinesi divisi e lontani sin dai banchi di scuola https://www.lavoce.it/educare-al-dialogo-e-alla-conoscenza-sin-dai-banchi-di-scuola/ Fri, 16 Oct 2015 12:57:17 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43930 Una scuola cristiana in Palestina
Una scuola cristiana in Palestina

“Vedere tanti giovani intrisi di odio agire violentemente fino a uccidere, morire o essere uccisi è triste. Condanniamo con fermezza questi atti. La sola risposta che ci può essere è quella del dialogo e della conoscenza, e queste devono venire dai banchi di scuola. Sono valori che devono essere insegnati sin da piccoli. Non possiamo lasciare che i giovani si prendano a coltellate. Dobbiamo insegnare loro principi di vita e non di morte. I programmi scolastici non devono favorire l’odio e l’oppressione”.

Le scene di morte di questi giorni a Gerusalemme e in Cisgiordania, che hanno visto protagonisti giovani palestinesi aggredire e uccidere famiglie di ebrei e essere a loro volta colpiti dalle forze israeliane riporta in primo piano il ruolo delle scuole. “È facile – dice padre Abdel Masih Fahim, segretario generale per le scuole cattoliche della Custodia di Terra Santa – vedere come sin da piccoli, tra i banchi di scuola, si diventa attori del conflitto in corso. Gli studenti vivono sulla propria pelle la retorica che fuoriesce dai libri di storia nei quali la narrativa dell’altro, israeliano o palestinese che sia, vive della contrapposizione, del tema del nemico, dell’incarnazione dell’oppressione, dell’insicurezza e del pericolo dietro ogni angolo. I bambini crescono con identità incompatibili”.

A generarle sono le interpretazioni opposte di date, di storie, di eventi, di terre contese dai confini invisibili o forse meglio dire inesistenti, tutto messo per iscritto, nero su bianco, nei libri di scuola. Così facendo si distrugge il futuro e si segna ancora di più la distanza tra visioni diverse.

L’altro come nemico: questa è l’immagine che israeliani e palestinesi restituiscono gli uni degli altri secondo i testi scolastici. Una visione confermata da diversi studi condotti negli ultimi anni da diversi esperti. Uno di questi, promosso nel 2013 dal Consiglio delle istituzioni religiose di Terra Santa (che rappresenta cristiani, musulmani e ebrei), ha visto gli autori, tutti di diversa provenienza, convenire che i libri israeliani e quelli palestinesi (ne sono stati presi in esame 640, 492 israeliani e 148 palestinesi), mancano di “informazioni sulla religione, la cultura, l’economia e altre attività quotidiane”, quando queste non sono addirittura ignorate. Un modo “per negare la legittima presenza dell’altro”. Conclusioni che hanno ricevuto critiche sia da parte israeliana sia palestinese.

“I programmi scolastici – conferma padre Fahim – non favoriscono la comprensione e la pace tra i due popoli. I rispettivi ideali vengono contrapposti, e gli studenti crescono nei banchi di scuola con una narrativa violenta e di opposizione. Lo vediamo nello studio della storia, della geografia, dell’arte, dell’educazione civica”. L’esempio portato dal francescano è lo scoglio di Gerusalemme: “La Città santa – dice – è considerata da entrambe le parti come propria capitale. Inoltre i confini dei due Paesi non esistono, non ci sono. Si insegna che esiste una sola terra e un solo popolo che la abita. I palestinesi ritengono che tutta la terra appartenga a loro, e lo stesso credono gli israeliani”.

Difficile pensare a un futuro di pace “se si cresce così. La pace non viene considerata. Dalle due parti non sembrano arrivare messaggi di comprensione e soprattutto di dialogo”. Cambiare i programmi appare questione insormontabile come anche ampliare i corsi di studio, introducendo, come ha fatto da qualche tempo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) lo studio della Dichiarazione universale dei diritti umani.

Tra l’incudine e il martello ci sono le scuole cristiane che, nel loro piccolo, cercano di veicolare messaggi di tolleranza e di convivenza giusta e pacifica. “Sono 36 anni che lavoro nel mondo della scuola, e ho sempre cercato di favorire la nascita di gruppi di israeliani e palestinesi, ebrei, cristiani e musulmani, capaci di confrontarsi e parlare fuori dai luoghi comuni e dagli stereotipi, ma siamo pochi. Purtroppo – riconosce il segretario generale per le scuole cattoliche della Custodia di Terra Santa – non riusciamo a incidere nelle due società come vorremmo. Nonostante le difficoltà, andiamo avanti lo stesso. Nelle nostre scuole, che siano in Israele o in Palestina, seguiamo i programmi dei rispettivi Ministeri. I libri di testo – ribadisce – rappresentano le diverse posizioni dei due Paesi in lotta da decenni. Anche se siamo una minoranza, nelle nostre scuole cristiane cerchiamo di far passare il messaggio che la convivenza, la giustizia, il rispetto e la conoscenza reciproca sono possibili”.

E poco importa se lo studio della storia del cristianesimo sia penalizzato nelle scuole palestinesi e israeliane, dove, aggiunge il religioso, “non possiamo parlare di etica cristiana, spiegare che cosa è il cristianesimo, cosa è la Chiesa e il significato della nostra presenza qui”. Ma qualcuno ora sembra se ne stia accorgendo, stando al sostegno che le scuole cristiane in Israele (ben 47, per 33 mila studenti) hanno ricevuto dall’opinione pubblica israeliana e palestinese in occasione di uno sciopero proclamato per denunciare il taglio massiccio dei contributi statali imposto negli ultimi due anni da parte di Israele, e revocato dopo un accordo con ministero dell’Educazione.

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SINODO. Tra i temi più trattati la questione dei divorziati risposati https://www.lavoce.it/sinodo-tra-i-temi-piu-trattati-la-questione-dei-divorziati-risposati/ Thu, 15 Oct 2015 14:45:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43939 famiglia-crisiSono stati 93 gli interventi all’ottava e alla nona Congregazione generale del Sinodo dei vescovi, nel pomeriggio del 14 ottobre e nella mattina del 15, dedicate al dibattito sulla terza e ultima parte dell’Instrumentum laboris, ha spiegato padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede, aprendo il briefing di giovedì 15 ottobre. Come prevedibile, tra i temi più trattati la questione dell’accesso dei divorziati alla comunione, hanno riferito i quattro collaboratori del portavoce vaticano per i diversi gruppi linguistici.

Molti, ha raccontato p. Bernard Hagenkord, gli interventi in lingua tedesca sull’importanza della “difesa della dottrina cattolica su matrimonio e famiglia. La Chiesa, è stato detto da qualcuno, non ha né il potere né l’autorità di cambiare la Parola di Dio”; al tempo stesso, diversi padri hanno sottolineato: “Non siamo ufficiali incaricati di controllare la purezza dei cristiani”. Per molti la domanda è: “Cosa fa la Chiesa per chi vive in questa situazioni?”. Da alcuni padri è stata proposta una valutazione delle situazioni caso per caso.

La sottolineatura del legame tra dottrina e misericordia è stata molto presente negli interventi sinodali in lingua inglese, ha detto p. Thomas Rosica. Diversi padri auspicano un linguaggio in grado d’insegnare le verità della Chiesa, “comprensibile” e “mirato anche alle esigenze dei più giovani. Un insegnamento solido della dottrina, fortemente alimentato dalla Parola di Dio”.
Per molti padri servono inoltre “sistemi, anzi ‘medicine’ per curare le ferite di chi si trova in situazioni difficili” e occorre una solida formazione dei sacerdoti. Importante anche “il sorriso”. Al centro di diversi interventi le “questioni sociali che le famiglie affrontano: immigrazione, tratta delle donne, bambini profughi senza famiglia”, e l’impatto sulle famiglie del terrore seminato dall’Isis.

Per Romilda Ferrauto (lingua francese), il tema dei divorziati risposati, “tornato a valanga negli interventi”, mostra la diversità di approcci tra “chi sottolinea che il ruolo della Chiesa è restare fedele al Signore e chi pensa che è necessario accompagnare le persone nel loro fallimento senza per questo diluire la dottrina”. Molti, ha riferito, “sottolineano che l’obiettivo non è garantire l’accesso indiscriminato all’Eucaristia, ma proporre un approccio personalizzato”. Per alcuni “privare dell’Eucaristia è un fatto grave”, per altri “è peccato che si resti aggrappati troppo ai sacramenti come fossero gli unici strumenti della grazia”.
All’attenzione dei padri anche il problema dei matrimoni misti, soprattutto con i musulmani, e la necessità di “misure per proteggere la parte cattolica”, la questione delle donne costrette alla poligamia, l’accompagnamento delle coppie senza figli, le adozioni nelle coppie omosessuali, l’aborto. “Un vescovo africano ha puntato il dito contro le nuove colonizzazioni ideologiche”.

Concretezza nella pastorale sulla famiglia è la richiesta emersa da molti interventi in lingua spagnola, ha riferito p. Manuel Dorantes. Diversi padri hanno ringraziato il Papa per il Motu proprio sulle cause di riconoscimento dei casi di nullità matrimoniale. Per p. Dorantes “sono diversi i punti di vista e si sta cercando di trovare un equilibrio tra misericordia e obbedienza al magistero della Chiesa”.
In alcuni Paesi, è stato detto, “i divorziati risposati ricevono con difficoltà anche una benedizione”, alcuni padri hanno affermato che “la comunione spirituale non è sufficiente”. Il religioso ha citato l’intervento “commovente” di un vescovo che ha raccontato di aver celebrato una messa di prima comunione nella quale il figlio di una coppia di divorziati risposati ha dato ai genitori due pezzetti della propria ostia.

Ricordando che la Chiesa polacca ha sempre escluso la possibilità della comunione ai divorziati risposati, monsignor Stanisław Gadecki, presidente della Conferenza episcopale polacca, ha ribadito che non sono scomunicati e a volte chi è escluso dalla comunione ne ha un desiderio più forte di chi vi ha il diritto.
Monsignor Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Tlalnepantla (Messico), ha parlato del percorso penitenziale richiamato da alcuni padri, precisando che esso richiede il riconoscimento dei propri errori e il pentimento e ha chiarito che il Sinodo “non pretende di prendere decisioni”, che spettano al Papa, ma di offrirgli “riflessioni e punti di vista”. “Non c’è disaccordo – ha assicurato mons. Gadecki – sul fatto che alcuna autorità al mondo possa sciogliere un vincolo matrimoniale valido”.

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