misericordia Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/misericordia/ Settimanale di informazione regionale Mon, 01 May 2023 14:19:05 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg misericordia Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/misericordia/ 32 32 La parabola della vigna https://www.lavoce.it/la-parabola-della-vigna/ Thu, 05 Oct 2017 16:08:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50088 domenica della parola

“Tu hai fatto tutte le cose, il cielo e la terra e tutte le meraviglie che vi sono racchiuse; tu sei il Signore di tutto l’universo” (Est 4,17b) professa Mardocheo nella preghiera che ascoltiamo nell’antifona d’ingresso, preghiera che lui e la regina Ester rivolgono al Signore perché il loro popolo Israele, la “vigna del Signore”, sta per essere annientato e solo Lui può salvarlo. E la preoccupazione per la comunità è il motivo che ritorna nel “canto della vigna” del profeta Isaia dove il Proprietario presta una cura premurosa per la sua vigna, ne attende i frutti e poi, a causa del fatto che i frutti non vengono prodotti, si trova costretto a prendere la drastica decisione e la vigna “non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni”. Il tema della “vigna” è ripreso dalla pagina evangelica che questa 27ma Domenica del Tempo ordinario conclude il trittico delle “parabole della vigna”, anche se più che la vigna, i veri protagonisti sono i vignaioli che si atteggiano come fossero i veri proprietari della vigna. Gli elementi che descrivono la vigna (siepe, torchio, torre, …) rimandano indiscutibilmente alla pericope di Isaia e, come in essa, anche nella parabola matteana il finale è drammatico e nello specifico anticipa la condanna a morte di Gesù. Come nelle precedenti due parabole, anche qui il messaggio è diretto ai capi del popolo (vigna) perché è introdotta dall’invito ad ascoltare “un’altra parabola”. Il Proprietario pianta una vigna con tutti i migliori accorgimenti e ne affida la gestione a dei contadini. È precisato che al “tempo di raccogliere i frutti” il Proprietario invia dei servi, ma questi vengono uno bastonato, un’altro ucciso e un altro ancora lapidato. Fin qui non c’è nulla di nuovo rispetto all’Antico Testamento perché in numerosi passi dei Libri storici e profetici è ribadita l’attenzione del Signore per la Sua vigna per la quale ha inviato più volte i Suoi servi, i Profeti, ma non sono stati accolti, anzi, in alcuni casi sono stati anche perseguitati. L’elemento nuovo è piuttosto l’inserimento del “figlio” del Proprietario che altrettanto non viene accolto ed è specificato che i contadini lo hanno condotto “fuori dalla vigna” e lo hanno ucciso. A questo punto, alla domanda di Gesù: “cosa farà il proprietario della vigna a quei contadini”, i Suoi uditori rispondono con la legge della “retribuzione”: hanno ucciso, perciò “li farà morire miseramente”. E allora subentra un altro passaggio “nuovo” che va cioè oltre il pensiero dei 1uoi contemporanei perché il “figlio ucciso fuori dalla vigna” è un indiscutibile riferimento a Cristo stesso perché “fuori dalla vigna”, ovvero fuori dalle mura di Gerusalemme, veniva infatti mandato via e quindi sacrificato una volta l’anno un capro che doveva prendere su di sé le colpe commesse dagli israeliti (Lv 16,21-21) e così una volta per tutte “Gesù ha subito la passione fuori della porta della città” (Eb 13,12). A confermare ciò è la citazione del Salmo 118,22-23, citazione che leggiamo anche in altri due brani neotestamentari (At 4,11 e 1Pt 2,7) e che anticipa e sigilla allo stesso tempo il rifiuto di Cristo da parte dei “capi” (la pietra scartata dai costruttori), ma anche il fondamento (pietra angolare) che Cristo sarà della futura comunità cristiana, la “nazione” non da intendere in contrasto, ma in continuità con il popolo dell’antica Alleanza. La storia del popolo biblico è del resto caratterizzata da “pietre scartate”: si pensi a Giuseppe, scartato dai fratelli, ma in terra straniera è stato motivo di salvezza e di sopravvivenza dei suoi familiari. Ricordiamo Davide, non preso in considerazione da Iesse al momento di essere unto da Samuele, poi mandato a chiamare mentre era a pascolare il gregge, per divenire il re secondo il cuore di Dio. Pensiamo ad Ester che per la sua situazione familiare è stata donata al re di un popolo non israelita e che è poi diventata causa di scampato sterminio dei suoi connazionali. Così Cristo, rifiutato, oltraggiato, perseguitato e ucciso brutalmente “fuori” Gerusalemme diviene per quanti lo riconoscono Figlio di Dio centro, fondamento e motivo di vita. La Parola di Dio ci trasmette certamente l’ardua realtà che la “vigna” del Signore necessita di “sacrificio”: Giuseppe, David, Ester ed altri ancora, hanno sofferto la solitudine fuori dalla “vigna”. Cristo ha immolato tutto se stesso pagando anche Lui oltre che con gli oltraggi, con il vuoto interiore del rifiuto e dell’abbandono. Questo accade anche agli uomini di questo mondo che in virtù di una verità combattono contro l’incomprensione. La novità è che con Cristo non esiste rancore o, peggio ancora odio, perché solo “ciò che è virtù e merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 6,8). Inoltre il cristiano è animato dalla consapevolezza che solo Lui sa trasformare gli “scarti” in “pietre angolari”. Ma il messaggio è anche di stare attenti a non scartare mai nessuno: “vorrei che prendessimo tutti il serio impegno di contrastare la cultura dello scarto ... per promuovere una cultura della solidarietà e dell’incontro” (Papa Francesco, 05.06.’13.).   PRIMA LETTURA Dal Libro di Isaia 5,1-7 SALMO RESPONSORIALE Salmo 79 SECONDA LETTURA Dalla Lettera di Paolo ai Filippesi 4,6-9 Commento al Vangelo della XXVII Domenica del tempo ordinario - Anno A Dal Vangelo di Matteo 21,33-43    ]]>
domenica della parola

“Tu hai fatto tutte le cose, il cielo e la terra e tutte le meraviglie che vi sono racchiuse; tu sei il Signore di tutto l’universo” (Est 4,17b) professa Mardocheo nella preghiera che ascoltiamo nell’antifona d’ingresso, preghiera che lui e la regina Ester rivolgono al Signore perché il loro popolo Israele, la “vigna del Signore”, sta per essere annientato e solo Lui può salvarlo. E la preoccupazione per la comunità è il motivo che ritorna nel “canto della vigna” del profeta Isaia dove il Proprietario presta una cura premurosa per la sua vigna, ne attende i frutti e poi, a causa del fatto che i frutti non vengono prodotti, si trova costretto a prendere la drastica decisione e la vigna “non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni”. Il tema della “vigna” è ripreso dalla pagina evangelica che questa 27ma Domenica del Tempo ordinario conclude il trittico delle “parabole della vigna”, anche se più che la vigna, i veri protagonisti sono i vignaioli che si atteggiano come fossero i veri proprietari della vigna. Gli elementi che descrivono la vigna (siepe, torchio, torre, …) rimandano indiscutibilmente alla pericope di Isaia e, come in essa, anche nella parabola matteana il finale è drammatico e nello specifico anticipa la condanna a morte di Gesù. Come nelle precedenti due parabole, anche qui il messaggio è diretto ai capi del popolo (vigna) perché è introdotta dall’invito ad ascoltare “un’altra parabola”. Il Proprietario pianta una vigna con tutti i migliori accorgimenti e ne affida la gestione a dei contadini. È precisato che al “tempo di raccogliere i frutti” il Proprietario invia dei servi, ma questi vengono uno bastonato, un’altro ucciso e un altro ancora lapidato. Fin qui non c’è nulla di nuovo rispetto all’Antico Testamento perché in numerosi passi dei Libri storici e profetici è ribadita l’attenzione del Signore per la Sua vigna per la quale ha inviato più volte i Suoi servi, i Profeti, ma non sono stati accolti, anzi, in alcuni casi sono stati anche perseguitati. L’elemento nuovo è piuttosto l’inserimento del “figlio” del Proprietario che altrettanto non viene accolto ed è specificato che i contadini lo hanno condotto “fuori dalla vigna” e lo hanno ucciso. A questo punto, alla domanda di Gesù: “cosa farà il proprietario della vigna a quei contadini”, i Suoi uditori rispondono con la legge della “retribuzione”: hanno ucciso, perciò “li farà morire miseramente”. E allora subentra un altro passaggio “nuovo” che va cioè oltre il pensiero dei 1uoi contemporanei perché il “figlio ucciso fuori dalla vigna” è un indiscutibile riferimento a Cristo stesso perché “fuori dalla vigna”, ovvero fuori dalle mura di Gerusalemme, veniva infatti mandato via e quindi sacrificato una volta l’anno un capro che doveva prendere su di sé le colpe commesse dagli israeliti (Lv 16,21-21) e così una volta per tutte “Gesù ha subito la passione fuori della porta della città” (Eb 13,12). A confermare ciò è la citazione del Salmo 118,22-23, citazione che leggiamo anche in altri due brani neotestamentari (At 4,11 e 1Pt 2,7) e che anticipa e sigilla allo stesso tempo il rifiuto di Cristo da parte dei “capi” (la pietra scartata dai costruttori), ma anche il fondamento (pietra angolare) che Cristo sarà della futura comunità cristiana, la “nazione” non da intendere in contrasto, ma in continuità con il popolo dell’antica Alleanza. La storia del popolo biblico è del resto caratterizzata da “pietre scartate”: si pensi a Giuseppe, scartato dai fratelli, ma in terra straniera è stato motivo di salvezza e di sopravvivenza dei suoi familiari. Ricordiamo Davide, non preso in considerazione da Iesse al momento di essere unto da Samuele, poi mandato a chiamare mentre era a pascolare il gregge, per divenire il re secondo il cuore di Dio. Pensiamo ad Ester che per la sua situazione familiare è stata donata al re di un popolo non israelita e che è poi diventata causa di scampato sterminio dei suoi connazionali. Così Cristo, rifiutato, oltraggiato, perseguitato e ucciso brutalmente “fuori” Gerusalemme diviene per quanti lo riconoscono Figlio di Dio centro, fondamento e motivo di vita. La Parola di Dio ci trasmette certamente l’ardua realtà che la “vigna” del Signore necessita di “sacrificio”: Giuseppe, David, Ester ed altri ancora, hanno sofferto la solitudine fuori dalla “vigna”. Cristo ha immolato tutto se stesso pagando anche Lui oltre che con gli oltraggi, con il vuoto interiore del rifiuto e dell’abbandono. Questo accade anche agli uomini di questo mondo che in virtù di una verità combattono contro l’incomprensione. La novità è che con Cristo non esiste rancore o, peggio ancora odio, perché solo “ciò che è virtù e merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 6,8). Inoltre il cristiano è animato dalla consapevolezza che solo Lui sa trasformare gli “scarti” in “pietre angolari”. Ma il messaggio è anche di stare attenti a non scartare mai nessuno: “vorrei che prendessimo tutti il serio impegno di contrastare la cultura dello scarto ... per promuovere una cultura della solidarietà e dell’incontro” (Papa Francesco, 05.06.’13.).   PRIMA LETTURA Dal Libro di Isaia 5,1-7 SALMO RESPONSORIALE Salmo 79 SECONDA LETTURA Dalla Lettera di Paolo ai Filippesi 4,6-9 Commento al Vangelo della XXVII Domenica del tempo ordinario - Anno A Dal Vangelo di Matteo 21,33-43    ]]>
La necessità del perdono https://www.lavoce.it/la-necessita-del-perdono/ Fri, 15 Sep 2017 00:32:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50034

(Domenica XXIV Domenica del tempo ordinario. Anno A) Il perdono rimane a noi nella misura che anche noi perdoniamo ai nostri “debitori” “Il Signore perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità” afferma il Salmista e l’Autore del Siracide esorta con queste parole: “Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati”. Con la Colletta preghiamo: “O Dio di giustizia e di amore, che perdoni a noi se perdoniamo ai nostri fratelli, crea in noi un cuore nuovo a immagine del tuo Figlio, un cuore sempre più grande di ogni offesa, per ricordare al mondo come tu ci ami”. Queste premesse per dire che il messaggio della Liturgia di questa 24ma Domenica del Tempo ordinario ci porta a definire il motivo della ‘necessità’ del perdono: perché Dio ci perdona per primo! A nostra volta siamo invitati a perdonare le offese perché altrimenti – stando alla pagina evangelica – il perdono ci viene ritirato. La questione ci viene proposta a conclusione del IV Discorso di Gesù, dove Pietro si fa avanti per chiedere a Gesù fin quante volte deve perdonare il fratello che pecca contro di lui, “fino a sette volte?”. L’impostazione della domanda riflette l’indole buona di Pietro perché il numero 7, con il suo intrinseco simbolismo di totalità e compiutezza, contiene già i caratteri della positività e dell’apertura verso l’altro “che pecca contro di me”. Nell’Antico Testamento (come anche nella tradizione rabbinica) è presente l’invito a “non odiare nessuno” e a “dimenticare gli errori altrui” (Sir 28,9). Pietro che parla anche a nome di coloro di cui è “responsabile”, proviene quindi da una cultura religiosa già disponibile al perdono. Ma Gesù invita ad andare oltre la bontà d’animo di Pietro esponendo la parabola del “re” generosissimo e del “servo malvagio” in cui regna l’esagerazione (tipica del racconto parabolico) finalizzata a descrivere, in questo caso, l’illimitatezza dell’amore divino. Il “servo malvagio” è infatti debitore nei riguardi del “re” di una somma, “diecimila talenti”, che era materialmente impossibile accumulare nel corso di una vita. Grazie alla testimonianza di Giuseppe Flavio possiamo apprendere che in un anno le tasse che venivano pagate ai Romani dagli abitanti della Palestina non arrivavano neanche a mille talenti. Figuriamoci se un servo poteva aver raggiunto un debito di diecimila talenti! Corrispondente alla realtà doveva invece essere il debito dell’altro servo: “dieci denari”. Quantificati materialmente, i rispettivi debiti equivalgono: “diecimila talenti” a circa 340 tonnellate d’oro, “dieci denari” a mezzo chilogrammo di argento. Quindi la sproporzione: il “servo malvagio” è debitore di una incalcolabile somma al “re” e un secondo servo è debitore di una modesta somma al “servo malvagio”. Poiché la figura del re nella letteratura giudaica rimanda a Dio (Talmud), il “servo malvagio” è l’uomo che, in quanto creatura, ha un debito inestimabile nei riguardi di Dio, mentre quello che potrebbe avere un uomo nei riguardi del suo simile (il secondo “servo”) è irrisorio. Tuttavia, alla richiesta dell’uomo, “Abbi pazienza con me”, Dio stesso condona il debito che altrimenti sarebbe impossibile estinguere. A sua volta, all’uomo cui è stato condonato, spetta di condonare il debito dell’altro (10 denari, appunto!). Ma se pur avendo sperimentato l’inconcepibile generosità di Dio rimane “malvagio” non concedendo il condono a sua volta, “viene dato in mano agli aguzzini, finché non abbia restituito tutto il dovuto”. Questa minaccia è pesante e, se non ricorriamo all’approfondimento linguistico, rischiamo di tralasciarne tutta la profondità. Il sostantivo plurale “aguzzini” (basanistais) presenta la stessa radice del verbo greco (basanizo) che vuol dire “tormentare, torturare”, e l’evangelista Matteo usa questo verbo per indicare il tormento che avrebbero vissuto i due indemoniati gadareni (8,29) se non fossero stati liberati da Gesù. Chi non restituisce il perdono ricevuto da Dio, è destinato a vivere interiormente tormentato. È vero, a volte il perdono costa troppo. Come fa a perdonare colui che ha subito un torto (violenza, calunnia, furto, …) con le aspre conseguenze che si riflettono sulla sua vita e su quella dei suoi familiari distrutti e sconvolti? L’atto eroico di elargire subito il perdono, magari fatto anche sinceramente, può gratificare e appagare momentaneamente, ma basta? Il perdono è qualcosa di molto profondo e anche liberante ma il primo a perdonare è Dio e il perdono rimane a noi nella misura che anche noi perdoniamo ai nostri “debitori”. “Lui ti vuole perdonare, ma non potrà se tu hai il cuore chiuso … perdoniamo come Dio, che quando perdona dimentica” (Papa Francesco). Se accogliamo il Suo perdono e il Suo amore, come non amare a nostra volta? “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”.]]>

(Domenica XXIV Domenica del tempo ordinario. Anno A) Il perdono rimane a noi nella misura che anche noi perdoniamo ai nostri “debitori” “Il Signore perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità” afferma il Salmista e l’Autore del Siracide esorta con queste parole: “Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati”. Con la Colletta preghiamo: “O Dio di giustizia e di amore, che perdoni a noi se perdoniamo ai nostri fratelli, crea in noi un cuore nuovo a immagine del tuo Figlio, un cuore sempre più grande di ogni offesa, per ricordare al mondo come tu ci ami”. Queste premesse per dire che il messaggio della Liturgia di questa 24ma Domenica del Tempo ordinario ci porta a definire il motivo della ‘necessità’ del perdono: perché Dio ci perdona per primo! A nostra volta siamo invitati a perdonare le offese perché altrimenti – stando alla pagina evangelica – il perdono ci viene ritirato. La questione ci viene proposta a conclusione del IV Discorso di Gesù, dove Pietro si fa avanti per chiedere a Gesù fin quante volte deve perdonare il fratello che pecca contro di lui, “fino a sette volte?”. L’impostazione della domanda riflette l’indole buona di Pietro perché il numero 7, con il suo intrinseco simbolismo di totalità e compiutezza, contiene già i caratteri della positività e dell’apertura verso l’altro “che pecca contro di me”. Nell’Antico Testamento (come anche nella tradizione rabbinica) è presente l’invito a “non odiare nessuno” e a “dimenticare gli errori altrui” (Sir 28,9). Pietro che parla anche a nome di coloro di cui è “responsabile”, proviene quindi da una cultura religiosa già disponibile al perdono. Ma Gesù invita ad andare oltre la bontà d’animo di Pietro esponendo la parabola del “re” generosissimo e del “servo malvagio” in cui regna l’esagerazione (tipica del racconto parabolico) finalizzata a descrivere, in questo caso, l’illimitatezza dell’amore divino. Il “servo malvagio” è infatti debitore nei riguardi del “re” di una somma, “diecimila talenti”, che era materialmente impossibile accumulare nel corso di una vita. Grazie alla testimonianza di Giuseppe Flavio possiamo apprendere che in un anno le tasse che venivano pagate ai Romani dagli abitanti della Palestina non arrivavano neanche a mille talenti. Figuriamoci se un servo poteva aver raggiunto un debito di diecimila talenti! Corrispondente alla realtà doveva invece essere il debito dell’altro servo: “dieci denari”. Quantificati materialmente, i rispettivi debiti equivalgono: “diecimila talenti” a circa 340 tonnellate d’oro, “dieci denari” a mezzo chilogrammo di argento. Quindi la sproporzione: il “servo malvagio” è debitore di una incalcolabile somma al “re” e un secondo servo è debitore di una modesta somma al “servo malvagio”. Poiché la figura del re nella letteratura giudaica rimanda a Dio (Talmud), il “servo malvagio” è l’uomo che, in quanto creatura, ha un debito inestimabile nei riguardi di Dio, mentre quello che potrebbe avere un uomo nei riguardi del suo simile (il secondo “servo”) è irrisorio. Tuttavia, alla richiesta dell’uomo, “Abbi pazienza con me”, Dio stesso condona il debito che altrimenti sarebbe impossibile estinguere. A sua volta, all’uomo cui è stato condonato, spetta di condonare il debito dell’altro (10 denari, appunto!). Ma se pur avendo sperimentato l’inconcepibile generosità di Dio rimane “malvagio” non concedendo il condono a sua volta, “viene dato in mano agli aguzzini, finché non abbia restituito tutto il dovuto”. Questa minaccia è pesante e, se non ricorriamo all’approfondimento linguistico, rischiamo di tralasciarne tutta la profondità. Il sostantivo plurale “aguzzini” (basanistais) presenta la stessa radice del verbo greco (basanizo) che vuol dire “tormentare, torturare”, e l’evangelista Matteo usa questo verbo per indicare il tormento che avrebbero vissuto i due indemoniati gadareni (8,29) se non fossero stati liberati da Gesù. Chi non restituisce il perdono ricevuto da Dio, è destinato a vivere interiormente tormentato. È vero, a volte il perdono costa troppo. Come fa a perdonare colui che ha subito un torto (violenza, calunnia, furto, …) con le aspre conseguenze che si riflettono sulla sua vita e su quella dei suoi familiari distrutti e sconvolti? L’atto eroico di elargire subito il perdono, magari fatto anche sinceramente, può gratificare e appagare momentaneamente, ma basta? Il perdono è qualcosa di molto profondo e anche liberante ma il primo a perdonare è Dio e il perdono rimane a noi nella misura che anche noi perdoniamo ai nostri “debitori”. “Lui ti vuole perdonare, ma non potrà se tu hai il cuore chiuso … perdoniamo come Dio, che quando perdona dimentica” (Papa Francesco). Se accogliamo il Suo perdono e il Suo amore, come non amare a nostra volta? “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”.]]>
Bassetti: “la carità è manifestazione della misericordia” https://www.lavoce.it/bassetti-la-carita-e-manifestazione-della-misericordia/ Wed, 10 Aug 2016 10:38:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47278

Il card. Gualtiero Bassetti ha presieduto nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia la solenne liturgia della festa del santo martire Lorenzo. Hanno concelebrato il vescovo emerito mons. Giuseppe Chiaretti e il presidente del Capitolo della cattedrale mons. Fausto Sciurpa.

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All’inizio di questa breve riflessione, in occasione della Festa del titolare della nostra basilica cattedrale, desidero porgere un cordiale e fraterno saluto ai reverendi membri del Capitolo di San Lorenzo, assieme a tutti i sacerdoti di varie parti del mondo, presenti a Perugia per motivi di studio. Un cordiale e deferente saluto anche alle autorità cittadine, alla Corale Laurenziana e a tutti i fedeli presenti. Il culto di San Lorenzo, diacono e martire della chiesa di Roma, si è diffuso nell’antichità in molte zone d’Italia e d’Europa. Esso è divenuto nel tempo icona viva della carità cristiana, praticata in modo eroico, fino al dono totale di se stessi e della propria vita. A lui ben si addicono le parole del salmo, ricordate anche da san Paolo: «Ha largheggiato, ha dato ai poveri, la sua giustizia dura in eterno». Nell’Anno del Giubileo straordinario della misericordia, san Lorenzo ci ricorda che la carità è manifestazione della misericordia. Se il cuore è pieno di grazia esso è anche aperto all’aiuto del prossimo. Se una Chiesa vive nell’amore del Signore, essa è attenta e sollecita alle sofferenze dei fratelli. La presenza di Gesù in mezzo ad una comunità è tanto più visibile quanto più essa risplende nell’aiuto a quanti soffrono per la malattia, la solitudine e la povertà. Tutti noi, sull’esempio di Lorenzo siamo chiamati a nutrire nel cuore sentimenti di misericordia e a vivere la carità con l’impegno di tutta la vita, come ci ha ammonito il Vangelo di Giovanni: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Solo consumati dall’amore del Signore, possiamo portare quel frutto che fa crescere il Regno di Dio e guadagnarci la vita eterna. Mossa dall’insegnamento del Vangelo e dall’esempio del patrono san Lorenzo, la Chiesa perusino-pievese, in questi ultimi tempi, travagliati dalla crisi economica, ha voluto esser presente in mezzo a tante realtà di sofferenza e umiliazione per portare una parola di speranza e un segno concreto di aiuto. Con le collette annuali del Fondo di Solidarietà si sono potute aiutare tante famiglie nel bisogno, con l’apertura dei quattro Empori della Solidarietà si sono create le condizioni perché a nessuno manchi mai il cibo per la propria famiglia, con l’accoglienza dei profughi si è voluto dar seguito alle parole di Gesù: “Ero forestiero e mi avete accolto”. A tal proposito desidero ringraziare la Caritas e tutti coloro che esercitano un volontariato attivo nei confronti del prossimo. Accanto al nutrimento materiale però non dobbiamo mai far mancare il quello dello spirito, fatto di vicinanza solidale, di comprensione, affetto e amore disinteressato. La crisi economica, se ha gettato molte realtà familiari (e soprattutto molti giovani) nel panico di una vita insicura, senza prospettive per l’avvenire, ha anche accresciuto in molti quell’apatia per la vita e per le relazioni umane, spesso sfociata in casi di efferata violenza, di soprusi familiari e di devastazione dell’esistenza, bruciata alla ricerca dell’evasione possibile, procurata dalla droga o da altri vizi distruttori, come l’alcool e il gioco d’azzardo patologico, che stanno devastando migliaia di persone e altrettante famiglie. Negli ultimi mesi, nella nostra città, abbiamo assistito, con sentimenti di impotenza, di rammarico e di dolore, alla morte per overdose di 16 persone: quasi due morti al mese, e quasi tutti giovani. Cosa si nasconde dietro queste tragiche morti, spesso in giovane età? Problemi economici, familiari, relazionali? Senza dubbio dietro queste morti c’è soprattutto il non senso della vita, quella noia esistenziale che tutto riduce a grigiore indistinto, ove non si trova più la forza per reagire con sussulti di fiducia e di speranza, c’è la perdita inesorabile di quel sano e salutare umanesimo cristiano, che per secoli è stato a fondamento dei valori e della dignità umana. La comunità cristiana e anche quella civile non possono non interrogarsi su questi fenomeni devastanti che, forse, non sono che la punta di un iceberg ben più vasto, fatto di tanti malesseri sovrapposti, che la società odierna, con tutta la sua seducente tecnologia, non riesce a debellare, anzi, quasi ne genera essa stessa sempre di nuovi. La carità oggi deve dunque assumere forme nuove: all’aiuto per il cibo e la casa è essenziale poter trovare le modalità necessarie per farsi incontro ai fratelli che non trovano un senso alla vita, che non trovano più il coraggio di andare avanti e si fermano sul bordo della strada. Cosa possiamo offrire a questi fratelli? Il nostro dono si chiama Gesù e la gioia del Vangelo può riempire “il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Lui. Conoscere il Signore può cambiare l’esistenza di tante persone; sanare molte sofferenze; portare speranza anche nei cuori refrattari ad ogni sollecitazione umana. Quello che possiamo donare non è tanto l’oro e l’argento (come disse l’apostolo Pietro al paralitico dinanzi alla Porta Bella del Tempio di Gerusalemme), quanto la fede in Gesù, e nel suo grande amore per tutti gli uomini, che deve essere anche il nostro amore. Papa Francesco parlando ai giovani di tutto il mondo, radunati a Cracovia per la Giornata Mondiale della Gioventù, ha voluto ricordare a tutti che: “un cuore misericordioso sa andare incontro agli altri, riesce ad abbracciare tutti. Un cuore misericordioso sa essere un rifugio per chi non ha mai avuto una casa o l’ha perduta, sa creare un ambiente di casa e di famiglia per chi ha dovuto emigrare, è capace di tenerezza e di compassione. Un cuore misericordioso sa condividere il pane con chi ha fame, un cuore misericordioso si apre per ricevere il profugo e il migrante… Quando il cuore è aperto e capace di sognare c’è posto per la misericordia, c’è posto per carezzare quelli che soffrono, c’è posto per mettersi accanto a quelli che non hanno pace nel cuore o mancano del necessario per vivere, o mancano della cosa più bella: la fede”. Il dono della fede è il più bel gesto di carità che possiamo offrire al mondo di oggi, immerso nelle brame del godimento effimero e nelle onde di quel mare di dubbi che tutto diluisce e degrada. E’ la fede che spinge a sognare, ad agire per un mondo migliore; è la fede che può spingere ciascuno di noi a donare se stesso per amore del prossimo. E’ la fede che ha mosso san Lorenzo nei suoi passi sulla via della carità ed è sempre la fede che lo ha sostenuto nell’ora tragica del martirio, divorato fisicamente dalle fiamme, simbolo di quell’amore che portava nel cuore. San Leone Magno, parlando del martirio di san Lorenzo dice che le fiamme esteriori non erano però paragonabili al fuoco dello spirito che ardeva nel cuore del martire Il santo patrono Lorenzo aiuti noi ad amare i poveri, la Chiesa e l’Eucaristia come lui ha saputo testimoniare con sua vita. Amen!        ]]>

Il card. Gualtiero Bassetti ha presieduto nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia la solenne liturgia della festa del santo martire Lorenzo. Hanno concelebrato il vescovo emerito mons. Giuseppe Chiaretti e il presidente del Capitolo della cattedrale mons. Fausto Sciurpa.

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All’inizio di questa breve riflessione, in occasione della Festa del titolare della nostra basilica cattedrale, desidero porgere un cordiale e fraterno saluto ai reverendi membri del Capitolo di San Lorenzo, assieme a tutti i sacerdoti di varie parti del mondo, presenti a Perugia per motivi di studio. Un cordiale e deferente saluto anche alle autorità cittadine, alla Corale Laurenziana e a tutti i fedeli presenti. Il culto di San Lorenzo, diacono e martire della chiesa di Roma, si è diffuso nell’antichità in molte zone d’Italia e d’Europa. Esso è divenuto nel tempo icona viva della carità cristiana, praticata in modo eroico, fino al dono totale di se stessi e della propria vita. A lui ben si addicono le parole del salmo, ricordate anche da san Paolo: «Ha largheggiato, ha dato ai poveri, la sua giustizia dura in eterno». Nell’Anno del Giubileo straordinario della misericordia, san Lorenzo ci ricorda che la carità è manifestazione della misericordia. Se il cuore è pieno di grazia esso è anche aperto all’aiuto del prossimo. Se una Chiesa vive nell’amore del Signore, essa è attenta e sollecita alle sofferenze dei fratelli. La presenza di Gesù in mezzo ad una comunità è tanto più visibile quanto più essa risplende nell’aiuto a quanti soffrono per la malattia, la solitudine e la povertà. Tutti noi, sull’esempio di Lorenzo siamo chiamati a nutrire nel cuore sentimenti di misericordia e a vivere la carità con l’impegno di tutta la vita, come ci ha ammonito il Vangelo di Giovanni: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Solo consumati dall’amore del Signore, possiamo portare quel frutto che fa crescere il Regno di Dio e guadagnarci la vita eterna. Mossa dall’insegnamento del Vangelo e dall’esempio del patrono san Lorenzo, la Chiesa perusino-pievese, in questi ultimi tempi, travagliati dalla crisi economica, ha voluto esser presente in mezzo a tante realtà di sofferenza e umiliazione per portare una parola di speranza e un segno concreto di aiuto. Con le collette annuali del Fondo di Solidarietà si sono potute aiutare tante famiglie nel bisogno, con l’apertura dei quattro Empori della Solidarietà si sono create le condizioni perché a nessuno manchi mai il cibo per la propria famiglia, con l’accoglienza dei profughi si è voluto dar seguito alle parole di Gesù: “Ero forestiero e mi avete accolto”. A tal proposito desidero ringraziare la Caritas e tutti coloro che esercitano un volontariato attivo nei confronti del prossimo. Accanto al nutrimento materiale però non dobbiamo mai far mancare il quello dello spirito, fatto di vicinanza solidale, di comprensione, affetto e amore disinteressato. La crisi economica, se ha gettato molte realtà familiari (e soprattutto molti giovani) nel panico di una vita insicura, senza prospettive per l’avvenire, ha anche accresciuto in molti quell’apatia per la vita e per le relazioni umane, spesso sfociata in casi di efferata violenza, di soprusi familiari e di devastazione dell’esistenza, bruciata alla ricerca dell’evasione possibile, procurata dalla droga o da altri vizi distruttori, come l’alcool e il gioco d’azzardo patologico, che stanno devastando migliaia di persone e altrettante famiglie. Negli ultimi mesi, nella nostra città, abbiamo assistito, con sentimenti di impotenza, di rammarico e di dolore, alla morte per overdose di 16 persone: quasi due morti al mese, e quasi tutti giovani. Cosa si nasconde dietro queste tragiche morti, spesso in giovane età? Problemi economici, familiari, relazionali? Senza dubbio dietro queste morti c’è soprattutto il non senso della vita, quella noia esistenziale che tutto riduce a grigiore indistinto, ove non si trova più la forza per reagire con sussulti di fiducia e di speranza, c’è la perdita inesorabile di quel sano e salutare umanesimo cristiano, che per secoli è stato a fondamento dei valori e della dignità umana. La comunità cristiana e anche quella civile non possono non interrogarsi su questi fenomeni devastanti che, forse, non sono che la punta di un iceberg ben più vasto, fatto di tanti malesseri sovrapposti, che la società odierna, con tutta la sua seducente tecnologia, non riesce a debellare, anzi, quasi ne genera essa stessa sempre di nuovi. La carità oggi deve dunque assumere forme nuove: all’aiuto per il cibo e la casa è essenziale poter trovare le modalità necessarie per farsi incontro ai fratelli che non trovano un senso alla vita, che non trovano più il coraggio di andare avanti e si fermano sul bordo della strada. Cosa possiamo offrire a questi fratelli? Il nostro dono si chiama Gesù e la gioia del Vangelo può riempire “il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Lui. Conoscere il Signore può cambiare l’esistenza di tante persone; sanare molte sofferenze; portare speranza anche nei cuori refrattari ad ogni sollecitazione umana. Quello che possiamo donare non è tanto l’oro e l’argento (come disse l’apostolo Pietro al paralitico dinanzi alla Porta Bella del Tempio di Gerusalemme), quanto la fede in Gesù, e nel suo grande amore per tutti gli uomini, che deve essere anche il nostro amore. Papa Francesco parlando ai giovani di tutto il mondo, radunati a Cracovia per la Giornata Mondiale della Gioventù, ha voluto ricordare a tutti che: “un cuore misericordioso sa andare incontro agli altri, riesce ad abbracciare tutti. Un cuore misericordioso sa essere un rifugio per chi non ha mai avuto una casa o l’ha perduta, sa creare un ambiente di casa e di famiglia per chi ha dovuto emigrare, è capace di tenerezza e di compassione. Un cuore misericordioso sa condividere il pane con chi ha fame, un cuore misericordioso si apre per ricevere il profugo e il migrante… Quando il cuore è aperto e capace di sognare c’è posto per la misericordia, c’è posto per carezzare quelli che soffrono, c’è posto per mettersi accanto a quelli che non hanno pace nel cuore o mancano del necessario per vivere, o mancano della cosa più bella: la fede”. Il dono della fede è il più bel gesto di carità che possiamo offrire al mondo di oggi, immerso nelle brame del godimento effimero e nelle onde di quel mare di dubbi che tutto diluisce e degrada. E’ la fede che spinge a sognare, ad agire per un mondo migliore; è la fede che può spingere ciascuno di noi a donare se stesso per amore del prossimo. E’ la fede che ha mosso san Lorenzo nei suoi passi sulla via della carità ed è sempre la fede che lo ha sostenuto nell’ora tragica del martirio, divorato fisicamente dalle fiamme, simbolo di quell’amore che portava nel cuore. San Leone Magno, parlando del martirio di san Lorenzo dice che le fiamme esteriori non erano però paragonabili al fuoco dello spirito che ardeva nel cuore del martire Il santo patrono Lorenzo aiuti noi ad amare i poveri, la Chiesa e l’Eucaristia come lui ha saputo testimoniare con sua vita. Amen!        ]]>
Papa Assisi. Fra Stefano parla del “lavoro” quotidiano dei penitenzieri della Basilica https://www.lavoce.it/papa-assisi/ Sat, 06 Aug 2016 09:56:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47274 8La visita di Papa Francesco pellegrino alla Porziuncola è stata tutta centrata sul perdono e sulla misericordia, sia nei gesti che nelle parole. Anzitutto i gesti, a cominciare dalla sua presenza, dalla preghiera silenziosa nella Porziuncola, fino al non previsto mettersi al confessionale, e alla visita strettamente privata agli ospiti dell’infermeria del convento dei Frati minori di Santa Maria degli Angeli. Mettendosi al confessionale papa Francesco ha reso visivamente quello che è il “cuore” del messaggio, e il centro dell’attrattiva della Basilica della Porziuncola dove, ogni giorno, decine e centinaia di persone lì trovano qualcuno che li ascolta, li accoglie, li perdona in nome di Dio.

Di questo, che è l’attività quotidiana dei frati minori della Porziuncola e in particolare dei 12 penitenzieri che hanno come specifico ministero proprio quello della confessione, abbiamo parlato con padre Stefano Orsi al termine della giornata della visita di Papa Francesco.

 Padre Stefano, lei è uno dei 12 penitenzieri. Quello che a detto il Papa vi trovati in sintonia?
“Ci siamo trovati molto sintonia perché noi diciamo di perdonare e il luogo per giungere a questo perdono è proprio il sacramento della confessione che è molto abbandonato da chi ha smarrito il senso di Dio. Ecco allora che il sacramento della confessione è il luogo per ritrovarsi in Dio”.

I penitenzieri hanno una formazione specifica?
“La formazione è quella che riceviamo dagli studi che facciamo ma durante l’anno, nei momenti in cui ci sono meno pellegrini, abbiamo dei corsi di formazione permanente in cui trattiamo anche temi più scottanti quali quelli dell’etica. Ma la confessione è il luogo, è la chiave per entrare nella misericordia. Siamo tutti benedetti da Dio proprio perché  Dio ci vuole nel bene, nella gioia, nella serenità, e ci vuole elevare all’altezza del suo perdono, della sua misericordia”.

Sembra facile, ma immagino che stare in confessionale tanto tempo ad ascoltare le persone che portano loro dolori, i loro dubbi, non deve essere così semplice…
“Non è molto semplice anche perché si sta tante ore in ascolto, soprattutto di persone che spesso più che i peccati portano il loro dolore, la propria sofferenza di un lutto, o di una situazione familiare molto difficile. Molte volte il confessore richiama alla confessione vera e propria dei peccati, e si sente dire ‘meno male che ci siete voi che ascoltate, ed è anche gratis, mentre se andiamo da un medico ci tocca anche pagare’. Le persone sono molto contente di trovare qui uomini di Dio che li ascoltano. Vengono per cercare una parola di conforto per il loro cammino di fede e della vita. Però quello che dalla mia esperienza posso dire è che la gente si sente amata da Dio e quindi, proprio perché noi siamo generati da Dio dobbiamo andare di continuo verso Dio perché siamo stati consacrati a lui mediante il battesimo. È per questo che siamo chiamati a questa speranza che è radicata profondamente nella vita degli uomini”.

Si dice che nelle persone oggi manca il senso del peccato. È difficile accompagnarle ad una confessione del peccato?
“È molto difficile accompagnare le persone a ritrovare il senso di Dio, e quindi manca il senso del peccato perché manca il senso di Dio che l’uomo ha smarrito. Va riscoperto l’amore di Dio e la confessione è luogo per arrivare all’incontro con Dio, per essere certi di essere abbracciati da questo amore. E credere all’amore significa che anche nel dolore della propria sofferenza e del proprio peccato, si può cantare le meraviglie di Dio.

Voi vi trovate quasi sempre di fronte a degli sconosciuti , persone di cui non conoscete la storia. Come si fa ad entrare nella profondità del sacramento?
“Posso dire che quelli che vengono si aprono profondamente, forse perché si trovano di fronte a una persona che non conoscono, davanti alla quale è più facile aprire il cuore. Molti dicono che nella propria parrocchia trovano difficoltà a confessarsi, sia perché non c’è questa disponibilità, ma anche perché portare la parte più intima della loro vita al loro parroco li mette in difficoltà. Mentre qui trovandosi in un luogo, come quello della Porzaiuncola, con un frate che non conoscono si trovano a proprio agio, si crea familiarità. Molta gente piange perché finalmente ha trovato il modo di portare nelle mani del Signore la propria debolezza, la propria fragilità, ed essere poi sollevati da questo perdono, da questa misericordia di Dio che è sempre pronto ad andare verso gli altri”.

Molte persone vengono qui occasionalmente perché è una basilica in cui sanno che possono sempre trovare un confessore. Voi fare anche un percorso anche di accompagnamento delle persone?
“No, questa è un’altra cosa. Ci sono persone più vicino a noi, alla Basilica, persone di paesi qui vicino che chiedono un accompagnamento, e noi questo lo facciamo. Con i pellegrini che vengono da lontano non si può fare una cosa del genere”.

Se lei dovesse dire la sua responsabilità quando è nel confessionale, con una parola…
“La mia responsabilità è che io sono nel confessionale non con la mia idea ma nel nome della Chiesa, quindi devo comunicare al penitente ciò che la Chiesa mi dice riguardo certi argomenti”.

Ci sono delle confessioni che rimangono anche nella vita del confessore. Ce n’è qualcuna che si porta dentro?
“Una confessione di circa un anno fa, molto dolorosa per il penitente che faceva fatica ad esternare il proprio peccato e che alla fine della confessione mi disse ‘Adesso posso anche morire, ma morire in pace e in grazia di Dio’. Questo me lo porto sempre nel cuore”.

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Misericordia, cuore della vita consacrata https://www.lavoce.it/misericordia-cuore-della-vita-consacrata/ Fri, 29 Jan 2016 08:06:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45203 Padre-Domenico-CancianDurante quest’anno su La Voce ogni Istituto religioso presente in regione ha fatto conoscere il proprio carisma e la propria missione. Ci siamo resi conto della ricchezza della vita consacrata nelle nostre Chiese che hanno visto fiorire una moltitudine di sante e santi religiosi, alcuni dei quali fondatori e fondatrici di ordini e congregazioni noti in tutto il mondo. La felice coincidenza della chiusura dell’Anno della vita consacrata, il 2 febbraio 2016, con il Giubileo straordinario della Misericordia, da poco iniziato, entrambi voluti da papa Francesco, ci aiuta a fare una semplice e profonda affermazione conclusiva: la “misericordia”, che è al centro del Vangelo, “deve essere anche al cuore di ogni carisma religioso”, in modo ancora più deciso. La Parola di Gesù: “Siate misericordiosi come il Padre“ è rivolta in modo tutto particolare alle persone consacrate che si propongono la sequela radicale di Gesù. Più precisamente, questo comporta alcuni orientamenti.

1. Ogni vocazione, quella religiosa in particolare, proviene da uno sguardo che è allo stesso tempo espressione di misericordia e di elezione da parte del Signore ( miserando atque eligendo). Solo nella misura in cui si è consapevoli di avere ricevuto e di ricevere continuamente in modo personale l’amore misericordioso, si può offrire la gioiosa testimonianza del vangelo.

2. Da questa esperienza personale, sempre più coinvolgente, scaturisce l’impegno di “trasformare le comunità religiose” in luoghi nei quali ogni giorno s’impara a mettere in atto il dono e il perdono reciproco, la correzione fraterna, la mutua accoglienza delle diversità e il servizio.

3. L’esperienza personale e comunitaria della misericordia dovrebbe portarci ancora più a vivere la missione di Gesù stesso: “portare il Vangelo dell’amore misericordioso” ai poveri con le opere di misericordia corporale e spirituale, portare la tenerezza di Dio agli uomini sfiduciati che, feriti dalla vita, hanno chiuso il cuore alla speranza.

San Francesco nel suo Testamento ha lasciato scritto che egli aveva imparato fin dalla sua conversione una cosa: facere misericordiam . Del resto, non sono stati forse i carismi religiosi a tenere in piedi “l’architrave della misericordia” e a sorreggere la vita della Chiesa? La stessa appartenenza di papa Francesco all’ordine religioso dei Gesuiti è per lui un notevole aiuto nell’opera di rinnovamento della Chiesa e del mondo. Il Papa parla della “rivoluzione della tenerezza”.

Egli dice che tutto “dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza” e nulla “può essere privo di Misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’Amore misericordioso e compassionevole” ( MV 10).

Chiediamoci come questo volto misericordioso, che è il cuore del vangelo, possa e debba “rivoluzionare” il nostro modo di pensare e di vivere, di celebrare e di testimoniare con le opere caritative la missione stessa di Cristo. Ciò richiede una profonda revisione di vita che porti a superare pesantezza e stanchezza, a non cedere alla mediocrità e alla mondanità spirituale, a non fare della vita consacrata un luogo protetto, a svegliarsi e ad abbandonare ogni stile di vita non evangelico.

Come dare oggi un volto all’amore misericordioso di Dio? Santa Teresa del Bambin Gesù si è offerta vittima all’Amore misericordioso, moltiplicando le attenzioni nei confronti delle sorelle, intercedendo incessantemente per le necessità della Chiesa missionaria. Santa Faustina Kowalska chiede al Signore la grazia di essere interamente trasformata nella sua divina misericordia: occhi, udito, lingua, mani, piedi e cuore. La Beata Madre Speranza diceva: “Un amore che non opera non è amore, se non riscalda e non brucia non è amore”. Insomma la Misericordia porta a vivere la consegna che il Papa aveva dato per l’anno della vita consacrata: “Vangelo, Profezia e Speranza”.

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Il Vangelo della domenica. Anziché mormorare, ama! https://www.lavoce.it/anziche-mormorare-ama/ https://www.lavoce.it/anziche-mormorare-ama/#comments Thu, 28 Jan 2016 15:31:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45206 MESSALE metti piccola in commento al vangeloNell’udienza di mercoledì 27, dopo la ‘variante’ del 22 gennaio in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, Papa Francesco ha ripreso la serie di riflessioni di approfondimento sulla misericordia nella Bibbia (testo integrale su w2.vatican.va ). “Nella sacra Scrittura ha esordito – la misericordia di Dio è presente lungo tutta la storia del popolo d’Israele. Con la Sua misericordia, il Signore accompagna il cammino dei Patriarchi, dona loro dei figli malgrado la condizione di sterilità, li conduce per sentieri di grazia e di riconciliazione”.
Dopo aver ricordato la condizione di schiavitù degli israeliti in Egitto, Bergoglio ha aggiunto: “La misericordia [di Dio] non può rimanere indifferente davanti alla sofferenza degli oppressi, al grido di chi è sottoposto a violenza, ridotto in schiavitù, condannato a morte. È una dolorosa realtà che affligge ogni epoca, compresa la nostra, e che fa sentire spesso impotenti, tentati di indurire il cuore, e pensare ad altro”.
Ma “il Dio di misericordia risponde e si prende cura dei poveri, di coloro che gridano la loro disperazione. Dio ascolta e interviene per salvare, suscitando uomini capaci di sentire il gemito della sofferenza e di operare in favore degli oppressi…
È così che comincia la storia di Mosè come mediatore di liberazione per il popolo. Egli affronta il faraone per convincerlo a lasciare partire Israele; e poi guiderà il popolo, attraverso il Mar Rosso e il deserto, verso la libertà”. Ciò che è avvenuto millenni fa, vale ancora oggi: “La misericordia di Dio agisce sempre per salvare. È tutto il contrario dell’opera di quelli che agiscono sempre per uccidere, ad esempio quelli che fanno le guerre. Il Signore, mediante il suo servo Mosè, guida Israele nel deserto come fosse un figlio, lo educa alla fede e fa alleanza con lui, creando un legame d’amore fortissimo, come quello del padre con il figlio e dello sposo con la sposa”.
Ma ha senso – si è chiesto il Papa – parlare di scelta, predilezione, per Dio che è già Signore di tutto e di tutti? “Certo ha risposto -, Dio possiede già tutta la Terra perché l’ha creata, ma il popolo diventa per Lui un possesso diverso, speciale: la sua personale ‘riserva di oro e argento’…
Ebbene, tali noi diventiamo per Dio accogliendo la Sua alleanza e lasciandoci salvare da Lui. La misericordia del Signore rende l’uomo prezioso come una ricchezza personale che Gli appartiene, che Egli custodisce e in cui si compiace”. In conclusione, “sono queste le meraviglie della misericordia divina, che giunge a pieno compimento nel Signore Gesù, in quella nuova ed eterna alleanza consumata nel suo sangue, che con il perdono distrugge il nostro peccato e ci rende definitivamente figli di Dio (cfr. 1Gv 3,1), gioielli preziosi nelle mani del Padre buono e misericordioso”.

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Sta per iniziare un anno di gioia https://www.lavoce.it/sta-per-iniziare-un-anno-di-gioia/ Sat, 05 Dec 2015 08:56:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44571 duomo-terniLa porta santa, le indulgenze e il pellegrinaggio sono i segni che caratterizzano ogni Giubileo.

Secondo le intenzioni del Pontefice, stabilite dalla bolla di indizione Misericordiae vultus, dopo l’apertura tradizionale delle 4 porte sante di Roma, ogni Chiesa particolare potrà aprire per tutto l’Anno santo una sua porta della Misericordia, dando la possibilità di ottenere l’indulgenza anche ai pellegrini che non si recano a Roma.

In diocesi domenica 13 dicembre sarà aperta la porta santa della cattedrale di Terni, chiesa madre della diocesi che sarà l’unica per tutto l’anno giubilare in cui ci si potrà recare pellegrini e lucrare l’indulgenza. La cerimonia dell’apertura della porta sarà caratterizzata da due momenti: il primo con il ritrovo dei pellegrini alle ore 17 nella chiesa di San Pietro a Terni per la liturgia introduttiva, cui seguirà la processione verso la cattedrale dove alle 17.30 il vescovo Piemontese aprirà la porta santa, quella centrale della chiesa, e presiederà la concelebrazione eucaristica con i sacerdoti della diocesi. Nella Cattedrale è anche venerata l’immagine della Madonna della Misericordia copatrona della diocesi a cui la tradizione attribuisce manifestazioni prodigiose.

“Inizia un anno di gioia – ricorda il Vescovo – e di consolazione, donato a ogni cristiano e proposto a ogni uomo di buona volontà. Un anno per far pace con Dio, con se stessi e con il prossimo; un anno per raccogliere l’amnistia di colpe e di pene ammassate nei sotterranei dell’animo e nel fluire del tempo; un anno di condono, secondo l’antica tradizione e usanza del popolo di Israele, di debiti morali, sociali, e perché no, anche economici, accumulati nei lunghi anni della personale crisi esistenziale e religiosa. Questo anno santo della Misericordia giunge opportuno per educarci alla compassione, alla umanità, per farci sperimentare il perdono, l’amnistia e la misericordia di Dio e dei nostri fratelli, compagni di cammino”.

Nell’anno giubilare saranno proposti pellegrinaggi alla cattedrale di Terni per le diverse Foranie della diocesi, il giubileo dei carcerati nella casa circondariale di Terni dove il 14 dicembre sarà aperta la porta santa, quello all’ospedale di Terni, e il giubileo dei malati e degli operatori del volontariato in cattedrale, il giubileo della vita consacrata, il giubileo delle famiglie, dei comunicandi e dei cresimandi e ministranti, il giubileo dei lavoratori, quello delle istituzioni civili e militari sempre nella cattedrale di Terni.

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San Francesco è la Chiesa Giubilare https://www.lavoce.it/san-francesco-e-la-chiesa-giubilare/ Sat, 05 Dec 2015 08:48:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44568 La chiesa di San Francesco
La chiesa di San Francesco

La diocesi eugubina si prepara a vivere con solennità e partecipazione l’inizio dell’Anno giubilare della Misericordia indetto da Papa Francesco. Lo ricorda a tutti il vescovo mons. Mario Ceccobelli che nell’introduzione a Camminiamo, il periodico di collegamento diocesano, così scrive: “L’8 dicembre sarà aperta la porta santa nella Basilica vaticana e quindi domenica 13 in tutte le diocesi.

È la grande novità di questo Giubileo straordinario: non solo Roma sarà meta di pellegrinaggio, ma anche ogni diocesi del mondo. Dò dunque appuntamento a tutti i fedeli della diocesi alle ore 16.30 nella chiesa di San Giovanni, per poi recarci processionalmente alla chiesa di San Francesco [scelta come chiesa giubilare diocesana, ndr] per attraversare la porta santa della Misericordia [quella che si apre dalla parte dei giardini pubblici, ndr].

Questo gesto che domenica faremo tutti insieme potrà essere ripetuto durante il corso dell’anno sia dalle comunità parrocchiali sia dai singoli. Varcare la porta santa non è tanto un gesto fisico, ma profondamente spirituale. Richiede un serio cammino di fede che più saprà coinvolgere la persona nel profondo più sarà fruttuoso e gratificante. Vivremo con frutto spirituale il Giubileo se, oltrepassando la porta santa, sapremo incontrare Gesù Cristo che è il volto della misericordia del Padre”.

Per aiutare a entrare nella spiritualità del Giubileo e cogliere la straordinaria occasione a disposizione, nel chiostro piccolo del convento di San Francesco, detto “della pace”, saranno installati dei pannelli e proiettato un video realizzato per l’occasione. Inoltre un gruppo di volontari, che si sta preparando da tempo, curerà l’accoglienza dei pellegrini aiutandoli a vivere questa esperienza spirituale.

“Per prepararci all’apertura della porta santa – ricorda ancora Ceccobelli – sono in programma due incontri, giovedì 10 e venerdì 11 dicembre, alle ore 21 nel salone di San Filippo in via Cairoli. Il biblista padre Giulio Michelini ci parlerà della misericordia nella Bibbia e suor Roberta Vinerba della misericordia in Papa Francesco: entrambi i relatori sono docenti presso l’Istituto teologico di Assisi”.

Questo, in dettaglio, il programma di domenica 13 dicembre: ore 16.30 chiesa di San Giovanni, inizio della celebrazione con la memoria del battesimo; al termine, processione attraverso piazza San Giovanni – via della Repubblica – piazza 40 Martiri fino alla porta santa della chiesa di San Francesco.

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Accolti dal Padre misericordioso https://www.lavoce.it/accolti-dal-padre-misericordioso/ Sat, 21 Nov 2015 16:58:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44466 Sinodo-cmykSi può “vivere” – pienamente – senza un Padre? Si può vivere senza sapere che il nostro Dio si fa chiamare Abbà, “papà”?

Ricordo, alcuni anni fa: arriva in carcere una donna che aveva ucciso la mamma. Disperata, in stato confusionale, possiamo immaginarlo. Gli agenti mi consigliavano di stare lontano dalla cella, poteva essere pericoloso. Invece mi avvicinai, le domandai se conosceva questo racconto del Vangelo. “No”, mi rispose.

Glielo raccontai, le parlai di un Padre che non rifiuta mai l’abbraccio ai figli… Mi sembrò che si rasserenasse un po’. La trasferirono subito dopo, e non la rividi più… Ho la speranza che quel piccolo racconto le abbia aperto uno spiraglio di cielo.

La Chiesa, al Sinodo, si è come fermata, ha provato a sostare e guardare ancora una volta al cuore di questo Padre, per imparare ancora una volta la misericordia.

E se questo Padre ha un abbraccio per un figlio che ha commesso un omicidio, lo rifiuterà a un figlio che si trova in una situazione matrimoniale “irregolare”?

Sappiamo bene la differenza tra un “atto” e una “situazione”; eppure anche per chi si trovasse in una situazione che non è più possibile cambiare, non ci sarà un sentiero per l’incontro con il Padre? E se non si potrà muovere il figlio, non si muoverà il Padre per andare, lui, a cercarlo?

Uno dei Padri sinodali, in un’intervista, aveva sostenuto che è vero che il Padre abbraccia il figlio e lo perdona, ma solo perché è tornato a casa – come a dire, il Padre aspetta, immobile.

Ma è così? Un Padre fermo che non va incontro al figlio? Il racconto del Vangelo dice il contrario: questo Padre, quando vede il figlio, “gli corse incontro”.

Ma supponiamo che questo figlio, che se n’è andato di casa, pur desiderando tornare, non possa più farlo: ha ripensato al suo gesto, si è pentito, ha deciso di tornare (“Mi alzerò e tornerò da mio padre”), ma ci sono delle circostanze che glielo impediscono (per rimanere nella parabola: la strada è interrotta, lui è malato…).

Che farà il Padre?

Quando ero al Sinodo, ho fatto questa domanda (tramite WA, un sistema di comunicazione di gruppo) a varie persone della parrocchia. Tutti mi hanno risposto che il Padre andrà, lui, alla ricerca del figlio rimasto intrappolato lontano.

Questo padre che, “vistolo, gli corse incontro”, se non lo vede, continuerà la sua corsa… E porterà con sé la veste e i sandali e l’anello (forse non il “vitello grasso”!), e sarà lui a muoversi per abbracciare il figlio che vorrebbe, ma non può più tornare.

Alcuni vescovi, soprattutto sudamericani, descrivevano la situazione di una donna, per esempio, sposata ma poi abbandonata dal marito che magari le ha lasciato anche vari figli (accade spesso, purtroppo). Se poi incontra e accetta di stare con un uomo che accoglie e sostiene lei e i figli, sarà rifiutata per sempre da Dio Padre? Se, per amore dei figli, pur desiderando un matrimonio “regolare”, accetta questa convivenza, potrà essere condannata ed esclusa per sempre dalla Chiesa?

Questa domanda, dolorosa, è risuonata nel Sinodo.

Nel documento conclusivo non c’è una riposta definitiva; ma il “cuore” della Chiesa si è fatto sensibile a questa situazione.

Il Papa nell’esortazione post-sinodale (già annunciata) ci indicherà i sentieri da percorrere.

Là dove il figlio, pur desideroso di tornare, non “potrà” farlo, sentirà – una volta o l’altra – bussare alla sua porta. E andando ad aprire, lo sorprenderà il sorriso e l’abbraccio del “papà” (Abbà).

 

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Chiesa viva e coraggiosa https://www.lavoce.it/chiesa-viva-e-coraggiosa/ Fri, 13 Nov 2015 13:36:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44415 Firenze, 10 novembre 2015, i lavori del Convegno Ecclesiale
Firenze, 10 novembre 2015, i lavori del Convegno Ecclesiale

“Fare il punto sul nostro cammino di fedeltà al rinnovamento promosso dal Concilio, e aprire nuove strade all’annuncio del Vangelo”: questo – ha riassunto mons. Cesare Nosiglia, presidente del Comitato preparatorio – lo scopo del Convegno ecclesiale nazionale appena conclusosi a Firenze. Nel momento in cui scriviamo, l’evento è ancora nelle fasi iniziali; valutazioni più approfondite compariranno sul prossimo numero de La Voce. Al Convegno (9-13 novembre) erano presenti 2.200 delegati di tutte le componenti della Chiesa italiana, incluse varie personalità dalle diocesi umbre e dal nostro settimanale, a diverso titolo.

“Discernimento” e “amore per questo nostro Paese” erano le parole d’ordine risuonate all’inizio della prolusione di mons. Nosiglia.

Quello di Firenze intendeva essere “un umanesimo che è in ascolto; concreto; plurale e integrale; d’interiorità e trascendenza”, in continuità con i Convegni ecclesiali di Palermo e di Verona, anche se – ha sottolineato – quella del discernimento è rimasta un’indicazione “non ancora pienamente accolta nelle nostre comunità, che fanno fatica a incarnarsi nei loro territori per diventarne lievito di umanità redenta e riconciliata perché fondata sulla misericordia di Dio”.

In particolare, la prima area d’impegno indicata come priorità nella prolusione è “la famiglia, voluta da Dio come custode della vita e fonte dell’autentico amore, in cui i figli possano e debbano usufruire dell’apporto congiunto del padre e della madre”. È questa “l’architrave insostituibile di ogni società e garanzia del suo futuro, e per questo va salvaguardata, promossa e valorizzata anche sul piano legislativo ed economico, nelle sue potenzialità umane, spirituali e sociali”.

Riguardo al discorso iniziale di Papa Francesco (vedi articolo correlato), è stato “un vero e proprio discorso d’indirizzo”, ha commentato Gian Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano. Il tema dell’uscita – aggiunge – ha attraversato “il lungo discorso (durato 50 minuti e interrotto per 24 volte dagli applausi) a tutta la Chiesa in Italia, una riflessione centrata su Gesù, ‘nostra luce’ e ‘giudice di misericordia’, unico metro dell’umanesimo cristiano. Declinando in questo modo il tema del convegno nazionale, Papa Francesco ha chiesto che, ‘in un esempio di sinodalità’, i cattolici italiani si confrontino con i tratti distintivi di questo umanesimo.

Nel chiedere alla Chiesa in Italia di avviare — ‘in modo sinodale’ nelle sue comunità, parrocchie, diocesi — una riflessione sulla Evangelii gaudium e nel raccomandarle inquietudine per essere vicina ad abbandonati, dimenticati, imperfetti, Papa Francesco consegna nel suo discorso un’immagine toccante e bellissima, tratta dalla storia della carità: quella della medaglia spezzata che madri disperate lasciavano insieme ai loro bimbi abbandonati per necessità, ma conservando l’altra metà e la speranza in futuro di riconoscerli. Come la Chiesa Madre, che desidera riconoscere e abbracciare ‘tutti i suoi figli abbandonati’”.

Mercoledì 11, a sorpresa, il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, ha annunciato 5 videoclip realizzate da Tv2000 sulle “5 vie” del Convegno: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. Le clip – ha spiegato il segretario della Cei – “sono presentate in maniera provocatoria: si dice cosa non bisogna fare per uscire veramente, per annunciare in maniera efficace, per abitare, per educare, per trasfigurare. Tutto il negativo sta già lì. Nei gruppi bisogna andare oltre, indicare percorsi, strade, obiettivi concreti, veri, belli”.

Il sociologo Mauro Magatti, intervenuto mercoledì al Convegno, nella relazione introduttiva ai lavori dei gruppi ha auspicato “una Chiesa ardente, coraggiosa, povera; in cammino, che si sa popolo e vicina al popolo”, guarda con simpatia ogni uomo, soprattutto “chi è scartato”. Specificando: “Non si tratta di cominciare da zero. Le nostre comunità sono già al lavoro. Senza clamore”.

La Chiesa italiana – ha aggiunto – “ha, nei confronti dell’Italia, una grande responsabilità: essere custode audace e creativa di una storia e di una terra che hanno molto da dire al tempo che l’umanità sta vivendo. La società italiana ha bisogno di una Chiesa viva”.

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L’umanesimo è Gesù https://www.lavoce.it/lumanesimo-e-gesu/ Fri, 13 Nov 2015 13:30:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44413 Firenze, 10 novembre 2015, Papa Francesco parla al Convegno Ecclesiale
Firenze, 10 novembre 2015, Papa Francesco parla al Convegno Ecclesiale

Denso e articolato il discorso di Papa Francesco nella cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze ai partecipanti al V Convegno nazionale della Chiesa italiana, dal tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” (vedi articolo correlato). Ne selezioniamo alcuni passaggi; il testo completo può essere letto sul sito www.vatican.va.

“Possiamo parlare di umanesimo – ha affermato Bergoglio – solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in lui i tratti del volto autentico dell’Uomo. È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo ‘addomesticare’ la potenza del volto di Cristo”.

Ha quindi approfondito tre aspetti di questo umanesimo cristiano. “Il primo sentimento è l’umiltà… L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria ‘dignità’, la propria influenza, non deve far parte dei nostri sentimenti. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio, e questa non coincide con la nostra. La gloria di Dio che sfolgora nell’umiltà della grotta di Betlemme o nel disonore della croce di Cristo ci sorprende sempre.

Un altro sentimento di Gesù che dà forma all’umanesimo cristiano è il disinteresse… L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio… La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito santo. Dobbiamo seguire questo impulso per uscire da noi stessi, per essere uomini secondo il Vangelo di Gesù. Qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi. È lì che trascende se stessa, che arriva ad essere feconda.

Un ulteriore sentimento di Cristo Gesù è quello della beatitudine… Nelle Beatitudini il Signore ci indica il cammino. Percorrendolo, noi esseri umani possiamo arrivare alla felicità più autenticamente umana e divina. Gesù parla della felicità che sperimentiamo solo quando siamo poveri nello spirito”. E proprio “nella parte più umile della nostra gente c’è molto di questa beatitudine: è quella di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato, ma svolto per amore verso le persone care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre, alimentano una grandezza umile”.

Verso la conclusione del discorso, il Papa ha quindi offerto il suo ritratto ideale della Chiesa italiana: “Mi piace – ha detto – una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta con il volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà! L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura.

Permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sopra le priorità che avete individuato in questo Convegno. Sono sicuro della vostra capacità di mettervi in movimento creativo per concretizzare questo studio. Ne sono sicuro perché siete una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti. Perciò siate creativi nell’esprimere quel genio che i vostri grandi, da Dante a Michelangelo, hanno espresso in maniera ineguagliabile. Credete al genio del cristianesimo italiano, che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di questo straordinario Paese”.

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Papa Francesco a Firenze incontra i delegati al Convengo della Chiesa italiana https://www.lavoce.it/papa-francesco-a-firenze-incontra-i-delegati-al-convengo-della-chiesa-italiana/ Sat, 07 Nov 2015 08:05:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44334 firenzeCi siamo. Il “Convegno” sta per iniziare. Il Papa è in arrivo. La Toscana si appresta a vivere un momento storico. Non è esagerato pensarlo. La Chiesa italiana si riunisce a Firenze per confrontarsi sulla complessità del momento presente e per progettare la pastorale del prossimo decennio. Lo fa nel nome dell’umanesimo, che è e resta cristiano.

Francesco mette piede per la prima volta in terra toscana, prima a Prato e poi a Firenze. Incontra il mondo del lavoro (anche di quello che non c’è), gli immigrati, prega con i malati, pranza con i poveri, celebra l’Eucarestia con i pastori e i fedeli delle Chiese che sono in Toscana. Ma soprattutto indica la strada ai cattolici italiani.

C’è molta attesa per quello che il Santo Padre dirà ai delegati delle diocesi al Convegno ecclesiale nazionale. È inevitabile che sia lui, arrivando praticamente all’inizio dei lavori, a dare il senso a un’assise che deve affrontare, come è stato spiegato, il trapasso culturale e sociale che caratterizza il nostro tempo e che incide sempre più nella mentalità e nel costume delle persone, sradicando a volte principi e valori fondamentali per l’esistenza personale, familiare e sociale. I delegati, riuniti in piccoli gruppi, lo dovranno fare leggendo i segni dei tempi e parlando il linguaggio dell’amore. Non sarà quindi un convegno come tutti gli altri. Non ci sarà chi enuncia e chi ascolta. Sarà partecipato e condiviso, anche nello stile e nell’organizzazione, perché dopo questi giorni saremo tutti chiamati concretamente a uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. A ricostruire una mentalità di fede capace di confrontarsi con la cultura attuale. A fare opere di umanizzazione di ciò che appare oggi disumano.

La culla stessa dell’umanesimo, la città di Firenze, sarà chiamata a interagire. Presenterà il suo volto più bello, quello del sacro che diventa umano. Con trenta incontri in altrettanti luoghi significativi aiuterà gli ospiti a guardare al passato, ma anche al presente, per costruire un futuro migliore. A sua volta dovrà rinnovarsi, contribuire alla vera umanità, allo spirito di condivisione, alla fraternità. Lo stesso dovrà fare la città di Prato, che il suo Vescovo definisce “laboratorio difficile e bello, complesso e affascinante per sperimentare l’integrazione, la convivenza, la pace”.

Dall’incontro con Papa Francesco e dalla “contaminazione” del Convegno ecclesiale nazionale, le Comunità toscane, e insieme a loro tutte le Chiese in Italia, dovranno ripartire dialogando con chi si dichiarerà disponibile, rilanciando la prospettiva di un nuovo umanesimo, che unisca e non divida, che accolga e non escluda, un umanesimo che faccia respirare il senso dell’eterno anche nelle attività di tutti i giorni.

Poi, senza riprendere fiato, ci tufferemo nel Giubileo della misericordia, in quell’anno in cui dovremo lasciarci sorprendere da Dio. E quella sì che sarà aria buona da respirare a pieni polmoni: momento ideale per un’inversione di marcia, per una conversione, per un cambiamento di vita, per un autentico nuovo umanesimo perché la misericordia è la via che unisce Dio e l’uomo.

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Lo “spirito di Assisi” incontra il giubileo della Misericordia https://www.lavoce.it/spirito-di-assisi-convegno-ad-assisi-il-28-ottobre-ecco-qualche-anticipazione-da-uno-dei-relatori/ Fri, 23 Oct 2015 16:05:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44062 assisi-001-1986-cmykDi fronte al dramma della pace ferita vengono spesso paventate ricette di tipo sociologico, militare, economico, politico. In realtà il problema della pace va ricondotto alle sue radici spirituali e religiose che riguardano l’idea di Dio e dell’uomo.

Papa Francesco nella Evangelii gaudium traccia due immagini di Chiesa utili a un serio discernimento ecclesiale. Da un lato scorge una Chiesa con la “faccia da funerale”, dall’altra prospetta la gioia. All’immagine di un cristianesimo triste e senza slancio corrisponde la tentazione di possedere l’immagine di Dio. Quando ci affidiamo alle “strutture”, quando pensiamo che le abitudini siano irreversibili, quando ci accontentiamo di pensieri standardizzati e rassicuranti, allora Dio viene catturato nella presunzione – da parte dell’uomo – di conoscerne l’identità. Questo simulato possesso genera l’orgoglio di detenere la verità, e si aprono così le porte alla violenza e al fanatismo.

Al contrario, una Chiesa che va “in uscita” e affronta la sfida della conversione alla gioia rinnova la consapevolezza del mistero inesauribile di Dio. L’immagine biblica di Mosè che contempla le “spalle” di Dio (Es 33,23) e quella evangelica di Pietro, invitato a “ritornare dietro” (Mt 16,23), sono indicative del corretto modo di porsi. La Chiesa è chiamata a riprendere confidenza con un atteggiamento umile e contemplativo.

Di pari passo con il cambiamento dell’idea di Dio, cambia anche l’idea dell’Uomo. Quando prevale la preoccupazione di assicurarsi punti fermi, quando il primato viene dato ai risultati e quando si vuole stare al sicuro, la Chiesa incorre nell’errore di affidarsi a umanesimi di basso profilo.

Una Chiesa che vive invece la priorità di una pastorale missionaria non si alletta con le illusorie immagini antropologiche di turno, ma riscopre il senso dell’altissima vocazione umana. L’uomo è veramente se stesso quando viene divinizzato. Avere lo sguardo fisso su questo “umanesimo non umano” permette di curare la malattia antropologica dell’uomo contemporaneo e smentisce l’errore di un’eccessiva insistenza sul moralismo e su un cristianesimo concepito solo in forma etica.

Il problema della pace si radica su queste basi. Finché l’uomo sarà “detto” a partire da definizioni contingenti, e finché Dio sarà concepito rigidamente a partire da precomprensioni e modelli fissi, la convivenza umana sarà appesantita da varie tare e sfocerà in una inevitabile deriva.

Occorre superare queste strettoie, occorre navigare al largo. Ma come fare? Qui si innesta il pensiero sulla misericordia. Essa, intesa secondo il suo autentico significato biblico, è un’esperienza di negazione di sé e, come decentramento della propria vita, invita a scoprire il valore trascendente dell’altro e di Dio. Solo la misericordia che rovescia le prospettive è capace di curare le ferite della pace mediante l’amore. L’Incarnazione è misericordia poiché costituisce l’evento del Dio che, assumendo la natura umana, diventa solidale con la nostra esperienza. Così intesa, prospetta l’uomo dal punto di vista di Dio e ci fa incontrare Dio nelle piccolezza del frammento. Riscoprendo questo linguaggio di amore servizievole e donativo, riscoprendo il volto della prossimità di un Dio che non può essere catturato in definizioni, rivolgendo lo sguardo all’amore, l’uomo diventa capace di tenere a freno la sua “volontà di potenza” e di vincere la tentazione dell’amore egoistico di sé, aprendosi alla prospettiva inedita di un Amore che trasfigura le cose, le persone, le realtà.

Solo nella misura in cui in atteggiamento contemplativo, alla scuola della Misericordia, il cristiano di oggi si porrà al cospetto del Mistero divino e riscoprirà l’altezza della vocazione divina dell’Uomo, si darà la possibilità di instaurare una pace veritiera.

 

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Spirito di Assisi. Preghiera e convegno il 27 e 28 ottobre https://www.lavoce.it/spirito-di-assisi-preghiera-e-convegno-il-27-e-28-ottobre/ Fri, 23 Oct 2015 15:55:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44058 assisi-001-1986-cmykChe lo ‘spirito di Assisi’ possa ispirare i Capi di Stato e di governo delle terre interessate da guerre e combattimenti così come ispirò il Santo Padre san Giovanni Paolo II quando il 27 ottobre del 1986 chiamò a raccolta, qui in Assisi, i rappresentanti di tutte le religioni”. È l’appello che il vescovo della diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino mons. Domenico Sorrentino lancia in vista del 29° anniversario dello storico incontro per la pace voluto da Papa Wojtyla, che si svolgerà in Assisi il 27 e 28 ottobre. “Purtroppo – aggiunge mons. Sorrentino – a distanza di 29 anni e nonostante i cambiamenti politici, economici e sociali che hanno interessato il pianeta, i fatti di cronaca di questi giorni ci dimostrano che parlare di pace, di rispetto tra culture diverse, di reciproca convivenza, è quanto mai necessario. E come città del Santo che più di ogni altro ha incarnato in se stesso l’accoglimento dell’altro, vogliamo provare a lanciare un messaggio forte affinché la misericordia prevalga sulla vendetta e il dialogo sull’uso delle armi. Mi auguro – conclude – che ci sia una forte partecipazione anche per prepararci al meglio all’appuntamento dell’anno prossimo al quale speriamo possa intervenire Papa Francesco per rinnovare, da Assisi, un impegno forte e globale di tutti i capi religiosi per la pace nel mondo”. L’evento è organizzato dalla diocesi con le famiglie francescane, il Comune di Assisi e altri enti.

IL PROGRAMMA
Martedì 27 ore 15 visita guidata con padre Silvestro Bejan, direttore del Centro francescano internazionale per il dialogo (Cefid), alla mostra di acqueforti Marc Chagall e la Bibbia presso il museo del tesoro del Sacro Convento; ore 16.30, sala Frate Elia della basilica papale di San Francesco, invocazioni dei Figli di Abramo per la pace: introduzione di fratel Daniele Moretto della Comunità di Bose; invocazioni di: rav Joseph Levi, rabbino capo di Firenze, mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi – Nocera Umbra  -Gualdo Tadino, Abdel Qader, imam di Perugia e Nader Akkad, imam di Trieste e delegato per il dialogo interreligioso dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia (Ucoii); ore 21 preghiera ecumenica per la pace nella basilica di Santa Maria degli Angeli.

Mercoledì 28 ore 9 – 12, salone papale del Sacro Convento, convegno teologico “La pace ferita. Travisamento di Dio, sfiguramento dell’uomo. L’alternativa della misericordia” con Shahrzad Houshmand, teologa musulmana, docente alla pontificia università Gregoriana di Roma; Francesco Testaferri, docente ordinario di Teologia fondamentale all’Istituto teologico di Assisi; Vittorio Robiati Bendaud, coordinatore delle attività culturali della Fondazione Maimonide.

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SINODO FAMIGLIA. Soluzioni a misura di persone https://www.lavoce.it/sinodo-famiglia-soluzioni-a-misura-di-persone/ Fri, 23 Oct 2015 13:50:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43974 Vescovi da tutto il mondo al Sinodo sulla famiglia
Vescovi da tutto il mondo al Sinodo sulla famiglia

A un matrimonio, a Cana, Gesù fece praticamente il suo primo miracolo. Il Sinodo compie 50 anni, quelle che chiameremmo “nozze d’oro”, proprio durante la sua convocazione per riflettere sulla vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo.

Tutte le famiglie del mondo, quelle di buona volontà che credono nella serietà del proprio impegno, e quelle cristiane in particolare, possono essere orgogliose di tanta attenzione affinché i loro bisogni spirituali e pratici siano ascoltati, condivisi, vagliati e avviati verso una possibile risoluzione.

Sabato 17 ottobre c’è stata appunto la commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi; nell’aula dedicata a Paolo VI, Papa Francesco nel suo discorso ha definito il Sinodo “una delle eredità più preziose dell’ultima assise conciliare” e ha ricordato come fosse nelle intenzioni di quel suo predecessore che esso dovesse riflettere l’immagine appunto del Concilio ecumenico, il suo spirito e i suoi metodi. “Il mondo in cui viviamo – ha proseguito ancora – e che siamo chiamati ad amare e servire anche nelle sue contraddizioni, esige dalla Chiesa il potenziamento delle sinergie in tutti gli ambiti della sua missione”. Sono queste parole la chiave di lettura di tutte le fatiche che i Padri sinodali stanno affrontando e di tutte le energie che si stanno mettendo in campo.

Discenti… ma attivi

Per quanto riguarda il complesso delle istanze delle famiglie d’oggi, il Papa ha aggiunto di non voler tenere separate la Ecclesia docens dalla Ecclesia discens poiché “anche il gregge possiede un proprio fiuto per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa”. Il popolo fedele non è solamente recettivo delle azioni di altri che decidono per lui, ma anche soggetto attivo di evangelizzazione in virtù del battesimo ricevuto. La Chiesa “sinodale” che Papa Francesco si augura di far nascere lascia ai vari episcopati locali il compito di discernere le problematiche relative ai territori di competenza.

La canonizzazione, domenica 18 ottobre, di una coppia di sposi – Ludovico Martin e Maria Azelia Guerin, i genitori di santa Teresina del Bambin Gesù – ha ulteriormente suggellato il clima di festa dedicato in questo periodo alla famiglia.

Con il fiato sospeso

I lavori della settimana sono proseguiti a ritmo serrato, aprendo lunedì 19 ottobre il dibattito tanto atteso sulla terza parte dell’Instrumentum laboris. Il rumore mediatico è stato alto: inutile negare che l’omosessualità, le convivenze, la paternità responsabile e l’ammissione al sacramento dell’eucarestia dei divorziati risposati sono gli argomenti la cui discussione è più seguita, con appassionata partecipazione e fiato sospeso. Ci si interroga in fondo sulla sessualità e sul suo ruolo nella vita umana, questione aperta dall’enciclica Humanae vitae – mai recepita in toto e nella giusta visione – come ha ricordato mons. Hoser, vescovo di Varsavia.

Ha fatto il giro del mondo e ha commosso molto la storia del bimbo che ha spezzato la propria particola e l’ha condivisa con i suoi genitori divorziati. Intanto il vescovo di Parma, mons. Solmi, ha raccontato a sua volta di una madre di famiglia, conosciuta un tempo, che incontrava volentieri e offriva amicizia e sostegno ad altre donne divorziate e risposate, a cui diceva: “Il prete non ti può dare la Comunione, ma io voglio essere in comunione con te”.

Flessibilità

Ci sono molti modi di fare comunione con il Signore, e sicuramente il più alto è ricevere l’eucaristia, ma il suo Corpo è presente in tante altre forme, e si può realizzare e rendere visibile anche amando semplicemente i suoi figli più feriti e disorientati. Sull’argomento il Patriarca latino di Gerusalemme, Twal, ritiene che non si possa generalizzare in un campo tanto delicato; quindi la flessibilità della valutazione caso per caso, ventilata e auspicata da più parti, pur non sconfessando la dottrina, potrebbe essere una via percorribile. Anche mons. Coleridge di Brisbane ha sottolineato che ogni coppia ha una storia diversa, e la Chiesa non può rigidamente escludere le persone.

Interessante la riflessione del card. Souraphiel, arcieparca di Addis Abeba, il quale ha detto che “per la Chiesa universale avere una soluzione universale può essere difficile. Le dottrine rimangono le stesse per tutti, ma gli approcci pastorali possono essere diversi”.

Il Sinodo è “camminare insieme e non schierarsi contro”, ha sostenuto pure mons. Solmi; e termini quali misericordia e peccato hanno bisogno di essere spiegati con un linguaggio attuale e chiaro per tutti.

Paese che vai…

Un nuovo linguaggio e una nuova prospettiva di ascolto, un nuovo sguardo e un nuovo stile – non una nuova dottrina! – è ciò che auspicano insieme Coleridge, Twal e il vescovo Brambilla di Novara. Anche perché i temi scottanti non sono percepiti con lo stesso peso in tutte le parti del mondo: c’è dove la piaga è il divorzio e dove abbonda la poligamia, dove le convivenze prendono piede e dove non esiste matrimonio civile ma solo religioso, dove c’è denatalità e dove c’è sovrappopolazione con i problemi che ne conseguono, infine i matrimoni misti pongono prima di tutto problemi di tipo culturale e poi religioso.

Ed è in quest’ottica che il Papa stesso è giunto a parlare di decentralizzazione nelle Chiese particolari per un discernimento ad hoc. Attendiamo la relazione finale dei lavori.

 

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Incontrare Gesù https://www.lavoce.it/incontrare-gesu/ Thu, 15 Oct 2015 14:06:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43900 Don Romano Piccinelli e mons. Cancian (immagine di repertorio)
Don Romano Piccinelli e mons. Cancian (immagine di repertorio)

Giovedì 8 ottobre sono iniziati gli incontri della Scuola di formazione teologica “Cesare Pagani” presso il seminario diocesano. Il direttore don Romano Piccinelli nella relazione introduttiva ha citato il biblista Romano Penna e il suo riferimento ai valori cristiani che rappresentano le radici cristiane dell’Europa, valori imprescindibili e fondanti comuni anche alla società civile. Ricorda inoltre l’invito di Papa Francesco a fare attenzione a non essere “cristiani senza Cristo”, a tenere quindi presenti i valori cristiani nella vita quotidiana. “La Scuola è un’ottima occasione formativa – continua il direttore -, che ci offre l’opportunità di prendere consapevolezza di essere cristiani per ‘rendere ragione della speranza che è in noi’ a noi stessi, nella misura in cui la formazione ricevuta abbia bisogno di supporti, ma anche a chi incontriamo nel nostro cammino, secondo dinamiche di attenzione all’altro e di condivisione, testimoniando ciò che per grazia abbiamo ricevuto. Non solo quindi pensiero e teoretica, ma testimonianza attiva: su questa strada delineata dal Pontefice è necessario camminare con consapevolezza e adeguata formazione come religiosi, laici e persone attive a vario livello in parrocchia e diocesi, ma anche come semplici credenti”.

Rimodulato varie volte nel corso del tempo, il cosiddetto quarto anno, ovvero l’occasione in più rivolta a chi ha già frequentato il triennio di base, è strutturato per questo 2015-2016 come un programma unitario su temi di attualità ritenuti meritevoli di approfondimento e di riflessione, in collaborazione con i vari Uffici diocesani. Il programma, in linea con gli orientamenti pastorali Cei Educare alla vita buona del Vangelo, si articola su otto incontri con cadenza mensile tenuti da relatori di eccellenza e ritmati da tre elementi guida: il Giubileo straordinario della Misericordia, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium e l’enciclica Laudato si’. Saranno affrontati nello specifico il tema della misericordia, dell’ecologia integrale e dell’“ideologia gender” con evidente interesse del mondo religioso e laico. Prossimo appuntamento della Scuola di formazione teologica è previsto per giovedì 22 ottobre alle ore 21 presso la stessa sede. Il prof. Romano Piccinelli terrà la lezione di teologia dogmatica “Incontrare Gesù Cristo nella Chiesa” per il triennio di base. Il prof. Francesco Testaferri guiderà una riflessione su “Misericordia: la via da un umanesimo fallito a un umanesimo ‘nuovo’ e oltre” per coloro che frequentano il quarto anno.

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SINODO. La indissolubilità del matrimonio non è un peso https://www.lavoce.it/sinodo-la-indissolubilita-del-matrimonio-non-e-un-peso/ Wed, 14 Oct 2015 13:26:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43935 Vaticano-6-ottobre-il-più-piccolo-partecipante-al-SinodoL’indissolubilità del matrimonio cristiano “non è un peso”, e deve essere trattata “in modo più positivo”. È una delle richieste ricorrenti nelle sintesi dei 13 Circoli Minori, presentati mercoledì 14, nel corso dell’ottava Congregazione generale del Sinodo.

Il lavoro dei Circoli Minori, in questa seconda settimana, si è concentrato sulla seconda parte dell’Instrumentum laboris, dedicata alla vocazione e alla missione della famiglia. “Un approccio più unificato tra la teologia e la pastorale, tra la pienezza e la ferita, tra la verità e la misericordia”, è la richiesta emersa dal Circolo Minore di lingua francese moderato da monsignor Maurice Piat. Più “unità” è stata invocata anche dal Circolo francofono moderato dal cardinale Gerald Cyprien Lacroix, mentre il Circolo francese moderato dal cardinale Robert Sarah ha chiesto una riflessione supplementare su “come condurre le persone, e soprattutto i più giovani, a scoprire il senso e l’importanza del matrimonio cristiano”.

“Poiché l’istituto del Sinodo difficilmente potrebbe rispondere all’esigenza di ordinare in un documento esaustivo la complessa e diversificata dottrina sul matrimonio e sulla famiglia, emerge la necessità, da una parte di domandare un documento magisteriale che possa rispondere a questa esigenza, dall’altra l’impegno a verificare i risvolti pastorali attinenti alla tematica”. È la richiesta pervenuta dal Circolo di lingua italiana moderato dal cardinale Edoardo Menichelli. “La seconda parte è il cuore pulsante della vocazione e della missione della famiglia”, hanno fatto notare i padri nel Circolo Minore italiano moderato dal cardinale Angelo Bagnasco: il Sinodo, allora, “deve far circolare la linfa vitale del Vangelo dentro il corpo della Chiesa e della famiglia, per irradiarne l’energia e la vitalità anche nella vita civile e sociale”.

Sinodo “bloccato” a metà percorso? “Non credo che si possa parlare di blocco, ma di volontà di andare avanti su questioni complesse”. Così il cardinale Vincent Gerard Nichols, arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, ha risposto alle domande dei giornalisti, durante il briefing del 14 ottobre in Sala stampa vaticana, al quale hanno partecipato anche il cardinale Ruben Salazar Gomez, arcivescovo di Bogotà e presidente del Celam, e il cardinale Philippe Ouedraogo, arcivescovo di Ouagadougou. “C’è divergenza di opinioni, come è normale nelle famiglie, ma non dobbiamo farci prendere dall’ermeneutica del conflitto”, ha proseguito Nichols.

“Per capire la natura stessa del Sinodo – ha spiegato Salazar – non si tratta di contrapporre teologie o ideologie: bisogna cercare di capire la ricchezza della misericordia di Dio, ognuno partendo dalla propria situazione”. “Non vedo questo blocco tra conservatori e progressisti”, ha detto Ouedraogo: “Come diceva Giovanni XXIII, possiamo comprendere meglio il Vangelo se scambiamo le nostre opinioni. ‘Chiese semper reformanda’, la Chiesa è sempre in aggiornamento”. “Siamo solo alla metà del Sinodo”, ha ricordato padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede.

A metà percorso, fioccano le domande di giornalisti su “come finirà il Sinodo”. “Spetterà al Papa decidere se si concluderà con un documento magisteriale o un’esortazione”, ha fatto notare Nichols: “L’impressione è che il Papa ci abbia chiesto di parlare in modo libero perché ha molto chiaro il suo ruolo. Solo una persona può portare a compimento questo processo: il Papa”. Al Sinodo c’è “molta creatività”, hanno assicurato i tre protagonisti del briefing tracciando una sorta di bilancio provvisorio.

“Bisogna tenere presente che la Chiesa è universale, ma è anche costituita da persone che hanno diverse culture”, ha detto Gomez: il documento finale dovrà avere “un linguaggio universale che dovrà essere capito in tutte le culture”, anche se si tratta di “una sfida difficile”. Ouedraogo ha citato un proverbio africano: “È insieme che riusciamo a sollevare il tetto per poterlo mettere sulla casa”. Quanto alla “colonizzazione ideologica”, per Nichols non è stato un tema emerso in maniera “così forte come nel Sinodo straordinario precedente”. Il cardinale Ouedraogo ha rivelato ai giornalisti di aver fatto lui stesso un intervento sulla “colonizzazione ideologica”: “I poveri sono molto deboli”, ha commentato a proposito della necessità in cui i loro governi si trovano “ad ottemperare a certe richieste dei Paesi occidentali, per poter accedere ai fondi destinati ai Paesi in via di sviluppo”.

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SINODO. Si è parlato anche di comunione ai divorziati risposati https://www.lavoce.it/sinodo-si-e-parlato-anche-di-comunione-ai-divorziati-risposati/ Mon, 12 Oct 2015 14:21:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43824 Vaticano-6-ottobre-i-lavori-del-Sinodo-sulla-famiglia-1“Le differenze di religione non sono mai state un deterrente per noi”. Ad assicurarlo è stata Penelope Bajai, uditrice al Sinodo con suo marito Ishwarlai, intervenuta nel corso della Congregazione generale pomeridiana di sabato scorso con suo marito Ishwarlai. “Malgrado la nostra coppia sia interreligiosa, mio marito è indù e io sono cattolica – hanno detto oggi, 12 ottobre, nel briefing in Sala stampa vaticana – siamo riusciti ad avere una grande armonia nella nostra relazione, durante le diverse prove e sofferenze che abbiamo sperimentato”. Sposati da quasi 39 anni, Penelope e Ishwarlai hanno lasciato liberi i loro due figli di “scegliere la loro religione”, non battezzandoli e tuttavia portandolo con loro alla messa domenicale. Così è accaduto che, piano piano Ishwarlai, frequentando la messa e seguendo un corso di teologia organizzato e condotto da sua moglie Penelope, ha “assimilato” l’insegnamento di Gesù ed è arrivato “ad una profonda comprensione e amore delle Scritture”, come ha raccontato lui stesso ai padri sinodali.
Alla fine, nel giorno del loro 25° anniversario di nozze, Ishwarlai ha deciso di battezzarsi: una scelta questa, che ha condotto anche i due figli della coppia ad abbracciare la fede cattolica.

Protagonisti del briefing odierno anche due sposi provenienti dal Brasile, Ketty e Jussieu De Rezende, entrambi docenti nell’Università di Campinas ed impegnati nella pastorale familiare: “È importante la preparazione prima del matrimonio, ma ancora più importante è una preparazione continua, che tenga conto delle differenti fasi della vita di coppia”, hanno testimoniato proprio a partire dalla loro esperienza sul campo. Altra sfida per le coppie cristiane: “Educare i bambini alla fede”, magari con più corsi nelle parrocchie dedicati a questo tema.

Al Sinodo ci sono stati “alcuni nutriti interventi” sulla comunione ai divorziati risposati, ha riferito padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede. “Alcuni, pochi e precisi – ha specificato – erano su una posizione negativa riguardo alla comunione ai divorziati risposati”. La “rigidità” su questa posizione, ha precisato però il portavoce vaticano, è inserita “nel contesto dell’attenzione per tutte le persone che si trovano in situazioni difficili, per le quali bisogna trovare modi per far sentire l’integrazione e la vicinanza della Chiesa”.
Sabato ci sono stati – ha riferito p. Lombardi – 43 interventi tra la fine della mattinata e tutto il pomeriggio, già dedicati alla terza parte dell’Instrumentum laboris. Questa mattina, lunedì,  è cominciato il lavoro dei Circoli Minori sulla seconda parte dell’Instrumentum laboris, che proseguirà mercoledì mattina – con le sintesi degli interventi della seconda settimana – mentre il dibattito sulla terza parte continuerà giovedì. “Nutriti interventi” anche sulla “non assoluta fissità degli insegnamenti della Chiesa e della teologia a proposito della questione del matrimonio e dei saramenti riguardo al matrimonio”, a partire da una “certa coscienza storica dei cambiamenti che ci sono stati nel corso dei secoli, di carattere disciplinare o dottrinale”. “Qualche accenno”, infine, alla riforma del processo per il riconoscimento della nullità del matrimonio: ma per questo tema è solo l’inizio, “sarà interessante vedere come procederà”.

“Come coniugare verità e misericordia”, per i divorziati risposati, il tema di alcuni interventi di lingua tedesca, ha riferito padre Bernard Hagenkord, sintetizzando questa parte del dibattito con l’espressione “disciplina flessibile”. Qualcuno dei padri, a proposito dell’esercizio della misericordia, ha fatto notare che “la differenza tra peccato e peccatore, tra privato e pubblico non funziona più”, auspicando di cercare sul piano pastorale soluzioni che evitino “gli estremi del non fare niente o fare tutto”.

La preoccupazione dell’evitare il “tutto o niente”, facendo ricorso alla “creatività”, è stata al centro anche dei gruppi linguistici anglofoni, ha riferito padre Thomas Rosica, mentre nei Circoli Minori di lingua francese, ha detto Romilda Ferrauto, si è proposto per le “situazioni irregolari” di “chiedere ai vescovi diocesani un accompagnamento personalizzato, partendo dall’indissolubilità del matrimonio”. “Non è possibile separare la dottrina dalla pastorale”, l’orientamento dei padri di lingua spagnola, ha sintetizzato padre Manuel Dorantes.

 

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Una nuova, più ricca presenza di Chiesa https://www.lavoce.it/una-nuova-piu-ricca-presenza-di-chiesa/ Thu, 01 Oct 2015 12:26:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43641

Prima dell’inizio dell’anno pastorale, sono state fatte alcune nomine di parroci e direttori di uffici di Curia, necessarie a sostituire presbiteri defunti o dimissionari per ragioni di età. Per ciò che attiene agli incarichi legati al territorio, la logica continua a essere quella delle Unità pastorali: gruppi di parrocchie che collaborano insieme, sotto la guida di piccole comunità di preti. Le modalità di attuazione variano secondo il contesto, ma lo spirito è il medesimo: realizzare una nuova presenza di Chiesa, più ricca di carismi e ministeri e maggiormente proiettata verso il proprio territorio, per servire l’uomo con l’annuncio del Vangelo e i gesti della misericordia. La recente Assemblea diocesana ha anche ribadito l’importanza degli uffici di Curia, come strumenti mediante i quali sostenere il cammino delle Unità pastorali, con particolare attenzione alla formazione degli operatori. In seguito alla Visita pastorale compiuta in alcune zone, sono stati anche varati dei provvedimenti di riconfinamento per meglio conformare il territorio delle parrocchie.   UNITÀ PASTORALI: NOMINE E RICONFINAMENTI UNITÀ PASTORALE 7 Don Jean Paul Wala Nguya (della Diocesi di Kikwit - RDC) è stato nominato vicario parrocchiale di Case Bruciate. UNITÀ PASTORALE 10 Don Marco Pezzanera è stato nominato vicario parrocchiale di Chiugiana, Olmo e Fontana. UNITÀ PASTORALE 11 Don Roberto Biagini è stato nominato parroco di Capocavallo, Canneto, Cenerente, Pantano e Prugneto e moderatore dell’UP n. 11. Insieme al diacono Marco Pigoni, con il quale farà comunità nella canonica di Capocavallo, e a don Giovanni Marconi, vicario parrocchiale, servirà le cinque comunità a lui affidate e coordinerà l’unità pastorale. UNITÀ PASTORALE 12 Don Lorenzo Perri è stato nominato vicario parrocchiale di San Mariano e Girasole. UNITÀ PASTORALE 20 Don Engjell Pitaqi (parroco di Colombella) è stato nominato parroco di Bosco e moderatore dell’UP n. 20; don Francesco Verzini è stato nominato parroco di Piccione, Ramazzano e Fratticiola selvatica. I due giovani sacerdoti, che abitano insieme a Colombella, cureranno le cinque parrocchie loro affidate anche con l’aiuto del religiosi francescani di Farneto. UNITÀ PASTORALE 21 Don Mauro Lironi è stato nominato parroco moderatore di Pierantonio, Solfagnano, Rancolfo e Civitella Benazzone; insieme a don Michele Pieravanti e ai diaconi Aristide Bortolato e Vincenzo Genovese curerà le quattro comunità a lui affidate. Don Gustavo Coletti (parroco di Ponte Pattoli) è stato nominato parroco di Cordigliano, il cui territorio è stato in larga parte ceduto alla parrocchia di Casamanza. Le parrocchie di Cordigliano e Ponte Pattoli cammineranno in piena unità pastorale e amministrativa. UNITÀ PASTORALE 22 Don Simone Sorbaioli è stato nominato parroco di Sant’Egidio e Lidarno e amministratore parrocchiale di Civitella d’Arna. Le tre parrocchie cammineranno in piena unità pastorale e amministrativa. S.E. Mons. Paolo Giulietti è stato nominato amministratore parrocchiale di Pilonico Paterno; tale parrocchia camminerà in piena unità pastorale e amministrativa con quella di Ripa. La parrocchia di Bosco ha ceduto parte del suo territorio a quella di Ponte Valleceppi. I sacerdoti dell’UP, che comprende anche le parrocchie di Ponte Valleceppi, Pretola, Ripa e Pioanello, saranno coadiuvati nella cura pastorale dai religiosi passionisti di Montescosso. UNITÀ PASTORALE 22 Mons. Stefano Orsini (parroco di Magione) è stato nominato parroco di Montecolognola, il cui territorio è stato in larga parte ceduto alla parrocchia di San Feliciano. Le parrocchie di Montecolognola e Magione cammineranno in piena unità pastorale e amministrativa. UNITÀ PASTORALE 28 Don Andrea Orlando (parroco di Passignano, Tuoro e Vernazzano) è stato nominato parroco di Borghetto di Tuoro.   Neo-Diaconi I sette diaconi permanenti ordinati il 9 agosto e i tre diaconi transeunti ordinati il 12 settembre sono stati assegnati come collaboratori parrocchiali ad altrettante comunità: Diac. Aristide Bortolato – UP 21 (parrocchie di Civitella Benazzone, Pierantonio, Rancolfo e Solfagnano); Diac. Marco Briziarelli – UP 8 e Centro Diocesano Vocazioni; Diac. Giovanni Brustenghi – UP 26 (parrocchie di Castiglione della Valle e Spina); Diac. Francesco Buono – UP 24; Diac. Lanfranco Cipolleti – UP 26 (parrocchie di Cerqueto e Papiano); Diac. Luigi Fioroni – UP 3 (parrocchia di San Barnaba); Diac. Francesco Germini – UP 9 (parrocchie di Pila e Castel del Piano); Diac. Gian Mauro Maggiurana - UP 24; Diac. Simone Pascarosa – UP 9 (parrocchie di Pila e Castel del Piano) e Ufficio per la pastorale giovanile; Diac. Marco Pigoni - UP 11.   UFFICI DIOCESANI E ALTRE NOMINE Il dott. Bruno Bandoli è stato nominato Economo diocesano Don Marco Pezzanera è stato nominato cancelliere arcivescovile. Don Alessandro Passerini è stato nominato cancelliere aggiunto, con la responsabilità dell’ufficio diocesano per i matrimoni. Il diac. Giovanni Lolli è stato nominato responsabile diocesano del Sovvenire. Don Giovanni Marconi è stato nominato direttore dell’Ufficio diocesano per la cooperazione missionaria tra le Chiese. Padre Marco Diale Ofm è stato nominato vicedirettore dell’Ufficio diocesano per la pastorale dell’Università; don Riccardo Pascolini, direttore dell’ufficio, è stato nominato cappellano della chiesa dell’università. Nell’ambito dell’Ufficio diocesano per la pastorale dei migranti, don Stephen Okwor è stato nominato cappellano degli africani angolofoni; don Gonzalo Franco è stato nominato cappellano dei latinoamericani. Don Francesco Verzini è stato nominato condirettore dell’Ufficio diocesano per la pastorale giovanile. Don Mauro Pesce è stato nominato direttore dell’Ufficio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Don Calogero Di Leo è stato nominato cappellano del cimitero di Monterone (Comune di Perugia). Don Francesco Benussi è stato nominato rettore della chiesa di Sant’Ercolano (Sodalizio San Martino).  ]]>

Prima dell’inizio dell’anno pastorale, sono state fatte alcune nomine di parroci e direttori di uffici di Curia, necessarie a sostituire presbiteri defunti o dimissionari per ragioni di età. Per ciò che attiene agli incarichi legati al territorio, la logica continua a essere quella delle Unità pastorali: gruppi di parrocchie che collaborano insieme, sotto la guida di piccole comunità di preti. Le modalità di attuazione variano secondo il contesto, ma lo spirito è il medesimo: realizzare una nuova presenza di Chiesa, più ricca di carismi e ministeri e maggiormente proiettata verso il proprio territorio, per servire l’uomo con l’annuncio del Vangelo e i gesti della misericordia. La recente Assemblea diocesana ha anche ribadito l’importanza degli uffici di Curia, come strumenti mediante i quali sostenere il cammino delle Unità pastorali, con particolare attenzione alla formazione degli operatori. In seguito alla Visita pastorale compiuta in alcune zone, sono stati anche varati dei provvedimenti di riconfinamento per meglio conformare il territorio delle parrocchie.   UNITÀ PASTORALI: NOMINE E RICONFINAMENTI UNITÀ PASTORALE 7 Don Jean Paul Wala Nguya (della Diocesi di Kikwit - RDC) è stato nominato vicario parrocchiale di Case Bruciate. UNITÀ PASTORALE 10 Don Marco Pezzanera è stato nominato vicario parrocchiale di Chiugiana, Olmo e Fontana. UNITÀ PASTORALE 11 Don Roberto Biagini è stato nominato parroco di Capocavallo, Canneto, Cenerente, Pantano e Prugneto e moderatore dell’UP n. 11. Insieme al diacono Marco Pigoni, con il quale farà comunità nella canonica di Capocavallo, e a don Giovanni Marconi, vicario parrocchiale, servirà le cinque comunità a lui affidate e coordinerà l’unità pastorale. UNITÀ PASTORALE 12 Don Lorenzo Perri è stato nominato vicario parrocchiale di San Mariano e Girasole. UNITÀ PASTORALE 20 Don Engjell Pitaqi (parroco di Colombella) è stato nominato parroco di Bosco e moderatore dell’UP n. 20; don Francesco Verzini è stato nominato parroco di Piccione, Ramazzano e Fratticiola selvatica. I due giovani sacerdoti, che abitano insieme a Colombella, cureranno le cinque parrocchie loro affidate anche con l’aiuto del religiosi francescani di Farneto. UNITÀ PASTORALE 21 Don Mauro Lironi è stato nominato parroco moderatore di Pierantonio, Solfagnano, Rancolfo e Civitella Benazzone; insieme a don Michele Pieravanti e ai diaconi Aristide Bortolato e Vincenzo Genovese curerà le quattro comunità a lui affidate. Don Gustavo Coletti (parroco di Ponte Pattoli) è stato nominato parroco di Cordigliano, il cui territorio è stato in larga parte ceduto alla parrocchia di Casamanza. Le parrocchie di Cordigliano e Ponte Pattoli cammineranno in piena unità pastorale e amministrativa. UNITÀ PASTORALE 22 Don Simone Sorbaioli è stato nominato parroco di Sant’Egidio e Lidarno e amministratore parrocchiale di Civitella d’Arna. Le tre parrocchie cammineranno in piena unità pastorale e amministrativa. S.E. Mons. Paolo Giulietti è stato nominato amministratore parrocchiale di Pilonico Paterno; tale parrocchia camminerà in piena unità pastorale e amministrativa con quella di Ripa. La parrocchia di Bosco ha ceduto parte del suo territorio a quella di Ponte Valleceppi. I sacerdoti dell’UP, che comprende anche le parrocchie di Ponte Valleceppi, Pretola, Ripa e Pioanello, saranno coadiuvati nella cura pastorale dai religiosi passionisti di Montescosso. UNITÀ PASTORALE 22 Mons. Stefano Orsini (parroco di Magione) è stato nominato parroco di Montecolognola, il cui territorio è stato in larga parte ceduto alla parrocchia di San Feliciano. Le parrocchie di Montecolognola e Magione cammineranno in piena unità pastorale e amministrativa. UNITÀ PASTORALE 28 Don Andrea Orlando (parroco di Passignano, Tuoro e Vernazzano) è stato nominato parroco di Borghetto di Tuoro.   Neo-Diaconi I sette diaconi permanenti ordinati il 9 agosto e i tre diaconi transeunti ordinati il 12 settembre sono stati assegnati come collaboratori parrocchiali ad altrettante comunità: Diac. Aristide Bortolato – UP 21 (parrocchie di Civitella Benazzone, Pierantonio, Rancolfo e Solfagnano); Diac. Marco Briziarelli – UP 8 e Centro Diocesano Vocazioni; Diac. Giovanni Brustenghi – UP 26 (parrocchie di Castiglione della Valle e Spina); Diac. Francesco Buono – UP 24; Diac. Lanfranco Cipolleti – UP 26 (parrocchie di Cerqueto e Papiano); Diac. Luigi Fioroni – UP 3 (parrocchia di San Barnaba); Diac. Francesco Germini – UP 9 (parrocchie di Pila e Castel del Piano); Diac. Gian Mauro Maggiurana - UP 24; Diac. Simone Pascarosa – UP 9 (parrocchie di Pila e Castel del Piano) e Ufficio per la pastorale giovanile; Diac. Marco Pigoni - UP 11.   UFFICI DIOCESANI E ALTRE NOMINE Il dott. Bruno Bandoli è stato nominato Economo diocesano Don Marco Pezzanera è stato nominato cancelliere arcivescovile. Don Alessandro Passerini è stato nominato cancelliere aggiunto, con la responsabilità dell’ufficio diocesano per i matrimoni. Il diac. Giovanni Lolli è stato nominato responsabile diocesano del Sovvenire. Don Giovanni Marconi è stato nominato direttore dell’Ufficio diocesano per la cooperazione missionaria tra le Chiese. Padre Marco Diale Ofm è stato nominato vicedirettore dell’Ufficio diocesano per la pastorale dell’Università; don Riccardo Pascolini, direttore dell’ufficio, è stato nominato cappellano della chiesa dell’università. Nell’ambito dell’Ufficio diocesano per la pastorale dei migranti, don Stephen Okwor è stato nominato cappellano degli africani angolofoni; don Gonzalo Franco è stato nominato cappellano dei latinoamericani. Don Francesco Verzini è stato nominato condirettore dell’Ufficio diocesano per la pastorale giovanile. Don Mauro Pesce è stato nominato direttore dell’Ufficio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Don Calogero Di Leo è stato nominato cappellano del cimitero di Monterone (Comune di Perugia). Don Francesco Benussi è stato nominato rettore della chiesa di Sant’Ercolano (Sodalizio San Martino).  ]]>
Il dono della misericordia https://www.lavoce.it/il-dono-della-misericordia/ Thu, 01 Oct 2015 10:12:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43589 san-francesco
Il momento in cui viene impartita dal Cupolino la benedizione all’Italia con la “Chartula” della Benedizione di san Francesco (Foto Mauro Berti)

In una società dove arrivismo e concorrenza sembrano dettar legge, lo Spirito santo vuole creare una nuova condizione e nuove situazioni immettendo un prezioso frutto: la misericordia (bontà e benevolenza).

Il cuore dell’uomo è malato, per cui i suoi frutti non possono essere automaticamente buoni. Un cuore affidato all’azione della salvezza recupera il gusto e la sapienza della vita che permettono di incarnare rapporti umani in novità.

Lo Spirito santo manifesta al cuore dell’uomo, in primo luogo, la bontà di Dio: ogni cosa che esce dalle mani del Creatore è buona e quindi contiene in sé un annuncio di amore.

Sappiamo che cosa è avvenuto con il peccato originale: ogni rapporto è stato falsato, ogni cosa è stata bacata. Lo Spirito santo restaura il cuore! Ciò permette di riconoscere il positivo dietro ogni cosa e dietro ogni persona; solo con questo paio di occhi nuovi, frutto e dono dello Spirito, si torna a gustare le cose belle che il Creatore ci ha donato, si torna a guardare la gente come un dono e non come un ostacolo per la nostra crescita, personale e comunitaria.

Un’esperienza viva e concreta di Dio Bontà e Misericordia fa dell’uomo un essere attento e disponibile alle grandi esigenze d’amore che ci sono attorno a lui. Un uomo modellato dallo Spirito, rinnovato nell’intimo, diventa un punto di riferimento decisivo per una altrettanto decisiva svolta nel nostro cammino sociale. Solo un uomo positivo, perché agganciato alla bontà e alla misericordia di Dio, riesce ad incarnare opere positive e diventa veramente sale e luce del mondo.

San Francesco ha fatto questa esperienza di Dio, ha sentito su di sé il Suo amore misericordioso, lo ha respirato, si è sentito accolto benevolmente nell’abbraccio di Dio. Lo ha sentito “misericordioso”, lo ha sperimentato “ineffabile, soave, amabile e dilettevole, desiderabile”. Questa esperienza di misericordia, di bene, di accoglienza, di bontà si è poi tradotta in un atteggiamento simile con l’uomo, con il fratello.

È misericordioso, Francesco, verso chi sbaglia; non condanna… ma “tutto copre, tutto sopporta”. Il Poverello non condanna il prete peccatore, ne bacia le mani; non predica nelle parrocchie dove abitano “sacerdoti poverelli” senza il loro permesso. Una espressione che si trova spesso nei suoi scritti e nei suoi dialoghi è “siano accolti benevolmente”: così si accolgono i novizi, così si accolgono e si servono i ladri di Montecasale…

Questa è l’esperienza che fa di Francesco e dei suoi degli eterni contemplatori e innamorati cantori della misericordia di Dio. La sua benignità sgorga dalla docilità allo Spirito santo; la sua è l’affabilità di un’anima affinata e dilatata dallo Spirito. Questa benignità la si legge nel sorriso limpido, nel gesto deferente, nel tratto gentile e rasserenante; essa è segnata di delicatezza e di buon umore.

La misericordia, da cui nasce l’affabilità di Francesco, non mira a guadagnare l’altro né tantomeno a lusingare l’altro, ma a favorire l’unione e la riconciliazione delle persone con Dio e tra di loro. Ciò comporta rinuncia a se stesso e continua attenzione agli altri: vuole essere testimonianza di misericordia con la parola e con il gesto gratuito. Tutto ciò è proprio di un figlio di Dio, di colui che è nato da Dio ed elevato dallo Spirito, desideroso di appianare per gli uomini i sentieri del suo amabile Signore, Gesù Cristo.

La misericordia cristiana sgorga dal cuore. Essa non è un miscuglio di buoni sentimenti. Non si tratta di rimanere in un atteggiamento innocuo, ma coinvolgersi, come Francesco, in una dinamica di autenticità sul piano sociale, e l’autenticità del cristiano è fatta di bontà interiore, di accoglienza, di testimonianza. Il cristiano è certo che sull’esempio di Francesco, sia possibile ottenere verità e libertà, pace e gioia solo attraverso una testimonianza gioiosa e coinvolgente dell’incontro avuto con il Dio di amore, di bontà, di misericordia.

 

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