Medio Oriente Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/medio-oriente/ Settimanale di informazione regionale Thu, 10 Oct 2024 08:25:27 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Medio Oriente Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/medio-oriente/ 32 32 Sporchi interessi dietro i missili https://www.lavoce.it/sporchi-interessi-dietro-i-missili/ https://www.lavoce.it/sporchi-interessi-dietro-i-missili/#respond Wed, 09 Oct 2024 17:13:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77901

A un anno di distanza, in Medio Oriente la marcia verso la guerra totale subisce nuove accelerazioni. Dal canto suo, Netanyahu recupera dal lessico di George W. Bush la formula della “lotta all’asse del male”. L’operazione “Promessa vera 2” ha rotto gli indugi. Quella del 14 aprile fu lanciata a due settimane dall’attacco alla sede diplomatica a Damasco. Stavolta la rappresaglia pendeva da più tempo: dal 31 luglio, giorno dell’omicidio a Teheran di Haniyeh, leader di Hamas, sospesa in cambio di una tregua a Gaza. Poi la serie di altri colpi, fino all’operazione “Ordine nuovo” sul Libano e le uccisioni di Nasrallah e del generale iraniano Nilforoushan. La goccia della tracimazione si è ingrossata con il discorso rivolto da Netanyahu al popolo iraniano: un misto di minaccia e invito alla sollevazione contro una teocrazia che semina guerre nei cinque Continenti. L’Iran ha voluto riaffermare la deterrenza, quando il temporeggiamento è parso sulla soglia oltre la quale si chiama debolezza. E si è ritenuto che il lungo rinvio della risposta – comunque lanciata previo avviso a Washington – avesse già maturato l’intento di scongiurare la reazione a caldo degli Usa, il cui establishment, in Iran come altrove, viene giudicato impulsivo e di vista corta. Infine Teheran ha voluto marcare le differenze, contrapponendo la risposta calibrata sulla legalità internazionale alle abnormi violazioni di Israele, che aggiorna la sua dottrina del “cane pazzo” nelle mattanze indiscriminate a Gaza, mentre in Libano è già catastrofe umanitaria e si sventra un quartiere per uccidere Nasrallah mentre questi stava dialogando con Francia e Usa. Ma ciò non basta a interrompere i raid sul Libano, che hanno tre “pregi”: non contrariare i sudditi delle petrolmonarchie sunnite, rilanciare i consensi interni a Netanyahu e propiziare altri inneschi per coinvolgere gli Usa. Eventualità perseguita anche tentando l’invasione terrestre, che si scontra con la preparazione dei guerriglieri sciiti di Hezbollah e un’Idf (esercito israeliano) inadatta a guerre lunghe e multifronte. Nel frattempo i caschi blu Unifil, lì dal 1978 per interporsi, passivi schivano i colpi. Mentre pensa a cosa colpire dell’Iran (anche siti nucleari?), il Governo israeliano mette nel mirino anche la Siria. La quale, assieme a Iran, Libano, Iraq, Gaza, Cisgiordania e Yemen, è implicata nel “Nuovo ordine mediorientale” illustrato da Netanyahu all’Assemblea Onu. Osservando bene, si nota che ad accomunare i “benedetti” (democrazie o sultanismi feudali che siano) è la partecipazione al corridoio tra India ed Europa, siglato al G20 di Nuova Delhi un mese prima dell’assalto del 7 ottobre. Il fattore economico concorre a spiegare l’escalation e la proietta nella cornice di contese più ampie. Che non lasciano indifferenti Mosca, dati i nessi geostrategici tra la destabilizzazione siriana e l’atlantizzazione del Mar Nero per interposta Ucraina. L’interruttore per spegnere la miccia sta a Washington. Ma osta l’influenza dei profeti neo-conservatori incistati negli apparati, e trasversali ai due partiti. Ma fin dove spingersi? Fino una guerra totale? Del tipo che l’acribia geopolitica di Papa Francesco paventa all’orizzonte. Parlando in Lussemburgo, il Santo Padre ha sostituito la formula “terza guerra mondiale a pezzi” con quella di “guerra ormai quasi mondiale”: un passo avanti verso il baratro, sospinto da brame interconnesse, coltivate all’ombra di “missioni storiche” nel sopore di molte menti e di troppe coscienze. Giuseppe Casale Pontificia università lateranense]]>

A un anno di distanza, in Medio Oriente la marcia verso la guerra totale subisce nuove accelerazioni. Dal canto suo, Netanyahu recupera dal lessico di George W. Bush la formula della “lotta all’asse del male”. L’operazione “Promessa vera 2” ha rotto gli indugi. Quella del 14 aprile fu lanciata a due settimane dall’attacco alla sede diplomatica a Damasco. Stavolta la rappresaglia pendeva da più tempo: dal 31 luglio, giorno dell’omicidio a Teheran di Haniyeh, leader di Hamas, sospesa in cambio di una tregua a Gaza. Poi la serie di altri colpi, fino all’operazione “Ordine nuovo” sul Libano e le uccisioni di Nasrallah e del generale iraniano Nilforoushan. La goccia della tracimazione si è ingrossata con il discorso rivolto da Netanyahu al popolo iraniano: un misto di minaccia e invito alla sollevazione contro una teocrazia che semina guerre nei cinque Continenti. L’Iran ha voluto riaffermare la deterrenza, quando il temporeggiamento è parso sulla soglia oltre la quale si chiama debolezza. E si è ritenuto che il lungo rinvio della risposta – comunque lanciata previo avviso a Washington – avesse già maturato l’intento di scongiurare la reazione a caldo degli Usa, il cui establishment, in Iran come altrove, viene giudicato impulsivo e di vista corta. Infine Teheran ha voluto marcare le differenze, contrapponendo la risposta calibrata sulla legalità internazionale alle abnormi violazioni di Israele, che aggiorna la sua dottrina del “cane pazzo” nelle mattanze indiscriminate a Gaza, mentre in Libano è già catastrofe umanitaria e si sventra un quartiere per uccidere Nasrallah mentre questi stava dialogando con Francia e Usa. Ma ciò non basta a interrompere i raid sul Libano, che hanno tre “pregi”: non contrariare i sudditi delle petrolmonarchie sunnite, rilanciare i consensi interni a Netanyahu e propiziare altri inneschi per coinvolgere gli Usa. Eventualità perseguita anche tentando l’invasione terrestre, che si scontra con la preparazione dei guerriglieri sciiti di Hezbollah e un’Idf (esercito israeliano) inadatta a guerre lunghe e multifronte. Nel frattempo i caschi blu Unifil, lì dal 1978 per interporsi, passivi schivano i colpi. Mentre pensa a cosa colpire dell’Iran (anche siti nucleari?), il Governo israeliano mette nel mirino anche la Siria. La quale, assieme a Iran, Libano, Iraq, Gaza, Cisgiordania e Yemen, è implicata nel “Nuovo ordine mediorientale” illustrato da Netanyahu all’Assemblea Onu. Osservando bene, si nota che ad accomunare i “benedetti” (democrazie o sultanismi feudali che siano) è la partecipazione al corridoio tra India ed Europa, siglato al G20 di Nuova Delhi un mese prima dell’assalto del 7 ottobre. Il fattore economico concorre a spiegare l’escalation e la proietta nella cornice di contese più ampie. Che non lasciano indifferenti Mosca, dati i nessi geostrategici tra la destabilizzazione siriana e l’atlantizzazione del Mar Nero per interposta Ucraina. L’interruttore per spegnere la miccia sta a Washington. Ma osta l’influenza dei profeti neo-conservatori incistati negli apparati, e trasversali ai due partiti. Ma fin dove spingersi? Fino una guerra totale? Del tipo che l’acribia geopolitica di Papa Francesco paventa all’orizzonte. Parlando in Lussemburgo, il Santo Padre ha sostituito la formula “terza guerra mondiale a pezzi” con quella di “guerra ormai quasi mondiale”: un passo avanti verso il baratro, sospinto da brame interconnesse, coltivate all’ombra di “missioni storiche” nel sopore di molte menti e di troppe coscienze. Giuseppe Casale Pontificia università lateranense]]>
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A Natale in Medio Oriente si prega per avere la pace https://www.lavoce.it/natale-medio-oriente-pace/ Mon, 24 Dec 2018 10:00:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53704 natale

“Un dramma e non un cinepanettone” è il Natale per il custode di Terra Santa, padre Francesco Patton. “È un dramma”: il francescano ripete la frase quasi a sincerarsi che sia stata ben intesa... Il Natale, la solennità con cui i cristiani celebrano l’Incarnazione di Gesù, il Dio della pace, un dramma? “Sì - è la risposta ancora più convinta. - Il Natale è il dramma di un Dio che è Luce da Luce, e che entra dentro una storia buia per illuminarla. Le tenebre da un lato non riescono a sopraffarla, ma dall’altro non la accolgono”.

Le parole del prologo del Vangelo di Giovanni sono lì a chiarire ulteriormente il concetto. Aiutano anche i versi di una poesia di Giuseppe Ungaretti, intitolata Mio Fiume anche tu, ambientata durante la Seconda guerra mondiale, che il Custode recita a memoria in uno dei passaggi più significativi: “Cantando il Cristo, il poeta scrive: ‘Astro incarnato nell’umana tenebra, Fratello che t’immoli perennemente per riedificare umanamente l’uomo’. Ecco, questo è il dramma del Natale”.

Il Natale dei cristiani in Medio Oriente

Un dramma che interpella innanzitutto i cristiani del Medio Oriente, i quali “vivranno queste giornate con una grande intensità liturgica, poco riscontrabile in Occidente, e comunque all’interno di una situazione di tensione e di preoccupazione”.

Come, per esempio, “chi abita nelle zone più povere della Cisgiordania o a Gaza. Chi vive in Siria vivrà il Natale pregando ogni giorno che la guerra finisca davvero, per iniziare un cammino di riconciliazione e di ricostruzione. I cristiani che vivono nei villaggi siriani dell’Oronte, dove è ancora forte la presenza jihadista, sperano di riprendere una vita tranquilla e rimettere le croci sui loro campanili, tornare a fare il presepe o, per i frati che sono lì, a indossare di nuovo il saio. Pensiamo anche alle migliaia di rifugiati e sfollati cristiani che sono in Turchia, in Libano e in Giordania. Nel loro dramma coltivano aspettative di Bene, quello con la B maiuscola, e non solo di beni”.

Gli eventi di conflitto del 2018

Ma il dramma del Natale che “vuole fare luce dentro la storia buia dell’uomo” è anche in eventi che hanno costellato questo 2018: il trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, la controversa legge sullo Stato ebraico, la fallita riconciliazione inter-palestinese, i razzi lanciati contro Israele, le proteste e i morti a Gaza, gli accoltellamenti…

Gli auguri di un Natale davvero diverso

Come leggere tutti questi fatti dentro la storia di Dio che si fa uomo per ‘riedificarlo umanamente’ come scrive Ungaretti? “Da credenti - risponde padre Patton, con lo stesso atteggiamento con cui la Madonna leggeva la storia del suo tempo e li cantava nel Magnificat: Dio ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati e rimandato i ricchi a mani vuote.

La lettura di fede è quella che ci permette di vedere oltre – senza saltarle – le vicende che ci troviamo a vivere, e comprendere il verso dove Dio vuole condurre la storia”. Così facendo “ci ritroviamo tra il sogno di Dio, il suo progetto di salvezza per noi, il suo ideale di storia, e l’esperienza dei disastri comune anche al tempo di Maria”.

Tra la storia presente e il sogno di Dio “c’è la nostra fede, e la responsabilità grande di chi ha il potere di prendere decisioni, e quella nostra, quotidiana, che esercitiamo appoggiando visioni della vita piuttosto che altre, diventando o costruttori di pace o fomentatori di odio. È un percorso faticoso che richiede tempo e pazienza”.

Soggiunge, il custode di Terra Santa: “Vorremmo che tutte le situazioni difficili si sanassero in un batter d’occhio, che i conflitti si potessero risolvere in una sessione di negoziati, e che i problemi economici sparissero dopo aver preso delle sagge decisioni. Ma sono questioni che richiedono processi lunghi, che coinvolgono la nostra personale umanità e responsabilità, così come quella dei leader delle nazioni”.

L’augurio di Natale allora non può essere che questo: “Che in ciascuno di noi si realizzi il sogno di Dio, che riusciamo a tenere in piedi la speranza, senza cadere nel pessimismo. Maria e i profeti ci insegnano a essere persone di speranza in mezzo a tempi difficili”.

L’augurio è anche che “si realizzi la profezia di Isaia: ‘Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra’. Che anche tutta la tecnologia all’avanguardia per dare morte e sofferenza diventi una tecnologia a favore dell’uomo. Che la luce del Natale sia accolta ed entri nelle tenebre, anche personali di ciascuno di noi, per rischiararle”.

Daniele Rocchi

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“Un dramma e non un cinepanettone” è il Natale per il custode di Terra Santa, padre Francesco Patton. “È un dramma”: il francescano ripete la frase quasi a sincerarsi che sia stata ben intesa... Il Natale, la solennità con cui i cristiani celebrano l’Incarnazione di Gesù, il Dio della pace, un dramma? “Sì - è la risposta ancora più convinta. - Il Natale è il dramma di un Dio che è Luce da Luce, e che entra dentro una storia buia per illuminarla. Le tenebre da un lato non riescono a sopraffarla, ma dall’altro non la accolgono”.

Le parole del prologo del Vangelo di Giovanni sono lì a chiarire ulteriormente il concetto. Aiutano anche i versi di una poesia di Giuseppe Ungaretti, intitolata Mio Fiume anche tu, ambientata durante la Seconda guerra mondiale, che il Custode recita a memoria in uno dei passaggi più significativi: “Cantando il Cristo, il poeta scrive: ‘Astro incarnato nell’umana tenebra, Fratello che t’immoli perennemente per riedificare umanamente l’uomo’. Ecco, questo è il dramma del Natale”.

Il Natale dei cristiani in Medio Oriente

Un dramma che interpella innanzitutto i cristiani del Medio Oriente, i quali “vivranno queste giornate con una grande intensità liturgica, poco riscontrabile in Occidente, e comunque all’interno di una situazione di tensione e di preoccupazione”.

Come, per esempio, “chi abita nelle zone più povere della Cisgiordania o a Gaza. Chi vive in Siria vivrà il Natale pregando ogni giorno che la guerra finisca davvero, per iniziare un cammino di riconciliazione e di ricostruzione. I cristiani che vivono nei villaggi siriani dell’Oronte, dove è ancora forte la presenza jihadista, sperano di riprendere una vita tranquilla e rimettere le croci sui loro campanili, tornare a fare il presepe o, per i frati che sono lì, a indossare di nuovo il saio. Pensiamo anche alle migliaia di rifugiati e sfollati cristiani che sono in Turchia, in Libano e in Giordania. Nel loro dramma coltivano aspettative di Bene, quello con la B maiuscola, e non solo di beni”.

Gli eventi di conflitto del 2018

Ma il dramma del Natale che “vuole fare luce dentro la storia buia dell’uomo” è anche in eventi che hanno costellato questo 2018: il trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, la controversa legge sullo Stato ebraico, la fallita riconciliazione inter-palestinese, i razzi lanciati contro Israele, le proteste e i morti a Gaza, gli accoltellamenti…

Gli auguri di un Natale davvero diverso

Come leggere tutti questi fatti dentro la storia di Dio che si fa uomo per ‘riedificarlo umanamente’ come scrive Ungaretti? “Da credenti - risponde padre Patton, con lo stesso atteggiamento con cui la Madonna leggeva la storia del suo tempo e li cantava nel Magnificat: Dio ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati e rimandato i ricchi a mani vuote.

La lettura di fede è quella che ci permette di vedere oltre – senza saltarle – le vicende che ci troviamo a vivere, e comprendere il verso dove Dio vuole condurre la storia”. Così facendo “ci ritroviamo tra il sogno di Dio, il suo progetto di salvezza per noi, il suo ideale di storia, e l’esperienza dei disastri comune anche al tempo di Maria”.

Tra la storia presente e il sogno di Dio “c’è la nostra fede, e la responsabilità grande di chi ha il potere di prendere decisioni, e quella nostra, quotidiana, che esercitiamo appoggiando visioni della vita piuttosto che altre, diventando o costruttori di pace o fomentatori di odio. È un percorso faticoso che richiede tempo e pazienza”.

Soggiunge, il custode di Terra Santa: “Vorremmo che tutte le situazioni difficili si sanassero in un batter d’occhio, che i conflitti si potessero risolvere in una sessione di negoziati, e che i problemi economici sparissero dopo aver preso delle sagge decisioni. Ma sono questioni che richiedono processi lunghi, che coinvolgono la nostra personale umanità e responsabilità, così come quella dei leader delle nazioni”.

L’augurio di Natale allora non può essere che questo: “Che in ciascuno di noi si realizzi il sogno di Dio, che riusciamo a tenere in piedi la speranza, senza cadere nel pessimismo. Maria e i profeti ci insegnano a essere persone di speranza in mezzo a tempi difficili”.

L’augurio è anche che “si realizzi la profezia di Isaia: ‘Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra’. Che anche tutta la tecnologia all’avanguardia per dare morte e sofferenza diventi una tecnologia a favore dell’uomo. Che la luce del Natale sia accolta ed entri nelle tenebre, anche personali di ciascuno di noi, per rischiararle”.

Daniele Rocchi

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Famiglie in festa. Incontro con il reporter Rodolfo Casadei https://www.lavoce.it/famiglie-in-festa-rodolfo-casadei/ Mon, 24 Sep 2018 10:00:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52929 Casadei

Nell’ambito della 37a edizione di “Famiglie in festa – Stracastello” si è svolto l’incontro con il giornalista Rodolfo Casadei sul tema “Pianeta Terra, istruzioni per l’uso… Per non annegare nel pensiero liquido” traendo lo spunto dalla pubblicazione del suo ultimo libro dal titolo Scritti contrari.

Chi è Rodolfo Casadei

Rodolfo Casadei, classe 1958, è giornalista ed inviato speciale. È stato redattore specializzato per l’Africa presso il mensile Mondo e missione diretto da padre Piero Gheddo. Ha realizzato reportage in 50 Paesi del mondo, soprattutto africani e mediorentali. Ultimamente ha compiuto missioni in Siria, Iraq, Nagorno Karabakh, Benin, Togo, Costa d’Avorio, Emirati arabi uniti e Irlanda. È stato redattore dell’annuale Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo pubblicato da Aiuto alla Chiesa che soffre.

Il tema del libro

Dal suo punto di vista, tratto dall’esperienza diretta sul campo, ha parlato della persecuzione dei cristiani nel mondo e soprattutto nel Medio Oriente. Ha parlato della resistenza eroica delle comunità cristiane oggi perseguitate e che, pur di non abiurare alla propria convinzione religiosa, sono costrette a torture e privazioni da parte delle milizie islamiste. Il tutto constatato ed accertato da testimonianze dirette sul posto. Partendo dal lavoro di giornalista e quindi inviato sul campo, ha dato la sua lettura dei grandi tempi della contemporaneità.

Una lettura (da qui il titolo del libro, “Scritti contrari”) che interpreta i fatti con uno sguardo che non è quello dei grandi giornali e delle televisioni, tutte uniformate secondo uno schema precostituito e unanimemente riconosciuto (in sintesi il cosiddetto “pensiero unico”) che tutti ci omologa sotto una coltre conforme al potere e alle sue derivazioni finanziarie.

Ecco allora la lettura sull’Europa contemporanea ed il suo destino, che non può essere quello dettato dai burocrati di Bruxells e dei soliti paletti dettati dal rapporto deficit/Pil; con una Germania egemone grazie ad un euro che è per i tedeschi sottovalutato e per noi sopravvalutato. Una Europa che ha perso la sua identità cristiana e che fa un vanto della sua laicità, che non è altro che assenza di qualsivoglia valore.

Dalla lettura del terrorismo e dei suoi metodi distruttivi dell’umanità all’elogio delle frontiere (“Oltre che muri e punti, dotiamoci di porte”), alla competizione tra russi ed americani, alle mutazioni antropologiche, alle diatribe cattoliche (Family Day sì o Family Day no?). Quindi la presentazione di un testo tutt’ altro che accomodante, ma ricco di spunti di riflessione, e sicuramente in controtendenza.

Alessandro Bartoli

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Casadei

Nell’ambito della 37a edizione di “Famiglie in festa – Stracastello” si è svolto l’incontro con il giornalista Rodolfo Casadei sul tema “Pianeta Terra, istruzioni per l’uso… Per non annegare nel pensiero liquido” traendo lo spunto dalla pubblicazione del suo ultimo libro dal titolo Scritti contrari.

Chi è Rodolfo Casadei

Rodolfo Casadei, classe 1958, è giornalista ed inviato speciale. È stato redattore specializzato per l’Africa presso il mensile Mondo e missione diretto da padre Piero Gheddo. Ha realizzato reportage in 50 Paesi del mondo, soprattutto africani e mediorentali. Ultimamente ha compiuto missioni in Siria, Iraq, Nagorno Karabakh, Benin, Togo, Costa d’Avorio, Emirati arabi uniti e Irlanda. È stato redattore dell’annuale Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo pubblicato da Aiuto alla Chiesa che soffre.

Il tema del libro

Dal suo punto di vista, tratto dall’esperienza diretta sul campo, ha parlato della persecuzione dei cristiani nel mondo e soprattutto nel Medio Oriente. Ha parlato della resistenza eroica delle comunità cristiane oggi perseguitate e che, pur di non abiurare alla propria convinzione religiosa, sono costrette a torture e privazioni da parte delle milizie islamiste. Il tutto constatato ed accertato da testimonianze dirette sul posto. Partendo dal lavoro di giornalista e quindi inviato sul campo, ha dato la sua lettura dei grandi tempi della contemporaneità.

Una lettura (da qui il titolo del libro, “Scritti contrari”) che interpreta i fatti con uno sguardo che non è quello dei grandi giornali e delle televisioni, tutte uniformate secondo uno schema precostituito e unanimemente riconosciuto (in sintesi il cosiddetto “pensiero unico”) che tutti ci omologa sotto una coltre conforme al potere e alle sue derivazioni finanziarie.

Ecco allora la lettura sull’Europa contemporanea ed il suo destino, che non può essere quello dettato dai burocrati di Bruxells e dei soliti paletti dettati dal rapporto deficit/Pil; con una Germania egemone grazie ad un euro che è per i tedeschi sottovalutato e per noi sopravvalutato. Una Europa che ha perso la sua identità cristiana e che fa un vanto della sua laicità, che non è altro che assenza di qualsivoglia valore.

Dalla lettura del terrorismo e dei suoi metodi distruttivi dell’umanità all’elogio delle frontiere (“Oltre che muri e punti, dotiamoci di porte”), alla competizione tra russi ed americani, alle mutazioni antropologiche, alle diatribe cattoliche (Family Day sì o Family Day no?). Quindi la presentazione di un testo tutt’ altro che accomodante, ma ricco di spunti di riflessione, e sicuramente in controtendenza.

Alessandro Bartoli

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Le parole di Papa Francesco a Bari a conclusione del dialogo https://www.lavoce.it/le-parole-papa-francesco-bari-conclusione-del-dialogo/ Wed, 11 Jul 2018 11:15:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52293

"Cari fratelli e sorelle, Sono molto grato per la condivisione che abbiamo avuto la grazia di vivere. Ci siamo aiutati a riscoprire la nostra presenza di cristiani in Medio Oriente, come fratelli. Essa sarà tanto più profetica quanto più testimonierà Gesù Principe della pace (cfr Is 9,5). Egli non impugna la spada, ma chiede ai suoi di rimetterla nel fodero (cfr Gv 18,11). Anche il nostro essere Chiesa è tentato dalle logiche del mondo, logiche di potenza e di guadagno, logiche sbrigative e di convenienza. E c’è il nostro peccato, l’incoerenza tra la fede e la vita, che oscura la testimonianza. Sentiamo di doverci convertire ancora una volta al Vangelo, garanzia di autentica libertà, e di farlo con urgenza ora, nella notte del Medio Oriente in agonia. Come nella notte angosciosa del Getsemani, non saranno la fuga (cfr Mt 26,56) o la spada (cfr Mt 26,52) ad anticipare l’alba radiosa di Pasqua, ma il dono di sé a imitazione del Signore. La buona notizia di Gesù, crocifisso e risorto per amore, giunta dalle terre del Medio Oriente, ha conquistato il cuore dell’uomo lungo i secoli perché legata non ai poteri del mondo, ma alla forza inerme della croce. Il Vangelo ci impegna a una quotidiana conversione ai piani di Dio, a trovare in Lui solo sicurezza e conforto, ad annunciarlo a tutti e nonostante tutto. La fede dei semplici, tanto radicata in Medio Oriente, è sorgente da cui attingere per abbeverarci e purificarci, come avviene quando torniamo alle origini, andando pellegrini a Gerusalemme, in Terra Santa o nei santuari dell’Egitto, della Giordania, del Libano, della Siria, della Turchia e degli altri luoghi sacri di quelle regioni.
I CONFLITTI IN CORSO SIRIA. Il regime del presidente Bashar al Assad, appoggiato da Russia e Iran, sta riconquistando le zone del Paese ancora nelle mani degli oppositori e dei gruppi ribelli. I cristiani nel Paese oggi sono meno del 2%. IRAQ. Qui lo sforzo governativo, supportato dalla coalizione internazionale, si è concentrato con successo esclusivamente contro l’Isis. Intanto l’Iraq ha visto ridursi la minoranza cristiana: da 1,5 milioni di prima della guerra a circa 300 mila fedeli. ISRAELE-PALESTINA. Permangono le difficoltà dei cristiani locali, in maggioranza arabo-palestinesi, sempre più propensi a emigrare all’estero, lontano dall’occupazione militare israeliana e dall’instabilità dovuta alle tensioni intra-palestinesi tra Hamas (Striscia di Gaza) e Al Fatah (Cisgiordania). LIBANO E GIORDANIA. Sono i due Paesi che accolgono, con la Turchia, il numero più alto di rifugiati siriani, e in misura minore anche iracheni. L’equilibrio interno dei due Paesi è fragile. La disoccupazione, i sistemi sanitario e scolastico messi a dura prova dai rifugiati, la carenza di servizi favoriscono l’emigrazione. Anche il numero dei cristiani si assottiglia, ma, rispetto ad altre zone, regge meglio. EGITTO. Per dare maggiore stabilità e sicurezza, il presidente Al-Sisi potenzia le infrastrutture; migliora i rapporti con la Chiesa copta, che rappresenta oltre il 10% della popolazione, e le relazioni con i Paesi della regione, proponendosi come mediatore di conflitti in corso come quello tra Hamas e Israele. YEMEN. La guerra in questo Paese, uno dei più poveri del mondo, dura da oltre tre anni e vede coinvolte da una parte Arabia Saudita ed Emirati Arabi, e dall’altra l’Iran sciita che sostiene i ribelli houthi . Una guerra che quasi nessuno racconta e che sta provocando migliaia di morti e feriti, molti dei quali bambini. Nello Yemen sono attive 4 parrocchie, e non sono mancati attacchi alle comunità cristiane.
Incoraggiati gli uni dagli altri, abbiamo dialogato fraternamente. È stato un segno che l’incontro e l’unità vanno cercati sempre, senza paura delle diversità. Così pure la pace: va coltivata anche nei terreni aridi delle contrapposizioni, perché oggi, malgrado tutto, non c’è alternativa possibile alla pace. Non le tregue garantite da muri e prove di forza porteranno la pace, ma la volontà reale di ascolto e dialogo. Noi ci impegniamo a camminare, pregare e lavorare, e imploriamo che l’arte dell’incontro prevalga sulle strategie dello scontro, che all’ostentazione di minacciosi segni di potere subentri il potere di segni speranzosi: uomini di buona volontà e di credo diversi che non hanno paura di parlarsi, di accogliere le ragioni altrui e di occuparsi gli uni degli altri. Solo così, avendo cura che a nessuno manchino il pane e il lavoro, la dignità e la speranza, le urla di guerra si muteranno in canti di pace. Per fare questo è essenziale che chi detiene il potere si ponga finalmente e decisamente al vero servizio della pace e non dei propri interessi. Basta ai tornaconti di pochi sulla pelle di molti! Basta alle occupazioni di terre che lacerano i popoli! Basta al prevalere delle verità di parte sulle speranze della gente! Basta usare il Medio Oriente per profitti estranei al Medio Oriente! La guerra è la piaga che tragicamente assale quest’amata regione. Ne è vittima soprattutto la povera gente. Pensiamo alla martoriata Siria, in particolare alla provincia di Deraa. Lì sono ripresi aspri combattimenti che hanno provocato un ingente numero di sfollati, esposti a sofferenze terribili. La guerra è figlia del potere e della povertà. Si sconfigge rinunciando alle logiche di supremazia e sradicando la miseria. Tanti conflitti sono stati fomentati anche da forme di fondamentalismo e di fanatismo che, travestite di pretesti religiosi, hanno in realtà bestemmiato il nome di Dio, che è pace, e perseguitato il fratello che da sempre vive accanto. Ma la violenza è sempre alimentata dalle armi. Non si può alzare la voce per parlare di pace mentre di nascosto si perseguono sfrenate corse al riarmo. È una gravissima responsabilità, che pesa sulla coscienza delle nazioni, in particolare di quelle più potenti. Non si dimentichi il secolo scorso, non si scordino le lezioni di Hiroshima e Nagasaki, non si trasformino le terre d’Oriente, dove è sorto il Verbo della pace, in buie distese di silenzio. Basta contrapposizioni ostinate, basta alla sete di guadagno, che non guarda in faccia a nessuno pur di accaparrare giacimenti di gas e combustibili, senza ritegno per la casa comune e senza scrupoli sul fatto che il mercato dell’energia detti la legge della convivenza tra i popoli! Per aprire sentieri di pace, si volga invece lo sguardo a chi supplica di convivere fraternamente con gli altri. Si tutelino tutte le presenze, non solo quelle maggioritarie. Si spalanchi anche in Medio Oriente la strada verso il diritto alla comune cittadinanza, strada per un rinnovato avvenire. Anche i cristiani sono e siano cittadini a pieno titolo, con uguali diritti. Fortemente angosciati, ma mai privi di speranza, volgiamo lo sguardo a Gerusalemme, città per tutti i popoli, città unica e sacra per cristiani, ebrei e musulmani di tutto il mondo, la cui identità e vocazione va preservata al di là delle varie dispute e tensioni, e il cui status quo esige di essere rispettato secondo quanto deliberato dalla Comunità internazionale e ripetutamente chiesto dalle comunità cristiane di Terra Santa. Solo una soluzione negoziata tra Israeliani e Palestinesi, fermamente voluta e favorita dalla Comunità delle nazioni, potrà condurre a una pace stabile e duratura, e garantire la coesistenza di due Stati per due popoli. La speranza ha il volto dei bambini. In Medio Oriente, da anni, un numero spaventoso di piccoli piange morti violente in famiglia e vede insidiata la terra natia, spesso con l’unica prospettiva di dover fuggire. Questa è la morte della speranza. Gli occhi di troppi fanciulli hanno passato la maggior parte della vita a vedere macerie anziché scuole, a sentire il boato sordo di bombe anziché il chiasso festoso di giochi. L’umanità ascolti – vi prego – il grido dei bambini, la cui bocca proclama la gloria di Dio (cfr Sal 8,3). È asciugando le loro lacrime che il mondo ritroverà la dignità. Pensando ai bambini – non dimentichiamo i bambini! –, tra poco faremo librare in aria, insieme ad alcune colombe, il nostro desiderio di pace. L’anelito di pace si levi più alto di ogni nube scura. I nostri cuori si mantengano uniti e rivolti al Cielo, in attesa che, come ai tempi del diluvio, torni il tenero ramoscello della speranza (cfr Gen 8,11). E il Medio Oriente non sia più un arco di guerra teso tra i continenti, ma un’arca di pace accogliente per i popoli e le fedi. Amato Medio Oriente, si diradino da te le tenebre della guerra, del potere, della violenza, dei fanatismi, dei guadagni iniqui, dello sfruttamento, della povertà, della disuguaglianza e del mancato riconoscimento dei diritti. «Su te sia pace» (Sal 122,8) – insieme: “Su te sia pace” [ripetono] –, in te giustizia, sopra di te si posi la benedizione di Dio. Amen."  ]]>

"Cari fratelli e sorelle, Sono molto grato per la condivisione che abbiamo avuto la grazia di vivere. Ci siamo aiutati a riscoprire la nostra presenza di cristiani in Medio Oriente, come fratelli. Essa sarà tanto più profetica quanto più testimonierà Gesù Principe della pace (cfr Is 9,5). Egli non impugna la spada, ma chiede ai suoi di rimetterla nel fodero (cfr Gv 18,11). Anche il nostro essere Chiesa è tentato dalle logiche del mondo, logiche di potenza e di guadagno, logiche sbrigative e di convenienza. E c’è il nostro peccato, l’incoerenza tra la fede e la vita, che oscura la testimonianza. Sentiamo di doverci convertire ancora una volta al Vangelo, garanzia di autentica libertà, e di farlo con urgenza ora, nella notte del Medio Oriente in agonia. Come nella notte angosciosa del Getsemani, non saranno la fuga (cfr Mt 26,56) o la spada (cfr Mt 26,52) ad anticipare l’alba radiosa di Pasqua, ma il dono di sé a imitazione del Signore. La buona notizia di Gesù, crocifisso e risorto per amore, giunta dalle terre del Medio Oriente, ha conquistato il cuore dell’uomo lungo i secoli perché legata non ai poteri del mondo, ma alla forza inerme della croce. Il Vangelo ci impegna a una quotidiana conversione ai piani di Dio, a trovare in Lui solo sicurezza e conforto, ad annunciarlo a tutti e nonostante tutto. La fede dei semplici, tanto radicata in Medio Oriente, è sorgente da cui attingere per abbeverarci e purificarci, come avviene quando torniamo alle origini, andando pellegrini a Gerusalemme, in Terra Santa o nei santuari dell’Egitto, della Giordania, del Libano, della Siria, della Turchia e degli altri luoghi sacri di quelle regioni.
I CONFLITTI IN CORSO SIRIA. Il regime del presidente Bashar al Assad, appoggiato da Russia e Iran, sta riconquistando le zone del Paese ancora nelle mani degli oppositori e dei gruppi ribelli. I cristiani nel Paese oggi sono meno del 2%. IRAQ. Qui lo sforzo governativo, supportato dalla coalizione internazionale, si è concentrato con successo esclusivamente contro l’Isis. Intanto l’Iraq ha visto ridursi la minoranza cristiana: da 1,5 milioni di prima della guerra a circa 300 mila fedeli. ISRAELE-PALESTINA. Permangono le difficoltà dei cristiani locali, in maggioranza arabo-palestinesi, sempre più propensi a emigrare all’estero, lontano dall’occupazione militare israeliana e dall’instabilità dovuta alle tensioni intra-palestinesi tra Hamas (Striscia di Gaza) e Al Fatah (Cisgiordania). LIBANO E GIORDANIA. Sono i due Paesi che accolgono, con la Turchia, il numero più alto di rifugiati siriani, e in misura minore anche iracheni. L’equilibrio interno dei due Paesi è fragile. La disoccupazione, i sistemi sanitario e scolastico messi a dura prova dai rifugiati, la carenza di servizi favoriscono l’emigrazione. Anche il numero dei cristiani si assottiglia, ma, rispetto ad altre zone, regge meglio. EGITTO. Per dare maggiore stabilità e sicurezza, il presidente Al-Sisi potenzia le infrastrutture; migliora i rapporti con la Chiesa copta, che rappresenta oltre il 10% della popolazione, e le relazioni con i Paesi della regione, proponendosi come mediatore di conflitti in corso come quello tra Hamas e Israele. YEMEN. La guerra in questo Paese, uno dei più poveri del mondo, dura da oltre tre anni e vede coinvolte da una parte Arabia Saudita ed Emirati Arabi, e dall’altra l’Iran sciita che sostiene i ribelli houthi . Una guerra che quasi nessuno racconta e che sta provocando migliaia di morti e feriti, molti dei quali bambini. Nello Yemen sono attive 4 parrocchie, e non sono mancati attacchi alle comunità cristiane.
Incoraggiati gli uni dagli altri, abbiamo dialogato fraternamente. È stato un segno che l’incontro e l’unità vanno cercati sempre, senza paura delle diversità. Così pure la pace: va coltivata anche nei terreni aridi delle contrapposizioni, perché oggi, malgrado tutto, non c’è alternativa possibile alla pace. Non le tregue garantite da muri e prove di forza porteranno la pace, ma la volontà reale di ascolto e dialogo. Noi ci impegniamo a camminare, pregare e lavorare, e imploriamo che l’arte dell’incontro prevalga sulle strategie dello scontro, che all’ostentazione di minacciosi segni di potere subentri il potere di segni speranzosi: uomini di buona volontà e di credo diversi che non hanno paura di parlarsi, di accogliere le ragioni altrui e di occuparsi gli uni degli altri. Solo così, avendo cura che a nessuno manchino il pane e il lavoro, la dignità e la speranza, le urla di guerra si muteranno in canti di pace. Per fare questo è essenziale che chi detiene il potere si ponga finalmente e decisamente al vero servizio della pace e non dei propri interessi. Basta ai tornaconti di pochi sulla pelle di molti! Basta alle occupazioni di terre che lacerano i popoli! Basta al prevalere delle verità di parte sulle speranze della gente! Basta usare il Medio Oriente per profitti estranei al Medio Oriente! La guerra è la piaga che tragicamente assale quest’amata regione. Ne è vittima soprattutto la povera gente. Pensiamo alla martoriata Siria, in particolare alla provincia di Deraa. Lì sono ripresi aspri combattimenti che hanno provocato un ingente numero di sfollati, esposti a sofferenze terribili. La guerra è figlia del potere e della povertà. Si sconfigge rinunciando alle logiche di supremazia e sradicando la miseria. Tanti conflitti sono stati fomentati anche da forme di fondamentalismo e di fanatismo che, travestite di pretesti religiosi, hanno in realtà bestemmiato il nome di Dio, che è pace, e perseguitato il fratello che da sempre vive accanto. Ma la violenza è sempre alimentata dalle armi. Non si può alzare la voce per parlare di pace mentre di nascosto si perseguono sfrenate corse al riarmo. È una gravissima responsabilità, che pesa sulla coscienza delle nazioni, in particolare di quelle più potenti. Non si dimentichi il secolo scorso, non si scordino le lezioni di Hiroshima e Nagasaki, non si trasformino le terre d’Oriente, dove è sorto il Verbo della pace, in buie distese di silenzio. Basta contrapposizioni ostinate, basta alla sete di guadagno, che non guarda in faccia a nessuno pur di accaparrare giacimenti di gas e combustibili, senza ritegno per la casa comune e senza scrupoli sul fatto che il mercato dell’energia detti la legge della convivenza tra i popoli! Per aprire sentieri di pace, si volga invece lo sguardo a chi supplica di convivere fraternamente con gli altri. Si tutelino tutte le presenze, non solo quelle maggioritarie. Si spalanchi anche in Medio Oriente la strada verso il diritto alla comune cittadinanza, strada per un rinnovato avvenire. Anche i cristiani sono e siano cittadini a pieno titolo, con uguali diritti. Fortemente angosciati, ma mai privi di speranza, volgiamo lo sguardo a Gerusalemme, città per tutti i popoli, città unica e sacra per cristiani, ebrei e musulmani di tutto il mondo, la cui identità e vocazione va preservata al di là delle varie dispute e tensioni, e il cui status quo esige di essere rispettato secondo quanto deliberato dalla Comunità internazionale e ripetutamente chiesto dalle comunità cristiane di Terra Santa. Solo una soluzione negoziata tra Israeliani e Palestinesi, fermamente voluta e favorita dalla Comunità delle nazioni, potrà condurre a una pace stabile e duratura, e garantire la coesistenza di due Stati per due popoli. La speranza ha il volto dei bambini. In Medio Oriente, da anni, un numero spaventoso di piccoli piange morti violente in famiglia e vede insidiata la terra natia, spesso con l’unica prospettiva di dover fuggire. Questa è la morte della speranza. Gli occhi di troppi fanciulli hanno passato la maggior parte della vita a vedere macerie anziché scuole, a sentire il boato sordo di bombe anziché il chiasso festoso di giochi. L’umanità ascolti – vi prego – il grido dei bambini, la cui bocca proclama la gloria di Dio (cfr Sal 8,3). È asciugando le loro lacrime che il mondo ritroverà la dignità. Pensando ai bambini – non dimentichiamo i bambini! –, tra poco faremo librare in aria, insieme ad alcune colombe, il nostro desiderio di pace. L’anelito di pace si levi più alto di ogni nube scura. I nostri cuori si mantengano uniti e rivolti al Cielo, in attesa che, come ai tempi del diluvio, torni il tenero ramoscello della speranza (cfr Gen 8,11). E il Medio Oriente non sia più un arco di guerra teso tra i continenti, ma un’arca di pace accogliente per i popoli e le fedi. Amato Medio Oriente, si diradino da te le tenebre della guerra, del potere, della violenza, dei fanatismi, dei guadagni iniqui, dello sfruttamento, della povertà, della disuguaglianza e del mancato riconoscimento dei diritti. «Su te sia pace» (Sal 122,8) – insieme: “Su te sia pace” [ripetono] –, in te giustizia, sopra di te si posi la benedizione di Dio. Amen."  ]]>
Il Medio Oriente lo si vede meglio da Bari https://www.lavoce.it/medio-oriente-lo-si-vede-meglio-bari/ Wed, 11 Jul 2018 08:35:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52313 di Tonio Dell’Olio

Da Bari il Medio Oriente si vede bene. Meglio che da altri punti di osservazione. Lo ha intuito Papa Francesco, insieme a un’altra convinzione profonda: solo insieme si scruta meglio l’orizzonte. E se quell’insieme è composto anche da rappresentanti di Chiese e comunità che stanno soffrendo sulla propria pelle, nella propria carne, il dolore acutissimo dei conflitti, la visione è completa. Basterebbe questa immagine, facendo perfino a meno delle parole dei discorsi e delle preghiere che si sono levate dal porto di Bari verso il mondo, a favore della pace in quel lembo di terra che ha cullato i primi vagiti del Salvatore e ha segnato i primi sentieri della storia biblica. Una risposta corale a quanti credono ancora nella forza delle armi e nell’altezza di muri poderosi, nella supremazia degli uni contro gli altri e nelle alleanze di potere che possono garantire le paure ma non la pace. “Non c’è alternativa possibile alla pace – ha detto Francesco a conclusione dell’incontro. – Non le tregue garantite da muri e prove di forza porteranno la pace, ma la volontà reale di ascolto e dialogo. Noi ci impegniamo a camminare, pregare e lavorare, e imploriamo che l’arte dell’incontro prevalga sulle strategie dello scontro”. Un ecumenismo per la pace e la ricerca comune della pace come via maestra per l’unità. Un’intuizione conciliare che trova realizzazione nel Levante d’Italia ma che è insieme una risposta, evangelicamente discreta, alla convinzione – che oggi appare tanto diffusa – per la quale nemmeno come cristiani siamo tenuti ad accogliere chi scappa dalla guerra, dalla fame o dalla violenza di ogni tipo. Alla signora fotografata nel corso di una manifestazione con un cartello tanto eloquente quanto triste: “Se non vuoi il Crocifisso, torna al tuo Paese”, ha dato risposta nei giorni scorsi un comunicato della Pro Civitate Christiana, cui ha fatto seguito la riflessione del direttore di Avvenire alla replica della signora. Ma l’argomento più persuasivo è certamente l’immagine di quei capi delle Chiese orientali, insieme a colui che per secoli è stato per loro “il Patriarca d’Occidente”, stringersi attorno al bene prezioso e primario della pace. “La guerra è la piaga che tragicamente assale quest’amata regione – ha ricordato il Papa. – Ne è vittima soprattutto la povera gente”. Pace che non è solo assenza di guerra, è “opera di giustizia”, per dirla con la predicazione profetica e con il Concilio. Dal Medio Oriente, per il quale si è invocata la pace, milioni di persone sono state costrette a fuggire verso l’Europa per via della guerra; basti pensare alla Siria e all’Iraq. Popoli fratelli, figli dello stesso mare e dello stesso Padre, tendono la mano, prima ancora che per ricevere un aiuto, per stringere un’altra mano. Il Papa che si sporge verso il Mediterraneo da una regione che vocazionalmente è “arca di pace e non arco di guerra” (don Tonino Bello) ce lo ricorda in maniera efficace, e chiede alle Chiese, plurali in senso ecumenico e in senso locale, di unirsi con speranza, con fede e con carità all’aspirazione a una pace da realizzare a Gerusalemme come a Damasco, a Baghdad come a Beirut. A Bari, accanto all’efficacia della preghiera, della riflessione e del dialogo, non è mancata la parola coraggiosa della denuncia contro i potentati politici ed economici che traggono profitto dai conflitti, contro i costruttori e commercianti di armi, contro chi non rispetta le minoranze e l’identità di Gerusalemme come città madre delle tre fedi. La parola, la preghiera e l’azione adesso passa a noi, chiamati a riconoscere fratelli e sorelle da accogliere nel nome dell’unico Dio e della stessa umanità.

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Ricostruire non basta https://www.lavoce.it/ricostruire-non-basta/ Thu, 23 Jul 2015 09:56:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39932 GazaPreceduta da un pesante lancio di razzi di Hamas dalla Striscia di Gaza e dagli attacchi aerei di risposta da parte dell’Aviazione israeliana, l’8 luglio 2014 Israele dava il via all’operazione “Margine protettivo”.

L’obiettivo era porre fine al lancio di razzi e distruggere i tunnel dei miliziani scavati da Gaza per penetrare in territorio ebraico e colpire i civili.

Cinquantuno giorni di guerra – la terza in sei anni – che provocarono, secondo il rapporto del Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu, la morte di 2.251 palestinesi, di cui 1.462 civili (tra i quali 299 donne e 551 bambini) e 789 combattenti. Diecimila i feriti.

Un anno dopo, le ferite di questo conflitto sono sotto gli occhi del mondo. Visibili come le macerie delle 18 mila strutture distrutte o severamente danneggiate. Poche le case riparate. Fonti locali e organismi internazionali operanti a Gaza stimano che siano almeno 100 mila i gazawi costretti a vivere in alloggi di fortuna e oltre 8 mila i senzatetto, circa il 5% dell’1,8 milioni di abitanti che sovrappopolano i 362 chilometri quadrati della Striscia.

Gaza vive una continua emergenza umanitaria. I finanziamenti (5 miliardi di dollari) promessi dai donatori internazionali durante la conferenza al Cairo dell’ottobre 2014 arrivano lentamente, così come i materiali per la ricostruzione, che Israele permette di far entrare attraverso il valico di Erez. Secondo la Banca mondiale, nella Striscia si registra il più alto tasso di disoccupazione al mondo, pari al 40%, che sale al 60% tra i giovani che sono la maggioranza della popolazione.

La produzione agricola è diminuita del 31% solamente nell’ultimo anno. Con il collasso economico dietro l’angolo, sono sempre di più i giovani che, in cerca di un lavoro rischiano la vita, scavalcando le recinzioni al confine con Israele. In totale sono oltre 300 mila i giovani e i bambini che attualmente hanno bisogno di assistenza psicologica per riuscire a superare i traumi e le sofferenze causate dai conflitti.

Save the Children ha diffuso in questi giorni uno studio sui bambini della regione. L’89% soffre ancora di forti paure; più del 70% dei piccoli teme un altro conflitto; e ancora: 7 bambini su 10 hanno incubi notturni, nelle zone più colpite, percentuale che raggiunge la quasi totalità nelle città di Beit Hanoun (96%) e Khuza (92%).

Stallo anche nel processo politico con Hamas che continua a governare la Striscia ma ora c’è lo Stato islamico (Isis) interessato a insediarsi a Gaza, come testimonierebbero alcuni attentati contro Hamas. Non si registrano sviluppi positivi nemmeno nel dialogo con l’Autorità palestinese (Anp) e con l’Egitto.

“Non è cambiato nulla – dice con amarezza padre Raed Abusahlia, direttore di Caritas Jerusalem – a Gaza si cammina tra le macerie e la delusione della gente è palpabile. Quartieri interi distrutti. Ci vorranno almeno 5 anni per rimettere in sesto quello che è stato distrutto in 51 giorni. Dei 5 miliardi di dollari promessi dai Paesi donatori, non si è visto nulla. E anche la solidarietà della gente comune è finita.

Come se la guerra fosse finita e tutto fosse tornato a posto. Ma non è così. Nessuno qui nutre più speranze per un futuro migliore. La nostra stessa comunità cristiana, circa 1.300 persone di cui poco meno di 200 cattolici, se mai dovessero aprire i valichi di confine, lascerebbe la Striscia subito… Serve aiuto soprattutto ai più piccoli. I bambini di Gaza sono malnutriti. La situazione è davvero difficile, e a questo si aggiunga il caldo, le precarie condizioni igieniche, la mancanza di acqua e di energia elettrica che viene erogata per circa 4 ore al giorno. Dopo un anno, non basta ricostruire Gaza, ma la speranza della sua gente, per evitare conflitti futuri”.

 

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Incontro testimonianza sui cristiani in Siria https://www.lavoce.it/incontro-testimonianza-sui-cristiani-in-siria/ Wed, 15 Jul 2015 14:08:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39071 Un momento dell’incontro “Cristianesimo in Siria: da Paolo e Barnaba alle persecuzioni di oggi”
Un momento dell’incontro “Cristianesimo in Siria: da Paolo e Barnaba alle persecuzioni di oggi”

L’incontro “Cristianesimo in Siria: da Paolo e Barnaba alle persecuzioni di oggi”, tenutosi a Todi l’11 luglio, nasce da un’idea di Marcello Rinaldi, direttore della Caritas diocesana, per gettare luce sulla drammatica situazione dei cristiani in quell’area del Medio Oriente.

Per due ore e mezzo la sala del Trono del palazzo vescovile di Todi si è trasformata in uno spazio di riflessione e di condivisione di testimonianze e reportage, che hanno visto protagonisti Ayman Haddad, ingegnere e docente di Lingua e cultura araba, e Gian Micalessin, giornalista e reporter di guerra.

La tavola rotonda si è aperta con le parole del vescovo mons. Benedetto Tuzia, che ha ricordato l’importanza del “polmone” siriaco della Chiesa, oltre a quello latino e bizantino.

A seguire, don Marcello Cruciani, parroco del Ss. Crocifisso, ha presentato un quadro, tanto interessante quanto ai più sconosciuto, sulla cristianizzazione dell’Umbria da parte dei monaci siriaci nei primi secoli della diffusione del cristianesimo.

L’atmosfera si è caricata di pathos e commozione durante la vibrante testimonianza dell’ing. Haddad. La sua recente esperienza in Siria, centro del suo intervento, ha permesso di comprendere aspetti toccanti della vita dei siriani e in particolare della comunità cristiana, di cui fanno parte i suoi parenti e amici.

In uno scenario di devastazione, in una Damasco martoriata e soffocata dai check-point, i cristiani non tradiscono il loro messaggio di fede e fanno della speranza il loro baluardo quotidiano. Il loro attaccamento ai riti e alle tradizioni li rende paladini di Cristo nelle avversità.

La solidarietà è la cifra del vivere cristiano; la forza della comunità è proprio la comunione di spirito nel dolore, dal momento che a Damasco ogni famiglia cristiana conta almeno un lutto. Sono i quartieri cristiani, infatti, a essere presi di mira dai mortai dei jihadisti. I cristiani di Siria sono i martiri di oggi, che scelgono di non rinnegare il nome di Cristo di fronte alla minaccia di morte.

Essere “martire” significa, in greco, essere “testimone”: questo spinge la maggior parte di loro a non andarsene e a mantenere salde le radici di un ulivo, quello del cristianesimo, che non può essere sradicato ma che può solo portare i suoi frutti altrove.

Poi l’illustrazione del conflitto in tutta la sua storicità da parte di Gian Micalessin che, attraverso i suoi reportage dal sapore unico, ha delineato un vivido quadro della situazione geopolitica del conflitto siriano a partire dai suoi albori. L’esperienza diretta di chi dall’esterno è andato alla ricerca della verità, di chi ha ascoltato testimoni e ha riconosciuto nei loro occhi gli occhi della guerra, ha reso estremamente sentita la partecipazione dei presenti.

La rischiosissima visita a Maaloula, città martire cristiana in cui si parla ancora oggi l’aramaico, e le impressionanti riprese, scandite dal sibilo dei proiettili dei cecchini, in una Aleppo devastata dai colpi di mortaio dei jihadisti, hanno mostrato con la drammaticità e la potenza dell’immagine ciò che significa vivere oggi in Siria.

Le parole del vicario apostolico di Aleppo mons. George Abu Khazen sono un monito a tutti i cristiani d’Occidente: “Guai a un Medio Oriente senza cristiani!”. Ciò rappresenterebbe un’inestimabile perdita per l’Europa e per il mondo. Un rischio che dovrebbe scuotere dall’indifferenza l’Occidente, così attento alla storia, e allo stesso tempo potenziale vittima del miopismo e della superficialità.

A tale incontro, che ha messo in risalto l’inevitabile comunanza di destino che lega i popoli del mondo, non poteva non seguire una serata all’insegna della valorizzazione dello scambio tra culture. Il tema “Una sola famiglia umana – Incontro tra i popoli” ha infatti animato la cena multiculturale organizzata presso l’istituto Crispolti dalla Caritas diocesana e dall’associazione Matavitau in occasione della campagna mondiale inaugurata da Papa Francesco “Cibo per tutti”. Evento dal clima festoso, ha fornito a tutti i partecipanti la prova che la conoscenza delle altre culture passa anche dall’alimentazione, necessità comune a tutti gli uomini.

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Il nuovo Medio Oriente secondo il patriarca latino https://www.lavoce.it/il-nuovo-medio-oriente-secondo-il-patriarca-latino/ Mon, 18 May 2015 13:38:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=33609 L’incontro con il Patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal
L’incontro con il Patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal

L’associazione Habibi ha organizzato venerdì scorso un incontro con il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal. Si è trattato di un incontro intervista guidato dalla giornalista Rai Lucia Goracci sul tema “Il nuovo Medio Oriente”.

Tante le perone che hanno gremito la chiesa della Madonna del Latte per ascoltare le parole di due testimoni credibili che con grande semplicità hanno delineato un quadro preciso della situazione attuale della Terra Santa.

Presenti all’incontro anche don Mario Cornioli presidente dell’associazione organizzatrice e il vescovo mons. Domenico Cancian.

“Ci sentiamo, ha detto il Patriarca, Chiesa del calvario in questa terra calpestata da Gesù, che unisce tutti i credenti ma che non ha mai conosciuto la pace. Di fronte a tanti interrogativi non dimentichiamo di essere Chiesa di resurrezione e nelle nostre grandi difficoltà non ci sentiamo soli ma legati come Chiesa madre alle Chiese particolari nel mondo e la visita dei pellegrini ci dà speranza.

La Croce che portiamo ci rende sensibili nei confronti di chi soffre, vicini a chi soffre con la consapevolezza di quanto sia necessaria la pace per tutti gli abitanti, non solo per alcuni di loro o per un solo popolo. Certo non sono i muri a garantire la pace, questi sono la vergogna dell’odio che si è radicato nel cuore dell’uomo. Abbiamo bisogno di ponti di dialogo e di relazione per abbattere i muri dell’odio”.

Relativamente allo Stato di Palestina il patriarca ha sottolineato la necessità di prendere atto della sua esistenza anche se Israele non lo riconosce, è imprescindibile un atto di coraggio da parte del mondo intero ma soprattutto in questo momento, da parte della Santa Sede e il Papa si è recentemente mosso in tal senso. “Se 50 anni fa tutto il mondo appoggiava Israele oggi nessuno può essere più d’accordo con la sua opera di odio”.

La sfida dell’occidente e degli Usa non è la sfida della Terra Santa la cui prima necessità è il riconoscimento dello status internazionale di Gerusalemme che vi garantisca il libero accesso a tutti i credenti sotto la tutela di un accordo internazionale, ma al momento non c’è una visione di politica di pace c’è solo una politica di interessi.

Lucia Goracci ha poi invitato il patriarca a riflettere sulla questione dell’educazione e Twal ha parlato dei tanti bambini di Gaza che nonostante la giovane età conoscono bene la guerra e la morte. Sarà difficile, ha detto, ricostruire un cuore distrutto dalla violenza, ma proprio per questo è necessario educare alla convivenza. Quando i bambini stanno insieme e giocano insieme questa è la scuola del dialogo.

 

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La “Dichiarazione congiunta” di Papa Francesco e del Patriarca Bartolomeo https://www.lavoce.it/la-dichiarazione-congiunta-di-papa-francesco-e-del-patriarca-bartolomeo/ Fri, 05 Dec 2014 14:16:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29375 Istanbul-francesco-bartolomeoIl Papa e il Patriarca affacciati al terrazzino del secondo piano del palazzo patriarcale al Fanar di Istanbul. Di nuovo insieme, di nuovo l’uno nelle braccia dell’altro. Leader di due Chiese che ancora non sono in piena comunione, ma unite nella comune preoccupazione per le tante sfide che attraversano il mondo: la povertà, il terrorismo, la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente.

“Non possiamo non sentire” le voci dei poveri, delle vittime dei conflitti – dice Francesco – perché “domandano alle nostre Chiese di vivere fino in fondo l’essere discepoli del Signore Gesù Cristo”. Il Papa è ospite del Patriarca al Fanar per seguire la liturgia nella chiesa di S. Giorgio nel giorno della festa patronale di sant’Andrea. C’è qualcosa di nuovo tra il Papa di Roma e il Patriarca di Costantinopoli. Il dialogo vissuto qui a Istanbul sembra uscire dalle sacche delle difficoltà teologiche per farsi voce dei problemi reali e urgenti degli uomini e delle donne di oggi.

Papa Francesco parla della povertà che “può indurre ad attività criminali e perfino al reclutamento di terroristi”. E ricorda che solo venerdì scorso alla moschea di Kano, grande città nel nord della Nigeria, un attentato ha provocato la morte di almeno 81 persone. “Turbare la pace di un popolo – dice -, commettere o consentire ogni genere di violenza, specialmente su persone deboli e indifese, è un peccato gravissimo contro Dio, perché significa non rispettare l’immagine di Dio che è nell’uomo”.

Ma se è chiaro che il dialogo tra le Chiese si deve necessariamente confrontare con la realtà del mondo, è altrettanto chiaro che il cammino ecumenico stenta a fare passi in avanti. Difficile e paludato sembra essere il lavoro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e le Chiese ortodosse nel loro insieme. I teologi hanno scelto di centrare il loro lavoro di ricerca sul ruolo del primato di Roma. Ma le visioni che le Chiese hanno maturato nel corso dei secoli di separazione sono diverse.

Non è solo la diversità di prospettiva a ostacolare il cammino ecumenico: c’è anche la questione di un mondo ortodosso estremamente diviso al suo interno. È in questo contesto che risuonano in maniera inedita le parole di Bergoglio: “Voglio assicurare a ciascuno di voi che, per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza”.

Il Patriarca Bartolomeo riserva a Francesco parole di stima e amore fraterno. Lo definisce “araldo dell’amore, della pace e della riconciliazione”. E aggiunge: “Offrite ai Vostri fratelli ortodossi la speranza che, durante il Vostro tempo, l’avvicinamento delle nostre due grandi antiche Chiese continuerà a edificarsi sulle solide fondamenta”.

Nella sala del Trono, il Papa e il Patriarca firmano davanti alle telecamere e ai giornalisti la Dichiarazione congiunta. Un testo intenso e concreto (vedi di seguito), per la maggior parte dedicato alla questione mediorientale, perché – dicono i due leader religiosi – “non possiamo rassegnarci a un Medio Oriente senza i cristiani, che lì hanno professato il nome di Gesù per duemila anni”.

Nella Dichiarazione, i due leader si appellano alla comunità internazionale, ma si rivolgono anche all’islam autentico. Segno del cambiamento di prospettiva di una Chiesa che si apre all’esterno e chiede a tutti gli uomini di buona volontà, e soprattutto ai leader religiosi, di promuovere la pace e dire no ai fondamentalismi, rafforzando il dialogo interreligioso e compiendo “ogni sforzo per costruire una cultura di pace e di solidarietà fra le persone e fra i popoli”.

 

La Dichiarazione firmata da Francesco e Bartolomeo

Il bacio della Benedizione chiesta da Papa Francesco a Bartolomeo (29 novembre)
Il bacio della Benedizione chiesta da Papa Francesco a Bartolomeo (29 novembre)

Noi, Papa Francesco e il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, esprimiamo la nostra profonda gratitudine a Dio per il dono di questo nuovo incontro che ci consente (…) di celebrare insieme la festa di sant’Andrea, il primo chiamato e il fratello dell’apostolo Pietro. Il nostro ricordo degli apostoli, che proclamarono la buona novella del Vangelo al mondo, attraverso la loro predicazione e la testimonianza del martirio, rafforza in noi il desiderio di continuare a camminare insieme al fine di superare, con amore e fiducia, gli ostacoli che ci dividono.

In occasione dell’incontro a Gerusalemme dello scorso maggio, nel quale abbiamo ricordato lo storico abbraccio tra i nostri venerabili predecessori Papa Paolo VI e il Patriarca ecumenico Atenagora, abbiamo firmato una Dichiarazione congiunta. Oggi, nella felice occasione di un ulteriore fraterno incontro, vogliamo riaffermare insieme le nostre comuni intenzioni e preoccupazioni.

Esprimiamo la nostra sincera e ferma intenzione, in obbedienza alla volontà di nostro Signore Gesù Cristo, di intensificare i nostri sforzi per la promozione della piena unità tra tutti i cristiani, e soprattutto tra cattolici e ortodossi. Vogliamo inoltre sostenere il dialogo teologico promosso dalla Commissione mista internazionale, che (…) sta trattando attualmente le questioni più difficili che hanno segnato la storia della nostra divisione e che richiedono uno studio attento e approfondito (…).

Esprimiamo la nostra comune preoccupazione per la situazione in Iraq, in Siria e in tutto il Medio Oriente. Siamo uniti nel desiderio di pace e di stabilità e nella volontà di promuovere la risoluzione dei conflitti attraverso il dialogo e la riconciliazione. Riconoscendo gli sforzi già fatti per offrire assistenza alla regione, ci appelliamo al contempo a tutti coloro che hanno la responsabilità del destino dei popoli affinché intensifichino il loro impegno per le comunità che soffrono e consentano loro, comprese quelle cristiane, di rimanere nella loro terra natia. Non possiamo rassegnarci a un Medio Oriente senza i cristiani, che lì hanno professato il nome di Gesù per duemila anni. Molti nostri fratelli e sorelle sono perseguitati e sono stati costretti con la violenza a lasciare le loro case (…). E tutto questo, tragicamente, incontra l’indifferenza di molti (…). Come il sangue dei martiri è stato seme di forza e di fertilità per la Chiesa, così anche la condivisione delle sofferenze quotidiane può essere uno strumento efficace di unità (…).

Riconosciamo l’importanza della promozione di un dialogo costruttivo con l’islam, basato sul mutuo rispetto e sull’amicizia. Ispirati da comuni valori e rafforzati da un genuino sentimento fraterno, musulmani e cristiani sono chiamati a lavorare insieme per amore della giustizia, della pace e del rispetto della dignità e dei diritti di ogni persona, specialmente nelle regioni dove essi, un tempo, vissero per secoli in una coesistenza pacifica e adesso soffrono insieme tragicamente per gli orrori della guerra. Inoltre, come leader cristiani, esortiamo tutti i leader religiosi a proseguire e a rafforzare il dialogo interreligioso e a compiere ogni sforzo per costruire una cultura di pace e di solidarietà tra le persone e tra i popoli. (…)

Istanbul, 30 novembre 2014

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Concistoro: i cristiani perseguitati attendono risposte https://www.lavoce.it/concistoro-i-cristiani-perseguitati-attendono-risposte/ https://www.lavoce.it/concistoro-i-cristiani-perseguitati-attendono-risposte/#comments Fri, 24 Oct 2014 12:04:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28665 Rifugiati siriani entrano in territorio giordano
Rifugiati siriani entrano in territorio giordano

“Un’adeguata risposta anche da parte della comunità internazionale” di fronte alle persecuzioni subite dai cristiani in Medio Oriente è stata chiesta da Papa Francesco lunedì mattina, 20 ottobre, in occasione del Concistoro ordinario dei cardinali. È stata una “riunione partecipata – ha detto il direttore della Sala stampa, padre Lombardi. – Tutti hanno manifestato grande gratitudine per i continui interventi sul tema realizzati dal Santo Padre”.

I Patriarchi hanno passato in rassegna la situazione dei Paesi dai quali provengono, in particolare Iraq, Siria, Terra Santa, Palestina, Giordania e Libano. Si è parlato in particolare dell’ascolto e dei buoni rapporti con le altre confessioni religiose e con i Patriarchi ortodossi. Si è cercato di trovare soluzioni fondate sul dialogo con l’islam, a partire dall’educazione dei giovani nelle scuole e nelle famiglie.

“Come ho avuto occasione di ribadire a più riprese – ha sottolineato il Papa -, non possiamo rassegnarci a pensare al Medio Oriente senza i cristiani, che da duemila anni vi confessano il nome di Gesù. Gli ultimi avvenimenti, soprattutto in Iraq e in Siria, sono molto preoccupanti. Assistiamo a un fenomeno di terrorismo di dimensioni prima inimmaginabili. Tanti nostri fratelli sono perseguitati, e hanno dovuto lasciare le loro case anche in maniera brutale. Sembra che si sia persa la consapevolezza del valore della vita umana; sembra che la persona non conti e si possa sacrificare ad altri interessi. E tutto ciò, purtroppo, nell’indifferenza di tanti”.

Da parte sua il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, ha offerto un’articolata considerazione sulla situazione della Chiesa nei Paesi del Medio Oriente. “Abbiamo ascoltato – ha detto – con commozione e grande preoccupazione la testimonianza delle atrocità inaudite perpetrate da più parti nella regione, ma in particolare dai fondamentalisti del gruppo denominatosi ‘Stato islamico’, un’entità che calpesta il diritto e adotta metodi terroristici per tentare di espandere il suo potere: uccisioni di massa, decapitazione di chi la pensa diversamente, vendita di donne al mercato, arruolamento di bambini nei combattimenti, distruzione dei luoghi di culto… Ciò ha costretto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalle proprie case e cercare rifugio altrove in condizioni di precarietà, sottoposte a sofferenze fisiche e morali”.

In riferimento poi alla situazione politica in quell’area del mondo (Siria, Iraq…) ha affermato: “Risulta sempre più chiaro che i conflitti che si vivono nella regione costituiscono una delle più serie minacce alla stabilità internazionale, così come i conflitti che avvengono in altri luoghi hanno anche un influsso diretto sul Medio Oriente. La pace in Medio Oriente va cercata non con scelte unilaterali imposte con la forza, ma tramite il dialogo che porti a una soluzione ‘regionale’ e comprensiva, la quale non deve trascurare gli interessi di nessuna delle parti”.

“In particolare – ha aggiunto – è stata rilevata la necessità e l’urgenza di favorire una soluzione politica, giusta e duratura, al conflitto israelo-palestinese come un contributo decisivo per la pace nella regione e per la stabilizzazione dell’area intera. Al riguardo, si erano aperte speranze di pace con il pellegrinaggio del Santo Padre in Terra santa e il successivo incontro di preghiera in Vaticano con i Presidenti israeliano e palestinese. Il recente conflitto a Gaza ricorda che la situazione è grave e difficile, ma bisogna rinnovare gli sforzi diplomatici per una soluzione giusta e duratura, che rispetti i diritti di ambedue le parti in conflitto”.

Un ruolo particolare dovrebbe spettare all’Iran: tra l’altro, il suo “coinvolgimento, la moltiplicazione e il miglioramento delle sue relazioni con la comunità internazionale contribuiranno a favorire anche una soluzione soddisfacente alla questione nucleare”.

Quanto al Libano: “Alleanze e forti interessi dei grandi Paesi mettono a rischio la reale indipendenza e sovranità del Paese dei cedri. La Santa Sede ha sempre sostenuto presso la comunità internazionale l’idea di un Libano indipendente, sovrano, integro e libero, che sia un ‘messaggio’ di convivenza dei diversi gruppi che lo compongono, come diceva san Giovanni Paolo II”.

Infine, “vorrei aggiungere solo un tema che è stato e continua a essere oggetto di un’attenzione particolare anche da parte della stampa. Mi riferisco al dibattito sull’uso della forza per fermare le aggressioni e per proteggere i cristiani e gli altri gruppi vittime della persecuzione. Al riguardo, si è ribadito che è lecito fermare l’aggressore ingiusto, sempre però nel rispetto del diritto internazionale, come ha affermato anche il Santo Padre. Tuttavia si è visto con chiarezza che non si può affidare la risoluzione del problema alla sola risposta militare. Esso va affrontato più approfonditamente a partire delle cause che ne sono all’origine e vengono sfruttate dall’ideologia fondamentalista. Per quanto riguarda il cosiddetto Stato islamico, va prestata attenzione anche alle fonti che sostengono le sue attività terroristiche attraverso un più o meno chiaro appoggio politico, nonché tramite il commercio illegale di petrolio e la fornitura di armi e di tecnologia”.

D. R.

Prossimo viaggio

La Sala stampa vaticana ha reso noti gli appuntamenti che scandiranno la visita apostolica di Papa Francesco in Turchia dal 28 al 30 novembre. Prima tappa sarà ad Ankara, dove il Papa giungerà alle 13 di venerdì 28, atteso da una visita al Mausoleo di Atatürk e da una serie di incontri istituzionali con il Presidente e le autorità del Paese. La mattina del giorno dopo, 29 novembre, il Papa decollerà alla volta di Istanbul, dove visiterà il Museo di Santa Sofia e la moschea Sultan Ahmet, per poi presiedere la messa nella cattedrale dello Spirito Santo, seguita dalla preghiera ecumenica nella chiesa patriarcale di San Giorgio e da un incontro privato con il Patriarca ecumenico ortodosso, Bartolomeo I. Domenica 30 novembre, Francesco sarà presente alla liturgia nella chiesa di San Giorgio, conclusa dalla benedizione ecumenica e dalla firma della Dichiarazione congiunta con il Patriarca Bartolomeo I. Il rientro a Roma avverrà nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, con atterraggio previsto allo scalo di Ciampino per le 18.40. La presenza del Papa a Istanbul, il 30 novembre, coincide con la festa di Sant’Andrea, patrono della Chiesa di Costantinopoli, giorno in cui una delegazione vaticana è solita prendere parte alle celebrazioni del Patriarcato. In modo analogo, una rappresentanza ortodossa ogni anno è presente a Roma nel giorno della solennità dei santi Pietro e Paolo il 29 giugno.

Fonte: Radio Vaticana

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MEDIO ORIENTE. Cristiani tra i due fronti https://www.lavoce.it/medio-oriente-cristiani-tra-i-due-fronti/ Fri, 25 Jul 2014 14:23:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27240 Gaza-bnL’inferno di Gaza non ha fine. I dati aggiornati al pomeriggio di mercoledì, secondo l’agenzia di stampa al-Ray, vicina a Hamas, indicherebbero 641 morti e 4.030 feriti tra i palestinesi della “Striscia” colpiti dal fuoco israeliano. All’avanzata di terra dell’esercito israeliano si contrappone la pioggia di razzi di Hamas verso molte città del Centro e del Sud di Israele, tra cui Dimona, Ashqelon, Ashdod, Be’er Sheva. Il suono delle sirene di allarme ha portato centinaia di migliaia di israeliani a trovare riparo nei rifugi. E sono tanti gli israeliani che pregano per la fine delle ostilità. Da Haifa, la comunità cattolica di origini ebraiche ha realizzato videoclip e composto un canto per chiedere la pace. A Be’er Sheva, dice il parroco cattolico, don Gioele Salvaterra: “La gente è addolorata e sconvolta dalle tante vittime sui due fronti. Ieri sera, nella messa, li abbiamo ricordati ed abbiamo pregato per tutti coloro che soffrono. Per quanto riguarda i soldati israeliani c’è una certa preoccupazione: praticamente ognuno in Israele conosce qualcuno che è in servizio nella zona di Gaza (sia militari di leva che riservisti). Quello che possiamo fare è pregare perché cessino le violenze, e anche i soldati possano tornare a casa sani e salvi”. Molte famiglie di Be’er Sheva, inoltre, sono composte da cristiani arabi della Galilea che vivono qui. Molti di loro, dopo la prima settimana di guerra, si sono rifugiati nei villaggi di origine al Nord, mentre mariti e padri sono rimasti in città a lavorare.

Qualcuno ha voglia di raccontare come si vive sotto la minaccia di razzi. Già nei primi giorni di guerra, Salma e Habib, fratelli adolescenti, dicevano: “Non abbiamo voglia di un’altra guerra”, ricordando che i progetti per le vacanze estive appena cominciate erano ben diversi. Per loro è la terza guerra che vivono negli ultimi sei anni nel Sud del Paese, senza considerare i lanci di missili occasionali tra un’operazione militare e l’altra. Anche i loro genitori sono preoccupati per quanto accade, soprattutto quando i figli sono fuori di casa, per strada: con telefonate ed sms si informano sulle loro condizioni. In generale, spiega ancora il parroco, “i ragazzi hanno bisogno di raccontare ciò che vivono tra le emozioni di quella che all’inizio pare un’avventura e la paura: la sirena che suona, la corsa al rifugio, dove si incontrano i vicini di casa, il botto del missile intercettato o quello ancora più forte del missile che cade nelle vicinanze”.

Ai racconti di oggi si uniscono quelli del passato: “Una volta un missile è caduto vicino alla mia scuola” ricorda Katy. Anche i più piccoli risentono della situazione e il suono delle sirene unito all’agitazione dei genitori porta i bambini a scoppi di pianti e urla. “Sono stata alcuni giorni a trovare la mia famiglia in Galilea – racconta Marian – e mia figlia di tre anni raccontava a tutti quello che aveva vissuto nei giorni precedenti”. Nella comunità cattolica di Be’er Sheva ci sono anche diversi immigrati dall’India e dalle Filippine, che lavorano come badanti. In tempo di guerra, il loro lavoro è ancora più duro, dovendo trovare un riparo sicuro per i loro malati. “La signora che assisto – racconta una di loro – ha paura e non vuole che esca di casa per fare la spesa o venire a messa”.

Oltre ai lavoratori stranieri ci sono anche alcuni richiedenti asilo, per i quali questi giorni difficili richiamano alla mente le guerre da cui sono fuggiti in Africa. La comunità continua però a radunarsi per la preghiera, che si tiene in una zona riparata della casa parrocchiale, non in cappella. Al centro della preghiera di tutti è la supplica per la pace, per il bene di tutti. “Le parabole che ascoltiamo in queste domeniche – dice don Salvaterra – invitano tutti a essere speranzosi e fiduciosi che il piccolo seme di pace, piantato nella recente visita del Papa e nella seguente preghiera con i leader dei due popoli, possa portare frutto”.

Un desiderio di pace e di giustizia condiviso: in un incontro di preghiera per la pace organizzato dalla sinagoga del Movimento ebraico conservatore a Be’er Sheva, si sono riuniti, nei giorni scorsi, ebrei, musulmani e un gruppo della comunità cattolica. L’incontro “ha mostrato la gioia di tutti nel conoscersi e confrontarsi, e il sogno comune di pace per questa terra, santa per le tre religioni”.

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Conflitto israelo-palestinese. Solo la giustizia creerà la pace https://www.lavoce.it/conflitto-israelo-palestinese-solo-la-giustizia-creera-la-pace/ Fri, 18 Jul 2014 11:56:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27076 Gaza-lancio-bn
Il fumo dei razzi lanciati da Gaza verso Israele il 15 luglio

Nel momento in cui scriviamo [mercoledì pomeriggio] è salito a 205 morti il bilancio dei raid israeliani su Gaza, al nono giorno di offensiva militare.

“Israele ha ripreso le operazioni nella Striscia di Gaza dopo sei ore di attacchi unilaterali di Hamas che ha sparato 47 razzi”: così un portavoce dell’Esercito israeliano aveva annunciato la ripresa dell’operazione Protection Edge (Confine protettivo). Si è presto richiuso lo spiraglio per una cessazione delle ostilità tra Israele e Hamas…

Si aggrava nel frattempo l’emergenza sanitaria nella Striscia. Servirebbero 60 milioni di dollari per coprire il fabbisogno medico di Gaza, fa sapere l’Organizzazione mondiale della sanità.

Emergenza sanitaria che non esiste certo da oggi. Già a febbraio la Missione pontificia per la Palestina aveva reso noto un Rapporto dettagliato sugli interventi d’emergenza a favore della popolazione della Striscia di Gaza dopo l’operazione israeliana “Colonna di fumo” del novembre 2012. Le medicine e le attrezzature fornite dall’organismo vaticano avevano contribuito all’assistenza sanitaria di più di 17.000 persone, in particolare fornendo alimentazione e servizi alle donne in gravidanza e alla cura delle infezioni intestinali provocate dall’acqua inquinata. Erano inoltre stati attivati programmi di sostegno psico-sociale per quasi 6.000 bambini traumatizzati dai bombardamenti e dall’esperienza di dover lasciare le proprie case.

Di fronte ai nuovi attacchi, la commissione Giustizia e pace degli “Ordinari” (vescovi) cattolici di Terra Santa chiama in causa le responsabilità delle leadership politiche e religiose. Da un lato, il linguaggio violento di chi in Israele chiede vendetta “è alimentato dagli atteggiamenti e dalle espressioni di una leadership che continua a promuovere un discorso discriminatorio, promuovendo i diritti esclusivi di un gruppo e l’occupazione, con tutte le sue conseguenze disastrose. Vengono costruiti nuovi insediamenti, le terre sono confiscate, le famiglie sono separate, le persone care vengono arrestate e perfino uccise”. Sull’altro fronte, il violento ‘linguaggio della strada’ palestinese “è alimentato dagli atteggiamenti e dalle espressioni di coloro che hanno perduto ogni speranza di raggiungere una giusta soluzione per il conflitto attraverso i negoziati”.

A sua volta, Caritas Gerusalemme riafferma “il diritto di Israele a vivere in pace, e degli israeliani a vivere in sicurezza”, uscendo da una condizione segnata dalla paura perenne, ma ribadisce che tale diritto non potrà mai essere garantito “dalla guerra e dall’aggressione contro persone innocenti”. L’unica via per raggiungere la pace e la sicurezza è “la giustizia e la risoluzione del conflitto”, che potrà farsi strada solo riconoscendo al popolo palestinese il diritto a vivere in libertà nella propria terra e consentendo che Gaza si apra al mondo.

Intanto a vari organismi politici italiani, tra cui la Regione Umbria, è giunta una lettera aperta da parte dei “Cittadini contro il genocidio dei palestinesi” in cui si chiede di “fermare l’offensiva contro Gaza, fermare gli attacchi aerei, rispettare i termini dell’accordo di ‘cessate il fuoco’ del 2012, liberare i prigionieri già scarcerati per lo scambio del 2011 [ma] di nuovo catturati, non interferire nel governo unitario dei palestinesi”.

 

 

Luglio 2014. Un bambino di Gaza davanti alla sua casa colpita dalle bombe israeliane
Luglio 2014. Un bambino di Gaza davanti alla sua casa colpita dalle bombe israeliane

Il rinnovato appello del Papa per la pace

Un appello al Papa, perché intervenga per far cessare il conflitto tra Israele e Hamas, è stato lanciato mercoledì al tg di TV2000 da padre Raed Abusahlia, direttore della Caritas di Gerusalemme. “La situazione è molto difficile dal punto di vista umanitario; mancano cibo, acqua, elettricità. Ci sono migliaia di feriti negli ospedali e mancano le medicine”. Da qui l’appello che il direttore della Caritas rivolge al Santo Padre: “Abbiamo bisogno di lui per due cose: la prima è fare pressione, tramite la comunità internazionale, ad ambedue le parti – israeliani e palestinesi – perché pongano fine alle aggressioni. Poi, potrà fare un secondo miracolo: un anno fa ha lanciato una veglia di preghiera contro la guerra in Siria. Ora potrà promuovere una veglia di preghiera anche per la fine di questa guerra”.

Papa Francesco domenica scorsa, all’Angelus aveva rinnovato il suo “accorato appello” per la pace. “Alla luce dei tragici eventi degli ultimi giorni” ha chiesto a tutti di continuare a “pregare con insistenza per la pace in Terra Santa”. Ricordando l’incontro dell’8 giugno con il Patriarca Bartolomeo, il presidente Peres e il presidente Abbas nel quale era stato “invocato il dono della pace e ascoltato la chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza” papa Francesco si è rivolto a chi potrebbe pensare che sia stato inutile. Non lo è stato, ha detto, “perché la preghiera ci aiuta a non lasciarci vincere dal male né rassegnarci a che la violenza e l’odio prendano il sopravvento sul dialogo e la riconciliazione”. Ed ha quindi esortato “le parti interessate e tutti quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale a non risparmiare la preghiera e alcuno sforzo per far cessare ogni ostilità e conseguire la pace desiderata per il bene di tutti. E invito tutti ad unirvi nella preghiera”.

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Francesco, il Papa che vuole una Chiesa vestita solo dell’essenziale https://www.lavoce.it/francesco-il-papa-che-vuole-una-chiesa-vestita-solo-dellessenziale/ Sat, 05 Oct 2013 14:30:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=19911 Papa Francesco alla Caritas 04
Papa Francesco accolto dai bambini alla mensa Caritas di Assisi

Papa Francesco, pellegrino nella città di Assisi, ha voluto, attraverso il contatto diretto con la terra di colui di cui egli ha preso il nome, coronare la sua scelta. Ora quel nome si arricchisce di contenuti e diventa ancora più vero. Già ne conoscevamo le ragioni. Ora lui stesso ne è maggiormente consapevole, avendo constatato, come i moltissimi pellegrini che giungono qua da ogni parte del mondo, che quei luoghi parlano ancora e segnano la vita delle persone attraverso i messaggi che lì sono indelebilmente scolpiti.

Chi ha seguito l’itinerario del Papa e conosce anche solo i nomi dei luoghi riesce a comprendere la forza evocativa delle vicende della vita di Francesco. Storie lontane nel tempo che riescono a illuminarsi di nuovo ogni volta che vi si posa lo sguardo e il pensiero. Nella stessa scelta dell’itinerario papale si può scorgere in filigrana la tessitura del suo messaggio che, come un filo d’Arianna, potrebbe portare la Chiesa e il mondo fuori dal labirinto in cui spesso ci ritroviamo. Non basta, infatti, come ammonisce il Papa, avere “vergogna” come uomini e come cristiani per quanto sta avvenendo sotto gli occhi di tutti nel mondo e vicino a noi, facendo riferimento a Lampedusa e al Medio Oriente.

Il Papa che ha percorso questo itinerario come fa ogni pellegrino, ha portato con sé una bisaccia leggera che contiene solo l’essenziale: la Parola del Vangelo e il crocifisso di san Damiano. Qui ci sono tutti i due Francesco e Assisi. Questa è la vera spoliazione. Non semplicemente di cose materiali, ma della mondanità, dell’orgoglio, che è idolatria. Una Chiesa mondana si autodistrugge. Questa spoliazione è richiesta non solo ai preti e vescovi o al Papa: la Chiesa siamo tutti noi. È e deve essere uno stile di vita dei cristiani, non l’adorazione degli idoli che ci creiamo noi: una Chiesa che rifugge dalla mondanità, chiamata lebbra e cancro.

Papa Francesco dice queste cose con un soffio di voce, calmo, intenso, senza inflessioni. Le sue parole arrivano. La gente le sente e si commuove. Sono come brezza leggera diretta al cuore di chi ascolta. Come quando impone il silenzio e s’inginocchia assorto in preghiera. Ha uno stile popolare che ha il sapore dell’autenticità, della concretezza, dell’immediatezza. Non pensieri astratti che “strizzano il cervello”. L’assemblea vibra quando lui parla. Questa è la Chiesa che lui ha disegnato ad Assisi con i gesti e le parole, ricentrata sulla figura di Francesco, quello vero, non quello costruito dai media, quasi fosse un pacifista esaltato o un ecologista ante litteram sostenitore di “una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo”. Il discepolo del Signore cammina dietro a lui portando il suo giogo leggero. Così è Francesco e così deve essere ogni cristiano.

“L’amore dei poveri e l’imitazione di Cristo povero sono due elementi uniti in modo inscindibile, due facce della stessa medaglia”. Nell’incontro con un piccolo gruppo di frati in san Damiano ha detto, quasi scherzosamente, di non diventare “adulteri” tradendo Madonna Povertà. “Ma – si domanda Papa Bergoglio – da dove parte il cammino di Francesco verso Cristo?” e da dove deve partire il cammino della Chiesa? La risposta è quella storica e teologica insieme e senza fronzoli indica il crocifisso di san Damiano. Un’icona nella quale egli legge tutto il significato dell’esperienza francescana. “In quel crocifisso Gesù non appare morto, ma è vivo! Il sangue scende dalle ferite delle mani, dei piedi e del costato ma quel sangue esprime vita. Gesù non ha gli occhi chiusi, ma aperti, spalancati. Uno sguardo che parla al cuore… Chi si lascia guardare da Gesù crocifisso, viene ricreato, diventa nuova creatura”. all’incontro con il crocifisso nasce tutto, anche l’invito a rinnovare la Chiesa, spogliarla, perché sia autentica e libera, povera e per i poveri.

Una Chiesa che sa piangere per le vittime del naufragio, sa commuoversi per i segnati dalle piaghe di Cristo come sono le povere creature raccolte nel Serafico francescano, e si mette al loro servizio. Questo è il vero cristianesimo che non si corrompe con l’idolatria di ciò che produce ma si conforma con l’icona che ispirò Francesco d’Assisi al rinnovamento della Chiesa. In questa occasione si può dire che Papa Francesco ha compiuto un’immersione profonda in ciò che lui ritiene che debba essere il modello della Chiesa di oggi perché sia più vera e faccia diventare più veri gli uomini del nostro tempo. Si può parlare di rivoluzione, a partire dalla contemplazione delle ferite del corpo di Cristo che segnano le membra doloranti di quelle persone concrete in carne e ossa che sono le persone che il Papa ha abbracciato e dalle quali si è lasciato abbracciare e baciare. Non una rivoluzione ideologica o un cambiamento di leggi o regole disciplinari di comportamento, ma sentimenti profondi di umanità che scaldano il cuore e illuminano la coscienza. La Chiesa non si propaga per l’efficienza del proselitismo – “ma quale proselitismo” – ma nella forza irresistibile dell’attrazione. Questa forza è l’amore, “perché è l’amore del Dio incarnato e l’Amore non muore, anzi, sconfigge il male e la morte”.

Un accorato appello alla pace, nel “giorno del pianto”, una benedizione e una preghiera per l’Italia di cui san Francesco è patrono, un saluto alla patria di san Francesco, l’Umbria, che si è raccolta con tutte le sue istituzioni e una grandissima massa di cittadini e fedeli entusiasti e commossi, un caloroso abbraccio con migliaia di giovani hanno coronato un giorno che rimane storico per la Chiesa intera, perché Francesco è vescovo di Roma e Papa.

(Scritto per www.agensir.it)

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“No all’accecamento della ragione umana” https://www.lavoce.it/no-allaccecamento-della-ragione-umana/ Thu, 23 Dec 2010 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9014 “L’essere umano è uno solo e l’umanità è una sola. Ciò che in qualsiasi luogo viene fatto contro l’uomo, alla fine ferisce tutti”. È uno dei messaggi centrali del discorso rivolto il 20 dicembre dal Papa alla Curia romana, in cui a partire dall’esperienza del Sinodo sul Medio Oriente Benedetto XVI ha rivolto un appello “a tutte le persone con responsabilità politica o religiosa perché fermino la cristianofobia; perché si alzino a difendere i profughi e i sofferenti e a rivitalizzare lo spirito della riconciliazione. Il risanamento – è la tesi di fondo del Santo Padre – può venire soltanto da una fede profonda nell’amore riconciliatore di Dio. Dare forza a questa fede, nutrirla e farla risplendere è il compito principale della Chiesa in quest’ora”. Citando poi il discorso alla Wenstminster Hall, pronunciato durante il viaggio nel Regno Unito, il Papa ha parlato della “responsabilità comune in questo momento storico”, che consiste nel riscoprire “un consenso morale di base. Solo se esiste un tale consenso sull’essenziale – ha affermato – le Costituzioni e il diritto possono funzionare”, e questo “consenso di fondo” proviene “dal patrimonio cristiano”. Il consenso morale e il patrimonio cristiano. “Il consenso di fondo proveniente dal patrimonio cristiano – ha spiegato Benedetto XVI – è in pericolo là dove al suo posto, al posto della ragione morale, subentra la mera razionalità finalistica”, che “è in realtà un accecamento della ragione per ciò che è essenziale… Combattere contro questo accecamento della ragione e conservarle la capacità di vedere l’essenziale, di vedere Dio e l’uomo, ciò che è buono e ciò che è vero, è l’interesse comune che deve unire tutti gli uomini di buona volontà”, perché “è in gioco il futuro del mondo”. Il tema del consenso morale è stato affrontato all’inizio del discorso, tramite un’analogia col periodo del tramonto dell’Impero romano, epoca in cui sono “probabilmente” state formulate le parole che “la liturgia della Chiesa prega ripetutamente nei giorni dell’Avvento”. Oggi come allora, secondo l’analisi del Papa, “il mondo è angustiato dall’impressione che il consenso morale si stia dissolvendo, un consenso senza il quale le strutture giuridiche e politiche non funzionano”. Lo scandalo degli abusi. Gli abusi contro i minori commessi da sacerdoti “stravolgono il sacramento nel suo contrario”, perché “sotto il manto del Sacro feriscono profondamente la persona umana nella sua infanzia e le recano un danno per tutta la vita”. Parole forti, quelle del Papa, che ha citato una visione di Ildegarda di Bingen in cui “il volto della Chiesa è coperto di polvere” e “il suo vestito è strappato per la colpa dei sacerdoti… Dobbiamo interrogarci su che cosa possiamo fare per riparare il più possibile l’ingiustizia avvenuta – ha proseguito. – Dobbiamo chiederci che cosa era sbagliato nel nostro annuncio. Dobbiamo essere capaci di penitenza. Dobbiamo sforzarci di tentare tutto il possibile, nella preparazione al sacerdozio, perché una tale cosa non possa più succedere”. In particolare, Benedetto XVI ha ringraziato “tutti coloro che s’impegnano per aiutare le vittime” e “i tanti buoni sacerdoti che trasmettono in umiltà e fedeltà la bontà del Signore”. Nel discorso, il Papa ha stigmatizzato il “mercato della pornografia” che fa considerare la pedofilia una “cosa normale”, il turismo sessuale e la “perversione di fondo del concetto di ethos”. Cristiani in Medio Oriente. In Medio Oriente, ha affermato il Pontefice, “nella situazione attuale i cristiani sono la minoranza più oppressa e tormentata”, mentre “per secoli sono vissuti pacificamente insieme con i loro vicini ebrei e musulmani. Negli sconvolgimenti degli ultimi anni – ha aggiunto Benedetto XVI – è stata scossa la storia di condivisione, le tensioni e le divisioni sono cresciute, così che sempre di nuovo con spavento siamo testimoni di atti di violenza nei quali non si rispetta più ciò che per l’altro è sacro, nei quali anzi crollano le regole più elementari dell’umanità”. Coscienza e verità. La coscienza è “capacità di verità e obbedienza nei confronti della verità, che si mostra all’uomo che cerca col cuore aperto”. Parola di John Henry Newman, il cui pensiero è stato citato dal Papa per contestare la versione corrente del termine “coscienza”. “Nel pensiero moderno – ha spiegato Benedetto XVI – la parola ‘coscienza’ significa che, in materia di morale e di religione, la dimensione soggettiva, l’individuo, costituisce l’ultima istanza della decisione”. La concezione che Newman ha della coscienza è invece “diametralmente opposta”: per lui “coscienza” significa “la capacità di riconoscere proprio negli ambiti decisivi della sua esistenza – religione e morale – una verità, la Verità”.

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Sinodo per il Medio Oriente. Risposta al Governo di Israele che ha accusato i Vescovi di fare propaganda politica https://www.lavoce.it/sinodo-per-il-medio-oriente-risposta-al-governo-di-israele-che-ha-accusato-i-vescovi-di-fare-propaganda-politica/ Thu, 28 Oct 2010 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8845 Nonostante la molteplicità di tante Chiese, con un lungo percorso diverso alle spalle; nonostante l’appartenenza a realtà locali e a storie così particolari, e nonostante qualche “assolo” un po’ egocentrico – inevitabile in un coro così vasto e appena rimesso insieme – il Sinodo dei vescovi del Medio Oriente si è concluso con un risultato sostanzialmente unitario e condiviso. A chi ha voglia e onestà intellettuale per guardare indietro, non può sfuggire il cammino importante e decisivo compiuto da Chiese che hanno alle loro spalle una tradizione di rivendicazione accesa – e non di rado anche litigiosa – della propria identità e della realtà sociale in cui si trovano incardinate. Le conclusioni del Sinodo, anche se destinate a una realtà drammatica e lacerante come quella del Medio Oriente, con una serie di guerre in corso accese o semispente, sono state inevitabilmente appassionate e partecipate, ma anche responsabili. Come ha ricordato il patriarca Antonios Naguib, che le ha riassunte nella sua Relatio, è stata rifiutata la sottomissione della religione allo Stato, è stato detto “no” alla violenza, è stata invocata la libertà religiosa, è stato scelto il dialogo ecumenico così come il dialogo interreligioso, è stata espressa solidarietà al popolo palestinese. Forse è stata quest’ultima presa di posizione a provocare la reazione del Governo israeliano, che per bocca del vice ministro degli Esteri Danny Avalon ha dichiarato che “il Sinodo è diventato un forum per attacchi politici contro Israele”. Ma non si può far finta di ignorare che i Vescovi riuniti a Roma appartenevano in gran parte al mondo arabo. Nessuno può negare che, con le loro ragioni, e perfino con i loro errori, fatti pagare con una condanna che è ormai lunga quanto la vita di un uomo, i palestinesi sono la principale vittima del Medio Oriente; e un cristiano non ha bisogno nemmeno di scomodare il Discorso della montagna per schierarsi a fianco di chi più soffre. La Chiesa, non solo quella del Medio Oriente e non da oggi, questo lo ha sempre saputo. Fu già nel 1949 con la Redemptoris nostri di un Papa non certamente sovversivo come Pio XII che la Chiesa invocò giustizia per il palestinesi. Più delicata è semmai l’affermazione del vescovo Cyrille Salim Bustros, secondo cui non ci si può basare sulla Bibbia per giustificare il ritorno degli ebrei in Palestina, perché la promessa di Dio è stata abolita secondo i cristiani dall’avvento di Cristo. Non si può interpretare né accettare questa dichiarazione come la dichiarazione della fine del rapporto speciale fra Dio e il suo popolo. La continuazione dell’Alleanza con gli ebrei “carissimi a Dio” è stata affermata dal Concilio e ribadita da Giovanni Paolo II durante la sua visita alla sinagoga di Roma, quando ricordò la “vocazione irrevocabile” della chiamata di Dio ad Abramo e ai suoi discendenti. E tuttavia da parte del Governo israeliano non si può chiedere ai cristiani di essere più ortodossi degli ebrei. A Gerusalemme si sa benissimo che la giustificazione del ritorno e della riconquista della cosiddetta Terra Promessa per mezzo della Bibbia è stata respinta proprio dal mondo ebraico più ortodosso di fronte al sionismo laico, e ha trovato eco anche fra le sue figure più importanti, compreso in buona parte anche un ebreo come Martin Buber. Per una sintesi del “Messaggio al popolo di Dio” e delle “propositiones” pubblicate al termine del Sinodo straordinario dei vescovi per il Medio Oriente, vedi articolo a pagina 8.

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Bambini di Gaza e altrove https://www.lavoce.it/bambini-di-gaza-e-altrove/ Thu, 15 Jan 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7222 Nei venti giorni di guerra dichiarata e guerreggiata dallo Stato d’Israele contro i miliziani di Hamas nella Striscia di Gaza e nella stessa Gaza City, sono rimaste vittima dei bombardamenti moltissime, troppe, persone civili, di ogni età. Al centro dell’attenzione mondiale vi sono soprattutto i bambini. Non diamo le cifre, che ogni giorno cambiano e si aggiornano nei bollettini di guerra dei telegiornali. Una popolazione raccolta in uno spazio territoriale limitato (40 km per 10 circa) ad alta densità abitativa risulta un bersaglio facile ed eccessivo. Quando c’è guerra e violenza, i primi a soffrirne sono proprio i bambini e i ragazzi, impediti di muoversi per le strade e nelle piazze, esposti più degli adulti per la loro nativa imprudenza e spensieratezza che li rende sprezzanti del pericolo. Ci sono anche i bambini israeliani che insieme alle loro famiglie soffrono di uno stato di guerra che dura da decenni. Alcuni commentatori, riandando alla nascita dello Stato d’Israele, hanno descritto il conflitto in atto come ‘un episodio della Guerra dei cento anni’, computando i sessanta passati e i prossimi quaranta, in base a catastrofiche previsioni.

Una situazione di sofferenza simile, notata da Forbice su un quotidiano di mercoledì scorso, anche se non paragonabile, la vivono anche i bambini israeliani, sempre sotto il terrore di essere colpiti dai razzi di Hamas. Anche a scuola sono costretti a stare dentro rifugi o bunker appositamente attrezzati. Sono consapevole che chi dice queste cose si espone alla critica di mettere sullo stesso piano israeliani e palestinesi, come se fosse cosa ovvia. Non entriamo nella questione che divide il mondo. Se si dice ad esempio, con il card. Martino, che gli abitanti di Gaza sono stretti come in un campo di concentramento senza possibilità di muoversi e di uscire, si è classificati anti-israeliani e magari anche antisemiti. Se si sottolinea, invece, che Hamas spara razzi per colpire indiscriminatamente la popolazione ebraica e che si serve della popolazione come scudo umano per tutelare capi di nuclei armati e depositi di armi, ci si trova ugualmente scomodi ed incompresi.

La posizione giusta è quella indicata da Benedetto XVI che parla, invoca e fa appello alla riconciliazione, alla pace, invita a trattare attorno ad un tavolo, alla ricerca del bene massimo possibile dei due popoli. È anche la posizione delle persone di buon senso, che ritengono per esperienza convalidata nei secoli che le guerre e le violenze portino danni irreversibili per la perdita di vite umane, che è la massima perdita pensabile; e se ottengono qualche risultato, pure scarso e precario, questo si potrebbe ottenere con una seria e realistica trattativa. Il realismo non può venir mai meno rispetto a qualunque ideale possibile. Hamas non potrà pensare di distruggere lo Stato d’Israele, e Israele non potrà pensare di costringere con la forza i palestinesi dentro una riserva circondata da un muro. In un Salmo si dice: “Dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai ricevuto lode” (Sal 8,3). Ora si può aggiungere: “Dalle vittime innocenti e dal loro sangue salga un appello a fermare la strage”. Bambini in sofferenza ci sono anche altrove, moltissimi “altrove”. Di questi, per ora, lasciamo solo il triste pensiero.

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I demoni della guerra https://www.lavoce.it/i-demoni-della-guerra/ Thu, 20 Jul 2006 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=5297 Case danneggiate, ponti distrutti, strade chiuse, gente che soffre per mancanza di cibo e medicine. È la testimonianza dei francescani del convento di Beirut, diffusa dalla Custodia francescana, che raccontano quanto sta accadendo in queste ore nel Libano. ‘I bombardamenti ‘ scrivono – si fanno sentire. Sono a qualche chilometro dal convento verso sud: prima all’aeroporto, poi più vicino, a Beirut-est a 2-4 km da qui. Quello più vicino era al porto, che è stato bombardato più volte. Gemmayzeh è vuota, durante la giornata passano poche macchine, e di notte nessuna, tutti i ristoranti sono chiusi’ Non è più stato così da anni. Dawra è stata bombardata, Dawra è l’incrocio che lega Beirut alla regione cristiana, e la stessa sorte era toccata a Jounieh. Bombardamenti anche sopra Yarzeh, vicino a Baabda, e questo vuol dire che anche i quartieri e le regioni cristiane sono sotto tiro’. A soffrire maggiormente è il Sud del Libano rimasto isolato, e la gente soffre per i bisogni più elementari, per la mancanza di medicine e cibo. ‘A Tiro, per 120.000 persone, arrivano soli 1000 pacchi di pane: vuol dire un pacco di pane di un chilo ogni 120 persone. I bombardamenti non risparmiano i bambini, le donne e i vecchi’. La guerra sta mettendo in ginocchio il turismo, una delle principali voci dell’economia libanese, gli spostamenti stanno diventando impossibili poiché la benzina comincia a mancare e i supermercati sono già quasi vuoti di riso, latte, pasta. Notizie dall’altro ‘fronte’ arrivano dai frati francescani che gestiscono Casa Nova di Nazareth. Raggiunti telefonicamente dal Sir parlano di ‘famiglie chiuse in casa e di molta preoccupazione nella popolazione. La città è stata colpita da due razzi. Da quel che ci risulta ci sarebbero tre morti, due sono bambini’. Nazareth sotto il tiro dei razzi Hezbollah conta le sue prime vittime in città, dopo che nei giorni scorsi erano state colpite le zone nei suoi dintorni. Le abitazioni sono vecchie ‘ fanno notare i frati ‘ non hanno la safety room la camera blindata che la legge israeliana obbliga per le nuove costruzioni, quindi il pericolo è maggiore per la popolazione. A Nazareth non ci sono molti rifugi dove trovare riparo. ‘La popolazione musulmana comincia ad esprimere il proprio malumore per le azioni degli hezbollah che mettono a repentaglio la vita di tutti. I razzi non fanno distinzioni’. Nonostante i razzi è atteso un gruppo di pellegrini, che alloggerà proprio nell’albergo francescano situato a pochi metri dalla basilica dell’Annunciazione. ‘Preghiamo ‘ concludono ‘ affinché le bombe cessino e non ci siano rischi per la basilica’. Intanto la Caritas italiana si unisce agli sforzi della rete internazionale per far fronte alle richieste di aiuto che vengono da tutta l’area interessata dalla guerra e sollecita la più ampia solidarietà di singoli, gruppi e comunità. In Libano per i primi soccorsi occorrono 1.300.000 euro, che si aggiungono a 1.165.000 euro necessari per far fronte agli interventi in atto a Gaza. Sono anche stati intensificati i contatti con Ong israeliane, con le quali Caritas italiana collabora da tempo, per sostenere interventi d’urgenza. Intanto, sono centinaia di migliaia le persone in fuga dal Libano. ‘Il Libano brucia’, ha denunciato, ieri, il presidente della Caritas Libano, padre Louis Samara. Alla Caritas Libano è stato chiesto dal governo di occuparsi di 50.000 famiglie di sfollati. Nei giorni scorsi, anche Caritas Gerusalemme denunciava un ‘tragico deterioramento’ della situazione nella striscia di Gaza. ‘I demoni della guerra ‘ dichiara mons. Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana – si sono scatenati in Medio Oriente e nessuno sembra in grado, o vuole, fermarli. Israele ha diritto a vivere in pace e i palestinesi ad avere una patria, ma rimaniamo profondamente amareggiati dalla incapacità e scarsa incisività dei singoli Governi, della comunità e della diplomazia internazionale nel far valere un immediato cessate il fuoco e il rispetto delle convenzioni internazionali’.

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Donna israeliana e palestinese: un incontro possibile per la pace https://www.lavoce.it/donna-israeliana-e-palestinese-un-incontro-possibile-per-la-pace/ Thu, 06 Jun 2002 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=2465 Nei giorni scorsi presso l’Itis di Gubbio (per gli studenti) e l’aula magna dell’Istituto d’arte della stessa città, in serata, (per tutta la popolazione) si è svolto un interessantissimo dibattito-incontro tra due rappresentanti dell’universo femminile appartenenti al mondo israeliano e a quello palestinese. Faccia a faccia a rispondere alle domande della gente, Ruth Hiller, dell’Associazione antimilitarista “New Profile” e della Coalizione delle donne israeliane per la pace e Rania Hammad, scrittrice e giornalista palestinese, autrice del testo Palestina nel cuore, di prossime uscita per i tipi della Feltrinelli. Ne è venuto fuori un bel dibattito, con notizie di prima mano, fra due donne coinvolte nel conflitto che sta insanguinando il medioriente, ma che hanno portato un messaggio di pace e hanno mostrato che può esserci un’altra via al conflitto armato e alla violenza. Rania ha parlato subito dei campi profughi palestinesi (che sarebbero trasformati in veri e propri ghetti n.d.r.) e della disperazione dei giovani, senza lavoro,senza prospettive e “marcati” come bestie dalla polizia israeliana. “La mia città fa parte di quelle terre occupate da Israele e quindi non potrò tornare da persona libera nella mia patria”. Tutto il conflitto per Rania ruoterebbe attorno al diritto dei palestinesi a ritornare sulla loro terra; diritto promesso e sempre negato nei fatti. “E’ indubbio che l’Olocausto ha avuto grossi effetti sulla nascita dello Stato d’Israele, un popolo che doveva avere una terra, ma che sta colonizzando sempre più territori, contro tutti gli accordi internazionali”. E gli attacchi kamikaze, i giovani palestinesi che si fanno saltare in aria pieni di esplosivo, provocando stragi immani fra la gente? “Hanno perso il senso della vita, per questo saltano in aria! La loro vita è ridotta a quella di bestie; nella miseria, nella fame e nella povertà, in quella che è la loro terra”. Secche e dure come pietre le parole di Rania. A lei ha fatto eco un’israeliana che ha scelto, assieme alla sua famiglia, la strada del rifiuto della guerra e delle armi. Ruth Hiller, ha parlato del figlio che ha rifiutato il servizio militare (e per questo è finito in carcere), delle migliaia di israeliani che in cuore loro vorrebbero fare altrettanto e dei tanti appelli all’Alta Corte Israeliana – che ancora non si è pronunciata – per permettere a coloro che non vogliono chiudersi nella carriera militare di poter svolgere un servizio civile come avviene in tanti altri stati. Ruth Hiller, assieme ad altre mamme israeliane, si è impegnata a creare questa organizzazione che si chiama “New Profile”, che vuol dare una nuova immagine di Israele al mondo, che non sia solo quella di uno stato militarista. “Più del 24% dei ragazzi e ragazze (perché il servizio militare è esteso anche alle donne n.d.r.) annualmente chiamati nell’esercito non sono contenti e il 20% di quelli che vanno nell’esercito lasciano prima di aver finito il servizio. Molti di noi non ne possono più della guerra, delle armi, di questa cultura di morte che respiriamo fin da piccoli!” La Hiller ha affermato che molta gente in Israele vuole poter fare scelte pacifiste. “New Profile” vuol dare informazioni, vuol discutere, vuole aprire dibattiti con chi è contrario a queste scelte basate solo sulla guerra e sulla contrapposizione. “Violenza produce solo violenza, e la violenza produce solo morte!” ha detto Ruth. “Israele deve almeno assumersi la responsabilità del 50% di ciò che sta accadendo! In una cultura di morte, si parla sempre e solo di eroi – che sono uomini morti! -. “Noi dobbiamo santificare la vita che Dio ci ha dati e non esaltare una cultura di morte. Io sono una madre che si vuol ribellare a questo meccanismo perverso a cui siamo stati educati fin da piccoli”.

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