martiri Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/martiri/ Settimanale di informazione regionale Fri, 12 Jan 2024 14:28:44 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg martiri Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/martiri/ 32 32 Celebrazione della festa dei santi Protomartiri Francescani https://www.lavoce.it/celebrazione-della-festa-dei-santi-protomartiri-francescani/ https://www.lavoce.it/celebrazione-della-festa-dei-santi-protomartiri-francescani/#respond Fri, 12 Jan 2024 14:17:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=74513 santi Protomartiri Francescani

Nella parrocchia di Sant’Antonio e santuario Antoniano dei Protomartiri a Terni si celebra il 16 gennaio la festa dei Protomartiri Francescani, i cinque frati originari della valle ternana Berardo da Calvi, Pietro da Sangemini, Ottone da Stroncone, Accursio e Adiuto di Narni martirizzati in Marocco nel 1220.

Nella vigilia della festa e in preparazione al gemellaggio tra i cammini dei Protomartiri e quello di Sant’Antonio, domenica 14 gennaio  alle ore 14.30 si terrà il pellegrinaggio a piedi dalla cattedrale di Terni alla chiesa di Santa Maria della Pace in Valenza, luogo di partenza del cammino dei Protomartiri Francescani. Il pellegrinaggio è anche il primo appuntamento per la comunità diocesana di preparazione al Giubileo 2025 pellegrini di speranza nell’anno di preparazione 2024 dedicato alla preghiera.

Nella chiesa di Santa Maria della Pace alle ore 16.30 padre Pietro Messa OFM della Pontificia Università Antonianum, terrà una breve catechesi sulla lettura del ciclo pittorico dei Protomartiri collocato nella chiesa e sulla spiritualità francescana.

Il 15 gennaio alle ore 21 Passi e parole, da pellegrini lungo il Cammino dei Protomartiri Francescani e Il Cammino di Sant’Antonio. In dialogo con Alberto Friso giornalista, Edizioni Messaggero di Sant’Antonio e Alessandro Corsi co-ideatore del Cammino dei Protomartiri Francescani.

Il 16 gennaio alle ore 18.30 la solenne Celebrazione Eucaristica nella chiesa di Sant’Antonio a Terni sarà presieduta da monsignor Francesco Antonio Soddu vescovo di Terni-Narni-Amelia. Al termine verrà sottoscritto il gemellaggio tra il Cammino dei Protomartiri Francescani e Il Cammino di Sant’Antonio.

I Protomartiri Francescani

I cinque Protomartiri francescani originari della valle ternana: Berardo da Calvi (suddiacono), Pietro da SanGemini (Converso), Ottone da Stroncone (sacerdote), Accursio e Adiuto di Narni (conversi), primi martiri dell’Ordine francescano, furono uccisi in Marocco il 16 gennaio 1220.

Quando Francesco d’Assisi giunse a Terni le persone furono affascinate dal suo modo coinvolgente di predicare, in cui le parole erano rese ancora più autorevoli dal tenore di vita; alcuni vollero seguirlo, o meglio come lui mettersi in cammino sulle orme di Gesù Cristo vivendo la forma di vita del Vangelo. Così andarono alla Porziuncola, presso Assisi dove divennero membri dell’ordine dei frati Minori; da lì furono inviati a evangelizzare le terre dei non cristiani e giunsero prima in Portogallo e infine in Marocco a Marrakech. Quando fu pronunziata su di loro la sentenza di morte si ripetevano l’un l’altro: Orsù fratelli! Abbiamo trovato quello che cercavamo: siamo costanti e non temiamo di morire per Cristo! I loro corpi martirizzati, ormai venerati come quelli dei santi, furono portati a Coimbra dove il canonico agostiniano Fernando da Lisbona, stupito dalla loro affezione a Cristo che li portò non solo a vivere ma persino a morire per lui, decise di aderire ai frati Minori assumendo il nome di Antonio. Voleva andare anche lui in Marocco per testimoniare la fede, ma vicende varie lo condussero in Sicilia da dove, passando anche per la zona di Terni, giunse ad Assisi dove san Francesco lo inviò nel nord Italia; morì il 13 giugno del 1231 e l’anno successivo fu canonizzato nel Duomo di Spoleto.

La morte precoce dei Protomartiri francescani, oriundi della zona di Terni, apparentemente sembrò un fallimento ma in realtà il loro sangue fu il seme della vocazione francescana di Sant’Antonio. Per questo la Chiesa di Sant’Antonio in Terni (dal 2010 Santuario antoniano dei Protomartiri francescani) è un luogo che rammenta l’importanza di coniugare amore e sacrificio perché solo così il primo è credibile e il secondo fa fiorire il deserto.

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santi Protomartiri Francescani

Nella parrocchia di Sant’Antonio e santuario Antoniano dei Protomartiri a Terni si celebra il 16 gennaio la festa dei Protomartiri Francescani, i cinque frati originari della valle ternana Berardo da Calvi, Pietro da Sangemini, Ottone da Stroncone, Accursio e Adiuto di Narni martirizzati in Marocco nel 1220.

Nella vigilia della festa e in preparazione al gemellaggio tra i cammini dei Protomartiri e quello di Sant’Antonio, domenica 14 gennaio  alle ore 14.30 si terrà il pellegrinaggio a piedi dalla cattedrale di Terni alla chiesa di Santa Maria della Pace in Valenza, luogo di partenza del cammino dei Protomartiri Francescani. Il pellegrinaggio è anche il primo appuntamento per la comunità diocesana di preparazione al Giubileo 2025 pellegrini di speranza nell’anno di preparazione 2024 dedicato alla preghiera.

Nella chiesa di Santa Maria della Pace alle ore 16.30 padre Pietro Messa OFM della Pontificia Università Antonianum, terrà una breve catechesi sulla lettura del ciclo pittorico dei Protomartiri collocato nella chiesa e sulla spiritualità francescana.

Il 15 gennaio alle ore 21 Passi e parole, da pellegrini lungo il Cammino dei Protomartiri Francescani e Il Cammino di Sant’Antonio. In dialogo con Alberto Friso giornalista, Edizioni Messaggero di Sant’Antonio e Alessandro Corsi co-ideatore del Cammino dei Protomartiri Francescani.

Il 16 gennaio alle ore 18.30 la solenne Celebrazione Eucaristica nella chiesa di Sant’Antonio a Terni sarà presieduta da monsignor Francesco Antonio Soddu vescovo di Terni-Narni-Amelia. Al termine verrà sottoscritto il gemellaggio tra il Cammino dei Protomartiri Francescani e Il Cammino di Sant’Antonio.

I Protomartiri Francescani

I cinque Protomartiri francescani originari della valle ternana: Berardo da Calvi (suddiacono), Pietro da SanGemini (Converso), Ottone da Stroncone (sacerdote), Accursio e Adiuto di Narni (conversi), primi martiri dell’Ordine francescano, furono uccisi in Marocco il 16 gennaio 1220.

Quando Francesco d’Assisi giunse a Terni le persone furono affascinate dal suo modo coinvolgente di predicare, in cui le parole erano rese ancora più autorevoli dal tenore di vita; alcuni vollero seguirlo, o meglio come lui mettersi in cammino sulle orme di Gesù Cristo vivendo la forma di vita del Vangelo. Così andarono alla Porziuncola, presso Assisi dove divennero membri dell’ordine dei frati Minori; da lì furono inviati a evangelizzare le terre dei non cristiani e giunsero prima in Portogallo e infine in Marocco a Marrakech. Quando fu pronunziata su di loro la sentenza di morte si ripetevano l’un l’altro: Orsù fratelli! Abbiamo trovato quello che cercavamo: siamo costanti e non temiamo di morire per Cristo! I loro corpi martirizzati, ormai venerati come quelli dei santi, furono portati a Coimbra dove il canonico agostiniano Fernando da Lisbona, stupito dalla loro affezione a Cristo che li portò non solo a vivere ma persino a morire per lui, decise di aderire ai frati Minori assumendo il nome di Antonio. Voleva andare anche lui in Marocco per testimoniare la fede, ma vicende varie lo condussero in Sicilia da dove, passando anche per la zona di Terni, giunse ad Assisi dove san Francesco lo inviò nel nord Italia; morì il 13 giugno del 1231 e l’anno successivo fu canonizzato nel Duomo di Spoleto.

La morte precoce dei Protomartiri francescani, oriundi della zona di Terni, apparentemente sembrò un fallimento ma in realtà il loro sangue fu il seme della vocazione francescana di Sant’Antonio. Per questo la Chiesa di Sant’Antonio in Terni (dal 2010 Santuario antoniano dei Protomartiri francescani) è un luogo che rammenta l’importanza di coniugare amore e sacrificio perché solo così il primo è credibile e il secondo fa fiorire il deserto.

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Veglia di preghiera per celebrare la Giornata dei missionari martiri nel mondo https://www.lavoce.it/veglia-di-preghiera-per-celebrare-la-giornata-dei-missionari-martiri-nel-mondo/ Tue, 21 Mar 2023 16:30:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=70888 giornata missionari martiri 2023

È sempre particolarmente sentita e partecipata nella comunità diocesana di Perugia-Città della Pieve la Veglia di preghiera promossa in occasione dell’annuale Giornata dei missionari martiri nel mondo, in programma venerdì sera 24 marzo (ore 21), nel capoluogo umbro, presso la chiesa del centro parrocchiale Shalom di Santo Spirito, in via Quieta. La veglia, guidata dall’arcivescovo Ivan Maffeis insieme a sacerdoti, diaconi e seminaristi, sarà preceduta dalla cena del povero preparata e servita dall’equipe missionaria diocesana, i cui proventi andranno a sostenere le opere missionarie attive nelle aree del mondo dove la vita di missione è più a rischio. "Pregheremo per tutti coloro che nel mondo vengono uccisi e perseguitati per la loro fede". A dirlo è monsignor Orlando Sbicca, direttore dell’Ufficio diocesano missionario, ricordando che, nel 2022 i missionari martiri sono stati diciotto, di cui due italiane. "Si tratta -spiega- di suor Luisa Dell’Orto, Piccola Sorella del Vangelo, assassinata, il 25 giugno, in un agguato tra i vicoli della capitale di Haiti, e di suor Maria De Coppi, missionaria comboniana, uccisa in Mozambico, il 6 settembre, nel corso di un’azione terroristica. Entrambe spendevano l’intera vita rispondendo ai bisogni di due popoli, martoriati da guerre, calamità, criminalità e soprusi. Testimoniare il Vangelo in terra di missione -commenta il direttore dell’Ufficio diocesano missionario- è sempre più a repentaglio. Basti pensare che negli ultimi venti anni sono stati assassinati 526 tra sacerdoti, religiosi, religiose, laici e laiche". Questa significativa giornata è stata istituita, nel 1993, da Missio Giovani, il movimento giovanile missionario della direzione nazionale italiana delle Pontificie Opere Missionarie, in memoria del martirio dell’arcivescovo di San Salvador, Oscar Romero, avvenuto il 24 marzo 1980.Un pastore che senza esitazione si era posto a fianco del popolo salvadoregno, oppresso da un regime elitario incurante della sorte dei più poveri e dei lavoratori. "Quest’anno lo slogan scelto da Missio Giovani -annuncia don Orlando Sbicca- è Di me sarete testimoni (At 1,8), espressione che riprende il tema della Giornata missionaria mondiale dell’ottobre scorso". Ed è sempre don Orlando, sacerdote che da giovane andò missionario in Burundi, a rivolgere a nome dell’equipe diocesana l’appello-invito, soprattutto ai giovani, a partecipare numerosi alla veglia di preghiera, occasione anche di riflessione e di approfondimento dell’impegno missionario della Chiesa.  ]]>
giornata missionari martiri 2023

È sempre particolarmente sentita e partecipata nella comunità diocesana di Perugia-Città della Pieve la Veglia di preghiera promossa in occasione dell’annuale Giornata dei missionari martiri nel mondo, in programma venerdì sera 24 marzo (ore 21), nel capoluogo umbro, presso la chiesa del centro parrocchiale Shalom di Santo Spirito, in via Quieta. La veglia, guidata dall’arcivescovo Ivan Maffeis insieme a sacerdoti, diaconi e seminaristi, sarà preceduta dalla cena del povero preparata e servita dall’equipe missionaria diocesana, i cui proventi andranno a sostenere le opere missionarie attive nelle aree del mondo dove la vita di missione è più a rischio. "Pregheremo per tutti coloro che nel mondo vengono uccisi e perseguitati per la loro fede". A dirlo è monsignor Orlando Sbicca, direttore dell’Ufficio diocesano missionario, ricordando che, nel 2022 i missionari martiri sono stati diciotto, di cui due italiane. "Si tratta -spiega- di suor Luisa Dell’Orto, Piccola Sorella del Vangelo, assassinata, il 25 giugno, in un agguato tra i vicoli della capitale di Haiti, e di suor Maria De Coppi, missionaria comboniana, uccisa in Mozambico, il 6 settembre, nel corso di un’azione terroristica. Entrambe spendevano l’intera vita rispondendo ai bisogni di due popoli, martoriati da guerre, calamità, criminalità e soprusi. Testimoniare il Vangelo in terra di missione -commenta il direttore dell’Ufficio diocesano missionario- è sempre più a repentaglio. Basti pensare che negli ultimi venti anni sono stati assassinati 526 tra sacerdoti, religiosi, religiose, laici e laiche". Questa significativa giornata è stata istituita, nel 1993, da Missio Giovani, il movimento giovanile missionario della direzione nazionale italiana delle Pontificie Opere Missionarie, in memoria del martirio dell’arcivescovo di San Salvador, Oscar Romero, avvenuto il 24 marzo 1980.Un pastore che senza esitazione si era posto a fianco del popolo salvadoregno, oppresso da un regime elitario incurante della sorte dei più poveri e dei lavoratori. "Quest’anno lo slogan scelto da Missio Giovani -annuncia don Orlando Sbicca- è Di me sarete testimoni (At 1,8), espressione che riprende il tema della Giornata missionaria mondiale dell’ottobre scorso". Ed è sempre don Orlando, sacerdote che da giovane andò missionario in Burundi, a rivolgere a nome dell’equipe diocesana l’appello-invito, soprattutto ai giovani, a partecipare numerosi alla veglia di preghiera, occasione anche di riflessione e di approfondimento dell’impegno missionario della Chiesa.  ]]>
Con l’atroce morte in Nigeria di padre Isaac Achi, affiora il ricordo di persecuzioni e violenze https://www.lavoce.it/con-latroce-morte-in-nigeria-di-padre-isaac-achi-affiora-il-ricordo-di-persecuzioni-e-violenze/ Wed, 18 Jan 2023 11:27:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=70111 ricordo di padre Isaac Achi

"Ogni volta che apprendo la tragica notizia della morte violenta di un missionario, sia consacrato sia laico, in terra di missione, mi vengono i brividi. Nella morte atroce di padre Isaac Achi, bruciato vivo nella sua canonica in Nigeria, domenica scorsa 15 gennaio, rivivo quanto è accaduto ad alcuni dei miei compagni in Burundi, presso la Missione di Buyengero dei Padri Saveriani. La sera del 30 settembre 1995, tre soldati arrivano alla Missione di Buyengero: fanno inginocchiare padre Ottorino Maule,  padre Aldo Marchiol e Catina Gubert, una volontaria laica, e vengono uccisi con arma da fuoco. Padre Ottorino Maule fu ordinato sacerdote insieme a me e ad altri 29 saveriani il 15 ottobre 1967".

A raccontarlo al settimanale cattolico La Voce, in edicola venerdì 20 gennaio, è l’ottantaduenne monsignor Orlando Sbicca, direttore dell’Ufficio diocesano missionario di Perugia-Città della Pieve, che trentenne, nel 1971, lasciò la sua Umbria (è originario di Deruta, dove è nato l’11 gennaio 1941) per andare missionario in Burundi. Dal piccolo Paese africano, della regione dei Grandi Laghi, don Orlando venne espulso, su disposizione delle autorità governative, otto anni dopo, nel 1979, perché considerato un prete contrario ai Vatussi, precisa lo stesso sacerdote.

"Pur avendo dalla mia parte -ricorda don Orlando- persone del posto che testimoniarono in mio favore, smentendo le false accuse a me mosse, non ebbi scampo. Dopo momenti di tensione e di paura mi fu ordinato di lasciare il Burundi in ventiquattro ore… Furono momenti duri! Certo, con il cuore sono rimasto per sempre in Africa. Ogni volta che apprendo notizie su feroci persecuzioni, i ricordi affiorano nella mente e penso anche a quanto bene i missionari riescono a fare in mezzo a mille difficoltà e tribolazioni.

I cristiani sono da sempre perseguitati per la testimonianza della propria fede -commenta l’anziano sacerdote- diversi, purtroppo, fino al martirio in molte parti del mondo. È una tragedia che si ripete periodicamente con decine di morti. Lo scorso anno ne abbiamo contati ventidue tra consacrati e laici in terra di missione.

La loro memoria non va dimenticata e per questo ogni anno celebriamo anche nella nostra comunità diocesana la Giornata dei missionari martiri, il 24 marzo, in ricordo dell’uccisione, avvenuta nel 1980, dell’arcivescovo di San Salvador, Oscar Romeo, il Santo de America. E’ inquietante anche il fatto che ormai la stampa dà sempre meno rilevanza a questi martiri e al loro martirio, come del resto anche alle cosiddette guerre dimenticate, che si trasformano in vere e proprie stragi di innocenti indifesi.

Di queste stragi, tra i pochi a darne notizia, sono proprio i missionari che lo fanno, spesso, rischiando la vita. È di conforto -conclude don Orlando Sbicca- che il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, abbia subito condannato il brutale omicidio di padre Isaac Achi in Nigeria e fatto appello affinché tutti i governi proteggano le minoranze cristiane".

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ricordo di padre Isaac Achi

"Ogni volta che apprendo la tragica notizia della morte violenta di un missionario, sia consacrato sia laico, in terra di missione, mi vengono i brividi. Nella morte atroce di padre Isaac Achi, bruciato vivo nella sua canonica in Nigeria, domenica scorsa 15 gennaio, rivivo quanto è accaduto ad alcuni dei miei compagni in Burundi, presso la Missione di Buyengero dei Padri Saveriani. La sera del 30 settembre 1995, tre soldati arrivano alla Missione di Buyengero: fanno inginocchiare padre Ottorino Maule,  padre Aldo Marchiol e Catina Gubert, una volontaria laica, e vengono uccisi con arma da fuoco. Padre Ottorino Maule fu ordinato sacerdote insieme a me e ad altri 29 saveriani il 15 ottobre 1967".

A raccontarlo al settimanale cattolico La Voce, in edicola venerdì 20 gennaio, è l’ottantaduenne monsignor Orlando Sbicca, direttore dell’Ufficio diocesano missionario di Perugia-Città della Pieve, che trentenne, nel 1971, lasciò la sua Umbria (è originario di Deruta, dove è nato l’11 gennaio 1941) per andare missionario in Burundi. Dal piccolo Paese africano, della regione dei Grandi Laghi, don Orlando venne espulso, su disposizione delle autorità governative, otto anni dopo, nel 1979, perché considerato un prete contrario ai Vatussi, precisa lo stesso sacerdote.

"Pur avendo dalla mia parte -ricorda don Orlando- persone del posto che testimoniarono in mio favore, smentendo le false accuse a me mosse, non ebbi scampo. Dopo momenti di tensione e di paura mi fu ordinato di lasciare il Burundi in ventiquattro ore… Furono momenti duri! Certo, con il cuore sono rimasto per sempre in Africa. Ogni volta che apprendo notizie su feroci persecuzioni, i ricordi affiorano nella mente e penso anche a quanto bene i missionari riescono a fare in mezzo a mille difficoltà e tribolazioni.

I cristiani sono da sempre perseguitati per la testimonianza della propria fede -commenta l’anziano sacerdote- diversi, purtroppo, fino al martirio in molte parti del mondo. È una tragedia che si ripete periodicamente con decine di morti. Lo scorso anno ne abbiamo contati ventidue tra consacrati e laici in terra di missione.

La loro memoria non va dimenticata e per questo ogni anno celebriamo anche nella nostra comunità diocesana la Giornata dei missionari martiri, il 24 marzo, in ricordo dell’uccisione, avvenuta nel 1980, dell’arcivescovo di San Salvador, Oscar Romeo, il Santo de America. E’ inquietante anche il fatto che ormai la stampa dà sempre meno rilevanza a questi martiri e al loro martirio, come del resto anche alle cosiddette guerre dimenticate, che si trasformano in vere e proprie stragi di innocenti indifesi.

Di queste stragi, tra i pochi a darne notizia, sono proprio i missionari che lo fanno, spesso, rischiando la vita. È di conforto -conclude don Orlando Sbicca- che il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, abbia subito condannato il brutale omicidio di padre Isaac Achi in Nigeria e fatto appello affinché tutti i governi proteggano le minoranze cristiane".

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La Chiesa martire https://www.lavoce.it/la-chiesa-martire/ Thu, 20 Oct 2022 11:27:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=69010 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Con l’accusa di “cospirazione contro lo Stato e di diffusione di notizie false” sono nove i preti nicaraguensi che si trovano rinchiusi nelle prigioni del Nicaragua. Ma per la verità costituiscono soltanto la punta dell’iceberg di una persecuzione impietosa ai danni della Chiesa cattolica che viene accusata dal presidente Daniel Ortega persino di preparare un colpo di Stato ai danni del governo. Sono almeno 60 i religiosi e le religiose che hanno lasciato il Paese scegliendo l’esilio o perché espulsi come le sedici suore di Madre Teresa. Il vescovo Alvarez è ormai da mesi agli arresti domiciliari.

A chi lo accusa di non rispettare i diritti più elementari del popolo nicaraguense e la libertà della Chiesa cattolica, il presidente nicaraguense risponde denunciando la totale mancanza di democrazia all’interno dell’organizzazione ecclesiastica! Si tratta di persecuzioni e accuse che, guardate nella trasparenza del Vangelo, dicono della fedeltà della comunità cristiana che cerca di seguire il suo maestro. Quella del Nicaragua è una chiesa martire che oggi illumina la strada per tutta la Chiesa universale.

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Con l’accusa di “cospirazione contro lo Stato e di diffusione di notizie false” sono nove i preti nicaraguensi che si trovano rinchiusi nelle prigioni del Nicaragua. Ma per la verità costituiscono soltanto la punta dell’iceberg di una persecuzione impietosa ai danni della Chiesa cattolica che viene accusata dal presidente Daniel Ortega persino di preparare un colpo di Stato ai danni del governo. Sono almeno 60 i religiosi e le religiose che hanno lasciato il Paese scegliendo l’esilio o perché espulsi come le sedici suore di Madre Teresa. Il vescovo Alvarez è ormai da mesi agli arresti domiciliari.

A chi lo accusa di non rispettare i diritti più elementari del popolo nicaraguense e la libertà della Chiesa cattolica, il presidente nicaraguense risponde denunciando la totale mancanza di democrazia all’interno dell’organizzazione ecclesiastica! Si tratta di persecuzioni e accuse che, guardate nella trasparenza del Vangelo, dicono della fedeltà della comunità cristiana che cerca di seguire il suo maestro. Quella del Nicaragua è una chiesa martire che oggi illumina la strada per tutta la Chiesa universale.

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Primo martire pakistano verso la santità https://www.lavoce.it/primo-martire-pakistano-verso-la-santita/ Wed, 23 Feb 2022 18:34:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=65127 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Era il 15 marzo 2015 quando Akash Bashir, 20 anni, rimase ucciso mentre tentava di fermare un attentatore suicida. Questi era diretto dentro la chiesa cattolica di San Giovanni a Youhanabad, zona di Lahore a maggioranza cristiana; e Akash Bashir era del servizio d’ordine allestito dalla comunità per proteggersi dalla minaccia degli attentati. Il giovane non esitò a fermarlo, nonostante la minaccia da parte dell’assalitore di farsi esplodere. Lo fece, causando anche la sua morte. In chiesa era in corso una liturgia molto partecipata e, a detta del parroco che presiedeva, c’erano 2.500 fedeli.

Akash Bashir era un ragazzo semplice che si sentiva parte della sua comunità e protagonista nella fede. Frequentava la scuola professionale dei Salesiani e si nutriva degli insegnamenti del Vangelo. Dal 31 gennaio scorso, memoria di san Giovanni Bosco, è il primo “servo di Dio” del Pakistan.

Una testimonianza che richiama tutti noi - che crediamo a basso prezzo e a bassa intensità - alla fede martiriale di tante Chiese sorelle perseguitate. Una testimonianza anche per tanti giovani battezzati che non sempre hanno consapevolezza dell’immenso dono ricevuto.

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Era il 15 marzo 2015 quando Akash Bashir, 20 anni, rimase ucciso mentre tentava di fermare un attentatore suicida. Questi era diretto dentro la chiesa cattolica di San Giovanni a Youhanabad, zona di Lahore a maggioranza cristiana; e Akash Bashir era del servizio d’ordine allestito dalla comunità per proteggersi dalla minaccia degli attentati. Il giovane non esitò a fermarlo, nonostante la minaccia da parte dell’assalitore di farsi esplodere. Lo fece, causando anche la sua morte. In chiesa era in corso una liturgia molto partecipata e, a detta del parroco che presiedeva, c’erano 2.500 fedeli.

Akash Bashir era un ragazzo semplice che si sentiva parte della sua comunità e protagonista nella fede. Frequentava la scuola professionale dei Salesiani e si nutriva degli insegnamenti del Vangelo. Dal 31 gennaio scorso, memoria di san Giovanni Bosco, è il primo “servo di Dio” del Pakistan.

Una testimonianza che richiama tutti noi - che crediamo a basso prezzo e a bassa intensità - alla fede martiriale di tante Chiese sorelle perseguitate. Una testimonianza anche per tanti giovani battezzati che non sempre hanno consapevolezza dell’immenso dono ricevuto.

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Pentecoste. Il Cenacolo, la nostra culla https://www.lavoce.it/pentecoste-il-cenacolo-la-nostra-culla/ Fri, 21 May 2021 10:23:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60742

La Pentecoste segna l’inizio della Chiesa. Essa aveva avuto la sua gestazione e il suo parto nel dolore sulla croce, come ricorda il Catechismo della Chiesa cattolica: “Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa” (CCC 1067, che cita Sacrosanctum Concilium 2). Dal costato di Cristo aperto dalla lancia del soldato (Gv 19,34) uscì sangue e acqua, e misteriosamente sono svelati i sacramenti del battesimo e dell’eucarestia. E come Eva, madre di tutti i viventi, emerge dal costato di Adamo, la Chiesa, madre dei cristiani, nasce dal costato di Cristo. Questo insegnamento, che ci viene dalla tradizione patristica e dal Magistero, è desunto proprio dalla Parola di questa domenica.

La Pentecoste ebraica

La prima lettura colloca l’irruzione dello Spirito santo “mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste” (At 2,1). È la pentecoste ebraica, che celebra i cinquanta giorni dopo la Pasqua, con il raccolto del frumento (Lv 23,15-17), e anticipa il grande raccolto dell’autunno con la festa delle Capanne. Nella festa ebraica ora irrompe la novità dello Spirito, che segna il tempo sacro dei cinquanta giorni in cui si celebra la Pasqua, come ricorda la colletta della messa vespertina della vigilia. La festa ebraica della pentecoste ricorda anche il dono della Legge, le dieci Parole incise con il fuoco sulle tavole consegnate a Mosè. È facile intravedere un percorso a due binari, con continui incroci, tra le feste ebraiche e le solennità che celebrano gli eventi di salvezza della fede cristiana. Il Signore Gesù porta a compimento quanto anticipato nella storia della salvezza tramite la rivelazione al popolo di Israele. La Pasqua con la sua cena, che Gesù celebra come istituzione della nuova Cena nel contesto della Pasqua. La Pentecoste: la festa ebraica del raccolto, che diviene il frutto maturo della Pasqua di risurrezione, adempiendo la profezia sulla legge pronunciata da Ezechiele e Geremia.

Nella Pentecoste la manifestazione dello Spirito

Lo Spirito santo renderà infatti la legge non più straniera al cuore dell’uomo, ma sarà iscritta nelle sue “viscere”, subordinandola alla legge dell’amore. Il profeta Geremia vedrà in lontananza il compiersi della nuova alleanza: “Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò nel loro cuore” (Ger 31,3). Il profeta Ezechiele, dopo aver parlato della dispersione di Israele, traccia un percorso di cammino comune verso Gerusalemme: “Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Porrò il mio Spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi, e vi farò osservare e mettere in pratiche le mie norme” (Ez 36,24-28).

Una nuova “legge” scritta nei cuori

Il vento e il fuoco descrivono, nel libro degli Atti, una una vera “teofania”: lo Spirito del Risorto raggiungerà gli apostoli, riuniti nel Cenacolo con Maria. La legge dell’amore sarà incisa ora nel cuore degli “amici di Gesù” e sarà parte costitutiva dell’uomo nuovo, rinato dalle “ceneri” della paura. Il coraggio e la forza di affrontare la missione sarà completata dai frutti che lo Spirito porta in dono: “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”, come ricorda la seconda lettura (Gal 5,27-28).

Dalla diaspora all’unità

La Pentecoste, celebrata nelle due liturgie, è un percorso che procede dalla diaspora all’unità. La prima lettura della celebrazione vigiliare presenta la dispersione dell’umanità in Genesi 11,1-9: “La si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra”. Il testo di Atti, nella celebrazione del giorno, mostra i popoli radunati a Gerusalemme per la festa, i quali faranno esperienza della nuova Pentecoste, frutto della nuova Pasqua. Pietro e gli apostoli annunciano la risurrezione di Cristo senza più timore; lo Spirito darà voce alla gioia, non più imprigionata dalla paura. Non avranno paura di annunciare la verità tutta intera, come dice il Vangelo della domenica (Gv 15,26; 16,13). Lo Spirito darà loro la forza della testimonianza (vv. 26-27), ricorderà loro ogni cosa e annuncerà le cose future (v. 13).

Doni dello Spirito alla comunità

Memoria, testimonianza e capacità di “vedere lontano” identificano la Chiesa e ogni credente immerso nell’acqua e nello Spirito, rinato dal “grembo” del fonte battesimale. La memoria viva ed efficace dei sacramenti ci rende presenti agli eventi di grazia di Cristo, che continuano nell’azione Chiesa: i sacramenti. Lo Spirito ricevuto ci dona la gioia del martirio nel presente e squarcia ai nostri occhi il velo della storia futura: la profezia. In questo tempo, facciamo fatica a riconoscere l’orizzonte profetico nelle nostre comunità e nella Chiesa in generale. Le paure sembrano aver sigillato la speranza nel “cenacolo” delle nostre tradizioni. Vieni, Santo Spirito, vieni a rinnovare la tua Chiesa!]]>

La Pentecoste segna l’inizio della Chiesa. Essa aveva avuto la sua gestazione e il suo parto nel dolore sulla croce, come ricorda il Catechismo della Chiesa cattolica: “Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa” (CCC 1067, che cita Sacrosanctum Concilium 2). Dal costato di Cristo aperto dalla lancia del soldato (Gv 19,34) uscì sangue e acqua, e misteriosamente sono svelati i sacramenti del battesimo e dell’eucarestia. E come Eva, madre di tutti i viventi, emerge dal costato di Adamo, la Chiesa, madre dei cristiani, nasce dal costato di Cristo. Questo insegnamento, che ci viene dalla tradizione patristica e dal Magistero, è desunto proprio dalla Parola di questa domenica.

La Pentecoste ebraica

La prima lettura colloca l’irruzione dello Spirito santo “mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste” (At 2,1). È la pentecoste ebraica, che celebra i cinquanta giorni dopo la Pasqua, con il raccolto del frumento (Lv 23,15-17), e anticipa il grande raccolto dell’autunno con la festa delle Capanne. Nella festa ebraica ora irrompe la novità dello Spirito, che segna il tempo sacro dei cinquanta giorni in cui si celebra la Pasqua, come ricorda la colletta della messa vespertina della vigilia. La festa ebraica della pentecoste ricorda anche il dono della Legge, le dieci Parole incise con il fuoco sulle tavole consegnate a Mosè. È facile intravedere un percorso a due binari, con continui incroci, tra le feste ebraiche e le solennità che celebrano gli eventi di salvezza della fede cristiana. Il Signore Gesù porta a compimento quanto anticipato nella storia della salvezza tramite la rivelazione al popolo di Israele. La Pasqua con la sua cena, che Gesù celebra come istituzione della nuova Cena nel contesto della Pasqua. La Pentecoste: la festa ebraica del raccolto, che diviene il frutto maturo della Pasqua di risurrezione, adempiendo la profezia sulla legge pronunciata da Ezechiele e Geremia.

Nella Pentecoste la manifestazione dello Spirito

Lo Spirito santo renderà infatti la legge non più straniera al cuore dell’uomo, ma sarà iscritta nelle sue “viscere”, subordinandola alla legge dell’amore. Il profeta Geremia vedrà in lontananza il compiersi della nuova alleanza: “Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò nel loro cuore” (Ger 31,3). Il profeta Ezechiele, dopo aver parlato della dispersione di Israele, traccia un percorso di cammino comune verso Gerusalemme: “Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Porrò il mio Spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi, e vi farò osservare e mettere in pratiche le mie norme” (Ez 36,24-28).

Una nuova “legge” scritta nei cuori

Il vento e il fuoco descrivono, nel libro degli Atti, una una vera “teofania”: lo Spirito del Risorto raggiungerà gli apostoli, riuniti nel Cenacolo con Maria. La legge dell’amore sarà incisa ora nel cuore degli “amici di Gesù” e sarà parte costitutiva dell’uomo nuovo, rinato dalle “ceneri” della paura. Il coraggio e la forza di affrontare la missione sarà completata dai frutti che lo Spirito porta in dono: “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”, come ricorda la seconda lettura (Gal 5,27-28).

Dalla diaspora all’unità

La Pentecoste, celebrata nelle due liturgie, è un percorso che procede dalla diaspora all’unità. La prima lettura della celebrazione vigiliare presenta la dispersione dell’umanità in Genesi 11,1-9: “La si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra”. Il testo di Atti, nella celebrazione del giorno, mostra i popoli radunati a Gerusalemme per la festa, i quali faranno esperienza della nuova Pentecoste, frutto della nuova Pasqua. Pietro e gli apostoli annunciano la risurrezione di Cristo senza più timore; lo Spirito darà voce alla gioia, non più imprigionata dalla paura. Non avranno paura di annunciare la verità tutta intera, come dice il Vangelo della domenica (Gv 15,26; 16,13). Lo Spirito darà loro la forza della testimonianza (vv. 26-27), ricorderà loro ogni cosa e annuncerà le cose future (v. 13).

Doni dello Spirito alla comunità

Memoria, testimonianza e capacità di “vedere lontano” identificano la Chiesa e ogni credente immerso nell’acqua e nello Spirito, rinato dal “grembo” del fonte battesimale. La memoria viva ed efficace dei sacramenti ci rende presenti agli eventi di grazia di Cristo, che continuano nell’azione Chiesa: i sacramenti. Lo Spirito ricevuto ci dona la gioia del martirio nel presente e squarcia ai nostri occhi il velo della storia futura: la profezia. In questo tempo, facciamo fatica a riconoscere l’orizzonte profetico nelle nostre comunità e nella Chiesa in generale. Le paure sembrano aver sigillato la speranza nel “cenacolo” delle nostre tradizioni. Vieni, Santo Spirito, vieni a rinnovare la tua Chiesa!]]>
Missionari martiri. Più dell’odio può l’amore https://www.lavoce.it/missionari-martiri-piu-dellodio-puo-lamore/ Fri, 16 Mar 2018 08:30:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51438

Il 24 marzo anniversario dell’uccisione di mons. Romero, vescovo di San Salvador la Chiesa italiana celebra la 26a Giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri. E proprio quest’anno, tra qualche mese (vedi articolo qui a destra), il beato Oscar Romero verrà proclamato santo. La Giornata, il cui tema quest’anno è “Chiamati alla vita”, verrà vissuta nelle diocesi umbre con celebrazioni e adorazioni missionarie a livello parrocchiale, interparrocchiale e diocesano, e anche con il sostegno solidale a un progetto da realizzare nella Repubblica Centrafricana, nella diocesi di Bangui, con un Centro di promozione della donna affidato alle suore Missionarie Figlie di Maria. In base ai dati diramati in preparazione alla Giornata di preghiera dall’agenzia Fides e da Missio, organismo della Cei, nel 2017 nel mondo sono stati uccisi 23 missionari: 13 sacerdoti, un religioso, una religiosa e 8 laici. Per l’ottavo anno consecutivo il numero più elevato di vittime si registra nel Continente americano, dove sono stati uccisi 11 operatori pastorali (8 sacerdoti, 1 religioso, 2 laici); segue l’Africa, con 10 assassinii (4 sacerdoti, una religiosa, 5 laici); in Asia sono stati uccisi 2 operatori pastorali (un sacerdote e un laico). Dal 2000 al 2016, sempre secondo i dati raccolti da Fides, sono stati uccisi nel mondo complessivamente 424 operatori pastorali, tra cui 5 vescovi. “L’elenco annuale di Fides sottolinea l’agenzia di informazione cattolica ormai da tempo non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma cerca di registrare tutti gli operatori pastorali morti in modo violento, non espressamente ‘in odio alla fede’. Per questo si preferisce non usare il termine ‘martiri’, se non nel suo significato etimologico di ‘testimoni’, per non entrare in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro. Molti operatori pastorali prosegue il dossier sono stati uccisi durante tentativi di rapina o di furto, compiuti anche con ferocia, in contesti di povertà economica e culturale, di degrado morale e ambientale, dove violenza e sopraffazione sono assurte a regola di comportamento, nella totale mancanza di rispetto per la vita e per ogni diritto umano. A tutte le latitudini sacerdoti, religiose e laici condividono con la gente comune la stessa vita quotidiana, portando il valore specifico della loro testimonianza evangelica come segno di speranza. Gli uccisi sono solo la punta dell’iceberg, in quanto è sicuramente lungo l’elenco degli operatori pastorali, o dei semplici cattolici, aggrediti, malmenati, derubati, minacciati, come quello delle strutture cattoliche a servizio dell’intera popolazione, assalite, vandalizzate o saccheggiate”. Con un’ulteriore nota amara: “Raramente gli assassini di preti o suore vengono individuati o condannati”. Come sintetizza padre Omar Sotelo, direttore del Centro cattolico multimediale del Messico: “La violenza contro il clero è aumentata negli ultimi anni, senza vedere azioni concrete per fermarla”. In Messico come altrove, “la popolazione è permanentemente esposta alla criminalità, ma adesso soprattutto il sacerdozio è diventato un ministero pericoloso. Negli ultimi nove anni, il Messico è il Paese con il maggior numero di preti uccisi”. Durante la liturgia della Parola in memoria dei “nuovi martiri” del XX e XXI secolo, circa un anno fa, il 22 aprile 2017, Papa Francesco ha affermato: “Il ricordo di questi eroici testimoni, antichi e recenti, ci conferma nella consapevolezza che la Chiesa è Chiesa se è Chiesa di martiri. I martiri sono coloro che hanno avuto la grazia di confessare Gesù fino alla fine, fino alla morte. Loro soffrono, loro danno la vita, e noi riceviamo la benedizione di Dio per la loro testimonianza”. La causa ultima di ogni persecuzione ha aggiunto va ricercata "nell’odio del Principe di questo mondo verso quanti sono stati salvati e redenti da Gesù con la sua morte e la sua risurrezione. L’eredità viva dei martiri dona oggi a noi pace e unità. Essi ci insegnano che, con la forza dell’amore, con la mitezza, si può lottare contro la prepotenza, la violenza, la guerra, e si può realizzare con pazienza la pace".]]>

Il 24 marzo anniversario dell’uccisione di mons. Romero, vescovo di San Salvador la Chiesa italiana celebra la 26a Giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri. E proprio quest’anno, tra qualche mese (vedi articolo qui a destra), il beato Oscar Romero verrà proclamato santo. La Giornata, il cui tema quest’anno è “Chiamati alla vita”, verrà vissuta nelle diocesi umbre con celebrazioni e adorazioni missionarie a livello parrocchiale, interparrocchiale e diocesano, e anche con il sostegno solidale a un progetto da realizzare nella Repubblica Centrafricana, nella diocesi di Bangui, con un Centro di promozione della donna affidato alle suore Missionarie Figlie di Maria. In base ai dati diramati in preparazione alla Giornata di preghiera dall’agenzia Fides e da Missio, organismo della Cei, nel 2017 nel mondo sono stati uccisi 23 missionari: 13 sacerdoti, un religioso, una religiosa e 8 laici. Per l’ottavo anno consecutivo il numero più elevato di vittime si registra nel Continente americano, dove sono stati uccisi 11 operatori pastorali (8 sacerdoti, 1 religioso, 2 laici); segue l’Africa, con 10 assassinii (4 sacerdoti, una religiosa, 5 laici); in Asia sono stati uccisi 2 operatori pastorali (un sacerdote e un laico). Dal 2000 al 2016, sempre secondo i dati raccolti da Fides, sono stati uccisi nel mondo complessivamente 424 operatori pastorali, tra cui 5 vescovi. “L’elenco annuale di Fides sottolinea l’agenzia di informazione cattolica ormai da tempo non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma cerca di registrare tutti gli operatori pastorali morti in modo violento, non espressamente ‘in odio alla fede’. Per questo si preferisce non usare il termine ‘martiri’, se non nel suo significato etimologico di ‘testimoni’, per non entrare in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro. Molti operatori pastorali prosegue il dossier sono stati uccisi durante tentativi di rapina o di furto, compiuti anche con ferocia, in contesti di povertà economica e culturale, di degrado morale e ambientale, dove violenza e sopraffazione sono assurte a regola di comportamento, nella totale mancanza di rispetto per la vita e per ogni diritto umano. A tutte le latitudini sacerdoti, religiose e laici condividono con la gente comune la stessa vita quotidiana, portando il valore specifico della loro testimonianza evangelica come segno di speranza. Gli uccisi sono solo la punta dell’iceberg, in quanto è sicuramente lungo l’elenco degli operatori pastorali, o dei semplici cattolici, aggrediti, malmenati, derubati, minacciati, come quello delle strutture cattoliche a servizio dell’intera popolazione, assalite, vandalizzate o saccheggiate”. Con un’ulteriore nota amara: “Raramente gli assassini di preti o suore vengono individuati o condannati”. Come sintetizza padre Omar Sotelo, direttore del Centro cattolico multimediale del Messico: “La violenza contro il clero è aumentata negli ultimi anni, senza vedere azioni concrete per fermarla”. In Messico come altrove, “la popolazione è permanentemente esposta alla criminalità, ma adesso soprattutto il sacerdozio è diventato un ministero pericoloso. Negli ultimi nove anni, il Messico è il Paese con il maggior numero di preti uccisi”. Durante la liturgia della Parola in memoria dei “nuovi martiri” del XX e XXI secolo, circa un anno fa, il 22 aprile 2017, Papa Francesco ha affermato: “Il ricordo di questi eroici testimoni, antichi e recenti, ci conferma nella consapevolezza che la Chiesa è Chiesa se è Chiesa di martiri. I martiri sono coloro che hanno avuto la grazia di confessare Gesù fino alla fine, fino alla morte. Loro soffrono, loro danno la vita, e noi riceviamo la benedizione di Dio per la loro testimonianza”. La causa ultima di ogni persecuzione ha aggiunto va ricercata "nell’odio del Principe di questo mondo verso quanti sono stati salvati e redenti da Gesù con la sua morte e la sua risurrezione. L’eredità viva dei martiri dona oggi a noi pace e unità. Essi ci insegnano che, con la forza dell’amore, con la mitezza, si può lottare contro la prepotenza, la violenza, la guerra, e si può realizzare con pazienza la pace".]]>
Il cardinale Gualtiero Bassetti: «No a corruzione nella Chiesa e nella società. Siamo in comunione profonda con papa Francesco» https://www.lavoce.it/il-cardinale-gualtiero-bassetti-no-a-corruzione-nella-chiesa-e-nella-societa-siamo-in-comunione-profonda-con-papa-francesco/ https://www.lavoce.it/il-cardinale-gualtiero-bassetti-no-a-corruzione-nella-chiesa-e-nella-societa-siamo-in-comunione-profonda-con-papa-francesco/#comments Sun, 08 Nov 2015 11:02:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44340 celebrazione solennità di sant'ercolano nella chiesa universitaria«La corruzione è entrata, purtroppo, in parti della società civile e si è insinuata anche in alcune strutture della Chiesa. Noi siamo in comunione profonda con papa Francesco, che regge la Chiesa con la forza di Dio e sostenuto, nella sua missione di successore di Pietro, dallo Spirito Santo». Così il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti durante l’omelia della solennità di sant’Ercolano, vescovo e martire, patrono della città di Perugia e dell’Università degli Studi, celebrata nella serata del 7 novembre nella chiesa universitaria alla presenza di un folto popolo di Dio di studenti, docenti, personale amministrativo e cittadini. Il porporato, nell’evidenziare l’insegnamento cristiano sempre attuale del vescovo Ercolano martirizzato da Totila, re dei Goti, nell’anno 547, perché defensor civitatis, e prendendo spunto dalla Parola di Dio del “Buon Pastore” (Sal 22), ha parlato di Cristo che «si fa modello per ogni pastore: conosce le sue pecore, le ama appassionatamente, le difende, porta sulle spalle con particolare premura quelle stanche e malate, perché nessuna abbia a perdersi. È questo l’atteggiamento che ogni cristiano, e in particolare chiunque abbia un posto di responsabilità, nella Chiesa o nella società, dovrebbe tenere. Questo è lo spirito – ha sottolineato il cardinale – che dovrebbe soggiacere non solo a ogni forma di governo, ma anche semplicemente di prossimità: servire e curare (“custodire” come dice il Papa) le persone che il Signore ci affida. In questo senso si capisce perché dietro ogni categoria di “potere”, o meglio di “responsabilità”, per l’insegnamento evangelico non può non esserci un atteggiamento di servizio e, se necessario, di immolazione. Questo, in particolare, è il compito del vescovo, che, in ogni tempo, è chiamato a farsi carico del popolo a lui affidato. Tanto più il vescovo si conforma al Signore Gesù “buon pastore”, tanto più saprà guidare e custodire il suo gregge».

«Noi, stasera, facciamo memoria di un vero pastore di questa Chiesa – ha proseguito il porporato –, che ha saputo immedesimarsi in Gesù e guidare la sua gente, in tempi assai calamitosi, donando tutto se stesso, fino al sacrificio della vita. Ercolano ha protetto il suo popolo e ha difeso l’intera comunità perugina dal pericolo della violenza, della guerra e della sopraffazione. Non ha esitato a dare la propria vita: non è fuggito, non ha fatto baratto; ha affrontato la violenza degli assalitori con grande fede e il suo sangue, sparso lungo le mura antiche, grida ancora contro l’odio e l’ingiustizia. Grida ancora contro la prepotenza del male che oggi, come allora, pur se con nomi e sembianze diverse, cerca di assalire la nostra comunità, specie negli ultimi tempi, con preoccupanti e inquietanti intromissioni della malavita organizzata».

Gli inni composti in onore dei santi Ercolano e Costanzo e l’olio di nardo per i neolaureati.

Nel salutare i rappresentanti delle Istituzioni civili e accademiche presenti (tra queste il rettore Franco Moriconi e il prorettore Fabrizio Figorilli), il cardinale Bassetti, ha espresso il suo vivo ringraziamento anche al maestro Salvatore Silivestro e al Coro dell’Università degli Studi da lui diretto per il bellissimo inno a sant’Ercolano composto per coro e organo su un testo di papa Leone XIII, vescovo di Perugia dal 1846 al 1878. Una copia di quest’inno il cardinale Bassetti l’ha consegnata al papa emerito Benedetto XVI, che conosce gli inni scritti dal suo predecessore in onore dei santi patroni perugini Ercolano e Costanzo. Un dono che il Papa emerito ha molto gradito, scrivendo al cardinale Bassetti per ringraziarlo. Questa lettera autografa è stata donata dal cardinale all’Università degli Studi affinché possa conservarla tra i documenti della sua ultracentenaria storia.

Il maestro Silivestro, nel ricordare commosso la figura di mons. Bromuri con il quale intraprese una proficua collaborazione culturale, ha annunciato la conclusione della composizione di un secondo inno, questa volta dedicato a san Costanzo, consegnando la prima copia al cardinale Bassetti alla conclusione della celebrazione.

Sempre al termine della S. Messa, la Pastorale diocesana universitaria, diretta da don Riccardo Pascolini, ha presentato un piccolo dono che il cardinale ha consegnato ai laureati nell’Anno accademico 2014-2015. Si tratta un’ampollina contenente l’olio di nardo, componente del Crisma e degli oli dei Sacramenti, «simbolo di un mandato – ha spiegato don Pascolini – per mettere a frutto il tempo investito negli studi, portando nel mondo il profumo di Cristo».

 

IL TESTO DELL’OMELIA

 

Fratelli e Sorelle, Signori rappresentanti di tutte le istituzioni accademiche e cittadine,

ho accolto volentieri l’invito a presiedere la santa eucaristia nella cappella universitaria, nel giorno in cui la città di Perugia e l’intera diocesi ricordano il patrono sant’Ercolano, sotto la cui protezione e benedizione si è posta sin dalle origini la nostra comunità cittadina e la fondazione dello Studium perusinum.

Mi sembra doveroso in questa occasione rendere omaggio anche alla figura di mons. Elio Bromuri, indimenticabile rettore di questa Cappella universitaria, e per decenni instancabile e appassionato sostenitore del culto al Santo. A lui sempre il nostro riconoscente pensiero, che si estende a chi ha ora in carico la custodia di questa chiesa, chiamata ad essere luogo di incontro del mondo accademico e vera “anima” dell’intero complesso universitario. Un vivo ringraziamento anche al maestro Silivestro e al coro, per il bellissimo inno a sant’Ercolano. Un cordiale saluto ancora alle autorità e a tutti i convenuti.

“Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla” (Sal 22)

La Parola di Dio presenta a noi stasera la figura del “buon pastore”, che raduna le sue pecore, le conosce una ad una, e dà la vita per il suo gregge. La storia della salvezza è costellata dall’intervento costante di Dio nella vita del suo popolo, quell’antico Israele nomade che rappresenta la prima immagine del gregge, il cui pastore è Dio stesso. Javhè, nell’Antico Testamento, trasmette questa prerogativa ad alcuni suoi eletti, come Abramo, Mosè e i profeti, fino alla venuta del Figlio Suo Gesù Cristo, il “pastore grande”. Con lui comincia il “Nuovo Testamento”, una “nuova ed eterna alleanza”.

Gesù ha il compito di radunare il popolo d’Israele, ma anche di aprire il recinto dell’antico ovile a nuove “genti”, radunandole da ogni parte della terra, per formare una sola famiglia umana. Gesù si fa modello per ogni pastore: conosce le sue pecore, le ama appassionatamente, le difende, porta sulle spalle con particolare premura quelle stanche e malate, perché nessuna abbia a perdersi.

È questo l’atteggiamento che ogni cristiano, e in particolare chiunque abbia un posto di responsabilità, nella Chiesa o nella società, dovrebbe tenere. Questo è lo spirito che dovrebbe soggiacere non solo a ogni forma di governo, ma anche semplicemente di prossimità: servire e curare (“custodire” come dice il Papa) le persone che il Signore ci affida. In questo senso si capisce perché dietro ogni categoria di “potere”, o meglio di “responsabilità”, per l’insegnamento evangelico non può non esserci un atteggiamento di servizio e, se necessario, di immolazione.

Questo, in particolare, è il compito del vescovo, che, in ogni tempo, è chiamato a farsi carico del popolo a lui affidato. Tanto più il vescovo si conforma al Signore Gesù “buon pastore”, tanto più saprà guidare e custodire il suo gregge.

Qualche tempo, Papa Francesco, incontrando i componenti della Congregazione per i Vescovi, ha così tracciato il profilo dei candidati all’episcopato: “Siano Pastori vicini alla gente, padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; amino la povertà interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita… Siano capaci di sorvegliare il gregge che sarà loro affidato, di avere cioè cura per tutto ciò che lo mantiene unito; … capaci di vegliare per il gregge” (27 febbraio 2014). E il popolo saprà riconoscere nel suo pastore il volto del Signore.

Noi, stasera, facciamo memoria di un vero pastore di questa Chiesa, che ha saputo immedesimarsi in Gesù e guidare la sua gente, in tempi assai calamitosi, donando tutto se stesso, fino al sacrificio della vita. Ercolano ha protetto il suo popolo e ha difeso l’intera comunità perugina dal pericolo della violenza, della guerra e della sopraffazione. Non ha esitato a dare la propria vita: non è fuggito, non ha fatto baratto; ha affrontato la violenza degli assalitori con grande fede e il suo sangue, sparso lungo le mura antiche, grida ancora contro l’odio e l’ingiustizia. Grida ancora contro la prepotenza del male che oggi, come allora, pur se con nomi e sembianze diverse, cerca di assalire la nostra comunità, specie negli ultimi tempi, con preoccupanti e inquietanti intromissioni della malavita organizzata.

Il popolo perugino, che per secoli è stato interamente un popolo cristiano, ha sempre amato il suo Santo pastore. Nella figura del vescovo-eroe Ercolano si sono incarnate le migliori virtù cittadine; in nome di Ercolano sono stati redatti gli antichi Statuti, sotto la protezione di Ercolano è stato posto fin dall’inizio lo Studium, con la consapevolezza che i valori cristiani e quelli civici fossero, come lo sono e lo saranno sempre, la base portante della cultura e del sapere.

Una civiltà nasce e si sviluppa se alle sue radici vi è una seria e profonda visione dell’uomo, creato a immagine di Dio e centro di tutto il creato, la cui immensa dignità è difesa da Gesù stesso che per amore di ogni e qualsiasi uomo non ha esitato a dare la propria vita. Questa dignità, unica e indelebile, cuore dell’umanesimo cristiano, vogliamo ancora esaltare e ribadire nei lavori del prossimo Convegno Ecclesiale Nazionale, che inizierà lunedì a Firenze e al quale parteciperanno tantissimi rappresentanti del mondo ecclesiale italiano e molti studiosi.

Quest’anno poi avremo la grazia di vivere anche in diocesi il tempo del Giubileo Straordinario della Misericordia, che inizierà ufficialmente domenica 13 dicembre, con l’apertura della Porta Giubilare della nostra cattedrale. Sarà un tempo felice e privilegiato di pienissima “perdonanza” e di affettuoso abbraccio da parte del Dio della misericordia e del perdono. Sarà un tempo di seria conversione anche per noi, stanchi di una vita talvolta sregolata o che si accontenta di vivere un cristianesimo di facciata, senza che la Parola di Dio penetri nel profondo e apra quegli spazi di bene e di gioia che abbiamo sempre davanti agli occhi senza saperne cogliere il messaggio e l’efficacia. Un tempo favorevole, ancor più denso di “segnali” a indirizzare il gregge verso i pascoli erbosi, ricchi di vero nutrimento. Sia il martire Ercolano ad accompagnarci verso la infinita misericordia di Dio.

Gualtiero Card. Bassetti, arcivescovo

 

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La solennità di san Lorenzo nelle parole dell’arcivescovo Bassetti https://www.lavoce.it/la-solennita-di-san-lorenzo-nelle-parole-dellarcivescovo-bassetti/ Thu, 13 Aug 2015 12:48:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=42474 San Lorenzo
San Lorenzo

Nella solennità di san Lorenzo, primo diacono della Chiesa, santo cui è dedicata la cattedrale di Perugia, il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti, nella messa della vigilia ha ordinato sette diaconi permanenti provenienti da sette comunità parrocchiali: Francesco Buono e Gian Mauro Maggiurana da Tavernelle; Giovanni Brustenghi dal Castiglione della Valle; Lanfranco Cipolletti da Cerqueto di Marsciano; Francesco Germini da Pila; Aristide Bortolato da Pierantonio; Luigi Fioroni da San Barnaba in Perugia.
Il giorno dopo il Cardinale ha presieduto la solenne concelebrazione eucaristica delle ore 11.30 in cattedrale, concelebrata come ogni anno da una folta rappresentanza di sacerdoti provenienti dai cinque continenti che a Perugia studiano l’Italiano.

Qui di seguito il testo dell’omeliatenuta dal Cardinale nel giorno della solennità, il 10 agosto scorso:

All’inizio di questa celebrazione, m’è caro salutare le autorità di ogni genere e grado, e, soprattutto, i sacerdoti di altre nazionalità che, per motivi di studio, sono presenti nella nostra Diocesi e nella nostra città. Voi, carissimi presbiteri, rendete presente fra noi quella Chiesa della Pentecoste, nata 50 giorni dopo la Pasqua del Signore, che canta ed esprime le meraviglie dello Spirito. Perugia possa essere sempre nei vostri confronti Chiesa e città accoglienti.

Carissimi, festeggiare il Santo Patrono è come festeggiare un padre, un fratello, un amico – San Lorenzo è uno dei santi più venerati nella Chiesa: il suo culto è antichissimo.

Per la Chiesa è sempre tempo di martirio

L’immagine del diacono Lorenzo, con gli strumenti della sua passione, che oggi veneriamo, ci rimanda ai tempi lontani, in cui i cristiani venivano perseguitati e condannati ad atroci supplizi. Purtroppo per la Chiesa è sempre tempo di martirio. Più di quattromila sono i cristiani uccisi fra il 2013 e il 2014 per motivi legati alla loro fede. Sessantamila cristiani sono imprigionati nei campi di detenzione della Corea del Nord. Più di mille chiese sono state attaccate da estremisti dell’Islam. Più di cento sono i Paesi del mondo in cui si registra un crescente disprezzo per la libertà religiosa.

Secondo l’ultimo Dossier della Caritas, almeno cento milioni di cristiani sono perseguitati e lottano per la fede. L’intolleranza religiosa, come ben sapete, sta purtroppo crescendo. Non possiamo restare indifferenti dinanzi a questi fatti che scuotono la nostra coscienza di uomini e di cristiani e non possiamo non farci carico delle sofferenze di tanti fratelli e sorelle.

Affrontare insieme alle Istituzioni civili il fenomeno migratorio e dei profughi

Un altro fenomeno dei nostri giorni: il problema migratorio e quello dei profughi. Gente costretta a lasciare la propria terra e consegnarsi nelle mani di trafficanti senza scrupoli, che si servono di essi come di merce da trasporto. In poco più di sette mesi, in migliaia hanno trovato la loro tomba nel Mar Mediterraneo. Fra questi, tante donne e bambini. Il Santo Padre ha parlato chiaramente: “Respingere i migranti? Questa è guerra! Pensiamo a quei fratelli partiti dalla Birmania… sono cacciati da un Paese all’altro e vanno per mare… quando arrivano in un porto o su una spiaggia – sono parola di Papa Francesco – danno loro un po’ d’acqua e un po’ da mangiare e li ricacciano in mare! Questo, dice il Papa, è un conflitto non risolto, questa è guerra, questa si chiama violenza, si chiama uccidere…”.

Cari Fratelli e Sorelle, noi vogliamo essere Chiesa solidale e vogliamo esprimere secondo le nostre possibilità un’accoglienza generosa e concreta, impegnandoci come Caritas e con l’aiuto delle Istituzioni locali, che regolano i flussi dei migranti.

Siamo chiamati ad amare i fratelli, soprattutto i più poveri del mondo

San Lorenzo, nostro celeste patrono aiuti tutti noi a vivere e a consolidare la civiltà dell’amore costruita in due millenni di cristianesimo e fondata sul Vangelo. Essa, non è compito solo di pochi esperti e non riguarda solo gli addetti ai lavori, ma è un dovere di tutti, ognuno per la sua parte. Cresca nei nostri cuori il fuoco della carità che infiammò san Lorenzo, il quale, caduto in terra come un seme, ci dice oggi che la misura definitiva del nostro essere amati da Dio è soltanto quella  dell’amore verso i fratelli. Siamo chiamati ad amare i fratelli, soprattutto i più poveri del mondo, con quell’amore commovente e misterioso con cui ci ama Gesù. Amare per un cristiano significa dare vita, dare gioia, comunicare speranza.

La gente è stanca di attendere e di ascoltare tante promesse

Nell’omelia di ieri sera, durante l’ordinazione di sette diaconi, citavo le parole del Vangelo: “Gesù vedendo le folle che erano stanche ne sentì compassione”, sottolineando come anche oggi sia importante vedere le “folle stanche”.

Oggi il nostro popolo è stanco, spesso sfiduciato e demotivato… La gente è stanca di attendere e di ascoltare tante promesse, che spesso non vanno oltre le parole. I giovani sono stanchi, li vedo spesso depressi e umiliati, cercano un senso alto per la vita, un lavoro, e non hanno chi possa indicare loro la strada, chi possa essere da faro affinché la loro fragile imbarcazione arrivi sicura al porto dell’esistenza.

Sono stanche le coppie di sposi e sentiamo sempre più frequentemente di coppie che divorziano o si separano. Come vorrei che le giovani coppie potessero carpire la bellezza dell’amore sponsale e coniugale, dell’amore genitoriale e della fatica di essere padre e madre, non tanto perché si mette al mondo una vita, ma perché la si accompagna pazientemente, perché la si educa ascoltandola, formandola, fino a lasciare i figli liberi, liberi della libertà di Dio, capaci di scelte grandi, positive e belle.

Potessero davvero comprendere gli sposi cristiani che la loro primaria vocazione è quella di trasmettere l’icona del nome di Dio: Dio è amore e proprio la coppia uomo-donna, unita nel sacramento del matrimonio, rivela questa identità di Dio.

Un padre di cinquanta anni minacciato di sfratto è quel sacramento di Cristo che san Lorenzo aveva colto nei poveri

Sono trascorsi trentacinque anni dalla morte di Mons. Oscar Romero: oggi beato e martire della Chiesa. Otto giorni prima di morire ha concluso una sua omelia con queste parole: “Se vedessimo che è Cristo, l’uomo bisognoso, l’uomo torturato, l’uomo prigioniero, l’uomo ucciso, Lui in ogni persona umana calpestata così indegnamente lungo le nostre strade, vedremmo in questo Cristo calpestato una moneta d’oro che si raccoglie con cura e si bacia, né certo ci vergogneremmo di Lui”.

Un padre di cinquanta anni, con quattro figli, minacciato di sfratto, come mi è capitato di incontrare in questi giorni, non è forse anche lui sacramento di Cristo, segno della sua misteriosa presenza, proprio quel sacramento che Lorenzo aveva colto nei poveri? San Lorenzo, diacono, martire, nostro celeste patrono, aiutaci ad amare Cristo, i poveri e la Chiesa, che tu ha fecondato con il tuo sangue! Amen!

 

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Incontro testimonianza sui cristiani in Siria https://www.lavoce.it/incontro-testimonianza-sui-cristiani-in-siria/ Wed, 15 Jul 2015 14:08:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39071 Un momento dell’incontro “Cristianesimo in Siria: da Paolo e Barnaba alle persecuzioni di oggi”
Un momento dell’incontro “Cristianesimo in Siria: da Paolo e Barnaba alle persecuzioni di oggi”

L’incontro “Cristianesimo in Siria: da Paolo e Barnaba alle persecuzioni di oggi”, tenutosi a Todi l’11 luglio, nasce da un’idea di Marcello Rinaldi, direttore della Caritas diocesana, per gettare luce sulla drammatica situazione dei cristiani in quell’area del Medio Oriente.

Per due ore e mezzo la sala del Trono del palazzo vescovile di Todi si è trasformata in uno spazio di riflessione e di condivisione di testimonianze e reportage, che hanno visto protagonisti Ayman Haddad, ingegnere e docente di Lingua e cultura araba, e Gian Micalessin, giornalista e reporter di guerra.

La tavola rotonda si è aperta con le parole del vescovo mons. Benedetto Tuzia, che ha ricordato l’importanza del “polmone” siriaco della Chiesa, oltre a quello latino e bizantino.

A seguire, don Marcello Cruciani, parroco del Ss. Crocifisso, ha presentato un quadro, tanto interessante quanto ai più sconosciuto, sulla cristianizzazione dell’Umbria da parte dei monaci siriaci nei primi secoli della diffusione del cristianesimo.

L’atmosfera si è caricata di pathos e commozione durante la vibrante testimonianza dell’ing. Haddad. La sua recente esperienza in Siria, centro del suo intervento, ha permesso di comprendere aspetti toccanti della vita dei siriani e in particolare della comunità cristiana, di cui fanno parte i suoi parenti e amici.

In uno scenario di devastazione, in una Damasco martoriata e soffocata dai check-point, i cristiani non tradiscono il loro messaggio di fede e fanno della speranza il loro baluardo quotidiano. Il loro attaccamento ai riti e alle tradizioni li rende paladini di Cristo nelle avversità.

La solidarietà è la cifra del vivere cristiano; la forza della comunità è proprio la comunione di spirito nel dolore, dal momento che a Damasco ogni famiglia cristiana conta almeno un lutto. Sono i quartieri cristiani, infatti, a essere presi di mira dai mortai dei jihadisti. I cristiani di Siria sono i martiri di oggi, che scelgono di non rinnegare il nome di Cristo di fronte alla minaccia di morte.

Essere “martire” significa, in greco, essere “testimone”: questo spinge la maggior parte di loro a non andarsene e a mantenere salde le radici di un ulivo, quello del cristianesimo, che non può essere sradicato ma che può solo portare i suoi frutti altrove.

Poi l’illustrazione del conflitto in tutta la sua storicità da parte di Gian Micalessin che, attraverso i suoi reportage dal sapore unico, ha delineato un vivido quadro della situazione geopolitica del conflitto siriano a partire dai suoi albori. L’esperienza diretta di chi dall’esterno è andato alla ricerca della verità, di chi ha ascoltato testimoni e ha riconosciuto nei loro occhi gli occhi della guerra, ha reso estremamente sentita la partecipazione dei presenti.

La rischiosissima visita a Maaloula, città martire cristiana in cui si parla ancora oggi l’aramaico, e le impressionanti riprese, scandite dal sibilo dei proiettili dei cecchini, in una Aleppo devastata dai colpi di mortaio dei jihadisti, hanno mostrato con la drammaticità e la potenza dell’immagine ciò che significa vivere oggi in Siria.

Le parole del vicario apostolico di Aleppo mons. George Abu Khazen sono un monito a tutti i cristiani d’Occidente: “Guai a un Medio Oriente senza cristiani!”. Ciò rappresenterebbe un’inestimabile perdita per l’Europa e per il mondo. Un rischio che dovrebbe scuotere dall’indifferenza l’Occidente, così attento alla storia, e allo stesso tempo potenziale vittima del miopismo e della superficialità.

A tale incontro, che ha messo in risalto l’inevitabile comunanza di destino che lega i popoli del mondo, non poteva non seguire una serata all’insegna della valorizzazione dello scambio tra culture. Il tema “Una sola famiglia umana – Incontro tra i popoli” ha infatti animato la cena multiculturale organizzata presso l’istituto Crispolti dalla Caritas diocesana e dall’associazione Matavitau in occasione della campagna mondiale inaugurata da Papa Francesco “Cibo per tutti”. Evento dal clima festoso, ha fornito a tutti i partecipanti la prova che la conoscenza delle altre culture passa anche dall’alimentazione, necessità comune a tutti gli uomini.

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Quaranta rose bianche https://www.lavoce.it/quaranta-rose-bianche/ Wed, 24 Jun 2015 08:01:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36394 Un momento della commemorazione
Le celebrazioni all’interno del Mausoleo dei 40 Martiri a Gubbio

Non un semplice rituale, ma l’occasione per meditare e riflettere su un episodio da non dimenticare, anzi da tener vivo e da trasmettere alle generazioni più giovani per alimentare la cultura della pace, della tolleranza, della convivenza tra i popoli.

Ancora una volta è stato questo il filo conduttore delle celebrazioni a Gubbio per il 71° anniversario dell’eccidio dei 40 Martiri (22 giugno 1944), che hanno avuto il loro riferimento nel Mausoleo costruito sul luogo stesso del massacro compiuto dalle truppe tedesche: spietata rappresaglia per quanto avvenuto due giorni prima quando nell’allora bar Nafissi di corso Garibaldi venne ucciso un ufficiale medico tedesco e ferito un altro militare.

La cerimonia, coordinata dal presidente dell’Associazione famiglie 40 Martiri, Marcello Rogari – presenti il sindaco Filippo Stirati, la presidente della Regione Catiuscia Marini, il vicario vescovile mons. Fausto Panfili, rappresentanti delle forze armate, dei Comuni del comprensorio, delle associazioni d’arma e combattentistiche -, nella parte iniziale ha avuto i giovani come protagonisti.

Dapprima il Consiglio comunale dei ragazzi ha depositato mazzi di fiori sul muro della fucilazione; quindi gli allievi e allieve della V B delle elementari di via Perugina (insegnante Roberta Lattuada) hanno recitato e cantato la poesia Quaranta rose bianche, opera di Tonino Menichetti, messa in musica da Nicola Conci.

Subito dopo, gli interventi delle autorità. Rogari ha indicato nella “cultura della memoria l’anticorpo della violenza”, mentre il sindaco Stirati ha definito la “vicenda dei 40 Martiri parte costitutiva di un patrimonio da trasferire alle nuove generazioni”. “Sono trascorsi 71 anni da quel terribile 22 giugno – ha esordito la Marini -, ma il ricordo di quella strage è ancora forte e indelebile nella coscienza civile di tutti noi, consapevoli che proprio il sacrificio di queste vittime innocenti ha consentito la nascita della Repubblica italiana e l’affermazione di princìpi fondamentali della nostra democrazia, come pace e libertà.

L'omaggio floreale
L’omaggio floreale

Princìpi che soprattutto oggi, quando in diverse parti del mondo e della nostra Europa soffiano venti di guerre e violenza e si affermano culture basate su odio, razzismo e discriminazione, assumono una ancor più forte attualità”.

Tra i presenti Antonio Marionni, all’epoca giovane seminarista che fece da interprete al vescovo Ubaldi, il quale aveva provato in tutti i modi a scongiurare l’eccidio, arrivando a offrire la sua vita in cambio di quella degli ostaggi.

 LE VITTIME

G iuseppe Allegrucci, Carlo Baldelli, Virgilio Baldonio, Sante Bartolini, Enea Battaglini, Ferdinando e Francesco Bedini, Ubaldo Bellucci, Cesare, Enrico e Giuseppe Cacciamani, Gino Farabi, Alberto Felizianetti, Francesco Gaggioli, Miranda e Zelinda Ghigi, Alessandro Lisarelli, Raffaele Marchegiani, Ubaldo Mariotti, Innocenzo Migliarini, Guerrino e Luigi Minelli, Franco e Luigi Moretti, Gustavo Pannacci, Marino Paoletti, Attilio Piccotti, Francesco Pierotti, Guido Profili, Raffaele Rampini, Nazzareno Rogari, Gastone Romanelli, Vittorio Roncigli, Luciano Roselli, Domenico e Francesco Rossi, Enrico Scarabotta, Giacomo Sollevanti, Luigi Tomrelli, Giovanni Zizolfi.

 

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La grande tribolazione https://www.lavoce.it/la-grande-tribolazione/ Tue, 16 Jun 2015 14:58:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36015 Domenico-Cancian-incontroLa comunità tifernate si è fermata a riflettere e pregare sulla difficile situazione dei cristiani perseguitati nel mondo. L’occasione è stata quella dell’incontro di lunedì scorso presso la sala Santo Stefano del palazzo vescovile, che ha visto ospiti il vescovo mons. Domenico Cancian, Franco Ciliberti e Stefano Bravi.

L’iniziativa risponde all’invito rivolto dal Papa alla Chiesa locale a prendersi cura di ogni ferita come un “ospedale da campo”. Durante la serata si sono alternati momenti di preghiera, canti e riflessioni su un argomento di grande attualità, con un pregresso storico che lo vede da sempre sulla cresta del dibattito politico, culturale e interreligioso.

La Storia riporta una serie nutrita di eccidi e stragi che hanno avuto a oggetto i cristiani, laici e religiosi, nel corso degli ultimi duemila anni, fino ai giorni nostri, con un parallelismo che accomuna tra loro eventi lontani migliaia di anni e avvenuti in molte parti del mondo.

La minaccia alla libertà religiosa rappresenta una minaccia per tutti gli altri diritti civili; nasconde generalmente interessi politici e, ancor più spesso, economici. Da qui la necessità, ha detto Ciliberti , di tenere viva la memoria della figura dei martiri di tutti i tempi, anche se, ai nostri giorni, sembra che le coscienze si siano assopite, vittime del relativismo culturale.

Nella seconda riflessione, Bravi ha preso spunto dall’Apocalisse, là dove Giovanni parla di “quelli che vengono dalla grande tribolazione… Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”. Così i martiri perseguitati e uccisi per la loro fede sono testimonianza della resurrezione di Cristo e della salvezza dell’uomo.

A concludere la serata è stato il vescovo mons. Cancian che ha voluto affrontare l’argomento considerando come Gesù si sia relazionato con la violenza e la persecuzione dei suoi tempi. Ha citato le Beatitudini, indicando nei miti e misericordiosi coloro che hanno un atteggiamento positivo, coloro che non fanno del male, che non cedono all’istinto della violenza. Gesù chiama beati anche gli operatori di pace che si adoperano attivamente in tal senso e i perseguitati che, anche se vittime di violenza, considerano la loro persecuzione come fonte di beatitudine. “Gesù – dice mons. Cancian – è il Giusto per eccellenza, è perseguitato fino alla morte con grande accanimento soprattutto nei giorni della Passione. Ciò testimonia come il progetto di salvezza dell’uomo passi attraverso la persecuzione di Gesù”.

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Con negli occhi il dramma di Garissa https://www.lavoce.it/con-negli-occhi-il-dramma-di-garissa/ Fri, 10 Apr 2015 15:30:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31384 Il segretario della Cei mons. Galantino
Il segretario della Cei mons. Galantino

“Il mondo propone di imporsi a tutti i costi, di competere, di farsi valere… Ma i cristiani, per la grazia di Cristo morto e risorto, sono i germogli di un’altra umanità, nella quale cerchiamo di vivere al servizio gli uni degli altri, di non essere arroganti ma disponibili e rispettosi. Questa non è debolezza, ma vera forza! Chi porta dentro di sé la forza di Dio, il suo amore e la sua giustizia, non ha bisogno di usare violenza, ma parla e agisce con la forza della verità, della bellezza e dell’amore” (Messaggio pasquale, 5 aprile 2015).

All’indomani della Pasqua le parole di Francesco fotografano la condizione di un mondo che ha assistito attonito alla tragedia del campus universitario di Garissa con il martirio di 148 giovani cristiani.

L’appello del Papa non incita allo “scontro di civiltà” e neanche si adegua al mutismo e al linguaggio felpato delle diplomazie internazionali. Chiama per nome le cose senza incitare alla “guerra santa”, magari travestita da inconfessati interessi occidentali. Emerge così quella “differenza” del cristianesimo che è la via migliore di tutte e che probabilmente, a lungo andare, non può lasciare indifferente il nostro mondo, per quanto distratto e annoiato.

Ritrovare in mezzo alla barbarie di questi giorni la consapevolezza e l’orgoglio dell’identità cristiana, vuol dire riprendere l’iniziativa e stare al mondo senza rinunciare al proprio contributo di verità, di amore e di bellezza. Proprio questa è la “pretesa” dell’ormai prossimo Convegno ecclesiale nazionale di Firenze (9-13 novembre 2015) che intende ripresentare a tutti “il nuovo umanesimo in Gesù Cristo”. Non sarà una riflessione asettica su questa nostra condizione storica tormentata da nuovi fondamentalismi religiosi e da antichi fenomeni di ingiustizia, ma un’occasione per rileggere insieme l’ora presente e introdurvi “i germogli di un’altra umanità”.

La presenza del Papa al Convegno prevista per il 10 novembre, che comincerà la sua intensa giornata da Prato per poi giungere a Firenze, offre la cifra interpretativa più giusta: si vuol guardare “dal basso verso l’alto” la condizione umana di oggi, a partire da una città multiculturale e segnata dalla crisi. Lo sguardo rasoterra non significa abbandonare la pretesa di offrire al mondo il contributo della fede, ma sintonizzarsi adeguatamente sul concreto per poi essere aderenti nella proposta. Proprio l’ascolto del mondo contemporaneo, che rimanda all’atteggiamento né subalterno né aristocratico della Gaudium et Spes, è stata la sensibilità fin qui espressa nella preparazione all’appuntamento fiorentino, grazie alla relativa Traccia.

In essa sono state esemplificate cinque vie che intendono descrivere il percorso che attende la Chiesa italiana per essere dentro la società un elemento di sviluppo e di cambiamento dell’esistente. Dire “vie” evoca subito un approccio concreto ed esigente che non si accontenta di analisi sociologiche e si lascia sfidare dall’offrire soluzioni possibili e a portata di mano.

La prima è uscire, cioè decentrare il modo abituale di guardare alla realtà che ci colloca sempre al centro mentre le cose stanno diversamente. Questa via significa imparare a guardare le cose da vicino, senza frapporre i nostri pregiudizi consolidati e lasciandosi misurare dalla realtà che è sempre più stimolante delle nostre idee su di essa. Percorrere questa via vuol dire ritrovare il realismo che non ci consegna ad astratti principi e si lascia stanare dalla complessità di una cultura che annaspa, sotto l’impulso di una tecnica e di una economia che snaturano gli esseri umani.

Poi c’è la via dell’annunciare che indica la missione della Chiesa chiamata a dar voce al Vangelo di cui molti hanno perso il gusto, confondendolo con una delle morali e delle ideologie a disposizione nel mercato del sacro. Camminare su questa via significa riproporre il volto autentico di Dio come è testimoniato dalla vicenda di Gesù di Nazareth consentendo quella conoscenza di prima mano che sempre affascina e convince anche i più lontani. Come annota infatti, l’Evangelii Gaudium: “Tutta la vita di Gesù, il suo modo di trattare i poveri, i suoi gesti, la sua coerenza, la sua generosità quotidiana e semplice, e infine la sua dedizione totale tutto è prezioso e parla alla nostra vita personale. Ogni volta che si torna a scoprirlo, ci si convince che proprio questo è ciò di cui gli altri hanno bisogno…” (265).

Quindi c’è la via dell’abitare che tradisce la scelta di una condivisione non episodica o di facciata, ma una vera adesione alla serie dei problemi sul tappeto con l’impegno a porvi rimedio. Il cattolicesimo italiano si è sempre distinto per il suo carattere popolare, cioè di immersione dentro le fatiche e le sofferenze della gente. Questa strada va percorsa ancora grazie alla capacità della comunità cristiana di essere là dove molti se ne vanno, garantendo presidi di umanità e di socialità laddove anche le istituzioni tendono a battere in ritirata. Non sono solo le parrocchie sempre dislocate nei nuovi quartieri-dormitorio ad essere chiamate in causa, ma anche e ancor prima la capacità di pensare alla città. Ciò sarà possibile solo grazie a persone che facciano dell’impegno politico un’occasione di trasformazione al di là di facili populismi e di abituali conservatorismi.

Ancora la via dell’educare ci si para davanti a ritrovare la strada maestra di concentrarsi sulla formazione delle persone e delle coscienze prima e al di là di altri pur necessari investimenti. La qualità viene sempre prima della quantità e soltanto un’educazione che insegni a pensare criticamente ed offra un percorso di maturazione nei valori abilita ad un esercizio della libertà che resta la meta della vita umana, anche se spesso contraddetta da sempre nuove e sofisticate contraffazioni.

Infine ci si imbatte nella via del trasfigurare che svela una maniera di guardare alle cose che non è prigioniero dei dati di fatto e si lascia ispirare da un’altra percezione che fa vedere oltre le apparenze. Corollario di questa possibilità è un diverso rapporto con il tempo che va sottratto alla presa totalitaria del fare e va ricondotto nell’alveo del contemplare, non senza momenti di pausa e di interruzione del meccanismo della produzione che ci rende poi dei semplici consumatori a nostra volta. Da questo punto di vista la domenica appare come una battaglia di civiltà prima ancora che di spiritualità perché restituisce l’uomo alla sua nativa capacità di vivere per vivere e non semplicemente per lavorare.

Camminando si apre cammino! L’augurio è che incrociando le vie di Firenze sappiamo tornare ad interrogarci su ciò che ci rende più umani e così migliorare non solo noi stessi, ma perfino l’ambiente in cui siamo immersi. Tornando a “riveder le stelle” come suggerito dal poeta che ha immortalato quell’umanesimo concreto del suo tempo. Che spetta a noi oggi reinventare insieme.

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Martiri cristiani, tutti uguali e tutti diversi https://www.lavoce.it/martiri-cristiani-tutti-uguali-e-tutti-diversi/ Fri, 27 Mar 2015 14:36:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31131 Il discorso del card. Bagnasco al Consiglio permanente della Cei (vedi qui) parla con toni accorati delle vittime della violenza sfrenata e disumana contro i cristiani, ponendo molte domande che rimangono senza risposta, ma comunque “uccisi soltanto perché cristiani” secondo l’affermazione del Papa. Il giorno 24, nella Giornata della memoria dei martiri cristiani, abbiamo ricordato le persone che continuano a versare il sangue per il Vangelo in tante parti del mondo. La giornata, nata per ricordare l’assassinio del vescovo di El Salvador Oscar Romero, mentre stava celebrando la messa, è divenuta un’occasione per meditare e pregare per la Chiesa, per la sua fedeltà, il suo coraggio; perché i cristiani non si tirino indietro per paura e continuino a testimoniare la fede esponendosi di persona anche in situazioni di rischio. Leggo anche sui giornali di due preti arrestati in Cina mentre stavano celebrando la messa, con l’accusa di propaganda religiosa illecita. La “cristianofobia” d’altra parte si sta diffondendo perfino nelle nostre campagne (si veda la vicenda della benedizione della scuola di Sterpete). Riflettendo sulla storia cristiana, spesso raccontata in termini unilateralmente superficiali e negativi, si constata che non si può più cominciare con “l’epoca delle persecuzioni e dei martiri” come in alcuni testi di storia antica, intendendo i primi tre secoli d.C., perché l’epoca di martiri è ininterrotta, con variazioni di quantità e di modi, ma sempre presente come un filo rosso che lega tra loro i secoli.

Uno sguardo sull’oggi ci fa notare che vengono presi di mira dai terroristi interi gruppi di persone che professano la fede cristiana. Ciò avviene in Paesi dove imperversano organizzazioni criminali che agiscono in nome di una religione e di un ideale politico-religioso da imporre con ogni mezzo. A questo genere di martiri che potremmo chiamare “anonimi” o di massa, nel senso che i loro nomi saranno ricordati solo da Dio, ve ne sono altri che sono stati presi di mira singolarmente per la loro fede, ma anche per la loro attività e per l’attrazione che esercitavano sull’ambiente circostante. Si pensi a don Santoro, ai monaci di Tibirine, sempre in Algeria, e a Pierre Claverie, di cui vorrei raccontare in breve la storia a quasi vent’anni dalla sua morte. Era stato consacrato vescovo a 43 anni e nominato per la sede di Orano, città della Algeria. È stato freddato, insieme al suo giovane autista musulmano, da uno o più feroci assassini il 1° agosto 1996. Aveva 58 anni. Era nato e vissuto in Algeria nei primi vent’anni della sua vita, aveva studiato in Francia e scelto la vita di consacrazione a Dio nell’Ordine domenicano. Una persona ben inserita tra la sua gente, non solo i cattolici ma tutte le persone del luogo. Basti dire che al suo funerale una giovane musulmana, Oum El Kheir, rese questa testimonianza: “Amici, devo confidarvi una cosa: il mio padre, fratello e amico Pierre mi ha insegnato ad amare l’islam, mi ha insegnato a essere musulmana amica dei cristiani d’Algeria. Ho imparato con Pierre che l’amicizia è prima di tutto fede in Dio, è amore, è solidarietà umana. Amici miei, oggi sono la vittima del terrorismo, della barbarie della vigliaccheria. Sono la figlia musulmana di Claverie”. Il Vescovo domenicano, a sua volta, aveva scritto un anno prima di morire: “La Chiesa non è al mondo per conquistare, e neppure per salvarsi insieme ai suoi beni. Essa è, con Gesù, legata all’umanità sofferente. Essa compie la sua missione e la sua vocazione quando è presente alle lacerazioni che crocifiggono l’umanità nella carne e nell’unità”. (Per saperne di più: J.J. Pérennès, Vescovo tra i musulmani. Pierre Claverie, martire in Algeria, Città nuova, 2004)

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“Nostri fratelli uccisi solo perché cristiani” https://www.lavoce.it/nostri-fratelli-uccisi-solo-perche-cristiani/ https://www.lavoce.it/nostri-fratelli-uccisi-solo-perche-cristiani/#comments Fri, 20 Mar 2015 14:16:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31021 Un inarrestabile attacco si dipana sotto i nostri occhi, rivolto contro i cristiani e contro quanto di “cristiano”, sia pure “anonimo”, esiste nel mondo. Colpisce in profondità la coscienza cristiana vedere croci divelte dalla sommità di chiese e campanili, sostituite dalla mezzaluna che somiglia alla spada di Maometto. In modo analogo è colpita la coscienza di ogni persona quando osserva la distruzione irosa e violenta di opere d’arte, frutto del genio umano e di antiche culture. Ma ancor più dolorosa la constatazione di tanti cristiani sottoposti a violenze e persecuzioni di ogni genere. L’ultima che ha fatto notizia è stata l’uccisione di cristiani a Lahore in Pakistan, con 15 morti e un’ottantina di feriti provocati da attentatori talebani suicidi, avvenuta in due chiese, una cattolica e una anglicana. Per questa strage il Papa all’Angelus di domenica 15 marzo ha chiesto la fine delle violenze nel Paese asiatico e in tutti i Paesi in cui i “cristiani sono perseguitati, i nostri fratelli versano il sangue soltanto perché cristiani”.

Questo, che è uno dei più recenti fatti tragici, si pone in linea con tanti altri che sono accaduti precedentemente in tante parti del mondo. Per dare qualche cifra – anche in vista della Giornata dei missionari martiri di cui si farà memoria il 24 marzo – si calcola che nel 2014 siano stati 4.344 i cristiani uccisi e oltre mille le chiese attaccate, soprattutto in Iraq e Siria, a opera del cosiddetto Stato islamico, e in Nigeria a opera di Boko haram. Nel 2012 i morti erano stati 1.021, e l’anno dopo 2.123 (fonti: Osservatore Romano e la protestante Open Doors). Oltre ai danni alle persone vittime di violenza, questi fatti danneggiano la causa della fede e della religione, che vengono viste come motivi di conflitto. Ciò provoca in alcuni intellettuali e correnti di pensiero la denuncia dell’uso e della presenza della religione nella sfera pubblica. Su Repubblica del 9 marzo, Flores D’Arcais chiedeva perentoriamente la cancellazione del nome di Dio dalla sfera pubblica per rendere possibile una società laica e democratica. Il ricorso al nome di Dio sarebbe incompatibile con la democrazia. Questo autore aveva già scritto cose simili, ad esempio, nel suo libro sulla morale senza Dio, pertanto non c’è da meravigliarsi di quanto affermi oggi. Ma l’idea di una religione sepolta nel silenzio intimo della persona singola sta avanzando nella mentalità collettiva.

È indubbio che i credenti non debbano cadere in una specie di sindrome da assedio. Però l’assedio c’è, e si deve reagire non abbandonando i valori che la fede ci offre, né seguendo l’esempio di chi – come Nichi Vendola che si sposa con il suo partner e si esibisce su tutti i media – persegue la cultura gender e propone un’antropologia sganciata da ogni norma superiore. Ma, in armonia con Papa Francesco, occorre rispondere con la misericordia, la testimonianza fedele, l’annuncio missionario tenace e coraggioso. Il card. Bassetti suggerisce anche di domandarsi che cosa voglia dire Dio al Suo popolo attraverso queste vicende, e quale significato abbiano i “segni dei tempi”, di cui era attento osservatore Giorgio La Pira. Il Cardinale ammonisce evocando la mano “sinistra” di Dio in azione nel nostro tempo, insieme alla mano destra, quella benedicente. Una domanda che è anche un esame di coscienza per tutti. I cristiani sono chiamati non a fare “crociate”, non a fuggire, e neppure a sfuggire alle più imbarazzanti domande, ma a cercare luce nel Vangelo – “Convertiti e credi al vangelo!” – e nell’insegnamento della Chiesa. Indirizzando così la vita sulla via dello Spirito, eliminando dalla Chiesa e dalla società occidentale – ufficialmente costituita da una maggioranza di battezzati, divenuta invece cinica e confusa, rinnegando sempre più diffusamente le sue radici cristiane – la lebbra distruttiva della corruzione, che scandalizza e deprime la speranza degli umili e dei timorati di Dio. Appena finito di scrivere queste righe ci arriva la notizia della strage di almeno 24 persone morte in un attentato al museo di Tunisi.

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Francesco e Assisi, incrocio di tante vie e luoghi francescani in Umbria https://www.lavoce.it/francesco-e-assisi-incrocio-di-tante-vie-e-luoghi-francescani-in-umbria/ Fri, 03 Oct 2014 11:45:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28280 Convento-di-Sant'Angelo-in-Pantanelli
Sant’Angelo in Pantanelli

L’attenzione è concentrata su Francesco d’Assisi e la sua città, ma questo può diventare fuorviante perché egli ha avuto un passato, un presente e anche un futuro. Un passato ben testimoniato ad esempio dal ricco patrimonio monastico, con la sua spiritualità, monumenti e cultura, ma anche la sua famiglia di origine rappresentata dal mercante Pietro di Bernardone che fu padre non solo del più famoso Francesco, ma anche di Angelo il quale ebbe a sua volta figli e quindi una discendenza. Un presente rappresentato non solo dal vescovo Guido o da Chiara, ma soprattutto dai fratelli che dal 1208 circa cominciarono a condividerne la vita secondo la forma del santo Vangelo e divennero l’inizio dell’Ordine dei frati minori. Tra essi emergono alcuni come frate Egidio d’Assisi, frate Elia, frate Leone, ma anche Giovanni da Pian del Carpine o Tommaso da Celano. Un futuro che si propagò in diversi rivoli e continua ancora oggi.

Quindi la vicenda di frate Francesco non è solipsistica, e similmente anche la sua città visse e vive in un incrocio di strade di cui Assisi diventa punto di arrivo o di partenza, e a volte più semplicemente di passaggio. Allora non risulta strano che la vicenda francescana sia più ampia del territorio assisano, e che coinvolga in una crescente apertura la Valle spoletana, l’Umbria, l’Appennino umbro-marchigiano e l’intera Penisola italica, giusto per non andare con gli esempi oltre le Alpi o le coste del Mediterraneo.

Posti poco noti

Solo fermandosi all’attuale regione Umbria, molti sono i luoghi che vantano la presenza di ricordi o tradizioni legate a san Francesco, a cui – come detto – vanno aggiunti i posti che conservano testimonianze della presenza francescana lungo i secoli. Enumerarli tutti, o anche solo i più rappresentativi sarebbe lungo; forse la cosa migliore è menzionarne alcuni meno conosciuti, seppur di notevole importanza.

Partendo dal territorio di Norcia, ben rappresentativo dell’eredità monastica benedettina, nella Valnerina si conserva il lebbrosario di San Lazzaro in Valloncello, frequentato da Francesco stesso e luogo privilegiato per ricordare quanto lui stesso nel Testamento, scritto nel 1226 poco prima di morire, definì come il momento del suo cambiamento di vita: “Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo”. Un vero peccato lo stato di abbandono in cui è lasciato, e il richiamo di Papa Francesco alla misericordia sarebbe una bella occasione per fare un restauro almeno della piccola chiesa!

Continuando la strada ecco che si giunge sotto la cascata delle Marmore che non solo ricorda il Cantico di frate sole in cui l’Assisiate canta: “Laudato si’, mi’ Signore, per sor’acqua, la quale è multo utile et humile e preziosa e casta”, ma anche il film Fratello sole, sorella luna con cui Franco Zeffirelli nel 1972 portò sul grande schermo l’inizio della vicenda francescana. Una delle scene più rappresentative, ossia la permanenza di Francesco con i lebbrosi così come l’inizio della vita penitenziale di Chiara, sono ambientate proprio sotto lo scrosciare dell’acqua del Velino che casca nel Nera. Anche questo ormai è traccia del francescanesimo che, dopo essere stato raffigurato da grandi pittori come Giotto, Cimabue e altri ancora, nella modernità ha attirato l’attenzione dell’arte cinematografica che gli ha dedicato ormai oltre una decina di film.

Giunti nella terra di Terni, la memoria va alla predicazione semplice e coinvolgente dell’Assisiate – tesa a sradicare i vizi e annunciare le virtù -, che proprio in questa parte dell’Umbria meridionale affascinò alcuni i quali lo seguirono nella vita evangelica. Una volta giunti alla Porziuncola e inviati in Marocco, testimonieranno la loro affezione a Cristo fino a morire per esso: saranno i primi Frati minori uccisi per la fede, come testimonia il santuario antoniano dei Protomartiri francescani di Terni che ne conserva le reliquie. Ma la loro testimonianza di sangue – che colpì fortemente il canonico agostiniano Fernando da Lisbona, tanto che abbracciò la vita minoritica divenendo Antonio di Padova – fu solo la prima, a cui ne seguirono tante altre tra cui, per rimanere solo in Umbria, san Massimiliano Kolbe ucciso nel Lager di Auschwitz, e che nell’estate del 1918 trascorse alcune settimane ad Amelia. Prima di lui nel luglio del 1900 in Cina furono uccisi il vescovo francescano mons. Antonino Fantosati da Trevi assieme a Maria della Pace, suora Missionaria Francescana di Maria che crebbe a Bolsena, nella diocesi di Orvieto, entrambi canonizzati nel 2000 da Giovanni Paolo II.

Jacopone e Angela

Risalendo da Orte lungo la valle del Tevere, ecco il convento di Sant’Angelo di Pantanelli dove, secondo la tradizione, frate Jacopone da Todi compose diverse laudi tra cui la famosa Stabat Mater. Montegiove è il paese d’origine della beata Angelina dei Conti di Marsciano che, lasciata la sua famiglia, si trasferì a Foligno dove precedentemente non solo Francesco di Pietro di Bernardone avrebbe venduto stoffe e cavallo, ma sant’Angela divenne riferimento per un vero e proprio cenacolo, tanto che la sua esperienza mistica si diffuse ben presto ed esercitò un influsso spirituale incisivo, come nel Brabante.

La vicenda francescana della beata Angelina dei Conti da Marsciano la si coglie nel monastero di Sant’Anna di Foligno in cui, tra l’annessa casa-bottega dell’Alunno e i numerosi dipinti, si può vedere una bella raffigurazione di Maria con la sorella Marta dedita alla cucina, testimonianza di quell’alternanza di vita attiva e contemplativa che caratterizzò l’esperienza cristiana di Francesco d’Assisi e che fu recuperata dall’Osservanza minoritica che ebbe inizio proprio a Foligno con frate Paoluccio.

I luoghi e le testimonianze francescane di Spello, Assisi, Perugia e Gubbio sono abbastanza conosciute; non altrettanto forse la presenza a Città di Castello di santa Veronica Giuliani, rappresentante non solo della mistica cappuccina, ma anche di quel mondo spirituale tanto particolare quanto ricco che è quello dell’epoca barocca. E pensare che, secondo quanto scrisse più volte lei stessa nel voluminoso Diario, tutto cominciò mentre da piccola coglieva i fiori in giardino e le si presentò Gesù bambino dicendogli che lui era il fiore più bello: da quell’incontro ebbe origine un’affezione per il Signore che l’accompagnerà per tutta la vita.

Molti altri posti si potrebbero aggiungere, ma anche solo questi bastano a testimoniare che l’Umbria è una terra particolare segnata da san Benedetto e altri; da cui frate Francesco attinse, ma anche donò un’autentica testimonianza di vita secondo il Vangelo.

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L’attualità di Francesco in un mondo in guerra https://www.lavoce.it/lattualita-di-francesco-in-un-mondo-in-guerra/ Thu, 02 Oct 2014 18:02:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28271 Settantacinque anni fa san Francesco veniva proclamato patrono d’Italia da Pio XII, insieme a santa Caterina da Siena. Era un periodo in cui il regime fascista aveva ottenuto grandi consensi; quella scelta era segno di una nazione pacifica e serena, che nel Santo di Assisi pensava di potersi rispecchiare in quanto, come fu detto, san Francesco “è il più santo degli italiani e il più italiano tra i santi”. Quest’ultima notazione si poteva riferire – più che allo spirito francescano, così distante dallo spirito del regime – agli scritti di Francesco, che costituiscono esempi originari della nascente lingua italiana, si pensi soprattutto al Cantico delle creature. Negli anni successivi, fino a oggi, la devozione o la stima anche da parte di non cristiani e non credenti sono andate crescendo. I motivi sono diversi, e l’attuale Pontefice li ha riassunti nel momento in cui, in maniera sorprendente – qualche protestante ha detto perfino “provocatoria” – ha scelto di chiamarsi Francesco. Tra i motivi della scelta papale e della crescente fama del Santo (non amo chiamarlo “il Poverello”, essendo un gigante della storia) è l’aspetto della pace, sia per le parole del saluto “pace e bene” da lui utilizzato, sia per l’esempio della sua vita, e in particolare perché in tempo di Crociata si recò, non per caso ma per sua precisa volontà, a parlare con il sultano d’Egitto Melek al-Kamel. Questa storia è nota, credo, a tutti, e non è il caso di raccontarla nei dettagli. Ma il suo significato è quanto mai chiaro in quel contesto: siamo alla quinta Crociata in atto, e Francesco, disarmato messaggero di Cristo, va dal nemico in guerra (si capisce perché i musulmani definiscano “Crociata” ogni azione dell’Occidente contro un Paese a maggioranza islamica) e pensa di convertirlo. L’incontro andò bene… il Sultano non si convertì, ma i due strinsero amicizia e Francesco ebbe dei regali come pegno di pace.

Rileggere e ripensare questa storia oggi, quando in nome di Allah una rilevante corrente politico-religiosa del mondo musulmano giura di voler distruggere gli infedeli dell’Occidente, suscita una serie di interrogativi (non si parla degli “infedeli” dell’Oriente, indiani e cinesi, che sarebbero i veri infedeli secondo l’islam, mentre i cristiani dovrebbero essere considerati con un certo rispetto in quanto “uomini del Libro”, i seguaci di un Profeta considerato tale dal Corano, e figlio di una Vergine). Ma chi sono questi, che vogliono issare bandiere nere sulla Casa bianca e arrivare a Roma, questi tagliatori di teste che non hanno paura di uccidere perché – dicono – è un modo per dare gloria ad Allah, e neppure di morire, perché andrebbero sicuri in paradiso come martiri della causa di Dio? In quale abisso di ignoranza e barbarie sono immerse le loro menti farneticanti? Di chi sono figli? In quale scuola si sono formati? Chi li finanzia? Chi chiude gli occhi di fronte ai loro massacri di popolazioni cristiane? Il grande mondo musulmano pare che cominci a rispondere ad alcune di queste domande e a prendere le distanze da questi folli che distruggono non solo le chiese ma anche le moschee che ritengono eretiche, cioè non allineate con la loro strategia politica.

Per parte nostra, facciamo bene a celebrare il Patrono d’Italia con solennità e a stringerci con viva partecipazione alla grande famiglia francescana che ha il suo centro e il suo punto di riferimento nella nostra regione Umbria. Fa bene il presidente Matteo Renzi a sintonizzare la sua chiamata al risveglio per un’Italia stanca e sfiduciata con il messaggio di letizia e speranza per tutti. Rimanendo tuttavia pronti e prudenti nell’operare realisticamente per la pace nel mondo. Non sarà fuori luogo, infatti, ricordare che dopo la visita al Sultano avvenuta nel 1219 vi fu, un anno dopo, un triste seguito nella vicenda dei cinque frati francescani decapitati a Marrakesh (Marocco) nel 1220. Martiri della pace predicata secondo il Vangelo di Gesù Cristo.

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Testimoni di Cristo a caro prezzo https://www.lavoce.it/testimoni-di-cristo-a-caro-prezzo/ Thu, 18 Sep 2014 13:15:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28015 TuziaMeglio morire che convertirci, affermano decisi i cristiani iracheni. Considerano un ‘traditore’ chi, per salvare la vita o anche solo per non perdere soldi e proprietà, ha pronunciato la dichiarazione di conversione all’islam. E dimostrano una fede, e una determinazione nel mantenerla, che per noi europei, figli della secolarizzazione, può sembrare una cosa del passato, superata, memoria di tempi antichi”. È soltanto una delle numerose testimonianze che i giornali hanno riferito nei giorni scorsi circa i terribili massacri che hanno investito i credenti in Gesù.“Non possiamo vivere senza Cristo – affermano. – A tutto possiamo rinunciare, ma non a Lui. La fede in Lui vale più della vita stessa, perché una vita senza Cristo è vuota e senza senso”. Sono ritornati i martiri. Nel Novecento, come anche in questo secolo agli inizi, abbiamo assistito e assistiamo a una nuova ondata di martiri, quale non si era registrata a partire dal IV secolo.

Il martirio ha di nuovo oggi la sua epifania tramite “testimoni” eloquenti, conosciuti, ma anche tramite “militi ignoti della grande causa di Dio”. In quest’ora in cui viene enfatizzata una evangelizzazione o una “nuova” evangelizzazione, è giunto il momento di guardare al martirio, autentica ed efficace evangelizzazione fatta da uomini e donne che mostrano che vale la pena vivere e morire per Cristo, il Signore e Salvatore, risorto vincitore della morte per sempre. Forse molti cristiani “normali” possono sentirsi quasi ‘declassati’, non potendo dare una testimonianza pari a quella dei martiri. Ci domandiamo: oggi esistono situazioni che richiedono a noi il martirio? E quale martirio/testimonianza? Si è parlato, accanto al martirio “rosso”, di sangue, di un martirio “bianco”. Ascoltiamo la riflessione di mons. Pierre Claverie, vescovo di Orano (Algeria), ucciso il 1° agosto 1996: “Il martirio ‘bianco’ è ciò che si cerca di vivere giorno per giorno, ossia il dono della vita a goccia a goccia in uno sguardo, in una presenza, in un sorriso, in un’attenzione, un servizio, un lavoro, in tutto quello che fa sì che la vita che ci anima venga condivisa, donata, consegnata.

Esodo di Cristiani perseguitati dall’Iraq
Esodo di Cristiani perseguitati dall’Iraq

È là che disponibilità e abbandono diventano martirio; l’importante è non tenere per sé la vita… vivere così ha un significato eminentemente eucaristico, un’eucaristia vissuta come vita che si dona. L’eucaristia siamo noi, e si rinnova solo se Gesù rinnova oggi in noi l’offerta della sua vita”. Risuonano attuali anche le parole di Ilario di Poitiers, vescovo dopo la svolta costantiniana: “Oggi dobbiamo combattere contro un persecutore ancora più insidioso, un nemico che lusinga… non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro”. Il nostro è il tempo della resistenza allo spirito mondano per vivere secondo il Vangelo. La silenziosa fedeltà di ogni giorno al Vangelo, andando controcorrente, non è forse una forma di autentico e alto martirio? Consacrati alla testimonianza, forse noi non moriremo di martirio “rosso”, ma di quello legato alla sofferenza che proviene dal fatto di non riuscire a essere testimoni. Scorrono davanti ai miei occhi i volti sorridenti di numerosi ragazzi che si presentano al vescovo per confermare la propria fede e poi testimoniarla nella vita. Ma sono in grado, i nostri cresimandi, di vivere questo impegno? Forse potrebbero obiettare, a me Pastore, ai genitori e ai catechisti: “Siate anzitutto voi stessi quello che ci insegnate”. Comunque voi, cari ragazzi, sarete potenti con la forza che lo Spirito di Gesù metterà nei vostri cuori, se li aprirete a Lui.

In questa direzione va l’invito di Papa Francesco: “Rimanete saldi nel cammino della fede, con la ferma speranza nel Signore. Qui sta il segreto del nostro cammino! Lui ci dà il coraggio di andare controcorrente. Sentite bene, giovani: andare controcorrente, questo fa bene al cuore, ma ci vuole il coraggio per andare controcorrente, e Lui ci dà questo coraggio! Non ci sono difficoltà, tribolazioni, incomprensioni che ci devono far paura se rimaniamo uniti a Dio come i tralci sono uniti alla vite”.

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Cristiani perseguitati. La Chiesa prega per rompere il muro dell’indifferenza https://www.lavoce.it/rompiamo-il-muro-dellindifferenza/ Thu, 07 Aug 2014 12:55:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27479 Distruzione e morte dopo un attentato kamikaze in una chiesa a Peshawar
Distruzione e morte dopo un attentato kamikaze in una chiesa a Peshawar

Una giornata di preghiera, il 15 agosto, e un forte invito a rompere il muro dell’indifferenza. Sono le richieste contenute nel recente messaggio della Presidenza della Conferenza episcopale italiana dal titolo Noi non possiamo tacere. La continua e sistematica strage di cristiani dovrà finalmente spingere il mondo occidentale a una convinta presa di posizione.

Perché occuparsi dei cristiani perseguitati? La Scrittura insegna che tutti coloro che sono stati battezzati sono tra loro uniti, formando un unico Corpo. L’apostolo Paolo afferma: “Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo” (1Cor 12,12 -13). Da questo deriva che nessuno può disinteressarsi degli altri. Anzi, “se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme” (12,26).

Davanti alle notizie che ci giungono sul martirio dei cristiani – notizie talvolta poche e sommerse da altre meno importanti – ci si sente colpiti dentro. Quei cristiani le cui case sono state marchiate con l’iniziale del Nazareno, quei cristiani scacciati dalla loro terra, vessati, umiliati e barbaramente uccisi, quei cristiani si sente che ci appartengono, sono parte di noi, sono come noi. La loro sofferenza diventa la nostra, anche se in noi certamente meno forte e devastante. Non è semplice solidarietà, come si può provare nei confronti di coloro che hanno i medesimi nostri ideali, è qualcosa di più. Abbiamo la stessa carne, formiamo insieme il Corpo mistico di Cristo, così le loro ferite sanguinano in tutti.

Questo sguardo permette di intravvedere una realtà tanto misteriosa quanto reale e viva. Per analogia al corpo, le membra posso aiutarsi le une le altre. Questo attesta la consolante verità di fede della Comunione dei santi: tutti i fedeli, in forza del battesimo, sono uniti tra loro e con Cristo, da cui ricevono energia e vita. Così, il bene compiuto da qualcuno – nell’ordine della grazia – va a vantaggio di tutti e la preghiera di intercessione degli uni diviene efficace per gli altri.

In quest’ottica i Vescovi italiani, di fronte alla persecuzione dei cristiani, indicono una giornata di preghiera nazionale. Invitano a pregare affinché gli oppressori desistano, ma anche perché i fratelli e lo sorelle che soffrono a motivo della loro fedeltà a Cristo siano sostenuti con la grazia di Cristo, che come vita corre nel corpo o come linfa scorre dalla vite ai tralci. Questo è un primo e forte motivo per cui i cristiani non possono disinteressarsi dei fratelli nella persecuzione.

Ma c’è ne è un altro di ordine culturale, che deve riguardare tutti gli uomini di buona volontà. Il mondo contemporaneo è giustamente sensibile nei confronti della libertà. I diversi totalitarismi che hanno soffocato l’Europa nel secolo scorso hanno avuto come reazione convinta l’affermazione della libertà nell’esprimere le proprie convinzioni, a cominciare da quelle religiose. La Chiesa cattolica ha offerto nel Concilio Vaticano II un’importante Dichiarazione sul tema della libertà religiosa, affermando che essa affonda le sue radici direttamente nella stessa dignità umana.

Affermare il contrario significa lasciare il predominio alla forza e al sopruso. Ecco perché l’Europa non può continuare a essere – scrivono i Vescovi italiani – “distratta ed indifferente, cieca e muta davanti alle persecuzioni di cui oggi sono vittime centinaia di migliaia di cristiani”. Per l’Europa, distruggere il cristianesimo vuole anche dire, demolire la casa in cui è nata.

 

Preghiera per il 15 agosto

La Cei ha predisposto una Monizione iniziale e una Preghiera dei fedeli da recitare il 15 agosto per i cristiani perseguitati. La preghiera dei fedeli si apre con le parole: “Maria, Madre del Signore, è segno splendente sul cammino del popolo di Dio, figura di un’umanità nuova e fraterna. Chiediamo a lei, Regina della pace, di intercedere perché, nei Paesi devastati da varie forme di conflitti e dove i cristiani sono perseguitati a causa della loro fede, la forza dello Spirito di Dio riporti alla ragione chi è irriducibile, faccia cadere le armi dalle mani dei violenti, e ridoni fiducia a chi è tentato di cedere allo sconforto”.

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Uno sguardo al passato e all’oggi https://www.lavoce.it/uno-sguardo-al-passato-e-alloggi/ Thu, 26 Jun 2014 16:40:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25874 catacomba di Santa Cristina -Bolsena
catacomba di Santa Cristina -Bolsena

Si parla spesso di passaggio cruciale che la Chiesa nel suo insieme sta vivendo. Qualcuno fa notare, giustamente, che la Chiesa non ha mai smesso di passare da una situazione all’altra.

La Chiesa sta dentro la storia e ne subisce i contraccolpi. È un fatto chiaro che tutta la “struttura” attuale non è possibile gestirla come sempre abbiamo fatto. Vivendo in un’epoca di passaggio, ci troviamo di fronte a tante problematiche pastorali, strutturali e organizzative. Non navighiamo nel buio, perché il Signore ci invia dei segni che dobbiamo saper interpretare per percorrere nuove vie.

Una diocesi, pur nella pienezza del suo essere Chiesa, non è una monade ma vive nella Chiesa universale, ed è inserita nella dimensione regionale e nazionale, dove le problematiche sono simili ad altre Chiese. Gesù nel Vangelo di Matteo ci dice che “ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e antiche”.

Dobbiamo saper attingere, da questo grande tesoro, quanto è necessario per la causa di Cristo per il tempo di oggi. Facile a dirsi, difficile da realizzare. Sicuramente, con la lamentela che i tempi sono cattivi e il passato era tutto rose e fiori, non andiamo da nessuna parte.

L’inizio del cristianesimo nel nostro territorio avvenne tra grandi tribolazioni. Ignoriamo i successi pastorali del vescovo san Terenziano quando il 1° settembre di un anno sconosciuto del II secolo fu trascinato fuori dalle mura della pagana Tuder e decapitato. Sicuramente i pochi credenti avranno pensato alla fine di tutto, della loro esperienza di fede, della loro vita comunitaria…

Oppure a Volsinii – l’attuale Bolsena – centro dell’antico culto della dea Norzia, divinità della fortuna e del destino, che speranza poteva avere la comunità cristiana quando Urbano, l’orgoglioso e snaturato padre di santa Cristina, fece uccidere la figlia perché cristiana? Gli inizi furono tragici, occorre sfrondare il mito nato dopo questi eventi e rapportarsi alla realtà dei fatti. Guardare alle origini del fatto cristiano, ma non per celebrare un’età dell’oro che mai è esistita (nella Chiesa delle origini si celebrano i martiri, ma sappiamo che vi furono molti lapsi che crearono seri problemi riguardo alla loro riammissione nella comunità, terminata l’ondata persecutoria).

All’inizio, il contatto con la città di Roma, reso agevole dal sistema viario che attraversava la nostra regione, ha permesso ad alcuni di incontrare la fede cristiana: prima è nata la fede in Gesù e poi sono seguite le strutture. Ci sono voluti i secoli per penetrare nel mondo pagano.

Nei primi decenni del IV secolo il noto “rescritto di Spello” ci evidenzia come sussistesse un forte legame con il paganesimo, nonostante la politica filo-cristiana dell’imperatore Costantino.

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