Cardinale Carlo Maria Martini Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/martini/ Settimanale di informazione regionale Thu, 20 Dec 2018 16:50:11 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Cardinale Carlo Maria Martini Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/martini/ 32 32 Quel campo di lavoro https://www.lavoce.it/quel-campo-lavoro/ Tue, 25 Dec 2018 08:00:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53706 logo abat jour, rubrica settimanale

di Angelo M. Fanucci

Quando, nel 1979, Giovanni Paolo II lo nominò arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, rettore dell’Istituto Biblico di Roma, volle prepararsi all’ufficializzazione della sua nomina non con la tradizionale settimana di esercizi spirituali, ma partecipando per una settimana a uno dei campi di lavoro con i quali tantissimi giovani, italiani, belgi, francesi… rendevano abitabile la vetusta villa Piccolomini di Capodarco di Fermo, divenuta Casa Papa Giovanni, la prima delle Comunità di Capodarco.

Forse ospite di un conventino fuori mano, dal lunedì al sabato, ogni mattina alle 8 si presentò a Casa Papa Giovanni e si mise a disposizione della Comunità. Si qualificò come “fratel Carlo”.

Dapprima, lui così fisicamente imponente, fu assegnato come manovale al muratore, Antonio, un quintale di muscoli e mezzo quintale di grasso, cinturone a mo’ di sottopanza. Che lo licenziò entro il primo quarto d’ora: “Ma che ci faccio con questo mollaccione?! Ma non vedete che c’ha le mani da pianista?!”.

Via, in cucina, a pelare patate! I campisti erano molti, più di cento, e tutti dotati di appetito robusto. E lui pelò patate per tutti, per giorni interi. Calmo, paziente, sempre con il sorriso sulle labbra. A lavorare fianco a fianco con lui in cucina c’era Rosaria Pugliese, una ragazza bruttina e cecuziente, che ogni tanto soffriva di forti morsi di epilessia. Qualche tempo dopo la poverina sarebbe deceduta, cadendo da una finestra, per uno di quei morsi.

Gomito a gomito, parlarono a lungo, Rosaria e fratel Carlo. Lui, dottissimo preside dell’Istituto Biblico. Lei, trentenne fresca di bocciatura agli esami di terza media (alla domanda: “Chi sono i nomadi?” aveva risposto: “Un complesso”. Bocciata). Ma adesso Rosaria scriveva poesie per fratel Carlo. “Poesie”: dopo avere condecentemente maltrattato la lingua italiana, andava a capo ogni tanto. E fratel Carlo le regalerà, con tanto di dedica, la prima copia di una monumentale edizione della Bibbia edita a sua cura.

La domenica fratel Carlo partecipa alla messa della Comunità. In fondo. In silenzio. All’omelia don Vinicio commenta il Vangelo e invita i presenti a dire la loro. “E… fratel Carlo non ha qualcosa da dirci?”. Lui si schermisce, Vinicio insiste.

Cercò di... volare basso, non ci riuscì. Come chiedere a Leonardo: “Mi fai uno scarabocchio, per favore?”. Finita la messa, lo strinsero all’angolo. Chi sei? E lui svelò la propria identità. Salutò. “Domani parto. Sono stato molto bene con voi”. Pochi giorni dopo uscì la sua sua nomina ad arcivescovo di Milano. Rosaria batteva le mani come una pazza.

Questo è uno dei tanti episodi che gremiscono il libro che sto per pubblicare, Non per loro ma con loro. Una vita così così, la mia. Ma il ricavato del libro va a beneficio della Finca Cjudad de Gubio, che a Lita, in Ecuador, accoglie quelli che furono vent’anni fa bambini abbandonati in strada, e oggi lavorano per il futuro proprio e di altri bambini abbandonati.

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di Angelo M. Fanucci

Quando, nel 1979, Giovanni Paolo II lo nominò arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, rettore dell’Istituto Biblico di Roma, volle prepararsi all’ufficializzazione della sua nomina non con la tradizionale settimana di esercizi spirituali, ma partecipando per una settimana a uno dei campi di lavoro con i quali tantissimi giovani, italiani, belgi, francesi… rendevano abitabile la vetusta villa Piccolomini di Capodarco di Fermo, divenuta Casa Papa Giovanni, la prima delle Comunità di Capodarco.

Forse ospite di un conventino fuori mano, dal lunedì al sabato, ogni mattina alle 8 si presentò a Casa Papa Giovanni e si mise a disposizione della Comunità. Si qualificò come “fratel Carlo”.

Dapprima, lui così fisicamente imponente, fu assegnato come manovale al muratore, Antonio, un quintale di muscoli e mezzo quintale di grasso, cinturone a mo’ di sottopanza. Che lo licenziò entro il primo quarto d’ora: “Ma che ci faccio con questo mollaccione?! Ma non vedete che c’ha le mani da pianista?!”.

Via, in cucina, a pelare patate! I campisti erano molti, più di cento, e tutti dotati di appetito robusto. E lui pelò patate per tutti, per giorni interi. Calmo, paziente, sempre con il sorriso sulle labbra. A lavorare fianco a fianco con lui in cucina c’era Rosaria Pugliese, una ragazza bruttina e cecuziente, che ogni tanto soffriva di forti morsi di epilessia. Qualche tempo dopo la poverina sarebbe deceduta, cadendo da una finestra, per uno di quei morsi.

Gomito a gomito, parlarono a lungo, Rosaria e fratel Carlo. Lui, dottissimo preside dell’Istituto Biblico. Lei, trentenne fresca di bocciatura agli esami di terza media (alla domanda: “Chi sono i nomadi?” aveva risposto: “Un complesso”. Bocciata). Ma adesso Rosaria scriveva poesie per fratel Carlo. “Poesie”: dopo avere condecentemente maltrattato la lingua italiana, andava a capo ogni tanto. E fratel Carlo le regalerà, con tanto di dedica, la prima copia di una monumentale edizione della Bibbia edita a sua cura.

La domenica fratel Carlo partecipa alla messa della Comunità. In fondo. In silenzio. All’omelia don Vinicio commenta il Vangelo e invita i presenti a dire la loro. “E… fratel Carlo non ha qualcosa da dirci?”. Lui si schermisce, Vinicio insiste.

Cercò di... volare basso, non ci riuscì. Come chiedere a Leonardo: “Mi fai uno scarabocchio, per favore?”. Finita la messa, lo strinsero all’angolo. Chi sei? E lui svelò la propria identità. Salutò. “Domani parto. Sono stato molto bene con voi”. Pochi giorni dopo uscì la sua sua nomina ad arcivescovo di Milano. Rosaria batteva le mani come una pazza.

Questo è uno dei tanti episodi che gremiscono il libro che sto per pubblicare, Non per loro ma con loro. Una vita così così, la mia. Ma il ricavato del libro va a beneficio della Finca Cjudad de Gubio, che a Lita, in Ecuador, accoglie quelli che furono vent’anni fa bambini abbandonati in strada, e oggi lavorano per il futuro proprio e di altri bambini abbandonati.

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Mattinata di emozioni per il cardinale Gualtiero Bassetti https://www.lavoce.it/mattinata-di-emozioni-per-il-cardinale-gualtiero-bassetti/ Sat, 22 Feb 2014 12:39:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22522 bassetti_cardinale_concistoro-3648
Foto Andrea Coli

22/02/2014 – Il Cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve ha trovato i seminaristi del Seminario regionale umbro ad accoglierlo quando è uscito, vestito da cardinale, dalla Basilica di San Pietro al termine del rito in cui è stato creato cardinale da Papa Francesco.

Gualtiero Bassetti è ora arciprete della Chiesa di Roma e gli è stata assegnata la chiesa di Santa Cecilia, una assegnazione che lo ha reso particolarmente lieto poichè è la  chiesa che visitò da giovane seminarista nel primo primo viaggio a Roma e è stata la chiesa titolare del Cardinale Carlo Maria Martini.

Era ancora emozionato e alla vista dei seminaristi si è commosso. Li ha salutati uno ad uno e poi è andato a pranzo dando appuntamento ai fedeli della sua diocesi nella chiesa di San Gregorio, alle 15. La liturgia è stata seguita dalla piazza dalla maggior parte dei fedeli della diocesi che non sono potuti entrare in basilica. Un fatto imprevisto che ha amareggiato anche gli organizzatori.

In San Pietro per il Concistoro c’erano anche la Presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini e il sindaco di Perugia Wladimiro Boccali, l’arcivescovo di Spoleto – Norcia mons. Renato Boccardo, il vescovo di Gubbio mons. Mario Ceccobellie l’emerito mons. Pietro Bottaccioli.

L’appunamento che costituisce un’ecezione rispetto alla prassi della giornata di Concistoro, quello nella chiesa di San Gregorio, alle ore 15 prima delle Visite di cortesia, consentirà a tutti di salutare il proprio vescovo cardinale.

Ecco l’elenco dei nuovi cardinali con il Titolo o Diaconia assegnati da Papa Francesco a ciascuno dei nuovi cardinali.

1. Cardinale Pietro PAROLIN, Titolo dei Santi Simone e Giuda Taddeo a Torre Angela

2. Cardinale Lorenzo BALDISSERI, Diaconia di Sant’Anselmo all’Aventino

3. Cardinale Gerhard Ludwig MÜLLER, Diaconia di Sant’Agnese in Agone

4. Cardinale Beniamino STELLA, Diaconia dei Santi Cosma e Damiano

5. Cardinale Vincent Gerard NICHOLS, Titolo del Santissimo Redentore e Sant’Alfonso in via Merulana

6. Cardinale Leopoldo José BRENES SOLÓRZANO, Titolo di San Gioacchino ai Prati di Castello

7. Cardinale Gérald Cyprien LACROIX, I.S.P.X., Titolo di San Giuseppe all’Aurelio

8. Cardinale Jean-Pierre KUTWA, Titolo di Sant’Emerenziana a Tor Fiorenza

9. Cardinale Orani João TEMPESTA, O.Cist., Titolo di Santa Maria Madre della Provvidenza a Monte Verde

10. Cardinale Gualtiero BASSETTI, Titolo di Santa Cecilia

11. Cardinale Mario Aurelio POLI, Titolo di San Roberto Bellarmino

12. Cardinale Andrew YEOM SOO-JUNG, Titolo di San Crisogono

13. Cardinale Ricardo EZZATI ANDRELLO, S.D.B., Titolo del Santissimo Redentore a Valmelaina

14. Cardinale Philippe Nakellentuba OUÉDRAOGO, Titolo di Santa Maria Consolatrice al Tiburtino

15. Cardinale Orlando B. QUEVEDO, O.M.I., Titolo di Santa Maria «Regina Mundi» a Torre Spaccata

16. Cardinale Chibly LANGLOIS, Titolo di San Giacomo in Augusta

17. Cardinale Loris Francesco CAPOVILLA, Titolo di Santa Maria in Trastevere

18. Cardinale Fernando SEBASTIÁN AGUILAR, C.M.F., Titolo di Sant’Angela Merici

19. Cardinale Kelvin Edward FELIX, Titolo di Santa Maria della Salute a Primavalle.

 

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Le elevazioni mariane dei Laudesi umbri https://www.lavoce.it/le-elevazioni-mariane-dei-laudesi-umbri/ Thu, 06 Jun 2013 11:07:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=17155 La corale dei Laudesi Umbri
La corale dei Laudesi Umbri

A chiusura del ciclo dedicato alle elevazioni musicali in onore del mese mariano, il coro spoletino “Laudesi Umbri” ha espresso tutte le sue potenzialità in una delle più originali ed armoniose creazioni del barocco ligure: il santuario della Madonnetta a Genova. Il repertorio offerto all’ascolto nel giorno della Pentecoste ha spaziato dall’inno della città di Assisi Squilla!, al Cantico delle Creature, a Sia Laudato San Francesco in onore del Santo umbro, a pezzi mariani classici o di tradizione popolare.

Non poteva esserci chiusura migliore, dopo l’elevazione svoltasi nella splendida chiesa romanica dei Santi Felice e Mauro in Sant’Anatolia di Narco e nell’altrettanto suggestiva cornice della basilica papale di S. Maria degli Angeli.

È indubbio che il repertorio mariano è quanto di più coinvolgente ed anche, spesso, commovente, possa proporre la corale, anche perché il direttore, padre Antonio Giannoni, come ormai d’abitudine, alla fine di ognuna delle elevazioni, propone ai presenti di cantare un inno alla Madonna.

Nelle varie occasioni padre Giannoni, si è avvalso del supporto dei solisti Loretta Carlini, soprano, Patrizia Martiniani, contralto, Maurizio Verde, tenore, Gianni Annibali, tenore, Matteo Ferraldeschi, basso, Roberto Arelli, baritono. Il maestro Angelo Silvio Rosati, presenza ormai imprescindibile nel coro, lo ha sempre accompagnato all’organo e, in particolare, nel santuario della Madonnetta, ha espresso tutte le sue capacità e la sua pluriennale esperienza artistica esibendosi all’organo settecentesco facendo un “regalo” ulteriore ed inatteso ad un uditorio attento ed entusiasta.

Il giorno successivo, per una felice combinazione, il coro ha animato la liturgia della messa in onore della Pentecoste nella parrocchia di S. Nicola di Sestri Ponente.

La corale (oggi di 35 elementi) nasce più di 35 anni fa quando padre Antonio Giannoni dell’Ordine dei Frati Minori decide di fondarlo nella città di Spoleto e da allora i “Laudesi Umbri” hanno raggiunto traguardi ragguardevoli, acquisendo ampia notorietà ed alti livelli di preparazione.

Nata con intenti prettamente polifonici nel tempo ha avuto modo di esprimersi anche in contesti più vari, dal Medioevo alla musica contemporanea, sia in polifonia sia con accompagnamento. Numerose sono state infatti le rassegne, i concerti e i Festival a cui ha partecipato: non dimentichiamo i premi ricevuti sia al concorso polifonico di Arezzo sia al Torneo internazionale di musica che in diverse occasioni nella sua Spoleto, in collaborazione con il Festival dei Due Mondi, dove ha partecipato alla creazione menottiana dell’Ora Mistica, esibendosi nella chiesa di Sant’Eufemia, in alternanza ad altre realtà internazionali.

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Bassetti: “Mostriamo il volto amabile della Chiesa” https://www.lavoce.it/bassetti-mostriamo-il-volto-amabile-della-chiesa/ Thu, 21 Mar 2013 09:03:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=15705 Mons. Bassetti
Mons. Bassetti

Con la catechesi sulla Chiesa l’arcivescovo mons. Gualtiero Bassetti ha concluso le quattro catechesi proposte a tutta la diocesi per l’anno della fede, attraverso le quali ha voluto mettere a fuoco le fondamenta, i pilastri della fede cattolica.

Si è servito non di una fredda elencazione di principi dottrinali ma di testimoni che hanno segnato la sua vita personale.

Mons. Bassetti ha citato il cardinale Carlo Maria Martini che racconta dell’incontro con un gruppo di ragazzi che avevano studiato gli otto capitoli della Lumen Gentium del Concilio Vaticano II e che avevano sintetizzato in otto “Beatitudini della Chiesa”.

“Beata sei tu o Chiesa, perchè sei nostra, perchè sei popolo di Dio, perché sei gerarchia, per il tuo laicato, per la tua santità, per i tuoi religiosi e religiose, per il tuo destino eterno, per la tua madre Maria!”. A queste beatitudini, ha proseguito Bassetti, il Cardinale aggiungeva “Beata la Chiesa perché è povera dal momento che essa è tutta dono di Dio e di Cristo”.

Commentando il Credo in cui si afferma “credo la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica, ha citato il sacerdote e poeta fiorentino Davide Maria Turoldo, che Bassetti ha personalmente conosciuto giovane seminarista a Firenze, che ha efficacemente descritto la Chiesa come “il Cristo sparpagliato nel mondo”.

La Chiesa è santa “nonostante i peccati” ha detto mons. Bassetti che ha aggiunto “diciamo la verità, il moltiplicarsi dell’informazione intorno alla Chiesa non favorisce la nostra fiducia in lei, ma noi crediamo in una Chiesa dove c’è lo Spirito Santo”. Ha ricordato don Primo Mazzolari del quale oggi è in corso la causa di beatificazione, ma che fu contrastato dai suoi superiori che gli imposero di non scrivere più.

Mazzolari, ha detto mons. Bassetti, scriveva che “a volte vien voglia di lasciare la Chiesa ma poi cosa trovi? Invece di una ingiustiza ne trovi una moltitudine, ma nella Chiesa ho davanti a me il Vangelo e il volto misericordioso del Padre!”.

Sull’esempio dei santi, davanti alle difficoltà della vita mons. Bassetti ha invitato a “non essere profeti di sventura” ma a mostrare “il volto amabile della Chiesa” poiché “Cristo ama fin in fondo la Chiesa, perchè non dobbiamo amarla noi?”.

Tra i testimoni ha ricordato anche il nostro servo di Dio Vittorio Trancanelli, “animato dall’amore per Gesù e per la Chiesa”, nelle scelte della sua vita e nella decisione di costituire, insieme alla moglie e alcuni amici l’associazione “Alle querce di Mamre”.

Anche questa catechesi può essere riascoltata in pod cast su www.umbriaradio.it

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La Chiesa per Martini e Ratzinger https://www.lavoce.it/la-chiesa-per-martini-e-ratzinger/ Thu, 25 Oct 2012 11:49:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=13525
Il pubblico intervenuto all’incontro

Li hanno spesso presentati come contrapposti: uno come il panzekardinal e poi Papa conservatore che vorrebbe riportare indietro le lancette dell’orologio della storia, l’altro come l’eterno “papabile” progressista e profetico cardinale del dialogo. Eppure Joseph Ratzinger, oggi Benedetto XVI, e Carlo Maria Martini, l’arcivescovo emerito di Milano recentemente scomparso, pur provenendo da Paesi, ambienti, formazioni diverse, hanno in comune lo sguardo sulla società secolarizzata e la percezione delle necessità di ripresentare il Vangelo in modo umanamente convincente a chi oggi è nel dubbio o non crede. È quanto ha sostenuto il vaticanista de La Stampa Andrea Tornielli, autore della nuova biografia Carlo Maria Martini. Il profeta del dialogo (Piemme), al dibattito tenuto nella chiesa di San Cristoforo a Terni. Tornielli ha ricordato come Martini, ripercorrendo il filo rosso dei suoi famosi discorsi alla città di Milano, abbia affermato: “Oggi siamo in qualche modo una Chiesa minoritaria, ma se ci collochiamo bene nella società attuale possiamo essere fortemente lievito, fermento, sale, luce… Questa Chiesa si colloca in un complesso pluralistico, democratico, avendo qualcosa da dire di importante, di significativo, di serio, di convincente, di atteso. E lo dice volentieri”. Per Martini la nuova evangelizzazione è “urgente e indilazionabile” e consiste nel “curvarsi su quel ferito che è la nostra società occidentale, con tutte le sue miserie, fatiche e pesantezze, per trovare che cosa fare per essa con amore e umiltà”. Proprio Martini ha ricordato come una delle iniziative che più hanno caratterizzato il suo episcopato milanese, la “Cattedra dei non credenti”, gli sia stata ispirata da Ratzinger.

Alla fine degli anni Sessanta, il futuro cardinale gesuita si trovava in ritiro in una casa nella Selva Nera. “Ebbi tra le mani il testo tedesco della Introduzione al cristianesimo di Joseph Ratzinger… Ricordo il gusto con cui lessi quelle pagine. Mi aiutavano a chiarire le idee, a pacificare il cuore, a uscire dalla confusione. Fu in particolare da quella lettura che ritenni il tema del ‘forse è vero’ con cui si interroga l’incredulo, e che mi guidò poi per realizzare la Cattedra dei non credenti”. Ha aggiunto Tornielli: “C’è chi potrebbe pensare che questa prospettiva di dialogo, questa condivisione della fatica con l’incredulo, così vicina allo stile martiniano, sia lontana anni luce dal Ratzinger di oggi. Ma non è vero”. Il giornalista ha infatti ricordato un passaggio significativo del libro-intervista dell’allora cardinale Ratzinger, Dio e il mondo, uscito nel 2001: “La fede rimane un cammino. Durante tutto il corso della nostra vita rimane un cammino, e perciò la fede è sempre minacciata e in pericolo. Ed è anche salutare che si sottragga in questo modo al rischio di trasformarsi in ideologia manipolabile. Al rischio di indurirci e di renderci incapaci di condividere riflessioni e sofferenze con il fratello che dubita e si interroga. La fede può maturare solo nella misura in cui sopporti e si faccia carico, in ogni fase dell’esistenza, dell’angoscia e della forza dell’incredulità e l’attraversi infine fino a farsi di nuovo percorribile in una nuova epoca”. Alla luce di queste parole si comprende meglio il perché Benedetto XVI abbia voluto dar vita al “Cortile dei Gentili”, iniziativa affidata al Pontificio consiglio della cultura. Nelle encicliche del Papa e nei suoi discorsi è sottolineata più volte l’importanza della fede testimoniata, mettendo in guardia dal ridurla a schema, ideologia o morale.

 

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Il caso serio della fede https://www.lavoce.it/il-caso-serio-della-fede/ Thu, 11 Oct 2012 15:06:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=13336
“Ultima Cena”, affresco di Lippo Memmi, duomo di San Gimignano

Il caso serio della fede: Carlo Maria Martini, dieci anni fa, intitolava così un corso di esercizi spirituali ai presbiteri della Chiesa ambrosiana. Il Cardinale osservava che nel Vangelo secondo Giovanni troviamo il verbo “credere” e non il sostantivo “fede”. Ciò significa che l’apostolo-l’evangelista, più che teorizzare sulla fede, preferisce suggerire i sentieri, le luci, le fatiche, le gradualità del credere. Quello che avvenne nell’incontro di Gesù con Nicodemo, con la samaritana, con il cieco nato, con Tommaso, con Pietro e Giovanni. Il dialogo con Gesù provoca le persone a cambiare la vita. Questo significa che la fede è il caso serio. Il Signore offre ad ogni uomo dei segni nei quali può in qualche modo vederLo, toccarLo, incontrarLo e sentirsi chiamato ad una vita come la Sua. Credere è amare oltre i segni, è seguire la persona stessa di Gesù, fidarsi di lui, affidarsi a lui in una relazione di abbandono fiducioso. Così si passa dal vedere al credere. “Vide e credette” (Gv 20,8). Ed anche al superamento del vedere, cercando di accogliere e ricordare la sua Parola con fiducia piena, anche quando ad esempio ci dice che dovrà essere innalzato in croce, che si farà pane di vita e chi crede in lui non morirà mai, anzi vivrà fin da subito la vita eterna, la Sua. “Beati coloro che pur non avendo visto crederanno” (Gv 20,29). La vita cristiana si gioca sulla fiducia nella persona di Gesù. Sulla sua Parola. Il credere si collega in modo stretto e reciproco all’amare: non si può credere senza amare, né amare senza credere. “Venite vedete [dove abito]” (Gv 1, 39) “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4). Fino a formare “una cosa sola” con lui, come lui è una cosa sola col Padre. L’icona di questo strettissimo rapporto tra fede (fiducia-abbandono) e amore la troviamo in quell’autoritratto in cui l’apostolo Giovanni si descrive come l’amico intimo che osa posare il capo nel “seno (kòlpos: Gv 13,25)” di Gesù. È questo l’atteggiamento più alto della fede cristiana che collega direttamente e personalmente all’Amore.

“Rispetto all’incredulità crescente attorno a noi – lo ammettiamo col dolore – la risposta non può essere: miglioriamo la catechesi, organizziamoci meglio, preghiamo di più. Bisogna puntare sul caso serio, aiutare la gente a riconoscere e accogliere un Dio che si esprime nella fragilità e nell’umiltà della carne, nel suo avvicinarsi cortese e delicato alle persone, nella potenza di fronte alle tenebre e della compassione di fronte alla debolezza umana, un Dio che risplenda nell’estrema inermità del Crocifisso. Credere a un Dio così ha molte conseguenze antropologiche, esplicitate nei Vangeli; sono il succo concreto e quotidiano del caso serio della fede, che ci esorta a entrare in Gesù come figli del Padre, con la forza e la serenità testimoniate dal Signore in ogni momento e in ogni vicenda della sua vita terrena” (Carlo Maria Martini, Il caso serio della fede, p. 183). Per chi crede così, tutto è possibile. “Chi crede in me farà le stesse cose che ho fatto io” (Gv 14, 12). Può camminare sulle onde del lago in tempesta. Gesù, il nuovo Mosé accompagna con mano sicura attraverso il Mar Rosso e il deserto, facendoci superare ogni paura ed ogni limite. Gesù, il Crocifisso, attira tutti a sé. Gesù, il Risorto, ci porta nella casa del Padre dove ha già preparato un posto per quelli che lo vogliono seguire. I santi hanno seguito Gesù ed ora sono con lui per sempre. “Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,1-2).

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Ancora un fiore sulla sua tomba https://www.lavoce.it/ancora-un-fiore-sulla-sua-tomba/ Thu, 06 Sep 2012 12:49:54 +0000 https://www.lavoce.it/?p=12699 Anch’io voglio deporre un fiore sulla tomba dell’amatissimo card. Martini.

Quando, sullo scorcio del 1979, venne eletto arcivescovo di Milano in pectore, invece del consueto corso di esercizi spirituali in preparazione al grande passo, volle lavorare una settimana in un campo di lavoro a Capodarco, dove nessuno lo conosceva.

A Capodarco strinse amicizia con Rosaria Pugliese, in qualità di suo aiutante nella pelatura della montagna di patate che ogni giorno uscivano ilari e rotondette dall’enorme pentola piazzata subito fuori della cucina, nel frustrante tentativo di saziare la robusta fame delle decine e decine di ragazzi che lavoravano gratuitamente da mane a sera. Lui fisicamente imponente, culturalmente dottissimo: come preside dell’Istituto biblico firmava i documenti che attestavano il conferimento a pochi eletti della rarissima laurea in Scienze bibliche. Lei piccolina e bruttarella, epilettica, aveva dato gli esami di terza media ed era stata bocciata perché alla domanda: “Chi sono i nomadi?” aveva risposto: “Un complesso musicale”.

***

Nei primi anni Novanta venne da noi, a San Girolamo, Roberto Briolotti, giovane milanese che voleva farsi prete, ma soffriva di una fortissima forma di spasticità: parlava con grande fatica, e tuttavia con un minimo di allenamento si riusciva a capirlo. Era invece totalmente scoordinato il movimento dei suoi arti: bisognava imboccarlo; beveva solo con la cannuccia. Brillantemente laureato in Teologia, anche se l’articolo del Codice di diritto canonico che vietava ai disabili l’ordinazione sacerdotale era stato abolito, come mai il card. Martini anni prima non aveva volto ordinarlo prete? Il vescovo Bottaccioli glielo chiese di persona, a Collevalenza, e restò strabiliato: di Roberto Briolotti, della sua personale situazione, di quell’episodio di anni prima Martini sapeva tutto, ma proprio tutto.

Un ottimo esempio di attenzione selettiva? Carlo Maria Martini, da vero discepolo del Signore, si ricordava degli ultimi più di chiunque altro, anche con una diocesi di 3 milioni di anime sulle spalle. E se non lo aveva ordinato era perché non riusciva a immaginare per lui un adeguato spazio di apostolato: dove e come avrebbe esercitato le sue facoltà di prete? La residenza di San Girolamo poteva garantirgli quello che Milano non gli consentiva. Oggi don Roberto Briolotti è cappellano in una casa per disabili di Pavia.

***

Due giorni prima di quello in cui inaugurò la “mia” Comunità di San Girolamo, 20 anni or sono, aveva assistito Eugenio Montale in punto di morte. “Che uomo era, monsignore?”. Mi fissò con i suoi occhi chiari e profondi: “Gliene parlerò!”. È una promessa. Cardinale Martini, rimane una promessa di un grande uomo di Chiesa ad un piccolo prete di provincia. Sì, avrò risposta, a suo tempo.

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Il vescovo Cancian ricorda il cardinale Martini: “ho avuto la grazia di averlo come docente!” https://www.lavoce.it/il-vescovo-cancian-ricorda-il-cardinale-martini-ho-avuto-la-grazia-di-averlo-come-docente/ https://www.lavoce.it/il-vescovo-cancian-ricorda-il-cardinale-martini-ho-avuto-la-grazia-di-averlo-come-docente/#comments Tue, 04 Sep 2012 11:19:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=12619 Innumerevoli arrivano i doverosi riconoscimenti da parte della Chiesa e del mondo ad un cardinale il cui carisma e la cui autorevolezza hanno segnato la nostra storia. Scrive Mario Monti: “Una guida intellettuale e spirituale, attraverso la parola, gli scritti, l’esempio. Poche persone hanno influenzato i miei orientamenti come Carlo Maria Martini”. E il giornalista De Bortoli: “Nessuno avrebbe mai immaginato che l’algido rettore gesuita, scelto da Giovanni Paolo II come successore di Sant’Ambrogio, così aristocratico e apparentemente freddo, avrebbe parlato al cuore di tutti, non solo dei fedeli, con tanta concreta semplicità”. Mi è stato chiesto di aggiungere anche la mia testimonianza. La faccio ben volentieri perché ho avuto la grazia di averlo come docente ed anche di aver potuto conversare familiarmente con lui diverse volte.

L’occasione più bella fu a Gerusalemme nell’agosto 2007 quando, per prepararmi all’ordinazione episcopale, chiesi al Card. Martini di potermi guidare, assieme al padre Rossi De Gasperis in un corso di esercizi spirituali. Mi disse di sì e fui accolto nell’Istituto biblico di Gerusalemme dove lui viveva già da qualche anno. Ricordo con molto piacere quegli incontri a tu per tu. Ebbi modo di godere della sua sapienza biblica, pastorale, umana. Si mostrava attento ad ascoltare, a riflettere e poi a dire parole mai banali, profonde e semplici, illuminate sempre dalla Parola di Dio.

Ricordo uno di quegli incontri. Mi disse in termini confidenziali: “Sai, io da quando sono vescovo prego ogni mattina perché il Signore mi dia il buon umore. Perché cosa posso dire o fare di buono se sono triste?” E poi mi parlava delle sue linee pastorali: preghiera e riflessione biblica confrontata con i problemi della Chiesa e del mondo, coraggio profetico, parole misurate, precise, penetranti.

Un altro ricordo. Il 13 giugno 1991 a Collevalenza il Card. Martini presiede la 26ª Giornata di Spiritualità sacerdotale (presenti varie centinaia di vescovi e sacerdoti umbri e di altre regioni). Tema: “Il Vangelo della carità, fonte della spiritualità presbiterale. Lectio su Lc 9,51-62″. Al pomeriggio incontro di preghiera con i giovani dell’Umbria sul tema: “Abbà. Padre. Lectio Mc 14,32-42”. I due interventi, molto apprezzati, furono pubblicati. Ecco alcuni passaggi: “Nella preghiera dell’orto degli ulivi Gesù ci insegna a far silenzio, a buttarci in ginocchio per pregare, guardando in faccia la realtà angosciante della morte, mettendoci nello spirito filiale dinanzi all’Abbà. Con Gesù ci affidiamo all’Amore di quel Padre che ci vuole figli capaci di bere il nostro calice e di portare la nostra croce. In questo modo trova soluzione l’angoscia”.

Ritornò un’altra volta a Collevalenza, il 17 giugno 1999, per commentare la parabola del Padre misericordioso. Fu apprezzata moltissimo l’originalità della riflessione.

Tutti conosciamo i suoi libri, i suoi interventi, i suoi gesti, il suo stile asciutto e profondo, biblico e umano, illuminante. Davvero il card. Martini ha offerto una testimonianza umana e cristiana che ha illuminato la Chiesa postconciliare, prendendo sul serio la Costituzione Dei Verbum . La quale, cinquant’anni fa, affermava a chiare lettere che la Parola di Dio deve essere l’anima della teologia e della vita cristiana.

Nei 22 anni di episcopato a Milano con la sua proverbiale ricerca dell’icona biblica, col suo modo di fare lectio divina rendendola comprensibile, appetibile, esistenziale (con i quattro passaggi: lectio, meditatio, oratio, actio), è stato il vero maestro della Parola. Con grande sensibilità umana e culturale ha saputo spiegare, spezzare, applicare la Parola di Dio, rendendola illuminante, superando moralismo, dogmatismo, biblicismo. In modo incisivo ha scritto: “Questa Parola non è semplicemente qualcosa di estrinseco, di aggiunto all’uomo, qualcosa di cui l’uomo possa fare anche a meno. Terreno e seme sono stati creati l’uno per l’altro. Non ha senso pensare al seme senza una sua relazione con il terreno. E quest’ultimo senza il seme è deserto inabitabile. Fuori della metafora: l’uomo così come noi lo conosciamo, se taglia ogni sua relazione con la Parola, diviene steppa arida, torre di Babele”.

Con lui è nata una nuova generazione di credenti amanti della Parola. Lui è stato il Maestro che ha promosso la “Scuola della Parola”, molto apprezzata dai giovani. È lui che ha scritto delle Lettere pastorali che hanno fatto storia, a partire dalla prima: “In principio la Parola”.

Rileggo spesso le sue riflessioni. Proprio in vista del prossimo anno della fede ho ripreso in mano un suo libro il cui titolo ho voluto riprendere per la nostra Assemblea ecclesiale: “Il caso serio della fede”. Nell’ultima pagina scrive: “Rispetto all’incredulità crescente attorno a noi – ammettiamo con dolore -, la risposta non può essere: miglioriamo la catechesi, organizziamoci meglio, preghiamo di più. Bisogna puntare sul caso serio, aiutare la gente a riconoscere e accogliere un Dio che si esprime nella fragilità e nell’umiltà della carne, nel suo avvicinarsi cortese e delicato alle persone, nella potenza di fronte alle tenebre e nella compassione di fronte alla debolezza umana, un Dio che risplende nell’estrema inermità del Crocifisso”.

Grazie, padre e fratello, Carlo Maria. Contempla e godi, faccia a faccia, il Verbo di Dio che hai scrutato attentamente lungo tutti i tuoi 85 anni nelle Sacre Scritture, proponendoLo con passione e con inimitabile fascino!

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Indilazionabile https://www.lavoce.it/indilazionabile/ Thu, 25 Jun 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7650 L’intervista che il 18 u.s. il card. Martini ha concesso ad Eugenio Scalfari mi ha coinvolto. Per Barbeugenio ho sempre avuto molto rispetto e poca simpatia: m’è sempre sembrato troppo solenne, troppo apodittico, troppo’ barba. Per il card. Martini invece nutro sentimenti filiali fortissimi. Nel 1979, Giovanni Paolo II lo nominò arcivescovo di Milano. P. Carlo, gesuita e rettore dell’Istituto Biblico (quello che conferisce le lauree più difficili del mondo), pensò bene di prepararsi all’evento non con la classica settimana di ritiro spirituale, ma con una settimana di campo di lavoro a Capodarco di Fermo, in incognito. E quando alla metà di settembre del 1982 inaugurammo la nostra Comunità di Capodarco dell’Umbria, che fino al 1997 si chiamò Centro Lavoro Cultura, fu lui che al S. Girolamo di Gubbio, senza prosopopea, ci dettò un programma di vita che era un concentrato di fede concreta e operativa. Appena qualche giorno prima aveva assistito sul letto di morte Eugenio Montale. Di quello che ha detto Scalfari mi ha coinvolto il ricordo di un loro precedente incontro sul tema LA PACE È IL NOME DI DIO (Che cosa può unire oggi cattolici e laici): ‘Eravamo d’accordo su tutto, la sua etica era anche la mia, lui la riceveva dall’alto, io dall’autonomia della mia coscienza’. Già. E che altro vuol dire l’affermazione di Pentecoste, che ‘lo Spirito santo permea il mondo’? Riservando alla Sua insindacabile saggezza la modalità di’ permeazione più giusta, la più personalizzata per l’irripetibile situazione di ogni singolo uomo. Permea e parla: con la Parola di Dio garantita dalla Chiesa, o con la coscienza che detta il ritmo della vita a chi non l’ha atrofizzata. Di quello che ha detto Martini mi ha coinvolto un’affermazione: che è ormai indilazionabile la necessità di ridisegnare il percorso penitenziale tipico della vita cristiana. Vede, la confessione è un sacramento estremamente importante ma ormai esangue. Da praticare intensamente finché esiste in questa forma, ma questa è una forma esangue. Sono sempre meno le persone che lo praticano, anche perché il suo esercizio è diventato quasi meccanico: si confessa qualche peccato, si ottiene il perdono, si recita qualche preghiera e tutto finisce così. Nel nulla o poco più. Bisogna ridare alla confessione una sostanza che sia veramente sacramentale, un percorso di pentimento e un programma di vita. Anche recuperando la figura del direttore spirituale. Ripensare questo sacramento: se n’è accennato altre volte, poi non s’è mosso nulla. Anche l’amico Nicola Molè me lo ricordava in una lettera di qualche tempo fa. Non se n’è fatto nulla. E sullo sfondo rimane, minacciosa al di là della sua connaturata superficialità, la barzelletta di don Romano. Confessione standard. Al ‘Tribunale della penitenza’ si comincia con il saluto. Poi i prodromi (Da quanto tempo’? E come mai’? E cosa ricordate’?)Poi, una voce tesa, drammatica: ‘Ho ucciso il babbo e la mamma’. Silenzio. Poi ancora un voce, ma stavolta venata di sonno: ‘Quante volte?’.

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