Mario Draghi Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/mario-draghi/ Settimanale di informazione regionale Thu, 08 Sep 2022 17:39:53 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Mario Draghi Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/mario-draghi/ 32 32 Elezioni politiche 2022. Dove sono le idee … e i cattolici? https://www.lavoce.it/elezioni-politiche-2022-dove-sono-le-idee-e-i-cattolici/ Wed, 31 Aug 2022 01:31:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68133 Elezioni 2022

Le liste per le elezioni politiche nazionali del 25 Settembre sono state “chiuse” e la campagna elettorale è entrata nel vivo. Prima che gli animi si accendano troppo e che il frastuono superi il livello di guardia c’è tempo per qualche osservazione. Tuttavia, ancora prima di queste osservazioni, è doveroso ribadire che, per il magistero sociale della Chiesa e non solo, la politica, come ogni ambito pratico, non è oggetto di verità assolute né di sillogismi. Le conoscenze, già in sé precarie, vanno continuamente aggiornate. Le sorprese sono all’ordine del giorno.

Valutare annunci … e scelte compiute

La perfezione e la purezza vanno escluse a priori e dunque ogni argomento difensivo del tipo “ma anche loro …” va bandito per principio. L’unica cosa che si può fare è confrontare le liste di priorità. Valutare per i singoli problemi quali sono i diversi benefici ed i diversi costi delle soluzioni proposte e, soprattutto, valutare il pregresso delle persone e delle organizzazioni. I programmi da prendere in considerazione non sono quelli scritti oggi, ma quelli perseguiti sino a ieri. Si dirà: in tempo di tribalismi (anche) politici tutto questo non è di moda. E quando mai un credente od una persona onesta possono farsi dettare i pensieri e le scelte dalle mode o dagli influencer? Anche se in tonaca. E veniamo a quattro osservazioni.

Pe le elezioni candidati non scelti dagli elettori

Pressoché tutte le liste sono piene di bravissime persone, di persone – come a volte si dice – provenienti dalla “società civile”. Ciò nonostante non bisogna farsi confondere. Basta osservare i posti loro assegnati e conoscere i sondaggi per rendersi conto che sono state collocate in posizioni “inutili”, sono state usate da “abbellimento”. Gruppi dirigenti ristrettissimi e selezionati per cooptazione si sono presi tutti i posti “utili” (ed anche qualcuno in più: “per sicurezza”). Questo fenomeno non è affatto inevitabile. Basta osservare come funzionano le grandi democrazie (ed ormai anche molte delle piccole) per rendersi conto facilmente che le primarie (spesso imposte per legge), o i “primi turni” di sistemi a “doppio turno”, servono esattamente a questo: a far sì che siano gli elettori a scegliere i candidati. Né la attuale legge elettorale avrebbe impedito l’utilizzo dello strumento delle primarie. Anzi, per la verità, lo avrebbe favorito. Il rifiuto delle primarie è particolarmente grave per il Pd che era nato sul solenne impegno statutario di tenere regolarmente primarie aperte e trasparenti. Di quel Pd non c’è più traccia e magari la cosa colpisce un po’ meno in Umbria, dove il Pd – come qualcosa di realmente altro da quello che c’era prima – non è praticamente mai nato. A quest’uso delle “facce nuove”, di routine a destra, non fa eccezione neppure il neonato “Terzo Polo” (Renzi-Calenda), che ha cercato di mettere al sicuro una manciata di ex-Pd nostrani, i quali, del riformismo e dello spirito liberale di cui oggi parlano, non avevano fatto sospettare quando erano interni e spesso al vertice dell’”Umbria rossa”. Veniamo ai programmi. Qui il discorso si fa piuttosto semplice.

I programmi di partiti e coalizioni ci sono?

I 5Stelle di Conte

Difficile dire qualcosa del Movimento 5 Stelle e di Conte. Nel corso della passata legislatura hanno fatto di tutto ed hanno addirittura guidato (con Conte) governi di orientamento perfettamente opposto (record eguagliabile, ma non superabile), nessuno dei quali governi e delle rispettive alleanze minimamente riconducibile alle promesse fatte in campagna elettorale. Anche dal punto di vista del metodo il M5S non ha certo dato compimento alle promesse di democrazia diretta e di trasparenza di cui si era vantato. Se bastava un po’ di storia per sapere che la “democrazia diretta” è un mito che serve solo a coprire l’ennesimo attacco alla democrazia, forse non tutti si aspettavano che alla fine risultasse irrisolto anche il nodo del rapporto tra M5S e aziende private. Ciò detto, e a dimostrazione di quanto detto in premessa, non si può però non ricordare che per iniziativa dei “Cinque Stelle” abbiamo avuto una riforma – il taglio dei parlamentari – che punisce il ceto politico ed aumenta il peso del voto del singolo elettore. Una riforma – come tutte certamente da completare – della quale solo da poco abbiamo cominciato ad apprezzare il valore e la utilità.

Il Pd e gli alleati

Difficile dire qualcosa anche della alleanza cui hanno dato vita: +Europa, il Pd, i dalemiani della “ditta” già fuoriusciti, Fratoianni, Bonelli e Di Maio. La eterogeneità è tale che questa coalizione non ha né un programma, né un leader e forse neppure un nome. Vi sta dentro chi è stato con Draghi e chi lo ha costantemente combattuto, e persino Di Maio il quale, per parlare solo di politica estera, ha avuto momenti di attiva simpatia per Putin, altri di alacre collaborazione con i cinesi e ora, da poco, professa “europeismo” ed “atlantismo”. Il Pd, che aveva cercato in ogni modo il Conte III piuttosto che il governo Draghi, dopo essere stato fedele a quest’ultimo, una volta caduto l’ha immediatamente rimosso, accantonandone l’agenda ed alleandosi con chi lo ha osteggiato. Si dice: colpa delle legge elettorale; ma – a prescindere dal fatto che tale legge non obbliga affatto a fare alleanze, né tanto meno a farne con chi ha idee diverse dalle proprie – si tratta di una legge elettorale che porta il nome dell’allora capogruppo Pd! Se ora il Pd si accorge che si tratta di una legge elettorale fatta male, non dovrebbe accampare scuse, ma chiedere scusa. La scissione di alleanza elettorale e programma è l’ennesima pietra tombale posta dal Pd su se stesso. In questa fase neppure i residui riformisti del Pd hanno dato battaglia a Letta ed alla “ditta”, ma si sono limitati a tentare di farsi cooptare.

Centro destra e Terzo polo Renzi-Calenda

Di programmi invece ha invece senso parlare se si prendono in considerazione Centrodestra e Terzo polo (Renzi-Calenda). Qui la alternativa è chiara: da una parte – il Centrodestra – abbiamo un “no” netto alla “agenda Draghi”, dall’altra – Renzi-Calenda – abbiamo un “sì” altrettanto netto alla “agenda Draghi”. La contrapposizione è resa ancora più chiara dal fatto che la “agenda Draghi” non è una vaga dichiarazione di intenti, ma un programma per larga parte già scritto, già in via di esecuzione e che già ha prodotto risultati in termini di: flussi economici, pubblici e privati, di credito, di collocazione internazionale dell’Italia, di riforme, di risultati già prodotti dalle politiche adottate. Naturalmente la “agenda Draghi” può piacere o non piacere, ma si tratta di una cosa precisa e già operativa. Sicché la alternativa tra Centrodestra e Terzo Polo ha contorni precisi e concreti. (Né si può escludere che un buon risultato di Renzi & Calenda attragga e torni a dare un po’ di coraggio ai riformisti del Pd ed agli eventuali – attualmente scomparsi dai radar – “non sovranisti” e “non populisti” del Centrodestra.) Ciò che il Centrodestra non dice nel suo programma è come (e dunque a quali costi) riuscirebbe a garantire altrimenti i flussi finanziari positivi generati dalla agenda Draghi (dai fondi messi a disposizione dall’UE agli investimenti privati attirati dalla fiducia generata sui mercati da Draghi e dalle sue politiche). Ad esempio, come potrebbe mai essere possibile arginare la escalation dei prezzi dell’energia se non con un fronte UE compatto quale quello cui Draghi ha lavorato sin quasi ad assumerne la leadership? Né il Centrodestra dice come riuscirà a conservare la apertura di credito riguadagnata dall’Italia nelle sedi internazionali, né come eviterà i contraccolpi negativi della cancellazione delle riforme realizzate o messe in cantiere dal governo uscente, né con cosa sostituirà i risultati ottenuti e quelli attesi delle politiche adottate dal governo Draghi. Il Centrodestra afferma di voler stare nella Unione Europea e nella Nato, ma questo non basta perché si può stare in Europa come l’Ungheria di Orban (corteggiatissimo da Meloni) ed il Gruppo di Visegrad (amato da Salvini) oppure come Macron; perché si può stare nella Nato come la Turchia di Erdogan o come la Gran Bretagna. Per non parlare delle simpatie per Putin (e per Trump) assai diffuse nello stesso Centrodestra. Al momento, il “no” alla “agenda Draghi”, che resta legittimo, è pieno di equivoci e di lacune, ed è pieno di incubi per chi desidera che l’Italia resti una “società aperta”, una poliarchia locale dentro una poliarchia globale (per usare i termini della Caritas in veritate di Benedetto XVI). Dal punto di vista programmatico, per quello che è dato vedere oggi, le elezioni del 25 Settembre saranno un referendum sulla “agenda Draghi”: Terzo Polo a favore della “agenda Draghi” e Centrodestra contro la ”agenda Draghi”.

Temi locali nel dibattito nazionale sulle elezioni?

Ha senso attendersi che si parli di questioni locali in elezioni politiche nazionali? No e sì. No, non ha senso perché agli umbri, come a tutti gli altri italiani, è chiesto di scegliere su politiche di livello nazionale, a differenza di quanto avviene nelle consultazioni regionali o comunali. Sì, ha senso, se si riesce a mostrare che una questione “locale” non è una questione di rilievo solo “locale”, bensì anche “nazionale” e “globale”.

La questione “Italia centrale”

Negli ultimi anni, per prima la Azione Cattolica di Terni-Narni-Amelia, tante e varie voci autorevoli della vita sociale, economica ed accademica, istituzioni di ricerca come l’AUR di Perugia, testate nazionali come “il Messaggero”, hanno chiarito oltre ogni ragionevole dubbio che la questione “Italia Centrale” è oggi questione di interesse nazionale e globale e che nei suoi confini prende nuovo vigore la causa umbra e in generale quella della rete di città medie di questa area. Nelle settimane scorse era stato fatto notare anche che la maggior parte dei collegi contendibili è collocata proprio in Italia Centrale e che quindi era interesse dei partiti competere offrendo all’elettorato proposte alternative in materia. Risultato: tutti hanno taciuto. Niente di niente da nessuna delle quattro principali sponde.

La questione cattolici e politica

Anche queste elezioni 2022 sono occasione nella quale si manifesta lo scivolamento in atto nel cattolicesimo italiano, rispetto alla politica e non solo. La offerta politica che abbiamo di fronte mostra come il cattolicesimo italiano sia caratterizzato oggi da un mix di visibilità ed irrilevanza. Meloni, Salvini, Berlusconi, Renzi, Letta e Conte hanno biografie e strategie comunicative in cui certo non si nasconde il riferimento alla religione. Contemporaneamente, non occorre essere teologi per rendersi conto che principi e criteri del magistero sociale della Chiesa, per non parlare dell’eredità del cattolicesimo politico, non hanno gran peso nella selezione delle priorità e delle politiche.

Dibattito elettorale: riferimento inconsistente all'insegnamento della Chiesa

In questo senso non si può non sottolineare la assoluta inconsistenza del riferimento alla dottrina sociale della Chiesa fatto dalla on.le Meloni a Rimini. Senza risalire al Vaticano II ed a Montini, è davvero difficile trovare argomenti a sostegno di una prospettiva “sovranista” e “populista” nel magistero di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI.

Caduta del pensiero cattolico e della formazione dei credenti?

Decenni di desertificazione del tessuto dell’associazionismo laicale cattolico e di sua improvvida sostituzione con le “pastorali” (strutturalmente “clericali”) hanno estirpato le radici che avevano formato generazioni di cattolici alle forme proprie ed alla responsabilità della politica. A questo si è aggiunta una moda ormai dilagante di continuo riposizionamento di cattolici, laici e clero, che non si dà briga di addurre giustificazione alcuna per l’assumere in successione posizioni diversissime sia nella Chiesa che in politica. Se si pensa a quale spazio gli interventi del magistero, a tutti i livelli, davano alle argomentazioni che discutevano, distinguevano o collegavano affermazioni del passato e del presente, ben si comprende quale “sciogliete le righe” produca l’attuale affidarsi non ad argomenti, ma ad emozioni, battute e twitt. Certamente non si aiuta la maturazione nei credenti di una rinnovata coscienza storica, e dunque anche politica, diffondendo lo spontaneismo, premiando l’anti-intellettualismo, abbandonandosi a luoghi comuni. Semmai, il bisogno di disciplina (ascetica ed intellettuale), di formazione e di confronto nel discernimento, il bisogno di apostolato dei laici (e non di “pastorali”), di associazionismo laicale ecclesiale (piuttosto che di uffici di curia e di laici ridotti ad “operatori pastorali”) è oggi più grande di ieri.]]>
Elezioni 2022

Le liste per le elezioni politiche nazionali del 25 Settembre sono state “chiuse” e la campagna elettorale è entrata nel vivo. Prima che gli animi si accendano troppo e che il frastuono superi il livello di guardia c’è tempo per qualche osservazione. Tuttavia, ancora prima di queste osservazioni, è doveroso ribadire che, per il magistero sociale della Chiesa e non solo, la politica, come ogni ambito pratico, non è oggetto di verità assolute né di sillogismi. Le conoscenze, già in sé precarie, vanno continuamente aggiornate. Le sorprese sono all’ordine del giorno.

Valutare annunci … e scelte compiute

La perfezione e la purezza vanno escluse a priori e dunque ogni argomento difensivo del tipo “ma anche loro …” va bandito per principio. L’unica cosa che si può fare è confrontare le liste di priorità. Valutare per i singoli problemi quali sono i diversi benefici ed i diversi costi delle soluzioni proposte e, soprattutto, valutare il pregresso delle persone e delle organizzazioni. I programmi da prendere in considerazione non sono quelli scritti oggi, ma quelli perseguiti sino a ieri. Si dirà: in tempo di tribalismi (anche) politici tutto questo non è di moda. E quando mai un credente od una persona onesta possono farsi dettare i pensieri e le scelte dalle mode o dagli influencer? Anche se in tonaca. E veniamo a quattro osservazioni.

Pe le elezioni candidati non scelti dagli elettori

Pressoché tutte le liste sono piene di bravissime persone, di persone – come a volte si dice – provenienti dalla “società civile”. Ciò nonostante non bisogna farsi confondere. Basta osservare i posti loro assegnati e conoscere i sondaggi per rendersi conto che sono state collocate in posizioni “inutili”, sono state usate da “abbellimento”. Gruppi dirigenti ristrettissimi e selezionati per cooptazione si sono presi tutti i posti “utili” (ed anche qualcuno in più: “per sicurezza”). Questo fenomeno non è affatto inevitabile. Basta osservare come funzionano le grandi democrazie (ed ormai anche molte delle piccole) per rendersi conto facilmente che le primarie (spesso imposte per legge), o i “primi turni” di sistemi a “doppio turno”, servono esattamente a questo: a far sì che siano gli elettori a scegliere i candidati. Né la attuale legge elettorale avrebbe impedito l’utilizzo dello strumento delle primarie. Anzi, per la verità, lo avrebbe favorito. Il rifiuto delle primarie è particolarmente grave per il Pd che era nato sul solenne impegno statutario di tenere regolarmente primarie aperte e trasparenti. Di quel Pd non c’è più traccia e magari la cosa colpisce un po’ meno in Umbria, dove il Pd – come qualcosa di realmente altro da quello che c’era prima – non è praticamente mai nato. A quest’uso delle “facce nuove”, di routine a destra, non fa eccezione neppure il neonato “Terzo Polo” (Renzi-Calenda), che ha cercato di mettere al sicuro una manciata di ex-Pd nostrani, i quali, del riformismo e dello spirito liberale di cui oggi parlano, non avevano fatto sospettare quando erano interni e spesso al vertice dell’”Umbria rossa”. Veniamo ai programmi. Qui il discorso si fa piuttosto semplice.

I programmi di partiti e coalizioni ci sono?

I 5Stelle di Conte

Difficile dire qualcosa del Movimento 5 Stelle e di Conte. Nel corso della passata legislatura hanno fatto di tutto ed hanno addirittura guidato (con Conte) governi di orientamento perfettamente opposto (record eguagliabile, ma non superabile), nessuno dei quali governi e delle rispettive alleanze minimamente riconducibile alle promesse fatte in campagna elettorale. Anche dal punto di vista del metodo il M5S non ha certo dato compimento alle promesse di democrazia diretta e di trasparenza di cui si era vantato. Se bastava un po’ di storia per sapere che la “democrazia diretta” è un mito che serve solo a coprire l’ennesimo attacco alla democrazia, forse non tutti si aspettavano che alla fine risultasse irrisolto anche il nodo del rapporto tra M5S e aziende private. Ciò detto, e a dimostrazione di quanto detto in premessa, non si può però non ricordare che per iniziativa dei “Cinque Stelle” abbiamo avuto una riforma – il taglio dei parlamentari – che punisce il ceto politico ed aumenta il peso del voto del singolo elettore. Una riforma – come tutte certamente da completare – della quale solo da poco abbiamo cominciato ad apprezzare il valore e la utilità.

Il Pd e gli alleati

Difficile dire qualcosa anche della alleanza cui hanno dato vita: +Europa, il Pd, i dalemiani della “ditta” già fuoriusciti, Fratoianni, Bonelli e Di Maio. La eterogeneità è tale che questa coalizione non ha né un programma, né un leader e forse neppure un nome. Vi sta dentro chi è stato con Draghi e chi lo ha costantemente combattuto, e persino Di Maio il quale, per parlare solo di politica estera, ha avuto momenti di attiva simpatia per Putin, altri di alacre collaborazione con i cinesi e ora, da poco, professa “europeismo” ed “atlantismo”. Il Pd, che aveva cercato in ogni modo il Conte III piuttosto che il governo Draghi, dopo essere stato fedele a quest’ultimo, una volta caduto l’ha immediatamente rimosso, accantonandone l’agenda ed alleandosi con chi lo ha osteggiato. Si dice: colpa delle legge elettorale; ma – a prescindere dal fatto che tale legge non obbliga affatto a fare alleanze, né tanto meno a farne con chi ha idee diverse dalle proprie – si tratta di una legge elettorale che porta il nome dell’allora capogruppo Pd! Se ora il Pd si accorge che si tratta di una legge elettorale fatta male, non dovrebbe accampare scuse, ma chiedere scusa. La scissione di alleanza elettorale e programma è l’ennesima pietra tombale posta dal Pd su se stesso. In questa fase neppure i residui riformisti del Pd hanno dato battaglia a Letta ed alla “ditta”, ma si sono limitati a tentare di farsi cooptare.

Centro destra e Terzo polo Renzi-Calenda

Di programmi invece ha invece senso parlare se si prendono in considerazione Centrodestra e Terzo polo (Renzi-Calenda). Qui la alternativa è chiara: da una parte – il Centrodestra – abbiamo un “no” netto alla “agenda Draghi”, dall’altra – Renzi-Calenda – abbiamo un “sì” altrettanto netto alla “agenda Draghi”. La contrapposizione è resa ancora più chiara dal fatto che la “agenda Draghi” non è una vaga dichiarazione di intenti, ma un programma per larga parte già scritto, già in via di esecuzione e che già ha prodotto risultati in termini di: flussi economici, pubblici e privati, di credito, di collocazione internazionale dell’Italia, di riforme, di risultati già prodotti dalle politiche adottate. Naturalmente la “agenda Draghi” può piacere o non piacere, ma si tratta di una cosa precisa e già operativa. Sicché la alternativa tra Centrodestra e Terzo Polo ha contorni precisi e concreti. (Né si può escludere che un buon risultato di Renzi & Calenda attragga e torni a dare un po’ di coraggio ai riformisti del Pd ed agli eventuali – attualmente scomparsi dai radar – “non sovranisti” e “non populisti” del Centrodestra.) Ciò che il Centrodestra non dice nel suo programma è come (e dunque a quali costi) riuscirebbe a garantire altrimenti i flussi finanziari positivi generati dalla agenda Draghi (dai fondi messi a disposizione dall’UE agli investimenti privati attirati dalla fiducia generata sui mercati da Draghi e dalle sue politiche). Ad esempio, come potrebbe mai essere possibile arginare la escalation dei prezzi dell’energia se non con un fronte UE compatto quale quello cui Draghi ha lavorato sin quasi ad assumerne la leadership? Né il Centrodestra dice come riuscirà a conservare la apertura di credito riguadagnata dall’Italia nelle sedi internazionali, né come eviterà i contraccolpi negativi della cancellazione delle riforme realizzate o messe in cantiere dal governo uscente, né con cosa sostituirà i risultati ottenuti e quelli attesi delle politiche adottate dal governo Draghi. Il Centrodestra afferma di voler stare nella Unione Europea e nella Nato, ma questo non basta perché si può stare in Europa come l’Ungheria di Orban (corteggiatissimo da Meloni) ed il Gruppo di Visegrad (amato da Salvini) oppure come Macron; perché si può stare nella Nato come la Turchia di Erdogan o come la Gran Bretagna. Per non parlare delle simpatie per Putin (e per Trump) assai diffuse nello stesso Centrodestra. Al momento, il “no” alla “agenda Draghi”, che resta legittimo, è pieno di equivoci e di lacune, ed è pieno di incubi per chi desidera che l’Italia resti una “società aperta”, una poliarchia locale dentro una poliarchia globale (per usare i termini della Caritas in veritate di Benedetto XVI). Dal punto di vista programmatico, per quello che è dato vedere oggi, le elezioni del 25 Settembre saranno un referendum sulla “agenda Draghi”: Terzo Polo a favore della “agenda Draghi” e Centrodestra contro la ”agenda Draghi”.

Temi locali nel dibattito nazionale sulle elezioni?

Ha senso attendersi che si parli di questioni locali in elezioni politiche nazionali? No e sì. No, non ha senso perché agli umbri, come a tutti gli altri italiani, è chiesto di scegliere su politiche di livello nazionale, a differenza di quanto avviene nelle consultazioni regionali o comunali. Sì, ha senso, se si riesce a mostrare che una questione “locale” non è una questione di rilievo solo “locale”, bensì anche “nazionale” e “globale”.

La questione “Italia centrale”

Negli ultimi anni, per prima la Azione Cattolica di Terni-Narni-Amelia, tante e varie voci autorevoli della vita sociale, economica ed accademica, istituzioni di ricerca come l’AUR di Perugia, testate nazionali come “il Messaggero”, hanno chiarito oltre ogni ragionevole dubbio che la questione “Italia Centrale” è oggi questione di interesse nazionale e globale e che nei suoi confini prende nuovo vigore la causa umbra e in generale quella della rete di città medie di questa area. Nelle settimane scorse era stato fatto notare anche che la maggior parte dei collegi contendibili è collocata proprio in Italia Centrale e che quindi era interesse dei partiti competere offrendo all’elettorato proposte alternative in materia. Risultato: tutti hanno taciuto. Niente di niente da nessuna delle quattro principali sponde.

La questione cattolici e politica

Anche queste elezioni 2022 sono occasione nella quale si manifesta lo scivolamento in atto nel cattolicesimo italiano, rispetto alla politica e non solo. La offerta politica che abbiamo di fronte mostra come il cattolicesimo italiano sia caratterizzato oggi da un mix di visibilità ed irrilevanza. Meloni, Salvini, Berlusconi, Renzi, Letta e Conte hanno biografie e strategie comunicative in cui certo non si nasconde il riferimento alla religione. Contemporaneamente, non occorre essere teologi per rendersi conto che principi e criteri del magistero sociale della Chiesa, per non parlare dell’eredità del cattolicesimo politico, non hanno gran peso nella selezione delle priorità e delle politiche.

Dibattito elettorale: riferimento inconsistente all'insegnamento della Chiesa

In questo senso non si può non sottolineare la assoluta inconsistenza del riferimento alla dottrina sociale della Chiesa fatto dalla on.le Meloni a Rimini. Senza risalire al Vaticano II ed a Montini, è davvero difficile trovare argomenti a sostegno di una prospettiva “sovranista” e “populista” nel magistero di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI.

Caduta del pensiero cattolico e della formazione dei credenti?

Decenni di desertificazione del tessuto dell’associazionismo laicale cattolico e di sua improvvida sostituzione con le “pastorali” (strutturalmente “clericali”) hanno estirpato le radici che avevano formato generazioni di cattolici alle forme proprie ed alla responsabilità della politica. A questo si è aggiunta una moda ormai dilagante di continuo riposizionamento di cattolici, laici e clero, che non si dà briga di addurre giustificazione alcuna per l’assumere in successione posizioni diversissime sia nella Chiesa che in politica. Se si pensa a quale spazio gli interventi del magistero, a tutti i livelli, davano alle argomentazioni che discutevano, distinguevano o collegavano affermazioni del passato e del presente, ben si comprende quale “sciogliete le righe” produca l’attuale affidarsi non ad argomenti, ma ad emozioni, battute e twitt. Certamente non si aiuta la maturazione nei credenti di una rinnovata coscienza storica, e dunque anche politica, diffondendo lo spontaneismo, premiando l’anti-intellettualismo, abbandonandosi a luoghi comuni. Semmai, il bisogno di disciplina (ascetica ed intellettuale), di formazione e di confronto nel discernimento, il bisogno di apostolato dei laici (e non di “pastorali”), di associazionismo laicale ecclesiale (piuttosto che di uffici di curia e di laici ridotti ad “operatori pastorali”) è oggi più grande di ieri.]]>
Il Pnrr non è un giocattolo per cercare consensi https://www.lavoce.it/il-pnrr-non-e-un-giocattolo-per-cercare-consensi/ Thu, 13 May 2021 15:08:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60593

A forza di ripeterlo si rischia di diventare noiosi, eppure a osservare i comportamenti dei partiti non sembra che il concetto sia ancora ben chiaro e condiviso: la nostra possibilità di rilancio socio-economico dipende in larghissima misura e comunque in modo decisivo da come sapremo dare concreta attuazione al Pnrr - Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Pnrr. Impegno di tutto il Governo

Su questa sfida ci siamo formalmente impegnati davanti all’Europa (e soprattutto davanti a noi stessi) secondo una serie di scadenze rigorose e verificabili che ci accompagneranno di qui al 2026. Per questo è veramente importante che nell’attuale maggioranza di governo si ritrovino quasi tutte le forze rappresentate in Parlamento. Anche presupponendo che si arrivi al compimento fisiologico della legislatura, al più tardi nel 2023 saranno elette nuove Camere, e nessuno dovrebbe poter dire che quegli impegni sono stati presi da altri.

I "distinguo" di chi sostiene il Governo

Dovrebbe. Il condizionale è mestamente obbligato, perché spesso si ha l’impressione di uno scollamento tra il governo Draghi – che si occupa di mandare avanti il Paese – e i partiti che pure a quel Governo consentono di esistere e in quel Governo hanno ministri di peso. Come se l’esecutivo fosse “altro” rispetto alla maggioranza che lo legittima. Da tempi ormai remoti le cronache specializzate hanno distillato, attingendo alle dichiarazioni dei politici, una formula che esprime sinteticamente (e con un alto tasso di ipocrisia) una situazione analoga a quella presente: “Governo amico”. Soprattutto durante la cosiddetta Prima Repubblica, l’espressione suscitava una certa inquietudine – al di là del tenore letterale delle parole – perché alludeva alla non piena identificazione dei partiti di maggioranza l’esecutivo in carica. Non il “nostro” Governo, piuttosto un Governo da guardare con favore e quindi da sostenere, ma solo fino a un certo punto. Questa dinamica appare attiva anche oggi e, anzi, risulta portata alle estreme conseguenze perché ci sono addirittura partiti che sembrano essere contemporaneamente in maggioranza e all’opposizione. Con un’ulteriore variante paradossale: sulle misure dell’esecutivo che si ritiene possano portare consenso c’è il tentativo di mettere il cappello, come se fossero merito di questo o quel partito; sulle misure impopolari (o che si ritengono tali) si prendono le distanze, talvolta contestandole apertamente e contrastandole nel Paese.

La ricerca del consenso su temi più emotivi

Il terreno su cui questa tattica si manifesta con più evidenza è quello della lotta alla pandemia, perché rispetto al Pnrr è un filone emotivamente molto più carico e quindi propagandisticamente redditizio. L’operazione di qualificare in termini ideologici aperture e chiusure, per esempio, è stupefacente. Come se ci fossero alternative praticabili al metodo di modulare le misure sull’effettivo andamento dei contagi e delle vaccinazioni, richiamando sempre i cittadini al senso di responsabilità. “Riaprire, ma farlo con la testa” ha detto il premier Draghi. Sarà una frase di destra o di sinistra? Forse è solo buon senso. Stefano De Martis]]>

A forza di ripeterlo si rischia di diventare noiosi, eppure a osservare i comportamenti dei partiti non sembra che il concetto sia ancora ben chiaro e condiviso: la nostra possibilità di rilancio socio-economico dipende in larghissima misura e comunque in modo decisivo da come sapremo dare concreta attuazione al Pnrr - Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Pnrr. Impegno di tutto il Governo

Su questa sfida ci siamo formalmente impegnati davanti all’Europa (e soprattutto davanti a noi stessi) secondo una serie di scadenze rigorose e verificabili che ci accompagneranno di qui al 2026. Per questo è veramente importante che nell’attuale maggioranza di governo si ritrovino quasi tutte le forze rappresentate in Parlamento. Anche presupponendo che si arrivi al compimento fisiologico della legislatura, al più tardi nel 2023 saranno elette nuove Camere, e nessuno dovrebbe poter dire che quegli impegni sono stati presi da altri.

I "distinguo" di chi sostiene il Governo

Dovrebbe. Il condizionale è mestamente obbligato, perché spesso si ha l’impressione di uno scollamento tra il governo Draghi – che si occupa di mandare avanti il Paese – e i partiti che pure a quel Governo consentono di esistere e in quel Governo hanno ministri di peso. Come se l’esecutivo fosse “altro” rispetto alla maggioranza che lo legittima. Da tempi ormai remoti le cronache specializzate hanno distillato, attingendo alle dichiarazioni dei politici, una formula che esprime sinteticamente (e con un alto tasso di ipocrisia) una situazione analoga a quella presente: “Governo amico”. Soprattutto durante la cosiddetta Prima Repubblica, l’espressione suscitava una certa inquietudine – al di là del tenore letterale delle parole – perché alludeva alla non piena identificazione dei partiti di maggioranza l’esecutivo in carica. Non il “nostro” Governo, piuttosto un Governo da guardare con favore e quindi da sostenere, ma solo fino a un certo punto. Questa dinamica appare attiva anche oggi e, anzi, risulta portata alle estreme conseguenze perché ci sono addirittura partiti che sembrano essere contemporaneamente in maggioranza e all’opposizione. Con un’ulteriore variante paradossale: sulle misure dell’esecutivo che si ritiene possano portare consenso c’è il tentativo di mettere il cappello, come se fossero merito di questo o quel partito; sulle misure impopolari (o che si ritengono tali) si prendono le distanze, talvolta contestandole apertamente e contrastandole nel Paese.

La ricerca del consenso su temi più emotivi

Il terreno su cui questa tattica si manifesta con più evidenza è quello della lotta alla pandemia, perché rispetto al Pnrr è un filone emotivamente molto più carico e quindi propagandisticamente redditizio. L’operazione di qualificare in termini ideologici aperture e chiusure, per esempio, è stupefacente. Come se ci fossero alternative praticabili al metodo di modulare le misure sull’effettivo andamento dei contagi e delle vaccinazioni, richiamando sempre i cittadini al senso di responsabilità. “Riaprire, ma farlo con la testa” ha detto il premier Draghi. Sarà una frase di destra o di sinistra? Forse è solo buon senso. Stefano De Martis]]>
Recovery? Puntare sulla famiglia https://www.lavoce.it/recovery-puntare-sulla-famiglia/ Thu, 25 Feb 2021 18:21:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59342

Glielo spieghiamo noi, a Mario Draghi, come si possano efficacemente investire alcuni miliardi dei tanti in arrivo con il Recovery Fund; un investimento a medio-lungo termine che sicuramente darà frutti positivi e copiosi. Insomma, punti un gettone bello e corposo sulla famiglia, sulla natalità. Sembra che ci abbia per ora ascoltato, visto che ha confermato sia il ministero per la Famiglia, sia la titolare che l’occupava in precedenza e che si stava dando da fare per un riordino delle misure anche economiche di sostegno a chi, oggi, ha ancora il coraggio di sposarsi e di fare figli. Ecco, partiamo da qui. Le statistiche ci dicono che l’anno del Covid ha pure sterminato le promesse nuziali: nella mia città si sono quasi dimezzate, toccando il minimo storico da quando il Comune elabora le sue statistiche. Figli? Lasciamo perdere. Il ritmo è tale che tra alcuni decenni la popolazione sarà quasi dimezzata, se la dinamica non cambia. Fa specie l’età media in cui si fa dalle mie parti il primo figlio: 34 anni le madri italiane, 37 anni i padri… Insomma siamo nella parte finale della fertilità della donna, diventa un’impresa arrivare al secondogenito e chi ha due figli fa già parte da tempo del club delle “famiglie numerose”. Ecco: il legislatore sembra finalmente preoccuparsi dello tsunami più grande che sta investendo la società italiana, provando a turare alcune falle. Aiuti economici ce ne sono già oggi, ma sono frastagliati, confusi, spesso iniqui, sempre insufficienti. La classica selva di piantine che non faranno mai un bosco, nemmeno piccolo. Da qui l’esigenza anzitutto di un riordino che porti a pochi, ma consistenti aiuti per chi fa figli. Per tutti, perché ormai i distinguo non giovano a nulla. Chi fa un figlio va addirittura premiato, non solo agevolato e men che meno ignorato con qualche buffetto sulle guance. Senza nuove generazioni non c’è futuro per nessuno. Quindi assegni (di consistenza non ridicola od offensiva) dati ai nuclei familiari per ogni figlio da mantenere. Servizi quali gli asili nido, che è incredibile che latitino ancora in diverse città italiane. Tempi di lavoro che siano flessibili non solo per le esigenze familiari, ma anche in considerazione del fatto che il lavoro stesso è cambiato: non siamo più da tempo nel Novecento, c’è Internet, il telelavoro, l’esigenza di risultati e non di cartellini timbrati. E tanto altro. Ma già se arrivasse un investimento economico rilevante, ci baceremmo i gomiti: abbiamo privilegiato pensionati e monopattini, è ora di guardare anche al futuro. Nicola Salvagnin]]>

Glielo spieghiamo noi, a Mario Draghi, come si possano efficacemente investire alcuni miliardi dei tanti in arrivo con il Recovery Fund; un investimento a medio-lungo termine che sicuramente darà frutti positivi e copiosi. Insomma, punti un gettone bello e corposo sulla famiglia, sulla natalità. Sembra che ci abbia per ora ascoltato, visto che ha confermato sia il ministero per la Famiglia, sia la titolare che l’occupava in precedenza e che si stava dando da fare per un riordino delle misure anche economiche di sostegno a chi, oggi, ha ancora il coraggio di sposarsi e di fare figli. Ecco, partiamo da qui. Le statistiche ci dicono che l’anno del Covid ha pure sterminato le promesse nuziali: nella mia città si sono quasi dimezzate, toccando il minimo storico da quando il Comune elabora le sue statistiche. Figli? Lasciamo perdere. Il ritmo è tale che tra alcuni decenni la popolazione sarà quasi dimezzata, se la dinamica non cambia. Fa specie l’età media in cui si fa dalle mie parti il primo figlio: 34 anni le madri italiane, 37 anni i padri… Insomma siamo nella parte finale della fertilità della donna, diventa un’impresa arrivare al secondogenito e chi ha due figli fa già parte da tempo del club delle “famiglie numerose”. Ecco: il legislatore sembra finalmente preoccuparsi dello tsunami più grande che sta investendo la società italiana, provando a turare alcune falle. Aiuti economici ce ne sono già oggi, ma sono frastagliati, confusi, spesso iniqui, sempre insufficienti. La classica selva di piantine che non faranno mai un bosco, nemmeno piccolo. Da qui l’esigenza anzitutto di un riordino che porti a pochi, ma consistenti aiuti per chi fa figli. Per tutti, perché ormai i distinguo non giovano a nulla. Chi fa un figlio va addirittura premiato, non solo agevolato e men che meno ignorato con qualche buffetto sulle guance. Senza nuove generazioni non c’è futuro per nessuno. Quindi assegni (di consistenza non ridicola od offensiva) dati ai nuclei familiari per ogni figlio da mantenere. Servizi quali gli asili nido, che è incredibile che latitino ancora in diverse città italiane. Tempi di lavoro che siano flessibili non solo per le esigenze familiari, ma anche in considerazione del fatto che il lavoro stesso è cambiato: non siamo più da tempo nel Novecento, c’è Internet, il telelavoro, l’esigenza di risultati e non di cartellini timbrati. E tanto altro. Ma già se arrivasse un investimento economico rilevante, ci baceremmo i gomiti: abbiamo privilegiato pensionati e monopattini, è ora di guardare anche al futuro. Nicola Salvagnin]]>
La forza di Draghi. Forse https://www.lavoce.it/la-forza-di-draghi-forse/ Thu, 18 Feb 2021 18:08:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59267 Logo rubrica Il punto

Il governo Draghi, entrato in carica in questi giorni, si appoggia su una coalizione così larga quale non si era mai vista dagli anni del dopoguerra; e questa è certamente la sua forza. Però, a ben vedere, è anche un motivo di debolezza. Ma è una debolezza che può a sua volta diventare un punto di forza. Sto confondendo le idee?... Cerco di spiegare. L’ampiezza della coalizione - testimoniata dalla presenza di ministri e sottosegretari di tante forze politiche - garantisce al Governo il pronto consenso del Parlamento a tutte le proposte che farà, e lo mette al riparo dalle insidie e dai ricatti di gruppuscoli, cani sciolti e franchi tiratori che rendono stentata la vita dei Governi con margini di maggioranza troppo ristretti. Ricordiamo quando per il governo Prodi poteva essere determinante il voto del senatore Turigliatto e per quello Conte il voto del senatore Ciampolillo. Però, una maggioranza molto ampia può essere anche un motivo di debolezza, se - come ora - è anche eterogenea, composta di forze politiche che si detestano reciprocamente, hanno idee diverse su tutto e alle prossime elezioni si faranno la guerra. Ci vorrà tutta l’autorevolezza e l’abilità di Draghi per combinare qualcosa. Da questo punto di vista era di gran lunga migliore la condizione dei passati Governi “tecnici”, soprattutto quello di Ciampi; anche per la straordinaria qualità dei suoi ministri. Questa palese debolezza del governo Draghi può convertirsi, paradossalmente, in un fattore di forza? Può sembrare strano, ma direi di sì. Perché Draghi, in questa situazione, concentrerà l’azione del Governo sui problemi di emergenza, che richiedono una risposta immediata ed efficace - quelli per i quali il Governo è nato e sui quali sarà più facile raggiungere un accordo -, lasciando nel cassetto tutte le altre questioni sulle quali i partiti si dividerebbero per tener fede alle rispettive posizioni politiche. Occupandosi di poche cose, per quanto gravi o gravissime, almeno quelle il Governo le condurrà in porto. Sono troppo ottimista? Assediati come siamo dalle “varianti” esotiche del virus, ci tocca essere ottimisti per forza.]]>
Logo rubrica Il punto

Il governo Draghi, entrato in carica in questi giorni, si appoggia su una coalizione così larga quale non si era mai vista dagli anni del dopoguerra; e questa è certamente la sua forza. Però, a ben vedere, è anche un motivo di debolezza. Ma è una debolezza che può a sua volta diventare un punto di forza. Sto confondendo le idee?... Cerco di spiegare. L’ampiezza della coalizione - testimoniata dalla presenza di ministri e sottosegretari di tante forze politiche - garantisce al Governo il pronto consenso del Parlamento a tutte le proposte che farà, e lo mette al riparo dalle insidie e dai ricatti di gruppuscoli, cani sciolti e franchi tiratori che rendono stentata la vita dei Governi con margini di maggioranza troppo ristretti. Ricordiamo quando per il governo Prodi poteva essere determinante il voto del senatore Turigliatto e per quello Conte il voto del senatore Ciampolillo. Però, una maggioranza molto ampia può essere anche un motivo di debolezza, se - come ora - è anche eterogenea, composta di forze politiche che si detestano reciprocamente, hanno idee diverse su tutto e alle prossime elezioni si faranno la guerra. Ci vorrà tutta l’autorevolezza e l’abilità di Draghi per combinare qualcosa. Da questo punto di vista era di gran lunga migliore la condizione dei passati Governi “tecnici”, soprattutto quello di Ciampi; anche per la straordinaria qualità dei suoi ministri. Questa palese debolezza del governo Draghi può convertirsi, paradossalmente, in un fattore di forza? Può sembrare strano, ma direi di sì. Perché Draghi, in questa situazione, concentrerà l’azione del Governo sui problemi di emergenza, che richiedono una risposta immediata ed efficace - quelli per i quali il Governo è nato e sui quali sarà più facile raggiungere un accordo -, lasciando nel cassetto tutte le altre questioni sulle quali i partiti si dividerebbero per tener fede alle rispettive posizioni politiche. Occupandosi di poche cose, per quanto gravi o gravissime, almeno quelle il Governo le condurrà in porto. Sono troppo ottimista? Assediati come siamo dalle “varianti” esotiche del virus, ci tocca essere ottimisti per forza.]]>
Questa settimana su La Voce: https://www.lavoce.it/questa-settimana-su-la-voce-3/ Thu, 18 Feb 2021 18:04:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59245

Questo e tanto altro nel numero di questa settimana. Leggilo in edizione digitale.

l’editoriale

Sobrietà e concretezza

di Daniele Morini “Abbiamo seguito con trepidazione e preoccupazione gli sviluppi della recente crisi politica, ben sapendo che l’Italia ha bisogno di unire le forze per affrontare le pesanti, persino tragiche, ricadute della pandemia da Covid-19”. Inizia con queste parole il messaggio di auguri, più appassionato che rituale, che il card. Gualtiero Bassetti ha rivolto al nuovo presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi. L’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve ricorda …

Focus

Il senso di quei riti

di Francesco Verzini La Quaresima ha inizio il Mercoledì delle ceneri, giorno in cui si compie il rito di imposizione delle ceneri nella celebrazione eucaristica, e si conclude il Giovedì santo quando ha inizio il Triduo pasquale. Nelle Norme generali...

La forza (?) di Draghi

di Pier Giorgio Lignani Il governo Draghi, entrato in carica in questi giorni, si appoggia su una coalizione così larga quale non si era mai vista dagli anni del dopoguerra; e questa è certamente la sua forza. Però...

Accade in Myanmar

di Tonio Dell’Olio Le notizie dal Myanmar arrivano con il contagocce. L’informazione è tra i primi diritti che vengono repressi. Anche il traffico della rete internet è stato oscurato. I generali sembrano aver dichiarato guerra agli abitanti del Paese perché il dissenso tra la popolazione...

Nel giornale

Disagio senza limiti di età

Ormai tutte le categorie sociali e le età sono pesantemente nel “mirino” del virus. La famigerata variante inglese, oltre che più rapida, attacca anche più facilmente le nuove generazioni. Con il risultato che diventa sempre più difficile pianificare azioni di contenimento che salvaguardino l’economia, ma anche il benessere psicofisico delle persone. Intanto però monta l’esasperazione tra mondo della scuola, assistenza agli anziani, possibilità delle famiglie di tenere a casa i figli anche piccoli. La voce dei sindacati e della gente.

Quaresima

La Quaresima nel messaggio di Papa Francesco, intitolato “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme…” (Mt 20,18). Bergoglio indica che “la via della povertà e della privazione (il digiuno), lo sguardo e i gesti d’amore per l’uomo ferito (l’elemosina) e il dialogo filiale con il Padre (la preghiera) ci permettono di incarnare una fede sincera, una speranza viva e una carità operosa”

Dialogo / islam

Scompare, vittima del Covid, l’imam di Perugia, Abdel Qader. È stato definito così: “Da vero credente e uomo di preghiera, ha testimoniato la pace e l’amore fra gli uomini. Tante volte abbiamo insieme condiviso le gioie, le sofferenze e i drammi della nostra gente, soprattutto dei poveri e degli ultimi”. Parole del card. Gualtiero Bassetti

Educazione / sport

In attesa di ripartire con l’attività sportiva, educativa e formativa, il Csi - Centro sportiva italiano rinnova i suoi vertici in Umbria. Alessandro Rossi è stato eletto presidente regionale: ai nostri “microfoni” racconta i progetti in cui si investono tempo ed energie

Sovvenire

In allegato con questo numero de La Voce l’opuscolo con i bilanci delle diocesi umbre (dopo la presentazione sarà pubblicato anche sul sito del Sovvenire Umbria) sul modo in cui sono stati impiegati i fondi derivanti dall’8xmille. Un’operazione trasparenza che si collega strettamente al valore cristiano della carità. Si noteranno cifre di assoluto rilievo. A favore di una società sempre più provata dalla crisi, tutti “soldi spesi bene”.]]>

Questo e tanto altro nel numero di questa settimana. Leggilo in edizione digitale.

l’editoriale

Sobrietà e concretezza

di Daniele Morini “Abbiamo seguito con trepidazione e preoccupazione gli sviluppi della recente crisi politica, ben sapendo che l’Italia ha bisogno di unire le forze per affrontare le pesanti, persino tragiche, ricadute della pandemia da Covid-19”. Inizia con queste parole il messaggio di auguri, più appassionato che rituale, che il card. Gualtiero Bassetti ha rivolto al nuovo presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi. L’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve ricorda …

Focus

Il senso di quei riti

di Francesco Verzini La Quaresima ha inizio il Mercoledì delle ceneri, giorno in cui si compie il rito di imposizione delle ceneri nella celebrazione eucaristica, e si conclude il Giovedì santo quando ha inizio il Triduo pasquale. Nelle Norme generali...

La forza (?) di Draghi

di Pier Giorgio Lignani Il governo Draghi, entrato in carica in questi giorni, si appoggia su una coalizione così larga quale non si era mai vista dagli anni del dopoguerra; e questa è certamente la sua forza. Però...

Accade in Myanmar

di Tonio Dell’Olio Le notizie dal Myanmar arrivano con il contagocce. L’informazione è tra i primi diritti che vengono repressi. Anche il traffico della rete internet è stato oscurato. I generali sembrano aver dichiarato guerra agli abitanti del Paese perché il dissenso tra la popolazione...

Nel giornale

Disagio senza limiti di età

Ormai tutte le categorie sociali e le età sono pesantemente nel “mirino” del virus. La famigerata variante inglese, oltre che più rapida, attacca anche più facilmente le nuove generazioni. Con il risultato che diventa sempre più difficile pianificare azioni di contenimento che salvaguardino l’economia, ma anche il benessere psicofisico delle persone. Intanto però monta l’esasperazione tra mondo della scuola, assistenza agli anziani, possibilità delle famiglie di tenere a casa i figli anche piccoli. La voce dei sindacati e della gente.

Quaresima

La Quaresima nel messaggio di Papa Francesco, intitolato “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme…” (Mt 20,18). Bergoglio indica che “la via della povertà e della privazione (il digiuno), lo sguardo e i gesti d’amore per l’uomo ferito (l’elemosina) e il dialogo filiale con il Padre (la preghiera) ci permettono di incarnare una fede sincera, una speranza viva e una carità operosa”

Dialogo / islam

Scompare, vittima del Covid, l’imam di Perugia, Abdel Qader. È stato definito così: “Da vero credente e uomo di preghiera, ha testimoniato la pace e l’amore fra gli uomini. Tante volte abbiamo insieme condiviso le gioie, le sofferenze e i drammi della nostra gente, soprattutto dei poveri e degli ultimi”. Parole del card. Gualtiero Bassetti

Educazione / sport

In attesa di ripartire con l’attività sportiva, educativa e formativa, il Csi - Centro sportiva italiano rinnova i suoi vertici in Umbria. Alessandro Rossi è stato eletto presidente regionale: ai nostri “microfoni” racconta i progetti in cui si investono tempo ed energie

Sovvenire

In allegato con questo numero de La Voce l’opuscolo con i bilanci delle diocesi umbre (dopo la presentazione sarà pubblicato anche sul sito del Sovvenire Umbria) sul modo in cui sono stati impiegati i fondi derivanti dall’8xmille. Un’operazione trasparenza che si collega strettamente al valore cristiano della carità. Si noteranno cifre di assoluto rilievo. A favore di una società sempre più provata dalla crisi, tutti “soldi spesi bene”.]]>
Sobrietà e concretezza https://www.lavoce.it/sobrieta-e-concretezza-governo-draghi/ Thu, 18 Feb 2021 17:19:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59246 vita

“Abbiamo seguito con trepidazione e preoccupazione gli sviluppi della recente crisi politica, ben sapendo che l’Italia ha bisogno di unire le forze per affrontare le pesanti, persino tragiche, ricadute della pandemia da Covid-19”. Inizia con queste parole il messaggio di auguri, più appassionato che rituale, che il card. Gualtiero Bassetti ha rivolto al nuovo presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi. L’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve ricorda al professore che già a fine gennaio ai Vescovi italiani aveva parlato dell’emergenza come causa di molteplici “fratture”: sanitarie, sociali, economiche, educative. Una scintilla che ha incendiato l’Italia e il mondo intero, generando nuove e diffuse povertà. Il presidente della Cei segnala al nuovo primo ministro la necessità di fare attenzione alle persone e alle famiglie “maggiormente segnate dalla sofferenza, dalla precarietà e dalla crisi economica”. Come giustamente sottolinea il cardinale Bassetti, la Chiesa italiana mostra di apprezzare l’orizzonte politico europeo del nuovo Governo, lo sguardo rivolto alla solidarietà tra le Nazioni, la pace, lo sviluppo sostenibile e la giustizia sociale. Una linea che mostra continuità - evidenzia il Cardinale - con i precedenti incarichi di Mario Draghi e che traspare dalle sue prime parole di questi giorni: sobrie, nitide e concrete.

La nostra speranza è che …

Ora, la speranza è quella che le varie forze politiche che si sono messe a disposizione del presidente del Consiglio lo facciano con sincerità e con altrettanta concretezza. Non con l’atteggiamento di chi oggi mostra disponibilità e responsabilità nei confronti del nuovo Governo, salvo poi - domani - considerare Draghi il capro espiatorio per tutti i “mali” del nostro Paese, appena torna a soffiare il vento di una prossima consultazione elettorale. All’Italia non servono “cavalli da corsa” quando si aprono le urne. Tutti noi abbiamo bisogno di chi tira il “carretto”, anzi questo fardello pesantissimo, adesso. E i cattolici italiani sono pronti, a tutti i livelli, a fare la loro parte. “La Chiesa che è in Italia - conclude gli auguri il card. Bassetti - sarà un interlocutore attento e collaborativo, come sempre avvenuto, nel rispetto delle reciproche competenze”.]]>
vita

“Abbiamo seguito con trepidazione e preoccupazione gli sviluppi della recente crisi politica, ben sapendo che l’Italia ha bisogno di unire le forze per affrontare le pesanti, persino tragiche, ricadute della pandemia da Covid-19”. Inizia con queste parole il messaggio di auguri, più appassionato che rituale, che il card. Gualtiero Bassetti ha rivolto al nuovo presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi. L’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve ricorda al professore che già a fine gennaio ai Vescovi italiani aveva parlato dell’emergenza come causa di molteplici “fratture”: sanitarie, sociali, economiche, educative. Una scintilla che ha incendiato l’Italia e il mondo intero, generando nuove e diffuse povertà. Il presidente della Cei segnala al nuovo primo ministro la necessità di fare attenzione alle persone e alle famiglie “maggiormente segnate dalla sofferenza, dalla precarietà e dalla crisi economica”. Come giustamente sottolinea il cardinale Bassetti, la Chiesa italiana mostra di apprezzare l’orizzonte politico europeo del nuovo Governo, lo sguardo rivolto alla solidarietà tra le Nazioni, la pace, lo sviluppo sostenibile e la giustizia sociale. Una linea che mostra continuità - evidenzia il Cardinale - con i precedenti incarichi di Mario Draghi e che traspare dalle sue prime parole di questi giorni: sobrie, nitide e concrete.

La nostra speranza è che …

Ora, la speranza è quella che le varie forze politiche che si sono messe a disposizione del presidente del Consiglio lo facciano con sincerità e con altrettanta concretezza. Non con l’atteggiamento di chi oggi mostra disponibilità e responsabilità nei confronti del nuovo Governo, salvo poi - domani - considerare Draghi il capro espiatorio per tutti i “mali” del nostro Paese, appena torna a soffiare il vento di una prossima consultazione elettorale. All’Italia non servono “cavalli da corsa” quando si aprono le urne. Tutti noi abbiamo bisogno di chi tira il “carretto”, anzi questo fardello pesantissimo, adesso. E i cattolici italiani sono pronti, a tutti i livelli, a fare la loro parte. “La Chiesa che è in Italia - conclude gli auguri il card. Bassetti - sarà un interlocutore attento e collaborativo, come sempre avvenuto, nel rispetto delle reciproche competenze”.]]>
Questa settimana su La Voce: Covid nella Rsa di Fontenuovo, Governo Draghi, Colf e badanti in tempo di pandemia https://www.lavoce.it/questa-settimana-su-la-voce-2/ Thu, 11 Feb 2021 16:26:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59134

Questo e tanto altro nel numero di questa settimana. Leggilo in edizione digitale.

l'editoriale

Questione di fiducia

di Stefano De Martis In questo periodo d’incertezza e di preoccupazioni, in tanti hanno riposto la loro fiducia nelle scelte del capo dello Stato, nella sua capacità di individuare la strada migliore per il Paese. Fiducia non solo per il suo ruolo istituzionale, che alla luce della Costituzione si manifesta con particolare evidenza proprio nel caso di una crisi di governo, ma anche per la stima nella persona che quel ruolo sta ricoprendo in questi anni così travagliati eppure così desiderosi di futuro. Ancora una volta …

Focus

Le Ceneri ai tempi del Covid

di Francesco Verzini La Quaresima è alle porte e, nonostante le restrizioni atte a contenere il contagio da Covid-19, anche quest’anno verrà inaugurata dal rito dell’imposizione delle ceneri nel Mercoledì che prende il nome dal proprio da questo rito, che si compie nella celebrazione eucaristica. Ma, nell’anno ancora segnato dall’emergenza sanitaria, si dovrà tener conto di alcuni accorgimenti dettati…

Zaki: omissione di soccorso

di Tonio Dell’Olio Patrick Zaki non è l’unica persona al mondo privata ingiustamente della sua libertà; ma, siccome abbiamo conosciuto da vicino la vittima di questa sciagura, chiediamo giustizia per lui per ricordare anche l’immensa folla dei difensori della libertà e dei diritti umani che, in mille prigioni del mondo, sono umiliati e offesi nel corpo e nell’anima. Ai cittadini liberi spetta il dovere...

Nel giornale

Malati dimenticati

È paradossale, se non peggio, che si creino “guerre tra poveri”, nel senso di persone che soffrono una qualunque forma di disagio. L’11 febbraio, anniversario delle apparizioni di Lourdes, ricorre la Giornata mondiale del malato. Di ogni malato. Ma in questo momento, come denunciano diverse categorie, l’emergenza Covid sta facendo trascurare patologie anche gravissime, a cominciare dai tumori. Tra i mille lati drammatici del contagio, poi, il fatto che sul “banco degli imputati” siano finite Rsa come Fontenuovo di Perugia. Indaghiamo su cos’è davvero successo.

CORONAVIRUS

Praticamente tutta l’Umbria è finita in zona rossa. Una scelta “dolorosa ma necessaria” l’ha definita la presidente Tesei. I dolori non sono però solo quelli dei pazienti. Le strutture ospedaliere sono in sofferenza, il personale medico insufficiente e ormai stremato...

COLF/BADANTI

Resta alto il numero di lavoratrici domestiche in nero, ma c’è stato un boom di assunzioni. Non per generosità, a essere sinceri, ma per evitare che una badante “non giustificata” venga bloccata a causa delle regole sugli spostamenti. Intervista alla responsabile Acli Colf di Perugia

CHIESA ITALIANA

Portare avanti l’insegnamento del Concilio, ha detto Papa Francesco ai catechisti. Non dovrebbe essere ovvio, dopo oltre mezzo secolo? Evidentemente no, e non tanto per carenze sui singoli temi quanto sullo “stile” complessivo, che oggi chiamiamo sinodalità. Così ora il Papa e il card. Bassetti pensano al Sinodo della Chiesa italiana

POLITICA

Mentre nella maggioranza regionale si scopre qualche ruggine, arriva anche in Umbria il nuovo partito di ispirazione cattolica. Si tratta di “Insieme”, nato inizialmente nel 2019 come movimento di opinione capitanato da intellettuali come Stefano Zamagni e Leonardo Becchetti. Intervista al coordinatore Giuseppe Cardinali Questo e tanto altro nel numero di questa settimana. Leggilo in edizione digitale.  ]]>

Questo e tanto altro nel numero di questa settimana. Leggilo in edizione digitale.

l'editoriale

Questione di fiducia

di Stefano De Martis In questo periodo d’incertezza e di preoccupazioni, in tanti hanno riposto la loro fiducia nelle scelte del capo dello Stato, nella sua capacità di individuare la strada migliore per il Paese. Fiducia non solo per il suo ruolo istituzionale, che alla luce della Costituzione si manifesta con particolare evidenza proprio nel caso di una crisi di governo, ma anche per la stima nella persona che quel ruolo sta ricoprendo in questi anni così travagliati eppure così desiderosi di futuro. Ancora una volta …

Focus

Le Ceneri ai tempi del Covid

di Francesco Verzini La Quaresima è alle porte e, nonostante le restrizioni atte a contenere il contagio da Covid-19, anche quest’anno verrà inaugurata dal rito dell’imposizione delle ceneri nel Mercoledì che prende il nome dal proprio da questo rito, che si compie nella celebrazione eucaristica. Ma, nell’anno ancora segnato dall’emergenza sanitaria, si dovrà tener conto di alcuni accorgimenti dettati…

Zaki: omissione di soccorso

di Tonio Dell’Olio Patrick Zaki non è l’unica persona al mondo privata ingiustamente della sua libertà; ma, siccome abbiamo conosciuto da vicino la vittima di questa sciagura, chiediamo giustizia per lui per ricordare anche l’immensa folla dei difensori della libertà e dei diritti umani che, in mille prigioni del mondo, sono umiliati e offesi nel corpo e nell’anima. Ai cittadini liberi spetta il dovere...

Nel giornale

Malati dimenticati

È paradossale, se non peggio, che si creino “guerre tra poveri”, nel senso di persone che soffrono una qualunque forma di disagio. L’11 febbraio, anniversario delle apparizioni di Lourdes, ricorre la Giornata mondiale del malato. Di ogni malato. Ma in questo momento, come denunciano diverse categorie, l’emergenza Covid sta facendo trascurare patologie anche gravissime, a cominciare dai tumori. Tra i mille lati drammatici del contagio, poi, il fatto che sul “banco degli imputati” siano finite Rsa come Fontenuovo di Perugia. Indaghiamo su cos’è davvero successo.

CORONAVIRUS

Praticamente tutta l’Umbria è finita in zona rossa. Una scelta “dolorosa ma necessaria” l’ha definita la presidente Tesei. I dolori non sono però solo quelli dei pazienti. Le strutture ospedaliere sono in sofferenza, il personale medico insufficiente e ormai stremato...

COLF/BADANTI

Resta alto il numero di lavoratrici domestiche in nero, ma c’è stato un boom di assunzioni. Non per generosità, a essere sinceri, ma per evitare che una badante “non giustificata” venga bloccata a causa delle regole sugli spostamenti. Intervista alla responsabile Acli Colf di Perugia

CHIESA ITALIANA

Portare avanti l’insegnamento del Concilio, ha detto Papa Francesco ai catechisti. Non dovrebbe essere ovvio, dopo oltre mezzo secolo? Evidentemente no, e non tanto per carenze sui singoli temi quanto sullo “stile” complessivo, che oggi chiamiamo sinodalità. Così ora il Papa e il card. Bassetti pensano al Sinodo della Chiesa italiana

POLITICA

Mentre nella maggioranza regionale si scopre qualche ruggine, arriva anche in Umbria il nuovo partito di ispirazione cattolica. Si tratta di “Insieme”, nato inizialmente nel 2019 come movimento di opinione capitanato da intellettuali come Stefano Zamagni e Leonardo Becchetti. Intervista al coordinatore Giuseppe Cardinali Questo e tanto altro nel numero di questa settimana. Leggilo in edizione digitale.  ]]>
Questione di fiducia https://www.lavoce.it/questione-di-fiducia/ Thu, 11 Feb 2021 16:04:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59135 Mario Draghi

In questo periodo d’incertezza e di preoccupazioni, in tanti hanno riposto la loro fiducia nelle scelte del capo dello Stato, nella sua capacità di individuare la strada migliore per il Paese. Fiducia non solo per il suo ruolo istituzionale, che alla luce della Costituzione si manifesta con particolare evidenza proprio nel caso di una crisi di governo, ma anche per la stima nella persona che quel ruolo sta ricoprendo in questi anni così travagliati eppure così desiderosi di futuro. Ancora una volta questa fiducia è stata ben riposta perché Sergio Mattarella è riuscito a sbloccare una situazione che sembrava incartata al punto da non avere altro sbocco possibile che le elezioni anticipate. Evento che sarebbe stato incompatibile con le tre emergenze in atto – sanitaria, economica e sociale – come lo stesso Presidente ha tenuto a documentare. E che avrebbe esposto il Paese, già colpito dalla brusca interruzione – in piena pandemia – dell’attività del governo precedente, a rischi incalcolabili.

Tre governi

È la terza volta che in questa legislatura il capo dello Stato si trova alle prese con la nascita di un nuovo esecutivo. La prima è stata subito dopo le elezioni del marzo 2018, il cui esito aveva determinato un completo sconvolgimento degli equilibri parlamentari tradizionali. La seconda è stata nell’estate del 2019, in seguito all’improvviso smarcamento del leader della Lega, Matteo Salvini, dalla maggioranza giallo-verde. La terza è cronaca di queste settimane, con la decisione di Matteo Renzi di portare Italia Viva fuori dalla coalizione su cui poggiava il secondo governo Conte, l’esecutivo che si è trovato a fronteggiare la tragedia della pandemia. In tutti e tre i casi, pur nella diversità delle situazioni, Mattarella ha seguito un percorso limpido, esplorando personalmente e attraverso incarichi ad hoc tutte le soluzioni teoricamente in campo. Ha dato tempo o ha pressato gli interlocutori avendo come unica bussola gli interessi del Paese.

E ora Draghi

Stavolta, di fronte al consumarsi di tutte le ragionevoli combinazioni parlamentari e allo stallo tra i partiti, ha dovuto assumere direttamente un’iniziativa, facendo appello a tutte le forze politiche. Nel lessico corrente si parla di “governo del Presidente” proprio perché sua è l’iniziativa originaria. Ma ogni governo che si costituisce diventa sempre un governo del Parlamento perché è lì che trova la sua legittimazione democratica attraverso la “fiducia” espressa dai rappresentanti dei cittadini. Questo vale anche per il governo Draghi, che nasce circondato da grandi attese dentro e fuori l’Italia, data l’esperienza, la competenza e l’indiscusso prestigio internazionale del premier. La speranza è che sia messo nelle condizioni di lavorare efficacemente e per il tempo necessario. Le “gravi emergenze non rinviabili” che hanno spinto il capo dello Stato ha chiamarlo dalle “riserve” della Repubblica interpellano la responsabilità di tutti. Stefano De Martis]]>
Mario Draghi

In questo periodo d’incertezza e di preoccupazioni, in tanti hanno riposto la loro fiducia nelle scelte del capo dello Stato, nella sua capacità di individuare la strada migliore per il Paese. Fiducia non solo per il suo ruolo istituzionale, che alla luce della Costituzione si manifesta con particolare evidenza proprio nel caso di una crisi di governo, ma anche per la stima nella persona che quel ruolo sta ricoprendo in questi anni così travagliati eppure così desiderosi di futuro. Ancora una volta questa fiducia è stata ben riposta perché Sergio Mattarella è riuscito a sbloccare una situazione che sembrava incartata al punto da non avere altro sbocco possibile che le elezioni anticipate. Evento che sarebbe stato incompatibile con le tre emergenze in atto – sanitaria, economica e sociale – come lo stesso Presidente ha tenuto a documentare. E che avrebbe esposto il Paese, già colpito dalla brusca interruzione – in piena pandemia – dell’attività del governo precedente, a rischi incalcolabili.

Tre governi

È la terza volta che in questa legislatura il capo dello Stato si trova alle prese con la nascita di un nuovo esecutivo. La prima è stata subito dopo le elezioni del marzo 2018, il cui esito aveva determinato un completo sconvolgimento degli equilibri parlamentari tradizionali. La seconda è stata nell’estate del 2019, in seguito all’improvviso smarcamento del leader della Lega, Matteo Salvini, dalla maggioranza giallo-verde. La terza è cronaca di queste settimane, con la decisione di Matteo Renzi di portare Italia Viva fuori dalla coalizione su cui poggiava il secondo governo Conte, l’esecutivo che si è trovato a fronteggiare la tragedia della pandemia. In tutti e tre i casi, pur nella diversità delle situazioni, Mattarella ha seguito un percorso limpido, esplorando personalmente e attraverso incarichi ad hoc tutte le soluzioni teoricamente in campo. Ha dato tempo o ha pressato gli interlocutori avendo come unica bussola gli interessi del Paese.

E ora Draghi

Stavolta, di fronte al consumarsi di tutte le ragionevoli combinazioni parlamentari e allo stallo tra i partiti, ha dovuto assumere direttamente un’iniziativa, facendo appello a tutte le forze politiche. Nel lessico corrente si parla di “governo del Presidente” proprio perché sua è l’iniziativa originaria. Ma ogni governo che si costituisce diventa sempre un governo del Parlamento perché è lì che trova la sua legittimazione democratica attraverso la “fiducia” espressa dai rappresentanti dei cittadini. Questo vale anche per il governo Draghi, che nasce circondato da grandi attese dentro e fuori l’Italia, data l’esperienza, la competenza e l’indiscusso prestigio internazionale del premier. La speranza è che sia messo nelle condizioni di lavorare efficacemente e per il tempo necessario. Le “gravi emergenze non rinviabili” che hanno spinto il capo dello Stato ha chiamarlo dalle “riserve” della Repubblica interpellano la responsabilità di tutti. Stefano De Martis]]>
Don Augusto: ecco Mario Draghi “cittadino” di Città della Pieve https://www.lavoce.it/don-augusto-ecco-mario-draghi-cittadino-di-citta-della-pieve/ Fri, 31 Jul 2020 06:00:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57602

È stata salutata con gioia e soddisfazione a Città della Pieve la notizia della recente nomina di Mario Draghi a membro della Pontificia Accademia delle Scienze sociali da parte di papa Francesco. L’ex presidente della Bce ed ex governatore della Banca d’Italia, nato a Roma nel 1947, è umbro e pievese di adozione, come lo definisce mons. Augusto Panzanelli, parroco di Moiano e canonico della cattedrale di Perugia e della concattedrale di Città della Pieve. In una intervista a Umbria Radio InBlu il sacerdote spiega perché questa nota personalità può essere definita tale. “Il professor Draghi ha scelto come sua residenza non estiva ma di riposo e nelle festività – sottolineato il sacerdote – la nostra Città della Pieve, un “rifugio” da tutti i suoi impegni. Papa Francesco l’ha nominato membro di questa prestigiosa Istituzione della Santa Sede e questo inorgoglisce Città della Pieve ed anche la nostra comunità diocesana».

Don Augusto: Mario Draghi? Molto riservato …

Il parroco di Moiano conosce personalmente Mario Draghi, definendolo “una persona che fa vita sociale molto ritirata, non tende a mettersi in evidenza, anzi cerca di fare la vita più semplice possibile. Quando è a Città della Pieve non di rado lo si incontra a fare la spesa, senza nessuna pretesa di essere “un personaggio’”. Nel contempo, aggiunge don Augusto, “non rinuncia ai doveri di cristiano, partecipando alla messa festiva, andando spesso al prefestivo o al vespertino domenicale. È un uomo di fede e partecipare alla vita comunitaria dei fedeli è il primo passo importante per tutti, anche per Mario Draghi. Si interessa delle attività della parrocchia e dei lavori che si fanno per custodire al meglio il ricco patrimonio ecclesiale di opere d’arte. Non esita a compiere gesti di carità e solidarietà e a sostenere iniziative anche di carattere sociale e culturale promosse dalla Chiesa. Basti pensare che di recente ha voluto contribuire alla raccolta fondi per il restauro dell’antico organo della concattedrale dei Ss. Gervasio e Protasio, opera voluta dal parroco ed arciprete don Simone Sorbaioli. Ci auguriamo che l’inaugurazione del restauro dell’organo (in programma a fine agosto, n.d.r.) possa coincidere con uno dei periodici soggiorni pievesi di Draghi, così da poterlo invitare a questo atteso evento della nostra estate”.

… ma anche disponibile

“Se gli si chiede aiuto – prosegue nel racconto don Panzanelli – non si tira indietro. Il professor Draghi era venuto a Città della Pieve quando era al vertice della Banca d’Italia e partecipò volentieri al 50° anniversario della fondazione della Cassa rurale di Moiano, presenziando alla cerimonia. Io ed altri membri del Consiglio di amministrazione della Cassa fummo da lui premiati con una medaglia per la lunga presenza nel locale istituto di credito”.

Il territorio della Pieve scelto da altri personaggi famosi

Alla domanda sul perché Mario Draghi abbia scelto Città della Pieve, don Augusto non esita a rispondere: “Credo per un’affezione alla nostra terra, lui che è romano di nascita, ma ha studiato a Firenze. Probabilmente per questa affinità al limite fra la Valdichiana del Granducato fiorentino e la Valdichiana romana. Draghi nella nostra cittadina, che è un po’ a cavallo fra le due regioni, ha trovato il suo ambiente ideale per riposarsi. Nella nostra zona, fino alla collina opposta del Monte Cetona, ci sono stati diversi personaggi famosi. Ad esempio, negli anni ’90 c’era Valentino, lo stilista”. Ripercorrendo brevemente la biografia del professor Draghi, mons. Panzanelli fa notare che l’ex presidente della Bce ha un po’ bruciato le tappe della sua carriera universitaria, diventando ordinario di Economia e di Politica monetaria presso l’Alfieri di Firenze all’età di 34 anni, oltre ad essere un raffinato uomo di cultura. Le opere del Perugino e di altri artisti del Rinascimento, che fanno di Città della Pieve un prezioso scrigno d’arte e di storia, avranno richiamato non poco l’attenzione di Draghi e inciso nella sua scelta, oltre al paesaggio umbro-toscano con le dolci e verdi colline, vera oasi di pace e tranquillità non molto distante da Roma.

Un augurio a Draghi

Don Augusto Panzanelli rivolge un augurio al professor Draghi: “che possa rispondere alle aspettative del Papa nell’averlo nominato membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Questo Papa ci sorprende continuamente – commenta il sacerdote –, perché fa delle scelte particolari, ha rotto certi equilibri, è uscito da certi confini e spesso sceglie anche nella collaborazione personaggi che ci potrebbero sembrare un po’ al limite del mondo della fede, ma che di solito fanno sempre colpo”. “La santità - aggiunge Panzanelli - è anche fuori dalle sagrestie, una santità che dobbiamo scoprire. E forse Draghi è uno che non passa troppo tempo in sagrestia, però è molto sensibile a quelli che sono i problemi umani. Questo l’abbiamo potuto constatare quando è stato presidente della Bce, anche nei confronti della nostra nazione, nei confronti degli ultimi”. Non a caso è stata accreditata a Draghi l’espressione “bazooka”, per ogni suo provvedimento a sostegno delle economie dei singoli Paesi Ue, in particolare di quelle in difficoltà.]]>

È stata salutata con gioia e soddisfazione a Città della Pieve la notizia della recente nomina di Mario Draghi a membro della Pontificia Accademia delle Scienze sociali da parte di papa Francesco. L’ex presidente della Bce ed ex governatore della Banca d’Italia, nato a Roma nel 1947, è umbro e pievese di adozione, come lo definisce mons. Augusto Panzanelli, parroco di Moiano e canonico della cattedrale di Perugia e della concattedrale di Città della Pieve. In una intervista a Umbria Radio InBlu il sacerdote spiega perché questa nota personalità può essere definita tale. “Il professor Draghi ha scelto come sua residenza non estiva ma di riposo e nelle festività – sottolineato il sacerdote – la nostra Città della Pieve, un “rifugio” da tutti i suoi impegni. Papa Francesco l’ha nominato membro di questa prestigiosa Istituzione della Santa Sede e questo inorgoglisce Città della Pieve ed anche la nostra comunità diocesana».

Don Augusto: Mario Draghi? Molto riservato …

Il parroco di Moiano conosce personalmente Mario Draghi, definendolo “una persona che fa vita sociale molto ritirata, non tende a mettersi in evidenza, anzi cerca di fare la vita più semplice possibile. Quando è a Città della Pieve non di rado lo si incontra a fare la spesa, senza nessuna pretesa di essere “un personaggio’”. Nel contempo, aggiunge don Augusto, “non rinuncia ai doveri di cristiano, partecipando alla messa festiva, andando spesso al prefestivo o al vespertino domenicale. È un uomo di fede e partecipare alla vita comunitaria dei fedeli è il primo passo importante per tutti, anche per Mario Draghi. Si interessa delle attività della parrocchia e dei lavori che si fanno per custodire al meglio il ricco patrimonio ecclesiale di opere d’arte. Non esita a compiere gesti di carità e solidarietà e a sostenere iniziative anche di carattere sociale e culturale promosse dalla Chiesa. Basti pensare che di recente ha voluto contribuire alla raccolta fondi per il restauro dell’antico organo della concattedrale dei Ss. Gervasio e Protasio, opera voluta dal parroco ed arciprete don Simone Sorbaioli. Ci auguriamo che l’inaugurazione del restauro dell’organo (in programma a fine agosto, n.d.r.) possa coincidere con uno dei periodici soggiorni pievesi di Draghi, così da poterlo invitare a questo atteso evento della nostra estate”.

… ma anche disponibile

“Se gli si chiede aiuto – prosegue nel racconto don Panzanelli – non si tira indietro. Il professor Draghi era venuto a Città della Pieve quando era al vertice della Banca d’Italia e partecipò volentieri al 50° anniversario della fondazione della Cassa rurale di Moiano, presenziando alla cerimonia. Io ed altri membri del Consiglio di amministrazione della Cassa fummo da lui premiati con una medaglia per la lunga presenza nel locale istituto di credito”.

Il territorio della Pieve scelto da altri personaggi famosi

Alla domanda sul perché Mario Draghi abbia scelto Città della Pieve, don Augusto non esita a rispondere: “Credo per un’affezione alla nostra terra, lui che è romano di nascita, ma ha studiato a Firenze. Probabilmente per questa affinità al limite fra la Valdichiana del Granducato fiorentino e la Valdichiana romana. Draghi nella nostra cittadina, che è un po’ a cavallo fra le due regioni, ha trovato il suo ambiente ideale per riposarsi. Nella nostra zona, fino alla collina opposta del Monte Cetona, ci sono stati diversi personaggi famosi. Ad esempio, negli anni ’90 c’era Valentino, lo stilista”. Ripercorrendo brevemente la biografia del professor Draghi, mons. Panzanelli fa notare che l’ex presidente della Bce ha un po’ bruciato le tappe della sua carriera universitaria, diventando ordinario di Economia e di Politica monetaria presso l’Alfieri di Firenze all’età di 34 anni, oltre ad essere un raffinato uomo di cultura. Le opere del Perugino e di altri artisti del Rinascimento, che fanno di Città della Pieve un prezioso scrigno d’arte e di storia, avranno richiamato non poco l’attenzione di Draghi e inciso nella sua scelta, oltre al paesaggio umbro-toscano con le dolci e verdi colline, vera oasi di pace e tranquillità non molto distante da Roma.

Un augurio a Draghi

Don Augusto Panzanelli rivolge un augurio al professor Draghi: “che possa rispondere alle aspettative del Papa nell’averlo nominato membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Questo Papa ci sorprende continuamente – commenta il sacerdote –, perché fa delle scelte particolari, ha rotto certi equilibri, è uscito da certi confini e spesso sceglie anche nella collaborazione personaggi che ci potrebbero sembrare un po’ al limite del mondo della fede, ma che di solito fanno sempre colpo”. “La santità - aggiunge Panzanelli - è anche fuori dalle sagrestie, una santità che dobbiamo scoprire. E forse Draghi è uno che non passa troppo tempo in sagrestia, però è molto sensibile a quelli che sono i problemi umani. Questo l’abbiamo potuto constatare quando è stato presidente della Bce, anche nei confronti della nostra nazione, nei confronti degli ultimi”. Non a caso è stata accreditata a Draghi l’espressione “bazooka”, per ogni suo provvedimento a sostegno delle economie dei singoli Paesi Ue, in particolare di quelle in difficoltà.]]>
Cercasi premier competente per la ripartenza. Mario Draghi? https://www.lavoce.it/premier-per-la-ripartenza-mario-draghi/ https://www.lavoce.it/premier-per-la-ripartenza-mario-draghi/#comments Tue, 21 Apr 2020 13:21:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56915 Mario Draghi

Mi dichiaro subito: sono un patito della competenza. Per questo mi sento di dire che per far ripartire il sistema economico italiano serve un nuovo governo. Ma soprattutto un nuovo premier. Per me, Mario Draghi. Non si tratta di scegliere tra morire di coronavirus o di fame. Si tratta di affrontare entrambe le emergenze con le 'armi' più adeguate. E con le persone maggiormente all'altezza della gravità - estrema, in entrambi i casi - della situazione e delle sue conseguenze. Draghi sul dopo-contagio dell'economia, italiana ed europea, da tempo ha chiaramente e autorevolmente detto la sua, richiamando i governi ad "agire subito, di fronte a una tragedia umana di proporzioni bibliche". La pandemia ha quasi del tutto azzerato il convincimento diffuso ad arte da alcune forze politiche che uno valesse uno. Finché va tutto bene, sono messaggi che si possono lanciare, contando sulla superficialità o sulla distrazione di chi li riceve. Quando però è in atto una tragedia, tutti - anche coloro che fino a un minuto prima consideravano competenza e preparazione come privilegi acquisiti chissà con quali sotterfugi - invocano l'esperto. Colui che ne sa di più e che può fornire ricette efficaci. Sotto il profilo sanitario, ormai da mesi gli scienziati, i ricercatori, i medici sono - ovviamente, e fortunatamente - al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica intera.

Nulla è cambiato nei e tra i partiti

Valutando il comportamento delle forze politiche - tutte - degli ultimi giorni e settimane, con il Paese in quarantena - non sembra che l'emergenza sanitaria abbia influito più di tanto sui loro atteggiamenti. Le polemiche dentro e tra gli schieramenti non si attenuano (nei Cinquestelle è in atto una spaccatura che farà presto a diventare scissione), i personalismi non si placano (cosa sono, se non questo, le critiche di Renzi a Conte?), gli stereotipi con cui si approcciano i problemi non si modificano. Tanto che viene da pensare a una reale incapacità di cambiare schemi e approcci, mediatici e progettuali, rispetto a una realtà imprevista e ad un futuro tutt'altro che roseo. Il tutto condito da approssimazione e confusione. Come si spiegano altrimenti - tanto per fare alcuni esempi - la miriade di ordinanze regionali che vanno a modificare anche in modo sostanziale molte direttive del Governo nazionale sulla gestione dell'emergenza sanitaria? O, dal punto di vista più propriamente politico, come si può valutare se non con i criteri della confusione ideologica e dell'approssimazione propagandistica, il voto - frammentato al punto da risultare autolesionistico - espresso dai partiti italiani di maggioranza e opposizione al Parlamento europeo sulla risoluzione che riguardava gli aiuti per la ripartenza? Le polemiche tra regioni del Nord e del Sud sono sterili, inconcludenti. Non risolvono mezzo problema e fanno riferimento a schematismi partitici che con la pandemia in atto risultano totalmente fuori contesto. Visto tutto ciò, e valutando il disastro economico che il contagio si porta dietro, pare da escludere che la forze politiche attualmente sulla scena riescano a compiere quel passo in più verso la coesione che servirebbe come successe dopo l'ultima guerra e negli anni del terrorismo per far ripartire il Paese. Con altri partiti. Soprattutto con altri leader. Per l'economia, come per la salute, si dovrà affrontare un'emergenza di dimensioni epocali. Alle forze politiche va chiesto un bagno di umiltà e una temporanea rinuncia alla ricerca del consenso fine a se stessa. Garantendo un comune sostegno al lavoro di un 'esperto', riconosciuto e stimato, della materia come ha dimostrato di essere Draghi.

Serve un leader per il dopo virus

D'altronde lo si fece anche nel 2011, quando lo spread era oltre 500 e il sistema economico italiano rischiava il collasso. Quello di Mario Monti fu un Governo 'tutto tecnico'. La maggioranza dei partiti diede 'obtorto collo' l'appoggio per riportare la disastrata barca italiana in galleggiamento. Con Draghi - come si ipotizza in alcuni ambienti politici - si potrebbe utilizzare il 'modello Ciampi', in base al quale il premier sceglie i ministri ed i partiti i sottosegretari. Serve un leader che, per il Paese del dopo-virus, abbia al contempo una visione chiara delle cose da fare e il carisma adeguato per attuarle. Non pochi osservatori ritengono che anche al Quirinale si stia valutando questa ipotesi. Daris Giancarlini]]>
Mario Draghi

Mi dichiaro subito: sono un patito della competenza. Per questo mi sento di dire che per far ripartire il sistema economico italiano serve un nuovo governo. Ma soprattutto un nuovo premier. Per me, Mario Draghi. Non si tratta di scegliere tra morire di coronavirus o di fame. Si tratta di affrontare entrambe le emergenze con le 'armi' più adeguate. E con le persone maggiormente all'altezza della gravità - estrema, in entrambi i casi - della situazione e delle sue conseguenze. Draghi sul dopo-contagio dell'economia, italiana ed europea, da tempo ha chiaramente e autorevolmente detto la sua, richiamando i governi ad "agire subito, di fronte a una tragedia umana di proporzioni bibliche". La pandemia ha quasi del tutto azzerato il convincimento diffuso ad arte da alcune forze politiche che uno valesse uno. Finché va tutto bene, sono messaggi che si possono lanciare, contando sulla superficialità o sulla distrazione di chi li riceve. Quando però è in atto una tragedia, tutti - anche coloro che fino a un minuto prima consideravano competenza e preparazione come privilegi acquisiti chissà con quali sotterfugi - invocano l'esperto. Colui che ne sa di più e che può fornire ricette efficaci. Sotto il profilo sanitario, ormai da mesi gli scienziati, i ricercatori, i medici sono - ovviamente, e fortunatamente - al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica intera.

Nulla è cambiato nei e tra i partiti

Valutando il comportamento delle forze politiche - tutte - degli ultimi giorni e settimane, con il Paese in quarantena - non sembra che l'emergenza sanitaria abbia influito più di tanto sui loro atteggiamenti. Le polemiche dentro e tra gli schieramenti non si attenuano (nei Cinquestelle è in atto una spaccatura che farà presto a diventare scissione), i personalismi non si placano (cosa sono, se non questo, le critiche di Renzi a Conte?), gli stereotipi con cui si approcciano i problemi non si modificano. Tanto che viene da pensare a una reale incapacità di cambiare schemi e approcci, mediatici e progettuali, rispetto a una realtà imprevista e ad un futuro tutt'altro che roseo. Il tutto condito da approssimazione e confusione. Come si spiegano altrimenti - tanto per fare alcuni esempi - la miriade di ordinanze regionali che vanno a modificare anche in modo sostanziale molte direttive del Governo nazionale sulla gestione dell'emergenza sanitaria? O, dal punto di vista più propriamente politico, come si può valutare se non con i criteri della confusione ideologica e dell'approssimazione propagandistica, il voto - frammentato al punto da risultare autolesionistico - espresso dai partiti italiani di maggioranza e opposizione al Parlamento europeo sulla risoluzione che riguardava gli aiuti per la ripartenza? Le polemiche tra regioni del Nord e del Sud sono sterili, inconcludenti. Non risolvono mezzo problema e fanno riferimento a schematismi partitici che con la pandemia in atto risultano totalmente fuori contesto. Visto tutto ciò, e valutando il disastro economico che il contagio si porta dietro, pare da escludere che la forze politiche attualmente sulla scena riescano a compiere quel passo in più verso la coesione che servirebbe come successe dopo l'ultima guerra e negli anni del terrorismo per far ripartire il Paese. Con altri partiti. Soprattutto con altri leader. Per l'economia, come per la salute, si dovrà affrontare un'emergenza di dimensioni epocali. Alle forze politiche va chiesto un bagno di umiltà e una temporanea rinuncia alla ricerca del consenso fine a se stessa. Garantendo un comune sostegno al lavoro di un 'esperto', riconosciuto e stimato, della materia come ha dimostrato di essere Draghi.

Serve un leader per il dopo virus

D'altronde lo si fece anche nel 2011, quando lo spread era oltre 500 e il sistema economico italiano rischiava il collasso. Quello di Mario Monti fu un Governo 'tutto tecnico'. La maggioranza dei partiti diede 'obtorto collo' l'appoggio per riportare la disastrata barca italiana in galleggiamento. Con Draghi - come si ipotizza in alcuni ambienti politici - si potrebbe utilizzare il 'modello Ciampi', in base al quale il premier sceglie i ministri ed i partiti i sottosegretari. Serve un leader che, per il Paese del dopo-virus, abbia al contempo una visione chiara delle cose da fare e il carisma adeguato per attuarle. Non pochi osservatori ritengono che anche al Quirinale si stia valutando questa ipotesi. Daris Giancarlini]]>
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Economia. Davvero la soluzione alla crisi è stampare soldi? https://www.lavoce.it/economia-soluzione-stampare-moneta/ https://www.lavoce.it/economia-soluzione-stampare-moneta/#comments Sun, 05 Apr 2020 14:39:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56744 Logo rubrica Il punto

Di giorno in giorno il Governo è costretto a varare nuovi finanziamenti, per diecine o centinaia di miliardi di euro: per la sanità, per le imprese, per le famiglie rimaste senza reddito. In una rincorsa senza fine, se il Governo promette 100, le opposizioni chiedono 200; se il Governo promette 200, chiedono 300... tanto, mica tocca a loro trovare i soldi. Salvini, poi, ha trovato la soluzione: se i soldi mancano, stampateli! Che idea geniale, perché non ci ha pensato nessuno? In verità, perfino la Banca centrale europea lo fa già. Il famoso whatever it takes, “tutto quello che ci vuole”, di Draghi significa proprio questo: creare liquidità da girare agli Stati in difficoltà sotto forma di acquisto dei loro buoni del Tesoro (titoli di debito). Fino a che lo Stato italiano aveva il governo della propria moneta, ha stampato denaro massicciamente. Purtroppo è una pratica che va fatta con molto giudizio, perché stampare denaro (tecnicamente: mettere in circolazione nuova liquidità cui non corrisponde un incremento della ricchezza collettiva in termini reali) produce inflazione e svalutazione. E cioè, circola più denaro, ma vale di meno. In particolare si svalutano i risparmi, le pensioni e gli stipendi dei lavoratori a reddito fisso. In Italia abbiamo vissuto queste esperienze per decenni, quando la lira si svalutava del 10 per cento all’anno e anche più. E se non si sta attenti, il meccanismo sfugge di mano e va avanti a valanga, da solo. Nella storia c’è un caso famoso ma non unico: quello della Germania fra il 1919 e il 1923. Cominciarono a stampare moneta per rimborsare i titoli che avevano emesso per finanziare la guerra (perduta). Andò a finire che nel 1923, per comprare quello che nel 1919 costava un marco, ce ne volevano mille miliardi (non scherzo!). Poiché non esistevano carte di credito o altri ritrovati del genere, le persone andavano a fare la spesa con una carriola piena di banconote, e cercavano di spenderle subito, perché già il giorno dopo il loro valore sarebbe svanito. Questo succede con la politica della spesa troppo facile. In economia, i demagoghi sono una piaga. Pier Giorgio Lignani]]>
Logo rubrica Il punto

Di giorno in giorno il Governo è costretto a varare nuovi finanziamenti, per diecine o centinaia di miliardi di euro: per la sanità, per le imprese, per le famiglie rimaste senza reddito. In una rincorsa senza fine, se il Governo promette 100, le opposizioni chiedono 200; se il Governo promette 200, chiedono 300... tanto, mica tocca a loro trovare i soldi. Salvini, poi, ha trovato la soluzione: se i soldi mancano, stampateli! Che idea geniale, perché non ci ha pensato nessuno? In verità, perfino la Banca centrale europea lo fa già. Il famoso whatever it takes, “tutto quello che ci vuole”, di Draghi significa proprio questo: creare liquidità da girare agli Stati in difficoltà sotto forma di acquisto dei loro buoni del Tesoro (titoli di debito). Fino a che lo Stato italiano aveva il governo della propria moneta, ha stampato denaro massicciamente. Purtroppo è una pratica che va fatta con molto giudizio, perché stampare denaro (tecnicamente: mettere in circolazione nuova liquidità cui non corrisponde un incremento della ricchezza collettiva in termini reali) produce inflazione e svalutazione. E cioè, circola più denaro, ma vale di meno. In particolare si svalutano i risparmi, le pensioni e gli stipendi dei lavoratori a reddito fisso. In Italia abbiamo vissuto queste esperienze per decenni, quando la lira si svalutava del 10 per cento all’anno e anche più. E se non si sta attenti, il meccanismo sfugge di mano e va avanti a valanga, da solo. Nella storia c’è un caso famoso ma non unico: quello della Germania fra il 1919 e il 1923. Cominciarono a stampare moneta per rimborsare i titoli che avevano emesso per finanziare la guerra (perduta). Andò a finire che nel 1923, per comprare quello che nel 1919 costava un marco, ce ne volevano mille miliardi (non scherzo!). Poiché non esistevano carte di credito o altri ritrovati del genere, le persone andavano a fare la spesa con una carriola piena di banconote, e cercavano di spenderle subito, perché già il giorno dopo il loro valore sarebbe svanito. Questo succede con la politica della spesa troppo facile. In economia, i demagoghi sono una piaga. Pier Giorgio Lignani]]>
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CORONAVIRUS. Dopo il nobile gesto dell’Albania https://www.lavoce.it/coronavirus-gesto-albania/ Thu, 02 Apr 2020 11:00:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56725

Gli albanesi non dimenticano. I tedeschi, a quanto pare, sì.

Non si tratta di fare classifiche di ‘buoni’ e ‘cattivi’, ma di valutare comportamenti per programmare meglio, e con maggiore acume, il futuro. L’attuale leader dell’Albania, che invia in Italia 30 tra medici e infermieri sulla “linea del fuoco” dell’ospedale di Brescia, spiega la sua decisione. Il suo è un Paese “povero, ma che non dimentica” quanto fatto dall’Italia all’inizio degli anni Novanta, con l’operazione ‘Pellicano’, per aiutare un Paese che usciva povero e lacerato da una lunga e devastante dittatura di stampo comunista. Il discorso fatto dal leader Edi Rama, nella breve cerimonia che ha accompagnato la partenza del personale sanitario albanese, condiviso da tutte le forze politiche italiane. Che magari potrebbero trarre spunto non soltanto per la scelta della parole, davvero calibrate e incisive, ma anche e soprattutto per la passione che dovrebbe guidare l’operato di chi ha in mano le sorti dell’opinione pubblica. Qui risulta quanto meno superfluo distinguere tra maggioranza e opposizione.

L'emergenza non ha confini

Se si continuasse a ragionare con il criterio della contrapposizione aprioristica, si commetterebbe lo stesso errore che sta ispirando le nazioni del Nord come Olanda, Austria e Finlandia, con in testa la Germania di Angela Merkel. Non sono infatti bastati i richiami di personalità come lo stesso Papa Francesco e del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per far comprendere che la pandemia deve spingerci, tutti, a cambiare le chiavi di lettura e di comportamento. Perché è, nel contempo, emergenza sanitaria ed economica; che non conosce frontiere e confini. E purtroppo colpirà in modo indiscriminato in ogni zona del pianeta. “Nessuno si salva da solo” hanno ripetuto il Pontefice e il Capo dello Stato. Questo vale sia per la salute sia per la produzione, il lavoro, la tenuta sociale. Pare che questi autorevoli richiami a fare fronte comune non siano stati ben compresi da chi, in un primo tempo a livello europeo, ha tentato di trattare l’epidemia in Italia come un caso isolato. Un segnale di consapevolezza, in verità, dopo le prime titubanze, lo ha mandato la Banca centrale europea. La Banca ha stanziato un cifra consistente per assorbire il necessario debito che l’Italia. Dovrà impegnarsi ad affrontare per resistere ai colpi devastanti del virus sul tessuto economico. Ma su un’assunzione di responsabilità collettiva, sul piano finanziario, degli oneri di quella che dovrà essere una vera ricostruzione, con tratti post-bellici, delle singole economie, la Germania e gli altri suoi accoliti nordici hanno preso tempo. Molto per l’atavica loro prevenzione verso l’approccio - a loro dire - da ‘cicale’ dei Paesi mediterranei sull’equilibrio finanziario interno. Molto anche per una connaturata loro inclinazione ad anteporre le ragioni del portafoglio a quelle del cuore.

Il "Non italiano"

Non sembra aver fatto breccia neanche l’intervento di quel Mario Draghi che, da presidente della Bce, salvò la moneta unica europea acquistando per anni titoli di credito dei singoli Stati membri dell’Unione. Draghi colui che gli americani definivano Unitalian, il ‘Non italiano’, per il suo approccio poco passionale ma molto diretto ai problemi economici. Draghi non ha usato giri di parole: “Bisogna agire subito, perché questa è una guerra. Va data liquidità nel sistema, senza preoccuparsi del debito pubblico. Perché la recessione post-pandemia sarà profonda e rischia di essere la tomba dell’Europa”. Una responsabilità, quella di far affondare il progetto di Unione europea, che peserà tutta sulle spalle di chi, sottraendosi a una solidarietà probabilmente fuori dalle sue corde etiche, dimostra di non possedere la preveggenza necessaria per progettare un futuro in cui nessuno - non soltanto l’Italia - potrà salvarsi da solo. Eppure la Germania si dovrebbe ricordare del 1953. Ben 20 creditori stranieri (tra cui la Grecia) per aiutarla a uscire dalle macerie della guerra le cancellarono il 46% del debito pre-bellico e il 52 di quello post-bellico. “La Storia non ha nascondigli, la Storia non passa la mano” recita un verso di una canzone di De Gregori. Viene il tempo, sempre, in cui per le proprie scelte si devono fare i conti con la Storia. Per ora, i conti vanno fatti con il contagio. Daris Giancarlini]]>

Gli albanesi non dimenticano. I tedeschi, a quanto pare, sì.

Non si tratta di fare classifiche di ‘buoni’ e ‘cattivi’, ma di valutare comportamenti per programmare meglio, e con maggiore acume, il futuro. L’attuale leader dell’Albania, che invia in Italia 30 tra medici e infermieri sulla “linea del fuoco” dell’ospedale di Brescia, spiega la sua decisione. Il suo è un Paese “povero, ma che non dimentica” quanto fatto dall’Italia all’inizio degli anni Novanta, con l’operazione ‘Pellicano’, per aiutare un Paese che usciva povero e lacerato da una lunga e devastante dittatura di stampo comunista. Il discorso fatto dal leader Edi Rama, nella breve cerimonia che ha accompagnato la partenza del personale sanitario albanese, condiviso da tutte le forze politiche italiane. Che magari potrebbero trarre spunto non soltanto per la scelta della parole, davvero calibrate e incisive, ma anche e soprattutto per la passione che dovrebbe guidare l’operato di chi ha in mano le sorti dell’opinione pubblica. Qui risulta quanto meno superfluo distinguere tra maggioranza e opposizione.

L'emergenza non ha confini

Se si continuasse a ragionare con il criterio della contrapposizione aprioristica, si commetterebbe lo stesso errore che sta ispirando le nazioni del Nord come Olanda, Austria e Finlandia, con in testa la Germania di Angela Merkel. Non sono infatti bastati i richiami di personalità come lo stesso Papa Francesco e del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per far comprendere che la pandemia deve spingerci, tutti, a cambiare le chiavi di lettura e di comportamento. Perché è, nel contempo, emergenza sanitaria ed economica; che non conosce frontiere e confini. E purtroppo colpirà in modo indiscriminato in ogni zona del pianeta. “Nessuno si salva da solo” hanno ripetuto il Pontefice e il Capo dello Stato. Questo vale sia per la salute sia per la produzione, il lavoro, la tenuta sociale. Pare che questi autorevoli richiami a fare fronte comune non siano stati ben compresi da chi, in un primo tempo a livello europeo, ha tentato di trattare l’epidemia in Italia come un caso isolato. Un segnale di consapevolezza, in verità, dopo le prime titubanze, lo ha mandato la Banca centrale europea. La Banca ha stanziato un cifra consistente per assorbire il necessario debito che l’Italia. Dovrà impegnarsi ad affrontare per resistere ai colpi devastanti del virus sul tessuto economico. Ma su un’assunzione di responsabilità collettiva, sul piano finanziario, degli oneri di quella che dovrà essere una vera ricostruzione, con tratti post-bellici, delle singole economie, la Germania e gli altri suoi accoliti nordici hanno preso tempo. Molto per l’atavica loro prevenzione verso l’approccio - a loro dire - da ‘cicale’ dei Paesi mediterranei sull’equilibrio finanziario interno. Molto anche per una connaturata loro inclinazione ad anteporre le ragioni del portafoglio a quelle del cuore.

Il "Non italiano"

Non sembra aver fatto breccia neanche l’intervento di quel Mario Draghi che, da presidente della Bce, salvò la moneta unica europea acquistando per anni titoli di credito dei singoli Stati membri dell’Unione. Draghi colui che gli americani definivano Unitalian, il ‘Non italiano’, per il suo approccio poco passionale ma molto diretto ai problemi economici. Draghi non ha usato giri di parole: “Bisogna agire subito, perché questa è una guerra. Va data liquidità nel sistema, senza preoccuparsi del debito pubblico. Perché la recessione post-pandemia sarà profonda e rischia di essere la tomba dell’Europa”. Una responsabilità, quella di far affondare il progetto di Unione europea, che peserà tutta sulle spalle di chi, sottraendosi a una solidarietà probabilmente fuori dalle sue corde etiche, dimostra di non possedere la preveggenza necessaria per progettare un futuro in cui nessuno - non soltanto l’Italia - potrà salvarsi da solo. Eppure la Germania si dovrebbe ricordare del 1953. Ben 20 creditori stranieri (tra cui la Grecia) per aiutarla a uscire dalle macerie della guerra le cancellarono il 46% del debito pre-bellico e il 52 di quello post-bellico. “La Storia non ha nascondigli, la Storia non passa la mano” recita un verso di una canzone di De Gregori. Viene il tempo, sempre, in cui per le proprie scelte si devono fare i conti con la Storia. Per ora, i conti vanno fatti con il contagio. Daris Giancarlini]]>
POLITICA. Perché a Salvini fa comodo non mollare https://www.lavoce.it/politica-salvini-non-mollare/ Fri, 14 Jun 2019 10:56:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54712 salvini

di Daris Giancarlini

Si era auto-proclamato “avvocato del popolo”, nella sua prima dichiarazione pubblica, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte; quello che Papa Francesco, nella conferenza stampa in aereo di ritorno dal suo ultimo viaggio all’estero, ha definito, con intento positivo, “professore”.

Ha trascorso i primi mesi a palazzo Chigi, il premier chiamato su quella poltrona dal Movimento 5 stelle, a cercare di dare spessore al proprio ruolo (un imitatore lo rappresentava in tv senza volto...).

Poi si sono susseguiti diversi appuntamenti elettorali in cui, specialmente con le europee e le amministrative, si è materializzato un perfetto ribaltamento delle proporzioni di consenso delle due forze di maggioranza, a tutto vantaggio della Lega. Così quello stesso premier che doveva bilanciare in un primo momento il cammino di governo evitando scivolamenti verso i grillini, si è trovato con una Lega e soprattutto un Matteo Salvini debordante, spesso nelle vesti di vero premier ‘in pectore’.

Mutate le proporzioni di consenso, Conte si è trovato rivoluzionata l’agenda di governo, con temi connotati più dal colore verde leghista che da quello giallo dei grillini. Da lì la sua poltrona si è fatta scomoda; ma nel contempo la sua figura, insieme a quella del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, è diventata il punto di riferimento del Quirinale e del presidente della Bce, Mario Draghi, per calmierare le esuberanze soprattutto anti-Ue della coppia Salvini-Di Maio.

I due vice premier (ai quali Conte aveva pubblicamente fatto pervenire una sorta di ultimatum, non di grande effetto finora) dopo le scaramucce pre-voto, sembrano aver ritrovato un’intesa su alcune problematiche, dal decreto sicurezza bis al salario minimo: una rinnovata ‘liason’ che sembra avere come bersaglio proprio Conte, inaspettatamente europeista e uomo delle istituzioni. “Per proteggere i risparmi degli italiani”, dice il ‘nuovo’ premier: come programma di governo, non è questione da poco.

Il suo riferimento è soprattutto alla questione dei “minibot”, questo strumento finanziario per pagare i debiti della pubblica amministrazione proposto dalla Lega (e votato distrattamente da tutto il Parlamento, opposizioni comprese), che Conte (con Tria e Draghi) adesso avversa, ma che aveva ben presente, avendo letto questa proposta in quel contratto di governo che lui stesso si era impegnato a realizzare “punto per punto”.

Dunque, dopo il Governo ‘dei due governi’ dei mesi scorsi, adesso ne abbiamo tre, contando anche quello del premier? È probabile: il punto vero è quanto potrà andare avanti questa situazione, in una maggioranza in cui Di Maio, dopo lo scivolamento a sinistra a tutto uso elettoralistico, ha compiuto un’inversione completa a U, tanto che i cinquestelle sono in procinto di costituire un gruppo al Parlamento europeo con il partito della Brexit di Farage.

Ma soprattutto, i tempi di durata saranno determinati da un Salvini che, pur avendo tutte carte vincenti in mano, al momento non ha alcuna intenzione di strappare. Anche per non mettere il proprio timbro sulla gestione dei conti pubblici italiani. Quindi, paradosso dopo paradosso, Conte resterà premier grazie proprio a quel Salvini restio a stravincere. Per quanto ancora, non si sa.

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salvini

di Daris Giancarlini

Si era auto-proclamato “avvocato del popolo”, nella sua prima dichiarazione pubblica, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte; quello che Papa Francesco, nella conferenza stampa in aereo di ritorno dal suo ultimo viaggio all’estero, ha definito, con intento positivo, “professore”.

Ha trascorso i primi mesi a palazzo Chigi, il premier chiamato su quella poltrona dal Movimento 5 stelle, a cercare di dare spessore al proprio ruolo (un imitatore lo rappresentava in tv senza volto...).

Poi si sono susseguiti diversi appuntamenti elettorali in cui, specialmente con le europee e le amministrative, si è materializzato un perfetto ribaltamento delle proporzioni di consenso delle due forze di maggioranza, a tutto vantaggio della Lega. Così quello stesso premier che doveva bilanciare in un primo momento il cammino di governo evitando scivolamenti verso i grillini, si è trovato con una Lega e soprattutto un Matteo Salvini debordante, spesso nelle vesti di vero premier ‘in pectore’.

Mutate le proporzioni di consenso, Conte si è trovato rivoluzionata l’agenda di governo, con temi connotati più dal colore verde leghista che da quello giallo dei grillini. Da lì la sua poltrona si è fatta scomoda; ma nel contempo la sua figura, insieme a quella del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, è diventata il punto di riferimento del Quirinale e del presidente della Bce, Mario Draghi, per calmierare le esuberanze soprattutto anti-Ue della coppia Salvini-Di Maio.

I due vice premier (ai quali Conte aveva pubblicamente fatto pervenire una sorta di ultimatum, non di grande effetto finora) dopo le scaramucce pre-voto, sembrano aver ritrovato un’intesa su alcune problematiche, dal decreto sicurezza bis al salario minimo: una rinnovata ‘liason’ che sembra avere come bersaglio proprio Conte, inaspettatamente europeista e uomo delle istituzioni. “Per proteggere i risparmi degli italiani”, dice il ‘nuovo’ premier: come programma di governo, non è questione da poco.

Il suo riferimento è soprattutto alla questione dei “minibot”, questo strumento finanziario per pagare i debiti della pubblica amministrazione proposto dalla Lega (e votato distrattamente da tutto il Parlamento, opposizioni comprese), che Conte (con Tria e Draghi) adesso avversa, ma che aveva ben presente, avendo letto questa proposta in quel contratto di governo che lui stesso si era impegnato a realizzare “punto per punto”.

Dunque, dopo il Governo ‘dei due governi’ dei mesi scorsi, adesso ne abbiamo tre, contando anche quello del premier? È probabile: il punto vero è quanto potrà andare avanti questa situazione, in una maggioranza in cui Di Maio, dopo lo scivolamento a sinistra a tutto uso elettoralistico, ha compiuto un’inversione completa a U, tanto che i cinquestelle sono in procinto di costituire un gruppo al Parlamento europeo con il partito della Brexit di Farage.

Ma soprattutto, i tempi di durata saranno determinati da un Salvini che, pur avendo tutte carte vincenti in mano, al momento non ha alcuna intenzione di strappare. Anche per non mettere il proprio timbro sulla gestione dei conti pubblici italiani. Quindi, paradosso dopo paradosso, Conte resterà premier grazie proprio a quel Salvini restio a stravincere. Per quanto ancora, non si sa.

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Elezioni 2018. Se Moro e Berlinguer… https://www.lavoce.it/elezioni-2018-moro-berlinguer/ Tue, 08 May 2018 11:24:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51836

di Daris Giancarlini

Nell’attuale fase della politica italiana, a due mesi esatti dal voto, la parola-chiave di ogni confronto su eventuali maggioranze da formare per governare il Paese dovrebbe essere “responsabilità”.

Perché incombono importanti appuntamenti internazionali, perché il debito pubblico continua a essere una sorta di nodo scorsoio, e perché la rassicurante e decisiva presenza di Mario Draghi al vertice della Banca centrale europea non sarà eterna. Già queste tre problematiche dovrebbero bastare a piegare e condizionare qualsiasi ragionamento delle tre principali forze in campo a quella responsabilità nei confronti dei cittadini che fa scalare in secondo piano l’interesse di parte, per far primeggiare il bene comune, anche a costo di perdere consenso. È chiedere troppo, a una generazione politica che sembra mettere la maggior parte dell’impegno a far accrescere quel rancore sociale che il Censis ha ufficializzato come registro principale dell’Italia odierna? Intanto questi due mesi sono trascorsi a dire “no, tu no”: Di Maio lo dice a Berlusconi, Salvini lo oppone al Pd, che - a sua volta - loribadisce agli altri due (con qualche cedimento, dopo l’esplorazione del presidente della Camera, Roberto Fico). Si dice: chi si è insultato per anni, in maniera viscerale e persino violenta nel linguaggio, come può pensare di costruire un accordo per governare? Osservazione sacrosanta, ma che con la politica, la vera politica, ha poco a che fare. Perché comunisti e democristiani, nel dopoguerra, si insultavano senza ritegno, per non parlare delle aggressioni fisiche; ma i loro leader, quando si trattò di fare il bene degli italiani, trovarono più di un punto di convergenza. E così successe, almeno nella teoria, tra Moro e Berlinguer negli anni Settanta. I quali non si sognarono mai di denigrare a “inciucio” la parola “compromesso”, che è il sale, l’essenza della politica. Ed ebbero il coraggio di rischiare di perdere il consenso della propria base, pur di realizzare ciò che ritenevano giusto per garantire democrazia e libertà.

Riscoprire questo coraggio potrebbe essere decisivo, per sbloccare la situazione. Basta essere responsabili.

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di Daris Giancarlini

Nell’attuale fase della politica italiana, a due mesi esatti dal voto, la parola-chiave di ogni confronto su eventuali maggioranze da formare per governare il Paese dovrebbe essere “responsabilità”.

Perché incombono importanti appuntamenti internazionali, perché il debito pubblico continua a essere una sorta di nodo scorsoio, e perché la rassicurante e decisiva presenza di Mario Draghi al vertice della Banca centrale europea non sarà eterna. Già queste tre problematiche dovrebbero bastare a piegare e condizionare qualsiasi ragionamento delle tre principali forze in campo a quella responsabilità nei confronti dei cittadini che fa scalare in secondo piano l’interesse di parte, per far primeggiare il bene comune, anche a costo di perdere consenso. È chiedere troppo, a una generazione politica che sembra mettere la maggior parte dell’impegno a far accrescere quel rancore sociale che il Censis ha ufficializzato come registro principale dell’Italia odierna? Intanto questi due mesi sono trascorsi a dire “no, tu no”: Di Maio lo dice a Berlusconi, Salvini lo oppone al Pd, che - a sua volta - loribadisce agli altri due (con qualche cedimento, dopo l’esplorazione del presidente della Camera, Roberto Fico). Si dice: chi si è insultato per anni, in maniera viscerale e persino violenta nel linguaggio, come può pensare di costruire un accordo per governare? Osservazione sacrosanta, ma che con la politica, la vera politica, ha poco a che fare. Perché comunisti e democristiani, nel dopoguerra, si insultavano senza ritegno, per non parlare delle aggressioni fisiche; ma i loro leader, quando si trattò di fare il bene degli italiani, trovarono più di un punto di convergenza. E così successe, almeno nella teoria, tra Moro e Berlinguer negli anni Settanta. I quali non si sognarono mai di denigrare a “inciucio” la parola “compromesso”, che è il sale, l’essenza della politica. Ed ebbero il coraggio di rischiare di perdere il consenso della propria base, pur di realizzare ciò che ritenevano giusto per garantire democrazia e libertà.

Riscoprire questo coraggio potrebbe essere decisivo, per sbloccare la situazione. Basta essere responsabili.

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E la montagna del debito? https://www.lavoce.it/la-montagna-del-debito/ Wed, 21 Feb 2018 15:23:09 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51256 di Nicola Salvagnin

C’è san Mario sul nostro calendario? Non ci fosse (ma c’è: 19 gennaio), bisognerebbe inserire il nome del Mario che sta da anni salvando l’Italia alla guida della banca che gestisce l’euro, la Bce. Parliamo di Draghi perché nel 2019 lascerà appunto sia la prestigiosissima poltrona, sia una strategia monetaria che ha consentito appunto a tutti i Paesi della zona euro di passare indenni attraverso la peggiore crisi economico-finanziaria che memoria umana ricordi.

Lo ha fatto con una frase in inglese (whatever it takes) e con ciò che ne è conseguito da quel giorno del luglio 2012: la Bce avrebbe acquistato titoli di Stato della zona euro appunto “finché fosse necessario”. Questo eliminava l’euro dalla giostra della speculazione monetaria, e dava fiato soprattutto agli Stati più indebitati, portando i tassi a zero e il costo del debito pubblico al minimo possibile.

Sottinteso: mentre io faccio questa colossale operazione che “o la va o la spacca” (ed è andata), voi sistemate i fondamentali della vostra economia e affrontate le montagne dei vostri debiti. Quel “voi”, a bene vedere, era un superfluo plurale. Perché il messaggio era indirizzato soprattutto al Paese che aveva e ha un debito pubblico mostruoso e ai limiti del fuori controllo: l’Italia.

È stato ritrovato e soprattutto rispettato il messaggio nella bottiglia? I numeri dicono che no, non è andata proprio così. I Governi che si sono succeduti dal 2012 ad oggi hanno tenuto la “belva” sostanzialmente sotto controllo, hanno goduto dei tanti miliardi di euro di interessi risparmiati, ma non hanno scalfito di un solo sassetto la montagna che incombe sulle nostre teste. L’Italia ha passato la nuttata senza macellerie sociali e senza eccessive lacrime e sangue; ma pure senza aver cambiato di una virgola la sua situazione debitoria.

Il messaggio è stato comunque recepito? Ad ascoltare le promesse di questa campagna elettorale, assolutamente no. Ogni partito, ogni coalizione sta inventandosi modi per spendere ciò che non ha, non preoccupandosi di valutare ciò che troverà in caso di vittoria. O in realtà è un’altra favola all’italiana: prima del voto, frizzi e lazzi; dopo il voto la solita quaresima. Ma uno scarno digiuno ogni tanto non fa diminuire i troppi chili di ciccia che l’Italia ha come una zavorra e che evita come la peste di ridurre, nonostante tutte le prescrizione dei “medici”.

Speriamo che, messi al muro (il successore di Draghi non avrà quelle attenzioni verso l’Italia, e probabilmente sarà tedesco o scelto dai tedeschi), gli italiani inizino a dare il meglio di sé.

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L’editoriale. L’euro è il problema dell’Italia, o viceversa? https://www.lavoce.it/leuro-e-il-problema-dellitalia-o-viceversa-nicola-salvagnin/ Wed, 22 Feb 2017 01:08:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48609 euroMentre in Italia ci sono forze politiche che discutono sull’opportunità che il nostro Paese rimanga dentro la moneta europea – l’euro –, nel resto d’Europa sta montando (e non solo tra gli addetti ai lavori) la discussione sul fatto se l’Italia sia o meno il vero problema dell’euro. Perché il nostro Paese ha tutte le caratteristiche per mandare in crisi la moneta unica e, con essa, le economie di chi l’ha adottata. La crescita economica italiana è la più bassa tra tutti. C’è, ma è minuscola. E non da oggi: l’Italia galleggia da diversi anni, fatica a produrre maggiore ricchezza, ha tassi di disoccupazione quasi inattaccabili. Il debito pubblico è colossale e intoccato.

È vero che da tempo lo Stato spende meno di quanto incassa; ma per il gioco degli interessi da pagare (seppur ridottissimi da un paio d’anni), il debito pubblico non cala di un euro. Anzi. Le storture che impediscono all’Italia di prendere il volo c’erano e ci sono. Tassazione altissima e “asimmetrica”; macchina pubblica farraginosa, complicata e poco produttiva; giustizia che non funziona; stabilità politica quasi inesistente (a quanti Presidenti del Consiglio italiani ha già stretto la mano Angela Merkel?); un Paese diviso in due come sviluppo e qualità di vita. Insomma, l’Italia ha tutte le caratteristiche per diventare un problema.

Quando? Il momento già si conosce: quando la Bce cesserà nel quantitative easing, nell’azione di acquisto di debito pubblico anche italiano, cosa che ci ha consentito di tenere bassissimi i tassi di interesse, cioè il costo del debito stesso. Quest’autunno, è assai probabile che Mario Draghi dica stop. Allora i nostri Btp non avranno più le spalle coperte dal gigante Bce, ma dal solo Governo nostro. Capirai! Ricordate il 2011? Il fatto di essere considerato un problema, è un bel… problema. Basti pensare quando queste vesti sono state indossate dalla Grecia.

E l’autunno minaccia per noi di essere periodo elettorale: significa azione amministrativa tendente allo zero, mesi di chiacchiere, poca chiarezza su chi e come governerà l’Italia poi. Che c’è di meglio – per i grandi investitori finanziari – che alleggerirsi di Bot e Btp, mandando lo spread alle stelle?

Il fatto è che, se l’Italia comincia a ballare, nel ballo trascina con sé tutti gli altri, dai più deboli fino ai più forti. Ecco perché si comincia a guardare a Roma come al “grande malato” dell’euro, come il problema numero uno che non abbozza nemmeno un minimo di soluzioni. Bruxelles ha contestato all’Italia un buco di bilancio di 4 miliardi di euro, un’inezia rispetto all’intera spesa pubblica italiana. Il fatto di aver sottolineato pesantemente l’esistenza di questo buco (“Ma non dovevate fare i bravi?”) e di aver ricevuto come risposta vaghe rassicurazioni ma nessuna chiara decisione, sta insospettendo ancora di più i nostri partner monetari.

Quindi la vera questione non è tanto se noi vogliamo stare dentro l’euro (la nostra àncora di salvezza, al di là della demagogia politica), ma se l’euro continuerà ad accettarci dentro il suo club. Non a caso Angela Merkel ha già lanciato la frasetta di avviso: “L’Europa a due velocità”. A due monete?

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