malati Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/malati/ Settimanale di informazione regionale Fri, 21 Jul 2023 10:19:15 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg malati Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/malati/ 32 32 Lotta contro il Covid. Oggi la Giornata nazionale. A Perugia premiati i racconti https://www.lavoce.it/giornata-ringraziare-chi-ha-lottato-contro-covid-iniziative-a-perugia/ Sun, 20 Feb 2022 17:49:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=65066

Si è celebrata questa mattina, nella sala dei Notari di Perugia, la Giornata nazionale del personale sanitario, sociosanitario, socioassistenziale e del volontariato istituita con la Legge n. 155 del 13 novembre 2020 “per onorare il lavoro, l'impegno, la professionalità e il sacrificio del personale medico, sanitario, sociosanitario, socioassistenziale e del volontariato nel corso della pandemia da Coronavirus” Covid19. Per l’occasione l’Azienda Ospedaliera di Perugia ha promosso un momento di ringraziamento al personale impegnato nella lotta al Covid alla presenza della città e delle Istituzioni. Presente anche il Maestro Mogol, promotore, insieme al regista Terzani Ozpetek, della Giornata nazionale del 20 febbraio “per non dimenticare l’impegno profuso sul campo di tutti i sanitari nella lotta alla pandemia”.

Gli interventi della mattina

Il Direttore generale facente funzioni dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, Giuseppe De Filippis, ha aperto la giornata con un saluto rivolto alla città: “Abbiamo deciso di uscire dall’Ospedale e di abbracciare simbolicamente la città di Perugia” che, nella battaglia contro la pandemia da Covid19, “ci ha dimostrato una grandissima solidarietà”. De Filippis ha ricordato i sanitari “che si sono spesi con una dedizione fuori dal comune”, la cittadinanza che “ha lottato insieme a noi”, le Istituzioni che “hanno supportato lo sforzo e il lavoro degli operatori in questi due anni di pandemia” e il “mondo del Volontariato”. Come Commissario per l'emergenza Covid,  ha sottolineato Massimo D'Angelo “ho avuto la responsabilità di prendere decisioni delicate ma sono sempre stato sostenuto da tutti gli operatori, di ogni ambito e disciplina, che si sono messi a disposizione in maniera encomiabile, con dedizione, umanità e professionalità”. Per l'Università il professor Talesa ha portato i saluti del Magnifico Rettore Maurizio Oliviero, che ha ringraziato chi “ha dimostrato uno straordinario senso di responsabilità, unione altissima di senso del dovere e amore per l’altro, consentendoci così non solo di non dimenticare, ma a volte persino di riscoprire, la nostra umanità più vera.” Il Sindaco del Comune di Perugia, Andrea Romizi, ha espresso apprezzamento per una ricorrenza che “tiene vivo il ricordo dei sacrifici fatti da chi è stato ed è in prima linea per assistere la popolazione”. Il Sindaco ha ricordato che già nel 2020 la città ha espresso la sua gratitudine premiando “con l’iscrizione nell’Albo d’oro l’Azienda ospedaliera di Perugia, il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi, la Usl Umbria 1, le Professioni Sanitarie e l’Avis comunale”.

Toccanti le testimonianze del personale sanitario

  • il medico Maria Cristina Vedovati del reparto di Medicina d’Urgenza, l’infermiera del reparto di Malattie Infettive Barbara Billai,
  • la coordinatrice dei tecnici di laboratorio di Microbiologia, Francesca Lucheroni,
  • l’ostetrica Pamela Rampini
  • e, per l’Usl Umbria1, il medico Ugo Paliano
  • e la coordinatrice infermieristica Marina Pettirossi
che attraverso parole chiave come fiducia, sguardo, condivisione e rinascita, hanno raccontato i momenti salienti del proprio percorso alle prese con il Covid-19. La Presidente della Regione Umbria, Donatella Tesei, ha infine chiesto un minuto di silenzio per ricordare ed onorare il personale sanitario che ha perso la vita in questa battaglia contro il Covid19. “Questa giornata - ha ricordato la Presidente - è occasione giusta e gradita per ringraziare tutti gli operatori del settore sanitario e socio sanitario, del personale socio-assistenziale e del volontariato, per lo straordinario lavoro che hanno svolto in questo lungo periodo di emergenza pandemica, ma anche per il lavoro che quotidianamente svolgono lontani dall’attenzione mediatica ma con lo stesso amore e attenzione”. [gallery td_gallery_title_input="Giornata per ringraziare chi si è impegnato in tempo di Covid19" td_select_gallery_slide="slide" columns="2" ids="65073,65074,65075,65076"]

Il premio letterario sul tempo della pandemia da Covid19

La seconda parte della giornata è stata dedicata alla premiazione dei finalisti del premio letterario promosso dall’Azienda Ospedaliera di Perugia “Io c’ero… il tempo sospeso”. Premio rivolto a coloro che hanno vissuto l’esperienza del Covid19 nella struttura ospedaliera: pazienti, caregiver, familiari e personale.

Il premio era diviso in due sezioni, una per i dipendenti e una per i pazienti.

Dei 54 i racconti pervenuti da agosto ad ottobre la giuria esterna ne ha selezionati sei, tre per ciascuna sezione (dipendenti e pazienti dell’Azienda Ospedaliera), valutando non solo l’attinenza al tema, ma l’originalità e la creatività del taglio narrativo e la capacità di comunicare un’emozione. La Commissione di esperti era composta da
  • Antonella Pinna (Regione Umbria), dirigente del Servizio musei, archivi e biblioteche istruzione e formazione,
  • Roberta Migliarini (Comune di Perugia), dirigente dell’Area dei servizi alla persona,
  • Stefano Giovannuzzi (Università degli Studi di Perugia), professore dipartimento di Lettere-Lingue, Letterature e Civiltà antiche e moderne,
  • Luca Ginetto (Rai) giornalista, caporedattore Rai Tgr Umbria,
  • Antonio Onnis (SIMeN), medico referente Società italiana medicina narrativa
  • e dagli editori Jean Luc Bertoni (Bertoni editori) e Fabio Versiglioni (Futura libri).
I responsabili scientifici aziendali del premio sono la
  • dottoressa Antonietta Mesoraca, medico oncologo della direzione medica,
  • e la dottoressa Maristella Mancino, sociologa e assistente sociale.
Il progetto è stato seguito dal servizio Formazione e qualità diretto dalla dottoressa Donatella Bologni.

I premiati della sezione dipendenti

Primo premio

“Il Lumino custode” di Luca Floridi, tecnico obitorio. Con originalità e poesia ha dato voce agli oggetti del corredo funebre: c’è il Veterano, il carrello che aveva sostenuto, negli anni, più di 300 feretri, il giglio, il Cero Elettrico e il giovane Lumino. Sullo sfondo, la pandemia, la solitudine e il silenzio. “La fiamma elettrica del lumino sembrava un po’ affievolirsi, come se seguisse la tristezza provata dai familiari di Giulio in questi giorni”.

Secondo premio

“Ale sveglia, è ora di andare a scuola” di Ilenia Giovanna Rotella, operatore sociosanitario. Ha narrato i mesi più bui della pandemia attraverso gli occhi di un bambino che si è appena svegliato dopo aver fatto un brutto sogno. Un dialogo tenero e intenso tra madre e figlio. “Ogni giorno tutti quelli che non potevano uscire andavano sui balconi, sulle terrazze, alle finestre, e gridavano, cantavano, applaudivano. Anche io uscivo e ti applaudivo, perché grazie a te c’era una speranza, piccola ma ci stava”.

Terzo premio

“L’unicorno sul soffitto” di Stefano Cristallini, medico anestesista rianimatore che, con una forza dirompente, ha messo nero su bianco l’angoscia e il dolore nella strenua lotta al Covid19. “Operatori, pazienti e familiari, uniti nella stessa trincea. Per me questo è stato il Covid”.

I premiati della sezione pazienti

Primo premio

“Testa o croce” di Cinzia Corneli. Con una narrazione delicata racconta la perdita del padre, la forza con cui ha lottato e il dolore lacerante del distacco. “È come se la tua vita fosse acqua tra le mie mani che tremano, gocce che senza sorgente a poco a poco smarrisco”.

Secondo premio

 “Cento giorni da paziente Covid-19, la mia ultima vittoria” di Francesco Zonaria. Nel suo racconto c’è tutta la forza e l’amore della sua famiglia nei difficili giorni passati in ospedale. “Ringrazierò per sempre chi non si è mai stancato di tenere accesa la fiammella della comunicazione con il mio corpo martoriato e con il mio cuore affranto”.

Terzo premio

“La barba bianca” di Michele Nucci. Toccante racconto della perdita del padre, nei mesi più bui della pandemia, quando le file delle ambulanze, lo sforzo dei sanitari e il silenzio della sala d’attesa del pronto soccorso erano lì a ricordarci la drammatica realtà. “Non ci siamo potuti toccare, abbracciare, stringere, accarezzarci. Niente. Solo piangere da soli. Tutti a distanza. Imprigionati in noi stessi, anche nel dolore”.

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Si è celebrata questa mattina, nella sala dei Notari di Perugia, la Giornata nazionale del personale sanitario, sociosanitario, socioassistenziale e del volontariato istituita con la Legge n. 155 del 13 novembre 2020 “per onorare il lavoro, l'impegno, la professionalità e il sacrificio del personale medico, sanitario, sociosanitario, socioassistenziale e del volontariato nel corso della pandemia da Coronavirus” Covid19. Per l’occasione l’Azienda Ospedaliera di Perugia ha promosso un momento di ringraziamento al personale impegnato nella lotta al Covid alla presenza della città e delle Istituzioni. Presente anche il Maestro Mogol, promotore, insieme al regista Terzani Ozpetek, della Giornata nazionale del 20 febbraio “per non dimenticare l’impegno profuso sul campo di tutti i sanitari nella lotta alla pandemia”.

Gli interventi della mattina

Il Direttore generale facente funzioni dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, Giuseppe De Filippis, ha aperto la giornata con un saluto rivolto alla città: “Abbiamo deciso di uscire dall’Ospedale e di abbracciare simbolicamente la città di Perugia” che, nella battaglia contro la pandemia da Covid19, “ci ha dimostrato una grandissima solidarietà”. De Filippis ha ricordato i sanitari “che si sono spesi con una dedizione fuori dal comune”, la cittadinanza che “ha lottato insieme a noi”, le Istituzioni che “hanno supportato lo sforzo e il lavoro degli operatori in questi due anni di pandemia” e il “mondo del Volontariato”. Come Commissario per l'emergenza Covid,  ha sottolineato Massimo D'Angelo “ho avuto la responsabilità di prendere decisioni delicate ma sono sempre stato sostenuto da tutti gli operatori, di ogni ambito e disciplina, che si sono messi a disposizione in maniera encomiabile, con dedizione, umanità e professionalità”. Per l'Università il professor Talesa ha portato i saluti del Magnifico Rettore Maurizio Oliviero, che ha ringraziato chi “ha dimostrato uno straordinario senso di responsabilità, unione altissima di senso del dovere e amore per l’altro, consentendoci così non solo di non dimenticare, ma a volte persino di riscoprire, la nostra umanità più vera.” Il Sindaco del Comune di Perugia, Andrea Romizi, ha espresso apprezzamento per una ricorrenza che “tiene vivo il ricordo dei sacrifici fatti da chi è stato ed è in prima linea per assistere la popolazione”. Il Sindaco ha ricordato che già nel 2020 la città ha espresso la sua gratitudine premiando “con l’iscrizione nell’Albo d’oro l’Azienda ospedaliera di Perugia, il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi, la Usl Umbria 1, le Professioni Sanitarie e l’Avis comunale”.

Toccanti le testimonianze del personale sanitario

  • il medico Maria Cristina Vedovati del reparto di Medicina d’Urgenza, l’infermiera del reparto di Malattie Infettive Barbara Billai,
  • la coordinatrice dei tecnici di laboratorio di Microbiologia, Francesca Lucheroni,
  • l’ostetrica Pamela Rampini
  • e, per l’Usl Umbria1, il medico Ugo Paliano
  • e la coordinatrice infermieristica Marina Pettirossi
che attraverso parole chiave come fiducia, sguardo, condivisione e rinascita, hanno raccontato i momenti salienti del proprio percorso alle prese con il Covid-19. La Presidente della Regione Umbria, Donatella Tesei, ha infine chiesto un minuto di silenzio per ricordare ed onorare il personale sanitario che ha perso la vita in questa battaglia contro il Covid19. “Questa giornata - ha ricordato la Presidente - è occasione giusta e gradita per ringraziare tutti gli operatori del settore sanitario e socio sanitario, del personale socio-assistenziale e del volontariato, per lo straordinario lavoro che hanno svolto in questo lungo periodo di emergenza pandemica, ma anche per il lavoro che quotidianamente svolgono lontani dall’attenzione mediatica ma con lo stesso amore e attenzione”. [gallery td_gallery_title_input="Giornata per ringraziare chi si è impegnato in tempo di Covid19" td_select_gallery_slide="slide" columns="2" ids="65073,65074,65075,65076"]

Il premio letterario sul tempo della pandemia da Covid19

La seconda parte della giornata è stata dedicata alla premiazione dei finalisti del premio letterario promosso dall’Azienda Ospedaliera di Perugia “Io c’ero… il tempo sospeso”. Premio rivolto a coloro che hanno vissuto l’esperienza del Covid19 nella struttura ospedaliera: pazienti, caregiver, familiari e personale.

Il premio era diviso in due sezioni, una per i dipendenti e una per i pazienti.

Dei 54 i racconti pervenuti da agosto ad ottobre la giuria esterna ne ha selezionati sei, tre per ciascuna sezione (dipendenti e pazienti dell’Azienda Ospedaliera), valutando non solo l’attinenza al tema, ma l’originalità e la creatività del taglio narrativo e la capacità di comunicare un’emozione. La Commissione di esperti era composta da
  • Antonella Pinna (Regione Umbria), dirigente del Servizio musei, archivi e biblioteche istruzione e formazione,
  • Roberta Migliarini (Comune di Perugia), dirigente dell’Area dei servizi alla persona,
  • Stefano Giovannuzzi (Università degli Studi di Perugia), professore dipartimento di Lettere-Lingue, Letterature e Civiltà antiche e moderne,
  • Luca Ginetto (Rai) giornalista, caporedattore Rai Tgr Umbria,
  • Antonio Onnis (SIMeN), medico referente Società italiana medicina narrativa
  • e dagli editori Jean Luc Bertoni (Bertoni editori) e Fabio Versiglioni (Futura libri).
I responsabili scientifici aziendali del premio sono la
  • dottoressa Antonietta Mesoraca, medico oncologo della direzione medica,
  • e la dottoressa Maristella Mancino, sociologa e assistente sociale.
Il progetto è stato seguito dal servizio Formazione e qualità diretto dalla dottoressa Donatella Bologni.

I premiati della sezione dipendenti

Primo premio

“Il Lumino custode” di Luca Floridi, tecnico obitorio. Con originalità e poesia ha dato voce agli oggetti del corredo funebre: c’è il Veterano, il carrello che aveva sostenuto, negli anni, più di 300 feretri, il giglio, il Cero Elettrico e il giovane Lumino. Sullo sfondo, la pandemia, la solitudine e il silenzio. “La fiamma elettrica del lumino sembrava un po’ affievolirsi, come se seguisse la tristezza provata dai familiari di Giulio in questi giorni”.

Secondo premio

“Ale sveglia, è ora di andare a scuola” di Ilenia Giovanna Rotella, operatore sociosanitario. Ha narrato i mesi più bui della pandemia attraverso gli occhi di un bambino che si è appena svegliato dopo aver fatto un brutto sogno. Un dialogo tenero e intenso tra madre e figlio. “Ogni giorno tutti quelli che non potevano uscire andavano sui balconi, sulle terrazze, alle finestre, e gridavano, cantavano, applaudivano. Anche io uscivo e ti applaudivo, perché grazie a te c’era una speranza, piccola ma ci stava”.

Terzo premio

“L’unicorno sul soffitto” di Stefano Cristallini, medico anestesista rianimatore che, con una forza dirompente, ha messo nero su bianco l’angoscia e il dolore nella strenua lotta al Covid19. “Operatori, pazienti e familiari, uniti nella stessa trincea. Per me questo è stato il Covid”.

I premiati della sezione pazienti

Primo premio

“Testa o croce” di Cinzia Corneli. Con una narrazione delicata racconta la perdita del padre, la forza con cui ha lottato e il dolore lacerante del distacco. “È come se la tua vita fosse acqua tra le mie mani che tremano, gocce che senza sorgente a poco a poco smarrisco”.

Secondo premio

 “Cento giorni da paziente Covid-19, la mia ultima vittoria” di Francesco Zonaria. Nel suo racconto c’è tutta la forza e l’amore della sua famiglia nei difficili giorni passati in ospedale. “Ringrazierò per sempre chi non si è mai stancato di tenere accesa la fiammella della comunicazione con il mio corpo martoriato e con il mio cuore affranto”.

Terzo premio

“La barba bianca” di Michele Nucci. Toccante racconto della perdita del padre, nei mesi più bui della pandemia, quando le file delle ambulanze, lo sforzo dei sanitari e il silenzio della sala d’attesa del pronto soccorso erano lì a ricordarci la drammatica realtà. “Non ci siamo potuti toccare, abbracciare, stringere, accarezzarci. Niente. Solo piangere da soli. Tutti a distanza. Imprigionati in noi stessi, anche nel dolore”.

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Post lockdown. Come aiutare le famiglie? https://www.lavoce.it/post-lockdown-come-aiutare-le-famiglie/ Thu, 21 May 2020 14:58:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57183 famiglie. Papà con in braccio il figlio

In questi giorni è forte il richiamo a sostenere le famiglie, per permettere loro di ripartire dopo i sacrifici vissuti durante il lockdown. Sarebbe il minino, dato che le famiglie si sono dimostrate in questi giorni il tassello originario della socialità. Ma cosa significa realmente aiutare le famiglie? Perché i problemi che affrontano sono differenti, e andrebbero ponderati in modo approfondito per fornire pari opportunità a ogni nucleo familiare. I temi più urgenti che sembrano emergere appartengono almeno a tre categorie di problemi. Erano presenti anche prima, la crisi dovuta al Covid19 le ha soltanto evidenziate con più chiarezza.

Il lavoro che non c'è

Innanzitutto si presenta con rinnovato vigore la questione della mancanza di lavoro e la fragilità economica dei nuclei che da quello dipendono per vivere. L’instabilità lavorativa gravava già come una spada di Damocle sulle famiglie i cui componenti hanno occupazioni che non richiedono alte abilità (low skill). Facilmente sostituibili. Inoltre, non bisogna dimenticare che una quota importante dei nuclei familiari (generalmente gli stessi di prima) sono working poor (non guadagnano abbastanza per arrivare a fine mese) e la questione delle attività li ha colpiti economicamente. Molti di loro oltre a non avere forti risparmi, rischiano di ritrovarsi senza lavoro. Un’altra questione riguarda i tempi di conciliazione di vita e di lavoro che è stata messa in luce con l’introduzione forzata dello smart working. Questi nuclei familiari si sono trovati tutto d’un tratto a condividere 24 su 24 lo stesso tetto, con la richiesta di proseguire le stesse mansioni di prima senza un minimo di formazione e senza orari. Senza una reale programmazione dei ritmi aziendali e dell’organizzazione nelle imprese, lavorare a distanza diventa l’invasione del tempo di lavoro nella vita domestica e nei giorni di quarantena sono state le madri lavoratrici pagare il prezzo più alto.

Compiti di cura: figli, anziani, malati … tutto sulla famiglia

Una terza questione rientra nell’ambito dei compiti di cura svolti dalle famiglie. Educare ed essere responsabili dell’educazione dei figli è essenziale. La scuola digitalizzata ha messo in evidenza la disparità tra bambini e ragazzi seguiti dai loro genitori e quelli che non possono usufruire di questo vantaggio. Questi ultimi non possono ricevere l’accompagnamento dai loro insegnanti. Così nelle famiglie con meno istruzione ci saranno più facilmente figli meno istruiti. Poi c’è il sostegno ai parenti non autosufficienti. Cosa ne è stato di loro e quale impegno è costato ai familiari è ancora presto per scoprirlo. Gli interventi a pioggia e una tantum non serviranno a nulla, come mettere una pezza nuova su un vestito vecchio. Servirebbe una politica organica per guardare al futuro. Due passi per iniziare: individuare interventi mirati sui nuclei familiari più vulnerabili per ridurre le disuguaglianze e sostenere le giovani coppie nella conciliazione dei tempi e nei compiti di cura per invertire il crollo demografico. Andrea Casavecchia]]>
famiglie. Papà con in braccio il figlio

In questi giorni è forte il richiamo a sostenere le famiglie, per permettere loro di ripartire dopo i sacrifici vissuti durante il lockdown. Sarebbe il minino, dato che le famiglie si sono dimostrate in questi giorni il tassello originario della socialità. Ma cosa significa realmente aiutare le famiglie? Perché i problemi che affrontano sono differenti, e andrebbero ponderati in modo approfondito per fornire pari opportunità a ogni nucleo familiare. I temi più urgenti che sembrano emergere appartengono almeno a tre categorie di problemi. Erano presenti anche prima, la crisi dovuta al Covid19 le ha soltanto evidenziate con più chiarezza.

Il lavoro che non c'è

Innanzitutto si presenta con rinnovato vigore la questione della mancanza di lavoro e la fragilità economica dei nuclei che da quello dipendono per vivere. L’instabilità lavorativa gravava già come una spada di Damocle sulle famiglie i cui componenti hanno occupazioni che non richiedono alte abilità (low skill). Facilmente sostituibili. Inoltre, non bisogna dimenticare che una quota importante dei nuclei familiari (generalmente gli stessi di prima) sono working poor (non guadagnano abbastanza per arrivare a fine mese) e la questione delle attività li ha colpiti economicamente. Molti di loro oltre a non avere forti risparmi, rischiano di ritrovarsi senza lavoro. Un’altra questione riguarda i tempi di conciliazione di vita e di lavoro che è stata messa in luce con l’introduzione forzata dello smart working. Questi nuclei familiari si sono trovati tutto d’un tratto a condividere 24 su 24 lo stesso tetto, con la richiesta di proseguire le stesse mansioni di prima senza un minimo di formazione e senza orari. Senza una reale programmazione dei ritmi aziendali e dell’organizzazione nelle imprese, lavorare a distanza diventa l’invasione del tempo di lavoro nella vita domestica e nei giorni di quarantena sono state le madri lavoratrici pagare il prezzo più alto.

Compiti di cura: figli, anziani, malati … tutto sulla famiglia

Una terza questione rientra nell’ambito dei compiti di cura svolti dalle famiglie. Educare ed essere responsabili dell’educazione dei figli è essenziale. La scuola digitalizzata ha messo in evidenza la disparità tra bambini e ragazzi seguiti dai loro genitori e quelli che non possono usufruire di questo vantaggio. Questi ultimi non possono ricevere l’accompagnamento dai loro insegnanti. Così nelle famiglie con meno istruzione ci saranno più facilmente figli meno istruiti. Poi c’è il sostegno ai parenti non autosufficienti. Cosa ne è stato di loro e quale impegno è costato ai familiari è ancora presto per scoprirlo. Gli interventi a pioggia e una tantum non serviranno a nulla, come mettere una pezza nuova su un vestito vecchio. Servirebbe una politica organica per guardare al futuro. Due passi per iniziare: individuare interventi mirati sui nuclei familiari più vulnerabili per ridurre le disuguaglianze e sostenere le giovani coppie nella conciliazione dei tempi e nei compiti di cura per invertire il crollo demografico. Andrea Casavecchia]]>
Il Covid-19 in Africa è lento, ma sarà letale https://www.lavoce.it/il-covid-19-in-africa-e-lento-ma-sara-letale/ Fri, 15 May 2020 13:54:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57157 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Finora il virus in Africa si è mosso con passo felpato. La popolazione è più giovane e resistente, dicono gli esperti. E in effetti il confronto dei numeri fa pendere la drammatica bilancia di contagiati e morti verso i Continenti asiatico, europeo e americano. Ma siamo così sicuri che l’Africa sia al riparo dalla diffusione della pandemia? La previsione di Matshidiso Moeti, responsabile dell’Organizzazione mondiale della sanità in Africa, è terribile: “Non solo nell’arco del primo anno potrebbe arrivare a registrare 190 mila vittime, ma potrebbe restare per anni”. Anche se il virus da quelle parti si muove più lentamente, non significa che sia meno letale. Per questo, se abbiamo imparato la lezione dell’interdipendenza che questo virus ci sta imponendo con tutta la violenza dimostrata in questi mesi, dovremmo correre in soccorso del Continente africano. Per salvare quelle popolazioni sicuramente meno attrezzate a contenere la pandemia, ma anche per preservare noi stessi da nuove ondate. Il fatto che “siamo tutti sulla stessa barca” è vero a cerchi concentrici, e non può lasciarci indifferenti. Tonio Dell’Olio]]>
colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Finora il virus in Africa si è mosso con passo felpato. La popolazione è più giovane e resistente, dicono gli esperti. E in effetti il confronto dei numeri fa pendere la drammatica bilancia di contagiati e morti verso i Continenti asiatico, europeo e americano. Ma siamo così sicuri che l’Africa sia al riparo dalla diffusione della pandemia? La previsione di Matshidiso Moeti, responsabile dell’Organizzazione mondiale della sanità in Africa, è terribile: “Non solo nell’arco del primo anno potrebbe arrivare a registrare 190 mila vittime, ma potrebbe restare per anni”. Anche se il virus da quelle parti si muove più lentamente, non significa che sia meno letale. Per questo, se abbiamo imparato la lezione dell’interdipendenza che questo virus ci sta imponendo con tutta la violenza dimostrata in questi mesi, dovremmo correre in soccorso del Continente africano. Per salvare quelle popolazioni sicuramente meno attrezzate a contenere la pandemia, ma anche per preservare noi stessi da nuove ondate. Il fatto che “siamo tutti sulla stessa barca” è vero a cerchi concentrici, e non può lasciarci indifferenti. Tonio Dell’Olio]]>
Medico perugino in azione tra le corsie a Londra https://www.lavoce.it/medico-perugino-in-azione-tra-le-corsie-a-londra/ Wed, 15 Apr 2020 08:00:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56866

In un mondo sempre più interconnesso, anche l’emergenza sanitaria da Covid-19 diventa un problema globale. Grazie a Luca Molinari, umbro doc, classe 1971, abbiamo provato a capire cosa succede oltre Manica, nel Regno Unito. Pediatra di Perugia, da sei anni Molinari lavora al Guy’s and St Thomas, uno degli ospedali più grandi di Londra. Con un passato da deejay ad Umbria Radio - quando ancora si chiamava Radio Augusta Perusia - Luca ha vissuto l’arrivo della pandemia con una coscienza maggiore rispetto alla popolazione inglese. “Con preoccupazione ho visto i numeri italiani aumentare di giorno in giorno. È stato come vedere un film”. Una sensazione affine a tutta la comunità italiana a Londra, circa 600 mila persone. “Lavoro in una clinica di medici italiani con i quali abbiamo creato una task force con il Consolato italiano per aiutare i nostri connazionali che in questo periodo sono in difficoltà. Ho molti amici che sono voluti rientrare in Italia perché spaventati dalla prima reazione del Governo inglese”. Inizialmente infatti il primo ministro Boris Johnson (attualmente ricoverato in terapia intensiva), annunciò di voler raggiungere un immunità di gregge: “Una decisione - commenta Luca - assolutamente contraria a tutto ciò che il resto del mondo stava facendo”. Non procedere con misure restrittive “avrebbe voluto dire serie ripercussioni sul sistema sanitario nazionale inglese (il Nhs), che - spiega - non ha le capacità strutturali e di personale di quello italiano. Ci sono molti meno posti di terapia intensiva, meno medici e infermieri”. In Inghilterra, però, la diffusione del virus è “in ritardo rispetto all’Italia: questo ci dà il tempo per organizzarci, anche se il numero delle vittime sta salendo molto velocemente”.

Lockdown. Il Governo blocca tutto

Dal 23 marzo, però il clima è cambiato. Il Governo ha deciso di bloccare tutto e con il lockdown anche l’economia inglese ha subito serie ripercussioni. “È stata approvata - racconta Luca - una manovra economica notevole, in cui sono state stanziate 330 miliardi di sterline (375 miliardi di euro). Verrà pagato l’80% degli stipendi a tutti quelli che, in questo periodo, non percepiscono reddito”. Il coronavirus non ha solo colpito le tasche degli inglesi ma ha cambiato la vita di tutti, come quella di Luca Molinari. “L’Nhs si è completamente ristrutturato. Tutti gli appuntamenti non essenziali sono trasformati in video-consultazioni. Tutti i medici di base e i pediatri sono stati forniti di materiale tecnologico per fare video-consultazioni. Alcuni reparti non urgenti sono stati chiusi, e il personale sanitario reindirizzato verso reparti in cui c’è più bisogno. Per quanto riguarda i dispositivi di protezione individuali - aggiunge - ci sono mascherine, occhiali e tute che vengono indossate da chi è a contatto diretto con pazienti Covid-19. La distribuzione di questi dispositivi, però, è ancora indietro, quindi non tutti gli ospedali hanno Dpi sufficienti. Un problema che so essere anche degli ospedali italiani”.

Dall’emergenza sanitaria si uscirà solo con il vaccino

Secondo Molinari “non è con i lockdown che si sconfigge il virus: serve semplicemente a far sì che non ci si ammali tutti contemporaneamente”. In attesa dei progressi sulla ricerca, però, “non possiamo rimanere chiusi in casa. Qui in Inghilterra, anche se il picco non è ancora arrivato, si pensa già alla fase due. Probabilmente ci sarà una riapertura scaglionata delle varie attività per continuare a diluire il numero dei contagi. Penso che si partirà con la riapertura delle realtà più piccole, poi man mano tutte le altre, fino a una normalizzazione della situazione che, speriamo, arrivi entro l’estate. È comunque difficile dire una tempistica e credo - continua il medico -, che i numeri e l’epidemiologia guideranno queste decisioni”. Annalisa Marzano]]>

In un mondo sempre più interconnesso, anche l’emergenza sanitaria da Covid-19 diventa un problema globale. Grazie a Luca Molinari, umbro doc, classe 1971, abbiamo provato a capire cosa succede oltre Manica, nel Regno Unito. Pediatra di Perugia, da sei anni Molinari lavora al Guy’s and St Thomas, uno degli ospedali più grandi di Londra. Con un passato da deejay ad Umbria Radio - quando ancora si chiamava Radio Augusta Perusia - Luca ha vissuto l’arrivo della pandemia con una coscienza maggiore rispetto alla popolazione inglese. “Con preoccupazione ho visto i numeri italiani aumentare di giorno in giorno. È stato come vedere un film”. Una sensazione affine a tutta la comunità italiana a Londra, circa 600 mila persone. “Lavoro in una clinica di medici italiani con i quali abbiamo creato una task force con il Consolato italiano per aiutare i nostri connazionali che in questo periodo sono in difficoltà. Ho molti amici che sono voluti rientrare in Italia perché spaventati dalla prima reazione del Governo inglese”. Inizialmente infatti il primo ministro Boris Johnson (attualmente ricoverato in terapia intensiva), annunciò di voler raggiungere un immunità di gregge: “Una decisione - commenta Luca - assolutamente contraria a tutto ciò che il resto del mondo stava facendo”. Non procedere con misure restrittive “avrebbe voluto dire serie ripercussioni sul sistema sanitario nazionale inglese (il Nhs), che - spiega - non ha le capacità strutturali e di personale di quello italiano. Ci sono molti meno posti di terapia intensiva, meno medici e infermieri”. In Inghilterra, però, la diffusione del virus è “in ritardo rispetto all’Italia: questo ci dà il tempo per organizzarci, anche se il numero delle vittime sta salendo molto velocemente”.

Lockdown. Il Governo blocca tutto

Dal 23 marzo, però il clima è cambiato. Il Governo ha deciso di bloccare tutto e con il lockdown anche l’economia inglese ha subito serie ripercussioni. “È stata approvata - racconta Luca - una manovra economica notevole, in cui sono state stanziate 330 miliardi di sterline (375 miliardi di euro). Verrà pagato l’80% degli stipendi a tutti quelli che, in questo periodo, non percepiscono reddito”. Il coronavirus non ha solo colpito le tasche degli inglesi ma ha cambiato la vita di tutti, come quella di Luca Molinari. “L’Nhs si è completamente ristrutturato. Tutti gli appuntamenti non essenziali sono trasformati in video-consultazioni. Tutti i medici di base e i pediatri sono stati forniti di materiale tecnologico per fare video-consultazioni. Alcuni reparti non urgenti sono stati chiusi, e il personale sanitario reindirizzato verso reparti in cui c’è più bisogno. Per quanto riguarda i dispositivi di protezione individuali - aggiunge - ci sono mascherine, occhiali e tute che vengono indossate da chi è a contatto diretto con pazienti Covid-19. La distribuzione di questi dispositivi, però, è ancora indietro, quindi non tutti gli ospedali hanno Dpi sufficienti. Un problema che so essere anche degli ospedali italiani”.

Dall’emergenza sanitaria si uscirà solo con il vaccino

Secondo Molinari “non è con i lockdown che si sconfigge il virus: serve semplicemente a far sì che non ci si ammali tutti contemporaneamente”. In attesa dei progressi sulla ricerca, però, “non possiamo rimanere chiusi in casa. Qui in Inghilterra, anche se il picco non è ancora arrivato, si pensa già alla fase due. Probabilmente ci sarà una riapertura scaglionata delle varie attività per continuare a diluire il numero dei contagi. Penso che si partirà con la riapertura delle realtà più piccole, poi man mano tutte le altre, fino a una normalizzazione della situazione che, speriamo, arrivi entro l’estate. È comunque difficile dire una tempistica e credo - continua il medico -, che i numeri e l’epidemiologia guideranno queste decisioni”. Annalisa Marzano]]>
Ambulatorio della solidarietà. Cercasi medici volontari https://www.lavoce.it/ambulatorio-solidarieta-volontari/ Wed, 12 Feb 2020 17:11:28 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56273 ambulatorio

E' stato inaugurato ufficialmente l'11 febbraio, Giornata del malato, l'Ambulatorio della solidarietà di Perugia, un progetto frutto della collaborazione tra Caritas, Ufficio per la pastorale della salute, Associazione medici cattolici di Perugia e la Casa di cura “Clinica Lami”. Quest’ultima ospita l’Ambulatorio mettendo a disposizione locali e strutture il cui utilizzo è regolamentato da una convenzione stipulata tra l’Arcidiocesi di Perugia e la “Lami”. Clinica di proprietà della diocesi di Perugia e della diocesi di Camerino-San Severino Marche.

La campagna "Ho bisogno di te"

Alla conferenza stampa di presentazione dell’Ambulatorio della Solidarietà è stata illustrata la campagna “Ho bisogno di te”. Si tratta di una campagna di informazione-promozione, che riporta nel manifesto il volto del venerabile servo di Dio Vittorio Trancanelli, noto chirurgo perugino del quale è in corso la causa di canonizzazione, rivolta a tutti i medici perché aderiscano all’iniziativa donando del proprio tempo all’ambulatorio, garantendo l’attività e assicurando le necessità specialistiche che si presentano. Riguardo a questa campagna è stata inviata una richiesta di collaborazione anche all’Azienda Ospedaliera “Santa Maria della Misericordia” di Perugia, all’Azienda USL Umbria 1 e all’Ordine dei Medici di Perugia. «C’è bisogno di tante specialità per poter rispondere a tutte le necessità che vengono raccolte», ha commentato il dottor Marco Dottorini, presidente Amci. «I numeri che abbiamo – ha aggiunto il presidente dell’Amci perugina – sono estremamente pesanti dal punto di vista sociale ai quali, forse, non tanto l’attenzione pubblica si rivolge perché sono molte le persone che hanno bisogno di assistenza sanitaria».

L’accesso all’ambulatorio

L’accesso all’“Ambulatorio della Solidarietà” (il sabato mattina), dove è possibile eseguire anche esami radiologici e di laboratorio attraverso la “Clinica Lami” i cui costi sono sostenuti dall’Arcidiocesi di Perugia con il Fondo 8XMille per la Carità, è revisionato dalla Caritas, attraverso il suo Consultorio, e dai medici di Medicina generale che conoscono le situazioni dei pazienti per garantire una corretta fruizione delle prestazioni offerte.

Servizio gratuito, ma più medici volontari

Rispondendo ad una domanda, il cardinale Bassetti ha ribadito che «il servizio è gratuito, pero le spese sanitarie vanno pagate, quindi, ben vengano offerte alla Caritas diocesana per questa attività, ma noi insistiamo soprattutto sul volontariato, che mi sta molto a cuore, soprattutto quello per i giovani. L’“Ambulatorio della Solidarietà” – ha sottolineato il cardinale – è una bellissima iniziativa di volontariato che è sempre un’espressione di amore gratuito. E quando si fa un atto d’amore, ci si mette sempre in una avventura». E ben venga quest’avventura quando, ha proseguito il presule, «mi sono trovato davanti a delle persone indigenti che avevano bisogno di cure e si ponevano il problema se farle o meno, perché dovevano sottrarre risorse economiche alla famiglia, ai figli…». Concretizzato un invito esplicito del Papa. Il cardinale Bassetti ha evidenziato come «la campagna “Ho bisogno di te”, che affianca il progetto “Ambulatorio della Solidarietà”, rientra anche nella lettera che il Santo Padre ha scritto per la Giornata mondiale del malato, “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28). Siamo contenti che un invito esplicito del Papa abbia potuto trovare concretezza insieme all’Arcidiocesi di Camerino e, soprattutto, con coloro che si sono presi il carico di portare avanti quest’iniziativa, che sono i nostri medici». Sanitari che sono stati ringraziati anche dall’arcivescovo monsignor Massara, insieme a quanti faranno servizio di volontariato presso l’“Ambulatorio della Solidarietà”.

Un progetto da stimolo e da apri strada

«Ai miei studenti universitari di Medicina gli dico – ha detto l’arcivescovo di Camerino Francesco Massara –: quando voi sarete medici offrite alcune visite gratis a chi ne ha bisogno, perché dobbiamo anche saper condividere il nostro benessere verso chi non ha nulla. Quest’ambulatorio è un grande servizio a questa terra, ma il povero è povero a Perugia, a Camerino e in tutte le parti del mondo, non ha né colore, né nazione, è sempre un povero. Questo progetto, realizzato con la “Clinica Lami”, possa essere da stimolo un po’ a tutti noi per aprire più il cuore verso tante persone nel bisogno. E possa essere da apri strada per altri, che, nei loro spazi, diano anche un tempo e un luogo a chi ha bisogno. Il bene va fatto conoscere e deve contaminare il cuore delle persone». «Ringrazio il cardinale Bassetti – ha detto monsignor Massara – per avermi fatto condividere pienamente il suo desiderio di realizzare questo ambulatorio, anche perché Camerino, con il terremoto, ha ricevuto e continua a ricevere tanta solidarietà».]]>
ambulatorio

E' stato inaugurato ufficialmente l'11 febbraio, Giornata del malato, l'Ambulatorio della solidarietà di Perugia, un progetto frutto della collaborazione tra Caritas, Ufficio per la pastorale della salute, Associazione medici cattolici di Perugia e la Casa di cura “Clinica Lami”. Quest’ultima ospita l’Ambulatorio mettendo a disposizione locali e strutture il cui utilizzo è regolamentato da una convenzione stipulata tra l’Arcidiocesi di Perugia e la “Lami”. Clinica di proprietà della diocesi di Perugia e della diocesi di Camerino-San Severino Marche.

La campagna "Ho bisogno di te"

Alla conferenza stampa di presentazione dell’Ambulatorio della Solidarietà è stata illustrata la campagna “Ho bisogno di te”. Si tratta di una campagna di informazione-promozione, che riporta nel manifesto il volto del venerabile servo di Dio Vittorio Trancanelli, noto chirurgo perugino del quale è in corso la causa di canonizzazione, rivolta a tutti i medici perché aderiscano all’iniziativa donando del proprio tempo all’ambulatorio, garantendo l’attività e assicurando le necessità specialistiche che si presentano. Riguardo a questa campagna è stata inviata una richiesta di collaborazione anche all’Azienda Ospedaliera “Santa Maria della Misericordia” di Perugia, all’Azienda USL Umbria 1 e all’Ordine dei Medici di Perugia. «C’è bisogno di tante specialità per poter rispondere a tutte le necessità che vengono raccolte», ha commentato il dottor Marco Dottorini, presidente Amci. «I numeri che abbiamo – ha aggiunto il presidente dell’Amci perugina – sono estremamente pesanti dal punto di vista sociale ai quali, forse, non tanto l’attenzione pubblica si rivolge perché sono molte le persone che hanno bisogno di assistenza sanitaria».

L’accesso all’ambulatorio

L’accesso all’“Ambulatorio della Solidarietà” (il sabato mattina), dove è possibile eseguire anche esami radiologici e di laboratorio attraverso la “Clinica Lami” i cui costi sono sostenuti dall’Arcidiocesi di Perugia con il Fondo 8XMille per la Carità, è revisionato dalla Caritas, attraverso il suo Consultorio, e dai medici di Medicina generale che conoscono le situazioni dei pazienti per garantire una corretta fruizione delle prestazioni offerte.

Servizio gratuito, ma più medici volontari

Rispondendo ad una domanda, il cardinale Bassetti ha ribadito che «il servizio è gratuito, pero le spese sanitarie vanno pagate, quindi, ben vengano offerte alla Caritas diocesana per questa attività, ma noi insistiamo soprattutto sul volontariato, che mi sta molto a cuore, soprattutto quello per i giovani. L’“Ambulatorio della Solidarietà” – ha sottolineato il cardinale – è una bellissima iniziativa di volontariato che è sempre un’espressione di amore gratuito. E quando si fa un atto d’amore, ci si mette sempre in una avventura». E ben venga quest’avventura quando, ha proseguito il presule, «mi sono trovato davanti a delle persone indigenti che avevano bisogno di cure e si ponevano il problema se farle o meno, perché dovevano sottrarre risorse economiche alla famiglia, ai figli…». Concretizzato un invito esplicito del Papa. Il cardinale Bassetti ha evidenziato come «la campagna “Ho bisogno di te”, che affianca il progetto “Ambulatorio della Solidarietà”, rientra anche nella lettera che il Santo Padre ha scritto per la Giornata mondiale del malato, “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28). Siamo contenti che un invito esplicito del Papa abbia potuto trovare concretezza insieme all’Arcidiocesi di Camerino e, soprattutto, con coloro che si sono presi il carico di portare avanti quest’iniziativa, che sono i nostri medici». Sanitari che sono stati ringraziati anche dall’arcivescovo monsignor Massara, insieme a quanti faranno servizio di volontariato presso l’“Ambulatorio della Solidarietà”.

Un progetto da stimolo e da apri strada

«Ai miei studenti universitari di Medicina gli dico – ha detto l’arcivescovo di Camerino Francesco Massara –: quando voi sarete medici offrite alcune visite gratis a chi ne ha bisogno, perché dobbiamo anche saper condividere il nostro benessere verso chi non ha nulla. Quest’ambulatorio è un grande servizio a questa terra, ma il povero è povero a Perugia, a Camerino e in tutte le parti del mondo, non ha né colore, né nazione, è sempre un povero. Questo progetto, realizzato con la “Clinica Lami”, possa essere da stimolo un po’ a tutti noi per aprire più il cuore verso tante persone nel bisogno. E possa essere da apri strada per altri, che, nei loro spazi, diano anche un tempo e un luogo a chi ha bisogno. Il bene va fatto conoscere e deve contaminare il cuore delle persone». «Ringrazio il cardinale Bassetti – ha detto monsignor Massara – per avermi fatto condividere pienamente il suo desiderio di realizzare questo ambulatorio, anche perché Camerino, con il terremoto, ha ricevuto e continua a ricevere tanta solidarietà».]]>
Giornata del malato. Un ambulatorio della solidarietà per chi non può pagarsi le cure https://www.lavoce.it/giornata-malato-ambulatorio/ Tue, 11 Feb 2020 08:21:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56249 ambulatorio

È attivo già da qualche tempo, ma sarà presentato ufficialmente ed entrerà a pieno regime martedì 11 febbraio, giorno in cui la Chiesa celebra la festa liturgica della Beata Vergine di Lourdes e la Giornata mondiale del malato. Si tratta dell’ “Ambulatorio della solidarietà” con sede presso la casa di cura “Clinica Lami” di Perugia, per pazienti indigenti, coloro che non hanno la possibilità economica di pagarsi una visita specialistica o degli accertamenti clinici e per tale motivo non si curano o spesso fanno richiesta alla Caritas.

Il progetto è infatti promosso da Caritas diocesana, dall’Ufficio diocesano per la pastorale della salute e dalla sezione perugina dell’Associazione medici cattolici italiana (Amci) in collaborazione con la clinica Lami.

Le cure non sono offerte dallo Stato?

Come mai c’è bisogno di un ambulatorio come questo dal momento che in Italia il Servizio sanitario nazionale è improntato proprio sul garantire assistenza a tutti i cittadini? Lo abbiamo chiesto al presidente di Amci Perugia Marco Dottorini. “I costi per la salute variano in base al reddito. 

Nella nostra regione siamo divisi in fasce di reddito e la fascia “R1” comprende le persone che hanno un reddito da 0 a 36.000 euro lordi annui. Coloro che si avvicinano più a zero che a 36.000 non possono permettersi di pagare esami o visite mediche specialistiche” spiega Dottorini.

Esami, analisi e visite specialistiche richiedono infatti sempre un costo per la prestazione. “Quello che chiamiamo ‘ticket’ - specifica Dottorini - è la maggiorazione sul costo di base della prestazione che varia a seconda della fascia di reddito. Ma ciò non toglie che ci sia comunque un costo di base invariabile che molti non possono permettersi”.

Quante sono le persone che non possono pagarsi le cure

In tutta l’Umbria, spiegano i promotori dell’Ambulatorio della solidarietà, le persone con un reddito talmente basso da non potersi permettere le cure sono circa 200.000, 70.000 solo nel perugino. “Le segnalazioni di questo problema ci sono arrivate sia dalla Caritas che dai medici di base, i quali prescrivono esami o visite che alcuni pazienti poi non fanno proprio perchè non possono pagare” ha aggiunto Dottorini.

Come funziona l'ambulatorio

L’Ambulatorio è aperto nei locali messi a disposizione dalla clinica Lami, ogni sabato. Qualora le persone accolte, oltre alla visita specialistica, avessero bisogno anche di fare analisi o esami, potranno farle sempre alla Lami gratuitamente e il costo sarà poi coperto dalla Diocesi di Perugia-Città della Pieve. I pazienti accedono all’Ambulatorio su segnalazione dei medici di base e di Caritas, per fare in modo che riceva le prestazioni solo chi ne ha effettivamente bisogno.

Cercasi volontari

“Ora con la campagna ‘Ho bisogno di te’ rivolta a medici specialisti, stiamo cercando di sensibilizzare i colleghi per trovare più volontari disposti a offrire un’ora del proprio tempo libero e della propria professionalità da dedicare a quest’ambulatorio”. “Più volontari abbiamo - aggiunge Dottorini - e più il servizio diventa leggero per tutti, con turni e ricambi”. Per candidarsi basta mandare una mail ad amciperugia@gmail.com fornendo i propri dati.

Valentina Russo

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ambulatorio

È attivo già da qualche tempo, ma sarà presentato ufficialmente ed entrerà a pieno regime martedì 11 febbraio, giorno in cui la Chiesa celebra la festa liturgica della Beata Vergine di Lourdes e la Giornata mondiale del malato. Si tratta dell’ “Ambulatorio della solidarietà” con sede presso la casa di cura “Clinica Lami” di Perugia, per pazienti indigenti, coloro che non hanno la possibilità economica di pagarsi una visita specialistica o degli accertamenti clinici e per tale motivo non si curano o spesso fanno richiesta alla Caritas.

Il progetto è infatti promosso da Caritas diocesana, dall’Ufficio diocesano per la pastorale della salute e dalla sezione perugina dell’Associazione medici cattolici italiana (Amci) in collaborazione con la clinica Lami.

Le cure non sono offerte dallo Stato?

Come mai c’è bisogno di un ambulatorio come questo dal momento che in Italia il Servizio sanitario nazionale è improntato proprio sul garantire assistenza a tutti i cittadini? Lo abbiamo chiesto al presidente di Amci Perugia Marco Dottorini. “I costi per la salute variano in base al reddito. 

Nella nostra regione siamo divisi in fasce di reddito e la fascia “R1” comprende le persone che hanno un reddito da 0 a 36.000 euro lordi annui. Coloro che si avvicinano più a zero che a 36.000 non possono permettersi di pagare esami o visite mediche specialistiche” spiega Dottorini.

Esami, analisi e visite specialistiche richiedono infatti sempre un costo per la prestazione. “Quello che chiamiamo ‘ticket’ - specifica Dottorini - è la maggiorazione sul costo di base della prestazione che varia a seconda della fascia di reddito. Ma ciò non toglie che ci sia comunque un costo di base invariabile che molti non possono permettersi”.

Quante sono le persone che non possono pagarsi le cure

In tutta l’Umbria, spiegano i promotori dell’Ambulatorio della solidarietà, le persone con un reddito talmente basso da non potersi permettere le cure sono circa 200.000, 70.000 solo nel perugino. “Le segnalazioni di questo problema ci sono arrivate sia dalla Caritas che dai medici di base, i quali prescrivono esami o visite che alcuni pazienti poi non fanno proprio perchè non possono pagare” ha aggiunto Dottorini.

Come funziona l'ambulatorio

L’Ambulatorio è aperto nei locali messi a disposizione dalla clinica Lami, ogni sabato. Qualora le persone accolte, oltre alla visita specialistica, avessero bisogno anche di fare analisi o esami, potranno farle sempre alla Lami gratuitamente e il costo sarà poi coperto dalla Diocesi di Perugia-Città della Pieve. I pazienti accedono all’Ambulatorio su segnalazione dei medici di base e di Caritas, per fare in modo che riceva le prestazioni solo chi ne ha effettivamente bisogno.

Cercasi volontari

“Ora con la campagna ‘Ho bisogno di te’ rivolta a medici specialisti, stiamo cercando di sensibilizzare i colleghi per trovare più volontari disposti a offrire un’ora del proprio tempo libero e della propria professionalità da dedicare a quest’ambulatorio”. “Più volontari abbiamo - aggiunge Dottorini - e più il servizio diventa leggero per tutti, con turni e ricambi”. Per candidarsi basta mandare una mail ad amciperugia@gmail.com fornendo i propri dati.

Valentina Russo

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Giornata del malato. Messaggio di Papa Francesco: “Cristo non ci ha dato ricette, ma ci libera dall’oppressione del male” https://www.lavoce.it/giornata-malato-messaggio-papa/ Sun, 09 Feb 2020 14:48:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56252 malato

«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11, 28)

  Cari fratelli e sorelle, 1. Le parole che Gesù pronuncia: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28) indicano il misterioso cammino della grazia che si rivela ai semplici e che offre ristoro agli affaticati e agli stanchi. Queste parole esprimono la solidarietà del Figlio dell’uomo, Gesù Cristo, di fronte ad una umanità afflitta e sofferente. Quante persone soffrono nel corpo e nello spirito! Egli chiama tutti ad andare da Lui, «venite a me», e promette loro sollievo e ristoro. «Quando Gesù dice questo, ha davanti agli occhi le persone che incontra ogni giorno per le strade di Galilea: tanta gente semplice, poveri, malati, peccatori, emarginati dal peso della legge e dal sistema sociale oppressivo... Questa gente lo ha sempre rincorso per ascoltare la sua parola – una parola che dava speranza» (Angelus, 6 luglio 2014). Nella XXVIII Giornata Mondiale del Malato, Gesù rivolge l’invito agli ammalati e agli oppressi, ai poveri che sanno di dipendere interamente da Dio e che, feriti dal peso della prova, hanno bisogno di guarigione. Gesù Cristo, a chi vive l’angoscia per la propria situazione di fragilità, dolore e debolezza, non impone leggi, ma offre la sua misericordia, cioè la sua persona ristoratrice. Gesù guarda l’umanità ferita. Egli ha occhi che vedono, che si accorgono, perché guardano in profondità, non corrono indifferenti, ma si fermano e accolgono tutto l’uomo, ogni uomo nella sua condizione di salute, senza scartare nessuno, invitando ciascuno ad entrare nella sua vita per fare esperienza di tenerezza. 2. Perché Gesù Cristo nutre questi sentimenti? Perché Egli stesso si è fatto debole, sperimentando l’umana sofferenza e ricevendo a sua volta ristoro dal Padre. Infatti, solo chi fa, in prima persona, questa esperienza saprà essere di conforto per l’altro. Diverse sono le forme gravi di sofferenza: malattie inguaribili e croniche, patologie psichiche, quelle che necessitano di riabilitazione o di cure palliative, le varie disabilità, le malattie dell’infanzia e della vecchiaia… In queste circostanze si avverte a volte una carenza di umanità e risulta perciò necessario personalizzare l’approccio al malato, aggiungendo al curare il prendersi cura, per una guarigione umana integrale. Nella malattia la persona sente compromessa non solo la propria integrità fisica, ma anche le dimensioni relazionale, intellettiva, affettiva, spirituale; e attende perciò, oltre alle terapie, sostegno, sollecitudine, attenzione… insomma, amore. Inoltre, accanto al malato c’è una famiglia che soffre e chiede anch’essa conforto e vicinanza. 3. Cari fratelli e sorelle infermi, la malattia vi pone in modo particolare tra quanti, “stanchi e oppressi”, attirano lo sguardo e il cuore di Gesù. Da lì viene la luce per i vostri momenti di buio, la speranza per il vostro sconforto. Egli vi invita ad andare a Lui: «Venite». In Lui, infatti, le inquietudini e gli interrogativi che, in questa “notte” del corpo e dello spirito, sorgono in voi troveranno forza per essere attraversate. Sì, Cristo non ci ha dato ricette, ma con la sua passione, morte e risurrezione ci libera dall’oppressione del male. In questa condizione avete certamente bisogno di un luogo per ristorarvi. La Chiesa vuole essere sempre più e sempre meglio la “locanda” del Buon Samaritano che è Cristo (cfr Lc 10,34), cioè la casa dove potete trovare la sua grazia che si esprime nella familiarità, nell’accoglienza, nel sollievo. In questa casa potrete incontrare persone che, guarite dalla misericordia di Dio nella loro fragilità, sapranno aiutarvi a portare la croce facendo delle proprie ferite delle feritoie, attraverso le quali guardare l’orizzonte al di là della malattia e ricevere luce e aria per la vostra vita. In tale opera di ristoro verso i fratelli infermi si colloca il servizio degli operatori sanitari, medici, infermieri, personale sanitario e amministrativo, ausiliari, volontari che con competenza agiscono facendo sentire la presenza di Cristo, che offre consolazione e si fa carico della persona malata curandone le ferite. Ma anche loro sono uomini e donne con le loro fragilità e pure le loro malattie. Per loro in modo particolare vale che, «una volta ricevuto il ristoro e il conforto di Cristo, siamo chiamati a nostra volta a diventare ristoro e conforto per i fratelli, con atteggiamento mite e umile, ad imitazione del Maestro» (Angelus, 6 luglio 2014). 4. Cari operatori sanitari, ogni intervento diagnostico, preventivo, terapeutico, di ricerca, cura e riabilitazione è rivolto alla persona malata, dove il sostantivo “persona”, viene sempre prima dell’aggettivo “malata”. Pertanto, il vostro agire sia costantemente proteso alla dignità e alla vita della persona, senza alcun cedimento ad atti di natura eutanasica, di suicidio assistito o soppressione della vita, nemmeno quando lo stato della malattia è irreversibile. Nell’esperienza del limite e del possibile fallimento anche della scienza medica di fronte a casi clinici sempre più problematici e a diagnosi infauste, siete chiamati ad aprirvi alla dimensione trascendente, che può offrirvi il senso pieno della vostra professione. Ricordiamo che la vita è sacra e appartiene a Dio, pertanto è inviolabile e indisponibile (cfr Istr. Donum vitae, 5; Enc. Evangelium vitae, 29-53). La vita va accolta, tutelata, rispettata e servita dal suo nascere al suo morire: lo richiedono contemporaneamente sia la ragione sia la fede in Dio autore della vita. In certi casi, l’obiezione di coscienza è per voi la scelta necessaria per rimanere coerenti a questo “sì” alla vita e alla persona. In ogni caso, la vostra professionalità, animata dalla carità cristiana, sarà il migliore servizio al vero diritto umano, quello alla vita. Quando non potrete guarire, potrete sempre curare con gesti e procedure che diano ristoro e sollievo al malato. Purtroppo, in alcuni contesti di guerra e di conflitto violento sono presi di mira il personale sanitario e le strutture che si occupano dell’accoglienza e assistenza dei malati. In alcune zone anche il potere politico pretende di manipolare l’assistenza medica a proprio favore, limitando la giusta autonomia della professione sanitaria. In realtà, attaccare coloro che sono dedicati al servizio delle membra sofferenti del corpo sociale non giova a nessuno. 5. In questa XXVIII Giornata Mondiale del Malato, penso ai tanti fratelli e sorelle che, nel mondo intero, non hanno la possibilità di accedere alle cure, perché vivono in povertà. Mi rivolgo, pertanto, alle istituzioni sanitarie e ai Governi di tutti i Paesi del mondo, affinché, per considerare l’aspetto economico, non trascurino la giustizia sociale. Auspico che, coniugando i principi di solidarietà e sussidiarietà, si cooperi perché tutti abbiano accesso a cure adeguate per la salvaguardia e il recupero della salute. Ringrazio di cuore i volontari che si pongono al servizio dei malati, andando in non pochi casi a supplire a carenze strutturali e riflettendo, con gesti di tenerezza e di vicinanza, l’immagine di Cristo Buon Samaritano. Alla Vergine Maria, Salute dei malati, affido tutte le persone che stanno portando il peso della malattia, insieme ai loro familiari, come pure tutti gli operatori sanitari. A tutti con affetto assicuro la mia vicinanza nella preghiera e invio di cuore la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 3 gennaio 2020

Memoria del SS. Nome di Gesù

Francesco

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«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11, 28)

  Cari fratelli e sorelle, 1. Le parole che Gesù pronuncia: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28) indicano il misterioso cammino della grazia che si rivela ai semplici e che offre ristoro agli affaticati e agli stanchi. Queste parole esprimono la solidarietà del Figlio dell’uomo, Gesù Cristo, di fronte ad una umanità afflitta e sofferente. Quante persone soffrono nel corpo e nello spirito! Egli chiama tutti ad andare da Lui, «venite a me», e promette loro sollievo e ristoro. «Quando Gesù dice questo, ha davanti agli occhi le persone che incontra ogni giorno per le strade di Galilea: tanta gente semplice, poveri, malati, peccatori, emarginati dal peso della legge e dal sistema sociale oppressivo... Questa gente lo ha sempre rincorso per ascoltare la sua parola – una parola che dava speranza» (Angelus, 6 luglio 2014). Nella XXVIII Giornata Mondiale del Malato, Gesù rivolge l’invito agli ammalati e agli oppressi, ai poveri che sanno di dipendere interamente da Dio e che, feriti dal peso della prova, hanno bisogno di guarigione. Gesù Cristo, a chi vive l’angoscia per la propria situazione di fragilità, dolore e debolezza, non impone leggi, ma offre la sua misericordia, cioè la sua persona ristoratrice. Gesù guarda l’umanità ferita. Egli ha occhi che vedono, che si accorgono, perché guardano in profondità, non corrono indifferenti, ma si fermano e accolgono tutto l’uomo, ogni uomo nella sua condizione di salute, senza scartare nessuno, invitando ciascuno ad entrare nella sua vita per fare esperienza di tenerezza. 2. Perché Gesù Cristo nutre questi sentimenti? Perché Egli stesso si è fatto debole, sperimentando l’umana sofferenza e ricevendo a sua volta ristoro dal Padre. Infatti, solo chi fa, in prima persona, questa esperienza saprà essere di conforto per l’altro. Diverse sono le forme gravi di sofferenza: malattie inguaribili e croniche, patologie psichiche, quelle che necessitano di riabilitazione o di cure palliative, le varie disabilità, le malattie dell’infanzia e della vecchiaia… In queste circostanze si avverte a volte una carenza di umanità e risulta perciò necessario personalizzare l’approccio al malato, aggiungendo al curare il prendersi cura, per una guarigione umana integrale. Nella malattia la persona sente compromessa non solo la propria integrità fisica, ma anche le dimensioni relazionale, intellettiva, affettiva, spirituale; e attende perciò, oltre alle terapie, sostegno, sollecitudine, attenzione… insomma, amore. Inoltre, accanto al malato c’è una famiglia che soffre e chiede anch’essa conforto e vicinanza. 3. Cari fratelli e sorelle infermi, la malattia vi pone in modo particolare tra quanti, “stanchi e oppressi”, attirano lo sguardo e il cuore di Gesù. Da lì viene la luce per i vostri momenti di buio, la speranza per il vostro sconforto. Egli vi invita ad andare a Lui: «Venite». In Lui, infatti, le inquietudini e gli interrogativi che, in questa “notte” del corpo e dello spirito, sorgono in voi troveranno forza per essere attraversate. Sì, Cristo non ci ha dato ricette, ma con la sua passione, morte e risurrezione ci libera dall’oppressione del male. In questa condizione avete certamente bisogno di un luogo per ristorarvi. La Chiesa vuole essere sempre più e sempre meglio la “locanda” del Buon Samaritano che è Cristo (cfr Lc 10,34), cioè la casa dove potete trovare la sua grazia che si esprime nella familiarità, nell’accoglienza, nel sollievo. In questa casa potrete incontrare persone che, guarite dalla misericordia di Dio nella loro fragilità, sapranno aiutarvi a portare la croce facendo delle proprie ferite delle feritoie, attraverso le quali guardare l’orizzonte al di là della malattia e ricevere luce e aria per la vostra vita. In tale opera di ristoro verso i fratelli infermi si colloca il servizio degli operatori sanitari, medici, infermieri, personale sanitario e amministrativo, ausiliari, volontari che con competenza agiscono facendo sentire la presenza di Cristo, che offre consolazione e si fa carico della persona malata curandone le ferite. Ma anche loro sono uomini e donne con le loro fragilità e pure le loro malattie. Per loro in modo particolare vale che, «una volta ricevuto il ristoro e il conforto di Cristo, siamo chiamati a nostra volta a diventare ristoro e conforto per i fratelli, con atteggiamento mite e umile, ad imitazione del Maestro» (Angelus, 6 luglio 2014). 4. Cari operatori sanitari, ogni intervento diagnostico, preventivo, terapeutico, di ricerca, cura e riabilitazione è rivolto alla persona malata, dove il sostantivo “persona”, viene sempre prima dell’aggettivo “malata”. Pertanto, il vostro agire sia costantemente proteso alla dignità e alla vita della persona, senza alcun cedimento ad atti di natura eutanasica, di suicidio assistito o soppressione della vita, nemmeno quando lo stato della malattia è irreversibile. Nell’esperienza del limite e del possibile fallimento anche della scienza medica di fronte a casi clinici sempre più problematici e a diagnosi infauste, siete chiamati ad aprirvi alla dimensione trascendente, che può offrirvi il senso pieno della vostra professione. Ricordiamo che la vita è sacra e appartiene a Dio, pertanto è inviolabile e indisponibile (cfr Istr. Donum vitae, 5; Enc. Evangelium vitae, 29-53). La vita va accolta, tutelata, rispettata e servita dal suo nascere al suo morire: lo richiedono contemporaneamente sia la ragione sia la fede in Dio autore della vita. In certi casi, l’obiezione di coscienza è per voi la scelta necessaria per rimanere coerenti a questo “sì” alla vita e alla persona. In ogni caso, la vostra professionalità, animata dalla carità cristiana, sarà il migliore servizio al vero diritto umano, quello alla vita. Quando non potrete guarire, potrete sempre curare con gesti e procedure che diano ristoro e sollievo al malato. Purtroppo, in alcuni contesti di guerra e di conflitto violento sono presi di mira il personale sanitario e le strutture che si occupano dell’accoglienza e assistenza dei malati. In alcune zone anche il potere politico pretende di manipolare l’assistenza medica a proprio favore, limitando la giusta autonomia della professione sanitaria. In realtà, attaccare coloro che sono dedicati al servizio delle membra sofferenti del corpo sociale non giova a nessuno. 5. In questa XXVIII Giornata Mondiale del Malato, penso ai tanti fratelli e sorelle che, nel mondo intero, non hanno la possibilità di accedere alle cure, perché vivono in povertà. Mi rivolgo, pertanto, alle istituzioni sanitarie e ai Governi di tutti i Paesi del mondo, affinché, per considerare l’aspetto economico, non trascurino la giustizia sociale. Auspico che, coniugando i principi di solidarietà e sussidiarietà, si cooperi perché tutti abbiano accesso a cure adeguate per la salvaguardia e il recupero della salute. Ringrazio di cuore i volontari che si pongono al servizio dei malati, andando in non pochi casi a supplire a carenze strutturali e riflettendo, con gesti di tenerezza e di vicinanza, l’immagine di Cristo Buon Samaritano. Alla Vergine Maria, Salute dei malati, affido tutte le persone che stanno portando il peso della malattia, insieme ai loro familiari, come pure tutti gli operatori sanitari. A tutti con affetto assicuro la mia vicinanza nella preghiera e invio di cuore la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 3 gennaio 2020

Memoria del SS. Nome di Gesù

Francesco

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A Perugia il 4° raduno nazionale delle “Città del sollievo” https://www.lavoce.it/perugia-raduno-citta-sollievo/ Thu, 11 Oct 2018 12:08:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53108 sollievo

Nel primo fine settimana di ottobre Perugia ha ospitato il 4° raduno nazionale delle “Città del sollievo”, ovvero 28 Comuni da tutta l’Italia che fanno parte dell’omonima rete e si impegnano quotidianamente nell’organizzazione di iniziative di sensibilizzazione e di solidarietà per alleviare le sofferenze di malati, anziani o disabili gravi e delle loro famiglie.

Come nasce la rete delle Città del sollievo

La rete delle Città del sollievo è nata sulla scia della Giornata nazionale del sollievo, istituita nel 2001 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, e della legge 38 del 2010, una norma che garantisce l’accesso alle cure palliative.

Promotore del progetto Città del sollievo è la Fondazione Gigi Ghirotti, il cui nome onora un giornalista che, malato di cancro, si era battuto per il miglioramento della qualità di vita nei luoghi di cura. La Fondazione, con il patrocinio di Anci (Associazione nazionale Comuni italiani) riconosce da qualche anno, alle città che ne fanno richiesta, l’attestato simbolico di “Città del sollievo”.

Le esperienze dei 28 Comuni della rete

Hanno partecipato al meeting di Perugia i rappresentanti di quasi tutti i Comuni che ad oggi fanno parte della rete, realtà grandi e piccole, più o meno provviste di strutture e attrezzature, ma tutte con un’esperienza da condividere. Nelle città in cui è presente un “hospice”, ovvero una struttura residenziale interamente dedicata alle cure palliative, il lavoro di “sollievo” è più evidente, ma la presenza di tali centri non è l’unica iniziativa messa in campo.

A Certaldo, Comune toscano di circa 16.000 abitanti, c’è una residenza sanitaria assistita (Rsa) i cui dipendenti hanno avviato il progetto “Teatro incontri” per dare sollievo ai 52 ospiti attraverso il divertimento che provano nel vedere i propri operatori, medici e infermieri, travestirsi e recitare con loro.

A Larino, piccolo Comune della provincia di Campobasso, l’hospice c’era, ma è stato fermo per diversi anni a causa del terremoto: “Abbiamo dovuto contare molto sulla buona volontà dei singoli volontari per portare l’hospice direttamente nelle case dei nostri assistiti” ha detto il dott. Mariano Flocco, rappresentante di Larino al raduno di Perugia.

Anche Macerata, dopo il terremoto, ha dovuto fare i conti con tipi diversi di sofferenza e sollievo: “Abbiamo avviato il progetto Fenice, ovvero uno sportello di aiuto per l’elaborazione della perdita in senso generale, dalla casa alle persone care” ha raccontato il dott. Luigi Nardi.

A Rieti l’Associazione per la lotta contro le leucemie dell’infanzia (Alcli) ha dato vita al progetto Alessandra che consiste nel dare sollievo alle donne sottoposte a chemioterapia attraverso la donazione di parrucche.

La carta dei servizi

Le esperienze sono così tante e importanti che la Fondazione Ghirotti ed Anci hanno incaricato l’Alta scuola per l’ambiente dell’Università Cattolica di creare una “carta dei servizi delle Città del sollievo”, presentata nell’ambito dell’incontro perugino, in cui è stata fatta una mappatura dettagliata di tali opere nei vari contesti locali.

L'esperienza umbra e perugina in tema di sollievo

Dei 28 Comuni che hanno aderito fino ad ora alla rete delle Città del sollievo, ben 8 sono umbri: si tratta di Montefalco, Perugia, Trevi, Assisi, Foligno, Bevagna, Spello e Narni.

In tutte queste città le iniziative di sollievo della sofferenza fanno capo specialmente alle tante associazioni di volontariato: “L’Umbria è una regione che invecchia, e ci troviamo a far fronte alle necessità degli anziani, che spesso vivono con badanti straniere e per i quali anche un piatto della tradizione umbra di tanto in tanto costituisce ‘sollievo’” ha detto la dott.ssa Elisabetta Todeschini del Lions club nell’ambito del 4° raduno nazionale della rete delle Città del sollievo.

“Perugia è Città del sollievo grazie anche alle associazioni del territorio - sottolinea l’assessore comunale ai Servizi sociali Edi Cicchi. - Ad oggi, la rete del sollievo del territorio perugino conta 38 partner tra istituzioni (Usl Umbria 1, Azienda ospedaliera, arcidiocesi di Perugia), associazioni e fondazioni del terzo settore”.

Fra queste realtà c’è la Croce rossa, i cui volontari non svolgono solo servizio di trasporto, ma anche di conforto, come quelli che operano nel reparto di Radioterapia oncologica.

L’associazione Coraggio, fondata da alcuni familiari di persone affette da disturbi del comportamento alimentare, ha testimoniato le grandi potenzialità della rete del sollievo, che mette in contatto i membri di diverse associazioni e permette di realizzare insieme più iniziative.

Non solo sollievo nella malattia, ma anche prevenzione: nella rete vi è infatti il “Piedibus del benessere” che offre la possibilità di muoversi gratuitamente tutte le sere in diverse parti della città e, al contempo, combatte la solitudine.

Fiore all’occhiello della cultura del sollievo è poi senza dubbio l’hospice, dedicato all’accoglienza di pazienti con patologie gravi, spesso in fase terminale. In Umbria le strutture residenziali di cure palliative sono tre, a Terni, a Spoleto e a Perugia. Quest’ultima è inserita nella rete del sollievo e ospita circa 200 pazienti l’anno. “L’hospice non è un posto dove si va a morire: il 40% dei nostri ospiti poi torna a casa” afferma la dott.ssa Susanna Perazzini, responsabile dell’hospice “Casa nel parco” di Perugia.

“Inoltre continua - non ospitiamo solo pazienti oncologici, ma anche pazienti con malattie croniche evolutive, malattie neurologiche o cardiologiche che a casa non avrebbero l’assistenza costante di cui hanno bisogno, né la attrezzature necessarie”.

A differenza dell’ospedale, l’hospice ha l’aspetto di una casa anche nel suo arredamento, e orari molto più liberi, che consentono al malato di mantenere le proprie abitudini: “È un luogo dove essere accuditi senza spogliarsi della propria intimità”.

Valentina Russo

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sollievo

Nel primo fine settimana di ottobre Perugia ha ospitato il 4° raduno nazionale delle “Città del sollievo”, ovvero 28 Comuni da tutta l’Italia che fanno parte dell’omonima rete e si impegnano quotidianamente nell’organizzazione di iniziative di sensibilizzazione e di solidarietà per alleviare le sofferenze di malati, anziani o disabili gravi e delle loro famiglie.

Come nasce la rete delle Città del sollievo

La rete delle Città del sollievo è nata sulla scia della Giornata nazionale del sollievo, istituita nel 2001 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, e della legge 38 del 2010, una norma che garantisce l’accesso alle cure palliative.

Promotore del progetto Città del sollievo è la Fondazione Gigi Ghirotti, il cui nome onora un giornalista che, malato di cancro, si era battuto per il miglioramento della qualità di vita nei luoghi di cura. La Fondazione, con il patrocinio di Anci (Associazione nazionale Comuni italiani) riconosce da qualche anno, alle città che ne fanno richiesta, l’attestato simbolico di “Città del sollievo”.

Le esperienze dei 28 Comuni della rete

Hanno partecipato al meeting di Perugia i rappresentanti di quasi tutti i Comuni che ad oggi fanno parte della rete, realtà grandi e piccole, più o meno provviste di strutture e attrezzature, ma tutte con un’esperienza da condividere. Nelle città in cui è presente un “hospice”, ovvero una struttura residenziale interamente dedicata alle cure palliative, il lavoro di “sollievo” è più evidente, ma la presenza di tali centri non è l’unica iniziativa messa in campo.

A Certaldo, Comune toscano di circa 16.000 abitanti, c’è una residenza sanitaria assistita (Rsa) i cui dipendenti hanno avviato il progetto “Teatro incontri” per dare sollievo ai 52 ospiti attraverso il divertimento che provano nel vedere i propri operatori, medici e infermieri, travestirsi e recitare con loro.

A Larino, piccolo Comune della provincia di Campobasso, l’hospice c’era, ma è stato fermo per diversi anni a causa del terremoto: “Abbiamo dovuto contare molto sulla buona volontà dei singoli volontari per portare l’hospice direttamente nelle case dei nostri assistiti” ha detto il dott. Mariano Flocco, rappresentante di Larino al raduno di Perugia.

Anche Macerata, dopo il terremoto, ha dovuto fare i conti con tipi diversi di sofferenza e sollievo: “Abbiamo avviato il progetto Fenice, ovvero uno sportello di aiuto per l’elaborazione della perdita in senso generale, dalla casa alle persone care” ha raccontato il dott. Luigi Nardi.

A Rieti l’Associazione per la lotta contro le leucemie dell’infanzia (Alcli) ha dato vita al progetto Alessandra che consiste nel dare sollievo alle donne sottoposte a chemioterapia attraverso la donazione di parrucche.

La carta dei servizi

Le esperienze sono così tante e importanti che la Fondazione Ghirotti ed Anci hanno incaricato l’Alta scuola per l’ambiente dell’Università Cattolica di creare una “carta dei servizi delle Città del sollievo”, presentata nell’ambito dell’incontro perugino, in cui è stata fatta una mappatura dettagliata di tali opere nei vari contesti locali.

L'esperienza umbra e perugina in tema di sollievo

Dei 28 Comuni che hanno aderito fino ad ora alla rete delle Città del sollievo, ben 8 sono umbri: si tratta di Montefalco, Perugia, Trevi, Assisi, Foligno, Bevagna, Spello e Narni.

In tutte queste città le iniziative di sollievo della sofferenza fanno capo specialmente alle tante associazioni di volontariato: “L’Umbria è una regione che invecchia, e ci troviamo a far fronte alle necessità degli anziani, che spesso vivono con badanti straniere e per i quali anche un piatto della tradizione umbra di tanto in tanto costituisce ‘sollievo’” ha detto la dott.ssa Elisabetta Todeschini del Lions club nell’ambito del 4° raduno nazionale della rete delle Città del sollievo.

“Perugia è Città del sollievo grazie anche alle associazioni del territorio - sottolinea l’assessore comunale ai Servizi sociali Edi Cicchi. - Ad oggi, la rete del sollievo del territorio perugino conta 38 partner tra istituzioni (Usl Umbria 1, Azienda ospedaliera, arcidiocesi di Perugia), associazioni e fondazioni del terzo settore”.

Fra queste realtà c’è la Croce rossa, i cui volontari non svolgono solo servizio di trasporto, ma anche di conforto, come quelli che operano nel reparto di Radioterapia oncologica.

L’associazione Coraggio, fondata da alcuni familiari di persone affette da disturbi del comportamento alimentare, ha testimoniato le grandi potenzialità della rete del sollievo, che mette in contatto i membri di diverse associazioni e permette di realizzare insieme più iniziative.

Non solo sollievo nella malattia, ma anche prevenzione: nella rete vi è infatti il “Piedibus del benessere” che offre la possibilità di muoversi gratuitamente tutte le sere in diverse parti della città e, al contempo, combatte la solitudine.

Fiore all’occhiello della cultura del sollievo è poi senza dubbio l’hospice, dedicato all’accoglienza di pazienti con patologie gravi, spesso in fase terminale. In Umbria le strutture residenziali di cure palliative sono tre, a Terni, a Spoleto e a Perugia. Quest’ultima è inserita nella rete del sollievo e ospita circa 200 pazienti l’anno. “L’hospice non è un posto dove si va a morire: il 40% dei nostri ospiti poi torna a casa” afferma la dott.ssa Susanna Perazzini, responsabile dell’hospice “Casa nel parco” di Perugia.

“Inoltre continua - non ospitiamo solo pazienti oncologici, ma anche pazienti con malattie croniche evolutive, malattie neurologiche o cardiologiche che a casa non avrebbero l’assistenza costante di cui hanno bisogno, né la attrezzature necessarie”.

A differenza dell’ospedale, l’hospice ha l’aspetto di una casa anche nel suo arredamento, e orari molto più liberi, che consentono al malato di mantenere le proprie abitudini: “È un luogo dove essere accuditi senza spogliarsi della propria intimità”.

Valentina Russo

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Il 6° meeting della Pastorale della salute, contro l’ideologia del ‘belli e perfetti’ https://www.lavoce.it/6-meeting-della-pastorale-della-salute-lideologia-del-belli-perfetti/ Sat, 16 Jun 2018 11:34:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52112

Si è svolto domenica 10 giugno a Marsciano il 6° meeting organizzato dalla Pastorale della salute della diocesi di Perugia - Città della Pieve, intitolato “E io vi ristorerò: nella sofferenza la Speranza”.

Don Massimo Angelelli, direttore dell’ufficio nazionale della Pastorale della salute, è stato il primo a parlare: “Siamo davanti a un cambiamento sociale. La famiglia si trova oggi ad affrontare problemi economici, mancanza di tempo e solidità, che non le permettono di prendersi cura dei malati, soprattutto se cronici. La crisi ha portato alla riduzione delle strutture sanitarie, comportando una diminuzione dei posti letto e dando il via al fenomeno della degenza e delle cure a domicilio, mettendo ancor più in difficoltà le famiglie.

È un quadro complesso, in cui i cristiani si devono inserire per obbligo evangelico. Non parliamo di azione sanitaria ma di sensibilità, che deve crescere nelle comunità come identità cristiana. Non è solo il corpo ad avere bisogno di cure, perché non siamo so- lo corpo.”

La società moderna risponde al diktat : “Belli, bravi e in salute. Se non saremo noi a occuparci delle periferie dell’umanità, non lo farà nessuno. In questa attenzione abiterà la nostra credibilità”.

Don Massimo ha anche parlato di giovani abituati alla violenza virtuale ma non alla sofferenza reale, condizione che crea in loro una crisi mentale, in quanto non li tutela dalla sofferenza o dalla morte di un loro caro, e che hanno poco a che fare con la fantasia.

L’ultimo appello va ai medici cristiani, invitati a comportarsi come tali, a non piegarsi al Sistema ma a dirigerlo, opponendosi all’ideologia dello scarto e del paziente visto come costo.

Poi alcune testimonianze, come quella di Zelinda: “La malattia caratterizza da sempre la mia vita, ma sono cresciuta in una famiglia poco avvezza alle lamentele; nonostante l’amore dei miei genitori, vivevo senza sognare un futuro. Nella Chiesa mi sono riconosciuta come persona, sono stata guardata senza pietismo. Ho imparato a stare bene con me stessa, ho imparato che la prova ha il peso che decidiamo di dargli. Ringrazio Dio per essere nata nel mio tempo: se mia madre si fosse trovata a farmi nascere oggi, forse non sarei qui”. Qualcun altro ha aggiunto: “A volte basterebbe ci fosse qualcuno a piangere con te”. Proprio da questo bisogno è partito l’intervento pomeridiano di padre Raniero Cantalamessa, perché è il punto da cui parte Gesù, che prima di qualsiasi guarigione, piange con chi soffre. “Dobbiamo stare attenti a non sembrare come gli amici di Giobbe, attenti a non voler spiegare la sofferenza come un libro stampato, non tirare fuori teologie intellettuali che non servono a niente. Anche di fronte al suicidio, frutto di una depressione, rimettiamo tutto nelle mani di Dio che conosce gli stati d’animo. Dio è amore, e la sua collera è amore all’ennesima potenza. Come cristiani siamo chiamati a offrire alle persone una speranza, in questo siamo debitori. Ma la sofferenza resta un mistero”.

Il meeting si è concluso con la messa presieduta da mons. Paolo Giulietti, che ha lasciato un compito ai presenti: “Dobbiamo tornare a parlare della fragilità dell’uomo, dobbiamo smascherare le ideologie che vogliono far diventare bene ciò che è male; su questo è importante pregare e riflettere. È fondamentale la buona stampa – ha concluso – perché non diventiamo schiavi di travisamenti e di ideologie che ci impediscono di vedere la sofferenza come luogo dove opera davvero la potenza di Dio”.

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Si è svolto domenica 10 giugno a Marsciano il 6° meeting organizzato dalla Pastorale della salute della diocesi di Perugia - Città della Pieve, intitolato “E io vi ristorerò: nella sofferenza la Speranza”.

Don Massimo Angelelli, direttore dell’ufficio nazionale della Pastorale della salute, è stato il primo a parlare: “Siamo davanti a un cambiamento sociale. La famiglia si trova oggi ad affrontare problemi economici, mancanza di tempo e solidità, che non le permettono di prendersi cura dei malati, soprattutto se cronici. La crisi ha portato alla riduzione delle strutture sanitarie, comportando una diminuzione dei posti letto e dando il via al fenomeno della degenza e delle cure a domicilio, mettendo ancor più in difficoltà le famiglie.

È un quadro complesso, in cui i cristiani si devono inserire per obbligo evangelico. Non parliamo di azione sanitaria ma di sensibilità, che deve crescere nelle comunità come identità cristiana. Non è solo il corpo ad avere bisogno di cure, perché non siamo so- lo corpo.”

La società moderna risponde al diktat : “Belli, bravi e in salute. Se non saremo noi a occuparci delle periferie dell’umanità, non lo farà nessuno. In questa attenzione abiterà la nostra credibilità”.

Don Massimo ha anche parlato di giovani abituati alla violenza virtuale ma non alla sofferenza reale, condizione che crea in loro una crisi mentale, in quanto non li tutela dalla sofferenza o dalla morte di un loro caro, e che hanno poco a che fare con la fantasia.

L’ultimo appello va ai medici cristiani, invitati a comportarsi come tali, a non piegarsi al Sistema ma a dirigerlo, opponendosi all’ideologia dello scarto e del paziente visto come costo.

Poi alcune testimonianze, come quella di Zelinda: “La malattia caratterizza da sempre la mia vita, ma sono cresciuta in una famiglia poco avvezza alle lamentele; nonostante l’amore dei miei genitori, vivevo senza sognare un futuro. Nella Chiesa mi sono riconosciuta come persona, sono stata guardata senza pietismo. Ho imparato a stare bene con me stessa, ho imparato che la prova ha il peso che decidiamo di dargli. Ringrazio Dio per essere nata nel mio tempo: se mia madre si fosse trovata a farmi nascere oggi, forse non sarei qui”. Qualcun altro ha aggiunto: “A volte basterebbe ci fosse qualcuno a piangere con te”. Proprio da questo bisogno è partito l’intervento pomeridiano di padre Raniero Cantalamessa, perché è il punto da cui parte Gesù, che prima di qualsiasi guarigione, piange con chi soffre. “Dobbiamo stare attenti a non sembrare come gli amici di Giobbe, attenti a non voler spiegare la sofferenza come un libro stampato, non tirare fuori teologie intellettuali che non servono a niente. Anche di fronte al suicidio, frutto di una depressione, rimettiamo tutto nelle mani di Dio che conosce gli stati d’animo. Dio è amore, e la sua collera è amore all’ennesima potenza. Come cristiani siamo chiamati a offrire alle persone una speranza, in questo siamo debitori. Ma la sofferenza resta un mistero”.

Il meeting si è concluso con la messa presieduta da mons. Paolo Giulietti, che ha lasciato un compito ai presenti: “Dobbiamo tornare a parlare della fragilità dell’uomo, dobbiamo smascherare le ideologie che vogliono far diventare bene ciò che è male; su questo è importante pregare e riflettere. È fondamentale la buona stampa – ha concluso – perché non diventiamo schiavi di travisamenti e di ideologie che ci impediscono di vedere la sofferenza come luogo dove opera davvero la potenza di Dio”.

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Dal “sì” di Cristo al “sì” di madre Ricci https://www.lavoce.it/dal-si-di-cristo-al-si-di-madre-ricci/ Wed, 09 Sep 2015 11:02:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43101 Le Francescane Angeline con un gruppo di giovani della pastorale giovanile
Le Francescane Angeline con un gruppo di giovani della pastorale giovanile

Il 14 ottobre 1884 a Castelspina, un piccolo paesino dell’Alessandrino, per dono di Dio e per il “sì” di suor Chiara Ricci ha avuto inizio la nostra famiglia religiosa delle suore Francescane Angeline.

Madre Chiara, al secolo Angela Caterina Maddalena Battistina Maria Albertina Ricci, donna affabile, forte, amante della vita e grande educatrice, proveniente da una famiglia benestante di Savona, s’innamora di Dio e vuole seguirlo percorrendo le orme povere e semplici di san Francesco d’Assisi.

A 29 anni decide di entrare a far parte delle Terziarie francescane di Nostra Signora del Monte di Genova, come attesta lei stessa nella sua autobiografia: “Sentivo che il Signore mi voleva nelle Terziarie del Monte, poiché amavo essere povera per amore di Dio”.

Per sentieri provvidenziali e misteriosi (a lei, ma non al Signore), mentre seguiva la gestione di scuole, educandati e orfanotrofi in alcuni paesini dell’Alessandrino, si ritrova a dovere rispondere a una nuova chiamata del Signore. Abbandonandosi fiduciosamente alla volontà di Dio Padre, risponde a questo nuovo appello e, con l’appoggio e il sostegno di padre Innocenzo Gamalero, frate minore originario di Castelspina, si ritrova a essere guida e madre di una piccola famiglia di alcune ragazze che diventeranno le sue prime “figlie”.

Aperta alla volontà di Dio, nel quale ha sempre confidato in modo illimitato, dà vita al nuovo istituto ponendolo fin dall’inizio sotto la protezione di santa Maria degli Angeli e dando, appunto, il nome di “suore Francescane Angeline”. Le sue figlie saranno chiamate a vivere il “sì” di Cristo e di Maria e a testimoniare e annunciare la pace e la riconciliazione, rese possibili dall’incarnazione del Figlio di Dio. Un carisma, un dono dello Spirito santo che si concretizzerà in tutte le opere di misericordia, per rispondere a “tutti coloro che attendono”, come scrive madre Chiara.

In breve tempo la famiglia aumenta e vengono aperte molte case. Oggi abbiamo fraternità in Italia, Bolivia, Argentina, Brasile, Ciad, Congo. Il nostro istituto, nel suo percorso, ha continuato a essere guidato dalla passione per la vita, trasmessa dalla nostra cara madre Chiara. Il suo carisma, la forza della sua fede e la freschezza della sua carità cerchiamo di testimoniarle in ogni luogo e momento, perciò siamo disponibili ovunque ci sia bisogno, sempre al servizio della vita!

Suor Paola Volpini
Suor Paola Volpini

Nel desiderio di custodire la sua eredità, continuiamo a rispondere alle varie necessità, così come siamo e possiamo. In particolare, qui in Umbria abbiamo due fraternità, una ad Assisi a san Giacomo di Murorupto, che è una casa di accoglienza per pellegrini, e una a Santa Maria degli Angeli, dove abitiamo dal 1994. In quest’ultima, che fino al 2013 è stata anche casa di noviziato, si svolge principalmente attività di pastorale giovanile. Qui cerchiamo di vivere e trasmettere alle nuove generazioni la passione per la vita, di indicare loro la strada dell’abbandono fiducioso alla volontà di Dio come percorso per fare un incontro autentico con l’Autore della vita.

Ci mettiamo al fianco dei giovani, accompagnandoli nella loro ricerca vocazionale e nella crescita umana e cristiana; degli adolescenti, proponendo loro iniziative che favoriscono uno sguardo di fiducia in se stessi e verso il futuro; delle famiglie, per sostenerle nella fatica della costruzione delle loro Chiese domestiche. Con questa porzione del popolo di Dio, nella casa di Assisi, condividiamo i percorsi cristiani nella spiritualità francescana angelina attraverso l’associazione “Amici di madre Chiara”, proponendo loro esercizi, giornate di ritiro e di fraternità.

Accogliamo e collaboriamo, inoltre, con molte parrocchie che richiedono di accompagnare i loro giovani sui passi di Francesco e Chiara sia in terra umbra, sia dove risiedono. Le attività di pastorale giovanile ci vedono impegnate anche nella collaborazione con i frati della provincia umbra nel Servizio orientamento giovani che loro stessi offrono.

Alcune sorelle della nostra fraternità, in spirito di servizio verso la Chiesa locale, sono impegnate nella catechesi parrocchiale; nel servizio agli ammalati come ministri straordinari della Comunione e, su richiesta dei Frati minori, nel servizio di accoglienza ai pellegrini presso il santuario di San Damiano.

Siamo una piccola famiglia unita dall’unico desiderio: fare la volontà di Dio, confidando nella Sua benevola provvidenza, con la certezza che “Dio sa quello che fa”, come ripete ancora oggi a ciascuna di noi la nostra fondatrice madre Chiara.

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Con disponibilità e discrezione https://www.lavoce.it/con-disponibilita-e-discrezione/ Thu, 23 Jul 2015 07:54:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39756 Il monastero Ss. Annunziata
Il monastero Ss. Annunziata

Nel borgo antico di Todi, nel cuore dell’Umbria, si trova il monastero Ss. Annunziata, dal 1600 fino alla prima metà del 1900 monastero di clausura delle Serve di Maria, poi trasformato in casa per ferie dalle suore Serve di Maria Riparatrici. Qui attualmente vive e opera una comunità di tre suore, coadiuvate nel servizio di accoglienza da personale laico.

Nel 2010 Papa Benedetto XVI riconosceva le virtù eroiche di madre Maria Elisa Andreoli, fondatrice della congregazione, che, agli inizi del 1900 a Vidor (Treviso) vede realizzata l’ispirazione di vivere al femminile la spiritualità dell’Ordine dei Servi di Maria, di cui Maria ai piedi della croce è l’immagine conduttrice. Con totale fiducia nella divina Provvidenza e attenta ai segni dei tempi nei vari momenti della storia, madre Elisa non esita a rispondere a ogni appello dell’umanità sofferente che richieda la presenza e il servizio delle sue suore.

Profondamente inserita nella Chiesa, la congregazione, composta da una sessantina di comunità religiose, si diffonde dal Nord al Sud dell’Italia e oltre, nei luoghi di missione più bisognosi di aiuto spirituale, morale e materiale: dapprima nell’Acre-Purus (Brasile) poi in Argentina, Bolivia, Portogallo, Albania, Filippine, Costa d’Avorio, Togo, Perù, Messico, dove attualmente tante sorelle svolgono la loro missione a servizio di Dio e dell’uomo, impegnate nell’evangelizzazione e nella promozione umana nelle scuole, con i giovani e le famiglie e, in campo socio-sanitario, tra gli infermi, gli anziani, i carcerati.

Nel carisma dei Servi di Maria, le Serve di Maria hanno accolto la “riparazione mariana” – portata dalla serva di Dio suor Maria Dolores Inglese – che diventa uno degli elementi costitutivi della spiritualità della congregazione. È un ideale a misura di ogni persona interpellata a cooperare all’azione redentiva di Cristo con atteggiamento umile e semplice, ed è un impegno a riparare con la preghiera e l’azione il danno che il peccato reca all’edificazione del Regno; ideale riproposto con rinnovata formulazione nei vari momenti e situazioni della vita per essere accanto alle tante croci di ogni fratello e sorella che soffrono.

Suor M. Sebastiana Posati
Suor M. Sebastiana Posati

Nella seconda metà del secolo scorso, soprattutto nel dopoguerra, il carisma si è posto a servizio degli orfani, delle famiglie, degli ammalati. Oggi si vuole dare risposta ad alcune delle piaghe della nostra società: il recupero di donne sfruttate e in pericolo morale e fisico, o dare sostegno e fiducia ai genitori di giovani con disturbi alimentari in cura presso l’istituto Francisci di Todi, ospiti privilegiati della nostra casa.

L’accoglienza è una caratteristica che in questo luogo ha radici lontane ed è l’attività principale del monastero; è rivolta con disponibilità e discrezione a persone singole, a famiglie, a gruppi per ritiri spirituali, per sessioni di studio e convegni o semplicemente per una sosta nel pellegrinaggio ai tanti “luoghi santi“ della nostra Umbria.

La bellezza paesaggistica della città medievale e della casa, ricca di arte e di storia, aiuta gli ospiti a ritrovare lo spazio e il tempo per la riflessione e la preghiera, in un’atmosfera riposante e di silenzio. Con l’atteggiamento dei servi ai quali Maria santissima, a Cana, ha detto “fate quello che Lui vi dirà”, accogliamo la sollecitazione di Papa Francesco: “Svegliate il mondo”! Voglia il Signore che, come a Cana, la nostra povera acqua si cambi in vino nuovo, per donare gioia e speranza a chi avviciniamo nel nostro quotidiano.

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La professione religiosa in Ruanda di tre nuove suore Figlie della Misericordia https://www.lavoce.it/la-professione-religiosa-in-ruanda-di-tre-nuove-suore-figlie-della-misericordia/ Wed, 22 Jul 2015 08:50:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39750 Nelle foto due momenti della celebrazione delle professioni in Africa
Nelle foto due momenti della celebrazione delle professioni in Africa

Un anno fa nella diocesi di Kabgayi (Ruanda), dove è presente una casa di religiose tifernati “Figlie della Misericordia”, veniva creata una nuova parrocchia.

Per conoscere meglio la realtà di Kisibere e la congregazione di religiose fondata a Città di Castello nel 1841 da mons. Giovanni Muzi, abbiamo incontrato suor Cristina, tornata di recente proprio da una visita nella diocesi di Kabgayi.

“Siamo tornate in Ruanda a distanza di un anno in occasione della vestizione di tre nuove ragazze e della professione di altrettante consorelle (sr. Anne Marie di Gesù, sr. Esperence di San Vincenzo de Paoli, sr. Léonille del volto di Gesù)” ha affermato l’intervistata, che ha dipinto un quadro in chiaroscuro delle aree visitate in Ruanda: “La casa che abbiamo realizzato funziona e accoglie già 15 religiose, comprese suor Assunta, suor Luciana e suor Claudia.

La struttura della grande chiesa parrocchiale iniziata l’anno scorso è quasi terminata. Nel territorio, però, mancano ancora energia elettrica e acqua”. Secondo suor Cristina, poi, “servirebbero molti interventi di carità da effettuare a tappeto.

Nelle aree che abbiamo visitato, anche attraverso la diocesi, si stanno attivando alcuni progetti per cercare di creare un minimo di lavoro e di sussistenza per le migliaia di persone che fanno riferimento a questa nuova parrocchia. La realtà non è semplice, e la povertà è tanta”.

Nonostante l’indigenza e la fame, comunque, come ha aggiunto la religiosa, “tutti sono sereni e, anche se non possiedono nulla, aspettano la Provvidenza o l’aiuto di qualcuno. Si aspettano anche un aiuto dall’Occidente per risollevarsi, ma non ho idea di quanto gli occidentali arrivino in Africa per portare un aiuto o per sfruttarla”.

professione-suore-africa1Oltre che nella casa di Kisibere, la congregazione delle Figlie della Misericordia è oggi presente a Perugia, nella struttura dell’Onaosi, nella casa madre di Città di Castello e nella scuola dell’infanzia di Lama.

La congregazione venne creata dal vescovo Muzi con l’intento di fornire un’assistenza, anche spirituale, agli infermi e ai piccoli orfani.

Tali attività con il tempo si sono tradotte nell’assistenza ai malati, nell’ospedale tifernate e nell’attività educativa svolta nelle scuole dell’infanzia di Città di Castello e Lama. Il carisma di questa congregazione è riassunto dal concetto di “amore misericordioso”.

Come si legge nel sito di questo istituto, infatti, “il Muzi può essere considerato un pastore-profeta”, poiché “ha anticipato quello che decenni più tardi farà nascere nella Chiesa la ‘teologia della misericordia’, testimoniata dall’esempio di sante come Teresa di Lisieux, Faustina Kowalska e Madre Speranza”.

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Portatori della Luce che è Cristo https://www.lavoce.it/portatori-della-luce-che-e-cristo/ Tue, 14 Jul 2015 12:16:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=38790 Inaugurazione della Casa per “moradores de rua” a Palhoça (Brasile)
Inaugurazione della Casa per “moradores de rua” a Palhoça (Brasile)

La nostra storia è recente. Siamo una comunità religiosa costituita da sacerdoti, diaconi e fratelli e sorelle consacrati, nata con decreto diocesano (Orvieto) nel 2008 come associazione pubblica di fedeli clericale, eretta per essere società di vita apostolica.

Il suo nome è Opera “Santa Maria della Luce” perché nasce ai piedi dell’immagine della Madonna della Luce del santuario omonimo a Collelungo di San Venanzo.

Il cuore della nostra vita è il passo del Vangelo di Giovanni 8,12: Qui sequitur me non ambulat in tenebris così come si può leggere sul cartiglio che Gesù Bambino reca tra le mani mentre la Madre, che lo tiene tra le braccia, indica il Figlio come “Luce del mondo”.

La nostra comunità dunque si prefigge di essere portatrice di Luce ovunque si vada, con chiunque ci si incontra. Il mondo ha bisogno di luce, della luce che è Cristo; e arrivare a Cristo per mezzo di Maria sua madre, pregata e invocata come la Madre della Luce. Le nostre Costituzioni e il progetto formativo si basano su tre punti essenziali: l’evangelizzazione, la vita fraterna in comunità, il servizio ai poveri.

Di fatto, la nostra esperienza nasce dall’esperienza della vita comunitaria e la condivisione del lavoro pastorale affidatoci dall’allora vescovo mons. Decio Lucio Grandoni. Fu lui che nel 1992 ci disse in un’omelia tenuta al santuario della Madonna della Luce: “Voi andrete avanti nelle opere di carità che si stanno aprendo. Vi raccomando di rimanere sempre uniti e di non dimenticarvi che siete nati ai piedi di questa Signora”, indicando l’antico affresco della Madonna della Luce e il cartiglio che reca Gesù e che ci ricorda costantemente: “Chi segue me non cammina nelle tenebre”.

Per questo a chi ci chiede: “Qual’è il vostro carisma?”, domanda ovvia in ambiente religioso, non possiamo non rispondere: il nostro carisma è Cristo stesso, è Lui la Luce del mondo. Dopo diversi anni di vita fraterna vissuta in comune, di servizio pastorale nelle parrocchie a noi affidate, siamo giunti a comprendere che il servizio ai poveri è essenziale. Sono nate – ispirate all’opera di san Vincenzo de’ Paoli -, a San Venanzo, Orvieto, Morrano, Bagnoregio case per anziani, centri per bambini malati, case di accoglienza per persone in difficoltà. Sono nate le missioni all’estero: in Brasile, dove ci si prende cura dei moradores de rua, giovani che vivono senza dimora per le strade.

Don Ruggero Iorio
Don Ruggero Iorio

In Africa, nello Zambia, lavoriamo in parrocchia e sosteniamo un vicino ospedale e una scuola. In Zambia si è avviato un villaggio con annessa una scuola agraria per giovani dai 14 ai 18 anni. A Città del Messico, nella periferia di San Bartolito, le nostre sorelle consacrate servono i poveri attraverso un ambulatorio medico e un dispensario farmaceutico e, grazia all’opera instancabile di suor Polita, medico cardiologo, si è iniziato un sostegno alle famiglie.

Grazie all’accoglienza dei vescovi e delle Chiese locali la nostra piccola ma vivace famiglia religiosa sta portando avanti il suo servizio mettendosi, in primo luogo a servizio degli ultimi, dove il Signore ci sta conducendo.

Da notare che nel 1992 proprio a Città del Messico abbiamo partecipato all’avvio del monastero e santuario Nuestra Senora de la Luz , collaborando con la federazione delle Clarisse Urbaniste e con i frati minori Conventuali della provincia di Sicilia.

E sempre con i Conventuali dello Zambia, presso l’istituto San Bonaventura di Lusaka, abbiamo trovato la possibilità di avere un aiuto nella formazione e nello studio filosofico dei nostri studenti africani. Non è un caso che nelle nostre costituzioni troviamo inserita la “minorità” francescana come elemento fondante del nostro vivere quotidiano.

Ad oggi possiamo dire che la nostra comunità cresce e incontra costantemente i suoi “punti di luce” sulle orme di Cristo nel suo procedere semplice e nascosto, cosa che intendiamo portare avanti attraverso la Provvidenza che è pronta ad agire “prima che il sole si alzi”.

Ogni giorno, ogni mattina, invocando la Madre della Luce, sentiamo di dover appartenere a questa Chiesa che ci ha generati e ci genera costantemente, invitandoci a non allontanarci dal “nostro punto di partenza”, così come Chiara di Assisi scrive in una celebre lettera ad Agnese da Praga.

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Dove padroni sono i poveri https://www.lavoce.it/dove-padroni-sono-i-poveri/ Tue, 30 Jun 2015 14:29:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36860 I giovani coinvolti nell'esperienza in una foto di gruppo
I giovani coinvolti nell’esperienza in una foto di gruppo

“I poveri sono i nostri padroni, e bisogna trattarli come tali, altrimenti ci mandano via”: questa massima di san Giuseppe Cottolengo ha fatto da leitmotiv alla settimana di esperienza che un nutrito gruppo di adolescenti della parrocchia di Cerbara ha svolto presso la “Piccola casa della divina Provvidenza” di Torino, accompagnati dai loro animatori.

Cottolengo: un nome accompagnato da una sorta di “leggenda nera” fatta di “mostri” che sarebbero ricoverati presso la struttura. Ma, come hanno da subito compreso i ragazzi, gli unici mostri erano quelli creati dai pregiudizi.

La “Piccola casa” è gestita da una famiglia religiosa composta da suore, fratelli e sacerdoti “cottolenghini”, il cui carisma è il servizio ai più deboli, a persone con forti problemi fisici e psichici, e ai poveri. Il Cottolengo chiamava queste persone “perle del Signore”, perché sono le creature alle quali Lui è più vicino; e alla “Piccola Casa” non vanno considerate come ricoverate, ma ospiti.

A segnare la vita del sacerdote piemontese, facendogli percepire i disegni divini, un tragico episodio, datato 2 settembre 1827, quando lui ha 41 anni. Viene chiamato per amministrare i sacramenti a una donna in fin di vita, respinta dagli ospedali della città. Di fronte al decesso della giovane, decide di impegnarsi a soccorrere e assistere le persone abbandonate.

Grazie alla disponibilità di alcune signore e di volontari, Cottolengo – sprovvisto di fondi e di rendite, ma confidando sempre in Dio e nella Sua provvidenza – dà vita alla struttura di accoglienza di malati in stato di abbandono. Dopo le prime difficoltà e i primi contrasti, il 27 aprile 1832 prende forma il suo sogno: nasce la “Piccola casa della divina Provvidenza”.

Il primo impatto con la realtà del posto è stato certamente duro per i ragazzi del gruppo, dovendo fare i conti con realtà con le quali non si è quotidianamente a contatto, ma, sotto la guida delle suore e del personale della casa, il loro servizio ha ben presto preso forma.

“Abbiamo dovuto superare le nostre paure e resistenze per quanto riguarda la malattia e il contatto, ma soprattutto abbiamo dovuto accettare che quello che puoi fare nei loro confronti è davvero poco”, afferma uno dei partecipanti all’esperienza.

“Stupisce – afferma un altro partecipante – come a un certo punto ogni cosa, anche quella più dolorosa, sembri più colorata e luminosa. Questo porta istintivamente a ricordare, a osservare, a soppesare ciò che invece abbiamo e siamo noi; ti fa capire il valore di tutto ciò che ti è stato dato e ti fa desiderare di non sprecarlo, perché, per quanto poco possa essere, ognuno di noi ha qualcosa da dare”.

Un’esperienza, insomma, alla fine molto positiva della quale non rimane che ringraziare con un Deo gratias, come si ripete di continuo alla “Piccola casa”.

 

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La “carne” della Sindone e i grandi Santi sociali https://www.lavoce.it/la-carne-della-sindone-e-i-grandi-santi-sociali/ Thu, 25 Jun 2015 08:30:56 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36579 Papa Francesco accolto dai fedeli in Piazza Vittorio Veneto a Torino
Papa Francesco accolto dai fedeli in Piazza Vittorio Veneto a Torino

Un viaggio per “venerare la Sindone e onorare la memoria di don Bosco”, ma anche per ritrovare le radici di un “nipote di questa terra”, come Bergoglio stesso si è definito.

La terra di nonna Rosa e nonno Giovanni, che si sono sposati nella chiesa di Santa Teresa, mèta di una sosta fuori programma per lasciare una dedica su una pergamena e far risaltare il valore dei nonni, del battesimo, delle famiglie, e pregare in particolare per il prossimo Sinodo.

Nella prima giornata a Torino, il Papa “venuto dalla fine del mondo” è tornato a casa. Ed è stato accolto da circa 200 mila persone che, tra mattina e pomeriggio, hanno gremito fino all’inverosimile piazza Vittorio, il salotto buono della “movida” cittadina, teatro di due momenti culminanti della giornata del 21 giugno: la celebrazione eucaristica iniziale e la “mini-Gmg” nel tardo pomeriggio, dove Francesco ha messo da parte il testo scritto – come aveva già fatto durante l’incontro con la famiglia salesiana nella basilica di S. Maria Ausiliatrice – per dialogare più di un’ora a tutto campo con i giovani, chiedendo loro di “vivere casti” e di “fare controcorrente”, per contrastare la nostra società fatta di “bolle di sapone”.

“Vivete, non vivacchiate”, il suo invito sulla scorta di Piergiorgio Frassati: non si può andare in pensione a vent’anni. Il Papa ha voluto cominciare il viaggio con il discorso rivolto al mondo del lavoro, dove – sulla scorta dell’enciclica appena pubblicata – ha pronunciato un triplice “no” all’“economia dello scarto”, all’idolatria del denaro e alla corruzione, e ha ammonito che “non si può solo aspettare la ripresa”: ci vuole un “patto sociale e generazionale” che parta da Torino, prima Capitale d’Italia: “Coraggio, siate artigiani del futuro!”.

Papa Francesco incontra i malati e i disabili al Cottolengo
Papa Francesco incontra i malati e i disabili al Cottolengo

Molti, durante la giornata, i riferimenti ai tratti peculiari dei piemontesi, “razza libera e testarda”, come i Santi sociali: “Teste quadre, polso fermo e fegato sano, parlano poco ma sanno quel che dicono, anche se camminano adagio, vanno lontano”. È una poesia del piemontese Nino Costa. Nonna Rosa l’ha insegnata a memoria al piccolo Jorge nella versione originale in dialetto, e ora il Papa la custodisce nel suo breviario, insieme al testamento della nonna. La cantavano coloro che dal Piemonte emigravano nelle Americhe, prima di salpare.

“Fa piangere vedere lo spettacolo di questi giorni in cui esseri umani vengono trattati come merce”. È una delle aggiunte a braccio del primo discorso del Papa, pronunciato a Piazzetta reale per l’incontro con il mondo del lavoro.

“La pace che Lui ci dona è per tutti: anche per tanti fratelli e sorelle che fuggono da guerre e persecuzioni in cerca di pace e di libertà”, ha aggiunto nell’omelia della messa in piazza Vittorio. “Non possiamo uscire dalla crisi senza i giovani, i ragazzi, i figli e i nonni”, ha esclamato sempre fuori testo: “I figli e i nonni sono la ricchezza e la promessa di un popolo”.

Dopo il discorso sul lavoro in Piazzetta reale, il Papa ha raggiunto a piedi la cattedrale per la venerazione della Sindone. In duomo, Francesco si è trattenuto un quarto d’ora in preghiera, prima seduto e poi in ginocchio. Solo il Sacro Telo era illuminato, sull’altare disadorno due ceri accesi. Alla fine il Papa si è alzato e a mo’ di congedo ha toccato il vetro che protegge la Sindone.

Uscito dalla cattedrale, è salito sulla “papamobile” che doveva portarlo a piazza Vittorio Veneto, luogo della messa, percorrendo tutta via Po. Pochi minuti dopo, però, quando era ancora in Piazzetta reale, il Papa ha visto un gruppo di malati e di disabili, ha fatto fermare la jeep bianca scoperta ed è sceso a piedi per salutarli, baciarli e accarezzarli uno per uno. Molti di loro erano in carrozzella. Una “mini udienza generale” per toccare, con mano, la “Sindone di carne”.

In arcivescovado il secondo “fuori programma” della giornata: è sceso, anche questa volta, dalla papamobile per salutare alcuni fedeli che lo reclamavano dalle transenne. Francesco ha pranzato con i giovani detenuti del carcere minorile “Ferrante-Aporti”, con alcuni immigrati e senza fissa dimora, e con una famiglia rom.

Papa Francesco davanti alla tomba di Don Bosco
Papa Francesco davanti alla tomba di Don Bosco

Nella basilica di S. Maria Ausiliatrice, il primo atto dell’incontro con la famiglia salesiana è stato la sosta in preghiera davanti alle spoglie di san Giovanni Bosco, collocate sotto l’altare. Poi il Papa ha consegnato il testo che aveva preparato – “è troppo formale” – e ha parlato a braccio, per circa mezz’ora, della sua “esperienza personale” con i Salesiani, dichiarandosi “tanto riconoscente” per quello che “hanno fatto con me e con la mia famiglia”.

Oggi ci vuole una “educazione a misura della crisi”, e “il vostro carisma è di un’attualità grandissima”, ha detto ai figli e alle figlie di don Bosco. In questa regione d’Italia, a fine Ottocento, c’erano “mangiapreti, anticlericali, demoniaci”, eppure “quanti santi sono usciti!”.

Quello di oggi “è un momento di crisi brutta, anti-Chiesa, ma don Bosco non ha avuto paura… Oggi tante cose sono migliorate, c’è il computer, ma la situazione della gioventù è più o meno la stessa”: il 40% dei giovani, dai 25 anni in giù, è senza lavoro. I ragazzi di strada oggi hanno bisogno di “un’educazione d’emergenza, con poco tempo, per un mestiere pratico”.

“Sviluppare degli anticorpi contro questo modo di considerare gli anziani, o le persone con disabilità, quasi fossero vite non più degne di essere vissute” è stato invece l’appello rivolto da Francesco nella chiesa del Cottolengo. Tra le “vittime della cultura dello scarto” ci sono in particolare gli anziani, la cui longevità viene vista “come un peso. Questa mentalità non fa bene alla società. Qui possiamo imparare un altro sguardo sulla vita e sulla persona umana”.

 

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Fraternità nuova https://www.lavoce.it/fraternita-nuova/ Thu, 25 Jun 2015 08:13:56 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36572 Papa Francesco durante la sua visita al Tempio Valdese
Papa Francesco durante la sua visita al Tempio Valdese

“Con grande gioia mi trovo oggi tra voi!” ha esordito Papa Francesco nel suo discorso al Tempio valdese di Torino. È il primo successore di Pietro a varcarne la soglia in ottocento anni. Per augurare “grazia e pace” ai suoi ospiti, usa le parole di Paolo secondo la traduzione interconfessionale della Bibbia in lingua corrente.

Poco dopo, il mea culpa per il quale sarà ricordato questo evento già storico: “Da parte della Chiesa cattolica, vi chiedo perdono. Vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome del Signore Gesù Cristo, perdonateci!”.

Nelle parole di Francesco c’è il desiderio di far prevalere la “fraternità” su tutte le colpe, gli errori, le divisioni del passato.

I suoi interlocutori lo ricambiano chiamandolo “fratello”, la parola maggiormente risuonata nel Tempio.

Ogni volta che un esponente della comunità valdese finisce il suo saluto, Papa Bergoglio si alza per avvolgerlo in un caldo abbraccio, seguito da un applauso tributato dalle 400 persone presenti, oltre ai 40 giornalisti ammessi.

Alla fine dell’incontro, Bergoglio ringrazia nuovamente per l’invito: “Vorrei ci confermasse in un nuovo modo di essere gli uni con gli altri: guardando prima di tutto la grandezza della nostra fede comune e, soltanto dopo, le divergenze che ancora sussistono”.

Esperienza da ripetere

“La cordiale accoglienza che oggi mi riservate – ha detto ancora il Papa – mi fa pensare agli incontri con gli amici della Chiesa evangelica valdese del Rio della Plata, di cui ho potuto apprezzare la spiritualità e la fede, e imparare tante cose buone”.

Per ricordare la parola italiana “accoglienza”, il Papa si rivolge al suo amico argentino che l’ha appena preceduto nel saluto. “Nel Rio de La Plata negli ultimi decenni abbiamo fatto tante cose insieme – ricorda a sua volta Oscar Oudri , moderador della Mesa Valdense di Uruguay e Argentina, – lottando fianco a fianco, imparando dal prossimo, al di là del proprio credo, per migliorare le condizioni di vita dei nostri popoli”. Poi la proposta al “fratello Francesco”: “Un evento simile a questo in una delle nostre Chiese riformate”.

Il pastore Paolo Ribet , a nome della comunità ospitante, definisce il Papa “un nuovo fratello del nostro percorso”. L’ecumenismo è “la fine dell’autosufficienza delle nostre Chiese”, dice il moderatore della Tavola valdese, Eugenio Bernardini , al suo “fratello in Cristo”. Della Evangelii gaudium , il pastore saluta con favore la visione dell’unità cristiana come “diversità riconciliata”.

Tra gli impegni comuni: il “no” a guerre che si combattono “nel nome di Dio” e “l’urgenza di proseguire e intensificare la testimonianza a favore dei profughi che bussano alla nostra porta”.

Unità, non uniformità. “Uno dei principali frutti – ha aggiunto il Papa – che il movimento ecumenico ha già permesso di raccogliere in questi anni è la riscoperta della fraternità”, che “ci consente di cogliere il profondo legame che già ci unisce, malgrado le nostre differenze. Si tratta di una comunione ancora in cammino. E l’unità si fa in cammino”, fino alla “piena e visibile comunione nella verità e nella carità”.

“L’unità che è frutto dello Spirito santo non significa uniformità – precisa il Vescovo di Roma. – I fratelli sono accomunati da una stessa origine, ma non sono identici tra di loro. Purtroppo è successo e continua ad accadere che i fratelli non accettino la loro diversità e finiscano per farsi la guerra l’uno contro l’altro. Riflettendo sulla storia delle nostre relazioni, non possiamo che rattristarci di fronte alle contese e alle violenze commesse in nome della propria fede”.

Chiede quindi “la grazia di riconoscerci tutti peccatori e di saperci perdonare gli uni gli altri. È per iniziativa di Dio, il quale non si rassegna mai di fronte al peccato dell’uomo, che si aprono nuove strade per vivere la nostra fraternità, e a questo non possiamo sottrarci”. Poi la richiesta di perdono.

Passi incoraggianti

Le relazioni tra cattolici e valdesi oggi “sono sempre più fondate sul mutuo rispetto e sulla carità fraterna”, sottolinea Francesco, tracciando un bilancio delle “occasioni che hanno contribuito a rendere più saldi tali rapporti”, come la recente redazione di un appello congiunto contro la violenza alle donne. Poi un esempio dal territorio: “Lo scambio ecumenico di doni”, il vino e il pane, compiuto in occasione della Pasqua a Pinerolo dalla Chiesa valdese e dalla diocesi cattolica.

“Incoraggiati da questi passi, siamo chiamati a continuare a camminare insieme” è la consegna del Papa, secondo il quale “un ambito nel quale si aprono ampie possibilità di collaborazione tra valdesi e cattolici è quello dell’evangelizzazione. Andiamo insieme incontro agli uomini e alle donne di oggi, che a volte sembrano così distratti e indifferenti, per trasmettere loro il cuore del Vangelo”.

Altro ambito per “lavorare sempre di più uniti” è quello del “servizio all’umanità che soffre, ai poveri, agli ammalati, ai migranti”, per “testimoniare il volto misericordioso di Dio che si prende cura di tutti e, in particolare, di chi si trova nel bisogno”.

“La scelta dei poveri, degli ultimi, di coloro che la società esclude – prosegue – ci avvicina al cuore stesso di Dio, che si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà e, di conseguenza, ci avvicina di più gli uni agli altri. Le differenze su importanti questioni antropologiche ed etiche, che continuano a esistere tra cattolici e valdesi – è l’auspicio – non ci impediscano di trovare forme di collaborazione in questi e altri campi. Se camminiamo insieme, il Signore ci aiuta a vivere quella comunione che precede ogni contrasto”.

 

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Papa Francesco: è la famiglia la prima medicina https://www.lavoce.it/e-la-famiglia-la-prima-medicina/ Wed, 10 Jun 2015 13:10:56 +0000 https://www.lavoce.it/?p=35334 mamma-bimba“Nell’ambito dei legami familiari – ha detto Papa Francesco all’udienza generale di mercoledì – la malattia delle persone cui vogliamo bene è patita con un ‘di più’ di sofferenza e di angoscia. È l’amore che ci fa sentire questo ‘di più’.

Tante volte, per un padre e una madre è più difficile sopportare il male di un figlio, di una figlia, che non il proprio. La famiglia, possiamo dire, è stata da sempre l’‘ospedale’ più vicino. Ancora oggi, in tante parti del mondo, l’ospedale è un privilegio per pochi, e spesso è lontano. Sono la mamma, il papà, i fratelli, le sorelle, le nonne che garantiscono le cure e aiutano a guarire”.

Nel ricordare le molte pagine dei Vangeli che descrivono l’incontro di Gesù con i malati, Francesco ha rimarcato che “Gesù non si è mai sottratto alla loro cura. Non è mai passato oltre, non ha mai voltato la faccia da un’altra parte. E quando un padre o una madre, oppure anche semplicemente persone amiche gli portavano davanti un malato perché lo toccasse e lo guarisse, non metteva tempo in mezzo. La guarigione veniva prima della legge, anche di quella così sacra come il riposo del sabato. I Dottori della legge rimproveravano Gesù perché guariva il sabato, faceva il bene il sabato… ma l’amore di Gesù era dare la salute, fare il bene. E questo è al primo posto, sempre!”.

“Ecco – ha proseguito Bergoglio – il compito della Chiesa! Aiutare i malati, non perdersi in chiacchiere. Aiutare sempre, consolare, sollevare, essere vicino ai malati: è questo il compito. La Chiesa invita alla preghiera continua per i propri cari colpiti dal male. La preghiera per i malati non deve mai mancare. Anzi, dobbiamo pregare di più, sia personalmente sia in comunità”.

Di fronte alla malattia, “anche in famiglia sorgono difficoltà, a causa della debolezza umana. Ma, in genere, il tempo della malattia fa crescere la forza dei legami familiari. E penso a quanto è importante educare i figli fin da piccoli alla solidarietà nel tempo della malattia. Un’educazione che tiene al riparo dalla sensibilità per la malattia umana, inaridisce il cuore. E fa sì che i ragazzi siano ‘anestetizzati’ verso la sofferenza altrui, incapaci di confrontarsi con la sofferenza e di vivere l’esperienza del limite”.

Quante volte – ha detto il Papa – vediamo arrivare a lavoro “un uomo, una donna con una faccia stanca” perché ha dovuto accudire durante la notte un figlio, uno dei suoi cari e nonostante la stanchezza, “la giornata continua con il lavoro”. “Queste cose sono eroiche!”. È  l’“eroicità delle famiglie. Eroicità nascoste” che si vivono “quando uno è ammalato, quando il papà, la mamma, il figlio, la figlia… E si fanno con tenerezza e con coraggio”.

“La comunità cristiana – ha concluso Francesco – sa bene che la famiglia, nella prova della malattia, non va lasciata sola. E dobbiamo dire grazie al Signore per quelle belle esperienze di fraternità ecclesiale che aiutano le famiglie ad attraversare il difficile momento del dolore e della sofferenza. Questa vicinanza cristiana, da famiglia a famiglia, è un vero tesoro per la parrocchia. Un tesoro di sapienza che aiuta le famiglie nei momenti difficili e fa capire il regno di Dio meglio di tanti discorsi! Sono carezze di Dio”.

 

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Il pellegrinaggio della Lega sacerdotale mariana nel centenario del fondatore https://www.lavoce.it/il-pellegrinaggio-della-lega-sacerdotale-mariana-nel-centenario-del-fondatore/ Fri, 01 Aug 2014 13:39:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27357 Lourdes-CVS-2014-Sacerdoti alla festa degli anniversari con il cardinale Piovalelli

Lourdes-CVS-2014-Sacerdoti alla festa degli anniversari con il cardinale Piovalelli

Dal 21 al 27 luglio si è svolto il pellegrinaggio sacerdotale a Lourdes, organizzato dalla Lega sacerdotale mariana, in collaborazione con i Silenziosi operai della croce e al Centro volontari della sofferenza, le tre associazioni fondate dal beato Luigi Novarese (1914-1984). Giunto alla sua 63a edizione, il pellegrinaggio ha visto la partecipazione di centinaia di malati provenienti da tutta Italia ed è stato presieduto dall’arcivescovo di Perugia, il card. Gualtiero Bassetti, e dal card. Silvano Piovanelli che ha predicato gli esercizi spirituali per i sacerdoti.

La Lega sacerdotale mariana è l’associazione nata nel 1943 per venire in aiuto ai preti infermi, feriti o in gravi condizioni economiche a causa della guerra, e che oggi continua la sua azione a favore degli ecclesiastici. A partire dai primi anni Cinquanta, organizza a luglio il pellegrinaggio a Lourdes per i sacerdoti, rinnovando ogni estate la tradizione inaugurata dal beato Novarese con il primo viaggio che si svolse dal 18 al 24 giugno 1952.

Nato a Casale Monferrato (Alessandria), don Luigi è stato proclamato beato l’11 maggio 2013 da Papa Francesco che lo ha definito “sacerdote innamorato di Cristo e zelante apostolo degli ammalati”. Rispetto ai suoi tempi, fu un innovatore. Pur lavorando presso la Segreteria di Stato della Santa Sede e successivamente alle dipendenze della Cei, dedicò tempo ed energie per promuovere, fin dagli anni Cinquanta, la visione della centralità del malato, soggetto portatore di diritti e dignità. Nello stesso tempo avviò un progetto di pastorale per i disabili, volto a combattere il loro stato di emarginazione sociale. Dialogò senza complessi con la medicina, dimostrando l’importanza della sfera spirituale del malato nel modo in cui egli affronta e vive la malattia.

Quest’anno ricorre il centenario della nascita del beato Novarese e per l’occasione, lo scorso 17 maggio, Papa Francesco ha ricevuto in udienza più di cinquemila fedeli, fra i quali centinaia di infermi e disabili, aderenti alle associazioni fondate dal sacerdote piemontese. “Francesco – ricorda don Janusz Malski, moderatore generale dei Silenziosi operai della croce – ha definito gli ammalati un dono per la Chiesa e ci ha ricordato, con le parole del beato Novarese, che il sofferente deve diventare soggetto attivo, protagonista del suo apostolato”.

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Visita del Vescovo Giuseppe Piemontese all’Ospedale di Terni https://www.lavoce.it/visita-del-vescovo-giuseppe-piemontese-allospedale-di-terni/ Tue, 24 Jun 2014 15:26:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25749 piemontese-in-visita-all'ospedale-1Padre Giuseppe Piemontese, neo vescovo di Terni Narni Amelia, ha voluto iniziare il suo ministero episcopale incontrando i malati e i sofferenti, visitando, ieri lunedì 23, i vari reparti di degenza dell’ospedale “Santa Maria” di Terni, salutando i malati, familiari e operatori sanitari ad uno ad uno, rivolgendo loro parole di vicinanza e speranza e benedicendo i bambini. Nella visita è stato accompagnato da direttore sanitario dott. Leonardo Bartolucci, dal direttore responsabile del Presidio Ospedaliero  dott. Sandro Vendetti, dal coordinatore Personale Dipartimento Maternità/infanzia dott.ssa Maria Antonietta Bianco, dal primario del Reparto Geriatria dott.ssa Maria Grazia Proietti, che hanno illustrato al vescovo le varie strutture e l’organizzazione del presidio ospedaliero di Terni.

È seguita la celebrazione della messa nella solennità del Corpus Domini nella cappella dell’ospedale, presieduta dal Vescovo Piemontese e concelebrata dai cappellani padre Ceslao e padre Mario dell’ordine dei fari minori cappuccini e dal moderatore della Curia don Franco Fontana, alla presenza dei volontari dell’Unitalsi che hanno accompagnato i malati, del personale infermieristico e medico, dei malati e familiari e delle missionarie Identes che svolgono attività di volontario per i ricoverati in ospedale.

A loro il vescovo ha rivolto parole di saluto e ringraziamento per l’accoglienza e partecipazione, ricordando che: “In questo luogo è particolarmente presente Gesù, il vero buon samaritano, che abbraccia ognuno come ha abbracciato e curato nell’anima e nel corpo, tanti malati quando era in terra, e una schiera infinita di uomini e donne che nella storia a Lui si sono rivolti. Nella festa di oggi adoriamo Gesù come Eucarestia, lo incontriamo vivo e vero, in corpo sangue, anima e divinità. A lui possiamo rivolgere con fede il nostro grido interiore:”Signore, se vuoi puoi guarirmi!” Rinnoviamo la nostra fede, offriamo la nostra collaborazione e accostiamoci a Lui, che ha preso su di sé i nostri dolori e ha voluto essere pane di vita, farmaco che guarisce tutte le malattie dell’anima e del corpo e dona la vita per sempre. Ricordiamo che servire un fratello, specie se piccolo, malato, significa servire Cristo”.

Facendo quindi riferimento alla malattia e alla sofferenza di chi è ricoverato in ospedale ha ricordato quale sia il ruolo e l’impegno di coloro che vivono accanto ai malati: “Di fronte alla sofferenza, anzi a persone sofferenti, possiamo fare tanto: prestare le cure del caso, cercare nuovi farmaci e nuove cure, alleviare il disagio e a volte l’umiliazione di chi ha bisogno di tutto e si affida agli altri. E’ la Mission della vostra struttura, assunta da tutti gli operatori che prestano il loro servizio, in qualunque modo, in questo luogo.

Ma di fronte a persone sofferenti oltre che nel corpo anche nell’animo, i farmaci non bastano. Occorre l’attenzione e la cura dettate dall’amore. L’amore per i propri simili, uomini, donne, bambini che vengono guariti dal combinato di farmaci e tanto rispetto, attenzioni e affetto. Vi sono inoltre, persone inferme, che sperimentano sulla propria persona l’insulto e la prova di una malattia e di un decadimento che non hanno prospettive di ripresa. E’ un mondo che più degli altri pone interrogativi umanamente senza risposta, ma che tuttavia necessitano di attenzione medica, umana e spirituale, di speranza. Di fronte a tutta questa umanità sofferente, in questo luogo tanti buoni samaritani si chinano per curare col balsamo del lenimento e della misericordia”.

“Certamente tra di voi alcuni non ispirano la loro vita ai principi della fede cristiana – ha concluso il vescovo -. Ebbene i loro gesti di attenzione sincera e coscienziosa verso ogni uomo e donna sofferente sono ammirevoli, e anche se non ne sono consapevoli, al momento del rendiconto finale, essi saranno riconosciuti meritevoli di encomio e saranno ricompensati alla stessa stregua di chi ha agito per fede. Fratelli e amici, grazie per quello che fate, abbiate traguardi sempre più ambiziosi al servizio dell’uomo per ridare gioia, serenità e salute a uomini e donne, che sono fratelli e sorelle in umanità e in Gesù Cristo. Poniamo sull’altare le sofferenze e l’impegno di tutti perché Gesù ci santifichi e ravvivi la speranza, racchiusa nel cuore di ciascuno”.

Dopo la celebrazione è proseguita la visita nei reparti tra cui pediatria e maternità dove il vescovo si è intrattenuto con i bambini e le neomamme.

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Centro volontari della sofferenza in udienza dal Papa https://www.lavoce.it/centro-volontari-della-sofferenza-in-udienza-dal-papa/ Fri, 23 May 2014 12:35:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25061 Il Papa durante l’udienza con il Cvs (foto di Erminio Cruciani)
Il Papa durante l’udienza con il Cvs (foto di Erminio Cruciani)

Ci avevano preavvisato: o maggio o ottobre per incontrare il Papa. Il 2 maggio arriva la notizia: il 17 maggio il Papa vi riceverà in udienza particolare. Sgomenti e contenti. Sgomenti, perché organizzare l’arrivo da tutto il mondo di persone in gran parte ammalate e disabili non è cosa semplice. Contenti, perché per il Centro volontari della sofferenza il 17 maggio è una data significativa: il padre fondatore beato Luigi Novarese ha scelto questo giorno (in cui fu miracolosamente guarito nel 1931) per dare inizio a alcune delle sue opere: la Lega sacerdotale mariana (1943) e il Cvs stesso (1947). Ma anche i malati sanno fare i miracoli e, nonostante il poco tempo a disposizione e i notevoli disagi incontrati per il viaggio, hanno gremito la sala Nervi in modo insperato (6.000 persone). Il Papa è arrivato puntuale alle ore 12.30. Nell’attesa, un programma di saluti, interviste, musica e testimonianze di persone di tutti i Continenti. Nel suo discorso, Papa Francesco ha voluto ricordare una delle Beatitudini: “Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati”. “C’è chi piange – ha ricordato – perché non ha salute, e chi piange perché solo o incompreso. Ma dicendo ‘beati quelli che sono nel pianto’, Gesù non intende dichiarare felice una condizione sfavorevole e gravosa della vita. La sofferenza non è un valore in se stessa, ma una realtà che Gesù ci insegna a vivere con l’atteggiamento giusto. Ci sono, infatti, modi giusti e modi sbagliati di vivere il dolore e la sofferenza. Un atteggiamento sbagliato è quello di vivere il dolore in maniera passiva, lasciandosi andare con inerzia e rassegnandosi. Anche la reazione della ribellione e del rifiuto non è l’atteggiamento giusto. Gesù ci insegna a vivere il dolore accettando la realtà della vita con fiducia e speranza, mettendo l’amore di Dio e del prossimo anche nella sofferenza: è l’amore che trasforma ogni cosa”. Ricordando l’insegnamento del beato Novarese, Papa Francesco ha esortato gli ammalati “a sentirsi gli autori del proprio apostolato” e a “essere soggetti attivi dell’opera di salvezza e di evangelizzazione. Vi incoraggio – ha concluso – a essere vicini ai sofferenti delle vostre parrocchie come testimoni della Resurrezione. Così voi arricchite la Chiesa e collaborate con i vostri Pastori, pregando e offrendo la vostra sofferenza anche per loro. Vi ringrazio tanto per questo”. Poi ha salutato quanti ha potuto: sguardi, carezze, sorrisi, abbracci e benedizioni che dicono molto di più e danno sostanza alle parole.

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