magistratura Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/magistratura/ Settimanale di informazione regionale Sun, 10 Nov 2024 16:04:35 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg magistratura Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/magistratura/ 32 32 Il pasticcio… governo magistratura https://www.lavoce.it/il-pasticcio-governo-magistratura/ https://www.lavoce.it/il-pasticcio-governo-magistratura/#respond Sat, 09 Nov 2024 16:04:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78507

Vediamo di capire qualche cosa del pasticcio che sta creando un contrasto fra il Governo italiano e la magistratura. In linea di principio, ogni Stato ha il potere di selezionare gli stranieri che vogliono entrare nel suo territorio, e di respingere alla frontiera quelli che non hanno i permessi in regola, o addirittura non hanno affatto documenti.

È stato sempre così. Nel tempo, sono intervenute diverse convenzioni internazionali, di livelli diversi, che hanno stabilito eccezioni in favore dei soggetti più deboli. Così, è vietato rigettare alla frontiera quelli che sono in pericolo di vita (è il caso dei naufraghi dei barconi); vanno messi in salvo e poi si penserà a rimpatriarli. Poi ci sono le convenzioni a protezione dei rifugiati, ossia di quelli che chiedono asilo politico; se ne hanno i requisiti, debbono essere accolti e protetti.

Il problema è che in genere chi si presenta per chiedere asilo non ha con sé nessun documento e di lui si sa solo quello che racconta. Perciò è inevitabile spendere un po’ di tempo (che a volte può essere anche molto) per fare le verifiche del caso. Intanto, il richiedente asilo non può essere espulso; però c’è un altro problema: se rimane libero, c'è il rischio che si eclissi e non si faccia più trovare.

Allora le convenzioni internazionali – e le direttive della UE che sono assai minuziose – consentono che in questo intervallo il richiedente asilo sia internato in un apposito centro di permanenza, diciamo una specie di carcere (come quelli che la Meloni ha fatto fare in Albania). Inoltre, questo internamento deve essere convalidato dall’autorità giudiziaria: questo lo chiede la nostra Costituzione perché è un provvedimento che incide sulla libertà personale.

Il giudice cui spetta emettere questa convalida deve verificare che ci siano tutte le condizioni richieste per mettere sotto chiave quelle persone; e deve farlo avendo riguardo alle leggi nazionali ma anche alle convenzioni internazionali e alle direttive della UE. Queste ultime sono quelle che pesano di più, perché se c’è un contrasto fra loro e la legge nazionale, prevalgono di diritto quelle europee. Se c’è un dubbio di interpretazione, il giudice deve sospendere il suo giudizio e sottoporre la questione alla Corte di Giustizia della UE, che ha sede a Lussemburgo (e intanto il richiedente asilo è a piede libero). Il tutto non è un bel pasticcio?

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Vediamo di capire qualche cosa del pasticcio che sta creando un contrasto fra il Governo italiano e la magistratura. In linea di principio, ogni Stato ha il potere di selezionare gli stranieri che vogliono entrare nel suo territorio, e di respingere alla frontiera quelli che non hanno i permessi in regola, o addirittura non hanno affatto documenti.

È stato sempre così. Nel tempo, sono intervenute diverse convenzioni internazionali, di livelli diversi, che hanno stabilito eccezioni in favore dei soggetti più deboli. Così, è vietato rigettare alla frontiera quelli che sono in pericolo di vita (è il caso dei naufraghi dei barconi); vanno messi in salvo e poi si penserà a rimpatriarli. Poi ci sono le convenzioni a protezione dei rifugiati, ossia di quelli che chiedono asilo politico; se ne hanno i requisiti, debbono essere accolti e protetti.

Il problema è che in genere chi si presenta per chiedere asilo non ha con sé nessun documento e di lui si sa solo quello che racconta. Perciò è inevitabile spendere un po’ di tempo (che a volte può essere anche molto) per fare le verifiche del caso. Intanto, il richiedente asilo non può essere espulso; però c’è un altro problema: se rimane libero, c'è il rischio che si eclissi e non si faccia più trovare.

Allora le convenzioni internazionali – e le direttive della UE che sono assai minuziose – consentono che in questo intervallo il richiedente asilo sia internato in un apposito centro di permanenza, diciamo una specie di carcere (come quelli che la Meloni ha fatto fare in Albania). Inoltre, questo internamento deve essere convalidato dall’autorità giudiziaria: questo lo chiede la nostra Costituzione perché è un provvedimento che incide sulla libertà personale.

Il giudice cui spetta emettere questa convalida deve verificare che ci siano tutte le condizioni richieste per mettere sotto chiave quelle persone; e deve farlo avendo riguardo alle leggi nazionali ma anche alle convenzioni internazionali e alle direttive della UE. Queste ultime sono quelle che pesano di più, perché se c’è un contrasto fra loro e la legge nazionale, prevalgono di diritto quelle europee. Se c’è un dubbio di interpretazione, il giudice deve sospendere il suo giudizio e sottoporre la questione alla Corte di Giustizia della UE, che ha sede a Lussemburgo (e intanto il richiedente asilo è a piede libero). Il tutto non è un bel pasticcio?

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Magistrati e politici, tutti sotto la legge https://www.lavoce.it/magistrati-e-politici-tutti-sotto-la-legge/ https://www.lavoce.it/magistrati-e-politici-tutti-sotto-la-legge/#respond Fri, 25 Oct 2024 09:30:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78250

Ancora una volta, si è aperto uno scontro fra il Governo e la magistratura. Perché il Governo aveva disposto che un certo numero di immigrati richiedenti asilo fosse trattenuto, in stato di semidetenzione, in un centro di soggiorno. Tutti sapevano che un provvedimento di questo tipo, che incide sulla libertà personale, per essere eseguito ha bisogno di essere convalidato dall’autorità giudiziaria. La quale si deve pronunciare sulla base di regole assai complesse e delicate – molte delle quali stabilite dalla normativa dell’Unione Europea e interpretate dall’apposita Corte di Giustizia.

Dal momento che l’approvazione della magistratura era necessaria – su questo non c’è dubbio – si doveva pur mettere nel conto la possibilità che il magistrato competente dicesse no; e così è stato. Non a capocchia; il provvedimento è motivato. È una decisione che tecnicamente può essere giusta o sbagliata; è consentito appellarsi, e qualcun altro deciderà.

Quello che assolutamente non si può dire è che la magistratura sia andata fuori della propria sfera di competenza e abbia invaso quella del potere esecutivo. Una delle leggi più importanti della storia d’Italia, la n. 2248 del 20 marzo 1865, ancora in vigore, stabilisce che quando sono in gioco i diritti civili e politici delle persone – e questo è il caso – i giudici possono (devono) “disapplicare” gli atti del potere esecutivo se non sono conformi alle leggi. E non importa se il potere esecutivo è eletto dal popolo e i giudici no. Si chiama principio dello “stato di diritto” e della separazione dei poteri, ovvero del loro bilanciamento. Lo ammettevano anche Vittorio Emanuele II e i suoi ministri, i quali erano di quel partito che è ricordato con il nome – guarda un po’ – di “destra storica”.

E poi, nel 1865 non esistevano ancora l'Unione Europea, né le carte (e le corti) sovranazionali per la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo; cioè quei superpoteri che hanno il compito di garantire il rispetto dei diritti di chiunque nei confronti degli stati, al di sopra persino delle legislazioni dei singoli paesi, se occorre. Poi, la singola decisione di un singolo magistrato può essere tecnicamente discutibile; ma i princìpi rimangono. È anche vero che i magistrati come persone dovrebbero stare più attenti, quando parlano di politica in privato, a non fornire pretesti a chi li accusa di essere di parte.

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Ancora una volta, si è aperto uno scontro fra il Governo e la magistratura. Perché il Governo aveva disposto che un certo numero di immigrati richiedenti asilo fosse trattenuto, in stato di semidetenzione, in un centro di soggiorno. Tutti sapevano che un provvedimento di questo tipo, che incide sulla libertà personale, per essere eseguito ha bisogno di essere convalidato dall’autorità giudiziaria. La quale si deve pronunciare sulla base di regole assai complesse e delicate – molte delle quali stabilite dalla normativa dell’Unione Europea e interpretate dall’apposita Corte di Giustizia.

Dal momento che l’approvazione della magistratura era necessaria – su questo non c’è dubbio – si doveva pur mettere nel conto la possibilità che il magistrato competente dicesse no; e così è stato. Non a capocchia; il provvedimento è motivato. È una decisione che tecnicamente può essere giusta o sbagliata; è consentito appellarsi, e qualcun altro deciderà.

Quello che assolutamente non si può dire è che la magistratura sia andata fuori della propria sfera di competenza e abbia invaso quella del potere esecutivo. Una delle leggi più importanti della storia d’Italia, la n. 2248 del 20 marzo 1865, ancora in vigore, stabilisce che quando sono in gioco i diritti civili e politici delle persone – e questo è il caso – i giudici possono (devono) “disapplicare” gli atti del potere esecutivo se non sono conformi alle leggi. E non importa se il potere esecutivo è eletto dal popolo e i giudici no. Si chiama principio dello “stato di diritto” e della separazione dei poteri, ovvero del loro bilanciamento. Lo ammettevano anche Vittorio Emanuele II e i suoi ministri, i quali erano di quel partito che è ricordato con il nome – guarda un po’ – di “destra storica”.

E poi, nel 1865 non esistevano ancora l'Unione Europea, né le carte (e le corti) sovranazionali per la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo; cioè quei superpoteri che hanno il compito di garantire il rispetto dei diritti di chiunque nei confronti degli stati, al di sopra persino delle legislazioni dei singoli paesi, se occorre. Poi, la singola decisione di un singolo magistrato può essere tecnicamente discutibile; ma i princìpi rimangono. È anche vero che i magistrati come persone dovrebbero stare più attenti, quando parlano di politica in privato, a non fornire pretesti a chi li accusa di essere di parte.

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Lo scontro ‘siciliano’ sui migranti https://www.lavoce.it/lo-scontro-siciliano-migranti/ https://www.lavoce.it/lo-scontro-siciliano-migranti/#respond Thu, 12 Oct 2023 10:13:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73613

In mezzo a tante notizie dolorose e allarmanti dalle guerre in corso in varie parti del mondo, possono sembrare futili quelle che riguardano, invece, i contrasti fra il nostro Governo e alcuni magistrati periferici in materia di stranieri. Ma, nel suo piccolissimo, questa diatriba fra la politica e la giustizia ci tocca da vicino. Tutti si chiedono: fino a che punto i giudici di professione sono liberi di avere le loro idee politiche e manifestarle in pubblico? O anche: una persona che ha idee politiche molto nette può essere un buon giudice?

Prima di tentare una risposta, voglio limitare la questione e sdrammatizzarla. Non è umanamente possibile, e forse non è nemmeno desiderabile, che una persona che fa il giudice non abbia le sue opinioni in materia di politica, di religione, o altro. L’importante è che non se ne faccia condizionare mentre giudica; deve essere indipendente da tutto, anche dalle proprie idee.

Non è nemmeno tanto difficile. In uno Stato di diritto come il nostro il giudice non ha margini di autonomia che gli consentano di giudicare secondo le sue imperscrutabili sensazioni e i suoi preconcetti: il suo mestiere consiste nell’individuare la legge da applicare nella situazione data, interpretarla correttamente tenendo conto dei precedenti e delle osservazioni delle parti in causa, trovare la soluzione adeguata al caso specifico, infine spiegare – in ciò consiste la motivazione – come e perché sia giunto a quelle conclusioni.

In un ordinamento giuridico ideale, ben costruito, lo stesso caso sottoposto a cento giudici diversi dovrebbe trovare cento volte la stessa soluzione. Infatti lo Stato di diritto si basa, fra l’altro, sulla certezza del diritto, cioè sulla possibilità di prevedere quella che sarà la decisione del giudice, chiunque sia e come la pensi. Quindi, davanti a una sentenza, dovremmo chiederci solo se sia corretta dal punto di vista logico e giuridico.

Abbiamo gli strumenti per farlo, beninteso conoscendo il caso e studiandolo come ha fatto – o dovrebbe averlo fatto – il giudice. Davanti alle sentenze dei giudici siciliani sugli stranieri richiedenti asilo, è fuori strada tanto la gazzarra di quelli che le screditano perché emesse da giudici schierati politicamente, quanto l’applauso di quelli che per la stessa ragione le esaltano. Anche perché nel merito le questioni erano complesse; troppo, per lo spazio che ho qui.

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In mezzo a tante notizie dolorose e allarmanti dalle guerre in corso in varie parti del mondo, possono sembrare futili quelle che riguardano, invece, i contrasti fra il nostro Governo e alcuni magistrati periferici in materia di stranieri. Ma, nel suo piccolissimo, questa diatriba fra la politica e la giustizia ci tocca da vicino. Tutti si chiedono: fino a che punto i giudici di professione sono liberi di avere le loro idee politiche e manifestarle in pubblico? O anche: una persona che ha idee politiche molto nette può essere un buon giudice?

Prima di tentare una risposta, voglio limitare la questione e sdrammatizzarla. Non è umanamente possibile, e forse non è nemmeno desiderabile, che una persona che fa il giudice non abbia le sue opinioni in materia di politica, di religione, o altro. L’importante è che non se ne faccia condizionare mentre giudica; deve essere indipendente da tutto, anche dalle proprie idee.

Non è nemmeno tanto difficile. In uno Stato di diritto come il nostro il giudice non ha margini di autonomia che gli consentano di giudicare secondo le sue imperscrutabili sensazioni e i suoi preconcetti: il suo mestiere consiste nell’individuare la legge da applicare nella situazione data, interpretarla correttamente tenendo conto dei precedenti e delle osservazioni delle parti in causa, trovare la soluzione adeguata al caso specifico, infine spiegare – in ciò consiste la motivazione – come e perché sia giunto a quelle conclusioni.

In un ordinamento giuridico ideale, ben costruito, lo stesso caso sottoposto a cento giudici diversi dovrebbe trovare cento volte la stessa soluzione. Infatti lo Stato di diritto si basa, fra l’altro, sulla certezza del diritto, cioè sulla possibilità di prevedere quella che sarà la decisione del giudice, chiunque sia e come la pensi. Quindi, davanti a una sentenza, dovremmo chiederci solo se sia corretta dal punto di vista logico e giuridico.

Abbiamo gli strumenti per farlo, beninteso conoscendo il caso e studiandolo come ha fatto – o dovrebbe averlo fatto – il giudice. Davanti alle sentenze dei giudici siciliani sugli stranieri richiedenti asilo, è fuori strada tanto la gazzarra di quelli che le screditano perché emesse da giudici schierati politicamente, quanto l’applauso di quelli che per la stessa ragione le esaltano. Anche perché nel merito le questioni erano complesse; troppo, per lo spazio che ho qui.

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