Lumen gentium Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/lumen-gentium/ Settimanale di informazione regionale Fri, 21 Jul 2023 15:00:54 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Lumen gentium Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/lumen-gentium/ 32 32 Perugia. Essere Chiesa che annuncia ed evangelizza https://www.lavoce.it/perugia-essere-chiesa-che-annuncia-ed-evangelizza/ https://www.lavoce.it/perugia-essere-chiesa-che-annuncia-ed-evangelizza/#comments Fri, 11 Sep 2015 13:40:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43209 Perugia-cattedraleInsegnare, santificare, governare, sono funzioni proprie del Vescovo di una diocesi. In quanto “Pastore” si prende cura del gregge e lo fa non in solitudine ma con la collaborazione dei presbiteri, in primis, dei religiosi e dei laici.

Non è sempre stato così. Prima del Concilio Vaticano II i semplici battezzati sembravano quasi non esistere tanto che Papa Giovanni XXIII usò l’immagine di una Chiesa con una grande testa ed un piccolo corpo per descrivere la situazione.

Con la Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II “Lumen gentium” i laici rientrano a pieno titolo in quel “popolo di Dio” al quale i Padri conciliari dedicano il capitolo II del documento, dopo quello dedicato al “Mistero della Chiesa” e prima del capitolo dedicato alla “Costituzione gerarchica della Chiesa e in particolare dell’episcopato”.

Il cambiamento di prospettiva prende anche forme concrete quali sono, per esempio, i consigli pastorali ai quali sono chiamati a partecipare i laici e le assemblee diocesane come quella che vive in questi giorni (11 e 12 settembre) la Chiesa di Perugia – Città della Pieve.

Un cambiamento di mentalità, prima che di strutture, che don Paolo Asolan sottolinea quando gli chiediamo di anticipare a La Voce alcuni temi delle relazioni con cui si apre l’assemblea diocesana.

Don Asolan, sacerdote della diocesi di Treviso docente di teologia pastorale, ha ricevuto le relazioni che le Unità pastorali e le consulte degli uffici pastorali diocesani hanno redatto in preparazione all’assemblea. Le ha lette con attenzione avendo avuto il compito “leggere la situazione” che da queste emerge e proporre piste di riflessione.

Non farà una relazione per dare indicazioni sul da farsi. “Non sono un oracolo – dice – e poi questo sarà il compito dell’assemblea”. È stato fatto un “lavoro ricco e interessante” e leggendo i contributi ne ha ricavato una “buona impressione”, di apertura e di ricerca.

Per esempio la riorganizzazione in Unità pastorali è “ben accolta” nella “consapevolezza che la parrocchia da sola non ce la fa”, anche se, sottolinea, c’è un cambiamento di mentalità che si fatica a fare. “Si tratta di superare 500 anni di parrocchia tridentina”, osserva Asolan. “La parrocchia passa dall’essere luogo di servizi religiosi a soggetto di evangelizzazione” e si tratta di capire “come intendere l’evangelizzazione oggi”.

Su questo cambiamento, che il cardinale Gualtiero Bassetti chiede alla comunità diocesana con la Lettera pastorale “Missione e conversione pastorale”, l’assemblea diocesana dovrà portare proposte per un cammino di rinnovamento rispondendo all’invito a essere una “Chiesa, popolo che annuncia e testimonia Cristo – Vivere e agire da credenti in stile missionario”, come recita il tema dell’assemblea.

Due in particolare le parole fondamentali che don Asolan proporrà all’assemblea: speranza e fraternità da offrire alla gente che non ha uno sguardo sul futuro, immersa in realtà disgregate.

Si tratta, dice don Asolan, di vedere le Unità pastorali come Chiesa situata in un territorio con il quale dialoga, di comprendere la missione in termini di “cultura cristianamente intesa” ovvero far vedere “il rapporto con Gesù come la luce attraverso cui vedere il rapporto con la comunità”, superando il linguaggio a volte troppo sociologico che si ritrova nei contributi elaborati.

Ai gruppi che si riuniranno sabato mattina il compito di elaborare proposte coraggiose per una Chiesa missionaria.

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“Religiosi e religiose, svegliate l’Umbria!” https://www.lavoce.it/religiosi-e-religiose-svegliate-lumbria/ Thu, 21 May 2015 10:17:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=33803 religiosi-san-rufino-assisi“Noi vescovi umbri ci aspettiamo da voi consacrati e da voi consacrate che ‘svegliate’ l’Umbria!”. Lo scrive il card. Gualtiero Bassetti nella Lettera ai consacrati e alle consacrate dell’Umbria , preparata per la loro Giornata regionale a Collevalenza di domani, sabato (vedi programma sotto).

“Una terra – prosegue Bassetti – fertile per santità e benedetta da tanti carismi nei secoli passati, ma che ora soffre perché sembra aver smarrito le sue radici, sembra non valorizzare appieno la sua storia.

Ha bisogno che, sulla scia dei fondatori e delle fondatrici, le persone consacrate ritornino con la loro genuina ‘testimonianza profetica’ a riproporre all’Umbria le parole del Vangelo, parole che generano vita e che riaccendono speranza e fiducia per il futuro della nostra terra.

Cari consacrati, care consacrate, con i vostri carismi, ‘antichi e nuovi’, offrite con generosità il vostro contributo per rendere più belle e più vive le nostre comunità cristiane, le nostre parrocchie, le nostre Chiese.

Ci aspettiamo che, in comunione e in sinergia con noi Pastori, con i sacerdoti e con gli operatori pastorali presenti nelle nostre comunità cristiane, mediante i vostri carismi con la loro valenza spirituale, sociale, culturale, caritativa, educativa, assistenziale, possiate venire incontro in modo significativo alla nostra società sempre più disorientata e sofferente a livello morale, economico, sociale.

Anche noi Pastori umbri ci uniamo al Papa nel dire: ‘Dio ci chiede di uscire dal nido che ci contiene e di essere inviati nelle frontiere del mondo, evitando la tentazione di addomesticarle. Questo è il modo più concreto di imitare il Signore!’ (Ai superiori generali nell’incontro del 29 novembre 2013).

Anche noi vi ripetiamo il mandato del Crocifisso di San Damiano: ‘Va’, Francesco, e ripara la mia casa che come vedi è tutta una rovina!’, invitandovi ad andare alle periferie delle nostre comunità, delle nostre Chiese locali, della nostra società”.

I Papi e il Concilio

La Lettera del presidente della Conferenza apiscopale umbra si apre con un saluto “anche a nome dei miei fratelli vescovi umbri, con la stima, l’amore e la gratitudine che il nostro cuore di Pastori prova per la vostra capillare, generosa e significativa presenza nelle Chiese che sono in Umbria”.

“Anche noi vescovi umbri intendiamo condividere e manifestare la stessa gioia del Santo Padre per quest’Anno dedicato alla vita consacrata. Essa ‘è un grande dono per la Chiesa perché nasce nella Chiesa, cresce nella Chiesa ed è tutta orientata alla Chiesa’ (intervento al Sinodo dei vescovidel 1994).

In questo 2015 si celebrano i 50 anni dalla pubblicazione di due importanti documenti del Concilio Vaticano II: la Costituzione sulla Chiesa Lumen gentium, che contiene un capitolo dedicato alla vita religiosa, e il decreto Perfectae caritatis interamente dedicato alla vita consacrata. E inoltre i vent’anni dalla pubblicazione dell’esortazione apostolica Vita consecrata emanata nel 1994 da san Giovanni Paolo II a conclusione del Sinodo dei vescovi dedicato a tale tema (a cui partecipò anche il vescovo Bergoglio): una pietra miliare nel cammino ecclesiale post-conciliare di quanti vivono una vita di speciale consacrazione”.

Alla luce di tutto questo – prosegue Bassetti – “siamo qui oggi, vescovi e consacrati, pellegrini in questo ‘luogo sacro’ nato da un carisma originale e nuovo, il carisma dell’Amore Misericordioso, affidato da Dio alla beata Madre Speranza, particolarmente attuale, anche pensando al prossimo Giubileo della Misericordia…

Cari fratelli e sorelle consacrati, anche noi vescovi umbri intendiamo affidare a voi l’invito che Papa Francesco ha rivolto ai superiori generali e a tutti i consacrati del mondo quando ha indetto l’Anno della vita consacrata: ‘Svegliate il mondo, illuminatelo con la vostra testimonianza profetica e controcorrente!” (Messaggio per l’apertura dell’anno della vita consacrata, 30 novembre 2014).

Risorsa provvidenziale

Il presidente della Ceu precisa quindi che religiose e religiose non sono “materiale di supplenza, ma preziose e provvidenziali risorse carismatiche”. E a titolo di esempio elenca i santuari della nostra regione, continua meta di pellegrinaggi da tutto il mondo, da parte di credenti e di persone in ricerca.

“Con tutta la Chiesa – prosegue – e assieme ai fedeli delle nostre Chiese locali ci uniamo quest’anno a tutti voi consacrati e consacrate nel ‘guardare al passato con gratitudine’, nel vivere il presente ‘con passione’ e nell’‘abbracciare il futuro con speranza’ (cfr. Francesco, Lettera apostolica ai consacrati in occasione dell’Anno della vita consacrata, 2).

Vi vogliamo assicurare che anche in Umbria l’Anno della vita consacrata non riguarda soltanto voi, persone consacrate, ma tutte le nostre Chiese, le nostre comunità cristiane, il nostro popolo. Ribadiamo anche noi vescovi quanto ha scritto Papa Francesco a tutta la Chiesa: ‘Cosa sarebbe la Chiesa senza san Benedetto e san Basilio, senza sant’Agostino e san Bernardo, senza san Francesco e san Domenico, senza sant’Ignazio di Loyola e santa Teresa d’Avila… L’elenco si farebbe quasi infinito, fino a san Giovanni Bosco, alla beata Teresa di Calcutta…’.

E in Umbria noi aggiungiamo: ‘… senza santa Chiara, santa Angela da Foligno, santa Rita, santa Chiara da Montefalco, la beata Angelina dei Conti di Marsciano e, ai nostri giorni, senza san Luigi Guanella, san Luigi Orione, la beata Speranza, il beato Carlo Liviero con i loro figli e figlie?’.

Santi e sante che sono vissuti decisamente ‘in uscita’. Di certo rivolti verso Dio, ma contemporaneamente verso il mondo, facendosi carico dei problemi, dei drammi, delle povertà, delle sofferenze degli uomini del loro tempo”.

L’augurio

“Concludiamo con un augurio: l’Anno della vita consacrata sia un anno di grazia e di rinnovato impegno a procedere insieme come Chiesa, popolo di Dio in cammino verso la santità nella ‘perfezione della carità’ di cui Maria è l’esemplare compiuto. Il Signore vi dia pace! Il Signore porti a compimento l’opera che ha iniziato in voi!”.

 

La Giornata a Collevalenza

Umbria, una terra benedetta per i suoi tanti luoghi sacri

La Giornata dedicata a tutti i religiosi dell’Umbria, il 23 maggio a Collevalenza, si svolgerà in base al seguente programma: ore 9 – ritrovo alla Casa del pellegrino; ore 9.30 – incontro con i Vescovi dell’Umbria; ore 11 – concelebrazione eucaristica in basilica; ore 12.30 – pranzo.

Come sottolineato dal card. Bassetti nella sua Lettera ai consacrati , l’Umbria “è una terra benedetta per tanti luoghi sacri, per numerosi santuari che sono cari non solo al nostro popolo e frequentati dalla nostra gente, ma che attirano da tutto il mondo milioni di pellegrini… Innanzitutto le due basiliche… di San Francesco e di Santa Maria degli Angeli; e ancora molti altri santuari quali Santa Chiara, San Damiano, Rivotorto, Eremo delle carceri, Divino Amore a Gualdo, La Salette a Salmata e così via. Nella diocesi di Orvieto-Todi il santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza e la basilica di Santa Giustina a Bolsena. Nella diocesi di Spoleto-Nocia i santuari di Santa Rita da Cascia e della Madonna della Stella. Il santuario di Canoscio e il monastero di Santa Veronica Giuliani nella diocesi di Città di Castello. L’abbazia di Sassovivo e il santuario di Santa Angela da Foligno nell’omonima diocesi. Il Sacro speco e la basilica di San Valentino nella diocesi di Terni – Narni – Amelia. E poi la presenza di molte diversificate istituzioni religiose maschili e femminili con scuole, ospedali, case di accoglienza e di spiritualità, centri culturali, centri assistenziali ed educativi… E infine, non possiamo non esprimere molta gratitudine agli innumerevoli monasteri di clausura”.

In Umbria esistono 183 comunità religiose femminili (1.019 persone in tutto), 91 comunità maschili (599 persone) e 47 monasteri di clausura (556 persone).

Clicca qui per scaricare la LETTERA AI CONSACRATI E ALLE CONSACRATE DELL’UMBRIA

 

 

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Fiordelli, energico e intelligente precursore https://www.lavoce.it/fiordelli-energico-e-intelligente-precursore/ Fri, 12 Dec 2014 12:45:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29486 Mons. Pietro Fiordelli con Papa Giovanni Paolo II
Mons. Pietro Fiordelli con Papa Giovanni Paolo II

Il 23 dicembre cadrà il 10° anniversario di morte di mons. Pietro Fiordelli (1916-2004), il primo vescovo residenziale di Prato, sacerdote umbro di nascita e di antiche origini familiari nella nostra regione.

Le origini

Questa straordinaria figura di ecclesiastico nasce il 9 gennaio 1916 a Città di Castello, quarto di cinque fratelli, da padre tifernate e madre originaria della vicina Sansepolcro. A 6 anni Fiordelli è avviato agli studi primari nella stessa città, frequentando la scuola elementare fondata dal vescovo Carlo Liviero (1866-1932). Il 4 ottobre 1927 fa ingresso nel Seminario di Città di Castello e, 5 anni dopo, nell’ottobre 1932, è inviato da mons. Liviero a Roma, come promettente alunno del Pontificio seminario romano maggiore. A soli 22 anni è quindi ordinato sacerdote a Roma e, dopo aver concluso gli studi filosofici e teologici nel Laterano, è incardinato nella diocesi di Città di Castello, allora guidata da mons. Filippo Maria Cipriani (1878-1956).

Dal suo vescovo don Fiordelli è incaricato di numerose mansioni, tra cui quella di insegnante di Religione al liceo classico di Città di Castello, di assistente della locale sezione di Azione cattolica, di padre spirituale nel Seminario diocesano e, infine, di altri svariati compiti pastorali negli ambiti – a lui congeniali – della pastorale della famiglia, della gioventù e della cultura.

Fonda “La Voce”

In particolare, per quanto riguarda quest’ultimo settore, nei difficili anni dell’immediato dopoguerra il giovane sacerdote s’impegnò a puntellare la comunità politica locale sull’urgenza di un ritorno, a tutti i livelli, al pieno rispetto delle leggi morali e civili, fondando ad esempio La Voce cattolica, il cui primo numero esce appunto nella primavera del 1945, a guerra non ancora terminata. In breve tempo il nostro giornale, grazie al dinamismo e all’intraprendenza di Fiordelli, raggiunse la tiratura – eccezionale, per il tempo – di oltre 24 mila copie, divenendo uno dei più importanti settimanali regionali (tanto per farsi un’idea, il maggiore quotidiano nazionale, il Corriere della sera, in quello stesso periodo raggiungeva una tiratura di 400 mila copie).

Nel 1953 La Voce, per espresso volere di tutti i Vescovi umbri, diventa, grazie anche a Fiordelli, il settimanale cattolico di tutta la regione. Dalle sue colonne, fino alla nomina a vescovo di Prato, egli firmò articoli e riflessioni di acuta analisi culturale e politica: originali e, diremmo, inconsueti per le testate diocesane del tempo.

Dopo 16 anni di un così attivo ministero presbiterale nella diocesi di Città di Castello, Fiordelli viene nominato dal servo di Dio papa Pio XII (1939-1958), il 7 luglio 1954, vescovo di Prato, ricevendo la consacrazione episcopale il 3 ottobre 1954, cioè a soli 38 anni (fu il più giovane vescovo d’Italia), dalle mani di mons. Cipriani. Ricoprì il suo incarico a Prato fino al 7 dicembre 1991, giorno nel quale rassegnò le dimissioni, come canonicamente prescritto per raggiunti limiti d’età.

Esce la sua biografia

La sua vicenda umana ed ecclesiale è ora ricostruita nel libro di Giuseppe Brienza, La difesa sociale della famiglia. Diritto naturale e dottrina cristiana nella pastorale di Pietro Fiordelli, vescovo di Prato (editrice Leonardo da Vinci, Roma 2014, pp. 161, euro15), che rievoca episodi interessanti della vita della Chiesa e del movimento cattolico italiano in difesa della famiglia e della vita negli anni 1950-70.

Brienza, giornalista e saggista che non è nuovo a ben documentate ricostruzioni biografiche di protagonisti della Chiesa in Italia, ricorda ad esempio l’impegno di mons. Fiordelli durante il Concilio Vaticano II e, in particolare, la sua “primogenitura” nella definizione, accolta nel testo della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (21 novembre 1964), della comunione coniugale sacramentale come Chiesa domestica, piccola Chiesa.

Non manca l’attenzione al contributo teologico di Fiordelli in campo ecclesiologico, di dottrina sociale della Chiesa e di spiritualità, laicale e familiare in particolare, che ne fa parlare come il “padre” della pastorale familiare in Italia.

Fiordelli si spese fin dall’inizio del suo episcopato per diffondere su larga scala corsi di preparazione al matrimonio che sviluppassero – soprattutto verso i più giovani – una rinnovata consapevolezza dell’importanza del vincolo sacramentale e della chiamata “alta” al matrimonio. Ancora, sempre su sua proposta la Cei costituì il Comitato episcopale per la famiglia (oggi Commissione episcopale per la famiglia e la vita), del quale Fiordelli fu eletto presidente per più mandati consecutivi.

Profeta anti-abortista

La lettura delle pagine di un breve saggio del vescovo Fiordelli, L’aborto e la coscienza (1975), intelligentemente riproposto come appendice nel volume di Brienza, è quanto mai importante per comprendere il passato socio-politico di cui viviamo gli esiti e la natura delle sfide etico-giuridiche che oggi ci interpellano. Lo scritto raccoglie una serie di conferenze sul tema, “profeticamente” tenute dal vescovo di Prato ben tre anni prima dell’approvazione della legge 194/1978, che ha introdotto l’Ivg nel nostro ordinamento.

Per questa sua opera, come ha riconosciuto l’arcivescovo di Ferrara, mons. Luigi Negri, nel suo Invito alla lettura, mons. Fiordelli va ricordato per la sua preziosa e coraggiosa difesa della famiglia, “spendendosi in un’intensa, profonda, intelligente ed equilibrata pastorale che assunse, in più di un’occasione, un carattere obiettivamente profetico. Capì e fece capire – certamente alla sua diocesi, ma non solo – che la battaglia per la difesa della sacralità della vita, della famiglia, della paternità, della maternità, dell’educazione dei figli, è stata ed è la grande battaglia della Chiesa e del popolo del nostro Paese, e che la si poteva fare non soltanto con la chiarezza dei princìpi, che mons. Fiordelli sapeva evocare da par suo, ma anche con una vera esperienza di famiglia cristiana” (p. 11).

Né va dimenticato, in tema di difesa della famiglia cristiana, che mons. Fiordelli era già stato al centro di una polemica a livello nazionale per aver dichiarato che, dal punto di vista della Chiesa, erano da considerare pubblici peccatori e concubini coloro che erano sposati civilmente. In tale polemica si inserì Aldo Capitini, che decise di farsi cancellare dal registro del battesimo, e quindi di rinunciare anche formalmente all’appartenenza alla Chiesa cattolica; fu il primo caso di “sbattezzo”. Fiordelli finì sotto processo, con sentenza di condanna in primo grado (28 febbraio 1958), ma venne poi assolto in appello (25 ottobre 1958).

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Verso una meta meravigliosa https://www.lavoce.it/verso-una-meta-meravigliosa/ Fri, 05 Dec 2014 12:25:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29344 Vaticano,-22-gennaio--udienza-generale-di-Papa-Francesco-Concentriamo questa settimana, per esigenze redazionali, le ultime due udienze generali di Papa Francesco. Quella del 26 novembre (Clicca qui per il testo completo) era la 15a catechesi dedicata al tema della Chiesa, e approfondiva il suo essere “pellegrina verso il Regno”.

“Nel presentare la Chiesa agli uomini del nostro tempo – ha detto il Vescovo di Roma -, il Concilio Vaticano II aveva ben presente una verità fondamentale, che non bisogna mai dimenticare: la Chiesa non è una realtà statica, ferma, fine a se stessa, ma è continuamente in cammino nella storia, verso la meta ultima e meravigliosa che è il Regno dei cieli, di cui la Chiesa in terra è il germe e l’inizio” (cfr. Lumen gentium, 5).

“In questa prospettiva – ha proseguito -, è bello percepire come ci sia una continuità e una comunione di fondo tra la Chiesa che è nel Cielo e quella ancora in cammino sulla terra. Coloro che già vivono al cospetto di Dio possono infatti sostenerci e intercedere per noi, pregare per noi. D’altro canto, anche noi siamo sempre invitati a offrire opere buone, preghiere e la stessa eucaristia per alleviare la tribolazione delle anime che sono ancora in attesa della beatitudine senza fine. Sì, perché nella prospettiva cristiana la distinzione non è più tra chi è già morto e chi non lo è ancora, ma tra chi è in Cristo e chi non lo è! Questo è l’elemento determinante, veramente decisivo per la nostra salvezza e per la nostra felicità.

Nello stesso tempo, la sacra Scrittura ci insegna che il compimento di questo disegno meraviglioso non può non interessare anche tutto ciò che ci circonda e che è uscito dal pensiero e dal cuore di Dio… Tutto l’universo sarà rinnovato e verrà liberato una volta per sempre da ogni traccia di male, e dalla stessa morte”.

L’udienza del 3 dicembre (Clicca qui per il testo completo) ha invece avuto per tema l’attualità, ossia il recente viaggio del Papa in Turchia. Si tratta – ha detto – di una terra “cara a ogni cristiano” per aver dato i natali a san Paolo, aver ospitato i primi sette Concili e per la presenza, vicino Efeso, della casa di Maria. Con le autorità del Paese ha ribadito: “È l’oblio di Dio, e non la Sua glorificazione, a generare la violenza. Per questo ho insistito sull’importanza che cristiani e musulmani si impegnino insieme per la solidarietà, per la pace e la giustizia, affermando che ogni Stato deve assicurare ai cittadini e alle comunità religiose una reale libertà di culto”.

Poi ha posto l’accento sull’invocazione ecumenica allo Spirito santo nella cattedrale di Istanbul: “Il popolo di Dio, nella ricchezza delle sue tradizioni e articolazioni, è chiamato a lasciarsi guidare dallo Spirito santo, in atteggiamento costante di apertura, di docilità e di obbedienza”.

E proprio lo Spirito santo è stato l’ispiratore dell’incontro tra Francesco e il Patriarca Bartolomeo, rinnovando “l’impegno reciproco a proseguire sulla strada verso il ristabilimento della piena comunione tra cattolici e ortodossi”.

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“Unitatis redintegratio”: ne parlano le Chiese cristiane di Perugia https://www.lavoce.it/unitatis-redintegratio-ne-parlano-le-chiese-cristiane-di-perugia/ Fri, 28 Nov 2014 13:09:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29205 Maria T. Di Stefano, i pastori Gajewski e Genre, il card. Bassetti, padre Ionut Radu, mons. Bromuri
Maria T. Di Stefano, i pastori Gajewski e Genre, il card. Bassetti, padre Ionut Radu, mons. Bromuri

“Un miracolo”: così don Elio Bromuri ha definito il decreto del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, di cui si celebravano i 50 anni di promulgazione il 21 novembre. “Un miracolo” perché? Perché fino a quel momento – ha spiegato – “la Chiesa cattolica aveva resistito a tutti gli inviti a partecipare al movimento ecumenico”. L’Unitatis redintegratio è stata al centro di una tavola rotonda organizzata il 24 novembre al Centro ecumenico di Perugia, animata dai membri del Consiglio delle Chiese cristiane (Ccc) di Perugia, varato un anno fa; moderatore, il presidente del Ccc, il teologo valdese Ermanno Genre. Quest’ultimo ha raccontato con soddisfazione che, dopo aver trascorso una ventina di anni della sua esistenza come “eretico e scomunicato” (dal punto di vista cattolico), vive ormai da mezzo secolo come “fratello”, seppure “separato”. Il Concilio – ha aggiunto – ha aperto “una nuova, inedita pagina di relazioni proficue a tutto campo”.

Ampio e articolato l’intervento del card. Gualtiero Bassetti, che è anche membro del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani; lo riportiamo integralmente nella pagina qui accanto. In sintesi, il Vescovo di Perugia ha esordito ricordando – sulla scia di Papa Francesco – l’“ecumenismo del sangue” che oggi accomuna tutte le Chiese cristiane; così come la mutata “geografia mondiale della cristianità”. Tutti fenomeni che “ci costringono a interrogarci sul dialogo ecumenico” in modo nuovo. “Non si può tornare indietro! – ha aggiunto. – E troppi cattolici lo hanno fatto, cercando rifugio nella tradizione, o meglio, in un tradizionalismo non vitale, inteso come una specie di stampella”.

Padre Ionut Radu, responsabile della comunità ortodossa romena di Perugia, ha ricordato che il 21 novembre 1964 il Vaticano II approvò non solo Unitatis redintegratio e Lumen gentium, ma anche il decreto sulle Chiese cattoliche orientali. Unitatis redintegratio è stato discusso ai massimi livelli delle Chiese ortodosse; ma vi è anche un “livello locale, pratico, che è anche più profondo, e in cui si sente un forte desiderio di unità attorno a Cristo. Occorre un rinnovamento interiore”. Ha poi citato una graziosa leggenda: quando Cristo ascese al Cielo, l’angelo Michele gli chiese che cosa fossero quelle fioche fiammelle che si intravedevano a Gerusalemme. Cristo ripose: “Sono i miei apostoli; dovranno incendiare il mondo intero”. “E se non ci riescono?”. “Non ho un piano alternativo”.

Qualche passo ancora da compiere in campo ecumenico è stato suggerito dal pastore valdese Pawel Gajewski, di origini polacche e con ampie esperienze europee. “Anche solo in questi ultimi 15 anni – ha detto – tanti sono stati i frutti del dialogo: a livello mondiale, ad esempio, con la Dichiarazione congiunta di cattolici e luterani sulla giustificazione; a livello europeo, con la Charta oecumenica; a livello italiano, con l’accordo cattolico-valdese sui matrimoni misti, di cui hanno beneficato tante persone che conosco”. Restano tuttavia dei punti su cui sarebbe importante portare avanti la riflessione, come il significato di “cattolicità” – in cui credono anche i protestanti – o del ministero: è più importante l’episcopus (vescovo) o la episkopè, il dono della “supervisione” esercitato non da uno solo ma dal consiglio degli Anziani? Entro il 2017, anniversario della Riforma, ha auspicato una “conversione pastorale” in tema di eucaristia, senza appiattire la dottrina, ma prestando più attenzione all’ospitalità reciproca.

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Santità, dono per tutti https://www.lavoce.it/santita-dono-per-tutti/ Fri, 21 Nov 2014 12:58:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29111 Sant’Anna con Maria bambina e San Gioacchino
Sant’Anna con Maria bambina e San Gioacchino

Papa Francesco ha dedicato l’udienza generale di mercoledì (testo integrale su www.vatican.va) alla santità: “Un grande dono del Concilio Vaticano II – ha detto – è stato quello di aver recuperato una visione di Chiesa fondata sulla comunione, e di aver ricompreso anche il principio dell’autorità e della gerarchia in tale prospettiva. Questo ci ha aiutato a capire meglio che tutti i cristiani, in quanto battezzati, hanno uguale dignità davanti al Signore e sono accomunati dalla stessa vocazione, che è quella alla santità (cfr Lumen gentium, 39-42). Ora ci domandiamo: in che cosa consiste questa vocazione universale a essere santi? E come possiamo realizzarla?”.

“Innanzitutto – ha risposto – dobbiamo avere ben presente che la santità non è qualcosa che ci procuriamo noi, che otteniamo noi con le nostre qualità e le nostre capacità. La santità è un dono, è il dono che ci fa il Signore Gesù quando ci prende con sé e ci riveste di se stesso, ci rende come Lui… Si capisce allora che la santità non è una prerogativa soltanto di alcuni: la santità è un dono che viene offerto a tutti, nessuno escluso, per cui costituisce il carattere distintivo di ogni cristiano.

Tutto questo ci fa comprendere che, per essere santi, non bisogna per forza essere vescovi, preti o religiosi. No. Tutti siamo chiamati a diventare santi! Tante volte, poi, siamo tentati di pensare che la santità sia riservata soltanto a coloro che hanno la possibilità di staccarsi dalle faccende ordinarie, per dedicarsi esclusivamente alla preghiera. Ma non è così.

Qualcuno pensa che la santità è chiudere gli occhi e fare la faccia ‘da immaginetta’, tutta così… No! Non è quella la santità. La santità è qualcosa di più grande, di più profondo che ci dà Dio. Anzi, è proprio vivendo con amore e offrendo la propria testimonianza cristiana nelle occupazioni di ogni giorno che siamo chiamati a diventare santi. Ciascuno nelle condizioni e nello stato di vita in cui si trova. Sei consacrato, sei consacrata? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione e il tuo ministero. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un battezzato non sposato? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro e offrendo del tempo al servizio dei fratelli”.

A braccio ha aggiunto: “Ma padre [diceva]: ‘Io lavoro in una fabbrica, lavoro da ragioniere, sempre con i numeri, lì non si può essere santo’. Sì, si può! Lì dove tu lavori, tu puoi diventare santo. Dio ti dà la grazia di diventare santo. Dio si comunica a te. Sempre, in ogni posto, si può diventare santo, cioè aprirsi a questa grazia che ci lavora dentro e ci porta alla santità. Sei genitore o nonno? Sii santo insegnando con passione ai figli o ai nipoti a conoscere e a seguire Gesù.

E ci vuole tanta pazienza per questo, per essere un buon genitore, un buon nonno, una buona madre, una buona nonna. Ci vuole tanta pazienza, e in questa pazienza viene la santità: esercitando la pazienza. Sei catechista, educatore o volontario? Sii santo diventando segno visibile dell’amore di Dio e della Sua presenza accanto a noi.

Ecco, ogni stato di vita porta alla santità, sempre! A casa tua, sulla strada, nel lavoro, in chiesa, in quel momento e con lo stato di vita che tu hai, è aperta la strada verso la santità. Non scoraggiatevi di andare su questa strada. È Dio che ti dà la grazia. Questa è l’unica cosa che chiede il Signore: che noi siamo in comunione con Lui e al servizio dei fratelli”.

“A questo punto – ha proseguito – ciascuno di noi può fare un po’ di esame di coscienza… Come abbiamo risposto finora alla chiamata del Signore alla santità? Ho voglia di diventare un po’ migliore, di essere più cristiano, più cristiana? Questa è la strada della santità. Quando il Signore ci invita a diventare santi, non ci chiama a qualcosa di pesante, di triste. Tutt’altro! È l’invito a condividere la Sua gioia, a vivere e a offrire con gioia ogni momento della nostra vita, facendolo diventare allo stesso tempo un dono d’amore per le persone che ci stanno accanto”.

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50 anni fa il decreto del Concilio sull’ecumenismo https://www.lavoce.it/50-anni-fa-il-decreto-del-concilio-sullecumenismo/ Fri, 21 Nov 2014 12:51:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29104 Una fase dei lavori del Concilio Vaticano II
Una fase dei lavori del Concilio Vaticano II

Proprio oggi cade il doppio 50° anniversario dell’approvazione – 21 novembre 1964 – di due documenti chiave del Concilio Vaticano II: la Costituzione Lumen gentium sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, e il decreto sull’ecumenismo, Unitatis redintegratio.

Riguardo a quest’ultimo tema, “la nostra Chiesa resterà verosimilmente un motore dell’unità, a condizione che ponga tale impegno a livello di ‘ministero dell’interno’” e non “di ministero degli esteri”, ossia che “si riduca il più possibile la distanza tra il dire e il fare”. Sono parole di padre Hervé Legrand, professore emerito di Ecclesiologia all’Institut Catholique de Paris, in conclusione della conferenza tenutasi a Roma su “Le direttive del decreto sull’ecumenismo si rivolgevano solo ai cattolici: quale bilancio dopo 50 anni?”. L’iniziativa era promossa dal centro Pro Unione.

“Si sottolinea troppo poco”, ha insistito padre Legrand, che Unitatis redintegratio “si rivolge esclusivamente a noi cattolici per dirci in che cosa, noi stessi, possiamo e dobbiamo approfondire la nostra vita cristiana, e correggere ciò che è necessario al fine di ridurre gli ostacoli all’unità dei cristiani”. Non è intenzione del documento rivolgersi “ai cristiani da cui siamo separati, per dire che cosa ci attendiamo da loro”. Sarebbe quindi un grave errore ridurre “l’impegno ecumenico cattolico al miglioramento delle nostre relazioni con gli altri cristiani, come se spettasse al ‘ministero degli affari esteri’”, mentre, secondo il Concilio, spetta al “ministero dell’interno”. In altri termini, si chiede che questo impegno divenga effettivamente “una dimensione della nostra pastorale e della nostra teologia”. Secondo padre Legrand, a frenare “l’apertura ottenuta grazie ai principi” dell’Unitatis redintegratio sono stati, tra l’altro, “uno stile di governo allontanatosi dalla sensibilità orientale”, e il Codice dei canoni delle Chiese orientali (1990), redatto in latino e tendente ad amalgamare tradizioni eterogenee “come quelle di Bisanzio e dell’Etiopia, dell’Armenia o dell’India siriana”, e promulgato unicamente dal Papa senza i Capi di tali Chiese.

Si tratta ora “di esaminare noi stessi, piuttosto che gli altri”, alla luce dell’insistenza dei due ultimi Papi sulla irreversibilità dell’impegno ecumenico. Anche se “il clima ecclesiale al riguardo non è più quello degli anni ’60-90”, il lavoro di fondo “proseguirà, anche su temi ardui come il Primato di Roma”.

Rilassamento degli ideali e nuove difficoltà

In occasione del 50° anniversario di promulgazione del decreto Unitatis redintegratio, si è riunita a partire da martedì l’assemblea plenaria del Pontificio consiglio per unità dei cristiani. “Con il Concilio Vaticano II – aveva dichiarato già qualche tempo fa il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio – la Chiesa si è impegnata in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica”. Dopo 50 anni, “dobbiamo riconoscere che non abbiamo raggiunto l’obiettivo del dialogo ecumenico, ovvero una comunione ecclesiale vincolante e l’unità visibile nella fede, nei sacramenti e nei ministeri ordinati. Nel corso del tempo, piuttosto, l’obiettivo del movimento ecumenico si è fatto man mano più confuso. Molti dei partner ecumenici hanno abbandonato l’obiettivo originario dell’unità visibile a favore di un mutuo riconoscimento delle diverse comunità ecclesiali”, cosicché “l’unica Chiesa di Gesù Cristo risulta essere una mera somma delle varie comunità ecclesiali esistenti”. Alla vigilia della plenaria del Pontificio consiglio, il card. Koch ha quindi precisato che con le Chiese ortodosse, fino “al 1990 abbiamo fatto grandi progressi e siamo riusciti a sviluppare il consenso alle domande fondamentali della comprensione della Chiesa, dei sacramenti, del ministero. Dopo questo periodo, c’è stata però una grande crisi. I cambiamenti avvenuti in Europa nel 1989 non hanno infatti rappresentato un grande vantaggio per l’ecumenismo, perché con la svolta sono uscite dal nascondimento le Chiese cattoliche-orientali (la Chiesa greco-cattolica, soprattutto in Ucraina, in Romania, in Transilvania) che erano state bandite da Stalin, e tutto questo ha risvegliato le antiche accuse di proselitismo. Così, nel 2000 siamo arrivati alla chiusura di questo dialogo. Nel 2006, poi, l’abbiamo ripreso a Belgrado, e poi ancora nel 2007, con il famoso Documento di Ravenna, e da allora lavoriamo intorno alla questione del primato del Vescovo di Roma. Non è una questione semplice e ci sono sempre battute d’arresto. Ma sono convinto che su questa strada potremo ottenere ancora progressi”.

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Opportunità che meritano massima attenzione https://www.lavoce.it/opportunita-che-meritano-massima-attenzione/ Thu, 25 Sep 2014 17:35:11 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28146 Prossimamente avremo tre preziose opportunità che meritano la massima attenzione. Vado in ordine temporale.

Primo: dal 5 al 9 ottobre il Sinodo dei vescovi su “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”. Ci invita a riflettere, come abbiamo già fatto rispondendo al questionario, sul rapporto d’amore tra l’uomo e la donna, affrontando in modo sereno e chiaro le problematiche “scottanti” riguardanti la vita umana, la sessualità, il genere, la convivenza, il matrimonio. Le ideologie di gender attribuiscono alla società, alla cultura vigente e al singolo la libertà di determinare il sesso, l’amore, la vita.

Ci domandiamo tra l’altro: il bambino non ha diritto di nascere in una famiglia e di poter dire con verità “papà, mamma, fratello”? Scrive Papa Francesco: “La famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e i legami sociali. Nel caso della famiglia, la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società, del luogo dove si impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri, e dove i genitori trasmettono la fede ai figli” (EG, 66). Usando sempre il dialogo rispettoso e cercando di cogliere ciò che di vero e di buono vi è in ogni situazione e proposta, occorre ricordare quel “Vangelo della famiglia” che è stato rivelato come bene per tutti.

Secondo: dal 10 al 13 novembre, ad Assisi, avrà luogo l’Assemblea generale straordinaria della Cei su “La vita e la formazione permanente dei presbiteri”. È già disponibile lo Strumento di lavoro, che sollecita riflessioni condivise tra vescovi, sacerdoti e diaconi sulla formazione permanente del clero, che accentui soprattutto l’appartenenza al presbiterio per la missione apostolica in comunione con il vescovo (i preti e i diaconi sono i primi collaboratori).

Facendo tesoro del percorso del Vaticano II, vescovi-presbiteri-diaconi si chiedono come comprendere e tradurre ciò che lo Spirito per bocca di Papa Francesco chiede alla Chiesa, chiamandola a una vera “riforma” che coinvolge anzitutto noi. Si tratta di affrontare il tema della formazione permanente del clero in modo realistico, organico e puntuale, in uno stile di fraterno confronto con i diversi modi di pensare, agire e vivere, così da aiutarci sia umanamente sia evangelicamente (quel Vangelo che noi predichiamo, a noi per primi si rivolge) e anche pastoralmente. Il vescovo, chiamato a essere padre, guida e amico sull’esempio di Gesù con i Dodici, ha una particolare responsabilità, ma anche viceversa: insieme si costruisce la comunione fraterna, la cooperazione e la collaborazione, ossia la fraternità presbiterale che avvertiamo in modo particolarissimo il Giovedì santo, il giorno nel quale il Signore Gesù ci ha istituiti lasciandoci in testamento l’unico dono-comandamento: “Amatevi [rivolto ai Dodici] come io vi ho amato” (Gv 13,34). Il Papa nella Evangelii gaudium parla delle tentazioni degli operatori pastorali (cf nn. 76-109). Anche noi le conosciamo, e conosciamo le nostre debolezze.

Terzo: dal 30 novembre 2014 al 2 febbraio 2016 il Papa ha indetto l’Anno della vita consacrata. Insieme ai laici cristiani e ai ministri ordinati, le religiose e i religiosi sono un altra componente essenziale del popolo di Dio che è la Chiesa (come appare chiaro nello schema della Lumen gentium). “Senza questo segno concreto – scriveva Paolo VI nella Evangelica testificatio – la carità che anima l’intera Chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso del Vangelo smussarsi, il ‘sale’ della fede diluirsi”.

Lo specifico della vita consacrata è proprio quello di richiamare tutto il popolo di Dio alla radicalità della sequela di Cristo e alla tensione escatologica di ogni uomo verso il regno di Dio. Non sembra un caso che, mentre da un lato la vita consacrata sta vivendo un momento critico quanto al numero (e forse alla qualità della sua presenza nel contesto socio-ecclesiale attuale), i due ultimi Papi si siano ispirati a due fondatori religiosi che hanno segnato la storia proprio in tempi di cambio epocale come quello che stiamo vivendo ora: san Benedetto da Norcia e san Francesco di Assisi. L’Anno della vita consacrata è un’altra bella occasione per sviluppare il rinnovamento ecclesiale, particolarmente nella nostra regione, dove abbiamo avuto significative testimonianze religiose e dove la presenza dei religiosi/e è ancora notevole. I tre eventi che stiamo per vivere diano nuovo vigore e impulso al rinnovamento delle tre componenti della Chiesa: i laici (specie le famiglie cristiane), i ministri ordinati, la vita consacrata.

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Il “mantello” di Papa Paolo VI https://www.lavoce.it/il-mantello-di-papa-paolo-vi/ Thu, 11 Sep 2014 12:05:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27908 SigismondiÈ ormai prossima la beatificazione del venerabile servo di Dio Paolo VI, di cui ho ben incisa nella memoria la figura – avvolta dal mantello rosso, il cosiddetto “tabarro” – così nobile e così semplice, così pubblica e così riservata, così austera e così delicata. Se a Papa Roncalli va riconosciuta la paternità e la profezia del Concilio, a Papa Montini va il merito di aver condotto il Vaticano II alla sua piena realizzazione, coniugando fedeltà e rinnovamento. Se il Concilio è riuscito a giungere a termine assorbendo tensioni, creando ponti tra posizioni diverse, lo si deve alla pazienza, alla lucidità, alla capacità di ascolto e di mediazione del Pontefice bresciano. La chiave di volta del pontificato di Paolo VI è rappresentata dall’enciclica Ecclesiam Suam, che porta la data del 6 agosto di cinquant’anni fa, ma che non cessa di istruire e di incoraggiare la Chiesa a illuminare il mondo con la luce di Cristo.

Si tratta di un documento pontificio che, per non entrare nei temi che il Concilio aveva messo nel suo programma, vuole essere confidenziale, discorsivo. “È una manifestazione – ebbe a dire Papa Montini – dei nostri sentimenti e dei nostri pensieri: parliamo del nostro animo. Diciamo quello che noi pensiamo debba fare oggi la Chiesa per essere fedele alla sua vocazione e per essere idonea alla sua missione (…). Vogliamo sperare che questo nostro pontificale e pastorale messaggio trovi accoglienza anche oltre i confini della Chiesa, perché oltre i suoi confini arriva l’amore che l’ha ispirata”.

paolo-VI-mantella-rossaL’enciclica, nella sua sobrietà e concretezza, sottolinea che edificare la Chiesa significa attendere incessantemente all’opera della riforma, che si configura come un’opera di “rinnovamento nella continuità della grande tradizione”. Si tratta di un processo che, al riparo da nostalgie e da fughe in avanti, non è assimilabile a un lavoro di manutenzione e nemmeno di restauro o di ristrutturazione. Esso consiste essenzialmente in un’accresciuta fedeltà della Chiesa alla sua vocazione di “comunità in cammino”, che il Signore plasma sempre di nuovo seguendo, per così dire, lo stesso protocollo adottato per il popolo primogenito dell’Alleanza: “Ecco, come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani, casa d’Israele” (Geremia 18,6). Nell’osservare che nessuna barriera a tenuta stagna divide la Chiesa dal mondo, Paolo VI tiene a precisare che l’incontestabile coinvolgimento della Chiesa nella storia non sminuisce ma esalta la sua costitutiva relazione sponsale con Cristo. L’immagine dei “cerchi concentrici”, ripresa nella Lumen gentium per descrivere i destinatari del dialogo della Chiesa con il mondo, ha il vantaggio di spostare lo sguardo dalla questione delle “frontiere” del Corpo ecclesiale verso quella del suo “centro”, Cristo Salvatore.

Nonostante il mezzo secolo che ci separa dalla pubblicazione dell’Ecclesiam Suam, il programma di Papa Montini, proseguito durante tutto il suo pontificato ed espresso con rinnovato impegno nel 1975 nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, non è per nulla desueto. Gli attuali inviti di Papa Francesco, che sprona la Chiesa a non chiudersi in se stessa, vanno nella medesima direzione e sono ispirati dalla stessa passione del suo predecessore, che ha gettato sulla Chiesa il “mantello” di una sapienza profetica. Uno dei profili più nitidi di Paolo VI è quello tracciato di recente dal suo medico personale, Renato Buzzonetti, che non solo ha auscultato il torace del Pontefice bresciano, ma ha sentito i battiti del suo cuore fino all’ultimo respiro: “Un cuore mondo da ogni residua amarezza, e soltanto aperto al suo universale ministero di carità”.

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Quell’impareggiabile Papa “di transizione” https://www.lavoce.it/quellimpareggiabile-papa-di-transizione/ Thu, 17 Apr 2014 12:49:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24532 Giovanni XXIII saluta i fedeli dal finestrino del treno durante il viaggio a Loreto, 4 ottobre 1962
Giovanni XXIII saluta i fedeli dal finestrino del treno durante il viaggio a Loreto, 4 ottobre 1962

Che Papa Giovanni sia stato “buono” lo dice innanzitutto la bonomia del suo tratto e dei suoi rapporti con tutti, sempre sorridente, pronto a vedere il lato migliore di persone e di avvenimenti, senza furbizie ma anche senza ingenuità. Fu chiamato a succedere al grande Papa Pacelli, Pio XII, all’apparenza inflessibile e rigoroso, il Papa degli anni terribili della guerra e di violenze inaudite. È in questo scenario che Dio fece piovere il Suo segno di misericordia donando non solo alla Chiesa ma all’umanità intera un Papa mite e buono, che dice e fa con semplicità cose grandiose, a cominciare dalla ricercata pace sociale e politica. Tale si rivelò fin da subito Papa Giovanni, assumendo a ragione proprio quel nome, usato ben 22 volte dai predecessori e – se si vuole – piuttosto logoro. Il nuovo “inquilino” lo fece però rivivere in pienezza di significato, riproponendo nei comportamenti l’apostolo prediletto da Gesù, quello che, come il Maestro, diceva cose che sapevano di amore.

Già nella sua prima scelta, Papa Giovanni, figlio e fratello di contadini d’una terra italiana che sa coniugare bene lavoro e serietà di vita con l’amore di Dio, fece capire di che stoffa fosse fatta la sua personalità. Per muoversi a Venezia, sua prima diocesi, usava inevitabilmente barche e motoscafi; ma per visitare luoghi significativi della sua Chiesa, italiana e universale, scelse il treno, fosse pure bianco come la sua veste di Pastore. E in treno, atteso a ogni fermata da un subisso di gente plaudente, fece il suo primo viaggio in Umbria, ad Assisi, il 4 ottobre 1962, per rendere omaggio al Patrono d’Italia e al più santo degli italiani, Francesco d’Assisi, e affidargli la protezione del Concilio. Era la prima volta che il Papa usciva dalla “prigione dorata” del Vaticano per tuffarsi familiarmente tra la gente, prigioniero solo del suo amore.

Dopo quel viaggio, il rapporto tra Papa e popolo italiano non è stato più lo stesso: è nata una confidenza e una immediatezza che è andata sempre più crescendo, per poi a rinnovarsi con Papa Francesco.

Papa “di transizione”

Quando Angelo Giuseppe Roncalli fu eletto Papa, tutti dissero che sarebbe stato un Papa di transizione perché era anziano. Lui stesso ne era convinto e lo scrisse nel suo diario (il “giornale dell’anima” cominciato a scrivere a 14 anni), dicendo che era stato scelto come Papa di “provvisoria transizione”. Ma in quella “provvisoria transizione” fece a tempo a fare parecchie cose e a provocare un ribaltone quasi incredibile con il Concilio Vaticano II, da lui promosso nel 1962 e condotto a termine dal suo successore Paolo VI nel 1965: quattro anni di riflessioni e di decisioni dei Vescovi di tutto il mondo, che dettero a santa Madre Chiesa un volto del tutto nuovo con l’avvio d’una pastorale evangelizzatrice, missionaria, integrata.

Scriveva da nunzio apostolico, nel suo Giornale dell’anima (paragrafo 824):”Il mio temperamento e l’educazione ricevuta mi aiutano nell’esercizio dell’amabilità con tutti, della indulgenza, del garbo, della pazienza. Non recederò da questa vita: san Francesco di Sales è il mio grande maestro. Oh!, lo rassomigliassi davvero e in tutto!… Io lascio a tutti la sovrabbondanza della furberia e della cosiddetta destrezza diplomatica, e continuo ad accontentarmi della mia bonomia e semplicità di sentimenti, di parola, di tutto. Le somme, infine, tornano sempre a vantaggio di chi resta fedele alla dottrina e agli esempi del Signore!”. Questi erano i sentimenti del card. Angelo Giuseppe Roncalli, e questi furono i comportamenti di Giovanni XXIII, che oggi proclamiamo gioiosamente santo per solenne definizione di Papa Francesco, che molto gli assomiglia.

La “Mater et Magistra”

Nel suo prolungato servizio di nunziatura ebbe sempre cura della verità e della carità, nel linguaggio e nei gesti, dall’aiuto agli ebrei ai soccorsi per gli ortodossi, a Sofia in Bulgaria come a Istanbul in Turchia, o nella Parigi del generale De Gaulle, il quale non voleva persone compromesse con il regime di Pétain, e per questo rifiutò malamente il nunzio Valerio Valeri. Anche la Chiesa cattolica aveva i suoi problemi disciplinari e dottrinali, muovendosi tra i postumi del dopoguerra e le violenze del mondo comunista, con l’urgenza ormai improrogabile di una nuova evangelizzazione.

Papa Giovanni, turbato dalle rovine fisiche, morali, sociali prodotte dall’ingiustizia, che faceva da moltiplicatore delle rovine non ancora recuperate del lungo dopoguerra, cogliendo l’occasione del 70° anniversario della Rerum novarum di Leone XIII, offrì il 20 maggio 1961 agli operatori pastorali il supporto d’un rilancio aggiornato della dottrina sociale cristiana con l’enciclica Mater et Magistra “sui recenti sviluppi della questione sociale”, ribadendo che “la dottrina sociale cristiana è parte integrante della concezione cristiana della vita” (n. 206), particolarmente necessaria in questa nostra epoca, “percorsa da errori radicali, straziata e sconvolta da disordini profondi” (n. 238) che hanno provocato notevoli squilibri. L’enciclica, com’è noto, suscitò vasta eco nella stampa mondiale. Scrisse il quotidiano francese Le Monde: “È rivolta verso l’azione e l’attualità. È adatta all’epoca, conforme all’esigenza delle giovani generazioni, che non vogliono discorsi accademici e non apprezzano le astrazioni dottrinali”. L’enciclica riscosse favorevoli consensi anche nell’opinione pubblica dei Paesi in via di sviluppo, in particolare India e Paesi arabi.

Il Concilio

Venne finalmente l’ora del nuovo Concilio, dai più non creduto possibile, da molti temuto, dai “profeti” atteso come segno di un nuovo impulso per l’evangelizzazione. Papa Giovanni stesso ne dette l’annuncio con il mirabile radiomessaggio dell’11 settembre 1962 ai fedeli di tutto il mondo. Lo qualificò subito come “una primavera della Chiesa”, paragonandolo alla valenza liturgica del Cero pasquale, che è lumen Christi, lumen ecclesiae, lumen gentium: una “vera letizia per la Chiesa universale, Chiesa di tutti, particolarmente Chiesa dei poveri”.

All’annuncio seguì la solenne apertura del Concilio l’11 ottobre 1962, con un discorso particolarmente energico per “dissentire dai profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo”. La Chiesa, invece, “guarda con realismo al presente”, e anzi “non ha assistito indifferente al mirabile progresso delle scoperte dell’umano ingegno, e non ha lasciato mancare la giusta estimazione”. In ogni caso, dinanzi ai tanti errori che si fanno, la Chiesa “preferisce oggi la medicina della misericordia”.

La gente di Roma corse ad ascoltare e ad applaudire il Papa in piazza San Pietro, e ad essa egli parlò con giovialità “a braccio”, ammirando la bella luna che splendeva sulla città, quasi a mostrare la gioia anche del Cielo. E terminò quel suo saluto con la celebre “carezza” da portare a tutti i bambini.

La “Pacem in terris”

Altro fatto da ricordare si ebbe con la pubblicazione dell’altra sua mirabile enciclica, Pacem in terris, l’11 aprile 1963, che fu il suo testamento sociale e religioso. Fu definita come la “Nona Sinfonia della pace”, paragonando alle cinque parti dell’opera di Beethoven (i quattro movimenti più il coro finale) i cinque temi portanti dell’enciclica: la pace universale fondata sui diritti e i doveri della persona umana; lo Stato di diritto come garanzia di pace all’interno d’ogni comunità politica; una pace duratura basata sui quattro pilastri della verità, della giustizia, della solidarietà, della libertà; una garanzia di vera pace in un efficace governo mondiale della grande famiglia umana; un dialogo sincero e fecondo tra tutti come radice e salvaguardia della pace, distinguendo sempre tra errore ed errante, e facendo leva su ciò che unisce, non su ciò che divide.

Ricordiamo tutti il tragico contesto in cui l’enciclica nacque: era in atto una vera guerra fredda, cioè la crisi per i missili russi a Cuba. Nel marzo 1963 Papa Giovanni aveva concesso un’udienza ad A. Ajubej, genero di Kruschëv, che valse anche ad ammorbidire i rapporti tra Chiesa cattolica perseguitata e dittatura comunista (quanti credenti e quanti sacerdoti e vescovi, martiri dell’età moderna, languivano nelle carceri della Russia e dei Paesi satelliti!). Questo fatto creò le premesse per un forte rilancio del tema della pace, parlando sia dei diritti che dei doveri delle singole persone, e delle comunità politiche anche a livello mondiale, secondo il principio di sussidiarietà. In quel contesto Giovanni XXIII ebbe parole di compiacimento anche per l’Organizzazione delle Nazioni Unite e la Dichiarazione universale dei diritti umani (del 10 dicembre 1948).

L’eredità spirituale

Era ormai vicina la conclusione della sua vita terrena. Il Papa di transizione, che aveva 82 anni, fu aggredito da un tumore maligno che provocò una lunga agonia, vissuta momento per momento dalla gente che seguiva direttamente l’evolversi della situazione in piazza San Pietro attraverso i mass media. Il “Papa buono” morì il 3 giugno 1963 con grande rimpianto di tutti, credenti e non credenti, cattolici e di altre confessioni religiose.

Aveva scritto nel suo Giornale dell’anima: “La senescenza, che è pure grande dono del Signore, deve essere per me motivo di silenziosa gioia interiore e di quotidiano abbandono nel Signore stesso, al quale mi tengo rivolto come un bambino verso le braccia aperte del padre. La mia umile e ormai lunga vita si è sviluppata come un gomitolo nel segno della semplicità e della purezza. Nulla mi costa il riconoscere e il ripetere che io sono e non valgo un bel niente! Il Signore mi ha fatto nascere da povera gente e ha pensato a tutto: io l’ho lasciato fare. Da giovane sacerdote mi ha colpito l’oboedientia et pax del padre Cesare Baronio, con la testa chinata al bacio sul piede della statua di san Pietro. E ho lasciato fare, e mi sono lasciato condurre, in perfetta conformità alle disposizioni della Provvidenza” (par. 897-898).

Ora per volontà di Papa Francesco sarà proclamato santo insieme a Giovanni Paolo II: due fiaccole d’amore nell’attuale “inequità”, come la chiama Papa Francesco, qualificandola come “la radice dei mali sociali” (Evangelii gaudium, n. 202). E anzi, “finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, come l’ha chiamata anche Papa Benedetto XVI, non si risolveranno i problemi del mondo, e in definitiva non si risolverà nessun problema”.

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“Niente ideologia solo qualità della vita cristiana” https://www.lavoce.it/niente-ideologia-solo-qualita-della-vita-cristiana/ Mon, 10 Mar 2014 15:35:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23466 Roma,-16-febbraio--visita-pastorale-di-Papa-Francesco-alla-parrocchia-“San-Tommaso-Apostolo”-all’Infernetto,-nel-settore-sud-della-diocesi-di-Roma-scampio-berrette-tra-papa-francesco-e-ragazzoFrancesco, “il riformatore”. Mentre si chiude il primo anno di pontificato di Papa Bergoglio, tante sono le riflessioni sulla “ventata di novità” portata nella Chiesa universale dal primo Pontefice latinoamericano. Il tutto viene condensato in una parola: riforma. Un termine “inscindibile dalla storia della Chiesa”, sottolinea Massimo Faggioli, docente di storia del cristianesimo alla University of St. Thomas a Minneapolis / St. Paul (Usa). Dagli Stati Uniti, in cui vive e insegna, lo storico ci offre una lettura a tutto tondo del “percorso nuovo e diverso” aperto dall’elezione di Papa Francesco.

La parola riforma è ritornata spesso nella storia della Chiesa. Quale impatto ha avuto nel corso dei secoli?

“La parola riforma è inscindibile dalla storia del cristianesimo – e questo dice molto del significato della frequenza della parola ‘riforme’ nel lessico politico contemporaneo. Fin da subito, prima del Medioevo, si ha la sensazione della necessità del ritorno a una ‘forma’ originale che è andata perdendosi nella storia. In questo senso, la storia del cristianesimo e della Chiesa cattolica, in particolare, è una storia di riforme (quella di Gregorio VII del secolo XI, quelle dei nuovi ordini religiosi medievali, quella del Concilio di Trento, del Vaticano II) ma anche di riforme mancate (quelle che portarono alla Riforma protestante e alla rottura dell’unità del cristianesimo in Occidente). Di qui l’importanza del momento attuale: comprendere quali riforme sono necessarie, nella Chiesa di oggi, al fine di evitare di parlare tra qualche decennio di ‘mancate riforme’”.

A un anno dall’elezione, Papa Francesco viene annoverato dall’opinione pubblica, ma non solo, tra le grandi figure riformatrici del passato. Quali analogie e quali differenze? E cosa spinge a una tale lettura?

“Le differenze sono principalmente nel carattere globale e universale della Chiesa cattolica di oggi rispetto ai secoli precedenti, ma anche solo rispetto a 50 anni fa. In questo c’è una differenza anche rispetto a Giovanni XXIII del Vaticano II. Ma vi sono pure analogie, nel senso che Francesco è una figura che come Roncalli, nel solco della tradizione, la reinterpreta in un modo che cattura l’attenzione di tutti perché parla della qualità della vita cristiana come bussola della riforma e mette da parte ogni tentazione d’ideologizzazione della riforma”.

Sono trascorsi cinque secoli dal “Libellus ad Leonem X” (1513) con cui veniva suggerito al Papa un programma di riforma radicale. Ora è lo stesso Pontefice a istituire un Consiglio di cardinali per “aiutare il Santo Padre nel governo della Chiesa” e per “studiare un progetto” di riforma. Corsi e ricorsi storici?

“I due momenti sono simili. Vi è la sensazione, oggi come all’inizio del Cinquecento, che la Chiesa sia in ritardo: nel Cinquecento rispetto alla cultura umanistica e delle lettere e all’idea della necessità di una credibilità morale personale; oggi è un ritardo della Chiesa nell’accettare, nel suo magistero, una certa idea di evoluzione della persona umana che è avvenuta nella cultura dell’ultimo mezzo secolo. Ancora più grave è la questione istituzionale. Oggi la Chiesa è ancora molto clericale: meno di 50 anni fa, ma ancora molto più del necessario. Infine, la Chiesa di oggi è diversa da quella del ‘Libellus’ del 1513 anche perché non è più dominata da alcune élite, ma è molto più ‘popolare’ nel senso di élite aperte al ricambio – più di una volta – e molto più trasparente e sotto il giudizio impietoso dei media”.

“Ecclesia semper reformanda”, recita uno slogan protestante; “Ecclesia semper purificanda”, afferma il Vaticano II in “Lumen gentium” (8): due affermazioni che sembrano intrecciarsi guardando all’anno appena trascorso.

“Riforma e purificazione devono andare sempre insieme: altrimenti la prima è soltanto una riorganizzazione burocratica e la seconda soltanto una spiritualizzazione dei problemi che non incide sulle pratiche comunitarie e collettive. A guardare alla Chiesa degli ultimi anni, specialmente nell’anno prima del Conclave del 2013, il rischio è stato quello di procedere a un’opera di pulizia – o a una semplice ‘operazione di polizia’ – che lasciasse intatte le mentalità e la coscienza della Chiesa stessa. Ma l’elezione di Papa Francesco ha aperto un percorso nuovo e diverso”.

Un percorso di conversione che va oltre le strutture e interpella ciascun credente?

“In realtà è sempre stato così, anche con Gregorio VII alla fine del secolo XI: ogni percorso di riforma istituzionale attecchisce solo se si collega a un cambiamento delle mentalità e dei costumi. La differenza è che oggi quello che fa il Papa è sotto gli occhi, sotto il controllo di tutti, diversamente da prima, soltanto qualche decennio fa. In questo senso il processo di riforma della Chiesa oggi è più ‘papalista’ di una volta, e questo è un rischio, nel senso di una Chiesa che ha sempre più bisogno del Papa: ma il Papa ha detto che non è questo che vuole…”.

In definitiva, cosa chiede Papa Francesco?

“Poveri, misericordia e periferie sono le parole chiave del Pontificato. Come ho detto nel mio libro ‘Papa Francesco e la chiesa-mondo’ (Armando Editore, 2014), queste parole chiave aprono non solo un periodo di riforma nella Chiesa, ma anche un’epoca storica nuova per il cattolicesimo: il primo Papa di una Chiesa cattolica veramente globale non solo dal punto di vista dei recettori del messaggio, ma anche da quello di coloro che il messaggio lo inviano. Sotto Papa Francesco vediamo a un interessantissimo cambiamento del rapporto tra urbs e orbis nella Chiesa cattolica”.

Vincenzo Corrado

 

Biografia: Massimo Faggioli

Ferrarese classe 1970, è professore di storia del cristianesimo alla University of St. Thomas a Minneapolis / St. Paul. Ha studiato a Bologna, Torino e Tubinga. Vive in America con Sarah e la loro figlia Laura dal 2008. Tra le sue pubblicazioni, Breve storia dei movimenti cattolici (Roma: Carocci 2008, traduzione spagnola 2011 e americana 2014); Vatican II: The Battle for Meaning (New York: Paulist 2012, traduzioni italiana e portoghese 2013); Vera riforma. Liturgia ed ecclesiologia al Vaticano II (EDB: Bologna 2013; ed. or. americana 2012).

 

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Conclusione dell’Anno della fede. Intervista a mons. Vecchi https://www.lavoce.it/conclusione-dellanno-della-fede-intervista-a-mons-vecchi/ Wed, 13 Nov 2013 21:34:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20624 Mons. Vecchi durante le celebrazioni per San Giovenale
Mons. Vecchi durante le celebrazioni per San Giovenale

A conclusione dell’Anno della fede, che sarà celebrata in diocesi sabato 23 novembre nella cattedrale di Terni, approfondiamo con mons. Ernesto Vecchi gli aspetti di questo cammino di fede che ha portato a un rinnovato incontro con Cristo.

Mons. Vecchi, lei in questi mesi ha ricordato la necessità di “ripartire da Cristo” come ha anche più volte esortato Papa Francesco. Che cosa significa?

“In primo luogo, avere familiarità con Lui. Per avere confidenza con Cristo bisogna credere che Lui è una realtà, non un’ipotesi, un mito, un simbolo religioso. Cristo è una realtà viva, umanamente viva, che respira, palpita, gioisce, contempla, ama; non è un personaggio storico mummificato nei libri. Cristo è una realtà operante: non è tagliata fuori dalla nostra esistenza e dal nostro mondo, ma è il principio della vita e della sussistenza di tutti. Poi, come dice Papa Francesco, significa imitare il Cristo: uscire da sé per andare incontro agli altri. E infine, non avere paura di andare con Lui nelle periferie per annunciare il Vangelo di sempre, che non cambia, perché ‘Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre’.

Non dobbiamo avere paura di uscire dai nostri schemi, perché lo Spirito di Gesù ci rende creativi; ma per essere tali bisogna saper cambiare, in modo da adeguarsi alle circostanze”.

Un nuovo slancio anche nell’evangelizzazione, dunque.

“Le comunità, quando si chiudono, si ammalano; mentre se vanno in missione per le strade, verso le periferie, rimangono vive. Ciascuno di noi, mediante il battesimo, confermato con la cresima, partecipa al mistero pasquale di Cristo e ne è testimone nel mondo. Nella croce Gesù ci presenta il suo altare, sul quale anche noi poniamo i nostri sacrifici personali, e con la sua risurrezione ci rende partecipi della gioia piena, riservata a quanti lo seguono, senza se e senza ma”.

Ripartire da Cristo è il fulcro della Nota pastorale che sta preparando e che sarà consegnata alla comunità diocesana nel periodo di Avvento. Quali sono le principali indicazioni per la diocesi di Terni – Narni – Amelia?

“La sacramentalità della Chiesa che ‘è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano’ (Lumen gentium, 1). Se Cristo è il sacramento primordiale, la Chiesa in Cristo è sacramento universale. Nella Chiesa, il segno della sua sacramentalità è composto da un organismo formato da una molteplicità di persone, unite dal vincolo della comunione trinitaria e interpersonale, secondo carismi diversi, nell’unica missione dentro la storia. Pertanto, quando la comunione vacilla, il segno sacramentale della Chiesa viene oscurato.

La sacramentalità della Chiesa è il filo conduttore di tutta la programmazione pastorale. Questa sacramentalità si manifesta visibilmente non solo nelle sue espressioni cultuali, ma anche attraverso la vasta gamma di azioni pastorali connesse con le funzioni fondamentali della Chiesa (Parola, liturgia, carità pastorale), radicate nel dinamismo della Trinità e alimentate dall’eucaristia. Ne consegue che il compito dell’azione pastorale consiste nel cercare la via migliore e percorribile, per edificare la Chiesa come un ‘segno’ che esprime la varietà e la molteplicità dei doni, attorno al vescovo: condizione indispensabile per la comunione ecclesiale.

La comunione, poi, per essere piena deve esprimersi in senso sincronico, cioè nei confronti della molteplicità dei soggetti viventi e operanti nell’oggi della Chiesa, ma anche in senso diacronico, cioè lungo l’asse della storia: dobbiamo sentirci parte consapevole di una tradizione ecclesiale che ci ha generati e ci ha consegnato in eredità un tesoro di santità, di unità, di cultura e di solidarietà”.

Quali le aspettative verso cui orientare l’azione pastorale diocesana?

“Di fronte alle sfide della post-modernità, l’aspettativa principale è quella della testimonianza di comunione eucaristica della comunità cristiana, attorno al vescovo e al suo presbiterio, che deve essere sempre più consolidata. Essa ci aiuta a recuperare una persuasione che ha sempre accompagnato il cammino della Chiesa, nelle alterne vicende della sua storia: l’aver ricevuto nell’eucaristia il codice genetico della sua identità e l’inesauribile sorgente delle sue potenzialità, cioè un dono pieno ed esclusivo che la pone di fronte al mondo come sacramento universale di salvezza (Lumen gentium, 48)”.

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Donna del Mistero https://www.lavoce.it/donna-del-mistero/ Thu, 24 Oct 2013 13:19:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20267 “Cristo e la Madonna in casa a Nazareth” di Zurbaràn (1635-40)
“Cristo e la Madonna in casa a Nazareth” di Zurbaràn (1635-40)

All’udienza generale di mercoledì Papa Francesco ha portato avanti la sua catechesi sulla Chiesa riagganciandosi al tema “Maria come immagine e modello della Chiesa”. “Lo faccio – ha precisato – riprendendo un’espressione del Concilio Vaticano II. Dice la Costituzione Lumen gentium: ‘La Madre di Dio è figura della Chiesa nell’ordine della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo’ (n. 63)”.

“In che senso – ha chiesto il Papa – Maria rappresenta un modello per la fede della Chiesa? Pensiamo a chi era la Vergine Maria: una ragazza ebrea, che aspettava con tutto il cuore la redenzione del suo popolo. Ma in quel cuore di giovane figlia d’Israele c’era un segreto che lei stessa ancora non conosceva: nel disegno d’amore di Dio, era destinata a diventare la madre del Redentore”. E lei “come ha vissuto questa fede? L’ha vissuta nella semplicità delle mille occupazioni e preoccupazioni quotidiane di ogni mamma, come provvedere il cibo, il vestito, la cura della casa… Proprio questa esistenza normale della Madonna fu il terreno dove si svolse un rapporto singolare e un dialogo profondo tra lei e Dio, tra lei e il suo Figlio. Il ‘sì’ di Maria, già perfetto all’inizio, è cresciuto fino all’ora della croce. E lì la sua maternità si è dilatata abbracciando ognuno di noi, la nostra vita, per guidarci al suo Figlio”.

“Maria – ha detto ancora Bergoglio – è vissuta sempre immersa nel mistero di Dio fatto uomo, come sua prima e perfetta discepola, meditando ogni cosa nel suo cuore alla luce dello Spirito santo, per comprendere e mettere in pratica tutta la volontà di Dio. Noi possiamo farci una domanda: ci lasciamo illuminare dalla fede di Maria, che è Madre nostra? Oppure la pensiamo lontana, troppo diversa da noi? Nei momenti di difficoltà, di prova, di buio, guardiamo a lei come modello di fiducia in Dio, che vuole sempre e soltanto il nostro bene? Pensiamo a questo. Forse ci farà bene ritrovare Maria come modello e figura della Chiesa in questa fede che lei aveva”.

Il secondo aspetto riguarda Maria come modello di carità. “Pensiamo alla sua disponibilità nei confronti della parente Elisabetta. Visitandola, la Vergine Maria non le ha portato soltanto un aiuto materiale; anche questo, ma ha portato Gesù, che già viveva nel suo grembo. Portare Gesù in quella casa voleva dire portare la gioia, la gioia piena. Elisabetta e Zaccaria erano felici per la gravidanza che sembrava impossibile alla loro età, ma è la giovane Maria che porta loro la gioia piena, quella che viene da Gesù e dallo Spirito santo e si esprime nella carità gratuita, nel condividere, nell’aiutarsi, nel comprendersi”.

“Così la Chiesa: è come Maria. La Chiesa non è un negozio, la Chiesa non è un’agenzia umanitaria, la Chiesa non è una Ong, la Chiesa è mandata a portare a tutti Cristo e il suo Vangelo. Questa è la Chiesa: non porta se stessa, se è piccola, se è grande, se è forte, se è debole, ma la Chiesa porta Gesù. E la Chiesa deve essere come Maria, quando è andata a fare la visita ad Elisabetta. Cosa portava Maria? Gesù! E questo è il centro della Chiesa: portare Gesù. Se (per ipotesi) succedesse che la Chiesa non portasse Gesù, quella sarebbe una Chiesa morta”.

“E noi che siamo la Chiesa – ha aggiunto il Papa – ognuno di noi, qual è l’amore che portiamo agli altri? È l’amore di Gesù, che condivide, che perdona, che accompagna, o è un amore troppo ‘allungato’? Come quando si allunga il vino tanto che sembra acqua. È così il nostro amore? È un amore forte, o tanto debole che segue le simpatie, che cerca il contraccambio? Un amore interessato”.

Infine, “Maria è modello di unione con Cristo. La vita della Vergine è stata la vita di una donna del suo popolo: Maria pregava, lavorava, andava alla sinagoga… Però ogni azione era compiuta sempre in unione perfetta con Gesù. Questa unione raggiunge il culmine sul Calvario: qui Maria si unisce al Figlio nel martirio del cuore e nell’offerta della vita al Padre per la salvezza dell’umanità. La Madonna ha fatto proprio il dolore del Figlio e ha accettato con lui la volontà del Padre, in quella obbedienza che porta frutto, che dona la vera vittoria sul male e sulla morte”.

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Una fede ‘costruttiva’ https://www.lavoce.it/una-fede-costruttiva/ Thu, 27 Jun 2013 13:28:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=17691 Giotto, Il sogno di Innocenzo III, 1290-95, affresco, Assisi, Basilica superiore di San Francesco
Giotto, Il sogno di Innocenzo III, 1290-95, affresco, Assisi, Basilica superiore di San Francesco

Proseguono le catechesi di Papa Francesco sul tema della Chiesa in occasione delle udienze generali del mercoledì. I testi completi si possono trovare sul sito www.vatican.va. “Oggi – ha detto il 26 giugno – vorrei fare un breve cenno a un’ulteriore immagine che ci aiuta a illustrare il mistero della Chiesa: quella del tempio (cfr Lumen gentium, 6)”.

“Che cosa ci fa pensare la parola tempio? – si è chiesto. – Ci fa pensare a un edificio, a una costruzione” come il tempio di Gerusalemme. E “ciò che era prefigurato nell’antico tempio, è realizzato, dalla potenza dello Spirito santo, nella Chiesa: la Chiesa è la ‘casa di Dio’, il luogo della Sua presenza, dove possiamo trovare e incontrare il Signore; la Chiesa è il Tempio in cui abita lo Spirito santo che la anima, la guida e la sorregge.

Se ci chiediamo: dove possiamo incontrare Dio? Dove possiamo entrare in comunione con Lui attraverso Cristo? Dove possiamo trovare la luce dello Spirito santo che illumini la nostra vita? La risposta è: nel popolo di Dio, fra noi, che siamo Chiesa”.

“L’antico Tempio – ha aggiunto il Papa – era edificato dalle mani degli uomini… Con l’incarnazione del Figlio di Dio, si compie la profezia di Natan al re Davide (2Sam 7,1-29): non è il re, non siamo noi a dare una casa a Dio, ma è Dio stesso che costruisce la Sua casa per venire ad abitare in mezzo a noi, come scrive san Giovanni nel suo Vangelo (1,14). Cristo è il Tempio vivente del Padre, e Cristo stesso edifica la sua casa spirituale, la Chiesa, fatta non di pietre materiali, ma di ‘pietre viventi’, che siamo noi”.

Francesco ha quindi citato san Paolo che “dice ai cristiani di Efeso: voi siete edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo del Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito (Ef 2,20-22). Questa è una cosa bella! Noi siamo le pietre vive dell’edificio di Dio, unite profondamente a Cristo, che è la pietra di sostegno, e anche di sostegno tra noi. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che il tempio siamo noi, noi siamo la Chiesa vivente, il tempio vivente. E quando siamo insieme tra di noi, c’è anche lo Spirito santo, che ci aiuta a crescere come Chiesa. Noi non siamo isolati, ma siamo popolo di Dio: questa è la Chiesa!

Ed è lo Spirito santo, con i suoi doni, che disegna la varietà. Questo è importante: cosa fa lo Spirito santo fra noi? Egli disegna la varietà che è la ricchezza nella Chiesa e unisce tutto e tutti, così da costituire un tempio spirituale, in cui non offriamo sacrifici materiali, ma noi stessi, la nostra vita (cfr. 1Pt 2,4-5)”.

“La Chiesa – ha sottolineato il Papa – non è un intreccio di cose e di interessi, ma è il tempio dello Spirito santo… il tempio in cui ognuno di noi con il dono del battesimo è pietra viva. Questo ci dice che nessuno è inutile nella Chiesa, e se qualcuno a volte dice a un altro: ‘Vai a casa, tu sei inutile’, questo non è vero, perché nessuno è inutile nella Chiesa, tutti siamo necessari per costruire questo tempio! Nessuno è secondario. Nessuno è il più importante nella Chiesa, tutti siamo uguali agli occhi di Dio.

Qualcuno di voi potrebbe dire: ‘Senta, signor Papa, lei non è uguale a noi’. Sì, sono come ognuno di voi, tutti siamo uguali, siamo fratelli! Nessuno è anonimo: tutti formiamo e costruiamo la Chiesa. Questo ci invita anche a riflettere sul fatto che, se manca il mattone della nostra vita cristiana, manca qualcosa alla bellezza della Chiesa. Alcuni dicono: ‘Io con la Chiesa non c’entro’, ma così salta il mattone di una vita in questo bel tempio. Nessuno può andarsene, tutti dobbiamo portare alla Chiesa la nostra vita, il nostro cuore, il nostro amore, il nostro pensiero, il nostro lavoro: tutti insieme”.

E ha concluso: “Vorrei che ci domandassimo: come viviamo il nostro essere Chiesa? Siamo pietre vive o siamo, per così dire, pietre stanche, annoiate, indifferenti? Avete visto quanto è brutto vedere un cristiano stanco, annoiato, indifferente? Un cristiano così non va bene, il cristiano deve essere vivo, gioioso di essere cristiano. Deve vivere questa bellezza di far parte del popolo di Dio che è la Chiesa. Ci apriamo, noi, all’azione dello Spirito santo per essere parte attiva nelle nostre comunità, o ci chiudiamo in noi stessi, dicendo: Ho tante cose da fare, non è compito mio?”.

Il Tempio nella Bibbia

Parlando del tempio – ha detto Papa Francesco – la mente va “alla storia del popolo di Israele narrata nell’Antico Testamento. A Gerusalemme, il grande tempio di Salomone era il luogo dell’incontro con Dio nella preghiera. All’interno del Tempio c’era l’Arca dell’alleanza, segno della presenza di Dio in mezzo al popolo; e nell’Arca c’erano le tavole della Legge, la manna e la verga di Aronne: un richiamo al fatto che Dio era stato sempre dentro la storia del Suo popolo, ne aveva accompagnato il cammino, ne aveva guidato i passi. Il Tempio ricorda questa storia: anche noi, quando andiamo al tempio, dobbiamo ricordare questa storia, ciascuno di noi la nostra storia, come Gesù mi ha incontrato, come Gesù ha camminato con me, come Gesù mi ama e mi benedice”.

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Siamo vivi se uniti a Cristo https://www.lavoce.it/siamo-vivi-se-uniti-a-cristo/ Thu, 20 Jun 2013 15:16:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=17528 Gmg-croce“Cari fratelli e sorelle – ha detto Papa Francesco all’udienza generale del 19 giugno -, oggi mi soffermo su un’altra espressione con cui il Concilio Vaticano II indica la natura della Chiesa: quella del corpo. Il Concilio dice che la Chiesa è Corpo di Cristo (Lumen gentium, 7)”. Di seguito, il suo discorso viene riportato quasi per intero; il testo integrale lo si può trovare su www.vatican.va.

“L’immagine del corpo – ha sottolineato il Papa – ci aiuta a capire questo profondo legame Chiesa/Cristo, che san Paolo ha sviluppato in modo particolare nella Prima lettera ai Corinzi (cap. 12). Anzitutto il corpo ci richiama ad una realtà viva. La Chiesa non è un’associazione assistenziale, culturale o politica, ma è un corpo vivente, che cammina e agisce nella storia. E questo corpo ha un capo, Gesù, che lo guida, lo nutre e lo sorregge.

Questo è un punto che vorrei sottolineare: se si separa il capo dal resto del corpo, l’intera persona non può sopravvivere. Così è nella Chiesa: dobbiamo rimanere legati in modo sempre più intenso a Gesù. Ma non solo questo: come in un corpo è importante che passi la linfa vitale perché viva, così dobbiamo permettere che Gesù operi in noi, che la sua Parola ci guidi, che la sua presenza eucaristica ci nutra, ci animi, che il suo amore dia forza al nostro amare il prossimo. E questo sempre! Sempre, sempre!

Cari fratelli e sorelle, rimaniamo uniti a Gesù, fidiamoci di lui, orientiamo la nostra vita secondo il suo Vangelo, alimentiamoci con la preghiera quotidiana, l’ascolto della Parola di Dio, la partecipazione ai sacramenti”.

“E qui – ha proseguito – vengo ad un secondo aspetto della Chiesa come Corpo di Cristo. San Paolo afferma che come le membra del corpo umano, pur differenti e numerose, formano un solo corpo, così tutti noi siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo Corpo (1Cor 12,12-13). Nella Chiesa quindi, c’è una varietà, una diversità di compiti e di funzioni; non c’è la piatta uniformità, ma la ricchezza dei doni che distribuisce lo Spirito santo. Però c’è la comunione e l’unità: tutti sono in relazione gli uni con gli altri e tutti concorrono a formare un unico Corpo vitale, profondamente legato a Cristo.

Ricordiamolo bene: essere parte della Chiesa vuol dire essere uniti a Cristo e ricevere da lui la vita divina che ci fa vivere come cristiani. Vuol dire rimanere uniti al Papa e ai vescovi, che sono strumenti di unità e di comunione. E vuol dire anche imparare a superare personalismi e divisioni, a comprendersi maggiormente, ad armonizzare le varietà e le ricchezze di ciascuno; in una parola, a voler più bene a Dio e alle persone che ci sono accanto, in famiglia, in parrocchia, nelle associazioni.

Corpo e membra per vivere devono essere uniti! L’unità è superiore ai conflitti, sempre! I conflitti, se non si sciolgono bene, ci separano tra di noi, ci separano da Dio. Il conflitto può aiutarci a crescere, ma anche può dividerci. Non andiamo sulla strada delle divisioni, delle lotte fra noi! Tutti uniti, tutti uniti con le nostre differenze, ma uniti, sempre: questa è la strada di Gesù. L’unità è superiore ai conflitti. L’unità è una grazia che dobbiamo chiedere al Signore perché ci liberi dalle tentazioni della divisione, delle lotte tra noi, degli egoismi, delle chiacchiere. Quanto male fanno le chiacchiere, quanto male! Mai chiacchierare degli altri, mai! Quanto danno arrecano alla Chiesa le divisioni tra i cristiani, l’essere di parte, gli interessi meschini!”.

“Le divisioni tra noi – ha concluso il Papa -, ma anche le divisioni fra le comunità: cristiani evangelici, cristiani ortodossi, cristiani cattolici… ma perché divisi? Dobbiamo cercare di portare l’unità. Vi racconto una cosa: oggi, prima di uscire da casa, sono stato più o meno mezz’ora con un Pastore evangelico e abbiamo pregato insieme, e cercato l’unità. Ma dobbiamo pregare fra noi cattolici, e anche con gli altri cristiani, pregare perché il Signore ci doni l’unità, l’unità fra noi.

Ma come avremo l’unità fra i cristiani se non siamo capaci di averla tra noi cattolici? Di averla nella famiglia? Quante famiglie lottano e si dividono! Cercate l’unità, l’unità che fa la Chiesa. L’unità viene da Gesù Cristo. Lui ci invia lo Spirito santo per fare l’unità”.

Tre richieste in preghiera

“Cari fratelli e sorelle – ha concluso Francesco -, chiediamo a Dio: aiutaci ad essere membra del Corpo della Chiesa sempre profondamente unite a Cristo.

Aiutaci a non far soffrire il Corpo della Chiesa con i nostri conflitti, le nostre divisioni, i nostri egoismi.

Aiutaci a essere membra vive legate le une con le altre da un’unica forza, quella dell’amore, che lo Spirito santo riversa nei nostri cuori” (Lettera ai Romani 5,5).

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La guida alla Verità https://www.lavoce.it/la-guida-alla-verita/ Thu, 16 May 2013 14:51:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=16797 “Ecce Homo” di Antonio Ciseri
“Ecce Homo” di Antonio Ciseri

L’ultima udienza di Papa Francesco prima di Pentecoste – mercoledì 15 maggio – aveva per tema “l’azione che lo Spirito Santo compie nel guidare la Chiesa e ciascuno di noi alla Verità”.

“Viviamo in un’epoca – ha esordito il Vescovo di Roma – in cui si è piuttosto scettici nei confronti della verità. Benedetto XVI ha parlato molte volte di relativismo, della tendenza cioè a ritenere che non ci sia nulla di definitivo e a pensare che la verità venga data dal consenso o da quello che noi vogliamo. Sorge la domanda: esiste veramente la verità? Che cos’è la verità? Possiamo conoscerla? Possiamo trovarla? Qui mi viene in mente la domanda del procuratore romano Ponzio Pilato quando Gesù gli rivela il senso profondo della sua missione: ‘Che cos’è la verità?’ (Gv 18,37-38). Pilato non riesce a capire che la Verità è davanti a lui, non riesce a vedere in Gesù il volto della verità, che è il volto di Dio. Eppure, Gesù è proprio questo: la Verità, che nella pienezza dei tempi si è fatta carne, è venuta in mezzo a noi perché noi la conoscessimo. La verità non si afferra come una cosa, la verità si incontra. Non è un possesso, è un incontro con una Persona”.

Ma – si è chiesto – chi ci fa riconoscere che Gesù è la Parola di verità? “È proprio lo Spirito santo, il dono di Cristo risorto, che ci fa riconoscere la Verità. Gesù lo definisce il Paraclito, cioè colui che ci viene in aiuto, che è al nostro fianco per sostenerci in questo cammino di conoscenza. E durante l’Ultima Cena, Gesù assicura ai discepoli che lo Spirito santo insegnerà ogni cosa, ricordando loro le sue parole (Gv 14,26)”.

Qual è allora l’azione dello Spirito santo nella nostra vita e nella vita della Chiesa per guidarci alla verità? Anzitutto, ricorda e imprime nei cuori dei credenti le parole che Gesù ha detto e, proprio attraverso tali parole, la legge di Dio – come avevano annunciato i profeti dell’Antico Testamento – viene inscritta nel nostro cuore e diventa in noi principio di valutazione nelle scelte e di guida nelle azioni quotidiane, diventa principio di vita… Infatti, è dall’intimo di noi stessi che nascono le nostre azioni: è proprio il cuore che deve convertirsi a Dio, e lo Spirito santo lo trasforma se noi ci apriamo a Lui”.

Lo Spirito santo – ha proseguito Francesco -, poi, come promette Gesù, ci guida a tutta la verità (Gv 16,13). Ci guida non solo all’incontro con Gesù, pienezza della Verità, ma ci guida anche dentro la Verità, ci fa entrare cioè in una comunione sempre più profonda con Gesù, donandoci l’intelligenza delle cose di Dio. E questa non la possiamo raggiungere con le nostre forze. Se Dio non ci illumina interiormente, il nostro essere cristiani sarà superficiale. La Tradizione della Chiesa afferma che lo Spirito di verità agisce nel nostro cuore suscitando quel ‘senso della fede’ (sensus fidei) attraverso il quale, come afferma il Concilio Vaticano II, il popolo di Dio, sotto la guida del magistero, aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa, la approfondisce con retto giudizio e la applica più pienamente nella vita (cfr Lumen gentium, 12). Proviamo a chiederci: sono aperto all’azione dello Spirito santo, lo prego perché mi dia luce, mi renda più sensibile alle cose di Dio?”

Questa è una preghiera che dobbiamo fare tutti i giorni: ‘Spirito Santo fa’ che il mio cuore sia aperto alla Parola di Dio, che il mio cuore sia aperto al bene, che il mio cuore sia aperto alla bellezza di Dio tutti i giorni’. Vorrei fare una domanda a tutti: quanti di voi pregano ogni giorno lo Spirito santo? Saranno pochi, ma noi dobbiamo soddisfare questo desiderio di Gesù e pregare tutti i giorni lo Spirito santo, perché ci apra il cuore verso Gesù”.

“Pensiamo a Maria che ‘serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore’ (Lc 2,19.51). L’accoglienza delle parole e delle verità della fede perché diventino vita, si realizza e cresce sotto l’azione dello Spirito santo.

In questo senso occorre imparare da Maria, rivivere il suo ‘sì’, la sua disponibilità totale a ricevere il Figlio di Dio nella sua vita, che da quel momento è trasformata. Attraverso lo Spirito santo, il Padre e il Figlio prendono dimora presso di noi: noi viviamo in Dio e di Dio”.

Anno della fede

“In quest’Anno della fede – ha concluso il Papa – chiediamoci se concretamente abbiamo fatto qualche passo per conoscere di più Cristo e le verità della fede, leggendo e meditando la sacra Scrittura, studiando il Catechismo, accostandosi con costanza ai sacramenti. Ma chiediamoci contemporaneamente quali passi stiamo facendo perché la fede orienti tutta la nostra esistenza. Non si è cristiani ‘a tempo’, soltanto in alcuni momenti, in alcune circostanze, in alcune scelte. Non si può essere cristiani così, si è cristiani in ogni momento! Totalmente!… Invochiamo più spesso lo Spirito santo perché ci guidi sulla strada dei discepoli di Cristo. Invochiamolo tutti i giorni. Vi faccio questa proposta: invochiamo tutti i giorni lo Spirito santo, così lo Spirito santo ci avvicinerà a Gesù Cristo”.

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L’Oggi del Concilio. Adulti: invito a scoprire il senso autentico del laicato impegnato https://www.lavoce.it/adulti-invito-a-scoprire-il-senso-autentico-del-laicato-impegnato/ Thu, 02 May 2013 13:20:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=16518 Tra le novità più importanti portate dal Concilio c’è la piena rivalutazione della missione dei laici nella vita della Chiesa. Radicato sul sacerdozio comune di tutti i battezzati, il nuovo protagonismo laicale impegna a tutto tondo, dalla collaborazione nel ministero dell’evangelizzazione (pensiamo al ruolo ormai imprescindibile dei laici nella catechesi di tutte le fasce d’età), nella gestione delle Comunità parrocchiali e di base, fino alla testimonianza negli ambienti professionali dove si è primariamente chiamati a rendere ragione della speranza in Cristo Gesù. Testimoni credibili e operatori competenti: questa la sintesi sul ruolo del laicato. L’incontro, alla luce della Parola (1Cor 12,4-12) e in riferimento alla Lumen gentium n. 33, può essere utile per riflettere in che modo il laicato possa operare il Concilio nelle realtà territoriali della vita quotidiana, partendo da riflessioni comuni quali: essere “laico impegnato” non equivale a fare il “mezzo prete”. Talvolta molti laici vorrebbero sostituirsi ai sacerdoti e ai religiosi in compiti che sono di loro pertinenza. Domanda: realizzi, insieme ai tuoi compagni di comunità, che l’ambito prioritario della testimonianza laicale è quello del lavoro e della famiglia (testimoni credibili e operatori competenti)?

(Per scaricare la traccia per l’attività vai alla pagina L’Oggi del Concilio)

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Come cambia la fede nel mondo post-moderno? https://www.lavoce.it/come-cambia-la-fede-nel-mondo-post-moderno/ Thu, 02 May 2013 10:08:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=16444 relatori-castello“Cosa cambia e cosa sta cambiando, che senso ha la parola cambiamento riferita alla Chiesa, e quanto è cambiato a partire dal Concilio Vaticano II? La fede è cambiata? Cosa significa credere nel post-moderno, in una società liquida, dove regna la mutevolezza?”. Con questi interrogativi don Romano Piccinelli, preside dell’Istituto teologico di Assisi e direttore della Scuola diocesana di teologia “Cesare Pagani”, ha introdotto l’incontro conclusivo del 2013 della stessa Scuola di teologia tifernate.

L’appuntamento, intitolato “Essere Chiesa oggi, che cosa è cambiato?”, si è aperto con l’introduzione del vescovo mons. Domenico Cancian. Di seguito il microfono è passato a Francesco Testaferri, docente di Teologia fondamentale nell’Istituto teologico di Assisi.

Testaferri ha esordito proponendo un’analisi dell’attuale società “liquida”, in contrapposizione a quella solida, omogenea e ben strutturata che l’ha preceduta. “Avere fede in passato significava muoversi in un orizzonte di certezze: la fede era una certezza e si basava su alcune competenze, anche esteriori, come conoscere a menadito il catechismo o partecipare in modo ineccepibile al rito, assolvendo a pratiche e preconcetti che rientravano nello standard del cristiano”.

“Noi oggi – ha proseguito – siamo invitati a rileggere la fede in prospettiva biblica, riconfigurandola partendo da un diverso modello e considerandola non più come certezza ma come avventura. Non dobbiamo abbandonare il deposito accumulato precedentemente, ma dobbiamo transitare da un paradigma di fede basato sulla conoscenza a uno basato sul Mistero. Non c’è da inventare una fede nuova, ma una fede differente, in cui noi cristiani dimostriamo di non sapere tutto, e che esiste una Realtà più grande di noi, che a volte può anche sfuggirci. Bisogna superare il vicolo cieco di una fede nozionistica, con il coraggio, però, di esporci al Mistero”.

“La crisi della cristianità – ha poi affermato, parlando dell’attuale situazione del cristianesimo nella società – può significare una risurrezione per il cristianesimo. Non dobbiamo aver paura di veder crollare i modelli precostituiti; che questi modelli battano la fiacca è un fenomeno che va di pari passo con la crisi della cristianità. Il fallimento di certi tipi di strutture è il segno dei tempi. Oggi la Chiesa, riconfigurando la propria identità, è chiamata a una conversione: riconfigurare il suo ruolo sociale e la sua incidenza politica, ed è invitata a cogliere la provocazione del Vangelo di riaprire le porte al mondo e agli altri”.

“La Chiesa – ha poi proseguito Simona Segoloni, docente di teologia dogmatica all’Istituto teologico di Assisi – deve guardare al contesto contemporaneo come ad un’opportunità, e questo è un atteggiamento squisitamente post-Concilio Vaticano II. I Padri conciliari hanno inteso aprire la Chiesa dal suo secolare isolamento e permetterle di essere se stessa nel mondo contemporaneo, per svolgere il compito della evangelizzazione. Prima del Concilio, la Chiesa era al centro anche della fede. Per raggiungere la fede, infatti, era necessario passare per la Chiesa, che aveva una funzione di centralità. Dopo il Concilio, invece, come si legge anche nel primo paragrafo della Lumen gentium, è stato rimesso Cristo al centro della fede, mentre la Chiesa si è sbilanciata verso l’esterno: verso il dialogo e l’incontro”.

“La Chiesa – ha aggiunto – con il Concilio si è resa conto che ciò che le appartiene è custodire l’evento di Gesù, affinché tutti gli uomini possano riscoprirlo. Al cuore della questione c’è il vivere il Vangelo, il quale va messo al centro, per testimoniarlo”.

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Tanto rumor per nulla? https://www.lavoce.it/tanto-rumor-per-nulla-2/ Thu, 18 Apr 2013 13:03:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=16286 DON ANGELO fanucciCinquanta anni fa, 19 aprile 1963, il Concilio era fermo. Sembrava fermo. La prima della sue quattro sessioni si era svolta tra la 31a e la 36a Congregazione generale (1-7 dicembre 1962). Poi lo stop. Ma prima i 76 interventi in aula, poi 372 desiderata arrivati per posta ne avevano fatto una sessione al calor bianco. E così si era resa necessaria una lunga Intersessione (8 dicembre 1962 – 29 settembre 1963), nel corso della quale il documento elaborato prima dell’inizio della grande assemblea della Commissione teologica preparatoria del card. Ottaviani venne relegato tra le cianfrusaglie ad opera della Commissione teologica conciliare, presieduta anch’essa dal card. Ottaviani (un sant’uomo che per l’occasione dovette soffrire – ahilui! – le paturnie degli uomini che santi non sono), ma composta non più da teologi d’accatto della stremata Scuola teologica romana e da mediocri quaresimalisti, bensì da 9 membri di nomina pontificia e da 16 membri eletti dai Padri conciliari. La Commissione teologica conciliare elaborò uno schema totalmente nuovo, che costituisce la sostanza della prima delle quattro Costituzioni conciliari, la Lumen gentium; la quale per la morte di Papa Giovanni (3 giugno 1963) poté essere approvata solo sotto Paolo VI nella II sessione del Concilio, il 29 novembre di quell’anno, praticamente all’unanimità: 2.115 voti favorevoli e solo 5 contrari. Forti dei dati materiali del calendario, non mancano nemmeno oggi i ‘belli spiriti’ che sostengono che “Papa Giovanni non ha dato nulla al Concilio”. Nessun documento è uscito sotto la sua egida. “Tanto rumor per nulla”, cari “tifosi” del “Papa Buono”, buono e inconcludente! Gnaffe. Papa Giovanni, per bocca del suo segretario di Stato card. Tardini, dette il “la” al Concilio ben prima che il Concilio cominciasse: esso avrebbe avuto carattere, più che dogmatico, pratico; più che ideologico, pastorale; più che dare definizioni, darà norme. Un “Concilio pastorale”, tutti d’accordo, ma… improntato a quale pastorale? Ottaviani: la pastorale va centrata sulla lotta senza quartiere al comunismo e al laicismo. Ma i cardinali e i vescovi impegnati che stanno aggregandosi nel Segretariato per l’unione dei cristiani, istituito da Giovanni XXIII e presieduto da padre Bea, bocciano come fondamentaliste questa e altre posizioni della Curia. “Concilio pastorale” voleva dire che il Papa e la Curia dovevano mettersi in ascolto delle Conferenze episcopali nazionali, perché urgeva il recupero della collegialità nel governo della Chiesa; e voleva dire che il Papa e la Curia recuperassero innanzitutto l’ispirazione evangelica. Questo prima che il Concilio cominciasse. Il giorno che il Concilio cominciò sulle due posizioni antinomiche, piovve la grande omelia di apertura, la Gaudet mater Ecclesia. Come un placido acquazzone a ferragosto.

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Bassetti: “Mostriamo il volto amabile della Chiesa” https://www.lavoce.it/bassetti-mostriamo-il-volto-amabile-della-chiesa/ Thu, 21 Mar 2013 09:03:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=15705 Mons. Bassetti
Mons. Bassetti

Con la catechesi sulla Chiesa l’arcivescovo mons. Gualtiero Bassetti ha concluso le quattro catechesi proposte a tutta la diocesi per l’anno della fede, attraverso le quali ha voluto mettere a fuoco le fondamenta, i pilastri della fede cattolica.

Si è servito non di una fredda elencazione di principi dottrinali ma di testimoni che hanno segnato la sua vita personale.

Mons. Bassetti ha citato il cardinale Carlo Maria Martini che racconta dell’incontro con un gruppo di ragazzi che avevano studiato gli otto capitoli della Lumen Gentium del Concilio Vaticano II e che avevano sintetizzato in otto “Beatitudini della Chiesa”.

“Beata sei tu o Chiesa, perchè sei nostra, perchè sei popolo di Dio, perché sei gerarchia, per il tuo laicato, per la tua santità, per i tuoi religiosi e religiose, per il tuo destino eterno, per la tua madre Maria!”. A queste beatitudini, ha proseguito Bassetti, il Cardinale aggiungeva “Beata la Chiesa perché è povera dal momento che essa è tutta dono di Dio e di Cristo”.

Commentando il Credo in cui si afferma “credo la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica, ha citato il sacerdote e poeta fiorentino Davide Maria Turoldo, che Bassetti ha personalmente conosciuto giovane seminarista a Firenze, che ha efficacemente descritto la Chiesa come “il Cristo sparpagliato nel mondo”.

La Chiesa è santa “nonostante i peccati” ha detto mons. Bassetti che ha aggiunto “diciamo la verità, il moltiplicarsi dell’informazione intorno alla Chiesa non favorisce la nostra fiducia in lei, ma noi crediamo in una Chiesa dove c’è lo Spirito Santo”. Ha ricordato don Primo Mazzolari del quale oggi è in corso la causa di beatificazione, ma che fu contrastato dai suoi superiori che gli imposero di non scrivere più.

Mazzolari, ha detto mons. Bassetti, scriveva che “a volte vien voglia di lasciare la Chiesa ma poi cosa trovi? Invece di una ingiustiza ne trovi una moltitudine, ma nella Chiesa ho davanti a me il Vangelo e il volto misericordioso del Padre!”.

Sull’esempio dei santi, davanti alle difficoltà della vita mons. Bassetti ha invitato a “non essere profeti di sventura” ma a mostrare “il volto amabile della Chiesa” poiché “Cristo ama fin in fondo la Chiesa, perchè non dobbiamo amarla noi?”.

Tra i testimoni ha ricordato anche il nostro servo di Dio Vittorio Trancanelli, “animato dall’amore per Gesù e per la Chiesa”, nelle scelte della sua vita e nella decisione di costituire, insieme alla moglie e alcuni amici l’associazione “Alle querce di Mamre”.

Anche questa catechesi può essere riascoltata in pod cast su www.umbriaradio.it

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