Luigi Sturzo Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/luigi-sturzo/ Settimanale di informazione regionale Thu, 17 Jan 2019 13:00:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Luigi Sturzo Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/luigi-sturzo/ 32 32 Cento anni fa l’appello di don Luigi Sturzo ai “liberi e forti”. Ma a chi si rivolgeva? https://www.lavoce.it/don-luigi-sturzo-appello/ Fri, 18 Jan 2019 12:00:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53823 sturzo

Sono passati cento anni dal lancio dell’appello “ai liberi e forti” con cui don Sturzo diede il via all’esperienza del Partito popolare italiano. Era infatti il 18 gennaio 1919 quando quell’innovativo manifesto politico fu diffuso da Roma. Ed è un testo che, dopo un secolo, presenta ancora oggi spunti di straordinaria attualità.

Ne parliamo con il presidente dell’Istituto Luigi Sturzo, Nicola Antonetti, che è anche ordinario di Storia delle dottrine politiche all’Università di Parma.

Che cosa ha significato l’appello di don Sturzo per la storia dell’impegno politico dei cattolici italiani?

“Il manifesto ‘ai liberi e forti’ e più in generale l’avvio dell’esperienza del Partito popolare segnano l’inizio dell’impegno dei cattolici italiani nelle istituzioni apicali dello Stato. Una svolta importantissima. Fino a quel momento infatti, almeno formalmente, i cattolici erano del tutto estranei alla vita politica nazionale, potevano operare soltanto a livello amministrativo.

Ma questo per Sturzo limitava fortemente la possibilità di incidere nella trasformazione democratica dello Stato, che per lui era un obiettivo fondamentale. Mentre il pensiero prevalente in ambito cattolico aveva ancora una visione armonica della società, Sturzo aveva percepito che c’era un ‘dinamismo della lotta’ ineliminabile, e che questo doveva essere governato”.

Nell’appello si parla della necessità di un “reale equilibrio dei diritti nazionali con i supremi interessi internazionali”. Sembra una riflessione di questi mesi...

“Sturzo è sempre stato molto attento alle vicende internazionali, per tutta la vita. Quel riferimento molto lucido contenuto nell’appello va compreso anche alla luce di un fatto contingente: si era all’indomani della fine della guerra, i cattolici uscivano da un’immagine di neutralismo e l’idea di un ‘giusto equilibrio’ costituiva una risposta convincente al ritorno dei nazionalismi.

Sturzo aveva colto che con i nazionalismi si sarebbe ricaduti nuovamente nella guerra, e che il problema vero era quello di costruire un nuovo equilibrio tra gli Stati. Di qui la positiva valutazione del piano dell’allora presidente americano Wilson e la sottolineatura del ruolo della Società delle nazioni. Non solo. Già nel ’29 Sturzo parlava degli Stati Uniti d’Europa come di un obiettivo a cui tendere con tenacia e pazienza”.

L’appello auspica “uno Stato veramente popolare”. Sturzo ha chiamato “popolare” anche il partito da lui fondato. Ma che cosa intendeva con questo termine che oggi è circondato da molte ambiguità?

“La scelta del nome del partito risponde principalmente alla volontà di distaccarsi dall’esperienza della prima Democrazia cristiana, quella di Murri. Con il termine ‘popolare’ Sturzo voleva semplicemente esprimere un antagonismo rispetto alle oligarchie borghesi che avevano dominato la politica italiana fino a quel momento.

Non a caso la prima grande operazione di Sturzo fu quella di riuscire a far approvare una legge elettorale proporzionale, con l’obiettivo non di eliminare, ma di costringere all’opposizione i partiti espressione di quelle oligarchie.

Il popolarismo non ha nulla a che vedere con quello che oggi siamo soliti chiamare populismo. Sturzo è sempre stato molto critico verso un’idea di popolo come nebulosa indistinta. Non dimentichiamo che di lì a poco l’avvento del fascismo sarebbe avvenuto ‘in nome del popolo’ e avrebbe portato all’eliminazione dei partiti”.

A un giovane che oggi prendesse in mano l’appello “ai liberi e forti”e, più in generale, si accostasse al pensiero di Sturzo, quale aspetto suggerirebbe di valorizzare?

“Ne vedo soprattutto due. In primo luogo il richiamo alla moralità della politica, che è centrale in tutta la riflessione e l’esperienza di Sturzo. Il secondo riguarda il piano istituzionale, e in particolare il sistema della rappresentanza come momento di sintesi tra lo Stato e la società, essenziale per la vita democratica. Il Parlamento deve poter svolgere pienamente questa funzione. Se il suo ruolo viene vanificato sia da parte dell’esecutivo, sia da visioni di tipo populista, è la stessa democrazia che decade”.

Stefano De Martis

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Sono passati cento anni dal lancio dell’appello “ai liberi e forti” con cui don Sturzo diede il via all’esperienza del Partito popolare italiano. Era infatti il 18 gennaio 1919 quando quell’innovativo manifesto politico fu diffuso da Roma. Ed è un testo che, dopo un secolo, presenta ancora oggi spunti di straordinaria attualità.

Ne parliamo con il presidente dell’Istituto Luigi Sturzo, Nicola Antonetti, che è anche ordinario di Storia delle dottrine politiche all’Università di Parma.

Che cosa ha significato l’appello di don Sturzo per la storia dell’impegno politico dei cattolici italiani?

“Il manifesto ‘ai liberi e forti’ e più in generale l’avvio dell’esperienza del Partito popolare segnano l’inizio dell’impegno dei cattolici italiani nelle istituzioni apicali dello Stato. Una svolta importantissima. Fino a quel momento infatti, almeno formalmente, i cattolici erano del tutto estranei alla vita politica nazionale, potevano operare soltanto a livello amministrativo.

Ma questo per Sturzo limitava fortemente la possibilità di incidere nella trasformazione democratica dello Stato, che per lui era un obiettivo fondamentale. Mentre il pensiero prevalente in ambito cattolico aveva ancora una visione armonica della società, Sturzo aveva percepito che c’era un ‘dinamismo della lotta’ ineliminabile, e che questo doveva essere governato”.

Nell’appello si parla della necessità di un “reale equilibrio dei diritti nazionali con i supremi interessi internazionali”. Sembra una riflessione di questi mesi...

“Sturzo è sempre stato molto attento alle vicende internazionali, per tutta la vita. Quel riferimento molto lucido contenuto nell’appello va compreso anche alla luce di un fatto contingente: si era all’indomani della fine della guerra, i cattolici uscivano da un’immagine di neutralismo e l’idea di un ‘giusto equilibrio’ costituiva una risposta convincente al ritorno dei nazionalismi.

Sturzo aveva colto che con i nazionalismi si sarebbe ricaduti nuovamente nella guerra, e che il problema vero era quello di costruire un nuovo equilibrio tra gli Stati. Di qui la positiva valutazione del piano dell’allora presidente americano Wilson e la sottolineatura del ruolo della Società delle nazioni. Non solo. Già nel ’29 Sturzo parlava degli Stati Uniti d’Europa come di un obiettivo a cui tendere con tenacia e pazienza”.

L’appello auspica “uno Stato veramente popolare”. Sturzo ha chiamato “popolare” anche il partito da lui fondato. Ma che cosa intendeva con questo termine che oggi è circondato da molte ambiguità?

“La scelta del nome del partito risponde principalmente alla volontà di distaccarsi dall’esperienza della prima Democrazia cristiana, quella di Murri. Con il termine ‘popolare’ Sturzo voleva semplicemente esprimere un antagonismo rispetto alle oligarchie borghesi che avevano dominato la politica italiana fino a quel momento.

Non a caso la prima grande operazione di Sturzo fu quella di riuscire a far approvare una legge elettorale proporzionale, con l’obiettivo non di eliminare, ma di costringere all’opposizione i partiti espressione di quelle oligarchie.

Il popolarismo non ha nulla a che vedere con quello che oggi siamo soliti chiamare populismo. Sturzo è sempre stato molto critico verso un’idea di popolo come nebulosa indistinta. Non dimentichiamo che di lì a poco l’avvento del fascismo sarebbe avvenuto ‘in nome del popolo’ e avrebbe portato all’eliminazione dei partiti”.

A un giovane che oggi prendesse in mano l’appello “ai liberi e forti”e, più in generale, si accostasse al pensiero di Sturzo, quale aspetto suggerirebbe di valorizzare?

“Ne vedo soprattutto due. In primo luogo il richiamo alla moralità della politica, che è centrale in tutta la riflessione e l’esperienza di Sturzo. Il secondo riguarda il piano istituzionale, e in particolare il sistema della rappresentanza come momento di sintesi tra lo Stato e la società, essenziale per la vita democratica. Il Parlamento deve poter svolgere pienamente questa funzione. Se il suo ruolo viene vanificato sia da parte dell’esecutivo, sia da visioni di tipo populista, è la stessa democrazia che decade”.

Stefano De Martis

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Vocazione: Uomo https://www.lavoce.it/vocazione-uomo/ Wed, 13 Nov 2013 21:58:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20635 L’immagine scelta per il manifesto
L’immagine scelta per il manifesto

“Quando mi incontro con persone atee, condivido le questioni umane ma non pongo loro in un primo momento il problema di Dio, eccetto che siano loro stesse a porlo a me. Se è necessario, dico loro perché credo. L’umano è così ricco da condividere, che tranquillamente possiamo mettere in comune reciprocamente le nostre ricchezze. Dal momento che io sono credente, so che quelle ricchezze sono un dono di Dio”. Questa lunga citazione di Jorge Mario Bergoglio, tratta da una conversazione tra l’allora arcivescovo di Buenos Aires e il rabbino Abraham Skorka (Il Cielo e la terra, Mondadori, 2013), riassume il nucleo tematico del convegno “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali” organizzato dalla Conferenza episcopale dell’Umbria in collaborazione con l’Università di Perugia e il Progetto culturale Cei, che si svolgerà il 29 e 30 novembre al teatro Lyrick di Santa Maria degli Angeli. Al centro del convegno si colloca dunque una profonda riflessione sull’umanità, in questo contesto storico di profonda crisi di senso dell’uomo moderno e perdurante crisi economica della società occidentale, e la necessità della costruzione di un dialogo con tutti. Nel titolo del convegno risuonano le parole di Papa Francesco pronunciate nella prima omelia del suo pontificato. La vocazione del “custodire” – saper leggere con realismo gli avvenimenti della contemporaneità, stare attenti a ciò che ci circonda ed essere in grado di prendere le decisioni più sagge per la vita della polis – non riguarda ovviamente soltanto i cristiani, ma ha una “dimensione che precede” ogni convincimento laico o religioso ed “è semplicemente umana, riguarda tutti”. Una vocazione che assume una particolare importanza in questo delicatissimo periodo storico. Oggi, infatti, per poter guardare al futuro, è fondamentale compiere un bilancio senza indulgenze con il passato, ed è ancora più urgente una realistica comprensione della società attuale. Perché il “moderno”, come avvertiva don Luigi Sturzo nel celebre discorso di Caltagirone del 24 dicembre 1905, “più che sfiducia e ripulsa, desta il bisogno della critica, del contatto, della riforma”. Alla base di questo convegno – che si inserisce lungo il cammino di preparazione al V Convegno ecclesiale nazionale, “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, che si svolgerà a Firenze nel novembre 2015 – si collocano due categorie interpretative: la secolarizzazione e l’umanesimo cristiano. Per lungo tempo, il processo di secolarizzazione è stato interpretato come un fenomeno inevitabile dell’età contemporanea. Molti filosofi, storici e sociologi vi hanno visto l’esito ineluttabile della storia e vi hanno colto le ragioni dell’emancipazione dell’uomo moderno dalla dimensione religiosa. Alla fine del ’900, però, il fallimento delle ideologie materialiste ha portato alla luce un fenomeno del tutto opposto: la diffusione del processo di “de-secolarizzazione”, ovvero la sopravvivenza, in forme nuove, delle religioni e del bisogno del Sacro. Questa “società post-secolare” ci mostra, da un lato, la permanenza e la rinascita di comunità religiose e, dall’altro lato, ci consegna una realtà polverizzata, costellata da tanti corpi sociali, sempre più piccoli, che spesso assomigliano a delle monadi individuali impegnate a costruire un rifugio in un “io” assoluto concepito su misura per rispondere a esigenze individuali e a piaceri puramente egoistici. La “questione sociale”, oggi, si interseca pertanto con la “questione antropologica”, dove la difesa dell’integrità della persona umana, dal concepimento alla morte, va di pari passo con la sostenibilità dell’ambiente, una civilizzazione dell’economia e, forse, perfino una “riforma” della politica. Da questa consapevolezza scaturisce un tentativo: la proposta di un umanesimo cristiano capace di dialogare con il mondo laico e in grado di rivendicare che l’Uomo, di fronte all’ascesa quasi inarrestabile di una tecnica senza anima, ritorni al centro della riflessione e della convivenza sociale.

Informazioni/iscrizioni

Tutte le informazioni sul convegno sono reperibili sul sito www.custodireumanita.it o anche sul sito www.periferiesistenziali.it. Coloro che intendono prendere parte all’evento possono compilare l’apposita scheda di iscrizione e inviarla via mail o al numero di fax indicato sotto. L’iscrizione è gratuita. Coloro che intendono fermarsi l’intera giornata potranno liberamente usufruire del buffet predisposto dall’organizzazione. È possibile prenotare un pernottamento a costi ridotti. Telefono: 075 5750381, fax 075 5050365, Segreteria organizzativa cell. 327 3396993, email segreteria@custodireumanita.it.

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Il liberalismo come non ve lo avevano mai raccontato https://www.lavoce.it/il-liberalismo-come-non-ve-lo-avevano-mai-raccontato/ Thu, 06 Jun 2013 12:35:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=17200 L’Europa in una carta del 1595
L’Europa in una carta del 1595

Ben 1.248 pagine per raccontare la Storia del liberalismo in Europa (traduzione dal francese pubblicata da Rubbettino, 2013, euro 56), che riporta i risultati di un seminario internazionale tenuto a Parigi tre anni fa. Jean Petitot, in una lettera di presentazione, afferma di “provare una grande ammirazione per i pensatori liberali italiani, repubblicani e laici, da Cavour a Bobbio…” e per questo ha voluto che fossero ben rappresentati nel seminario e nel volume. Un volume ponderoso e impegnativo in cui sono raccolti i saggi di 38 autori, filosofi, economisti, giuristi, politologi, storici, sociologi francesi, tedeschi, italiani, americani e di altre nazionalità, coordinati da Philippe Nemo e Jean Petitot. Apre l’elenco degli autori, Dario Antiseri, molto conosciuto e apprezzato in Italia e all’estero, che firma, insieme a Enzo di Nuoscio, la Premessa alla traduzione italiana ed è anche autore di due saggi: Due figure del cattolicesimo liberale nel sec. XX: Luigi Sturzo e Angelo Tosato (pp. 705-732) e L’epistemologia di Popper. Razionalismo critico e liberalismo (pp. 1069-1112). Antiseri è un umbro, formato nell’Università di Perugia dove è stato apprezzato docente e cui è rimasto sempre legato. Dai suoi due saggi, soprattutto dal primo si può, con evidenza, individuare il taglio dell’opera, che vuole essere innovativa rispetto alla letteratura sul liberalismo europeo di tipo settoriale, che ha tendenzialmente escluso alcuni filoni di matrice cristiana e cattolica. In questo senso, l’opera curata da Nemo e Petitot mostra che matrici di pensiero liberale possono ritrovasi anche in periodi precedenti all’epoca moderna e persino nel Medioevo e nella Scolastica. Per tale motivo il volume si pone in una prospettiva di rinnovamento degli studi e in dialogo con la classica opera la cui impostazione finora è stata considerata dominante: la Storia del liberalismo europeo di Guido De Ruggero (Laterza, 1925, 2a ed. 2003).In maniera più esplicita i curatori, nell’Introduzione generale, dichiarano esplicitamente che non vogliono trattare del liberalismo come partito politico o corrente filosofica specifica, ma intendono “analizzare le tradizioni europee non anglosassoni del liberalismo, intendendo per liberalismo la teoria dell’unità filosofica, politica ed economica delle libertà” (p. 13). In questa prospettiva intendono sfatare l’idea che il liberalismo sia una peculiarità anglosassone, di origine inglese e americana.

La ricerca svolta con tale prospettiva non è di tipo ideologico-dottrinario, ma storico, sotto forma di ricerche monografiche svolte da singoli specialisti. L’allargamento dell’orizzonte si esprime in maniera diffusa nel saggio che apre la prima parte, di Philippe Nemo, su Le fonti del liberalismo nel pensiero antico e medievale, che analizza la polis greca, il pensiero stoico, il Diritto romano e aspetti della sapienza biblica. Un saggio che dà il tono a tutto il volume. Non manca un epilogo affidato a Barry Smith, che vuole in qualche modo dare voce a quel mondo anglosassone che è stato escluso dal volume, e vuol essere anche un discorso sulla “civiltà” per verificare se possa esistere un criterio di valutazione e apprezzamento dell’una e dell’altra in base a parametri quali la felicità del popolo, l’osservanza dei principi etici – sempre nella prospettiva di un ordinamento liberale della società, che deve essere valorizzato e riconosciuto non per i vantaggi materiali che produce, come oggi si sostiene, ma perché “permette di massimizzare la possibilità che le persone conducano vite significative” (p. 1233). Per avere un’idea generale della vastità degli argomenti trattati nel volume, elenchiamo le parti di cui si compone. Prima parte Le origini, seconda parte Il liberalismo francese, terza parte Il liberalismo italiano, quarta parte Il liberalismo tedesco, quinta parte Il liberalismo austriaco, sesta parte Altri Paesi dell’Europa occidentale. Ognuna di queste parti include dai cinque ai dieci contributi di autori diversi. Si può dire una grande opera frutto di lavoro collettivo, che rimarrà come un pilastro nell’ambito della storiografia europea.

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La nazione incompiuta https://www.lavoce.it/la-nazione-incompiuta/ Thu, 16 Sep 2010 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8718 “L’unità nazionale per i cattolici non è solo processo storico ma anche valore spirituale, perché l’unità di un popolo e di una nazione è unità di intenti, armonia di interessi ricomposti, superamento dell’individualismo, destino comune”. Così il presidente della Acli, Andrea Oliviero, ha sintetizzato l’idea di unità nazionale, aprendo i lavori del 43° incontro nazionale di studi dedicato ai 150 anni dall’Unità d’Italia, dal titolo “Italiani si diventa. Unità, federalismo, solidarietà”, che si è tenuto a Perugia dal 9 all’11 settembre. Italia: una nazione incompiuta. “L’Italia – ha proseguito Oliviero – è una nazione imperfetta, incompiuta, perché incompiuti sono ancora gli italiani. Per diventare italiani bisogna anzitutto sentirsi cittadini”. Occorre, quindi, “lasciarsi alle spalle l’Italia del tirare a campare, l’Italia degli insofferenti alle regole e insofferenti al bene comune. La somma degli individualismi personali o localistici non fanno una nazione”. Per il presidente delle Acli “diventare italiani è una grande impresa che non riguarda solo la classe dirigente politica ma tutti noi”. Oliviero ha rivolto anche un pensiero ai giovani, dicendo che “bisogna trasmettere loro una fiducia che faccia capire che spendere i propri talenti non è questione di successo individuale ma di crescita collettiva”. Federalismo virtuoso. Federalismo sì, ma a patto che sia virtuoso. Questa è la visione del federalismo cattolico, che affonda le sue radici nel pensiero di don Luigi Sturzo. “L’egoismo di ceto o di territorio non ha mai fatto parte della nostra cultura politica”, ha sottolineato nel corso del suo intervento mons. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia. Pertanto “federalismo virtuoso significa conoscenza del proprio territorio e capacità di crescita autonoma, lotta agli sprechi ed equa imposizione fiscale, ma soprattutto, rendiconto di come vengono spesi i soldi pubblici”. Questa concezione di federalismo implica che “non si dovrà cedere all’egoismo di zone più progredite verso quelle più povere. Il federalismo non dovrà affievolire la forza dello Stato centrale nelle materie di sua competenza, anzi dovrà renderlo più efficiente nel seguire i propri compiti, per il bene comune”. “Siamo in un tempo dove non si studia il futuro. C’è una mancanza di visione: la politica e la cultura non si parlano più da tempo”. Questo, secondo Andrea Riccardi, storico dell’Università Roma Tre, intervenuto al convegno Acli, è il vero male di cui soffre l’Italia di oggi. Per guarire bisogna che i cattolici si impegnino a creare una nuova classe politica, in grado di trovare le “parole giuste”. Per farlo, secondo lo storico, dovranno prendere sul serio l’appello di Benedetto XVI convertendosi a una vita spirituale vera. Questo è il primo passo per ritrovare le parole, ma non basta: “serve cuocere queste parole nella sfida bruciante della crisi dell’economia e della famiglia”. Per Riccardi, il compito dei cattolici in questa fase storica è quello di “provare a dire in tutte le sedi, con le parole giuste, che cosa è l’Italia, cosa è stata e come vogliamo che diventi”. In buona sostanza “i cattolici devono fondare una nuova cultura politica”. In fondo, ritrovare lo “sguardo lungo” della politica – che non si sofferma solo sulle questioni del presente ma sa progettare il futuro – non è compito solo di alcuni, di una élite del pensiero o del potere finanziario, ma è compito di tutti i cittadini, nessuno escluso. Del resto, ha sottolineato mons. Bregantini, “solo così è possibile capire perché la mafia si è consolidata anche al Nord. Spesso le realtà del Sud sono state lasciate sole a combattere la Piovra, pensando che il problema fosse locale, non nazionale” e allora “non ci vuole molto a capire che la questione meridionale deve diventare questione nazionale, come ben richiedeva don Sturzo”. È così, secondo il presidente della Commissione episcopale, che “vanno impostate le celebrazioni dei 150 anni dall’Unità nazionale”. Alcuni passagi dell’’intervento del Presidente della Ceu al convegno delle AcliNessuna identità è possibile senza il confronto e il dialogo con le altre. E questo sconfigge in radice ogni totalitarismo religioso, ogni fondamentalismo. Essi sono tali, infatti, quando si sentono talmente gratificati della pienezza della verità da non avere più il bisogno dell’altro o da non avvertirne la mancanza. È in questa prospettiva che vorrei spendere una parola sulla “laicità”, affrontata anche in questa tavola rotonda. Sappiamo bene che il termine “laicità” ha avuto lungo la storia diversi significati. Certo è che le radici del termine affondano nel cristianesimo. Non a caso, la prospettiva della laicità si è affermata solo nei Paesi di tradizione cristiana, sebbene spesso in maniera conflittuale con la Chiesa, non però con la cultura ispirata dal cristianesimo. La laicità ha avuto ed ha comunque differenti declinazioni. Non mi addentro nel dibattito sviluppatosi in questi ultimi tempi. E mi fermo solo ad accennare alla laicità come metodo di pensiero e di atteggiamento che aiuta sia la fede che la ragione a non cadere in pericolosi estremismi. Credo ormai vecchia e priva di futuro la polemica sulla laicità intesa come un contenuto da contrapporre alla religione. La laicità, lo ripeto, va compresa sul piano metodologico più che su quello contenutistico. In questo orizzonte, laico è colui che non rifiuta né deride il sacro, semmai è colui che lo discute, che lo interroga, che si mette di fronte al senso del mistero che il sacro porta con sé. Ed è laico anche ogni credente che non è superstizioso, che non è fanatico, che non è arrogante, che non è chiuso alla ricerca di una verità sempre più chiara e piena. È laico altresì ogni non credente che non assolutizza e non idolatra il proprio relativo punto di vista e la propria ricerca. Il laico non credente sa invece riconoscere la profonda analogia che lo lega alla domanda del credente e alla sua continua ricerca del vero e del bene (…). Il credente, pertanto, ha il diritto-dovere di operare nella e per la società. Certo, non lo fa con argomenti presi dalla dialettica democratica. In tal senso si potrebbe dire che i cattolici si addentrano nel dibattito democratico “senza il Vangelo”, nel senso di non portare argomenti religiosi per difendere scelte economiche, politiche o tecniche. Nel restare fedeli al Vangelo non ricevono da esso indicazioni tecniche di comportamento (…). Questo comporta, o può comportare, dibattiti anche all’interno della stessa comunità cristiana, salvo quando si toccano valori irrinunciabili. Ma è fuor di dubbio che il credente debba adoperarsi in ogni modo, nel rispetto delle regole della democrazia, per tradurre nella vita della società ciò che a lui appare la cosa migliore non per se stesso ma per il bene comune. Entra in gioco qui la tensione al bene comune dell’intera società. Purtroppo negli ultimi decenni, le classi dirigenti del nostro Paese, cattolici compresi, spesso hanno dimenticato di dibattere su quale Paese si vuole edificare. Ci siamo fermati troppo a discutere di riforme elettorali e anche costituzionali, senza dubbio importantissime, ma tralasciando l’interrogativo per costruire quale società si richiedono tali riforme. Tale preoccupazione purtroppo è stata per lo più assente. Eppure è proprio qui il cuore dell’impegno per il “bene comune” che Benedetto XVI ha richiamato nell’enciclica Caritas in veritate. E per i cristiani tale impegno affonda le radici nella fede. Essi sono chiamati ad impegnarsi nella cosa pubblica proprio a partire dalla loro fede, dall’eucarestia che celebrano. (stralcio dell’intervento tenuto al convegno delle Acli a Perugia. Il testo integrale su www.acli.it)

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Il coraggio di un prete https://www.lavoce.it/il-coraggio-di-un-prete/ Thu, 06 May 2010 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8435 La giornata del ritiro mensile per il clero della diocesi, svoltasi a Spagliagrano di Todi giovedì 29 aprile, si è aperta con la recita dell’ora media, l’esposizione e l’adorazione eucaristica, seguite dalla proclamazione del Vangelo del giorno e la meditazione dettata da mons. Giovanni Scanavino, vescovo di Orvieto-Todi. I partecipanti hanno poi ascoltato nella sala delle conferenze il prof. Giancarlo Pellegrini, docente di Storia contemporanea all’Università di Perugia, che ha presentato la figura e l’opera di don Luigi Sturzo. Nacque a Caltagirone il 26 novembre 1871 e morì a Roma l’8 agosto 1959. Ordinato sacerdote nel 1894, si laureò in Teologia nel 1896 alla Gregoriana e si iscrisse all’ università della Sapienza di Roma e all’Accademia di San Tommaso d’Aquino perché grande era il suo desiderio di potersi dare allo studio e all’insegnamento della filosofia. Preso dal ministero sacerdotale e a contatto con tante necessità del suo popolo, messa da parte la sua passione per gli studi filosofici, nel 1897 istituì a Caltagirone una Cassa rurale e una Mutua cooperativa e fondò anche La Croce di Costantino, un vivace periodico di orientamento politico-sociale che raccolse le più fervide intelligenze del mondo cattolico siciliano. Com’era ovvio, i metodi chiari e coraggiosi di don Luigi ben presto suscitarono le ire dei massoni, che bruciarono sulla piazza principale del Paese una copia della Croce di Costantino, il giornale da lui fondato. Dopo i fatti del 1898 e la repressione antioperaia e il processo a Davide Albertario, apparve chiara l’impossibilità di convivere tra conservatori e democratici cristiani nello stesso partito dell’ Opera dei Congressi. Nel 1900 dissentì dal Murri: non fu tra i fondatori della Democrazia cristiana e non prese la tessera. Nel 1902 guidò i cattolici di Caltagirone alle elezioni amministrative, e nel 1905 fu eletto consigliere per la Provincia di Catania; nonostante il “non expedit”, mantenne la carica fino al 1920. Nel 1912 fu eletto presidente dell’Associazione nazionale dei Comuni d’Italia; nel 1915 fu segretario generale della Giunta nazionale dell’Azione cattolica. Nel 1919 fondò il Partito popolare italiano e il 18 gennaio, dall’albergo S. Chiara di Roma, lanciò l’Appello ai liberi e forti e dette vita al giornale Il Popolo nuovo. Sotto la guida di don Sturzo il Partito popolare nel 1922 impedì a Giolitti di assumere il potere, consentendo l’insediamento di Facta. Al Congresso di Torino del 12 -14 aprile 1923 Sturzo fece passare la tesi dell’incompatibilità tra la concezione “popolare” dello Stato e il “totalitarismo fascista” con la conseguente uscita dal governo Mussolini dei ministri cattolici. Ogni intesa con la destra, “né opposizione, né collaborazione” risultò impossibile. Mussolini, poi, brigò al di là del Tevere e don Luigi perdette la protezione delle gerarchie vaticane. Non gli restò che dimettersi dal partito e andare esule prima a Londra dal 1924 al 1940, poi a Parigi e infine a New York. Nel 1945, finita la guerra, Sturzo rientrò in Italia e il 17 dicembre 1952 il presidente della Repubblica Luigi Einaudi lo nominò senatore a vita, ma don Luigi, perché sacerdote, accettò solo dopo avere ottenuto la dispensa dal Papa Pio XII. Morì l’8 agosto 1959 a 88 anni. A 40 anni dalla morte, a Caltagirone una lapide lo ricorda lungo la scalea del Palazzo di città. Le sue spoglie mortali riposano a Caltagirone nella chiesa del SS. Salvatore. I suoi princìpiDa evidenziare alcuni principi di cui Sturzo fu strenuo sostenitore: la necessità di dare voce in politica ai cattolici per avere una alternativa cattolica e sociale; i cattolici devono impegnarsi in politica mantenendo assoluta autonomia tra politica e Chiesa; la libertà della persona; la società si fonda su libere attività relazionali e deve riconoscere le aspirazioni di ogni singolo individuo; la a-confessionalità del partito popolare: la religione può influenzare ma non imporre; il regionalismo per contrastare il centralismo statale negatore dell’ampia autonomia individuale. In campo economico, poi, lo stesso Sturzo denunciò il capitalismo di Stato, pur senza negare la possibilità di interventi dello Stato per un tempo breve e finalizzato a risultati.

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Santi modelli per il clero di oggi https://www.lavoce.it/santi-modelli-per-il-clero-di-oggi/ Thu, 16 Jul 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7712 Lo scorso 16 marzo Benedetto XVI ha indetto un Anno sacerdotale, da lui personalmente ideato e voluto. ‘La grande tradizione ecclesiale ‘ disse in quella circostanza – ha giustamente svincolato l’efficacia sacramentale dalla concreta situazione esistenziale del singolo sacerdote, e così le legittime attese dei fedeli sono adeguatamente salvaguardate. Ma questa giusta precisazione dottrinale nulla toglie alla necessaria, anzi indispensabile, tensione morale che deve abitare ogni cuore autenticamente sacerdotale. Proprio per favorire questa tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del loro ministero, ho deciso di indire uno speciale Anno sacerdotale’, che andrà dal 19 giugno prossimo fino al 19 giugno 2010. Ricorre infatti il 150’anniversario della morte del santo curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney, vero esempio di pastore a servizio del gregge di Cristo’. Il 19 giugno poi, inaugurando questo speciale anno, il Papa ha detto che il suo scopo è di mostrare ‘quanto sia importante la santità dei sacerdoti per la vita e la missione della Chiesa’. E di tale santità egli ha offerto due modelli – il Curato d’Ars e padre Pio – l’uno con la lettera di apertura dell’anno, l’altro con il pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo compiuto il 21 dello stesso mese. Due santi nati ambedue contadini, vissuti in sperduti villaggi e di certo non dotti, ma dotati di una santità tale da spingere miriadi di cristiani al loro confessionale in cerca di perdono. Deciso rilancio della ‘confessione’ I giornali hanno quasi ignorato il rilievo che in questa circostanza il Papa ha voluto dare al sacramento della penitenza, comunemente chiamato ‘confessione’. Un rilancio forse inedito, fatto con il suo ben noto stile controcorrente. ‘I sacerdoti ‘ ha detto ‘ non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli nei riguardi di questo sacramento. Al tempo del santo Curato d’Ars, in Francia, la confessione non era più facile né più frequente che ai nostri giorni, dato che la tormentata rivoluzione aveva soffocato a lungo la pratica religiosa. Ma egli seppe dare il via a un circolo virtuoso. Con le lunghe permanenze in chiesa davanti al tabernacolo fece sì che i fedeli cominciassero a imitarlo, recandovi per visitare Gesù e fossero, al tempo stesso, sicuri di trovarvi il loro parroco disponibile all’ascolto. In seguito, fu la folla crescente dei penitenti, provenienti da tutta la Francia, a trattenerlo nel confessionale fino a 16 ore al giorno’. Si diceva che Ars era diventata ‘il grande ospedale delle anime’. Su questo punto il Papa è tornato visitando la tomba di padre Pio, per il quale ‘la cura delle anime e la conversione dei peccatori furono un anelito che lo consumò fino alla morte. (‘) Quante lunghe ore egli trascorreva nel confessionale. Come per il Curato d’Ars, è proprio il ministero di confessore a costituire il maggior titolo di gloria e il tratto distintivo di questo santo frate cappuccino’. Iniziative diverseA livello di Chiesa universale vi saranno durante l’anno la proclamazione del Curato d’Ars come patrono di tutti i sacerdoti (attualmente lo è dei parroci), la pubblicazione di un ‘direttorio’ per i confessori e direttori spirituali e una raccolta di testi di Benedetto XVI sulla vita e la missione del preti, oggi. Le singole conferenze episcopali nazionali poi, anzi le varie diocesi, sceglieranno i modi più opportuni per valorizzare il tema scelto per questo anno: Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote. Il card. Bagnasco, ad esempio, parlando all’assemblea della Cei (25-29 maggio) ha detto che in quest’anno sacerdotale ‘siamo tutti richiamati – vescovi presbiteri e diaconi ‘ a ripensare il primato della preghiera nella nostra vita. (‘) Questa ricerca di intimità con Dio è, per la complessità e la frenesia della vita odierna, necessaria come il respiro’. L’Unione apostolica del clero, che opera soprattutto per promuovere nelle diocesi la spiritualità dei ministri ordinati con i due necessari riferimenti a Cristo e alla Chiesa, ha già programmato tre incontri – al Nord, al Centro e al Sud – attorno ad altrettante significative figure di sacerdoti delle rispettive aree geografiche. Per il Sud, ad esempio, è stata scelto il servo di Dio don Luigi Sturzo, fedele iscritto all’Uac, che, senza mezzi termini, diceva di essere un prete prima ancora che un uomo politico.

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Senza pregiudizi né preconcetti https://www.lavoce.it/senza-pregiudizi-ne-preconcetti/ Thu, 05 Mar 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7355 Sono passati novant’anni dall’appello ‘ai liberi e ai forti’ di don Luigi Sturzo. ‘A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini supremi della patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello – questo il messaggio del sacerdote di Caltagirone – perché uniti insieme propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e di libertà’. Nove decenni dopo, è nella diocesi che diede i natali a don Sturzo che si è svolta, lo scorso 27 febbraio, la prima tappa di un cammino che, nel 2010, porterà alla 46a Settimana sociale dei cattolici italiani. ‘Senza pregiudizi né preconcetti. Per gli ideali di giustizia e di libertà, nella loro interezza’, il titolo dell’appuntamento con il quale gli organizzatori hanno voluto interrogarsi ‘sul valore dell’esperienza che queste parole ricapitolarono e rilanciarono, e sul pensiero e l’opera di don Luigi Sturzo’.Bene comune e impegno dei fedeli laici. ‘Non lasciar cadere’ il tema del bene comune (già oggetto della scorsa Settimana sociale) è un impegno del nuovo Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici italiani. Così ha esordito, all’apertura dei lavori, mons. Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea e presidente del Comitato, il quale ha sottolineato l’opportunità di continuare a riflettere sul tema ‘per considerazioni oggettive sulla situazione del Paese’ e per ‘l’esigenza sentita’ di declinarlo ‘in rapporto a quei problemi che si presentano come particolarmente urgenti’. L’impegno verso il bene comune, ha rilevato, non è ‘mai venuto meno, neppure durante gli anni più difficili dei rapporti tra Chiesa e Risorgimento, come attestano le innumerevoli opere promosse dal mondo cattolico a servizio dell’istruzione e dell’assistenza dei più poveri’. Ad esso mons. Miglio ha poi accomunato il ‘forte appello per l’impegno dei fedeli laici a servizio del Paese’ venuto dal Convegno ecclesiale di Verona dell’ottobre 2006. Due riferimenti: ‘la missione di tutta la comunità ecclesiale a servizio del bene comune, e la missione specifica dei fedeli laici nel servizio sociale e politico’, legati all’impegno di don Sturzo, il quale ‘ha inteso la sua missione come squisitamente sacerdotale e pastorale, a servizio della carità nel suo significato più pieno, per tutto l’uomo oltre che per tutti gli uomini’.Il pensiero di don Sturzo. ‘A novant’anni dall’appello ai liberi e ai forti, a cinquant’anni dalla morte di don Luigi Sturzo – ha osservato il vescovo di Caltagirone, mons. Luigi Manzella -, ci interroghiamo se il suo programma politico-morale d’ispirazione cristiana abbia trovato piena accoglienza in quanti si professano suoi discepoli ed eredi’, o non si debba piuttosto ‘ripartire da quel lontano 18 gennaio 1919 per rilanciare gli ideali di giustizia e di libertà’. Ad approfondire la figura e il pensiero sturziano hanno contribuito le relazioni proposte. Don Massimo Naro, docente di Teologia dogmatica alla Pontificia facoltà teologica di Sicilia, si è concentrato sul ‘significato spirituale del pensiero, dell’opera e della vita di don Luigi Sturzo’. Il segretario generale del Censis, Giuseppe De Rita, ha invece parlato del pensiero educativo e sociale del sacerdote, proponendo alcune sue attualizzazioni: ‘Reagire alla personalizzazione del potere che vi è in ogni schieramento’ è, secondo De Rita, ciò che chiederebbe oggi Sturzo, contrapponendosi alla ‘marmellata del conformismo’. Mentre Dario Antiseri, docente di Metodologia delle scienze sociali alla Luiss di Roma, ha ricordato come il fondatore del Partito popolare si battesse ‘per orientare l’opinione pubblica verso la libertà educativa’. Spunti spirituali. È proprio ‘l’immensa passione per la libertà’ il primo di alcuni ‘spunti spirituali’ che il sociologo Luca Diotallevi, vicepresidente del Comitato scientifico, ha ricavato dalla figura del sacerdote siciliano. ‘Finché c’è passione per la libertà – ha affermato – la paura non prevale mai sulla speranza, né possono averla vinta quei politici che speculano sulla paura. Finché c’è passione diffusa per la libertà la democrazia è al sicuro’. Libertà che, in ambito religioso, ‘ci aiuta non a tollerare ma ad apprezzare la presenza nell’agone pubblico delle istituzioni ecclesiastiche’, poiché ‘la presenza pubblica della Chiesa evita che qualche organizzazione politica possa rivendicare in esclusiva la rappresentanza delle ragioni della fede’, mentre ‘un impegno libero e responsabile dei cattolici in politica evita che resti alle autorità ecclesiastiche anche la rappresentanza politica dei cattolici’. Ancora, nel pensiero di don Sturzo vi è uno ‘sguardo sullo scenario internazionale’, che lo portava a rifiutare ‘imperialismi e protezionismi’. Difensore ‘del mercato, della famiglia, della scuola libera e dei diversi ambiti sociali’, egli ‘individua e denuncia la pretesa dello Stato che vuol farsi monopolista dello spazio pubblico’, proponendo un pensiero in ‘continuo rinnovamento’, che ‘evolve, legge e interpreta la storia’ e ancora oggi ci aiuta ‘a non soccombere di fronte alla nuova ed ingiustificata voglia di Stato’.

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Don Sturzo ai liberi e forti https://www.lavoce.it/don-sturzo-ai-liberi-e-forti/ Thu, 22 Jan 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7240 Un esempio valido ancora oggi e un invito per i cattolici a riscoprire la laicità nell’impegno politico, che altro non è se non la ‘capacità di muoversi sul terreno storico-politico con grande concretezza e autonomia’, pur nella volontà di ‘fare un servizio alla Chiesa e alla società’. I 90 anni del Partito popolare italiano (Ppi), nato il 19 gennaio 1919, sono occasione per ripensare all’intuizione del suo fondatore, don Luigi Sturzo, e trovare quali suoi insegnamenti sono ancora oggi validi per il nostro Paese. A tal proposito, abbiamo incontrato Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano. Il Partito popolare italiano fu un punto di svolta per il Paese e per l’impegno pubblico dei cattolici.’Certamente. Chabod, il più importante storico laico italiano, ha scritto che la nascita del Ppi è stata l’evento più importante della storia italiana del XX secolo. Ha portato i cattolici nello Stato, modificandone radicalmente l’assetto. Ricordiamo che l’Italia unita era nata senza i cattolici, anzi in un certo qual modo contro la Chiesa’. Dopo appena tre anni dalla nascita del Ppi, con l’avvento del fascismo finì la democrazia in Italia. In quel breve lasso di tempo, il partito cattolico quale impronta riuscì a lasciare? ‘La presenza dei cattolici, assieme alla componente operaia confluita nel socialismo, ha dato una base di massa allo Stato. Questa svolta in senso democratico si è interrotta quasi sul nascere a causa dall’avvento del fascismo; tuttavia ciò non diminuisce la portata storica dell’esperienza popolare. I cattolici furono assolutamente emarginati durante il periodo fascista, ma con il crollo del regime si ricominciò proprio da lì, dal Partito popolare, e queste forze vive messe a tacere per un lungo periodo furono tra gli elementi più importanti per la rinascita della democrazia nel secondo dopoguerra. I popolari erano presenti nell’antifascismo e nella Resistenza, e costituirono il nucleo attorno al quale si formò la Democrazia cristiana. Basti pensare che l’ultimo segretario del Ppi, Alcide De Gasperi, è stato anche il fondatore della Dc’. Nel 1919 era ancora presente la frattura risorgimentale Chiesa-Stato. Un dualismo che oggi torna a volte a riemergere in maniera problematica. Quale fu la risposta di don Sturzo? ‘Per la verità, il dissidio tra Chiesa e Stato è stato uno dei principali elementi di debolezza, che poi hanno portato anche alla fine del Partito popolare. Piuttosto, il partito di don Sturzo delineò il ruolo dei cattolici nello Stato, rispondendo a un interrogativo che ancora oggi viene posto: quale dev’essere il ruolo dei cattolici nella vita politica italiana, nella società e nello Stato?’. Per lungo tempo l’impegno dei cattolici italiani in politica è stato declinato in un unico partito: il Ppi e, dopo, la Dc. Oggi sono mutate le forme della rappresentanza politica, e non vi è più un partito unico dei cattolici. Che spazio trovano oggi quelle istanze che furono alla base del Ppi? ‘Oggi, a mio avviso, una presenza incisiva dei cattolici non c’è: né, ovviamente, in forma unitaria, ma neppure in maniera più articolata. Gli appelli che anche recentemente Benedetto XVI ha rivolto al Paese, auspicando uomini politici formati ai valori cristiani, vengono a cadere in un momento di vuoto. Da questo punto di vista il ricordo del partito di don Sturzo è di grande attualità, perché ci indica l’importanza di quella scelta e al tempo stesso il vuoto che c’è oggi in termini di iniziativa politica dei cattolici’. L’insegnamento sturziano a quale concezione di laicità ci rimanda, e come declinarla oggi? ‘È una concezione che parte da un cattolico profondamente immerso nella propria fede e dunque obbediente nei confronti della Chiesa e della sua autorità (non dimentichiamo che Sturzo era sacerdote). Al tempo stesso, però, aveva una grande ‘laicità’ di pensiero, ossia era una persona in grado di ragionare con la propria testa, che voleva capire i problemi del proprio tempo e dei cattolici in Italia, e per darvi risposta lanciò una proposta audace e coraggiosa, che egli definiva aconfessionale, invocando cioè responsabilità e iniziativa autonome, senza costringere la Chiesa ad assumere un ruolo non proprio. Ancora oggi ci sarebbe un grandissimo bisogno di persone come Sturzo, capaci di pensare laicamente, cioè autonomamente, ai problemi del Paese…’. Quindi Sturzo, sebbene sacerdote, era ‘laico’? ‘Il suo pensiero era profondamente laico, come dimostra la fondazione del Partito popolare: era un’organizzazione autonoma rispetto alla gerarchia, fatta da cattolici capaci di muoversi sul terreno storico politico con grande concretezza, convinti di fare un servizio alla Chiesa e alla società italiana. Sturzo è ancora oggi un grandissimo esempio: bisognerebbe riprendere quella strada da lui tracciata e ripensare, come ha fatto lui, qualcosa di assolutamente nuovo e importante’.

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Un potere a servizio del Paese https://www.lavoce.it/un-potere-a-servizio-del-paese/ Thu, 15 May 2008 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=6657 Gli italiani hanno potuto ascoltare in televisione il discorso con cui Berlusconi ha chiesto la fiducia del parlamento uscito dalle elezioni del 13/14 aprile scorso ed avranno assistito, magari a pezzi e bocconi, al dibattito parlamentare. Tutti saranno rimasti piacevolmente sorpresi dei toni moderati e assecondanti degli interventi, tranne quello di Di Pietro. L’ex magistrato passato alla politica ha evocato la ragnatela berlusconiana come un pericolo da evitare e gli è stato risposto che la ‘guerra civile fredda’ è finita. Lo stesso Berlusconi ha usato uno stile diverso da quello che gli è più congeniale del sarcasmo e del disprezzo che è ritornato fuori appena quando scherzosamente ha chiuso il discorso con la frase di Veltroni: ‘pacatamente, serenamente se po’ ffà’. Tutto si è svolto nel segno della vittoria indiscussa che non deve essere fatta pesare più di tanto sulla testa degli avversari. La chiave di tutto sta nella frase di Casini, che stando nel mezzo, ‘a Dio spiacendo ed ai nemici suoi’, ha dovuto riconoscere l suo ex amico, non si sa con quanta intima rabbia, che nessuno prima di lui, neppure De Gasperi, ha avuto tanto potere. Gli ha anche fatto l’augurio, suonato come un monito, che ‘tanto potere lo sappia usare bene’. La frase di Casini è una di quelle che non si dimenticano, perché è evocatrice di grandi speranze: tanto più grande è il potere, tanto più sicura e forte sarà l’azione di governo, tanto maggiori saranno i risultati e tanto più lontana sarà la paura di pericoli e minacce. Il successo della nuova maggioranza è stato consegnato come un lascito dai cittadini mossi da ‘La Paura e la speranza’, le due parole del titolo del libro di Tremonti. Le cose, tuttavia, non sono così semplici ed ovvie come, a prima vista, appare. Il Cardinale Bertone, durante una celebrazione nella chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza di Roma, dove ha celebrato insieme a mons. Ravasi per un gruppo di parlamentari, si è espresso in merito affermando ‘il primato della verità sul potere’ e citando l’esempio di san Tommaso Moro. Il pensiero cattolico sulla questione è noto ed è stato ripreso dallo stesso Bertone, e dal rettore dell’Università del Laterano Fisichella, che si sono dichiarati per nulla preoccupati, come in un primo momento sembrava, della poca visibilità dei cattolici nelle file degli eletti e nell’esecutivo. Si osserva infatti che mai come questa volta si è relizzato il massimo di occultamento di uomini targati cattolici. Se si va ad analizzare la storia dei massimi esponenti della scena politica si vedrà che le persone emergenti non vengono dalla storia del movimento cattolico democratico, quello che ha le sue radici nella Rerum novarum, nell’Opera dei Congressi, nell’Azione cattolica, nella Fuci e in don Luigi Sturzo. Ma ciò sembra che non tolga i sonni al card. Bertone che ha dichiarato di non sentirsi deluso, ritienendo che nel mondo politico vi sono molti cattolici, anche se non targati politicamente tali, e che da essi ci si attende coerenza con i principi della fede e della morale cattolica, e ciò basta per il bene dell’Italia. Questa, d’altra parte, non è una posizione personale del segretario di Stato, ma sta scritta nelle linee pastorali della Chiesa italiana almeno dal 1995 quando a Palermo Giovanni Paolo II dichiarò la distanza della Chiesa come istituzione da preferenze e schieramenti politici e la unità dei fedeli laici nella difesa dei principi e dei valori cristiani. È ciò che i cattolici chiedono, anche oggi, agli eletti del popolo che nutrono nel cuore una fede sincera. Berlusconi ha invocato l’aiuto di Dio e poi ha evocato ‘la fortuna che va aiutata con coraggio e virtù’. Noi siamo con lui per la prima parte senza l’aggiunta di Machiavelli. Al Senato ha chiuso il discorso citando Benedetto XVI, concordando con lui sulla necessità di impegnarsi tutti per ‘realizzare il bene comune dell’amata Italia’. Elio Bromuri

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Dove stanno i cattolici? Di qua o di là. O altrove? https://www.lavoce.it/dove-stanno-i-cattolici-di-qua-o-di-la-o-altrove/ Thu, 05 Dec 2002 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=2835 La Rai, si sa è da sempre la cartina di tornasole della politica italiana. Avevano come oggetto proprio una trasmissione televisiva due pensosi editoriali comparsi nelle scorse settimane sui due maggiori quotidiani italiani, a firma rispettivamente di Ezio Mauro ed Ernesto Galli della Loggia. Temi ripresi da Ferrara sul Foglio e sull’Espresso da Berselli. Oggetto del discutere (oltre alla trasmissione di Socci) la presenza e il voto dei cattolici: a destra o a sinistra. Tutti i protagonisti di questa discussione, peraltro civile e dotta, non si qualificano come “cattolici”, ma ne interpretano le posizioni e sembrano indicarne l’agenda. I cattolici insomma, come diceva qualcuno negli anni novanta, devono stare (come tutti gli altri) “o di qua o di là”. Non ci siamo. Sia per l’intrinseca debolezza del “di qua” o del “di là”, come la cronaca si incarica di dimostrare, rispetto ad una offerta politica che certo potrebbe solo migliorare. Sia perché siamo ormai fuori dal XX secolo. Bisogna insomma rendere la vecchia politica del XX secolo, binaria e ad una sola dimensione, quantomeno tridimensionale. Ci vuole qualcuno che stia altrove. Si dirà: il Papa ha dato un buon esempio nel suo discorso in Parlamento, la Cei, quando parla di politica (non è affatto vero, infatti, che i Vescovi siano silenziosi), lo fa proprio su questo registro. Va bene, ma non basta.In questi anni della interminata transizione non è ancora emerso un registro che moduli l’interlocuzione dei cattolici con una storia ed una politica accelerata e contraddittoria. Certo ci vuole tempo, per uscire dal paradigma dei decenni passati. Oggi ci si muove in un campo assai diverso. Ma le misure erano state prese molto bene al convegno ecclesiale di Palermo. Occorre sgombrare il campo dalle troppe incrostazioni e macerie accumulate nella lunga transizione. E non è facile, perché tutto passa attraverso la biografia delle persone, gli incontri, le rotture, le polemiche.Eppure se il sistema del discorso pubblico, e non soltanto la politica in senso tecnico e limitato, non ritrova un “altrove” rispetto agli schieramenti, tutto rischia di essere sempre più povero. Forse questa oggi è una responsabilità dei cattolici: è anche un campo di lavoro comune, di larghe convergenze. Lo Sturzo o il De Gasperi di questa nuova fase (che magari è già all’opera e non ce ne accorgiamo) quale strumento utilizzerebbe? Forse non necessariamente quello partito. Largo è dunque lo spazio per l’inventiva, ma chiarissimo il problema, che non è solo dei cattolici, ma del paese, nel suo complesso. Cui i cattolici come hanno fatto sempre sono chiamati a dare delle risposte nuove. Queste non sembrano imminenti. Cominciamo però quanto meno a porci le domande giuste e a discuterne seriamente.

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