laicato cattolico Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/laicato-cattolico/ Settimanale di informazione regionale Mon, 01 May 2023 14:20:21 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg laicato cattolico Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/laicato-cattolico/ 32 32 Il lievito responsabile https://www.lavoce.it/il-lievito-responsabile/ Wed, 18 Jan 2023 16:03:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=70124

“La corresponsabilità esige un cambiamento di mentalità riguardante, in particolare, il ruolo dei laici nella Chiesa, che vanno considerati non come ‘collaboratori’ del clero, ma come persone realmente ‘corresponsabili’ dell’essere e dell’agire della Chiesa”. Una decina di anni fa, Papa Benedetto XVI scriveva queste parole per il Forum internazionale di Azione cattolica.

In poche righe c’è un mandato ancora valido per i laici di Ac: contributo specifico, rispetto dei compiti, comunione con i Pastori. Un mandato che, dopo la “diaspora ecclesiale” postpandemia, risuona ancora più urgente e necessario pure per le Chiese umbre.

Ruolo e rilevanza del laicato sono stati messi alla prova dai decenni scorsi, dai cambiamenti radicali del nostro Paese e della politica, dalle fatiche che la Chiesa post-conciliare fa ancora oggi ad accettare la corresponsabilità dei laici nella vita ecclesiale. E sì, quest’ultimo è ancora uno dei “punti dolenti” della quotidianità ecclesiale e della relazione di Ac con vescovi e sacerdoti. Su questo tasto i laici di Ac battono da tempo, e tanto hanno aiutato a plasmare identità e soggettività di tutti i battezzati a servizio della Chiesa di oggi.

È tempo di scrutare avanti, verso l’orizzonte, con sguardo profetico e piedi ben piantati a terra. Con obiettivi ben precisi, anche nella nostra terra umbra. I credenti adulti e maturi vanno formati avendo molto chiare la situazione attuale e le sfide della contemporaneità. Nella Chiesa che aspira a essere “sinodale”, il laicato associato può essere decisivo nel trovare la strada giusta, aggregando anche altre esperienze ecclesiali.

In Umbria, i numeri di Ac parlano di una presenza esigua ma viva e vitale. Una sorta di “ribellione alla statistica”, l’ha definita il presidente nazionale Giuseppe Notarstefano, come raccontiamo nel giornale. Una presenza che ora va rilanciata con un duplice impegno: quello dei laici a riscoprire l’essere lievito che fermenta e fa crescere tutta la “pasta”; e quello dei Pastori, a cominciare dai vescovi, a scommettere proprio sui laici per dare nuova linfa alla vita della Chiesa.

]]>

“La corresponsabilità esige un cambiamento di mentalità riguardante, in particolare, il ruolo dei laici nella Chiesa, che vanno considerati non come ‘collaboratori’ del clero, ma come persone realmente ‘corresponsabili’ dell’essere e dell’agire della Chiesa”. Una decina di anni fa, Papa Benedetto XVI scriveva queste parole per il Forum internazionale di Azione cattolica.

In poche righe c’è un mandato ancora valido per i laici di Ac: contributo specifico, rispetto dei compiti, comunione con i Pastori. Un mandato che, dopo la “diaspora ecclesiale” postpandemia, risuona ancora più urgente e necessario pure per le Chiese umbre.

Ruolo e rilevanza del laicato sono stati messi alla prova dai decenni scorsi, dai cambiamenti radicali del nostro Paese e della politica, dalle fatiche che la Chiesa post-conciliare fa ancora oggi ad accettare la corresponsabilità dei laici nella vita ecclesiale. E sì, quest’ultimo è ancora uno dei “punti dolenti” della quotidianità ecclesiale e della relazione di Ac con vescovi e sacerdoti. Su questo tasto i laici di Ac battono da tempo, e tanto hanno aiutato a plasmare identità e soggettività di tutti i battezzati a servizio della Chiesa di oggi.

È tempo di scrutare avanti, verso l’orizzonte, con sguardo profetico e piedi ben piantati a terra. Con obiettivi ben precisi, anche nella nostra terra umbra. I credenti adulti e maturi vanno formati avendo molto chiare la situazione attuale e le sfide della contemporaneità. Nella Chiesa che aspira a essere “sinodale”, il laicato associato può essere decisivo nel trovare la strada giusta, aggregando anche altre esperienze ecclesiali.

In Umbria, i numeri di Ac parlano di una presenza esigua ma viva e vitale. Una sorta di “ribellione alla statistica”, l’ha definita il presidente nazionale Giuseppe Notarstefano, come raccontiamo nel giornale. Una presenza che ora va rilanciata con un duplice impegno: quello dei laici a riscoprire l’essere lievito che fermenta e fa crescere tutta la “pasta”; e quello dei Pastori, a cominciare dai vescovi, a scommettere proprio sui laici per dare nuova linfa alla vita della Chiesa.

]]>
Gesù sceglie discepoli … ma con quali criteri? https://www.lavoce.it/gesu-sceglie-discepoli-ma-con-quali-criteri/ Fri, 11 Jun 2021 14:21:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60962

Terminate le solennità del Signore, la liturgia domenicale ci riporta all’ordinarietà del cammino di Gesù insieme ai suoi discepoli. Emerge un forte contrasto tra le narrazioni delle grandi feste, in cui i testi biblici ci hanno narrato le straordinarie manifestazioni del Signore e il Vangelo di questa domenica, che inaugura il tempo ordinario. Dalla solennità dell’Ascensione fino al Corpus Domini, la liturgia e la Parola di Dio hanno reso visibile il Mistero, anticipandoci il Regno nella sua prospettiva ultima. Ma gli “effetti speciali”, non sono l’agire ordinario di Dio, bensì lo è la sua azione nascosta e silenziosa, per la quale chiede la partecipazione dell’uomo.

Il cammino ordinario dell’anno liturgico

Il cammino ordinario dell’anno liturgico riprende con il Vangelo di Marco 4,26-34. Il brano conclude il racconto di alcune parabole con queste parole: “Con queste parabole [Gesù] annunciava la Parola. Senza parabole non parlava loro” (4,33-34). I l “discorso parabolico” traduceva in un linguaggio popolare i grandi misteri del Regno, ed evidenziava l’azione provvidenziale del Padre celeste affinché le folle comprendessero. Non mancava mai, però, un supplemento di spiritoegazione ai suoi discepoli: “In privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa” (v. 34). Quale opportunità per questi uomini che Gesù aveva da poco chiamato a seguirlo! “Costituì dunque i Dodici” (Mc 3,14-16). Una vera opera costitutiva di un gruppo scelto... ma quali sono i criteri con cui ha scelto queste persone? Quali le loro “competenze”?

Il Signore non sceglie in base ai “punteggi”…

Sappiamo bene dai racconti evangelici che nulla di straordinario potevano vantare per essere scelti: curricula non certo esaltanti, tranne qualche professionalità, ma che semmai eccelleva nella furbizia per approfittarsene. È possibile immaginare un legame tra le parabole narrate nel Vangelo odierno e il “materiale umano” di coloro a cui sarà affidato il compito di guidare la Chiesa? La chiamata degli apostoli, inauguratori della comunità messianica il cui fine è la realizzazione del Regno, sembra l’opera iniziale della semina: un atto da compiere con volontà di gettare il seme (Mc 4,26). Il resto è però affidato alla provvidenza divina: gettato il seme nel terreno, il successivo intervento da parte umana sarà il raccolto (v. 29). In mezzo c’è tutta l’opera nascosta di un Dio che provvede, dal primo stelo fino al frutto maturo (vv. 27-28).

…primo requisito un cuore libero

Il Signore non sembra scegliere in base ai “punteggi” acquisiti con le proprie forze nel corso della vita. Con Lui non si vantano crediti. Un cuore disponibile, libero tanto da accettare una sfida, capace di riconoscere l’amore: queste piuttosto sembrano essere le precondizioni per toccare il cuore di Dio. Poi il discepolo “si farà”. “Lasciarsi fare” da Dio è la garanzia per acquisire le virtù del chiamato. Essere chiamati e lasciarsi fare da Lui significa fidarsi di Lui, come ricorda la seconda lettura. “Sempre pieni di fiducia” (2Cor 5,6.8), ci esorta a essere san Paolo, perché il nostro cammino avanza nella fede, non nella visione (v. 7).

… capace di vivere l'esilio dal proprio corpo

Interessante anche la chiave di lettura che Paolo dà della nostra condizione: “Siamo in esilio, lontano dal Signore finché abitiamo il corpo” (v. 6), perciò per abitare presso il Signore è necessario essere esuli dal corpo (v. 8). L’esilio sembra essere la condizione necessaria per attraversare il tempo e “traguardare” l’eternità, la meta appagante. L’esilio sembra essere il luogo dove il Signore ci ha collocato stabilmente, forse per ricercare la vera patria, e misurare la nostra fede. Il popolo d’Israele in esilio ha fatto le cose migliori, le opere più gradite a Dio. Anche noi, popolo della nuova alleanza, il Signore sta “vagliando” con l’esilio. Anche la Chiesa può ritrovare se stessa ritrovando il Signore nella precarietà della condizione attuale, senza la ricerca di certezze “di bassa lega”.

Lo Spirito trasforma il cuore

La Provvidenza traccia il passo lungo che porta il seme a fruttificare (Mc 4,27-28), trasforma il piccolo seme di senape nell’albero più grande (v. 31-33), un piccolo ramoscello di cedro diventerà un cedro grandissimo (Ez 17,22-23). Il profeta, in questa prima lettura, sa vedere in un tempo di esilio l’opera che Dio ha immaginato.

Oggi la Chiesa ha questo sguardo profetico?

La nostra Chiesa, oggi, ha questo sguardo profetico? Siamo capaci di infondere speranza e fiducia in Dio? Oppure ricerchiamo “previdenze” ecclesiastiche che garantiscono un apparente successo, da presentare come via di accesso a futuri riconoscimenti? Molto appropriato il monito con cui Paolo conclude la seconda lettura: “Tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute, sia in bene che in male” (2Cor 3,10).]]>

Terminate le solennità del Signore, la liturgia domenicale ci riporta all’ordinarietà del cammino di Gesù insieme ai suoi discepoli. Emerge un forte contrasto tra le narrazioni delle grandi feste, in cui i testi biblici ci hanno narrato le straordinarie manifestazioni del Signore e il Vangelo di questa domenica, che inaugura il tempo ordinario. Dalla solennità dell’Ascensione fino al Corpus Domini, la liturgia e la Parola di Dio hanno reso visibile il Mistero, anticipandoci il Regno nella sua prospettiva ultima. Ma gli “effetti speciali”, non sono l’agire ordinario di Dio, bensì lo è la sua azione nascosta e silenziosa, per la quale chiede la partecipazione dell’uomo.

Il cammino ordinario dell’anno liturgico

Il cammino ordinario dell’anno liturgico riprende con il Vangelo di Marco 4,26-34. Il brano conclude il racconto di alcune parabole con queste parole: “Con queste parabole [Gesù] annunciava la Parola. Senza parabole non parlava loro” (4,33-34). I l “discorso parabolico” traduceva in un linguaggio popolare i grandi misteri del Regno, ed evidenziava l’azione provvidenziale del Padre celeste affinché le folle comprendessero. Non mancava mai, però, un supplemento di spiritoegazione ai suoi discepoli: “In privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa” (v. 34). Quale opportunità per questi uomini che Gesù aveva da poco chiamato a seguirlo! “Costituì dunque i Dodici” (Mc 3,14-16). Una vera opera costitutiva di un gruppo scelto... ma quali sono i criteri con cui ha scelto queste persone? Quali le loro “competenze”?

Il Signore non sceglie in base ai “punteggi”…

Sappiamo bene dai racconti evangelici che nulla di straordinario potevano vantare per essere scelti: curricula non certo esaltanti, tranne qualche professionalità, ma che semmai eccelleva nella furbizia per approfittarsene. È possibile immaginare un legame tra le parabole narrate nel Vangelo odierno e il “materiale umano” di coloro a cui sarà affidato il compito di guidare la Chiesa? La chiamata degli apostoli, inauguratori della comunità messianica il cui fine è la realizzazione del Regno, sembra l’opera iniziale della semina: un atto da compiere con volontà di gettare il seme (Mc 4,26). Il resto è però affidato alla provvidenza divina: gettato il seme nel terreno, il successivo intervento da parte umana sarà il raccolto (v. 29). In mezzo c’è tutta l’opera nascosta di un Dio che provvede, dal primo stelo fino al frutto maturo (vv. 27-28).

…primo requisito un cuore libero

Il Signore non sembra scegliere in base ai “punteggi” acquisiti con le proprie forze nel corso della vita. Con Lui non si vantano crediti. Un cuore disponibile, libero tanto da accettare una sfida, capace di riconoscere l’amore: queste piuttosto sembrano essere le precondizioni per toccare il cuore di Dio. Poi il discepolo “si farà”. “Lasciarsi fare” da Dio è la garanzia per acquisire le virtù del chiamato. Essere chiamati e lasciarsi fare da Lui significa fidarsi di Lui, come ricorda la seconda lettura. “Sempre pieni di fiducia” (2Cor 5,6.8), ci esorta a essere san Paolo, perché il nostro cammino avanza nella fede, non nella visione (v. 7).

… capace di vivere l'esilio dal proprio corpo

Interessante anche la chiave di lettura che Paolo dà della nostra condizione: “Siamo in esilio, lontano dal Signore finché abitiamo il corpo” (v. 6), perciò per abitare presso il Signore è necessario essere esuli dal corpo (v. 8). L’esilio sembra essere la condizione necessaria per attraversare il tempo e “traguardare” l’eternità, la meta appagante. L’esilio sembra essere il luogo dove il Signore ci ha collocato stabilmente, forse per ricercare la vera patria, e misurare la nostra fede. Il popolo d’Israele in esilio ha fatto le cose migliori, le opere più gradite a Dio. Anche noi, popolo della nuova alleanza, il Signore sta “vagliando” con l’esilio. Anche la Chiesa può ritrovare se stessa ritrovando il Signore nella precarietà della condizione attuale, senza la ricerca di certezze “di bassa lega”.

Lo Spirito trasforma il cuore

La Provvidenza traccia il passo lungo che porta il seme a fruttificare (Mc 4,27-28), trasforma il piccolo seme di senape nell’albero più grande (v. 31-33), un piccolo ramoscello di cedro diventerà un cedro grandissimo (Ez 17,22-23). Il profeta, in questa prima lettura, sa vedere in un tempo di esilio l’opera che Dio ha immaginato.

Oggi la Chiesa ha questo sguardo profetico?

La nostra Chiesa, oggi, ha questo sguardo profetico? Siamo capaci di infondere speranza e fiducia in Dio? Oppure ricerchiamo “previdenze” ecclesiastiche che garantiscono un apparente successo, da presentare come via di accesso a futuri riconoscimenti? Molto appropriato il monito con cui Paolo conclude la seconda lettura: “Tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute, sia in bene che in male” (2Cor 3,10).]]>
In questo numero: focus sul lavoro dei giovani e sulle Rsa https://www.lavoce.it/in-questo-numero-focus-sul-lavoro-dei-giovani-e-sulle-rsa/ Fri, 07 May 2021 15:19:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60530

Questa settimana su La Voce (Leggi tutto nell'edizione digitale)

l’editoriale

In Italia la fame non è stata sconfitta

di Andrea Zaghi In Italia c’è gente – molta gente -, che non riesce a mangiare continuativamente e correttamente. Si tratta spesso di intere famiglie, Stando alle analisi effettuate in base ad uno degli ultimi rapporti Istat, la quantità di persone (in Italia) che ha fame arriva ormai ad “oltre 3 milioni”, dicono i coltivatori diretti che hanno acceso una luce speciale su questa parte del Paese.  (…)

Focus

Tutte le mamme del mondo

di Dario Rivarossa Per la Festa della mamma (9 maggio) immaginiamo un “cantico delle creature” dedicato alle figure materne nel mondo animale. Fino ai moderni sviluppi dell’etologia, i comportamenti sociali degli animali si restringevano a qualche luogo comune e molte leggende. Coraggiosa e tragica, la madre alata descritta da Omero (…)

Il calcio umbro sale in B

di Andrea Franceschini Imparare dai propri errori. Si può sintetizzare così il miracolo umbro di serie C, che ha visto la promozione contemporanea di Perugia e Ternana in serie B (…)

Nel giornale

I giovani che resistono

Giovani e lavoro sono stati al centro del convegno online organizzato nei giorni scorsi dalla Chiesa umbra. Storie di persone che si sono rimboccate le maniche e hanno creato nuove attività nonostante l’infuriare della crisi, sanitaria ed economica allo stesso tempo. Un coraggio ancora più lodevole se si osservano le cifre contenute nel nuovo Rapporto giovani elaborato dall’Istituto Toniolo, che fotografa una situazione dai contorni tragici. Gli umbri di ogni generazione attendono adesso gli effetti delle scelte governative in materia di Pnrr. Quante delle reali esigenze della nostra Regione sono rappresentate in quel documento? Lo abbiamo chiesto alla presidente Tesei.

Ac ... e non solo

All’udienza con l’Azione cattolica al termine della loro Assemblea nazionale, Papa Francesco parla a “nuora” perché intendano anche le “suocere”, cioè l’intero laicato italiano. A cui l’Ac fa da apripista

Cultura

Possono finalmente riaprire i musei, pur con tutte le precauzioni. Orari e prenotazioni in Umbria

Sessualità

Dibattito sul disegno di legge a tutela delle persone Lgbt... e contro la Chiesa? La Cei dice no alle discriminazioni, ma chiede dialogo

Rsa: il caso delle tariffe

L’11 maggio nuova manifestazione dei gestori delle Rsa (residenze per anziani) di fronte al Consiglio regionale. Le “rette” sono ferme da vent’anni, ma sono lievitati i costi, e queste strutture non sono in grado di portare avanti il lavoro senza adeguati fondi pubblici]]>

Questa settimana su La Voce (Leggi tutto nell'edizione digitale)

l’editoriale

In Italia la fame non è stata sconfitta

di Andrea Zaghi In Italia c’è gente – molta gente -, che non riesce a mangiare continuativamente e correttamente. Si tratta spesso di intere famiglie, Stando alle analisi effettuate in base ad uno degli ultimi rapporti Istat, la quantità di persone (in Italia) che ha fame arriva ormai ad “oltre 3 milioni”, dicono i coltivatori diretti che hanno acceso una luce speciale su questa parte del Paese.  (…)

Focus

Tutte le mamme del mondo

di Dario Rivarossa Per la Festa della mamma (9 maggio) immaginiamo un “cantico delle creature” dedicato alle figure materne nel mondo animale. Fino ai moderni sviluppi dell’etologia, i comportamenti sociali degli animali si restringevano a qualche luogo comune e molte leggende. Coraggiosa e tragica, la madre alata descritta da Omero (…)

Il calcio umbro sale in B

di Andrea Franceschini Imparare dai propri errori. Si può sintetizzare così il miracolo umbro di serie C, che ha visto la promozione contemporanea di Perugia e Ternana in serie B (…)

Nel giornale

I giovani che resistono

Giovani e lavoro sono stati al centro del convegno online organizzato nei giorni scorsi dalla Chiesa umbra. Storie di persone che si sono rimboccate le maniche e hanno creato nuove attività nonostante l’infuriare della crisi, sanitaria ed economica allo stesso tempo. Un coraggio ancora più lodevole se si osservano le cifre contenute nel nuovo Rapporto giovani elaborato dall’Istituto Toniolo, che fotografa una situazione dai contorni tragici. Gli umbri di ogni generazione attendono adesso gli effetti delle scelte governative in materia di Pnrr. Quante delle reali esigenze della nostra Regione sono rappresentate in quel documento? Lo abbiamo chiesto alla presidente Tesei.

Ac ... e non solo

All’udienza con l’Azione cattolica al termine della loro Assemblea nazionale, Papa Francesco parla a “nuora” perché intendano anche le “suocere”, cioè l’intero laicato italiano. A cui l’Ac fa da apripista

Cultura

Possono finalmente riaprire i musei, pur con tutte le precauzioni. Orari e prenotazioni in Umbria

Sessualità

Dibattito sul disegno di legge a tutela delle persone Lgbt... e contro la Chiesa? La Cei dice no alle discriminazioni, ma chiede dialogo

Rsa: il caso delle tariffe

L’11 maggio nuova manifestazione dei gestori delle Rsa (residenze per anziani) di fronte al Consiglio regionale. Le “rette” sono ferme da vent’anni, ma sono lievitati i costi, e queste strutture non sono in grado di portare avanti il lavoro senza adeguati fondi pubblici]]>
C’è una gerarchia nelle “vocazioni”? Ne parlano un prete, una suora, una laica https://www.lavoce.it/ce-una-gerarchia-nelle-vocazioni-ne-parlano-un-prete-una-suora-una-laica/ Fri, 23 Apr 2021 11:46:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60269 Assemblea ecclesiale regionale 2019

C'è qualcosa che accomuna le vocazioni nella Chiesa? La diversità che c'è tra diverse forme di vita si traduce in una differenza anche di “valore”? Sono domande che emergono nella filigrana degli interventi che abbiamo è pubblicato su La Voce nelle due pagine dedicate alle vocazioni nella Chiesa. Tre contributi che offrono una comprensione alla domanda che molti cristiani si pongono, a tutte le età: cosa vuole Dio da me? Le riflessioni che ci portano don Francesco (prete), suor Silvana (religiosa), Veronica (laica), sono fondate sulla Parola e sul Magistero. Qui riportiamo alcuni passaggi dei loro interventi che potete leggere on line nell'edizione digitale de La Voce.

Veronica: la “vocazione” riguarda ogni singolo battezzato

«Parlare di vocazione non è solo parlare di una scelta, ma è cercare di descrivere in qualche modo l’intera persona alla luce di una chiamata: alla vita, alla santità, al servizio nella Chiesa e nel mondo. La prima chiamata è al battesimo, che conforma ogni uomo e ogni donna a Cristo e, in virtù di questo, ci apre alla vocazione alla santità “connessa con la missione e la responsabilità affidate ai fedeli laici nella Chiesa e nel mondo” (ChL 17). Per questo si può e si deve parlare di vocazione laicale, senza pensare che ci siano vocazioni migliori, più perfette o superiori alle altre. Tutte le vocazioni si collocano all’interno della Chiesa, e ciò vale sia per il ministero ordinato sia per la vita consacrata nelle sue varie forme, sia per la vocazione laicale. Don Tonino Bello diceva che “il laico è colui che porta la tuta del lavoro in chiesa e la veste battesimale nei cantieri”, per sottolineare come il mondo è lo spazio in cui siamo chiamati a giocare la nostra identità di cristiani, capaci di grande spiritualità e di abitare le città, le situazioni di ogni giorno, le lotte e le gioie, vivendo un vangelo incarnato. Lo spirito con cui noi laici siamo chiamati, vocati, è quello di fare della nostra vita qualcosa di grande». Veronica Rossi delegata regionale dell’Azione cattolica umbra

Suor Silvana: gli istituti religiosi possono cambiare. Quello che non finirà è il mandato di Gesù: “Andate e predicate”

«Lo Spirito santo ha suscitato nella Chiesa tante modalità diverse di vivere questo mandato, tante vocazioni: nella famiglia, nel sacerdozio, nella consacrazione religiosa, nel laicato. All’interno della stessa vita consacrata si sono moltiplicate, nel corso dei secoli, le forme più diverse di sequela di Cristo per rispondere all’invito di consegnare la propria vita, accolta come un dono, a disposizione del regno di Dio. (…) Molti Ordini religiosi sono scomparsi, altri si sono trasformati, altri nuovi stanno sorgendo. Tutti però hanno sempre avuto come impulso propulsore l’azione dello Spirito santo che ispira vie sempre nuove per non perdere di vista l’unica cosa necessaria: il proprio rapporto personale con Dio e l’adesione al Suo piano di salvezza. I religiosi sono donne e uomini che vivono nel loro tempo, nascono e crescono nella propria cultura, e pertanto vivono gli stessi cambiamenti che il mondo vive. La vita religiosa è un campo con infinite qualità e colori di fiori, tutti però con un unico obiettivo che è quello di dare lode a Dio. Le congregazioni, gli Ordini, gli istituti sono tutte forme esteriori che possono cambiare, come cambia il modo di vestirsi delle persone. Possono anche cessare di esistere, per dare vita a qualcosa di nuovo. Quello che non finirà è il mandato che Gesù ha lasciato: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15)». Suor Silvana Mori suora francescana alcantarina, presidente Usmi Umbria
 

Don Francesco: vescovi, preti e diaconi secondo il Concilio? Diaconia al sacerdozio comune dei fedeli

«Parlare di “ministero ordinato” non è mai semplice, per la complessità dello stesso, ci vorrebbe infatti più di un semplice contributo come questo per parlarne approfonditamente. E ancor meno lo è quando su di esso si proiettano convinzioni e aspettative personalistiche, introdotte generalmente dall’espressione “secondo me…”. (…) Pertanto, per comprendere meglio il senso di questa vocazione mi affido alla sacra Scrittura e a un testimone privilegiato della tradizione, il Rito dell’ordinazione del vescovo, dei presbiteri e dei diaconi. (…) Leggendo il Rituale, soffermandoci sulle varie formule comprendiamo bene che il “ministero ordinato” ha quale comune denominatore, in tutti i suoi gradi, la dinamica del servizio, che si esplica attraverso le specifiche funzioni di ogni ufficio. Questa logica della diaconìa (servizio), testimoniata dalla Scrittura in riferimento ai ministeri presenti nella Chiesa apostolica, può e deve ancor oggi illuminare il sacerdozio ministeriale e la sua missione. Infatti, pur essendo stato oggetto di un’evoluzione lungo il corso della storia, il ministero ordinato trova la sua sorgente nel sacerdozio di Cristo e la sua dimensione specifica nella diaconia, come tutta la ministerialità neotestamentaria. Oggi come allora, dunque, il ministero va assunto e vissuto nella diaconia al sacerdozio comune dei fedeli. (…) La vita di tutti i credenti è sacerdotale, tutti i battezzati sono ‘sacerdoti’, il popolo di Dio è un “popolo sacerdotale”, come afferma la stessa Scrittura, nel quale il sacerdozio ministeriale si innesta e compie la sua opera in spirito di servizio, pascendo il gregge affidato “sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1Pt 5,2-3)». Don Francesco Verzini vice rettore Seminario regionale umbro    ]]>
Assemblea ecclesiale regionale 2019

C'è qualcosa che accomuna le vocazioni nella Chiesa? La diversità che c'è tra diverse forme di vita si traduce in una differenza anche di “valore”? Sono domande che emergono nella filigrana degli interventi che abbiamo è pubblicato su La Voce nelle due pagine dedicate alle vocazioni nella Chiesa. Tre contributi che offrono una comprensione alla domanda che molti cristiani si pongono, a tutte le età: cosa vuole Dio da me? Le riflessioni che ci portano don Francesco (prete), suor Silvana (religiosa), Veronica (laica), sono fondate sulla Parola e sul Magistero. Qui riportiamo alcuni passaggi dei loro interventi che potete leggere on line nell'edizione digitale de La Voce.

Veronica: la “vocazione” riguarda ogni singolo battezzato

«Parlare di vocazione non è solo parlare di una scelta, ma è cercare di descrivere in qualche modo l’intera persona alla luce di una chiamata: alla vita, alla santità, al servizio nella Chiesa e nel mondo. La prima chiamata è al battesimo, che conforma ogni uomo e ogni donna a Cristo e, in virtù di questo, ci apre alla vocazione alla santità “connessa con la missione e la responsabilità affidate ai fedeli laici nella Chiesa e nel mondo” (ChL 17). Per questo si può e si deve parlare di vocazione laicale, senza pensare che ci siano vocazioni migliori, più perfette o superiori alle altre. Tutte le vocazioni si collocano all’interno della Chiesa, e ciò vale sia per il ministero ordinato sia per la vita consacrata nelle sue varie forme, sia per la vocazione laicale. Don Tonino Bello diceva che “il laico è colui che porta la tuta del lavoro in chiesa e la veste battesimale nei cantieri”, per sottolineare come il mondo è lo spazio in cui siamo chiamati a giocare la nostra identità di cristiani, capaci di grande spiritualità e di abitare le città, le situazioni di ogni giorno, le lotte e le gioie, vivendo un vangelo incarnato. Lo spirito con cui noi laici siamo chiamati, vocati, è quello di fare della nostra vita qualcosa di grande». Veronica Rossi delegata regionale dell’Azione cattolica umbra

Suor Silvana: gli istituti religiosi possono cambiare. Quello che non finirà è il mandato di Gesù: “Andate e predicate”

«Lo Spirito santo ha suscitato nella Chiesa tante modalità diverse di vivere questo mandato, tante vocazioni: nella famiglia, nel sacerdozio, nella consacrazione religiosa, nel laicato. All’interno della stessa vita consacrata si sono moltiplicate, nel corso dei secoli, le forme più diverse di sequela di Cristo per rispondere all’invito di consegnare la propria vita, accolta come un dono, a disposizione del regno di Dio. (…) Molti Ordini religiosi sono scomparsi, altri si sono trasformati, altri nuovi stanno sorgendo. Tutti però hanno sempre avuto come impulso propulsore l’azione dello Spirito santo che ispira vie sempre nuove per non perdere di vista l’unica cosa necessaria: il proprio rapporto personale con Dio e l’adesione al Suo piano di salvezza. I religiosi sono donne e uomini che vivono nel loro tempo, nascono e crescono nella propria cultura, e pertanto vivono gli stessi cambiamenti che il mondo vive. La vita religiosa è un campo con infinite qualità e colori di fiori, tutti però con un unico obiettivo che è quello di dare lode a Dio. Le congregazioni, gli Ordini, gli istituti sono tutte forme esteriori che possono cambiare, come cambia il modo di vestirsi delle persone. Possono anche cessare di esistere, per dare vita a qualcosa di nuovo. Quello che non finirà è il mandato che Gesù ha lasciato: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15)». Suor Silvana Mori suora francescana alcantarina, presidente Usmi Umbria
 

Don Francesco: vescovi, preti e diaconi secondo il Concilio? Diaconia al sacerdozio comune dei fedeli

«Parlare di “ministero ordinato” non è mai semplice, per la complessità dello stesso, ci vorrebbe infatti più di un semplice contributo come questo per parlarne approfonditamente. E ancor meno lo è quando su di esso si proiettano convinzioni e aspettative personalistiche, introdotte generalmente dall’espressione “secondo me…”. (…) Pertanto, per comprendere meglio il senso di questa vocazione mi affido alla sacra Scrittura e a un testimone privilegiato della tradizione, il Rito dell’ordinazione del vescovo, dei presbiteri e dei diaconi. (…) Leggendo il Rituale, soffermandoci sulle varie formule comprendiamo bene che il “ministero ordinato” ha quale comune denominatore, in tutti i suoi gradi, la dinamica del servizio, che si esplica attraverso le specifiche funzioni di ogni ufficio. Questa logica della diaconìa (servizio), testimoniata dalla Scrittura in riferimento ai ministeri presenti nella Chiesa apostolica, può e deve ancor oggi illuminare il sacerdozio ministeriale e la sua missione. Infatti, pur essendo stato oggetto di un’evoluzione lungo il corso della storia, il ministero ordinato trova la sua sorgente nel sacerdozio di Cristo e la sua dimensione specifica nella diaconia, come tutta la ministerialità neotestamentaria. Oggi come allora, dunque, il ministero va assunto e vissuto nella diaconia al sacerdozio comune dei fedeli. (…) La vita di tutti i credenti è sacerdotale, tutti i battezzati sono ‘sacerdoti’, il popolo di Dio è un “popolo sacerdotale”, come afferma la stessa Scrittura, nel quale il sacerdozio ministeriale si innesta e compie la sua opera in spirito di servizio, pascendo il gregge affidato “sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1Pt 5,2-3)». Don Francesco Verzini vice rettore Seminario regionale umbro    ]]>
Vocazioni. Chiamati a rendere fruttuoso il dono di Dio https://www.lavoce.it/vocazioni-chiamati-a-rendere-fruttuoso-il-dono-di-dio/ Thu, 22 Apr 2021 11:01:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60224

Nel messaggio per questa 58a Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni (25 aprile), Papa Francesco ci invita a riflettere, guardando alla figura di san Giuseppe, sul sogno della vocazione. Tutti noi, in modi diversi, dobbiamo a un sogno iniziale quello che siamo oggi; un sogno non cercato, eppure trepidamente amato e voluto, anche se talvolta - purtroppo - non pienamente realizzato.

Tre “chiamate” per i battezzati

Inseriti con il battesimo nella storia della salvezza cristiana, la nostra stessa esistenza diventa una storia di salvezza, caratterizzata da almeno tre “chiamate”: quella alla santità perché, rivestiti di Gesù Cristo e abbeverati dal suo Spirito, i cristiani sono “santi” e, perciò, abilitati e impegnati a manifestare la santità del loro essere nella santità del loro operare. Quella alla missione, perché la vocazione alla santità è intimamente connessa con la responsabilità di annunciare e testimoniare la vita buona e bella del Vangelo. Quella alla comunione, perché il battesimo, che unisce Cristo con i battezzati, è la porta e il fondamento della comunione nella Chiesa.

In modi diversi

In modo particolare, nella chiamata al sacerdozio si rinnova il mistero della Chiesa, che è quello di essere un popolo di chiamati. Nei presbiteri e nei religiosi rifiorisce, nel suo valore sempre creativo, il gesto d’amore infinito con il quale Gesù interpella e sospinge alla sequela: “Vieni, seguimi” (Mc 10,21).
[“Le vocazioni in otto parole” - Il video della Commissione CEU con otto testimonianze di vocazioni]

Radice della “chiamata” è la scelta di Dio

Non possiamo, infatti, dimenticare che alla radice più profonda del nostro essere sacerdoti, come del nostro essere cristiani, vi è l’iniziativa divina carica di amore, vi è l’appello e la scelta di Dio, in Cristo Gesù. Non la nostra preparazione ce ne rende degni, e nemmeno le nostre qualità umane e la nostra bontà ci abilitano ad accogliere e assumere il progetto di Dio. Solo la nostra trepidante e consapevole povertà può essere il terreno fecondo dell’abbraccio di Dio. Ed è solo nella misura in cui noi - vescovi, sacerdoti, persone consacrate, ogni credente - sapremo di continuo riscoprire la nostra piccolezza di fronte al dono grandissimo e gratuito di Dio che porteremo frutto.

Una Giornata di preghiera

La celebrazione della Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni ci ricorda che tocca al popolo cristiano, specialmente alle famiglie, preparare il terreno e il clima favorevole al dischiudersi dei giovani alle cose di Dio. È tutto il popolo cristiano che deve domandare umilmente ciò che Dio solo può dare, pregando, secondo il comandamento del Maestro, perché mandi operai nella sua messe (Mt 9,38).

Ammirazione e gratitudine per i sacerdoti

Questo giorno, poi, offre a tutti noi l’occasione per ripetere ai nostri sacerdoti, riconoscendo la consegna della loro vita al Vangelo e ai fratelli, l’ammirazione e la gratitudine per il peso che portano con serenità e discrezione: per l’umiltà con cui accettano - nonostante l’esperienza accumulata - di rimettere quotidianamente in questione il loro modo di fare e di vedere; per l’impegno costante di servire e non di essere serviti; per la castità e il celibato vissuti senza drammi e senza rimpianti; per la preghiera semplice e fedele, carica della presenza di tutti; per la loro fede vivificata dall’eucarestia e dalla Parola; per il senso della Chiesa che richiede molti distacchi e continua conversione, fiducia e tenacia; per la passione che li anima nel trasmettere a tutti, piccoli e grandi, la buona notizia di Gesù. Il Signore che li ha scelti e li ha consacrati sia la loro eredità (cfr. Dt 18,2), e ricolmi il loro cuore e la loro vita della gioia e della pace che riserva per i suoi amici.]]>

Nel messaggio per questa 58a Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni (25 aprile), Papa Francesco ci invita a riflettere, guardando alla figura di san Giuseppe, sul sogno della vocazione. Tutti noi, in modi diversi, dobbiamo a un sogno iniziale quello che siamo oggi; un sogno non cercato, eppure trepidamente amato e voluto, anche se talvolta - purtroppo - non pienamente realizzato.

Tre “chiamate” per i battezzati

Inseriti con il battesimo nella storia della salvezza cristiana, la nostra stessa esistenza diventa una storia di salvezza, caratterizzata da almeno tre “chiamate”: quella alla santità perché, rivestiti di Gesù Cristo e abbeverati dal suo Spirito, i cristiani sono “santi” e, perciò, abilitati e impegnati a manifestare la santità del loro essere nella santità del loro operare. Quella alla missione, perché la vocazione alla santità è intimamente connessa con la responsabilità di annunciare e testimoniare la vita buona e bella del Vangelo. Quella alla comunione, perché il battesimo, che unisce Cristo con i battezzati, è la porta e il fondamento della comunione nella Chiesa.

In modi diversi

In modo particolare, nella chiamata al sacerdozio si rinnova il mistero della Chiesa, che è quello di essere un popolo di chiamati. Nei presbiteri e nei religiosi rifiorisce, nel suo valore sempre creativo, il gesto d’amore infinito con il quale Gesù interpella e sospinge alla sequela: “Vieni, seguimi” (Mc 10,21).
[“Le vocazioni in otto parole” - Il video della Commissione CEU con otto testimonianze di vocazioni]

Radice della “chiamata” è la scelta di Dio

Non possiamo, infatti, dimenticare che alla radice più profonda del nostro essere sacerdoti, come del nostro essere cristiani, vi è l’iniziativa divina carica di amore, vi è l’appello e la scelta di Dio, in Cristo Gesù. Non la nostra preparazione ce ne rende degni, e nemmeno le nostre qualità umane e la nostra bontà ci abilitano ad accogliere e assumere il progetto di Dio. Solo la nostra trepidante e consapevole povertà può essere il terreno fecondo dell’abbraccio di Dio. Ed è solo nella misura in cui noi - vescovi, sacerdoti, persone consacrate, ogni credente - sapremo di continuo riscoprire la nostra piccolezza di fronte al dono grandissimo e gratuito di Dio che porteremo frutto.

Una Giornata di preghiera

La celebrazione della Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni ci ricorda che tocca al popolo cristiano, specialmente alle famiglie, preparare il terreno e il clima favorevole al dischiudersi dei giovani alle cose di Dio. È tutto il popolo cristiano che deve domandare umilmente ciò che Dio solo può dare, pregando, secondo il comandamento del Maestro, perché mandi operai nella sua messe (Mt 9,38).

Ammirazione e gratitudine per i sacerdoti

Questo giorno, poi, offre a tutti noi l’occasione per ripetere ai nostri sacerdoti, riconoscendo la consegna della loro vita al Vangelo e ai fratelli, l’ammirazione e la gratitudine per il peso che portano con serenità e discrezione: per l’umiltà con cui accettano - nonostante l’esperienza accumulata - di rimettere quotidianamente in questione il loro modo di fare e di vedere; per l’impegno costante di servire e non di essere serviti; per la castità e il celibato vissuti senza drammi e senza rimpianti; per la preghiera semplice e fedele, carica della presenza di tutti; per la loro fede vivificata dall’eucarestia e dalla Parola; per il senso della Chiesa che richiede molti distacchi e continua conversione, fiducia e tenacia; per la passione che li anima nel trasmettere a tutti, piccoli e grandi, la buona notizia di Gesù. Il Signore che li ha scelti e li ha consacrati sia la loro eredità (cfr. Dt 18,2), e ricolmi il loro cuore e la loro vita della gioia e della pace che riserva per i suoi amici.]]>
Si apre l’anno di Amoris Laetitia. In questo numero focus sulla famiglia https://www.lavoce.it/si-apre-lanno-di-amoris-laetitia-in-questo-numero-focus-sulla-famiglia/ Thu, 18 Mar 2021 10:50:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59577

Questo e tanto altro nel numero di questa settimana con un focus sull'anno dedicato all'approfodnimento di Amoris Laetitia. Leggilo in edizione digitale.

l’editoriale

Un anno col virus, mai senza speranza. Ora è tempo di vaccini

Daniele Morini Un anno di pandemia ha interpellato su più fronti (anche sui vaccini) anche le Chiese umbre. Dopo un primo periodo di disorientamento, le nostre comunità si sono tirate su le maniche e si sono rimesse al lavoro, con una missione antica e modalità nuove. La vicinanza spirituale, anche quando le celebrazioni liturgiche erano impossibili, la preghiera a distanza e attraverso i media, i tanti aiuti materiali messi in campo dalle Caritas locali e nazionale, specie nei momenti in cui tardavano i ristori e i bonus dello Stato. E ancora …

Focus

Opportunità per il laicato

don Andrea Rossi Ci siamo svegliati un giorno, ed è questo, e ci siamo accorti che tutte le parole sui documenti del magistero riguardanti i laici avevano ben individuato la loro identità come soggetti...

Recovery Fund. E i progetti?

Nicola Salvagnin Arrivano i soldi, ma ci sono i progetti? E per “progetto” s’intende un piano completo di tutto, dalla realizzabilità pratica alla sostenibilità finanziaria ben precisata. Perché sono solo questi progetti che godranno dei finanziamenti del Recovery Fund. I libri dei sogni no. Beh, che ci vuole...

Nel giornale

Famiglia è amore. Amore è letizia

Dal 19 marzo ha inizio nella Chiesa universale un anno intero di riflessione sull’esortazione apostolica Amoris laetitia di Papa Francesco. Testo rivoluzionario, profetico, che dopo cinque anni è ancora tutto da approfondire e applicare. Vediamo come ci si sta preparando in Umbria. Ma confrontiamo anche le esigenze della pastorale familiare odierna con la concreta situazione dell’Umbria, in preda a un drammatico “inverno demografico”. Da destra e da sinistra (politicamente parlando) arrivano due proposte di leggi più a misura di famiglia. Intanto, due libri raccontano le esperienze maturate nel mondo cattolico della nostra Regione in fatto di formazione delle coppie e adozioni internazionali.  

Missionari martiri

24 marzo, Giornata di preghiera e digiuno per coloro - preti, religiosi e religiose, laici - che nel mondo hanno dato la vita per annunciare il Vangelo. Magari uccisi per odio alla fede o magari per rapina, ma sempre sacrificio da onorare

Azione Cattolica

Consiglio regionale elettivo, con intervento di Luigi Alici. Una riflessione su “dove siamo” come Chiesa, e dove dovrebbe essere l’Ac oggi

Covid e scuola

Proteste di genitori e insegnanti per la decisione della Regione Umbria di applicare nella misura più restrittiva le norme emanate dal Governo centrale. Le precauzioni a favore della salute - denunciano - stanno avendo pesanti ripercussioni sulle nuove generazioni

Dante

Il 2021 è il “suo” anno. Foligno, che ha stampato la prima Commedia, gli dedica vari eventi in chiave francescana  ]]>

Questo e tanto altro nel numero di questa settimana con un focus sull'anno dedicato all'approfodnimento di Amoris Laetitia. Leggilo in edizione digitale.

l’editoriale

Un anno col virus, mai senza speranza. Ora è tempo di vaccini

Daniele Morini Un anno di pandemia ha interpellato su più fronti (anche sui vaccini) anche le Chiese umbre. Dopo un primo periodo di disorientamento, le nostre comunità si sono tirate su le maniche e si sono rimesse al lavoro, con una missione antica e modalità nuove. La vicinanza spirituale, anche quando le celebrazioni liturgiche erano impossibili, la preghiera a distanza e attraverso i media, i tanti aiuti materiali messi in campo dalle Caritas locali e nazionale, specie nei momenti in cui tardavano i ristori e i bonus dello Stato. E ancora …

Focus

Opportunità per il laicato

don Andrea Rossi Ci siamo svegliati un giorno, ed è questo, e ci siamo accorti che tutte le parole sui documenti del magistero riguardanti i laici avevano ben individuato la loro identità come soggetti...

Recovery Fund. E i progetti?

Nicola Salvagnin Arrivano i soldi, ma ci sono i progetti? E per “progetto” s’intende un piano completo di tutto, dalla realizzabilità pratica alla sostenibilità finanziaria ben precisata. Perché sono solo questi progetti che godranno dei finanziamenti del Recovery Fund. I libri dei sogni no. Beh, che ci vuole...

Nel giornale

Famiglia è amore. Amore è letizia

Dal 19 marzo ha inizio nella Chiesa universale un anno intero di riflessione sull’esortazione apostolica Amoris laetitia di Papa Francesco. Testo rivoluzionario, profetico, che dopo cinque anni è ancora tutto da approfondire e applicare. Vediamo come ci si sta preparando in Umbria. Ma confrontiamo anche le esigenze della pastorale familiare odierna con la concreta situazione dell’Umbria, in preda a un drammatico “inverno demografico”. Da destra e da sinistra (politicamente parlando) arrivano due proposte di leggi più a misura di famiglia. Intanto, due libri raccontano le esperienze maturate nel mondo cattolico della nostra Regione in fatto di formazione delle coppie e adozioni internazionali.  

Missionari martiri

24 marzo, Giornata di preghiera e digiuno per coloro - preti, religiosi e religiose, laici - che nel mondo hanno dato la vita per annunciare il Vangelo. Magari uccisi per odio alla fede o magari per rapina, ma sempre sacrificio da onorare

Azione Cattolica

Consiglio regionale elettivo, con intervento di Luigi Alici. Una riflessione su “dove siamo” come Chiesa, e dove dovrebbe essere l’Ac oggi

Covid e scuola

Proteste di genitori e insegnanti per la decisione della Regione Umbria di applicare nella misura più restrittiva le norme emanate dal Governo centrale. Le precauzioni a favore della salute - denunciano - stanno avendo pesanti ripercussioni sulle nuove generazioni

Dante

Il 2021 è il “suo” anno. Foligno, che ha stampato la prima Commedia, gli dedica vari eventi in chiave francescana  ]]>
Chiesa e Covid. Aggregazioni laicali: scommettiamo insieme sul futuro https://www.lavoce.it/chiesa-e-covid-aggregazioni-laicali-scommettiamo-insieme-sul-futuro/ Thu, 23 Jul 2020 15:19:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57547 commenti

Si è tenuto il 18 luglio l’incontro “Le realtà ecclesiali, segno di speranza”, organizzato in streaming dalla Consulta delle aggregazioni laicali (Cnal). Ai lavori online ha partecipato anche mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei. L’appuntamento è stato l’occasione per il laicato cattolico di interrogarsi, in una prospettiva di futuro, sul modo di essere Chiesa in tempo di pandemia. Nella consapevolezza che solo attraverso una sinodalità concretamente vissuta i diversi movimenti, associazioni e terzo settore potranno essere al servizio della società, offrendo il proprio contributo per affrontare i problemi economici, sanitari ed educativi.

Interventi dei partecipanti

Nell’incontro, i rappresentanti del laicato cattolico hanno sottolineato la prospettiva con cui guardare al futuro. Un futuro che - come hanno ribadito Rosalba Poli e Andrea Goller, responsabili nazionali del movimento dei Focolari - ha come obiettivo quello di “scommettere sulla capacità degli esseri umani di tirare fuori il meglio di sé”, di trasformare la ferita che ha portato la pandemia, in un’opportunità per leggere in maniera ancora più profonda i segni dei tempi. Giuseppe Notarstefano, vice presidente Adulti di Azione cattolica, nell’evidenziare come il ruolo delle aggregazioni laicali si riveli fondamentale nell’ottica di una Chiesa missionaria, ha aggiunto che “la sfida più grande è quella della mediazione culturale: con la capacità del mondo cattolico di elaborare una visione dell’ecologia integrale, a partire da proposte concrete con un modello di crescita attento alla vita delle persone”. Mario Landi, coordinatore nazionale del Rinnovamento dello Spirito, si è invece soffermato su come spesso i cattolici siano considerati “come una sorta di pronto soccorso sui problemi”. E a proposito del terzo settore: “Non può essere la cenerentola della vita sociale, dove tutto diventa o capitalismo o statalismo. Il terzo settore fatto di associazioni, volontariato e progetti sociali, deve trovare alleanze che non siano solo unità ecclesiali ma parlino anche a quella parte di società civile, che sebbene fuori dall’esperienza cattolica, agisce per il bene comune e la dignità della persona”. Sull’utilizzo massivo della Rete e dei social nei mesi di lockdown, ha fatto notare che “possono essere una grande occasione di crescita, ma anche di imbarbarimento, sia sul piano sociale che della fede. Dobbiamo sfruttarne il bene. Ma il virtuale non può sostituirsi al reale, di cui c’è bisogno”. Al dibattito sono intervenuti anche alcuni rappresentanti del Forum associazioni familiari, Retinopera, Scout d’Europa, Fuci, Incontro matrimoniale, Meic e Ucid. A concludere, Maddalena Pievaioli, segretaria generale della Cnal (oltre che Segretaria della Consulta della diocesi di Perugia-Città della Pieve), e mons. Vito Angiuli, presidente della Commissione episcopale per il laicato, il quale ha ribadito come l’incontro abbia segnato “l’inizio di una nuova fase per le aggregazioni laicali, speranza della nostra società”.

Mons. Russo: ci è chiesta “testimonianza credibile”

Mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, nella sua riflessione al video-incontro della Consulta ha indicato nell’appartenenza e nella testimonianza gli elementi caratteristici di un cammino di Chiesa “che porta alla speranza cristiana”. Dove appartenenza “non significa esclusione o privilegio né tanto meno privazione o rinuncia, ma ricchezza. I nostri ambiti di vita quotidiana – ha proseguito – sono infatti molto sensibili a una testimonianza che sia credibile. Guardando Gesù si può cogliere come egli abbia sempre detto ciò che ha pensato e fatto ciò che ha detto”. Da questo punto di vista, ha concluso mons. Russo, “un segno di speranza arriva dalla vostra presenza e volontà di ‘esserci insieme’ con la coscienza dell’appartenenza all’unica Chiesa e con la forza di chi sa che, tanto più in questo tempo particolare, il segno forte è quello di una testimonianza che ci vede impegnati ad essere costruttori di comunione”.

Pievaioli: “Sognare insieme la Chiesa del terzo millennio”

La Consulta - ha riepilogato Maddalena Pievaioli - “ha organizzato un incontro per dialogare, riflettere e rispondere insieme, come laicato impegnato, alle urgenze del momento presente. In particolare alla necessità di leggere insieme le urgenze che la situazione attuale ci pone, o meglio la chiamata che il Signore ci rivolge attraverso di questa, per rispondere ai diversi gridi che si levano oggi dalla storia. Desiderio di trovare qualche segno, qualche gesto, qualche iniziativa da portare avanti insieme, ognuno secondo il proprio carisma, ma superando i propri ‘confini’, in quella comunione profonda che è la Chiesa, per rispondere a quanto intravisto. Speranza di iniziare un cammino di maggiore fraternità e collaborazione tra le diverse associazioni e movimenti, per essere insieme Chiesa in uscita al servizio della società e capace di dialogare con il mondo contemporaneo. Sognare insieme la Chiesa del terzo millennio, quella Chiesa popolo di Dio che il Concilio ha delineato, e che Papa Francesco continuamente ci addita: una Chiesa comunione, profezia, servizio e impegnarci a realizzarla, sia a livello personale che associativo. L’incontro online ha visto la partecipazione di oltre 300 persone dell’intero territorio nazionale, anche in rappresentanza delle diverse Consulte territoriali. Speriamo ora di poter continuare il cammino iniziato, per essere sempre più sale e luce in questo momento che ne ha tanto bisogno”. D. A. - D. R.]]>
commenti

Si è tenuto il 18 luglio l’incontro “Le realtà ecclesiali, segno di speranza”, organizzato in streaming dalla Consulta delle aggregazioni laicali (Cnal). Ai lavori online ha partecipato anche mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei. L’appuntamento è stato l’occasione per il laicato cattolico di interrogarsi, in una prospettiva di futuro, sul modo di essere Chiesa in tempo di pandemia. Nella consapevolezza che solo attraverso una sinodalità concretamente vissuta i diversi movimenti, associazioni e terzo settore potranno essere al servizio della società, offrendo il proprio contributo per affrontare i problemi economici, sanitari ed educativi.

Interventi dei partecipanti

Nell’incontro, i rappresentanti del laicato cattolico hanno sottolineato la prospettiva con cui guardare al futuro. Un futuro che - come hanno ribadito Rosalba Poli e Andrea Goller, responsabili nazionali del movimento dei Focolari - ha come obiettivo quello di “scommettere sulla capacità degli esseri umani di tirare fuori il meglio di sé”, di trasformare la ferita che ha portato la pandemia, in un’opportunità per leggere in maniera ancora più profonda i segni dei tempi. Giuseppe Notarstefano, vice presidente Adulti di Azione cattolica, nell’evidenziare come il ruolo delle aggregazioni laicali si riveli fondamentale nell’ottica di una Chiesa missionaria, ha aggiunto che “la sfida più grande è quella della mediazione culturale: con la capacità del mondo cattolico di elaborare una visione dell’ecologia integrale, a partire da proposte concrete con un modello di crescita attento alla vita delle persone”. Mario Landi, coordinatore nazionale del Rinnovamento dello Spirito, si è invece soffermato su come spesso i cattolici siano considerati “come una sorta di pronto soccorso sui problemi”. E a proposito del terzo settore: “Non può essere la cenerentola della vita sociale, dove tutto diventa o capitalismo o statalismo. Il terzo settore fatto di associazioni, volontariato e progetti sociali, deve trovare alleanze che non siano solo unità ecclesiali ma parlino anche a quella parte di società civile, che sebbene fuori dall’esperienza cattolica, agisce per il bene comune e la dignità della persona”. Sull’utilizzo massivo della Rete e dei social nei mesi di lockdown, ha fatto notare che “possono essere una grande occasione di crescita, ma anche di imbarbarimento, sia sul piano sociale che della fede. Dobbiamo sfruttarne il bene. Ma il virtuale non può sostituirsi al reale, di cui c’è bisogno”. Al dibattito sono intervenuti anche alcuni rappresentanti del Forum associazioni familiari, Retinopera, Scout d’Europa, Fuci, Incontro matrimoniale, Meic e Ucid. A concludere, Maddalena Pievaioli, segretaria generale della Cnal (oltre che Segretaria della Consulta della diocesi di Perugia-Città della Pieve), e mons. Vito Angiuli, presidente della Commissione episcopale per il laicato, il quale ha ribadito come l’incontro abbia segnato “l’inizio di una nuova fase per le aggregazioni laicali, speranza della nostra società”.

Mons. Russo: ci è chiesta “testimonianza credibile”

Mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, nella sua riflessione al video-incontro della Consulta ha indicato nell’appartenenza e nella testimonianza gli elementi caratteristici di un cammino di Chiesa “che porta alla speranza cristiana”. Dove appartenenza “non significa esclusione o privilegio né tanto meno privazione o rinuncia, ma ricchezza. I nostri ambiti di vita quotidiana – ha proseguito – sono infatti molto sensibili a una testimonianza che sia credibile. Guardando Gesù si può cogliere come egli abbia sempre detto ciò che ha pensato e fatto ciò che ha detto”. Da questo punto di vista, ha concluso mons. Russo, “un segno di speranza arriva dalla vostra presenza e volontà di ‘esserci insieme’ con la coscienza dell’appartenenza all’unica Chiesa e con la forza di chi sa che, tanto più in questo tempo particolare, il segno forte è quello di una testimonianza che ci vede impegnati ad essere costruttori di comunione”.

Pievaioli: “Sognare insieme la Chiesa del terzo millennio”

La Consulta - ha riepilogato Maddalena Pievaioli - “ha organizzato un incontro per dialogare, riflettere e rispondere insieme, come laicato impegnato, alle urgenze del momento presente. In particolare alla necessità di leggere insieme le urgenze che la situazione attuale ci pone, o meglio la chiamata che il Signore ci rivolge attraverso di questa, per rispondere ai diversi gridi che si levano oggi dalla storia. Desiderio di trovare qualche segno, qualche gesto, qualche iniziativa da portare avanti insieme, ognuno secondo il proprio carisma, ma superando i propri ‘confini’, in quella comunione profonda che è la Chiesa, per rispondere a quanto intravisto. Speranza di iniziare un cammino di maggiore fraternità e collaborazione tra le diverse associazioni e movimenti, per essere insieme Chiesa in uscita al servizio della società e capace di dialogare con il mondo contemporaneo. Sognare insieme la Chiesa del terzo millennio, quella Chiesa popolo di Dio che il Concilio ha delineato, e che Papa Francesco continuamente ci addita: una Chiesa comunione, profezia, servizio e impegnarci a realizzarla, sia a livello personale che associativo. L’incontro online ha visto la partecipazione di oltre 300 persone dell’intero territorio nazionale, anche in rappresentanza delle diverse Consulte territoriali. Speriamo ora di poter continuare il cammino iniziato, per essere sempre più sale e luce in questo momento che ne ha tanto bisogno”. D. A. - D. R.]]>
I due polmoni della vita spirituale https://www.lavoce.it/i-due-polmoni-della-vita-spirituale/ Fri, 22 May 2020 12:22:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57197 logo rubrica domande sulla liturgia

L'emergenza sanitaria che ha investito tutto il mondo in questi ultimi mesi, e con la quale ancora molti Paesi stanno facendo i conti, ha costretto le persone a rifugiarsi in casa per aiutare il rallentamento dei contagi. Come ben sanno le comunità cristiane, anche il loro cuore è stato toccato, perché da una domenica all’altra si sono ritrovate a non poter celebrare più l’eucarestia. Da questa settimana invece, pur se con diverse restrizioni, l’assemblea ha potuto riunirsi nuovamente per celebrare l’eucarestia. Sarebbe un errore se ora venissero meno le buone prassi che nelle famiglie, così come nella quotidianità di ciascun fedele, sono state adottate finora, visto che si sta tornando nuovamente a celebrare insieme. Perché dico questo? La lettura che si sta facendo della Sacrosanctum Concilium, dopo averci fatto soffermare - nelle sue prime affermazioni - sul senso teologico della liturgia, arriva quindi a un paragrafo nel quale si parla del rapporto tra liturgia e preghiera personale. Ci sarebbe ancora altro su cui riflettere riguardo ai primi numeri del documento - dovere al quale non ci sottrarremo - ma, vista la situazione che ora le comunità cristiane stanno vivendo, può essere utile ricordare che “la vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola liturgia” (SC, n. 12). Lo stesso Gesù ne dà testimonianza: si metteva in cammino verso Gerusalemme per la Pasqua o partecipava alla liturgia sinagogale (cfr. Mc 1,21; Lc 4,15), ma allo stesso tempo riservava del tempo per la preghiera personale (cfr. Mt 26,36; Lc 9,28; 11,1). Sempre il Maestro invitava i suoi alla preghiera costante (Lc 18,1), come san Paolo faceva con i tessalonicesi, invitandoli alla preghiera incessante (1Ts 5,17). Certamente il vuoto celebrativo vissuto ha fatto sperimentare il desiderio di tornare a celebrare insieme. Al contempo però ha innescato delle dinamiche preziose che hanno fatto riscoprire a molti l’importanza della preghiera personale o della preghiera in famiglia. Sarebbe davvero un errore non continuare a coltivarle con il pensiero che, ora che “si può tornare a messa”, il resto si può pure tralasciare. Alcuni cristiani, privati dell’eucarestia, hanno riscoperto il fatto di trovarsi intorno alla mensa benedicendo Dio per la sua provvidenza, hanno ripreso in mano la Bibbia per meditare le Scritture, hanno assaporato il gusto della preghiera dei Salmi con la liturgia delle ore, sono nuovamente tornati ad afferrare il rosario per meditare i misteri della vita di Cristo insieme a Maria, hanno riservato uno spazio della propria casa alla preghiera. Forse il compito che spetta ora ai Pastori non è solo la ripresa delle celebrazioni con partecipazione di popolo, ma continuare ad accompagnare i fedeli nel prendere consapevolezza che la liturgia e la preghiera personale sono i due polmoni della vita spirituale, e senza uno di essi si continua a respirare con affanno. Don Francesco Verzini]]>
logo rubrica domande sulla liturgia

L'emergenza sanitaria che ha investito tutto il mondo in questi ultimi mesi, e con la quale ancora molti Paesi stanno facendo i conti, ha costretto le persone a rifugiarsi in casa per aiutare il rallentamento dei contagi. Come ben sanno le comunità cristiane, anche il loro cuore è stato toccato, perché da una domenica all’altra si sono ritrovate a non poter celebrare più l’eucarestia. Da questa settimana invece, pur se con diverse restrizioni, l’assemblea ha potuto riunirsi nuovamente per celebrare l’eucarestia. Sarebbe un errore se ora venissero meno le buone prassi che nelle famiglie, così come nella quotidianità di ciascun fedele, sono state adottate finora, visto che si sta tornando nuovamente a celebrare insieme. Perché dico questo? La lettura che si sta facendo della Sacrosanctum Concilium, dopo averci fatto soffermare - nelle sue prime affermazioni - sul senso teologico della liturgia, arriva quindi a un paragrafo nel quale si parla del rapporto tra liturgia e preghiera personale. Ci sarebbe ancora altro su cui riflettere riguardo ai primi numeri del documento - dovere al quale non ci sottrarremo - ma, vista la situazione che ora le comunità cristiane stanno vivendo, può essere utile ricordare che “la vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola liturgia” (SC, n. 12). Lo stesso Gesù ne dà testimonianza: si metteva in cammino verso Gerusalemme per la Pasqua o partecipava alla liturgia sinagogale (cfr. Mc 1,21; Lc 4,15), ma allo stesso tempo riservava del tempo per la preghiera personale (cfr. Mt 26,36; Lc 9,28; 11,1). Sempre il Maestro invitava i suoi alla preghiera costante (Lc 18,1), come san Paolo faceva con i tessalonicesi, invitandoli alla preghiera incessante (1Ts 5,17). Certamente il vuoto celebrativo vissuto ha fatto sperimentare il desiderio di tornare a celebrare insieme. Al contempo però ha innescato delle dinamiche preziose che hanno fatto riscoprire a molti l’importanza della preghiera personale o della preghiera in famiglia. Sarebbe davvero un errore non continuare a coltivarle con il pensiero che, ora che “si può tornare a messa”, il resto si può pure tralasciare. Alcuni cristiani, privati dell’eucarestia, hanno riscoperto il fatto di trovarsi intorno alla mensa benedicendo Dio per la sua provvidenza, hanno ripreso in mano la Bibbia per meditare le Scritture, hanno assaporato il gusto della preghiera dei Salmi con la liturgia delle ore, sono nuovamente tornati ad afferrare il rosario per meditare i misteri della vita di Cristo insieme a Maria, hanno riservato uno spazio della propria casa alla preghiera. Forse il compito che spetta ora ai Pastori non è solo la ripresa delle celebrazioni con partecipazione di popolo, ma continuare ad accompagnare i fedeli nel prendere consapevolezza che la liturgia e la preghiera personale sono i due polmoni della vita spirituale, e senza uno di essi si continua a respirare con affanno. Don Francesco Verzini]]>
Cei. Bassetti ai politici: pacificare, ricostruire, ricucire. Noi ci saremo https://www.lavoce.it/cei-bassetti-ai-politici-pacificare-ricostruire-ricucire-noi-ci-saremo/ Wed, 21 Mar 2018 17:39:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51490 forum

“Il 4 marzo gli italiani hanno votato. I partiti oggi hanno non solo il diritto, ma anche il dovere di governare e orientare la società. Per questo il Parlamento deve esprimere una maggioranza che interpreti non soltanto le ambizioni delle forze politiche, ma i bisogni fondamentali della gente, a partire da quanti sono più in difficoltà”. Nella parte finale delle conclusioni del Consiglio permanente dei vescovi italiani, il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, ha lanciato un messaggio chiaro alle forze politiche.
“C’è una società da pacificare. C’è una speranza da ricostruire. C’è un Paese da ricucire”
“Si governi, fino a dove si può, con la pazienza ostinata e sagace del contadino, nell’interesse del bene comune e dei territori”, l’auspicio sulla scorta delle parole pronunciate da Alcide De Gasperi un anno prima di morire, chiudendo la campagna elettorale, il 5 giugno 1953 a Roma. “C’è una società da pacificare. C’è una speranza da ricostruire. C’è un Paese da ricucire”, ha ribadito il cardinale utilizzando i verbi della sua prima prolusione da presidente della Cei: “Chi è disponibile a misurarsi su questi orizzonti ci troverà a camminare al suo fianco”.
“Siamo tutti preoccupati”
Non si è sottratto ai temi politici neanche mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, che durante la conferenza stampa di chiusura del Cep, subito dopo le parole di Bassetti, ha affermato: “Credo che non ci sia nessuno in Italia che non sia preoccupato. Non perché abbia vinto il Movimento 5 Stelle o la Lega: siamo preoccupati tutti, perché tutti vogliamo che si trovino soluzioni che vadano veramente a favore del disagio grosso che ha espresso questo voto. È importante che chi governa, a qualunque formazione appartenga, abbia il cuore e la testa rivolti ai bisogni di coloro che hanno dato loro il consenso”. ---- Il video della diretta --- https://youtu.be/oKeWxViPET4
“Il vento gelido della “violenza intollerabile sulle donne”
La primavera che stenta ad arrivare, cedendo il passo ad una coda d’inverno. È questo lo scenario, non solo meteorologico, del discorso pronunciato da Bassetti al termine del Cep, il primo senza una prolusione per sua espressa volontà. La paura del futuro, quella legata al tasso di disoccupazione dei giovani e all’impoverimento delle famiglie. La paura del diverso, che troppo spesso trova negli immigrati un capro espiatorio. Sono tutte sindromi di quella “notte invernale” che impedisce lo sbocciare della primavera e che in politica assume la forma di una “disaffezione profonda e diffusa che investe l’inadeguatezza della politica tradizionale”. Il disagio, alla lunga, diventa “risentimento, litigiosità, rabbia sociale”, senza contare il vento gelido della “violenza intollerabile che si scatena sistematicamente sulle donne, vento di ignoranza, immaturità e presunzione di possesso”.
Fede relegata  a fatto privato
“Per ripartire dobbiamo ritrovare una visione ampia, grande, condivisa; un progetto-Paese che, dalla risposta al bisogno immediato, consenta di elevarsi al piano di una cultura solidale”. È la ricetta della Cei per uscire dalla “notte invernale” che caratterizza oggi la politica. Non ci sono facili soluzioni, tantomeno scorciatoie all’insegna di false promesse o di accordi di piccolo cabotaggio. Peraltro, il Presidente Cei ha ammesso come nel contesto attuale la fede sia sempre più relegata a fatto privato e fatichi ad incidere come dovrebbe sulla realtà sociale attraverso scelte ad esse consonanti. “Una fede che latita dove invece dovremmo trovarla impegnata a tradurre il Vangelo in segni di vita. Se questo può accadere, come Chiesa abbiamo una ragione in più per rinnovare la nostra disponibilità a continuare a fare la nostra parte. Crediamo che la storia – anche la storia di oggi, la nostra storia – sia guidata dallo Spirito Santo, che suscita uomini liberi e forti”.
Invito al dialogo sociale. E una lettera alle comunità per una riflessione sull'immigrazione
Alla vigilia dell’avvio ufficiale della nuova legislatura, i vescovi rilanciano con forza l’invito al dialogo sociale. “Su questo fronte come Chiesa ci siamo”, assicura Bassetti: “Ci impegniamo ad ascoltare questa stagione, a ragionare insieme e in maniera organizzata sul cambiamento d’epoca in atto e a portare avanti con concretezza un lavoro educativo e formativo appassionato”. “Non partiamo da zero”, la Magna Charta sono i valori sanciti dalla nostra Costituzione in nome dei quali “alte cariche dello Stato, come umili servitori, hanno saputo dare la vita”, dice il cardinale citando gli anniversari dell’uccisione di Marco Biagi, del rapimento di Aldo Moro e del barbaro omicidio dei cinque uomini della scorta. Lavoro, famiglia, giustizia, solidarietà, rispetto, educazione, merito, i valori fondanti della nostra “bella” Costituzione, insieme al “valore essenziale della pace, senza la quale tutto è perduto: in casa nostra come in Europa”. Una lettera alle comunità “per una riflessione sul tema dell’immigrazione che aiuti a passare dalla paura all’incontro, dall’incontro alla relazione, dalla relazione all’integrazione”. È uno dei temi su cui si sono confrontati i vescovi e che ora deve essere approvata dal Cep, prima della pubblicazione.
“Investire molto di più sulla formazione, anche all’impegno politico”
Tra gli impegni, ha riferito Galantino, “investire molto di più” sul tema della formazione, anche riguardo all’impegno politico. Ad una domanda sull’esito di questa tornata elettorale, che ha visto vincere formazioni politiche di stampo populistico e di opzione opposta alla cultura dell’accoglienza verso gli immigrati, Galantino ha risposto assicurando che la Chiesa, con il Papa, è in prima linea – “lo è stato, lo è e lo sarà” – sul fronte dell’accoglienza, che non è un programma politico ma un imperativo evangelico. “Non un evento e basta: un punto di arrivo ma anche di partenza per impegni molto concreti”. Così Galantino ha definito l’incontro di riflessione e spiritualità per la pace nel Mediterraneo, proposto nel Consiglio episcopale permanente di gennaio ed esaminato con molta attenzione dai vescovi nel Cep. Molte le sedi proposte per l’iniziativa, che però “non è a breve”. C’è chi, tra i vescovi, ha lanciato addirittura la proposta di dedicare un decennio alla riflessione corale su questo tema, coinvolgendo anche i giovani. Saranno loro i protagonisti dell’appuntamento in programma il 12 e 13 agosto in vista del Sinodo di ottobre: un pellegrinaggio durante i quali i protagonisti potranno incontrare confluendo a Roma per rispondere alla chiamata del Papa “le parti più fragili della società”, visitando i luoghi dove vivono persone alle prese con la sofferenza, come le carceri, le comunità di tossicodipendenti, le case di accoglienza per gli anziani.]]>
forum

“Il 4 marzo gli italiani hanno votato. I partiti oggi hanno non solo il diritto, ma anche il dovere di governare e orientare la società. Per questo il Parlamento deve esprimere una maggioranza che interpreti non soltanto le ambizioni delle forze politiche, ma i bisogni fondamentali della gente, a partire da quanti sono più in difficoltà”. Nella parte finale delle conclusioni del Consiglio permanente dei vescovi italiani, il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, ha lanciato un messaggio chiaro alle forze politiche.
“C’è una società da pacificare. C’è una speranza da ricostruire. C’è un Paese da ricucire”
“Si governi, fino a dove si può, con la pazienza ostinata e sagace del contadino, nell’interesse del bene comune e dei territori”, l’auspicio sulla scorta delle parole pronunciate da Alcide De Gasperi un anno prima di morire, chiudendo la campagna elettorale, il 5 giugno 1953 a Roma. “C’è una società da pacificare. C’è una speranza da ricostruire. C’è un Paese da ricucire”, ha ribadito il cardinale utilizzando i verbi della sua prima prolusione da presidente della Cei: “Chi è disponibile a misurarsi su questi orizzonti ci troverà a camminare al suo fianco”.
“Siamo tutti preoccupati”
Non si è sottratto ai temi politici neanche mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, che durante la conferenza stampa di chiusura del Cep, subito dopo le parole di Bassetti, ha affermato: “Credo che non ci sia nessuno in Italia che non sia preoccupato. Non perché abbia vinto il Movimento 5 Stelle o la Lega: siamo preoccupati tutti, perché tutti vogliamo che si trovino soluzioni che vadano veramente a favore del disagio grosso che ha espresso questo voto. È importante che chi governa, a qualunque formazione appartenga, abbia il cuore e la testa rivolti ai bisogni di coloro che hanno dato loro il consenso”. ---- Il video della diretta --- https://youtu.be/oKeWxViPET4
“Il vento gelido della “violenza intollerabile sulle donne”
La primavera che stenta ad arrivare, cedendo il passo ad una coda d’inverno. È questo lo scenario, non solo meteorologico, del discorso pronunciato da Bassetti al termine del Cep, il primo senza una prolusione per sua espressa volontà. La paura del futuro, quella legata al tasso di disoccupazione dei giovani e all’impoverimento delle famiglie. La paura del diverso, che troppo spesso trova negli immigrati un capro espiatorio. Sono tutte sindromi di quella “notte invernale” che impedisce lo sbocciare della primavera e che in politica assume la forma di una “disaffezione profonda e diffusa che investe l’inadeguatezza della politica tradizionale”. Il disagio, alla lunga, diventa “risentimento, litigiosità, rabbia sociale”, senza contare il vento gelido della “violenza intollerabile che si scatena sistematicamente sulle donne, vento di ignoranza, immaturità e presunzione di possesso”.
Fede relegata  a fatto privato
“Per ripartire dobbiamo ritrovare una visione ampia, grande, condivisa; un progetto-Paese che, dalla risposta al bisogno immediato, consenta di elevarsi al piano di una cultura solidale”. È la ricetta della Cei per uscire dalla “notte invernale” che caratterizza oggi la politica. Non ci sono facili soluzioni, tantomeno scorciatoie all’insegna di false promesse o di accordi di piccolo cabotaggio. Peraltro, il Presidente Cei ha ammesso come nel contesto attuale la fede sia sempre più relegata a fatto privato e fatichi ad incidere come dovrebbe sulla realtà sociale attraverso scelte ad esse consonanti. “Una fede che latita dove invece dovremmo trovarla impegnata a tradurre il Vangelo in segni di vita. Se questo può accadere, come Chiesa abbiamo una ragione in più per rinnovare la nostra disponibilità a continuare a fare la nostra parte. Crediamo che la storia – anche la storia di oggi, la nostra storia – sia guidata dallo Spirito Santo, che suscita uomini liberi e forti”.
Invito al dialogo sociale. E una lettera alle comunità per una riflessione sull'immigrazione
Alla vigilia dell’avvio ufficiale della nuova legislatura, i vescovi rilanciano con forza l’invito al dialogo sociale. “Su questo fronte come Chiesa ci siamo”, assicura Bassetti: “Ci impegniamo ad ascoltare questa stagione, a ragionare insieme e in maniera organizzata sul cambiamento d’epoca in atto e a portare avanti con concretezza un lavoro educativo e formativo appassionato”. “Non partiamo da zero”, la Magna Charta sono i valori sanciti dalla nostra Costituzione in nome dei quali “alte cariche dello Stato, come umili servitori, hanno saputo dare la vita”, dice il cardinale citando gli anniversari dell’uccisione di Marco Biagi, del rapimento di Aldo Moro e del barbaro omicidio dei cinque uomini della scorta. Lavoro, famiglia, giustizia, solidarietà, rispetto, educazione, merito, i valori fondanti della nostra “bella” Costituzione, insieme al “valore essenziale della pace, senza la quale tutto è perduto: in casa nostra come in Europa”. Una lettera alle comunità “per una riflessione sul tema dell’immigrazione che aiuti a passare dalla paura all’incontro, dall’incontro alla relazione, dalla relazione all’integrazione”. È uno dei temi su cui si sono confrontati i vescovi e che ora deve essere approvata dal Cep, prima della pubblicazione.
“Investire molto di più sulla formazione, anche all’impegno politico”
Tra gli impegni, ha riferito Galantino, “investire molto di più” sul tema della formazione, anche riguardo all’impegno politico. Ad una domanda sull’esito di questa tornata elettorale, che ha visto vincere formazioni politiche di stampo populistico e di opzione opposta alla cultura dell’accoglienza verso gli immigrati, Galantino ha risposto assicurando che la Chiesa, con il Papa, è in prima linea – “lo è stato, lo è e lo sarà” – sul fronte dell’accoglienza, che non è un programma politico ma un imperativo evangelico. “Non un evento e basta: un punto di arrivo ma anche di partenza per impegni molto concreti”. Così Galantino ha definito l’incontro di riflessione e spiritualità per la pace nel Mediterraneo, proposto nel Consiglio episcopale permanente di gennaio ed esaminato con molta attenzione dai vescovi nel Cep. Molte le sedi proposte per l’iniziativa, che però “non è a breve”. C’è chi, tra i vescovi, ha lanciato addirittura la proposta di dedicare un decennio alla riflessione corale su questo tema, coinvolgendo anche i giovani. Saranno loro i protagonisti dell’appuntamento in programma il 12 e 13 agosto in vista del Sinodo di ottobre: un pellegrinaggio durante i quali i protagonisti potranno incontrare confluendo a Roma per rispondere alla chiamata del Papa “le parti più fragili della società”, visitando i luoghi dove vivono persone alle prese con la sofferenza, come le carceri, le comunità di tossicodipendenti, le case di accoglienza per gli anziani.]]>
Dai laici alla formazione dei preti, i temi dell’intervista al vescovo Paolucci https://www.lavoce.it/dai-laici-alla-formazione-dei-preti-i-temi-dellintervista-al-vescovo-paolucci/ Fri, 01 Dec 2017 15:05:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50730

Una mezz’ora di attesa al Seminario diocesano di Gubbio. I preti della diocesi c’erano tutti, al ritiro al quale ha partecipato anche il nuovo vescovo Luciano Paolucci Bedini insieme al vescovo, ora emerito, mons. Mario Ceccobelli. Nel primo pomeriggio se ne sono andati quasi tutti, e don Luciano sta definendo con don Mirco Orsini i dettagli del 3 dicembre. Dopo una mattinata intensa e un pomeriggio che si presenta altrettanto intenso, “don” Luciano si presenta sorridente, accogliente, sereno. Accoglienza - ci dirà - è quello che ha ricevuto da preti e laici fin dal giorno dell’annuncio della nomina a vescovo di Gubbio. Mons. Paolucci, si può dire che ormai conosce la diocesi. Come si trova in questa che è la più piccola diocesi umbra? “Quando il Papa mi ha chiesto di diventare vescovo di Gubbio, sapevo della bellezza della città medievale, che avevo visitato qualche volta, del fatto che era piccola, anche, e che era ricca di una tradizione religiosa legata non solo a sant’Ubaldo e a san Francesco, ma anche di un pullulare di esperienze religiose intorno alla città di Gubbio, come del resto in tutta l’Umbria. Parlo delle comunità religiose, sia monastiche che di vita attiva, delle abbazie, come Fonte Avellana che per le Marche è ancora un faro e che è stata in diocesi di Gubbio”. Come è stato il primo incontro con i suoi nuovi fedeli? “Quello che mi ha colpito fin dall’inizio è stata la grande accoglienza che ho ricevuto, fin dal giorno dell’annuncio della nomina, quando il vescovo Mario con altri è venuto a trovarmi nel Seminario di Ancona dove stavo. E anche oggi che ho incontrato tutti i sacerdoti, ho visto questa semplicità di relazione, questa immediatezza. Da molti mi sono sentito incoraggiato, ringraziato anche per la disponibilità che ho dato al Papa, e sicuramente questo mi ha aiutato molto a consolare un po’ i miei timori e ad aprire un canale di fiducia immediato con il popolo di questa terra”. Un vescovo sottolineò che per fare un prete ci vogliono anni di Seminario, mentre per fare un vescovo si fa un corso di una settimana, e neppure sulle cose essenziali. Conferma? “Sì, anche se dicono che da quando c’è Papa Francesco il corso è più ricco e molto più concreto. Però è vero. Essendo stato rettore di Se- minario, a maggior ragione capisco e sento quanto la formazione sia un elemento fondamentale. In tutti i passaggi del mio ministero come prete ho sentito il bisogno di formarmi, o di continuare a formarmi. Mi impegno a studiare anche arrivando a Gubbio, perché sui doveri e le responsabilità di un vescovo ci sono molti documenti e dovrò davvero studiarli”. Papa Francesco parla molto di Chiesa popolo di Dio e sinodalità. Da vescovo che inizia il suo percorso, come immagina il cambiamento - iniziato con il Concilio vaticano II - di valorizzazione dei laici? “Conosco tutta la difficoltà che ha incontrato in questi anni, almeno gli ultimi trenta, quella famosa promozione dei laici che era stabilita dal Concilio. E forse ha ricevuto anche un contraccolpo all’indietro, perché non si vedono più le belle figure di laicato preparato, pronto, aperto a lavorare anche nel sociale. Molte esperienze ecclesiali ci hanno aperto i canali della spiritualità, ma ci hanno richiusi, come comunità, rispetto al mondo. Quello che però vedo come molto consolante, per cui penso ci sia una grande possibilità di impegno e di lavoro assiduo e proficuo, è che la promessa e l’ideale del Vaticano II quanto alla Chiesa popolo di Dio, alla Chiesa in cui tutti sono figli e tutti collaborano, è ancora davanti a noi, e ci chiama continuamente. Forse tanti aspetti della crisi della Chiesa: penso alle vocazioni ma anche a realtà come la famiglia... in fondo, tutto nasce da questa debolezza, di una Chiesa che da un punto di vista ha portato avanti l’essenziale, ma dall’altro non ha saputo affrontare le sfide della modernità fino a trovare strade nuove. È chiaro che di questa maturazione il laicato è strategico. Mi chiedo però se in questo momento non abbiamo bisogno di riprendere in mano l’esperienza di popolo di Dio in modo che non crescano ‘solo’ i laici... come se non avessero bisogno di crescere anche i vescovi e i preti. Vivendo nel mondo della formazione, mi sto convincendo di questo: che è finito il tempo in cui i laici si formano da soli, mentre i preti si formano prima e vivono ‘di rendita’ per tutta la vita. Oggi bisogna pensare una stagione nuova in cui tutti ci formiamo insieme”. Da tanto si parla di Chiesa missionaria… “Il laicato sta dentro la storia, dentro il mondo, in maniera concreta, laddove ormai, da un certo punto di vista grazie a Dio, ormai i preti non arrivano più. Penso che i protagonisti dell’evangelizzazione siano i laici, non i preti, perché il primo anuncio oggi si fa al supermercato, al lavoro, al campo di calcio... I preti continueranno a fare il loro mestiere, cioè guidare le comunità, ma il primo annuncio della nuova evangelizzazione non la faranno i preti”. Bisogna ripensare anche la formazione dei preti in questa prospettiva? “Se ne parla da molto tempo, e spero che Papa Francesco arrivi a parlare anche dei Seminari, perché ci sono questioni che sono già sul tavolo. I Seminari nella maggior parte dei casi stanno già lavorando per rinnovare la formazione per quanto possibile, anche inserendo elementi nuovi come tutto il discorso del femminile o delle famiglie. Al Seminario di Ancona da dieci anni ho coinvolto anche le famiglie nel discernimento vocazionale, e ho invitato i seminaristi ad avere una famiglia tutor : scelte pionieristiche che forse oggi la Amoris laetitia ‘sdogana’. Quelli che accettano di avere una famiglia tutor fanno un’esperienza formativa decisamente importante, perché vai in una casa dove hai amici più grandi di te, che vivono la fede come te - perché non sei l’unico che vive la fede! - ma hanno i bambini, lavorano, e alla sera quando ti invitano sono stanchi. Questo ti cambia”. Basterà questo? “Un’altra cosa che salverà il futuro della Chiesa in questo senso è che, accanto alla novità nella formazione, ci sia un discernimento chiaro, netto, perché - come diceva Papa Francesco - se uno ha difficoltà a stare con i compagni di classe, se ne torni a casa: un prete che non ha capacità relazionali fa del male”. Lei è già stato in Conferenza episcopale umbra, nella riunione dell’ottobre scorso, e le sono già stati assegnati dei settori da seguire: il Seminario e la catechesi. La dimensione regionale è molto sentita tra i laici e anche tra i preti delle diocesi umbre, per una lunga storia di collaborazione tra le diocesi che è passata dal Seminario regionale ma anche da progetti pastorali comuni da cui, per esempio, nel 1953 nacque questo settimanale interdiocesano. Lei come vede questa collaborazione regionale? “Ho trovato un clima di apertura e collaborazione in Ceu, e ho avuto segnali, anche da messaggi ricevuti da diverse realtà ecclesiali, che possa crescere. Ho il timore che, proprio perché si esalta la dimensione diocesana [per il Codice di diritto canonico solo nella diocesi, che è Chiesa in un luogo, si ha la pienezza del mistero della Chiesa, ndr ], specie quando è piccola, il rischio sia che le collaborazioni rimangano episodiche o di evento, ci si trovi a ‘fare’ un convegno piuttosto che ‘aprire una strada’, ma questo non serve. Credo che sia all’interno della dimensione diocesana che in quella sovradiocesana dobbiamo cominciare a concepire livelli diversi di coinvolgimento, di impegno e di risposta. È ciò che in altri campi la Chiesa chiama principio di sussidiarietà, di collaborazione, di rispetto dei livelli, di condivisione delle competenze. Questo si può già fare, perché si pone a livello organizzativo e pastorale, non teologico”. Sono molti i temi di attualità che dovrà affrontare. Penso a uno su tutti, il tema dell’immigrazione, sia perché porta divisione anche nelle comunità, sia perché nella sua diocesi c’è una relatà come Umbertide in cui la presenza degli immigrati è molto alta rispetto alla popolazione. “Di recente ho avuto la fortuna di avere in Seminario ad Ancona, per una testimonianza ai seminaristi, il card. Francesco Montenegro che è arcivescovo di Agrigento e quindi di Lampedusa, e presidente della Caritas italiana. Lui diceva, e condivido, che noi cristiani non dobbiamo aiutare gli immigrati perché siamo buoni o perché c’è un’emergenza sociale. Lo facciamo perché crediamo nel Vangelo. Se volete, diceva, il problema è il Vangelo. E ha aggiunto: provate a tagliare tutte le pagine in cui si parla dei poveri nel Vangelo, e vedrete che vi rimarrà solo la copertina. La questione a me sembra sempre quella di una corretta informazione. Noi, nel mondo della libera informazione e della connessione continua, ancora crediamo a bufale spaventose che sono costruite ad arte per creare e muovere specialmente i sentimenti più biechi. Credo che la cura vera sia quella di dire che dobbiamo conoscere la concretezza dei fatti, la realtà dei fatti e a quella rispondere, e rispondere nella maniera più umana possibile”. Tra le critiche c’è quella di chi accusa la Chiesa di aiutare solo gli immigrati a scapito degli italiani… “Sappiamo bene che il problema non sono solo gli immigrati. Gli immigrati presentano una questione che va affrontata, come vanno affrontate anche le tante altre situazioni alle quali dobbiamo aprire il cuore. Inoltre non credo al discorso delle ‘religioni contro’ e tanto meno alla ‘islamizzazione’. Per esperienza personale ho capito che tante posizioni si sciolgono quando uno conosce concretamente qualcuno che vive quelle situazioni”. Ultima domanda: dove andrà ad abitare? “Ho scelto di abitare in episcopio, d’accordo con don Mario, che è contento di questa scelta perché lui è sceso in Seminario soprattutto per assistere don Pietro che ormai faceva fatica. Andrò ad abitare in episcopio con la consapevolezza che quella è la casa del vescovo, ed è giusto che sia la casa dove il vescovo può accogliere tutti, ed è bello che sia in centro città. Per me è molto grande e ne abiterò una piccola parte, ma andare ad abitare lì vuol essere un segno, il segno di una presenza, di una accoglienza”.]]>

Una mezz’ora di attesa al Seminario diocesano di Gubbio. I preti della diocesi c’erano tutti, al ritiro al quale ha partecipato anche il nuovo vescovo Luciano Paolucci Bedini insieme al vescovo, ora emerito, mons. Mario Ceccobelli. Nel primo pomeriggio se ne sono andati quasi tutti, e don Luciano sta definendo con don Mirco Orsini i dettagli del 3 dicembre. Dopo una mattinata intensa e un pomeriggio che si presenta altrettanto intenso, “don” Luciano si presenta sorridente, accogliente, sereno. Accoglienza - ci dirà - è quello che ha ricevuto da preti e laici fin dal giorno dell’annuncio della nomina a vescovo di Gubbio. Mons. Paolucci, si può dire che ormai conosce la diocesi. Come si trova in questa che è la più piccola diocesi umbra? “Quando il Papa mi ha chiesto di diventare vescovo di Gubbio, sapevo della bellezza della città medievale, che avevo visitato qualche volta, del fatto che era piccola, anche, e che era ricca di una tradizione religiosa legata non solo a sant’Ubaldo e a san Francesco, ma anche di un pullulare di esperienze religiose intorno alla città di Gubbio, come del resto in tutta l’Umbria. Parlo delle comunità religiose, sia monastiche che di vita attiva, delle abbazie, come Fonte Avellana che per le Marche è ancora un faro e che è stata in diocesi di Gubbio”. Come è stato il primo incontro con i suoi nuovi fedeli? “Quello che mi ha colpito fin dall’inizio è stata la grande accoglienza che ho ricevuto, fin dal giorno dell’annuncio della nomina, quando il vescovo Mario con altri è venuto a trovarmi nel Seminario di Ancona dove stavo. E anche oggi che ho incontrato tutti i sacerdoti, ho visto questa semplicità di relazione, questa immediatezza. Da molti mi sono sentito incoraggiato, ringraziato anche per la disponibilità che ho dato al Papa, e sicuramente questo mi ha aiutato molto a consolare un po’ i miei timori e ad aprire un canale di fiducia immediato con il popolo di questa terra”. Un vescovo sottolineò che per fare un prete ci vogliono anni di Seminario, mentre per fare un vescovo si fa un corso di una settimana, e neppure sulle cose essenziali. Conferma? “Sì, anche se dicono che da quando c’è Papa Francesco il corso è più ricco e molto più concreto. Però è vero. Essendo stato rettore di Se- minario, a maggior ragione capisco e sento quanto la formazione sia un elemento fondamentale. In tutti i passaggi del mio ministero come prete ho sentito il bisogno di formarmi, o di continuare a formarmi. Mi impegno a studiare anche arrivando a Gubbio, perché sui doveri e le responsabilità di un vescovo ci sono molti documenti e dovrò davvero studiarli”. Papa Francesco parla molto di Chiesa popolo di Dio e sinodalità. Da vescovo che inizia il suo percorso, come immagina il cambiamento - iniziato con il Concilio vaticano II - di valorizzazione dei laici? “Conosco tutta la difficoltà che ha incontrato in questi anni, almeno gli ultimi trenta, quella famosa promozione dei laici che era stabilita dal Concilio. E forse ha ricevuto anche un contraccolpo all’indietro, perché non si vedono più le belle figure di laicato preparato, pronto, aperto a lavorare anche nel sociale. Molte esperienze ecclesiali ci hanno aperto i canali della spiritualità, ma ci hanno richiusi, come comunità, rispetto al mondo. Quello che però vedo come molto consolante, per cui penso ci sia una grande possibilità di impegno e di lavoro assiduo e proficuo, è che la promessa e l’ideale del Vaticano II quanto alla Chiesa popolo di Dio, alla Chiesa in cui tutti sono figli e tutti collaborano, è ancora davanti a noi, e ci chiama continuamente. Forse tanti aspetti della crisi della Chiesa: penso alle vocazioni ma anche a realtà come la famiglia... in fondo, tutto nasce da questa debolezza, di una Chiesa che da un punto di vista ha portato avanti l’essenziale, ma dall’altro non ha saputo affrontare le sfide della modernità fino a trovare strade nuove. È chiaro che di questa maturazione il laicato è strategico. Mi chiedo però se in questo momento non abbiamo bisogno di riprendere in mano l’esperienza di popolo di Dio in modo che non crescano ‘solo’ i laici... come se non avessero bisogno di crescere anche i vescovi e i preti. Vivendo nel mondo della formazione, mi sto convincendo di questo: che è finito il tempo in cui i laici si formano da soli, mentre i preti si formano prima e vivono ‘di rendita’ per tutta la vita. Oggi bisogna pensare una stagione nuova in cui tutti ci formiamo insieme”. Da tanto si parla di Chiesa missionaria… “Il laicato sta dentro la storia, dentro il mondo, in maniera concreta, laddove ormai, da un certo punto di vista grazie a Dio, ormai i preti non arrivano più. Penso che i protagonisti dell’evangelizzazione siano i laici, non i preti, perché il primo anuncio oggi si fa al supermercato, al lavoro, al campo di calcio... I preti continueranno a fare il loro mestiere, cioè guidare le comunità, ma il primo annuncio della nuova evangelizzazione non la faranno i preti”. Bisogna ripensare anche la formazione dei preti in questa prospettiva? “Se ne parla da molto tempo, e spero che Papa Francesco arrivi a parlare anche dei Seminari, perché ci sono questioni che sono già sul tavolo. I Seminari nella maggior parte dei casi stanno già lavorando per rinnovare la formazione per quanto possibile, anche inserendo elementi nuovi come tutto il discorso del femminile o delle famiglie. Al Seminario di Ancona da dieci anni ho coinvolto anche le famiglie nel discernimento vocazionale, e ho invitato i seminaristi ad avere una famiglia tutor : scelte pionieristiche che forse oggi la Amoris laetitia ‘sdogana’. Quelli che accettano di avere una famiglia tutor fanno un’esperienza formativa decisamente importante, perché vai in una casa dove hai amici più grandi di te, che vivono la fede come te - perché non sei l’unico che vive la fede! - ma hanno i bambini, lavorano, e alla sera quando ti invitano sono stanchi. Questo ti cambia”. Basterà questo? “Un’altra cosa che salverà il futuro della Chiesa in questo senso è che, accanto alla novità nella formazione, ci sia un discernimento chiaro, netto, perché - come diceva Papa Francesco - se uno ha difficoltà a stare con i compagni di classe, se ne torni a casa: un prete che non ha capacità relazionali fa del male”. Lei è già stato in Conferenza episcopale umbra, nella riunione dell’ottobre scorso, e le sono già stati assegnati dei settori da seguire: il Seminario e la catechesi. La dimensione regionale è molto sentita tra i laici e anche tra i preti delle diocesi umbre, per una lunga storia di collaborazione tra le diocesi che è passata dal Seminario regionale ma anche da progetti pastorali comuni da cui, per esempio, nel 1953 nacque questo settimanale interdiocesano. Lei come vede questa collaborazione regionale? “Ho trovato un clima di apertura e collaborazione in Ceu, e ho avuto segnali, anche da messaggi ricevuti da diverse realtà ecclesiali, che possa crescere. Ho il timore che, proprio perché si esalta la dimensione diocesana [per il Codice di diritto canonico solo nella diocesi, che è Chiesa in un luogo, si ha la pienezza del mistero della Chiesa, ndr ], specie quando è piccola, il rischio sia che le collaborazioni rimangano episodiche o di evento, ci si trovi a ‘fare’ un convegno piuttosto che ‘aprire una strada’, ma questo non serve. Credo che sia all’interno della dimensione diocesana che in quella sovradiocesana dobbiamo cominciare a concepire livelli diversi di coinvolgimento, di impegno e di risposta. È ciò che in altri campi la Chiesa chiama principio di sussidiarietà, di collaborazione, di rispetto dei livelli, di condivisione delle competenze. Questo si può già fare, perché si pone a livello organizzativo e pastorale, non teologico”. Sono molti i temi di attualità che dovrà affrontare. Penso a uno su tutti, il tema dell’immigrazione, sia perché porta divisione anche nelle comunità, sia perché nella sua diocesi c’è una relatà come Umbertide in cui la presenza degli immigrati è molto alta rispetto alla popolazione. “Di recente ho avuto la fortuna di avere in Seminario ad Ancona, per una testimonianza ai seminaristi, il card. Francesco Montenegro che è arcivescovo di Agrigento e quindi di Lampedusa, e presidente della Caritas italiana. Lui diceva, e condivido, che noi cristiani non dobbiamo aiutare gli immigrati perché siamo buoni o perché c’è un’emergenza sociale. Lo facciamo perché crediamo nel Vangelo. Se volete, diceva, il problema è il Vangelo. E ha aggiunto: provate a tagliare tutte le pagine in cui si parla dei poveri nel Vangelo, e vedrete che vi rimarrà solo la copertina. La questione a me sembra sempre quella di una corretta informazione. Noi, nel mondo della libera informazione e della connessione continua, ancora crediamo a bufale spaventose che sono costruite ad arte per creare e muovere specialmente i sentimenti più biechi. Credo che la cura vera sia quella di dire che dobbiamo conoscere la concretezza dei fatti, la realtà dei fatti e a quella rispondere, e rispondere nella maniera più umana possibile”. Tra le critiche c’è quella di chi accusa la Chiesa di aiutare solo gli immigrati a scapito degli italiani… “Sappiamo bene che il problema non sono solo gli immigrati. Gli immigrati presentano una questione che va affrontata, come vanno affrontate anche le tante altre situazioni alle quali dobbiamo aprire il cuore. Inoltre non credo al discorso delle ‘religioni contro’ e tanto meno alla ‘islamizzazione’. Per esperienza personale ho capito che tante posizioni si sciolgono quando uno conosce concretamente qualcuno che vive quelle situazioni”. Ultima domanda: dove andrà ad abitare? “Ho scelto di abitare in episcopio, d’accordo con don Mario, che è contento di questa scelta perché lui è sceso in Seminario soprattutto per assistere don Pietro che ormai faceva fatica. Andrò ad abitare in episcopio con la consapevolezza che quella è la casa del vescovo, ed è giusto che sia la casa dove il vescovo può accogliere tutti, ed è bello che sia in centro città. Per me è molto grande e ne abiterò una piccola parte, ma andare ad abitare lì vuol essere un segno, il segno di una presenza, di una accoglienza”.]]>
Perugia. Assemblea diocesana. Il Cardinale: Chiesa in missione è per tutti, in virtù del battesimo https://www.lavoce.it/perugia-assemblea-diocesana-cardinale-chiesa-missione-tutti-virtu-del-battesimo/ Fri, 17 Nov 2017 15:49:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50588

“Occorre uscire, andare dove vive la gente”, occorre essere sempre più Chiesa missionaria, e questo “ non è compito di un ufficio pastorale ma ci riguarda tutti in virtù del battesimo”. Queste parole risuonano nella sala congressi del Centro Capitini di Perugia affollata di delegati provenienti da tutte le unità pastorali della diocesi di Perugia Città della Pieve. Sono convocati per l’assemblea diocesana che si è aperta oggi e proseguirà domani articolata in gruppi di discussione e approfondimento nelle chiese e sale della Centro storico. Le parole dell’Arcivescovo, il cardinale Gualtiero Bassetti, sembrano stridere con lo spazio chiuso in cui sono pronunciate, ma è lui stesso a dare il senso di questa convocazione diocesana. “Per vivere in questo atteggiamento missionario occorre vivere nella sinodalità” che significa, aggiunge Bassetti, “andare insieme sulla stessa strada” e questo, sottolinea, è l’esatto contrario del clericalismo. Ritrovarsi insieme, dunque, per condividere il percorso di “conversione pastorale che non è un cambiare qualcosa o qualche struttura ma è anzitutto un cambiare il cuore e i pensieri”. L’assemblea in corso non è un congresso di manager di una azienda da far funzionare, ha sottolineato il vescovo ausiliare mons. Paolo Giulietti tracciando il cammino fatto dalla Chiesa di Perugia - Città della Pieve con la Visita pastorale appena conclusa nella quale è emersa una “ricchezza di esperienze” che hanno bisogno di entrare in relazione. In questi due giorni i delegati all’assemblea faranno esercizio di “sinodalità” in cui si mette in campo la corresponsabilità battesimale. Quello che all’esterno può essere definito come esercizio di democrazia ma che rispetto a questa dimensione umana e sociale aggiunge la dimensione della fede che unisce i partecipanti riconoscendo i l’opera dello Spirito Santo. I lavori dell’assemblea sono proseguiti con le relazioni che hanno introdotto temi e concetti su cui si terranno i lavori dei gruppi di sabato. Sulla pagina del sito diocesano dedicata all’assemblea sono pubblicati sia il video dei lavori che i testi delle relazioni e della prolusione del Cardinale Gualtiero Bassetti. I lavori dell’assemblea sono stati trasmessi in diretta streaming da UmbriaRadioInBlu. Questo il video disponibile anche su umbriaoggi.news https://youtu.be/Jt3dkt4lkzM]]>

“Occorre uscire, andare dove vive la gente”, occorre essere sempre più Chiesa missionaria, e questo “ non è compito di un ufficio pastorale ma ci riguarda tutti in virtù del battesimo”. Queste parole risuonano nella sala congressi del Centro Capitini di Perugia affollata di delegati provenienti da tutte le unità pastorali della diocesi di Perugia Città della Pieve. Sono convocati per l’assemblea diocesana che si è aperta oggi e proseguirà domani articolata in gruppi di discussione e approfondimento nelle chiese e sale della Centro storico. Le parole dell’Arcivescovo, il cardinale Gualtiero Bassetti, sembrano stridere con lo spazio chiuso in cui sono pronunciate, ma è lui stesso a dare il senso di questa convocazione diocesana. “Per vivere in questo atteggiamento missionario occorre vivere nella sinodalità” che significa, aggiunge Bassetti, “andare insieme sulla stessa strada” e questo, sottolinea, è l’esatto contrario del clericalismo. Ritrovarsi insieme, dunque, per condividere il percorso di “conversione pastorale che non è un cambiare qualcosa o qualche struttura ma è anzitutto un cambiare il cuore e i pensieri”. L’assemblea in corso non è un congresso di manager di una azienda da far funzionare, ha sottolineato il vescovo ausiliare mons. Paolo Giulietti tracciando il cammino fatto dalla Chiesa di Perugia - Città della Pieve con la Visita pastorale appena conclusa nella quale è emersa una “ricchezza di esperienze” che hanno bisogno di entrare in relazione. In questi due giorni i delegati all’assemblea faranno esercizio di “sinodalità” in cui si mette in campo la corresponsabilità battesimale. Quello che all’esterno può essere definito come esercizio di democrazia ma che rispetto a questa dimensione umana e sociale aggiunge la dimensione della fede che unisce i partecipanti riconoscendo i l’opera dello Spirito Santo. I lavori dell’assemblea sono proseguiti con le relazioni che hanno introdotto temi e concetti su cui si terranno i lavori dei gruppi di sabato. Sulla pagina del sito diocesano dedicata all’assemblea sono pubblicati sia il video dei lavori che i testi delle relazioni e della prolusione del Cardinale Gualtiero Bassetti. I lavori dell’assemblea sono stati trasmessi in diretta streaming da UmbriaRadioInBlu. Questo il video disponibile anche su umbriaoggi.news https://youtu.be/Jt3dkt4lkzM]]>
Michelini nuovo preside dell’Istituto teologico di Assisi https://www.lavoce.it/michelini-nuovo-preside-dellistituto-teologico-di-assisi/ Thu, 02 Nov 2017 11:01:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50384 issra

Padre Giulio Michelini dopo essere stato per tanti anni uno dei docenti dell’Istituto teologico di Assisi dal luglio scorso ne è il Preside. In questa nuova veste il 9 ottobre, all’inaugurazione dell’Anno Accademico, ha accolto il cardinale Jean Luis Tauran che ha tenuto la prolusione su uno dei temi, il dialogo interreligioso, che caratterizzano l’Istituto e che sarà al centro del convegno di venerdì 27 ottobre, anniversario della Giornata di Preghiera voluta da Giovanni Paolo II nel 1986. Michelini arriva alla guida dell’Ita in un momento di passaggio istituzionale segnato dalla costituzione della Fondazione “Benedetto da Norcia e Francesco d’Assisi” che riorganizza la teologia in Umbria. Un processo seguito dal moderatore dell’Ita, il vescovo mons. Domenico Sorrentino, e dal preside che lo ha preceduto, mons. Romano Piccinelli. Passaggio che non è solo una questione di forma. “Il cambiamento c’è e - spiega padre Michelini - viene prima di tutto dalla realtà che ci porta a pensarci come un istituto che non provveda più solamente alla formazione dei futuri sacerdoti ma anche alla formazione dei laici e degli insegnanti di religione”. Diminuzione di vocazioni ... e di studenti La realtà di cui parla è la diminuzione delle vocazioni al sacerdozio come alla vita religiosa, che si traduce in un calo di iscritti all’Ita dove, allo stesso tempo, si registra un incremento di interesse dei laici che al termine degli studi hanno comunque un diploma equipollente alla laurea. “Ormai dobbiamo pensarci non solo come istituti statici ma come istituti che vadano incontro alla formazione dei laici nella Chiesa” e questo significa anche ripensare le modalità di fruizione dei corsi. “Se è vero che dobbiamo dare la maggiore cura nella formazione dei futuri sacerdoti è anche vero che non potremmo sopravvivere semplicemente con una offerta formativa limitata a loro. L’Istituto teologico - aggiunge il Preside - non è mai stato una realtà di nicchia ma ha voluto aprirsi e adesso più che mai è necessario che ‘usciamo’”. Nuove modalità per i corsi All’orizzonte non ci sono solo i tradizionali fruitori della teologia: preti, frati, suore e laici impegnati nella pastorale. “Dobbiamo essere propositivi per rispondere alle richieste di alta formazione che pure ci sono e non sono solo confessionali ma sono anche richiesta di competenze in discipline che possono riguardare altre esigenze di formazione professionale” spiega p. Michelini, facendo l’esempio, tra gli altri, dei mediatori culturali, e su questo fronte potrebbe esserci una collaborazione con l’Università per la formazione di “persone che a più livelli intervengono nell’ambito religioso non soltanto quello cattolico”. Nella valutazione delle opzioni future, delle necessità, c’è anche “il desiderio di intercettare i diaconi e coloro che si preparano al diaconato, e i catechisti e altri operatori della pastorale” offrendo loro un livello superiore di formazione rispetto ai corsi istituiti nelle diocesi, che potrebbe essere integrata con “corsi di formazione a distanza, giornate di studio, convegni, apertura e lezioni in orari e in giorni che siano più fruibili dai laici”. C’è anche chi pur lavorando trova il tempo per frequentare, e le lezioni sono tutti i pomeriggi, ma indubbiamente sono scelte molto impegnative per chi lavora.]]>
issra

Padre Giulio Michelini dopo essere stato per tanti anni uno dei docenti dell’Istituto teologico di Assisi dal luglio scorso ne è il Preside. In questa nuova veste il 9 ottobre, all’inaugurazione dell’Anno Accademico, ha accolto il cardinale Jean Luis Tauran che ha tenuto la prolusione su uno dei temi, il dialogo interreligioso, che caratterizzano l’Istituto e che sarà al centro del convegno di venerdì 27 ottobre, anniversario della Giornata di Preghiera voluta da Giovanni Paolo II nel 1986. Michelini arriva alla guida dell’Ita in un momento di passaggio istituzionale segnato dalla costituzione della Fondazione “Benedetto da Norcia e Francesco d’Assisi” che riorganizza la teologia in Umbria. Un processo seguito dal moderatore dell’Ita, il vescovo mons. Domenico Sorrentino, e dal preside che lo ha preceduto, mons. Romano Piccinelli. Passaggio che non è solo una questione di forma. “Il cambiamento c’è e - spiega padre Michelini - viene prima di tutto dalla realtà che ci porta a pensarci come un istituto che non provveda più solamente alla formazione dei futuri sacerdoti ma anche alla formazione dei laici e degli insegnanti di religione”. Diminuzione di vocazioni ... e di studenti La realtà di cui parla è la diminuzione delle vocazioni al sacerdozio come alla vita religiosa, che si traduce in un calo di iscritti all’Ita dove, allo stesso tempo, si registra un incremento di interesse dei laici che al termine degli studi hanno comunque un diploma equipollente alla laurea. “Ormai dobbiamo pensarci non solo come istituti statici ma come istituti che vadano incontro alla formazione dei laici nella Chiesa” e questo significa anche ripensare le modalità di fruizione dei corsi. “Se è vero che dobbiamo dare la maggiore cura nella formazione dei futuri sacerdoti è anche vero che non potremmo sopravvivere semplicemente con una offerta formativa limitata a loro. L’Istituto teologico - aggiunge il Preside - non è mai stato una realtà di nicchia ma ha voluto aprirsi e adesso più che mai è necessario che ‘usciamo’”. Nuove modalità per i corsi All’orizzonte non ci sono solo i tradizionali fruitori della teologia: preti, frati, suore e laici impegnati nella pastorale. “Dobbiamo essere propositivi per rispondere alle richieste di alta formazione che pure ci sono e non sono solo confessionali ma sono anche richiesta di competenze in discipline che possono riguardare altre esigenze di formazione professionale” spiega p. Michelini, facendo l’esempio, tra gli altri, dei mediatori culturali, e su questo fronte potrebbe esserci una collaborazione con l’Università per la formazione di “persone che a più livelli intervengono nell’ambito religioso non soltanto quello cattolico”. Nella valutazione delle opzioni future, delle necessità, c’è anche “il desiderio di intercettare i diaconi e coloro che si preparano al diaconato, e i catechisti e altri operatori della pastorale” offrendo loro un livello superiore di formazione rispetto ai corsi istituiti nelle diocesi, che potrebbe essere integrata con “corsi di formazione a distanza, giornate di studio, convegni, apertura e lezioni in orari e in giorni che siano più fruibili dai laici”. C’è anche chi pur lavorando trova il tempo per frequentare, e le lezioni sono tutti i pomeriggi, ma indubbiamente sono scelte molto impegnative per chi lavora.]]>
Santo sì, “ma” laico. Modelli di santità nella Chiesa https://www.lavoce.it/santo-si-ma-laico-modelli-di-santita-nella-chiesa/ Tue, 31 Oct 2017 18:30:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=49941

I santi che la Chiesa eleva agli onori dell’altare sono proposti come modelli di vita cristiana. La vicenda di questi fratelli e di queste sorelle diventa un segno di speranza e una traccia da seguire per poter giungere alla loro meta: la comunione con Dio. Chiaramente però riconoscere un modello dipende dalle convinzioni di chi lo cerca, dai valori, dalle idee, dalla comprensione dell’umano e del sociale; in estrema sintesi, i modelli, anche quelli di santità, vengono riconosciuti sempre dentro un orizzonte culturale e, nel caso dei santi, ecclesiale. Si riconosce un modello di santità e lo si propone ai credenti perché dentro una certa coscienza ecclesiale, in un dato periodo storico e in un contesto culturale, si riconosce la vita di qualcuno come esemplare.

Non significa certo che Dio ha agito solo in quelli che noi riusciamo a riconoscere, infatti la Chiesa ha sempre avuto la percezione di una santità diffusa che non trova una collocazione nel calendario liturgico eppure non è certo meno concreta. Questa è piuttosto l’iceberg la cui punta emergente sono le poche vite che riusciamo a riconoscere come esemplari e che riconosciamo proprio sulla base del contesto ecclesiale e culturale in cui ci troviamo. Modelli di santità nella storia Se scorriamo i modelli di santità lungo la storia troveremo anzitutto gli apostoli e gli evangelisti, per la singolare vicinanza all’evento Cristo, quindi i martiri, senza grandi distinzioni sul ruolo ecclesiale o sullo stato di vita da loro vissuti, perché il martirio diventa la somma testimonianza che finisce per assorbire tutti gli altri aspetti in cui la fede è stata vissuta dal testimone ucciso per la fede. Quindi, terminata l’epoca in cui il martirio era tanto diffuso da divenire un rischio connaturale al diventare credenti, i modelli di santità riconosciuti e proposti dalla chiesa sono stati per lo più vescovi, presbiteri e monaci/che. Molto probabilmente questo è dovuto, oltre alla reale santità delle persone operata dallo Spirito, al fatto che la Chiesa riconoscesse come opera di Dio, meritevole di essere portata come esempio ad altri, il servizio dei Pastori e la vita ascetica dei monaci/che, mentre non riusciva a cogliere nessun eroismo o nessuna straordinaria testimonianza – salvo rare salutari eccezioni – nel servizio reso nella politica, nel lavoro, nella vita matrimoniale. Addirittura le sante femmine (diversamente da quanto accade per gli uomini) sono state “catalogate” sulla base della loro vita sessuale, si è ritenuto cioè che la verginità – solo per le donne, si badi – costituisse un motivo di particolare merito, tanto da celebrare le donne vergini con un formulario liturgico specifico. Possono essere state dottori, guerriere, ascetiche, martiri della carità, ma ciò che contava veramente, per comprenderne la santità, è se avessero avuto o meno rapporti sessuali. Perché? Perché per un lungo periodo di storia la condizione femminile è stata letta alla luce della sessualità: una donna era compresa solo come vergine o sposa, e nel primo caso aveva maggior merito perché la sessualità era vista sempre come un cedimento rispetto alla perfezione, un difetto tollerabile, ma pur sempre un difetto di santità. Matrimonio luogo di santità Oggi la coscienza ecclesiale è cambiata. Abbiamo compreso la vita matrimoniale come un luogo di santità, la sessualità e la procreazione come luoghi di donazione eroica, e la vita laicale come una condizione in cui il credente può donare tutto se stesso in una sequela radicale del Signore. Ed ecco perché negli ultimi decenni tanti laici e tanti coniugi sono stati indicati come modello di vita cristiana. Sempre ci sono stati santi laici e coniugati, ma ce ne riusciamo ad accorgere solo adesso, perché le condizioni culturali e la sensibilità ecclesiale hanno permesso un affinamento del nostro sguardo. E così siamo arrivati a riconoscere in Vittorio Trancanelli non solo una gran brava persona, ma un dono per la Chiesa, perché altri imparino che cosa vuol dire amare Dio e amare il prossimo. Vittorio era sposato con Lia e aveva figli (naturali e non). Questo ci dice che la santità non è una questione che si vive a tu per tu con Dio, ma in un intreccio di relazioni intime, quotidiane, invasive, viscerali. Non si è santi – come per tanto tempo si è predicato – perché liberi da tutti per amare Dio, ma perché, legati in ogni modo possibile da vincoli di amore, ci si trova immersi nella stessa vita del Dio Amore, mistero di comunione. Vittorio, testimone di vita cristiana Ora siamo capaci di accorgerci di questo e infatti chiediamo a Lia di parlare di Vittorio, perché sappiamo che il segreto della santità di lui, l’intimità da lui vissuta con Dio, non è estranea all’interiorità di lei, ma in qualche maniera la invade, fino a che forse lei stessa ne sapeva più di suo marito. Vittorio era un professionista. Un medico. Faceva bene il suo lavoro perché studiava e perché aveva a cuore le persone che incontrava. Competenza e passione in un continuo dono di sé che lo consacrava al servizio dei fratelli. Gaudium et spes 38 dice, parlando dei laici, che Dio li chiama “a consacrarsi al servizio terreno degli uomini, così da preparare attraverso tale loro ministero quasi la materia per il regno dei cieli”. Donare se stessi perché agli altri vivano è la vocazione cristiana, la stessa di Cristo, animati dallo stesso Spirito Amore che ha animato lui, poco importa in quali condizioni questo accada. Ora sappiamo bene che può essere vero per un medico, per un maestro, per una senatrice, per un’operaia, come per un religioso o una mistica. Per Vittorio il dono di sé ha preso la forma della chirurgia, e così ha preparato la materia del Regno curando i malati. Non solo. Ha fatto tutto questo da laico, cioè nelle condizioni ordinarie di vita di tutti: vestiva come i suoi colleghi, lavorava in mezzo a loro, aveva una casa come tutti, moglie e figli come tanti. In queste condizioni, mescolato agli altri come il sale al cibo o il lievito alla pasta, ha testimoniato il Vangelo là dove nessun presbitero sarebbe potuto entrare, ha portato il Vangelo là dove non poteva arrivare se non tramite lui. Così Lumen gentium 33: “I laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo. Così ogni laico, in virtù dei doni che gli sono stati fatti, è testimone e insieme vivo strumento della stessa missione della Chiesa ‘secondo la misura del dono del Cristo’ (Ef 4,7)”. I laici cioè sono semplicemente Chiesa, e portano il Vangelo là dove il loro stato di vita diventa una risorsa, perché li vede vicini a tutti gli altri, che ancora non conoscono Cristo. Questo è stato Vittorio: molti di quelli che l’hanno incontrato hanno potuto riconoscere in lui l’amore del Padre anche senza mettere piede in chiesa o accostarsi ai sacramenti. E così la Chiesa, in lui, è arrivata dove non sarebbe potuta mai arrivare: fin dentro la sala operatoria e nell’intimità di una famiglia. Solo un laico poteva farlo. Un laico totalmente consegnato a Cristo.  ]]>

I santi che la Chiesa eleva agli onori dell’altare sono proposti come modelli di vita cristiana. La vicenda di questi fratelli e di queste sorelle diventa un segno di speranza e una traccia da seguire per poter giungere alla loro meta: la comunione con Dio. Chiaramente però riconoscere un modello dipende dalle convinzioni di chi lo cerca, dai valori, dalle idee, dalla comprensione dell’umano e del sociale; in estrema sintesi, i modelli, anche quelli di santità, vengono riconosciuti sempre dentro un orizzonte culturale e, nel caso dei santi, ecclesiale. Si riconosce un modello di santità e lo si propone ai credenti perché dentro una certa coscienza ecclesiale, in un dato periodo storico e in un contesto culturale, si riconosce la vita di qualcuno come esemplare.

Non significa certo che Dio ha agito solo in quelli che noi riusciamo a riconoscere, infatti la Chiesa ha sempre avuto la percezione di una santità diffusa che non trova una collocazione nel calendario liturgico eppure non è certo meno concreta. Questa è piuttosto l’iceberg la cui punta emergente sono le poche vite che riusciamo a riconoscere come esemplari e che riconosciamo proprio sulla base del contesto ecclesiale e culturale in cui ci troviamo. Modelli di santità nella storia Se scorriamo i modelli di santità lungo la storia troveremo anzitutto gli apostoli e gli evangelisti, per la singolare vicinanza all’evento Cristo, quindi i martiri, senza grandi distinzioni sul ruolo ecclesiale o sullo stato di vita da loro vissuti, perché il martirio diventa la somma testimonianza che finisce per assorbire tutti gli altri aspetti in cui la fede è stata vissuta dal testimone ucciso per la fede. Quindi, terminata l’epoca in cui il martirio era tanto diffuso da divenire un rischio connaturale al diventare credenti, i modelli di santità riconosciuti e proposti dalla chiesa sono stati per lo più vescovi, presbiteri e monaci/che. Molto probabilmente questo è dovuto, oltre alla reale santità delle persone operata dallo Spirito, al fatto che la Chiesa riconoscesse come opera di Dio, meritevole di essere portata come esempio ad altri, il servizio dei Pastori e la vita ascetica dei monaci/che, mentre non riusciva a cogliere nessun eroismo o nessuna straordinaria testimonianza – salvo rare salutari eccezioni – nel servizio reso nella politica, nel lavoro, nella vita matrimoniale. Addirittura le sante femmine (diversamente da quanto accade per gli uomini) sono state “catalogate” sulla base della loro vita sessuale, si è ritenuto cioè che la verginità – solo per le donne, si badi – costituisse un motivo di particolare merito, tanto da celebrare le donne vergini con un formulario liturgico specifico. Possono essere state dottori, guerriere, ascetiche, martiri della carità, ma ciò che contava veramente, per comprenderne la santità, è se avessero avuto o meno rapporti sessuali. Perché? Perché per un lungo periodo di storia la condizione femminile è stata letta alla luce della sessualità: una donna era compresa solo come vergine o sposa, e nel primo caso aveva maggior merito perché la sessualità era vista sempre come un cedimento rispetto alla perfezione, un difetto tollerabile, ma pur sempre un difetto di santità. Matrimonio luogo di santità Oggi la coscienza ecclesiale è cambiata. Abbiamo compreso la vita matrimoniale come un luogo di santità, la sessualità e la procreazione come luoghi di donazione eroica, e la vita laicale come una condizione in cui il credente può donare tutto se stesso in una sequela radicale del Signore. Ed ecco perché negli ultimi decenni tanti laici e tanti coniugi sono stati indicati come modello di vita cristiana. Sempre ci sono stati santi laici e coniugati, ma ce ne riusciamo ad accorgere solo adesso, perché le condizioni culturali e la sensibilità ecclesiale hanno permesso un affinamento del nostro sguardo. E così siamo arrivati a riconoscere in Vittorio Trancanelli non solo una gran brava persona, ma un dono per la Chiesa, perché altri imparino che cosa vuol dire amare Dio e amare il prossimo. Vittorio era sposato con Lia e aveva figli (naturali e non). Questo ci dice che la santità non è una questione che si vive a tu per tu con Dio, ma in un intreccio di relazioni intime, quotidiane, invasive, viscerali. Non si è santi – come per tanto tempo si è predicato – perché liberi da tutti per amare Dio, ma perché, legati in ogni modo possibile da vincoli di amore, ci si trova immersi nella stessa vita del Dio Amore, mistero di comunione. Vittorio, testimone di vita cristiana Ora siamo capaci di accorgerci di questo e infatti chiediamo a Lia di parlare di Vittorio, perché sappiamo che il segreto della santità di lui, l’intimità da lui vissuta con Dio, non è estranea all’interiorità di lei, ma in qualche maniera la invade, fino a che forse lei stessa ne sapeva più di suo marito. Vittorio era un professionista. Un medico. Faceva bene il suo lavoro perché studiava e perché aveva a cuore le persone che incontrava. Competenza e passione in un continuo dono di sé che lo consacrava al servizio dei fratelli. Gaudium et spes 38 dice, parlando dei laici, che Dio li chiama “a consacrarsi al servizio terreno degli uomini, così da preparare attraverso tale loro ministero quasi la materia per il regno dei cieli”. Donare se stessi perché agli altri vivano è la vocazione cristiana, la stessa di Cristo, animati dallo stesso Spirito Amore che ha animato lui, poco importa in quali condizioni questo accada. Ora sappiamo bene che può essere vero per un medico, per un maestro, per una senatrice, per un’operaia, come per un religioso o una mistica. Per Vittorio il dono di sé ha preso la forma della chirurgia, e così ha preparato la materia del Regno curando i malati. Non solo. Ha fatto tutto questo da laico, cioè nelle condizioni ordinarie di vita di tutti: vestiva come i suoi colleghi, lavorava in mezzo a loro, aveva una casa come tutti, moglie e figli come tanti. In queste condizioni, mescolato agli altri come il sale al cibo o il lievito alla pasta, ha testimoniato il Vangelo là dove nessun presbitero sarebbe potuto entrare, ha portato il Vangelo là dove non poteva arrivare se non tramite lui. Così Lumen gentium 33: “I laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo. Così ogni laico, in virtù dei doni che gli sono stati fatti, è testimone e insieme vivo strumento della stessa missione della Chiesa ‘secondo la misura del dono del Cristo’ (Ef 4,7)”. I laici cioè sono semplicemente Chiesa, e portano il Vangelo là dove il loro stato di vita diventa una risorsa, perché li vede vicini a tutti gli altri, che ancora non conoscono Cristo. Questo è stato Vittorio: molti di quelli che l’hanno incontrato hanno potuto riconoscere in lui l’amore del Padre anche senza mettere piede in chiesa o accostarsi ai sacramenti. E così la Chiesa, in lui, è arrivata dove non sarebbe potuta mai arrivare: fin dentro la sala operatoria e nell’intimità di una famiglia. Solo un laico poteva farlo. Un laico totalmente consegnato a Cristo.  ]]>
Sulla sinodalità l’Azione cattolica può fare scuola https://www.lavoce.it/sulla-sinodalita-lazione-cattolica-puo-scuola/ Fri, 31 Mar 2017 08:45:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=49735

Il vescovo di Foligno mons. Gualtiero Sigismondi ha partecipato per la prima volta in qualità di assistente nazionale dell’Azione cattolica a un evento dell’associazione, e rilascia a La Voce la sua prima intervista in cui parla di sinodalità. Il suo nuovo compito è impegnativo: per poterlo seguire ha scelto di lasciare non la diocesi, “senza la quale non riesco a concepirmi”, ma il servizio di visitatore apostolico dei Seminari al quale era stato chiamato sempre da Papa Francesco. Cosa vuol dire essere assistente nazionale di Ac? “Lo devo scoprire, ancora! Comunque credo che il compito dell’assistente generale sia quello di ricordare all’Ac che la cura della vita interiore resta la prima pastorale, la più importante; che il discernimento passa attraverso la direzione spirituale, e gli assistenti devono dedicarsi soprattutto a questo. Più dei ‘campi’... il campo base è la cura della vita interiore”. Qual è lo specifico dell’Ac oggi? “Credo che una strada tutta tutta da scrivere - anche forte della storia - è quella di aprire un percorso per formare i laici all’impegno sociale e politico. Credo che di questo abbia oggi grande bisogno anche la nostra Italia, lo vediamo. Quest’assenza, forse anche questa latitanza dipende anche dal fatto che nessuno si è più preoccupato di formare queste persone. L’Ac credo che abbia, non dico l’esclusiva, ma certamente una bella tradizione che le permette di stare in prima linea con sicurezza”. Si è occupato della formazione dei seminaristi come visitatore apostolico. Adesso si cambia campo, o alla fine parliamo della stessa cosa? “Intanto adesso mi devo occupare del ‘seminario dei laici’, perché l’Ac è una sorta di seminario dei laici. E sono anche contento di questo cambio, perché mi aiuta a completare l’aspetto del mio ministero. Per tanti anni, prima come formatore poi come visitatore, ho tenuto l’occhio puntato in maniera decisa sui Seminari. È ora di cambiare aria, grato al Signore per l’esperienza fatta, ma consapevole che anche per me si aprono dei files nuovi di cui ha bisogno anche il mio ministero, per trovare nuova linfa vitale in uno spazio che è la Chiesa, perché la Chiesa è popolo di Dio”. Papa Francesco ha riproposto con grande forza questa immagine di Chiesa, con l’idea della sinodalità, ad esempio. Quindi l’Ac, che è in questa linea, lo sarà ancora di più? “Penso che anche sulla sinodalità l’Ac abbia un vocabolario ben collaudato, perché l’associazione è retta da uno stile che è sinodale, in fondo. Quella che chiamiamo ‘democrazia’ in realtà è esercizio concreto della sinodalità della Chiesa. Anche in questo l’Ac credo che possa fare scuola, visto che gli organismi di partecipazione non sono ancora decollati... anzi, sono ‘de-collati’ perché non hanno respiro: segno che manca una scuola, una palestra di sinodalità. Dicevi che la Chiesa è popolo di Dio: sì, Corpo di Cristo che si manifesta come popolo di Dio in cammino, questo è il nome della Chiesa. Quando partecipo alle processioni, mi piace fermarmi, voltarmi e guardare la Chiesa, Corpo di Cristo che si manifesta come popolo di Dio in cammino”. Ecclesialità: a volte sembra che questa funzione possa soffocare quella che è anche la vista stessa dell’Ac, con un appiattimento su esigenze particolari, specifiche di parrocchie... “Direi che la ricchezza dell’Ac è anche la sua debolezza. La ricchezza è il fatto che si identifica con la Chiesa, ma porta anche le ferite e le difficoltà della Chiesa, tutte, proprio per questa sua identificazione; che però è il punto di forza. Direi che tra Ac e movimenti la differenza è questa: è quella che c’è tra i ministeri e i carismi. Sono due realtà necessarie, ma il carisma si inserisce dentro il ministero. Direi che l’ossatura è il ministero, la muscolatura sono i carismi”.  ]]>

Il vescovo di Foligno mons. Gualtiero Sigismondi ha partecipato per la prima volta in qualità di assistente nazionale dell’Azione cattolica a un evento dell’associazione, e rilascia a La Voce la sua prima intervista in cui parla di sinodalità. Il suo nuovo compito è impegnativo: per poterlo seguire ha scelto di lasciare non la diocesi, “senza la quale non riesco a concepirmi”, ma il servizio di visitatore apostolico dei Seminari al quale era stato chiamato sempre da Papa Francesco. Cosa vuol dire essere assistente nazionale di Ac? “Lo devo scoprire, ancora! Comunque credo che il compito dell’assistente generale sia quello di ricordare all’Ac che la cura della vita interiore resta la prima pastorale, la più importante; che il discernimento passa attraverso la direzione spirituale, e gli assistenti devono dedicarsi soprattutto a questo. Più dei ‘campi’... il campo base è la cura della vita interiore”. Qual è lo specifico dell’Ac oggi? “Credo che una strada tutta tutta da scrivere - anche forte della storia - è quella di aprire un percorso per formare i laici all’impegno sociale e politico. Credo che di questo abbia oggi grande bisogno anche la nostra Italia, lo vediamo. Quest’assenza, forse anche questa latitanza dipende anche dal fatto che nessuno si è più preoccupato di formare queste persone. L’Ac credo che abbia, non dico l’esclusiva, ma certamente una bella tradizione che le permette di stare in prima linea con sicurezza”. Si è occupato della formazione dei seminaristi come visitatore apostolico. Adesso si cambia campo, o alla fine parliamo della stessa cosa? “Intanto adesso mi devo occupare del ‘seminario dei laici’, perché l’Ac è una sorta di seminario dei laici. E sono anche contento di questo cambio, perché mi aiuta a completare l’aspetto del mio ministero. Per tanti anni, prima come formatore poi come visitatore, ho tenuto l’occhio puntato in maniera decisa sui Seminari. È ora di cambiare aria, grato al Signore per l’esperienza fatta, ma consapevole che anche per me si aprono dei files nuovi di cui ha bisogno anche il mio ministero, per trovare nuova linfa vitale in uno spazio che è la Chiesa, perché la Chiesa è popolo di Dio”. Papa Francesco ha riproposto con grande forza questa immagine di Chiesa, con l’idea della sinodalità, ad esempio. Quindi l’Ac, che è in questa linea, lo sarà ancora di più? “Penso che anche sulla sinodalità l’Ac abbia un vocabolario ben collaudato, perché l’associazione è retta da uno stile che è sinodale, in fondo. Quella che chiamiamo ‘democrazia’ in realtà è esercizio concreto della sinodalità della Chiesa. Anche in questo l’Ac credo che possa fare scuola, visto che gli organismi di partecipazione non sono ancora decollati... anzi, sono ‘de-collati’ perché non hanno respiro: segno che manca una scuola, una palestra di sinodalità. Dicevi che la Chiesa è popolo di Dio: sì, Corpo di Cristo che si manifesta come popolo di Dio in cammino, questo è il nome della Chiesa. Quando partecipo alle processioni, mi piace fermarmi, voltarmi e guardare la Chiesa, Corpo di Cristo che si manifesta come popolo di Dio in cammino”. Ecclesialità: a volte sembra che questa funzione possa soffocare quella che è anche la vista stessa dell’Ac, con un appiattimento su esigenze particolari, specifiche di parrocchie... “Direi che la ricchezza dell’Ac è anche la sua debolezza. La ricchezza è il fatto che si identifica con la Chiesa, ma porta anche le ferite e le difficoltà della Chiesa, tutte, proprio per questa sua identificazione; che però è il punto di forza. Direi che tra Ac e movimenti la differenza è questa: è quella che c’è tra i ministeri e i carismi. Sono due realtà necessarie, ma il carisma si inserisce dentro il ministero. Direi che l’ossatura è il ministero, la muscolatura sono i carismi”.  ]]>
Lo Spirito santo, il nostro vero parroco! https://www.lavoce.it/lo-spirito-santo-il-nostro-vero-parroco/ Tue, 17 May 2016 13:13:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46276 SamueleBiondini-Don_250_CMYKCiao a tutti, sono don Samuele, da 4 anni a “San Pio X” in Città di Castello. Ma è lo Spirito santo, con la sua sposa Maria, il vero parroco! Io e don David siamo i Suoi più stretti collaboratori e, come si suol dire, cerchiamo di non rendergli più difficile il lavoro. I problemi sociali del territorio in cui viviamo sono grandi. Queste le principali linee pastorali di “don Spirito” a San Pio X. 1) La celebrazione eucaristica deve essere curata alla perfezione; la predica la vuole dettare Lui, e per questo è necessario tanto tempo per ascoltare ciò che noi preti dobbiamo dire. Su questo non transige: non solo nei contenuti, ma anche nel modo di esporli. 2) Il secondo punto è una citazione da Papa Francesco (EG 28): la parrocchia “è comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario”.

Noi stiamo lavorando per costruire una parrocchia così: formata da piccole comunità chiamate “cellule” unite in un solo corpo chiamato “parrocchia”. Si entra cristiani e si esce evangelizzatori. 3) Rinnovare il catechismo coinvolgendo i genitori. È il progetto “Catecasa”: sosteniamo i genitori nel loro diritto e dovere di educare i figli alla fede, piuttosto che sostituirci a loro. 4) Il nostro amatissimo parroco vuole che io e David siamo disponibili all’ascolto delle persone: la parola d’ordine è “accoglienza senza giudizio”. 5) Educare alla preghiera in molte modalità. 6) Corsi di formazione approfondita della nostra fede, attraverso la scuola Sant’Andrea. 7) Quando è arrivato don David, lo Spirito santo ci ha fatto un’altra richiesta: aprire le porte della parrocchia agli “ultimissimi”, dando un posto per dormire e mangiare. Alcuni anche per accompagnarli in un percorso di vita, altri solo a modo di dormitorio.

È nata così la “Casa della carità”. 8) Oratorio parrocchiale “Torre di Davide”: un vero argine al disagio dei più piccoli. 9) I gruppi giovanili… qui il “nostro parroco” vuole che impegniamo i nostri dopo-cena. 10) Ultima indicazione temporale è il cammino di formazione per chi chiede il battesimo: personalizzato in tre incontri. Uno con me, uno con David e uno con una coppia di discepoli laici. 11) I marriage course, iniziativa appena arrivata da noi a sostegno delle coppie che vogliono migliorare o rinnovare il loro stare insieme, attraverso una serie di otto cene in una famiglia (coppia guida). 12) Da subito lo Spirito santo ha chiesto grande attenzione a funerali e benedizione delle famiglie; non vuole che li viviamo in modo abitudinario, ma come luogo dove annunciare il kérygma. Se io leggessi questo articolo penserei: “Questo parroco è un gradasso” che mette in mostra se stesso. Spero che il lettore abbia il cuore più puro del mio! La cosa fantastica è che non siamo preti iperattivi: abbiamo collaboratori che agiscono con grande autonomia. La parte economica è totalmente delegata, anche se è sempre in preghiera che decidiamo i lavori da svolgere. Anche le persone che accogliamo nella Casa della carità diventano spesso risorse. Ringraziando Dio, ci sono degli “angeli” che tengono pulita la chiesa e le sue strutture.

Il buon rapporto con la società rionale è spesso molto utile: senza di loro, mettere a tavola, ad esempio, centinaia di persone per qualche festa, sarebbe impossibile. Sono contento di poter scrivere queste righe: magari qualcuno può aiutarci a migliorare, mentre altri potrebbero essere incuriositi a conoscere meglio qualcosa che facciamo. Mi riferisco soprattutto alle “cellule parrocchiali di evangelizzazione”, strumento semplice ed efficace per fare nuove le nostre parrocchie, senza dover rigirare ai movimenti – pur benedetti dal Signore – l’incarico di farlo per noi. Se qualcuno vorrà contattarmi su questo tema, sarà una grande gioia; il numero di telefono è 329 2274138. Pochi mesi fa abbiamo ricevuto come “Sistema internazionale delle cellule di evangelizzazione” il riconoscimento pontificio come metodo adatto per il rinnovamento delle parrocchie. Come diceva il caro don Gino Capacci, che ha vissuto quest’esperienza: “Le cellule non le vedi mai, perché si riuniscono nelle case, ma chi ne fa parte vive la parrocchia in un modo nuovo, rinnovandola dall’interno”.

]]>
Tommaso e Ortensia, a servizio delle coppie odierne https://www.lavoce.it/a-servizio-delle-coppie-odierne/ Fri, 08 Apr 2016 12:51:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45893 tommaso e ortensia calderiniIn questo tempo di Pasqua, fino a Pentecoste, a offrirci una lettura “firmato famiglia” delle letture domenicali saranno i coniugi Ortensia Marconi e Tommaso Calderini. Nel ringraziare chi li ha preceduti, andiamo a conoscere la nuova coppia. Ortensia è dirigente scolastica, Tommaso è da poco in pensione dopo una vita da dipendente comunale; è anche diacono permanente.
“Sposati da 37 anni – si presentano. – Cinque figli, cinque nipoti. In diocesi di Foligno siamo direttori della Pastorale familiare, come coppia, dal 2009. Fin dall’inizio abbiamo cercato di favorire il più possibile percorsi parrocchiali o di Unità pastorale pensando soprattutto alla necessità di creare o rinsaldare rapporti stabili con i propri parroci dopo la celebrazione delle nozze”.
“In questi anni – proseguono – in collaborazione con altri Uffici diocesani, sono stati organizzati ritiri mensili per coppie di ogni età per percorrere strade di santità in coppia; incontri mensili per giovani coppie con riflessioni su problematiche di vita quotidiana e far crescere la coppia alla luce della Parola di Dio; incontri per giovani sull’affettività; collaborazione con l’Age (Associazione genitori) sul rapporto genitorialità / scuola; percorsi per fidanzati in preparazione al sacramento delle nozze”.
Ortensia, in particolare, è stata incaricata di seguire l’iter di tutta la diocesi.
“La realtà religiosa – dicono ancora – sta cambiando velocemente: abbandono quasi totale dopo il sacramento della confermazione, ricomparsa improvvisa al momento delle nozze e successiva nuova scomparsa, ritorno per la richiesta di battesimo dei figli come unico contatto con la parrocchia, ritorno ulteriore per portare i figli all’iniziazione cristiana, ma per tradizione, non per scelta religiosa. Abbiamo come grandi assenti i ‘giovani adulti’, presenti solo nei grandi eventi di Pasqua, Natale, Candelora, Palme e sacramenti di figli. È cambiata anche la realtà di chi frequenta i percorsi per fidanzati: si presentano in maggioranza già conviventi, anche con figli”.
Come rispondere? “A fronte di questa realtà, stiamo progettando – in collaborazione con l’Ufficio catechistico e coinvolgendo gruppi, movimenti e parrocchie – un percorso ‘catecumenale’ per fidanzati di durata di due anni con incontri settimanali, per accompagnare i ‘neofiti di fatto’ in un graduale inserimento nella fede e nella Chiesa.
Oltre a questo, si sta puntando su una evangelizzazione capillare, fatta da persona a persona e da coppia a coppia, favorendo le Comunità familiari di evangelizzazione e usufruendo delle proposte formative del progetto ‘Mistero grande’, ben radicato in Umbria, per far crescere in tutti gli sposi cristiani la coscienza del dono delle nozze ricevuto”.

Il commento al Vangelo

 

]]>
Perugia. Essere Chiesa che annuncia ed evangelizza https://www.lavoce.it/perugia-essere-chiesa-che-annuncia-ed-evangelizza/ https://www.lavoce.it/perugia-essere-chiesa-che-annuncia-ed-evangelizza/#comments Fri, 11 Sep 2015 13:40:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43209 Perugia-cattedraleInsegnare, santificare, governare, sono funzioni proprie del Vescovo di una diocesi. In quanto “Pastore” si prende cura del gregge e lo fa non in solitudine ma con la collaborazione dei presbiteri, in primis, dei religiosi e dei laici.

Non è sempre stato così. Prima del Concilio Vaticano II i semplici battezzati sembravano quasi non esistere tanto che Papa Giovanni XXIII usò l’immagine di una Chiesa con una grande testa ed un piccolo corpo per descrivere la situazione.

Con la Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II “Lumen gentium” i laici rientrano a pieno titolo in quel “popolo di Dio” al quale i Padri conciliari dedicano il capitolo II del documento, dopo quello dedicato al “Mistero della Chiesa” e prima del capitolo dedicato alla “Costituzione gerarchica della Chiesa e in particolare dell’episcopato”.

Il cambiamento di prospettiva prende anche forme concrete quali sono, per esempio, i consigli pastorali ai quali sono chiamati a partecipare i laici e le assemblee diocesane come quella che vive in questi giorni (11 e 12 settembre) la Chiesa di Perugia – Città della Pieve.

Un cambiamento di mentalità, prima che di strutture, che don Paolo Asolan sottolinea quando gli chiediamo di anticipare a La Voce alcuni temi delle relazioni con cui si apre l’assemblea diocesana.

Don Asolan, sacerdote della diocesi di Treviso docente di teologia pastorale, ha ricevuto le relazioni che le Unità pastorali e le consulte degli uffici pastorali diocesani hanno redatto in preparazione all’assemblea. Le ha lette con attenzione avendo avuto il compito “leggere la situazione” che da queste emerge e proporre piste di riflessione.

Non farà una relazione per dare indicazioni sul da farsi. “Non sono un oracolo – dice – e poi questo sarà il compito dell’assemblea”. È stato fatto un “lavoro ricco e interessante” e leggendo i contributi ne ha ricavato una “buona impressione”, di apertura e di ricerca.

Per esempio la riorganizzazione in Unità pastorali è “ben accolta” nella “consapevolezza che la parrocchia da sola non ce la fa”, anche se, sottolinea, c’è un cambiamento di mentalità che si fatica a fare. “Si tratta di superare 500 anni di parrocchia tridentina”, osserva Asolan. “La parrocchia passa dall’essere luogo di servizi religiosi a soggetto di evangelizzazione” e si tratta di capire “come intendere l’evangelizzazione oggi”.

Su questo cambiamento, che il cardinale Gualtiero Bassetti chiede alla comunità diocesana con la Lettera pastorale “Missione e conversione pastorale”, l’assemblea diocesana dovrà portare proposte per un cammino di rinnovamento rispondendo all’invito a essere una “Chiesa, popolo che annuncia e testimonia Cristo – Vivere e agire da credenti in stile missionario”, come recita il tema dell’assemblea.

Due in particolare le parole fondamentali che don Asolan proporrà all’assemblea: speranza e fraternità da offrire alla gente che non ha uno sguardo sul futuro, immersa in realtà disgregate.

Si tratta, dice don Asolan, di vedere le Unità pastorali come Chiesa situata in un territorio con il quale dialoga, di comprendere la missione in termini di “cultura cristianamente intesa” ovvero far vedere “il rapporto con Gesù come la luce attraverso cui vedere il rapporto con la comunità”, superando il linguaggio a volte troppo sociologico che si ritrova nei contributi elaborati.

Ai gruppi che si riuniranno sabato mattina il compito di elaborare proposte coraggiose per una Chiesa missionaria.

]]>
https://www.lavoce.it/perugia-essere-chiesa-che-annuncia-ed-evangelizza/feed/ 1
Il cardinale Bassetti: a 100 anni, l’Ac è ancora giovane… e madre di tutti https://www.lavoce.it/a-100-anni-lac-e-ancora-giovane-e-madre-di-tutti/ Thu, 04 Jun 2015 09:16:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34642 bassetti-azione-cattolica

Pubblichiamo  la meditazione del Cardinale Bassetti rivolta all’Azione cattolica diocesana per i suoi 100 anni, alla celebrazione del Vespro a conclusione della giornata di festa il 2 giugno 2015.

«Quale grande amore e quanti doni ci ha dato il Padre! Il dono della vita, il dono di essere suoi figli! L’averci donato Gesù è il dono più grande che il Padre potesse farci, l’averci donato lo Spirito Santo, l’averci donato una famiglia cristiana nella quale siamo nati e cresciuti, l’averci donato la Chiesa, una famiglia allargata, l’averci donato la parrocchia, l’averci donato tutto il creato che è come la casa grande in cui noi abitiamo!

Ricordo quando ero vice parroco di una grande parrocchia. C’era un padre che tutte le mattine veniva a portare i suoi due figlioli alla scuola materna della parrocchia. Quando arrivava davanti alla chiesa, in piazza, il padre si fermava, si raccoglieva, facevo il segno di croce, e mi ricordo che un giorno il bambino più grande, cinque anni mentre la sorellina ne aveva tre, gli chiese “Babbo perché ci siamo fermati?” e lui “Perché qui dentro c’è una persona che è il babbo di tutti noi”. “E cosa ha fatto questo babbo?”. “Guardate intorno – si vedevano le colline di Fiesole – ha fatto questa grande casa perché tutti gli uomini, tutti i bambini che sono sulla terra, ci potessero abitare”. Ecco, un babbo che faceva la catechesi ai suoi bambini senza tanti discorsi ma con un segno di croce fatto dinanzi ad una chiesa.

Dio è il Padre di tutti! Quale grande amore ci ha dato! E quanti doni! Non sto a enumerarli tutti. Stasera ne voglio enumerare soltanto uno: l’Azione cattolica!

L’Ac non è una nonna, non è una vecchietta che ha compiuto 100 anni. L’Azione cattolica si voglia o non si voglia (mica dobbiamo guardare solo l’azione cattolica di Perugia! ci sono centinaia di migliaia di iscritti in tutta Italia) è rimasta giovane! Perché? Perché l’Azione cattolica è sempre vissuta attorno al cuore della Chiesa. L’Azione cattolica fu la prima a svegliarsi con il Concilio e quindi a risvegliare le nostre parrocchie dopo la guerra, durante il Concilio.

L’Azione cattolica è giovane soprattutto perché ci siete voi ragazzi, giovani, famiglie. Ed essa ha generato tanti figli, ma tanti uomini e donne che si sono impegnati ai vertici delle istituzioni, della politica e anche dello sport. Ne cito soltanto due: il Presidente della Repubblica Scalfaro. Non si è mai tolto il distintivo dell’Azione cattolica dalla sua giacchetta. E un altro grande uomo, Gino Bartali, era iscritto all’Azione cattolica della sua parrocchia e anche lui non si è mai tolto il distintivo!

L’Azione cattolica è stata una manna per la Chiesa italiana, ha generato tanti figli! Prima del Concilio non c’erano tutti i movimenti che ci sono oggi! L’Azione cattolica ha fatto come da mamma a tutti i movimenti perché in un modo  o nell’altro sono a lei legati perché nascono dal grande movimento dell’apostolato dei laici dell’Azione cattolica. Per questo l’Azione cattolica è viva, vuole continuare e vuole ancora guardare lontano, ma per guardare lontano deve tornare alle sue radici.

Guardate ragazzi, 100 anni sono tanti, ma 100 anni sono un patrimonio associativo meraviglioso, un patrimonio da condividere, da rendere fruttuoso, da far ripartire e da riproporre a tutti. Occorre far crescere la consapevolezza dei laici di essere Chiesa, e questo l’Azione cattolica l’ha sempre fatto!

Bisogna far conoscere l’Azione cattolica, bisogna che i nostri giovani si aprano di più agli impegni della vita sociale, della politica, del volontariato. Tutto questo, l’Azione cattolica, insieme ad una formidabile formazione spirituale l’ha sempre proposto. Ed è necessario oggi una for mazione integrale che riguarda l’uomo, tutto l’uomo, dai bambini, ai giovani, agli adulti, alle famiglie, perché le persone hanno bisogno di crescere, e si cresce soltanto insieme. Ecco che davvero il Signore ci aiuti nella nostra crescita personale e comunitaria con un’apertura che va all’incontro di Gesù, ma non perché Gesù lo dobbiamo tenere solo dentro di noi. L’Azione cattolica ci  aiuta ad incontrare Gesù perché poi possiamo inviare Gesù da nostro cuore in cui è presente, a tutte le periferie!

Papa Francesco parla di Chiesa in uscita. Io dico Azione cattolica in uscita! Gesù ha bisogno di uscire, lo teniamo troppo dentro! C’è un mondo intero da evangelizzare! Lo dicevamo domenica nella festa della Santissima trinità con quel bellissimo mandato che Gesù ci ha dato salendo al Cielo “Andate e fate in tutte le nazioni miei discepoli, e battezzateli tutti”. Chi ha incontrato Gesù non lo può tenere per sé e basta. Gesù è in uscita e con Gesù dobbiamo raggiungere tutte le periferie del mondo e tutti coloro che sono lontani!

facciamo ancora quello che è compito fondamentale dell’Azione cattolica. Ha sempre favorito l’unità, ha sempre favorito la comunione anche fra tutti i movimenti, fra tutte le associazioni del territorio. Io voglio dire con forza stasera a tutta Perugia, che voi in qualche modo rappresentate,  coraggio Azione cattolica, auguri per i tuoi 100 anni. Tu sei giovane perché la Chiesa è giovane, perché noi siamo giovani!

]]>
Perugia. Per l’Ac 100 anni da festeggiare insieme https://www.lavoce.it/perugia-per-lac-100-anni-da-festeggiare-insieme/ Fri, 29 May 2015 12:55:56 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34474 gruppo-2-cmyk Ci siamo!!! Martedì 2 giugno dalle ore 10 vi aspettiamo tutti in piazza per festeggiare i 100 anni di presenza dell’Azione cattolica nella diocesi di Perugia- Città della Pieve.

A fare festa con noi ci saranno tantissimi amici, a cominciare dai bambini e dai ragazzi dell’Acr che, insieme ai loro educatori, ai catechisti e ai tanti bambini che si uniranno a loro da tanti gruppi parrocchiali e dagli oratori, animeranno con canti, bans e giochi d’animazione le vie del centro storico della città, con una festa tutta dedicata a loro.

Ma anche adolescenti, giovani e adulti di tutta la diocesi, vivranno una giornata intensa fatta di laboratori, riflessioni, preghiera e naturalmente voglia di stare insieme e di rincontrarsi, forse anche dopo tanto tempo.

Le proposte durante la giornata saranno molteplici ed in pieno stile associativo, pensate per tutte le età. L’avvio della giornata sarà dato con musiche e animazione dal palco allestito in piazza della Repubblica alle ore 10.00 per poi dislocarsi lungo l’asse di corso Vannucci in diversi luoghi significativi. Durante la giornata ci saranno due momenti di preghiera: l’Angelus e il Vespro presieduti dall’arcivescovo Card. Gualtiero Bassetti, ai quali si aggiunge nella pausa pranzo, dalle 12.00 alle 15.00, presso la chiesetta del Collandone, la possibilità di fare adorazione, una preghiera personale e continuata che sarà animata da giovani, giovani adulti e adulti dell’associazione. La giornata si concluderà alle 19.00 nel Chiostro di San Lorenzo.

Per prepararci alla festa lasciamo la parola ai responsabili di settore ai quali abbiamo rivolto qualche domanda.

Alessandro Fratini Presidente diocesano Ac

ADULTI

Al vicepresidente adulti Stefano abbiamo chiesto: “Perché fare una festa di piazza per festeggiare i 100 anni di Ac e perché proporre degli workshop?”

“La scelta di organizzare una grande festa di piazza per celebrare i cento anni di Azione Cattolica risiede nella nostra vocazione di stare accanto alle persone e nel desiderio di coinvolgere quante più persone possibile perché sia una festa dell’intera Chiesa perugino-pievese e della città.
Così come noi ora siamo laici impegnati per definizione, siamo “Azione” della Chiesa nel mondo.

Questi 100 anni di storia hanno visto tanti laici di AC, credenti di ogni età, vivere il loro tempo con dedizione, con sacrificio e con perseveranza, anche sotto la minaccia della guerra o della povertà, senza perdere la speranza e facendosi segno di vita nuova e contraddizione.
Oggi noi siamo chiamati a lottare contro l’indifferenza, la diffidenza, la divisione e lo possiamo fare con lo studio, la preghiera, la formazione, la coerenza, il servizio, la fede.

Per questo abbiamo pensato di approfondire e confrontarci su alcuni temi fondamentali per il nostro tempo e per la nostra società attraverso degli workshop, nei quali verranno dati degli stimoli  e provocazioni, e nei quali saremo chiamati a dare il nostro contributo su argomenti delicati e attuali come le periferie cittadine ed esistenziali, i giovani e il futuro, gli anziani, la politica.

Questi momenti, come altri della giornata, sono il frutto della collaborazione di diverse realtà ecclesiali: il Centro sportivo italiano, il Meic, la Casa della Tenerezza, gli uffici pastorali diocesani e tanti altri che vogliamo ringraziare per la disponibilità e la vicinanza con cui hanno accettato il nostro invito.”

GIOVANI E GIOVANISSIMI

“Come si è scelto di coinvolgere giovanissimi e giovani in questa grande festa? Lo abbiamo chiesto a Fabio, vice giovani diocesano.

“I giovanissimi e i giovani, saranno coinvolti in molteplici forme riassumibili con tre parole: servizio, formazione e cura della città. Molti di loro sono degli educatori dell’ACR per cui sono stati chiamati ad animare la festa dedicata specificatamente ai più piccoli, altri metteranno a disposizione le loro doti canore e musicali per rendere bello il momento di adorazione presso il Collandone e altri ancora svolgeranno un servizio più pratico per far sì che tutta la giornata vada per il meglio.

Il tutto senza perdere di vista la formazione, proposta attraverso degli workshop specifici dedicati al settore giovani: la mattina quello sulla scuola, dove sono chiamati a riflettere su come costruire oggi il proprio futuro e, nel pomeriggio, quello sull’affettività, per imparare a vivere relazioni costruttive. La cura verso la città sarà, poi, esplicitata attraverso il falshmob che coinvolgerà tutti”.

RAGAZZI

A Gabriele, responsabile diocesano dell’Azione Cattolica dei Ragazzi, abbiamo domandato “perché si è pensato a una festa specifica per i ragazzi all’interno dei festeggiamenti del centenario? E a che punto sono i preparativi?”

“L’Azione Cattolica, dopo il Concilio, ha sottolineato nei suoi cammini e nella sua struttura il ruolo consapevole e responsabile che ciascuno di noi ha, sin da piccolissimo, nel suo cammino di fede e nella Chiesa. Per questo a festeggiare i nostri 100 anni di storia non potevano mancare anche i più piccoli, naturalmente con qualcosa di adatto a loro e in tipico stile ACR: giochi, canti e preghiera.

In questi ultimi giorni che ci separano dalla festa, stiamo ultimando i giochi e gli spazi della grande caccia al tesoro, costruendo i materiali delle ambientazioni e provando i bans che animeranno la giornata.
Tutto questo è stato possibile grazie all’équipe ACR diocesana, formata dai responsabili di zona, da giovanissimi, giovani e giovani adulti, che da due mesi a questa parte si stanno dedicando con grande impegno a rendere questa giornata indimenticabile per ogni ragazzo che parteciperà”.

 

Abbraccio alla città. Tutti invitati al flash mob in piazza IV Novembre

Alessandro, consigliere diocesano per gli adulti, spiega perché un flashmob di abbraccio alla città e chi sarà coinvolto.

“L’iniziativa è frutto dell’entusiasmo e dell’impegno di chi, come noi, crede che il laico credente, cittadino maturo, fedele e libero, debba adempiere il suo compito primario: essere nel mondo, nelle occupazioni feriali (famiglia, studio, lavoro, politica, cultura ecc.), presenza animatrice, concorrendo a far sì che ogni istituzione, ambito e attività corrisponda al disegno originario di Dio: un disegno funzionale alla crescita integrale dell’uomo.

#abbraccioperugia è un gesto significativo e importante per la città e le istituzioni per testimoniare che è doveroso e possibile educarci reciprocamente alla responsabilità per costruire e far rivivere una ‘città dell’uomo’ e a ‘misura d’uomo’. L’invito ad abbracciare la città è stato rivolto alle associazioni, movimenti e aggregazioni laicali della diocesi e molte di loro hanno già confermato la loro adesione: Agesci, Meic, Comunione e Liberazione, Ass. Famiglie Numerose, Ass. Maria e Luigi Beltrami Quattrocchi, Unione Cattolica Stampa Italiana, Movimento dei Focolarini, A.Ge.S.C., Gris”.

 

Laboratori di idee e proposte

I workshop sono momenti di incontro e confronto aperti a tutti i cittadini di Perugia. Vogliono essere il segno che la Chiesa di Perugia e Città della Pieve è viva e partecipa attivamente alla crescita interiore e spirituale dei cittadini, interessandosi principalmente a quelli che sono gli aspetti fondanti della società, per dare il suo contributo in termini di idee e pensieri.

Al mattino

IN USCITA: “Povertà e periferie della città” – (Sala San Francesco – Curia arcivescovile). Relatore: mons. Paolo Giulietti – Vescovo

PATTO: “Scuola, educazione e futuro dei giovani” – (Sala del dottorato – Chiostro Cattedrale San Lorenzo). Relatore: Massimo Liucci

TRA GENERAZIONI: “I nonni salveranno l’Italia” – (Chiesa di Sant’Agata – Via dei Priori). Relatore: Carla Alati Tilli – Azione Cattolica Adulti

Il pomeriggio

SENTIMENTI: “Giovani e affettività” – (Sala del dottorato – Chiostro Cattedrale San Lorenzo). Relatore: Roberto e Flavia Contu – Casa della Tenerezza

D’AMORE: “Genitori si diventa” – (Chiesa di Sant’Agata – Via dei Priori). Relatore: Stefano e Rita Sereni – Area Famiglia e vita Azione cattolica

PER LA CITTA’: “Politica e Cultura” – (Biblioteca Ostello di Perugia – Via Bontempi) Relatore: Carlo Cirotto – già presidente nazionale Mei

 

APPUNTAMENTI COMUNI

Accoglienza ore 10.00 – Piazza della Repubblica

Angelus con il Cardinale Gualtiero Bassetti ore 12.00 – P.za della Repubblica

Adorazione dalle 12.00 alle 15.00 – Chiesa del Collandone

Vespro ore 19.00  – Chiostro della Cattedrale

Mostra del centenario (tutto il giorno nel Chiostro di San Lorenzo) Foto e antichi documenti raccontano la bellezza di questa storia fatta di tante storie.

]]>
Proposte da e per i laici https://www.lavoce.it/proposte-da-e-per-i-laici/ Fri, 15 May 2015 10:18:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=33474 Perugia-cattedrale“Cosa significa e cosa comporta personalmente e come associazione, la conversione pastorale? Cosa richiede, a 50 anni dal Concilio Vaticano II, l’essere testimoni di Cristo, come laici, nella Chiesa e nel mondo d’oggi?”. Su questa, e sulle domande consegnate, a partire dalla Evangelii gaudium, dal nostro Arcivescovo, il cardinale Gualtiero Bassetti, con la sua Lettera pastorale, la Consulta delle aggregazioni laicali si è impegnata a riflettere e dialogare in questo anno pastorale.

Ad ottobre è iniziato un percorso di approfondimento, conoscenza e comunione che si è tradotto anche in una modalità di confronto fatta di incontri in piccoli gruppi permettendo a tutti di esprimersi, preceduti da un incontro formativo sulle tecniche-base della conduzione di un gruppo. Lo ha ricordato lunedì scorso Maddalena Pievaioli, segretaria della Consulta, all’assemblea di fine anno convocata a Montemorcino, sede di tutti gli incontri, e aperta con la preghiera del Vespro. Maddalena ha ricordato il percorso fatto e ha quindi chiesto ai presenti di esprimere il proprio giudizio sul metodo e sui contenuti del documento frutto di questo anno di lavoro.

Maddalena Pievaioli 
Maddalena Pievaioli

Unanime è stato il giudizio positivo sul metodo (“Questo è stato l’anno più interessante” ha detto uno dei membri della Consulta ) e larghissima convergenza c’è stata anche sull’idea di proseguire con questa modalità di confronto, lasciando per il momento in sospeso la scelta del tema da affrontare, in attesa dell’esito dell’assemblea ecclesiale diocesana che si terrà in settembre nella festa della Madonna delle Grazie.

Il confronto avviato in questo anno si è concretizzato in un ampio documento che verrà offerto all’Arcivescovo quale contributo all’assemblea diocesana, proveniente dai laici aggregati in associazioni, gruppi e movimenti, ma pensato e maturato da una riflessione che tiene conto dei laici tutti ed è a tutti rivolta.

Nella prima parte del testo viene ricordato il percorso della Consulta che “sin dal suo insediamento” nel 2011 “ha orientato la riflessione sull’urgenza di un laicato più consapevole del compito proprio di presenza cristiana negli ambienti di vita”. Sono quindi ricordati gli incontri fatti e i testi presi a riferimento per “sintonizzarsi” con il cammino della Chiesa italiana (il Convegno ecclesiale di Firenze) e con le indicazioni di Papa Francesco (Evangelii Gaudium), e sono infine indicate le “aree tematiche” delle proposte emerse, e cioè la “conversione e missionarietà” della comunità cristiana, il “decidersi per i poveri” e il “protagonismo dei laici”.

“Il documento sottolinea l’importanza del camminare insieme” ha detto il vescovo ausiliare mons. Paolo Giulietti, invitando a vivere questa comunione nella concretezza del territorio che sul piano ecclesiale si traduce in “parrocchia e Unità pastorali”. Sulla scelta di vivere questa dimensione, ha aggiunto, “si misura il livello di comunione con il Vescovo”.

Prima di concludere l’incontro Maddalena ha ricordato come sia stato deciso di vivere la Veglia di Pentecoste come momento comune per tutte le aggregazioni laicali, ed è stato accolto l’invito della Cei a dedicare la preghiera ai cristiani martiri nel mondo.

]]>