Italia Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/italia/ Settimanale di informazione regionale Wed, 30 Oct 2024 17:24:34 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Italia Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/italia/ 32 32 Giovani che vanno a lavorare all’estero. E in Italia? https://www.lavoce.it/giovani-che-vanno-a-lavorare-allestero-e-in-italia/ https://www.lavoce.it/giovani-che-vanno-a-lavorare-allestero-e-in-italia/#respond Wed, 30 Oct 2024 17:24:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78358 una ragazza ripresa di fronte, conm la testa visibile a metà, con in mano un qiuaderno e sulle spalle uno zaino nero

Non è facile quantificare di preciso l’entità della cosiddetta “fuga di cervelli” dall’Italia all’estero, cioè quanti siano quei giovani (fino ai 34 anni) che fanno le valigie e se ne vanno all’estero a cercare miglior fortuna. Comunque, secondo uno studio presentato al Cnel dalla Fondazione Nord Est, in tredici anni, dal 2011 al 2023, circa 550 mila giovani italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati.

Il problema vero è che una fetta consistente di questa gioventù era assai ben formata: laureati di qualità (medici, ingegneri…) su cui il Paese aveva fatto un bell’investimento, ma i cui frutti saranno goduti da Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Francia. Queste le mete più gettonate.

Altro problema: questa diaspora non è compensata da altrettanti arrivi dall’estero. Sempre quel rapporto segnala che arriva un giovane straniero con ottima formazione ogni 8 italiani espatriati. La ragione è chiarissima: non ci sono in Italia le condizioni migliori per sviluppare una carriera lavorativa. Né per gli italiani, né per gli stranieri.

Retribuzioni iniziali quasi offensive, zero spazio ai più giovani in azienda, carriere lentissime, tassazione asfissiante. Giusto quindi cercare fortuna laddove si sa valorizzare sia la competenza che la freschezza. E chiaramente ha poco senso per un neo-medico tedesco venire a lavorare qui in Italia (a Bolzano, ad esempio), dove guadagnerà la metà che a casa propria.

Il recente Decreto flussi ha aperto le porte a quasi mezzo milione di lavoratori stranieri in tre anni: il via libera più imponente da decenni, ma già valutato da subito come insufficiente.  Ma qui stiamo facendo discorsi con lo ‘spannometro’: che tipo di lavoratori stranieri serviranno all’Italia del futuro? Di tutti i tipi: solo che badanti e autisti in qualche modo si possono trovare o inventare. Infermieri e ingegneri no. E senza infermieri, ad esempio, non funzionano le case di riposo o l’assistenza domiciliare.

In una recente selezione ai corsi universitari per infermieri in una città del Nord, su 98 posti disponibili si sono presentati 80 candidati: la selezione quindi è stata totalmente inutile, è passato anche chi aveva preso un punto su 100 alla prova d’esame. E poi non tutti gli 80 arriveranno alla meta. Speriamo quindi nella rapida invenzione di robot che sappiano fare iniezioni e medicazioni…

Nicola Salvagnin]]>
una ragazza ripresa di fronte, conm la testa visibile a metà, con in mano un qiuaderno e sulle spalle uno zaino nero

Non è facile quantificare di preciso l’entità della cosiddetta “fuga di cervelli” dall’Italia all’estero, cioè quanti siano quei giovani (fino ai 34 anni) che fanno le valigie e se ne vanno all’estero a cercare miglior fortuna. Comunque, secondo uno studio presentato al Cnel dalla Fondazione Nord Est, in tredici anni, dal 2011 al 2023, circa 550 mila giovani italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati.

Il problema vero è che una fetta consistente di questa gioventù era assai ben formata: laureati di qualità (medici, ingegneri…) su cui il Paese aveva fatto un bell’investimento, ma i cui frutti saranno goduti da Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Francia. Queste le mete più gettonate.

Altro problema: questa diaspora non è compensata da altrettanti arrivi dall’estero. Sempre quel rapporto segnala che arriva un giovane straniero con ottima formazione ogni 8 italiani espatriati. La ragione è chiarissima: non ci sono in Italia le condizioni migliori per sviluppare una carriera lavorativa. Né per gli italiani, né per gli stranieri.

Retribuzioni iniziali quasi offensive, zero spazio ai più giovani in azienda, carriere lentissime, tassazione asfissiante. Giusto quindi cercare fortuna laddove si sa valorizzare sia la competenza che la freschezza. E chiaramente ha poco senso per un neo-medico tedesco venire a lavorare qui in Italia (a Bolzano, ad esempio), dove guadagnerà la metà che a casa propria.

Il recente Decreto flussi ha aperto le porte a quasi mezzo milione di lavoratori stranieri in tre anni: il via libera più imponente da decenni, ma già valutato da subito come insufficiente.  Ma qui stiamo facendo discorsi con lo ‘spannometro’: che tipo di lavoratori stranieri serviranno all’Italia del futuro? Di tutti i tipi: solo che badanti e autisti in qualche modo si possono trovare o inventare. Infermieri e ingegneri no. E senza infermieri, ad esempio, non funzionano le case di riposo o l’assistenza domiciliare.

In una recente selezione ai corsi universitari per infermieri in una città del Nord, su 98 posti disponibili si sono presentati 80 candidati: la selezione quindi è stata totalmente inutile, è passato anche chi aveva preso un punto su 100 alla prova d’esame. E poi non tutti gli 80 arriveranno alla meta. Speriamo quindi nella rapida invenzione di robot che sappiano fare iniezioni e medicazioni…

Nicola Salvagnin]]>
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Giustizia Usa migliore? https://www.lavoce.it/giustizia-usa-miglire/ https://www.lavoce.it/giustizia-usa-miglire/#respond Fri, 24 May 2024 09:37:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=76300

Tutto serve ad alimentare polemiche fra la maggioranza di governo e la opposizione; questa settimana è stato il caso di Chico Forti. Chi è costui? Un italiano, che è emigrato in America, vi ha fatto affari, poi è stato accusato di avere commesso un omicidio per motivi loschi (in pratica per coprire un delitto di truffa). Lui si è sempre protestato innocente ma è stato condannato all’ergastolo.

Adesso, dopo avere scontato 24 anni di carcere, ha ottenuto di poter scontare il resto della pena nel suo paese, come previsto da un trattato fra l’Italia e gli Usa; ferma restando la condanna decisa dal tribunale americano, potrà avere gli sconti per buona condotta previsti dalla legge italiana, anche se non sono previsti dalla legge americana. Per ottenere questo risultato, quell’uomo aveva bisogno che il governo italiano si attivasse in suo favore; e così è stato. Fin qui, tutto regolare, anche se succede di rado. Di strano c’è stato che quando l’ergastolano, sotto buona scorta, è sbarcato in Italia, ha trovato che a dargli il benvenuto c’era la presidente del Consiglio in persona, tutta contenta. Il perché di tanto onore non è stato spiegato. Da qui le critiche della opposizione e le repliche che però non hanno aiutato a capire meglio.

Questo episodio mi offre l’occasione per dare ai lettori qualche informazione sulle differenze fra la giustizia italiana e quella americana. Il signor Forti è stato condannato al carcere perpetuo (che laggiù non è un modo di dire) dal verdetto di una giuria formata da persone scelte a caso, le quali non hanno dovuto spendere una riga per spiegare perché, in un caso obiettivamente dubbio, avessero giudicato colpevole l’imputato; e il processo è finito lì.

In Italia, per la condanna in primo grado di Amanda Knox e del suo coimputato i giudici scrissero ben 425 pagine di motivazione; ogni frase di quel testo così imponente fu vivisezionata dai giudici di seconda istanza, che ne scrissero altrettante per giungere all’esito opposto; e poi vi furono ancora tre gradi di giudizio (cinque in tutto) fino alla assoluzione conclusiva. Vi chiedo: se vogliamo parlare di “garantismo”, vi sembra più garantista il sistema italiano o quello statunitense? Vi chiedo ancora: avete capito perché in Italia i processi durano tanto? Eppure molti in Italia pensano che la giustizia negli Usa funzioni meglio. Di certo è più sbrigativa.

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Tutto serve ad alimentare polemiche fra la maggioranza di governo e la opposizione; questa settimana è stato il caso di Chico Forti. Chi è costui? Un italiano, che è emigrato in America, vi ha fatto affari, poi è stato accusato di avere commesso un omicidio per motivi loschi (in pratica per coprire un delitto di truffa). Lui si è sempre protestato innocente ma è stato condannato all’ergastolo.

Adesso, dopo avere scontato 24 anni di carcere, ha ottenuto di poter scontare il resto della pena nel suo paese, come previsto da un trattato fra l’Italia e gli Usa; ferma restando la condanna decisa dal tribunale americano, potrà avere gli sconti per buona condotta previsti dalla legge italiana, anche se non sono previsti dalla legge americana. Per ottenere questo risultato, quell’uomo aveva bisogno che il governo italiano si attivasse in suo favore; e così è stato. Fin qui, tutto regolare, anche se succede di rado. Di strano c’è stato che quando l’ergastolano, sotto buona scorta, è sbarcato in Italia, ha trovato che a dargli il benvenuto c’era la presidente del Consiglio in persona, tutta contenta. Il perché di tanto onore non è stato spiegato. Da qui le critiche della opposizione e le repliche che però non hanno aiutato a capire meglio.

Questo episodio mi offre l’occasione per dare ai lettori qualche informazione sulle differenze fra la giustizia italiana e quella americana. Il signor Forti è stato condannato al carcere perpetuo (che laggiù non è un modo di dire) dal verdetto di una giuria formata da persone scelte a caso, le quali non hanno dovuto spendere una riga per spiegare perché, in un caso obiettivamente dubbio, avessero giudicato colpevole l’imputato; e il processo è finito lì.

In Italia, per la condanna in primo grado di Amanda Knox e del suo coimputato i giudici scrissero ben 425 pagine di motivazione; ogni frase di quel testo così imponente fu vivisezionata dai giudici di seconda istanza, che ne scrissero altrettante per giungere all’esito opposto; e poi vi furono ancora tre gradi di giudizio (cinque in tutto) fino alla assoluzione conclusiva. Vi chiedo: se vogliamo parlare di “garantismo”, vi sembra più garantista il sistema italiano o quello statunitense? Vi chiedo ancora: avete capito perché in Italia i processi durano tanto? Eppure molti in Italia pensano che la giustizia negli Usa funzioni meglio. Di certo è più sbrigativa.

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Ius sanguinis, il modo sbagliato di fare l’Italia https://www.lavoce.it/ius-sanguinis-il-modo-sbagliato-di-fare-litalia/ Tue, 21 Mar 2023 18:55:18 +0000 https://www.lavoce.it/?p=70899

di Andrea Casavecchia Dopo un periodo di flessione, la presenza di cittadini stranieri nel nostro Paese è ripresa a crescere. Siamo tornati intorno ai 6 milioni di presenze e circa il 60 per cento di loro proviene da Paesi esterni all’Unione europea, come indica il 28° Rapporto sulle migrazioni a cura dell’Ismu (Fondazione iniziative e studi sulla multietnicità). È stata superata un’altra volta l’asticella del 10 per cento sul totale della popolazione residente. Il contributo maggiore alla crescita attuale è stato offerto dagli immigrati regolari non ancora residenti, quelli che – come spiega il Rapporto – non sono ancora registrati all’Anagrafe e hanno quindi un permesso temporaneo. Un contributo più contenuto è offerto dai cittadini stranieri residenti, mentre il gruppo che contrae la sua presenza è quello degli immigrati irregolari. La crescita è dovuta essenzialmente all’aumento del numero di ingressi per ragioni di lavoro (i permessi sono stati oltre 242 mila). Invece solo il 12,8 per cento dei nuovi ingressi è dovuto a motivi di asilo e altre forme di protezione. Però la composizione della popolazione italiana è sempre più variegata anche per altri motivi. Nonostante tutti gli ostacoli che vengono creati per aggiornare la datata legge sulla cittadinanza, scritta con logiche che permettevano di conservare le origini italiane ai migranti che raggiungevano le varie parti del mondo, inizia a essere consistente anche il numero delle acquisizioni di cittadinanza: oltre 121 mila persone sono diventate italiane. Il 41 per cento delle acquisizioni ha seguito l’iter più lungo (che richiede 10 anni di residenza ininterrotta in Italia). Un altro 11,9 per cento è dovuto ai matrimoni con cittadini italiani, mentre il rimanente 47 per cento è soprattutto da attribuire alla trasmissione ai figli della cittadinanza del diritto acquisito dai genitori. Le stime dei ricercatori valutano che oggi in Italia risiedano quasi un milione e mezzo di nuovi italiani. I numeri del Rapporto mostrano che le vite dei cittadini italiani si intrecciano nel mondo del lavoro, nel quale si contano oltre 2 milioni di occupati: l’11,2 per cento del totale dei lavoratori in Italia. I loro figli frequentano le scuole; lì gli studenti con una cittadinanza diversa da quella italiana rappresentano il 10,3 per cento. Secondo poi i dati Istat, circa un matrimonio su dieci celebrato nel 2021 vedeva la presenza di almeno un coniuge non italiano. Tutti questi indicatori, che ci fanno vedere la vitalità interculturale in Italia, mostrano come la cittadinanza fondata ancora sullo ius sanguinis stia diventando un inconsistente confine, che finisce per bloccare parte delle vite di alcune persone, invece di integrare la diversità presente nel Paese.]]>

di Andrea Casavecchia Dopo un periodo di flessione, la presenza di cittadini stranieri nel nostro Paese è ripresa a crescere. Siamo tornati intorno ai 6 milioni di presenze e circa il 60 per cento di loro proviene da Paesi esterni all’Unione europea, come indica il 28° Rapporto sulle migrazioni a cura dell’Ismu (Fondazione iniziative e studi sulla multietnicità). È stata superata un’altra volta l’asticella del 10 per cento sul totale della popolazione residente. Il contributo maggiore alla crescita attuale è stato offerto dagli immigrati regolari non ancora residenti, quelli che – come spiega il Rapporto – non sono ancora registrati all’Anagrafe e hanno quindi un permesso temporaneo. Un contributo più contenuto è offerto dai cittadini stranieri residenti, mentre il gruppo che contrae la sua presenza è quello degli immigrati irregolari. La crescita è dovuta essenzialmente all’aumento del numero di ingressi per ragioni di lavoro (i permessi sono stati oltre 242 mila). Invece solo il 12,8 per cento dei nuovi ingressi è dovuto a motivi di asilo e altre forme di protezione. Però la composizione della popolazione italiana è sempre più variegata anche per altri motivi. Nonostante tutti gli ostacoli che vengono creati per aggiornare la datata legge sulla cittadinanza, scritta con logiche che permettevano di conservare le origini italiane ai migranti che raggiungevano le varie parti del mondo, inizia a essere consistente anche il numero delle acquisizioni di cittadinanza: oltre 121 mila persone sono diventate italiane. Il 41 per cento delle acquisizioni ha seguito l’iter più lungo (che richiede 10 anni di residenza ininterrotta in Italia). Un altro 11,9 per cento è dovuto ai matrimoni con cittadini italiani, mentre il rimanente 47 per cento è soprattutto da attribuire alla trasmissione ai figli della cittadinanza del diritto acquisito dai genitori. Le stime dei ricercatori valutano che oggi in Italia risiedano quasi un milione e mezzo di nuovi italiani. I numeri del Rapporto mostrano che le vite dei cittadini italiani si intrecciano nel mondo del lavoro, nel quale si contano oltre 2 milioni di occupati: l’11,2 per cento del totale dei lavoratori in Italia. I loro figli frequentano le scuole; lì gli studenti con una cittadinanza diversa da quella italiana rappresentano il 10,3 per cento. Secondo poi i dati Istat, circa un matrimonio su dieci celebrato nel 2021 vedeva la presenza di almeno un coniuge non italiano. Tutti questi indicatori, che ci fanno vedere la vitalità interculturale in Italia, mostrano come la cittadinanza fondata ancora sullo ius sanguinis stia diventando un inconsistente confine, che finisce per bloccare parte delle vite di alcune persone, invece di integrare la diversità presente nel Paese.]]>
Profughi nel Mediterraneo tra lacune giuridiche e miopia https://www.lavoce.it/profughi-mediterraneo-lacune-giuridiche-miopia/ Thu, 17 Nov 2022 12:04:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=69285

Siamo rimasti tutti sorpresi dal litigio scoppiato fra l’Italia e la Francia riguardo al salvataggio in mare dei profughi e al trattamento dei migranti in genere. Non voglio discutere ora – non ne vale la pena – da che parte stiano i torti e le ragioni, né se ci siano state strumentalizzazioni e malafede (un po’ sì, diciamo). Conviene invece andare più a fondo e capire che queste liti insorgono quando i rapporti sono regolati da un quadro giuridico sommario e incerto.

È il caso delle norme internazionali, che in parte sono consuetudinarie e in parte derivano da convenzioni scritte. In un caso e nell’altro fissano solo alcuni punti essenziali e lasciano nel vago tutto il resto. Vedi la regola che obbliga i naviganti a prestare soccorso ai naufraghi, raccoglierli e condurli fino a un porto sicuro. Anche ammettendo che sia chiaro che cosa s’intenda per “porto sicuro”, non viene detto che cosa si debba fare “prima” e “dopo”; tanto meno “chi” debba pensarci (al “prima” e al “dopo”).

Per esempio: qual è il ruolo dei volontari delle organizzazioni non governative, dove arrivano i loro diritti e i loro doveri? Ma c’è di peggio: anche le norme del Diritto interno sono spesso incomplete e imprecise al pari di queste; ma almeno, nel Diritto interno ci sono le autorità giudiziarie e amministrative che risolvono caso per caso i problemi con le loro decisioni. Nei rapporti internazionali – salvo che in situazioni particolari – non esistono autorità superiori che abbiano questi compiti e i relativi poteri. Una partita di calcio, anche amichevole, non si può giocare senza un arbitro, non importa quanto bravo, altrimenti finisce in litigio.

Queste semplici riflessioni ci fanno capire quanto sia necessario nel mondo di oggi, molto più che in quello di ieri, avere regole sovranazionali precise e autorità sovranazionali con il potere effettivo di decidere e richiamare all’ordine chi non ci sta. Molto diverso dalle teorie sovraniste, secondo le quali devono esserci, sì, strutture internazionali di coordinamento e collaborazione (tanto meglio se possono darti generosi aiuti in denaro), ma senza che questo comporti alcun vincolo o limite alla sovranità dei singoli Stati.

Tornando ora alla questione dei naufraghi del Mediterraneo, c’è un altro aspetto inquietante. Le regole relative al soccorso in mare e all’accoglienza dei naufraghi sono state concepite per il caso “normale”: qualcuno si è messo in mare pensando di arrivare senza problemi in un porto dove era atteso, ma poi per disgrazia è incappato in un naufragio imprevisto; comunque, una volta soccorso e portato a terra, sa dove andare e ha i mezzi per andarci. I migranti del Mediterraneo, invece, già sanno (o almeno questo è quello che pensano Salvini e i salviniani) che con quel barcone non approderanno mai e rischiano di morirci, ma puntano sul fatto che ci saranno anime buone che andranno a soccorrerli e poi si prenderanno cura di loro a tempo indeterminato.

Questo, sia chiaro, non comporta che sia lecito abbandonarli al loro destino, ci mancherebbe: l’obbligo di salvataggio vale per chiunque è in pericolo, non importa come e perché ci sia arrivato. Ma ci fa capire che abbiamo davanti un fenomeno inconsueto che richiede risposte adeguate, anche per essere pronti ad aiutare quegli sventurati. E vi è ancora un altro aspetto della questione, il più inquietante di tutti. Ciò che spinge quei migranti sui barconi non è una scelta isolata di quelle persone.

È la spia, il primo manifestarsi di un fenomeno enorme e inarrestabile: l’esodo in massa dei popoli dell’Africa, e più in generale del Sud del mondo. Popoli che stanno vivendo una crescita demografica impetuosa (fino a raddoppiare ogni 20 anni) unitamente all’impoverimento delle loro risorse anche per effetto dei cambiamenti climatici e della siccità. Sono, questi, problemi terribili di cui noi dovremmo essere consapevoli e farcene carico… noi chi? Noi, tutti gli abitanti del mondo, collettivamente, a partire dai più ricchi, si capisce. Fare i puntigliosi sui barconi e sulle Ong, in questo quadro, appare, più che inadeguato, tragicamente ridicolo.

Piaccia o non piaccia, problemi di queste dimensioni si possono affrontare e risolvere – ammesso che ci si riesca – solo con un’azione coordinata e decisa a livello mondiale. Solo pensarci fa paura. Ma chiudersi nel nazionalismo è come tapparsi gli occhi per non vedere l’acqua che sale e sta per sommergerci.

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Le differenze tra Italia e Inghilterra https://www.lavoce.it/le-differenze-tra-italia-e-inghilterra/ Thu, 15 Sep 2022 14:03:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68585

Nei giorni scorsi abbiamo sentito molto parlare dei fatti di Gran Bretagna: un governo nuovo con una nuova prima ministra, e due giorni dopo un nuovo re. La nostra curiosità è attirata dalle consuetudini antiquate e pittoresche di quel mondo, a partire dalla stessa monarchia: titoli nobiliari, riti, cariche ereditarie. Diversi fra i membri del governo portano titoli mai cambiati da secoli, come il “cancelliere dello scacchiere” che di fatto è il ministro delle finanze.

In Italia, al contrario, ogni volta che si rinnova il governo (quindi spesso) si cambia il nome di qualche ministero, nella speranza che cambino anche le cose, o comunque che qualcuno lo creda. Come il ministero dell’Ambiente ribattezzato “della Transizione ecologica” e quello dei Trasporti ribattezzato “della Mobilità sostenibile”.

Etichette che non sono altro che pie intenzioni o, nel migliore dei casi, programmi politici; per realizzarli non servono i nomi, servirebbero progetti concreti, volontà politica e capacità tecnica.  Invece la Gran Bretagna conserva i vecchi nomi e i vecchi riti, ma nei fatti si modernizza davvero.

Diversi ministri del governo Truss, uomini e donne, sono figli di immigrati extraeuropei, come già quelli di Johnson; escono dalle migliori università e benché relativamente giovani hanno alle spalle brillanti carriere professionali. Chi li manda al governo è il partito conservatore, cioè la destra. La sinistra, da parte sua, ha eletto sindaco di Londra un pakistano musulmano.

Questo ci parla di una società attaccata alle sue tradizioni ma aperta all’innovazione e ormai multietnica e multireligiosa. Da noi ancora si discute della cittadinanza ai figli di immigrati che abbiano preso un titolo di studio in Italia; per ora si agevolano solo quelli che ci portano medaglie sportive e ci permettono di dire che l’Italia va forte. Mi pare che quanto a serietà gli inglesi ci battano.

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Nei giorni scorsi abbiamo sentito molto parlare dei fatti di Gran Bretagna: un governo nuovo con una nuova prima ministra, e due giorni dopo un nuovo re. La nostra curiosità è attirata dalle consuetudini antiquate e pittoresche di quel mondo, a partire dalla stessa monarchia: titoli nobiliari, riti, cariche ereditarie. Diversi fra i membri del governo portano titoli mai cambiati da secoli, come il “cancelliere dello scacchiere” che di fatto è il ministro delle finanze.

In Italia, al contrario, ogni volta che si rinnova il governo (quindi spesso) si cambia il nome di qualche ministero, nella speranza che cambino anche le cose, o comunque che qualcuno lo creda. Come il ministero dell’Ambiente ribattezzato “della Transizione ecologica” e quello dei Trasporti ribattezzato “della Mobilità sostenibile”.

Etichette che non sono altro che pie intenzioni o, nel migliore dei casi, programmi politici; per realizzarli non servono i nomi, servirebbero progetti concreti, volontà politica e capacità tecnica.  Invece la Gran Bretagna conserva i vecchi nomi e i vecchi riti, ma nei fatti si modernizza davvero.

Diversi ministri del governo Truss, uomini e donne, sono figli di immigrati extraeuropei, come già quelli di Johnson; escono dalle migliori università e benché relativamente giovani hanno alle spalle brillanti carriere professionali. Chi li manda al governo è il partito conservatore, cioè la destra. La sinistra, da parte sua, ha eletto sindaco di Londra un pakistano musulmano.

Questo ci parla di una società attaccata alle sue tradizioni ma aperta all’innovazione e ormai multietnica e multireligiosa. Da noi ancora si discute della cittadinanza ai figli di immigrati che abbiano preso un titolo di studio in Italia; per ora si agevolano solo quelli che ci portano medaglie sportive e ci permettono di dire che l’Italia va forte. Mi pare che quanto a serietà gli inglesi ci battano.

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Che cosa farà Forza Italia? https://www.lavoce.it/berlusconi-forza-italia/ Fri, 28 Sep 2018 12:00:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52979

di Daris Giancarlini

Ha annunciato che si candiderà alle elezioni europee della primavera prossima, Silvio Berlusconi: non si sa quanto questo possa aver risollevato consensi e morale della creatura politica dell’ex premier, quella Forza Italia che alcuni sondaggi danno addirittura sotto al 10 per cento.

L’idea di Berlusconi di tornare in pista si collega direttamente al comune sentire degli esponenti principali di Fi prima del voto politico del 4 marzo scorso, quando all’unisono affermavano che l’impossibilità dell’ex Cavaliere di candidarsi avrebbe sottratto diversi voti agli azzurri.

Quindi, Berlusconi si ricandida e tutto si risolve? Sarebbe semplicistico sostenerlo: perché nel frattempo sono successe un bel po’ di cose, nel centro destra.

È successo che la Lega di Matteo Salvini (non più quella di Bossi e Maroni...) è andata al governo del Paese insieme ai cinquestelle, coloro che Berlusconi stesso, nella sua pubblica apparizione, ha definito “i peggiori eredi dei comunisti e della sinistra giustizialista”.

Ora la Lega nei sondaggi supera il 30 per cento, ed è dunque lei a ricoprire il ruolo di ‘locomotiva’ di un’eventuale coalizione di centro destra. Coalizione che Salvini, dopo una recente cena a casa di Berlusconi, ha confinato al livello puramente regionale, di fatto tagliando qualsiasi aspirazione del leader azzurro di rientrare in ballo, in tempi brevi, per svolgere un ruolo di rilievo nazionale.

L’impressione è che Berlusconi fatichi anche soltanto ad immaginare un ruolo meno che preminente in un possibile, futuro ritorno del centro desta alla guida dell’Italia. Così come pare di capire che Salvini, forte dei suoi ‘numeri’ preponderanti, intenda conservare un rapporto con l’ex premier più per contare su una patina di liberalismo sopra la propria politica sovranista che per lasciare a Berlusconi uno spazio politico realmente incidente sulle strategie da mettere in atto.

D’altro canto, anche Berlusconi cerca di non ‘strappare’ più di tanto il legame con l’alleato leghista, quasi giustificando bonariamente Salvini per certe sue scelte di governo non proprio in linea con la tradizione di Forza Italia e del centrodestra berlusconiano.

Un centrodestra nel cui ambito si fatica a comprendere la partita giocata da Fratelli d’Italia, con Giorgia Meloni che si dice pronta a sciogliere il partito per dare vita a una più ampia compagine di stampo eminentemente sovranista: se succedesse, Forza Italia che fa?

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di Daris Giancarlini

Ha annunciato che si candiderà alle elezioni europee della primavera prossima, Silvio Berlusconi: non si sa quanto questo possa aver risollevato consensi e morale della creatura politica dell’ex premier, quella Forza Italia che alcuni sondaggi danno addirittura sotto al 10 per cento.

L’idea di Berlusconi di tornare in pista si collega direttamente al comune sentire degli esponenti principali di Fi prima del voto politico del 4 marzo scorso, quando all’unisono affermavano che l’impossibilità dell’ex Cavaliere di candidarsi avrebbe sottratto diversi voti agli azzurri.

Quindi, Berlusconi si ricandida e tutto si risolve? Sarebbe semplicistico sostenerlo: perché nel frattempo sono successe un bel po’ di cose, nel centro destra.

È successo che la Lega di Matteo Salvini (non più quella di Bossi e Maroni...) è andata al governo del Paese insieme ai cinquestelle, coloro che Berlusconi stesso, nella sua pubblica apparizione, ha definito “i peggiori eredi dei comunisti e della sinistra giustizialista”.

Ora la Lega nei sondaggi supera il 30 per cento, ed è dunque lei a ricoprire il ruolo di ‘locomotiva’ di un’eventuale coalizione di centro destra. Coalizione che Salvini, dopo una recente cena a casa di Berlusconi, ha confinato al livello puramente regionale, di fatto tagliando qualsiasi aspirazione del leader azzurro di rientrare in ballo, in tempi brevi, per svolgere un ruolo di rilievo nazionale.

L’impressione è che Berlusconi fatichi anche soltanto ad immaginare un ruolo meno che preminente in un possibile, futuro ritorno del centro desta alla guida dell’Italia. Così come pare di capire che Salvini, forte dei suoi ‘numeri’ preponderanti, intenda conservare un rapporto con l’ex premier più per contare su una patina di liberalismo sopra la propria politica sovranista che per lasciare a Berlusconi uno spazio politico realmente incidente sulle strategie da mettere in atto.

D’altro canto, anche Berlusconi cerca di non ‘strappare’ più di tanto il legame con l’alleato leghista, quasi giustificando bonariamente Salvini per certe sue scelte di governo non proprio in linea con la tradizione di Forza Italia e del centrodestra berlusconiano.

Un centrodestra nel cui ambito si fatica a comprendere la partita giocata da Fratelli d’Italia, con Giorgia Meloni che si dice pronta a sciogliere il partito per dare vita a una più ampia compagine di stampo eminentemente sovranista: se succedesse, Forza Italia che fa?

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Il modello-Italia di Camaldoli https://www.lavoce.it/modello-italia-camaldoli/ Mon, 02 Jul 2018 08:04:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52188 Logo rubrica Il punto

di Pier Giorgio Lignani

Non si può stare sempre sull’attualità, si rischia di dire sempre le stesse cose, e anche di intristirsi un po’. Qualche volta conviene rimeditare su eventi passati.

Questa settimana sono attirato da un evento di cui fra pochi giorni ricorrerà il 75° anniversario, un evento che mentre si svolgeva era clandestino e anche dopo è stato pochissimo conosciuto, ma ha una parte nella storia d’Italia. Parlo della stesura del documento detto “codice di Camaldoli”. Era il luglio 1943, l’Italia era in guerra da tre anni, era ancora dominata da Mussolini, ma si capiva che stava arrivando il momento della svolta (e arrivò, infatti; ma nessuno immaginava che il peggio doveva ancora venire e sarebbe durato quasi due anni). Un gruppo di intellettuali cattolici, perlopiù giovani, teleguidati da mons. Montini, si chiusero nell’abbazia di Camaldoli, fingendo di essere lì per una settimana di studi teologici.

Invece preparavano le linee guida per governare l’Italia, partendo dagli ideali, dai valori e dai princìpi. Fra loro c’erano Aldo Moro, Giulio Andreotti, Giorgio La Pira, e ancora futuri ministri come Guido Gonella, Paolo Emilio Taviani, Giuseppe Medici, e grandi uomini di pensiero come Giuseppe Capograssi e Vittore Branca. Non era un semplice programma politico, era molto di più, era un progetto di comunità nazionale (altro che il “Governo del cambiamento”).

Spiegavano che cosa volessero dire parole come società civile, giustizia sociale, solidarietà, bene comune, libertà, democrazia; approfondivano il rapporto fra lo Stato, la persona, la famiglia, i gruppi intermedi che liberamente si formano all’interno della società. Non a caso ritroveremo molti di quei concetti nella nostra Costituzione, insieme agli apporti di altre correnti politiche. Rileggere ora il “codice di Camaldoli” è emozionante, perché ci fa misurare la distanza fra quelle persone e la classe politica attuale, quale che ne sia il colore. Certo, molti di quei princìpi sono datati, troppe cose sono cambiate in Italia e fuori. Però quello che ci colpisce è il metodo: la ricerca dei grandi valori e degli strumenti per realizzarli.

Neanche una virgola per acchiappare voti strizzando l’occhio agli elettori.

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di Pier Giorgio Lignani

Non si può stare sempre sull’attualità, si rischia di dire sempre le stesse cose, e anche di intristirsi un po’. Qualche volta conviene rimeditare su eventi passati.

Questa settimana sono attirato da un evento di cui fra pochi giorni ricorrerà il 75° anniversario, un evento che mentre si svolgeva era clandestino e anche dopo è stato pochissimo conosciuto, ma ha una parte nella storia d’Italia. Parlo della stesura del documento detto “codice di Camaldoli”. Era il luglio 1943, l’Italia era in guerra da tre anni, era ancora dominata da Mussolini, ma si capiva che stava arrivando il momento della svolta (e arrivò, infatti; ma nessuno immaginava che il peggio doveva ancora venire e sarebbe durato quasi due anni). Un gruppo di intellettuali cattolici, perlopiù giovani, teleguidati da mons. Montini, si chiusero nell’abbazia di Camaldoli, fingendo di essere lì per una settimana di studi teologici.

Invece preparavano le linee guida per governare l’Italia, partendo dagli ideali, dai valori e dai princìpi. Fra loro c’erano Aldo Moro, Giulio Andreotti, Giorgio La Pira, e ancora futuri ministri come Guido Gonella, Paolo Emilio Taviani, Giuseppe Medici, e grandi uomini di pensiero come Giuseppe Capograssi e Vittore Branca. Non era un semplice programma politico, era molto di più, era un progetto di comunità nazionale (altro che il “Governo del cambiamento”).

Spiegavano che cosa volessero dire parole come società civile, giustizia sociale, solidarietà, bene comune, libertà, democrazia; approfondivano il rapporto fra lo Stato, la persona, la famiglia, i gruppi intermedi che liberamente si formano all’interno della società. Non a caso ritroveremo molti di quei concetti nella nostra Costituzione, insieme agli apporti di altre correnti politiche. Rileggere ora il “codice di Camaldoli” è emozionante, perché ci fa misurare la distanza fra quelle persone e la classe politica attuale, quale che ne sia il colore. Certo, molti di quei princìpi sono datati, troppe cose sono cambiate in Italia e fuori. Però quello che ci colpisce è il metodo: la ricerca dei grandi valori e degli strumenti per realizzarli.

Neanche una virgola per acchiappare voti strizzando l’occhio agli elettori.

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Il vero premier ora è Salvini https://www.lavoce.it/vero-premier-ora-salvini/ Mon, 18 Jun 2018 08:00:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52076 Logo rubrica Il punto

di Piergiorgio Lignani La lunga gestazione del governo Conte ci ha regalato una serie di colpi di scena, e noi giornalisti ne abbiamo pagato le spese perché i nostri commenti erano regolarmente smentiti dai fatti accaduti mentre il giornale era in tipografia. In compenso, nei primi giorni dopo l’entrata in carica tutto si sta svolgendo secondo copione. Prima previsione avverata: il presidente Conte, persona stimabile e anche gradevole, si sta confermando privo anche di un briciolo di autorevolezza politica e di capacità d’iniziativa, visto che il suo compito è quello di seguire il famoso “contratto”, tanto stringente quanto contraddittorio, senza metterci niente di suo. In effetti ha dimostrato un’abilità prodigiosa nello scansare ogni rischio di prendere una posizione netta su una qualsiasi cosa, e lo si è visto soprattutto al G7 in Canada: un incontro drammatico per le ripetute spaccature (i presenti contro gli assenti, cioè Russia e Cina; poi Trump contro tutti) e lui sempre bravo a dirsi amico di questo “ma anche” di quello. Seconda previsione avverata: anche il Governo nel suo insieme è privo di ogni autorevolezza, contano solo i due partiti o meglio i loro due leader: si è fatto un braccio di ferro con l’Europa, ma non hanno detto nulla né il ministro degli Esteri né quello degli Affari europei. Terza previsione avverata: fra i due capi, quello che conta veramente è uno solo, Salvini, che ha parlato e agito come se fosse il vero capo del Governo, imponendo a tutti la sua visione delle cose, e quelli che sono i suoi obiettivi politici a breve, media e lunga scadenza. Può farlo perché fra lui e Di Maio - per non parlare di Conte - lui è il solo che sa quello che davvero vuole, e sa come ottenerlo, a dispetto di tutti. Sa che più grosse le spara e più eccita il suo elettorato; e non ha paura di mettere in imbarazzo i cinquestelle, perché sa (e sa che loro sanno) che, se il Governo salta, si andrà a nuove elezioni e avrà tutto da guadagnarci, mentre i suoi occasionali alleati avranno tutto da perderci. Quello che ho esposto sin qui non è un giudizio etico o politico, è una fredda analisi dei fatti. Vedremo le prossime puntate.  ]]>
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di Piergiorgio Lignani La lunga gestazione del governo Conte ci ha regalato una serie di colpi di scena, e noi giornalisti ne abbiamo pagato le spese perché i nostri commenti erano regolarmente smentiti dai fatti accaduti mentre il giornale era in tipografia. In compenso, nei primi giorni dopo l’entrata in carica tutto si sta svolgendo secondo copione. Prima previsione avverata: il presidente Conte, persona stimabile e anche gradevole, si sta confermando privo anche di un briciolo di autorevolezza politica e di capacità d’iniziativa, visto che il suo compito è quello di seguire il famoso “contratto”, tanto stringente quanto contraddittorio, senza metterci niente di suo. In effetti ha dimostrato un’abilità prodigiosa nello scansare ogni rischio di prendere una posizione netta su una qualsiasi cosa, e lo si è visto soprattutto al G7 in Canada: un incontro drammatico per le ripetute spaccature (i presenti contro gli assenti, cioè Russia e Cina; poi Trump contro tutti) e lui sempre bravo a dirsi amico di questo “ma anche” di quello. Seconda previsione avverata: anche il Governo nel suo insieme è privo di ogni autorevolezza, contano solo i due partiti o meglio i loro due leader: si è fatto un braccio di ferro con l’Europa, ma non hanno detto nulla né il ministro degli Esteri né quello degli Affari europei. Terza previsione avverata: fra i due capi, quello che conta veramente è uno solo, Salvini, che ha parlato e agito come se fosse il vero capo del Governo, imponendo a tutti la sua visione delle cose, e quelli che sono i suoi obiettivi politici a breve, media e lunga scadenza. Può farlo perché fra lui e Di Maio - per non parlare di Conte - lui è il solo che sa quello che davvero vuole, e sa come ottenerlo, a dispetto di tutti. Sa che più grosse le spara e più eccita il suo elettorato; e non ha paura di mettere in imbarazzo i cinquestelle, perché sa (e sa che loro sanno) che, se il Governo salta, si andrà a nuove elezioni e avrà tutto da guadagnarci, mentre i suoi occasionali alleati avranno tutto da perderci. Quello che ho esposto sin qui non è un giudizio etico o politico, è una fredda analisi dei fatti. Vedremo le prossime puntate.  ]]>
Politica. In tre mesi, tutto e il contrario di tutto https://www.lavoce.it/politica-tre-mesi-contrario/ Thu, 31 May 2018 13:58:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51989

di Daris Giancarlini Contraddizioni, paradossi, autosmentite, fughe in avanti e marce indietro hanno caratterizzato i tre mesi ormai passati dalle elezioni del 4 marzo, che hanno prodotto (come lasciava presagire la legge elettorale preparata per ‘non far vincere nessuno’) lo stallo politico, e la conseguente crisi istituzionale di questi giorni, forse la più grave del dopoguerra. La prima, paradossale contraddizione è l’essersi presentati il giorno dopo il voto come vincitori, sapendo che non c’era nessun vero vincitore: lo hanno fatto i cinquestelle (ma 33 per cento non è 51), l’ha fatto l’intero centrodestra (chiedendo addirittura al Capo dello Stato di poter cercare in Parlamento la fiducia senza avere i numeri necessari) e l’ha fatto la Lega, guardando però più alla possibilità di stravincere le elezioni prossime venture che alla volontà reale di governare il Paese. Poi c’è stata la politica dei ‘due forni’ attuata dal leader pentastellato Luigi Di Maio: paradossale anch’essa, perché non c’è logica nel dire che per governare è indifferente se ti allei con il Pd o con la Lega. Una fuga in avanti, quindi, che è diventata un ritorno al forno leghista quando - dopo l’intervista di Renzi da Fazio, anch’essa paradossale visto che l’attuale senatore di Scandicci è ‘soltanto’ un ex segretario - il Pd si è sfilato da un’eventuale maggioranza insieme a M5s. E lo ha fatto sulla base di un ragionamento paradossale: ‘Gli elettori ci hanno dato il 18 per cento [la Lega, vincitrice, è al 17 ...], quindi ci hanno mandato all’opposizione’. In realtà, quel 18 per cento ha votato Pd nella speranza che governasse. Una delle punte più alte dei paradossi e delle contraddizioni è stata quando Di Maio e Salvini si sono accorti che nessuno dei due avrebbe potuto fare il premier, aspirando a farlo entrambi; ed è stato indicato il professore e avvocato Giuseppe Conte. Un tecnico, espressione di una di quelle categorie che grillini e leghisti, in tempi passati, avevano messo al bando per la gestione della politica in Italia. Continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce.]]>

di Daris Giancarlini Contraddizioni, paradossi, autosmentite, fughe in avanti e marce indietro hanno caratterizzato i tre mesi ormai passati dalle elezioni del 4 marzo, che hanno prodotto (come lasciava presagire la legge elettorale preparata per ‘non far vincere nessuno’) lo stallo politico, e la conseguente crisi istituzionale di questi giorni, forse la più grave del dopoguerra. La prima, paradossale contraddizione è l’essersi presentati il giorno dopo il voto come vincitori, sapendo che non c’era nessun vero vincitore: lo hanno fatto i cinquestelle (ma 33 per cento non è 51), l’ha fatto l’intero centrodestra (chiedendo addirittura al Capo dello Stato di poter cercare in Parlamento la fiducia senza avere i numeri necessari) e l’ha fatto la Lega, guardando però più alla possibilità di stravincere le elezioni prossime venture che alla volontà reale di governare il Paese. Poi c’è stata la politica dei ‘due forni’ attuata dal leader pentastellato Luigi Di Maio: paradossale anch’essa, perché non c’è logica nel dire che per governare è indifferente se ti allei con il Pd o con la Lega. Una fuga in avanti, quindi, che è diventata un ritorno al forno leghista quando - dopo l’intervista di Renzi da Fazio, anch’essa paradossale visto che l’attuale senatore di Scandicci è ‘soltanto’ un ex segretario - il Pd si è sfilato da un’eventuale maggioranza insieme a M5s. E lo ha fatto sulla base di un ragionamento paradossale: ‘Gli elettori ci hanno dato il 18 per cento [la Lega, vincitrice, è al 17 ...], quindi ci hanno mandato all’opposizione’. In realtà, quel 18 per cento ha votato Pd nella speranza che governasse. Una delle punte più alte dei paradossi e delle contraddizioni è stata quando Di Maio e Salvini si sono accorti che nessuno dei due avrebbe potuto fare il premier, aspirando a farlo entrambi; ed è stato indicato il professore e avvocato Giuseppe Conte. Un tecnico, espressione di una di quelle categorie che grillini e leghisti, in tempi passati, avevano messo al bando per la gestione della politica in Italia. Continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce.]]>
Politica. Il Governo bicolore che sbucò dal nulla https://www.lavoce.it/politica-governo-bicolore-sbuco-dal-nulla/ Wed, 30 May 2018 16:11:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51984

di Piergiorgio Lignani Le opinioni sono sempre libere, ma i fatti non dovrebbero essere manipolati o travisati. È una manipolazione dei fatti dire che il presidente Mattarella abbia ignorato e cestinato la volontà espressa da oltre il 50 per cento degli elettori italiani – che sarebbero quelli che hanno votato per il Movimento 5 stelle e per la Lega. È troppo disinvolto sommare in questo modo i voti ricevuti dai due partiti, perché non si erano presentati affatto come alleati. L’ipotesi di un Governo bicolore non era stata nemmeno accennata, anzi la Lega si era presentata in coalizione con altri, e non pochi dei suoi parlamentari sono stati eletti con i voti di quelli che allora erano i suoi alleati e ora non lo sono più. Mentre da parte sua il M5s aveva sbandierato la sua orgogliosa solitudine come un segno di superiorità morale, e aveva detto che in Parlamento non avrebbe fatto alleanze, semmai avrebbe solo accettato - benignamente e senza dare contropartite - i voti che altri gruppi avessero offerto a sostegno delle sue proposte. Insomma, sul piano elettorale un’alleanza Lega - 5 stelle non era stata neanche accennata, e quindi non è corretto dire che sia stata benedetta dalla maggioranza dell’elettorato. Per un altro verso, è una falsità dare a Mattarella la responsabilità di aver fatto fallire il progetto del Governo bicolore. Il Presidente della Repubblica aveva accettato l’indicazione dei due partiti quanto al nome del presidente incaricato, Giuseppe Conte, e anche le proposte di quest’ultimo per la lista dei ministri. Tutte meno una. Poteva legittimamente rifiutarsi di firmare la nomina di un ministro? Continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce.]]>

di Piergiorgio Lignani Le opinioni sono sempre libere, ma i fatti non dovrebbero essere manipolati o travisati. È una manipolazione dei fatti dire che il presidente Mattarella abbia ignorato e cestinato la volontà espressa da oltre il 50 per cento degli elettori italiani – che sarebbero quelli che hanno votato per il Movimento 5 stelle e per la Lega. È troppo disinvolto sommare in questo modo i voti ricevuti dai due partiti, perché non si erano presentati affatto come alleati. L’ipotesi di un Governo bicolore non era stata nemmeno accennata, anzi la Lega si era presentata in coalizione con altri, e non pochi dei suoi parlamentari sono stati eletti con i voti di quelli che allora erano i suoi alleati e ora non lo sono più. Mentre da parte sua il M5s aveva sbandierato la sua orgogliosa solitudine come un segno di superiorità morale, e aveva detto che in Parlamento non avrebbe fatto alleanze, semmai avrebbe solo accettato - benignamente e senza dare contropartite - i voti che altri gruppi avessero offerto a sostegno delle sue proposte. Insomma, sul piano elettorale un’alleanza Lega - 5 stelle non era stata neanche accennata, e quindi non è corretto dire che sia stata benedetta dalla maggioranza dell’elettorato. Per un altro verso, è una falsità dare a Mattarella la responsabilità di aver fatto fallire il progetto del Governo bicolore. Il Presidente della Repubblica aveva accettato l’indicazione dei due partiti quanto al nome del presidente incaricato, Giuseppe Conte, e anche le proposte di quest’ultimo per la lista dei ministri. Tutte meno una. Poteva legittimamente rifiutarsi di firmare la nomina di un ministro? Continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce.]]>
Crisi drammatica e grottesca https://www.lavoce.it/crisi-drammatica-grottesca/ Wed, 30 May 2018 14:46:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51970 di Francesco Bonini

Dopo più di ottanta giorni di “melina”, la domenica della Trinità la crisi italiana accelera bruscamente, assumendo toni – come spesso ci accade – insieme drammatici e grotteschi.

Come era largamente annunciato, il tentativo di formare un Governo “giallo-verde”, alla guida del quale era stato designato un brillante professore del tutto privo di esperienza, naufraga sul nome del ministro in pectore dell’Economia, Paolo Savona. Il leader della Lega, confermandosi abilissimo in quella “campagna elettorale permanente” che ormai è diventata la politica italiana, non aspettava altro per far saltare un’operazione fin da subito assai precaria. Coglie così più risultati con una sola mossa, e soprattutto mette in difficoltà il suo alleato di qualche giorno, il Movimento 5 stelle, che reagisce scompostamente minacciando azioni di piazza e la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica (responsabile, sicuro, e fin troppo paziente gestore di una vicenda piena di contraddizioni).

Di qui i punti strutturali della crisi. Prima la campagna elettorale e poi lo svolgimento della crisi hanno fatto emergere un drammatico problema di qualità dell’offerta politica.

Problema che è evidentissimo da almeno tre punti di vista, ovvero su tre piani: la qualità del personale politico, la qualità dei programmi e la qualità delle relazioni inter-istituzionali. Su questa china si arriva al secondo e connesso grande tema, ovvero la qualità del nostro sistema democratico e, di conseguenza, l’idea di Italia. Purtroppo i due punti di crisi sono tra loro strettamente connessi e si alimentano a vicenda.

Per questo bisogna attivare iniziative positive: ne aveva parlato, con toni accorati e molto lucidi, il card. Bassetti all’assemblea della Conferenza episcopale italiana, concludendo con il riferimento – di cento anni fa, ma valido per l’oggi e il domani – all’appello sturziano ai “liberi e forti”.

In Italia ci sono mondi vitali e tante energie vere. Il problema è che moneta cattiva scaccia quella buona, ovvero un discorso politico violento, pur in fin dei conti inconcludente, seduce comunque. Anche perché vellica le nostre pulsioni e ci deresponsabilizza.

Ecco allora la necessità, pur in tempi molto stretti, di ragionare in prospettiva, chiamando le cose come stanno, rispettando le istituzioni, che sono un bene di tutti e denunciando tutte le propagande. Si tratta di scongiurare, lavorando sull’“offerta”, la deriva drammatica e grottesca della crisi italiana, che sembra ora fatalmente diretta verso nuove elezioni.

Non ha senso polarizzare il sistema, ossia l’offerta politica tra europeisti e non europeisti, tra populisti e benpensanti, così come tra vecchio e nuovo. Partiamo dalla realtà e dai nostri tanti problemi. Elezioni ravvicinate sono spesso segno di crisi di sistema. Che ci si arrivi almeno con un’offerta politica nuova. Nuova e finalmente adeguata.

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Le promesse di Salvini e Di Maio https://www.lavoce.it/le-promesse-salvini-maio/ Mon, 28 May 2018 08:00:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51946 Logo rubrica Il punto

di Pier Giorgio Lignani Il “contratto di governo” siglato fra Salvini e Di Maio vale solo per loro due, o al massimo per i rispettivi movimenti politici. Infatti è il risultato di un confronto tra i ruspettivi programmi elettorali, nella faticosa ricerca di una sintesi che eliminasse tutti i punti in contrasto e rilanciasse le proposte su cui si potesse registrare una certa convergenza. Non dobbiamo invece prenderlo come una garanzia che quelle proposte saranno effettivamente realizzate. È lecito infatti sospettare che i contraenti non si siano preoccupati seriamente della loro fattibilità, che invece non è scontata; e lo è ancora meno se le si prendono in considerazione nel loro insieme. Prendiamo la proposta più attraente per la grande massa degli elettori: quella di una forte diminuzione delle aliquote delle imposte sul reddito. Di certo è facile raccogliere consensi elettorali promettendo una riduzione di tasse così marcata: ma sarà possibile che lo Stato rinunci di colpo a una grossa fetta delle sue entrate? Comunque, ammettendo che ci riesca, diventerà poi impossibile mantenere altre promesse già difficili, come il reddito di cittadinanza – sia pure ridimensionato a semplice sussidio di disoccupazione – o l’anticipazione dell’età pensionabile. Capisco che si diventa noiosi ribattendo sempre questo chiodo delle coperture finanziarie e delle compatibilità, ma non si può governare un grande Paese senza tenere d’occhio i conti. Specie se si tratta di un Paese già indebitato in misura abnorme. Chi sostiene il contrario – come i sostenitori del nuovo Governo e dei suoi programmi – si appella all’autorità dell’economista Keynes (1883-1946), quello che ha inventato la teoria della spesa pubblica in deficit come motore dell’economia nazionale. Ma il fatto è che la ricetta di Keynes in Italia la stiamo applicando massicciamente da settant’anni, ed è ben per questo che ci troviamo indebitati come siamo; mentre lui l’aveva concepita solo come rimedio per superare una situazione congiunturale negativa. Altrimenti vale il principio che “non esiste un pasto gratis”. Ricordarlo è antipatico, ma è così.  ]]>
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di Pier Giorgio Lignani Il “contratto di governo” siglato fra Salvini e Di Maio vale solo per loro due, o al massimo per i rispettivi movimenti politici. Infatti è il risultato di un confronto tra i ruspettivi programmi elettorali, nella faticosa ricerca di una sintesi che eliminasse tutti i punti in contrasto e rilanciasse le proposte su cui si potesse registrare una certa convergenza. Non dobbiamo invece prenderlo come una garanzia che quelle proposte saranno effettivamente realizzate. È lecito infatti sospettare che i contraenti non si siano preoccupati seriamente della loro fattibilità, che invece non è scontata; e lo è ancora meno se le si prendono in considerazione nel loro insieme. Prendiamo la proposta più attraente per la grande massa degli elettori: quella di una forte diminuzione delle aliquote delle imposte sul reddito. Di certo è facile raccogliere consensi elettorali promettendo una riduzione di tasse così marcata: ma sarà possibile che lo Stato rinunci di colpo a una grossa fetta delle sue entrate? Comunque, ammettendo che ci riesca, diventerà poi impossibile mantenere altre promesse già difficili, come il reddito di cittadinanza – sia pure ridimensionato a semplice sussidio di disoccupazione – o l’anticipazione dell’età pensionabile. Capisco che si diventa noiosi ribattendo sempre questo chiodo delle coperture finanziarie e delle compatibilità, ma non si può governare un grande Paese senza tenere d’occhio i conti. Specie se si tratta di un Paese già indebitato in misura abnorme. Chi sostiene il contrario – come i sostenitori del nuovo Governo e dei suoi programmi – si appella all’autorità dell’economista Keynes (1883-1946), quello che ha inventato la teoria della spesa pubblica in deficit come motore dell’economia nazionale. Ma il fatto è che la ricetta di Keynes in Italia la stiamo applicando massicciamente da settant’anni, ed è ben per questo che ci troviamo indebitati come siamo; mentre lui l’aveva concepita solo come rimedio per superare una situazione congiunturale negativa. Altrimenti vale il principio che “non esiste un pasto gratis”. Ricordarlo è antipatico, ma è così.  ]]>
Confronto Italia-Germania? Lasciamo perdere… https://www.lavoce.it/confronto-italia-germania-lasciamo-perdere/ Mon, 30 Apr 2018 08:32:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51784 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini Dice: “La Germania, che è la Germania, ci ha messo 6 mesi per fare un Governo...”. Vero, come è vero però che quei 6 mesi sono serviti a scrivere un programma di governo così puntiglioso e particolareggiato da prevedere perfino il numero di lupi che nei prossimi cinque anni devono essere abbattuti per evitare che la specie diventi dannosa per gli allevamenti zootecnici. I partiti tedeschi non hanno trascorso quel tempo a dire “no, tu no!” all’eventuale partner di maggioranza, e tanto meno hanno prospettato e proposto programmi buoni per tutte le alleanze, quindi per nessuna. E neanche hanno mai pensato per un attimo che da una legge quasi del tutto proporzionale potessero scaturire maggioranze automatiche, evitando il vero confronto politico. Ma soprattutto, il giorno dopo il voto hanno smesso di fare campagna elettorale. E cominciato a parlare di politica, di numeri, di dati reali, cercando di tradurre in realtà i programmi elettorali. Già, ma loro sono tedeschi: con un debito pubblico sotto controllo, una preminenza economica e politica rilevante in Europa e un senso dello Stato prevalente rispetto agli interessi personali e partitici. Che c’entra, la Germania, con l’Italia di oggi? Poco o nulla. Ma non abbattiamoci. Per arrivare al loro livello ci basterebbe superare il rancore, vincere l’individualismo, trovare una prospettiva comune e puntare sul tanto di buono che il nostro Paese possiede. Semplice, no?!  ]]>
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di Daris Giancarlini Dice: “La Germania, che è la Germania, ci ha messo 6 mesi per fare un Governo...”. Vero, come è vero però che quei 6 mesi sono serviti a scrivere un programma di governo così puntiglioso e particolareggiato da prevedere perfino il numero di lupi che nei prossimi cinque anni devono essere abbattuti per evitare che la specie diventi dannosa per gli allevamenti zootecnici. I partiti tedeschi non hanno trascorso quel tempo a dire “no, tu no!” all’eventuale partner di maggioranza, e tanto meno hanno prospettato e proposto programmi buoni per tutte le alleanze, quindi per nessuna. E neanche hanno mai pensato per un attimo che da una legge quasi del tutto proporzionale potessero scaturire maggioranze automatiche, evitando il vero confronto politico. Ma soprattutto, il giorno dopo il voto hanno smesso di fare campagna elettorale. E cominciato a parlare di politica, di numeri, di dati reali, cercando di tradurre in realtà i programmi elettorali. Già, ma loro sono tedeschi: con un debito pubblico sotto controllo, una preminenza economica e politica rilevante in Europa e un senso dello Stato prevalente rispetto agli interessi personali e partitici. Che c’entra, la Germania, con l’Italia di oggi? Poco o nulla. Ma non abbattiamoci. Per arrivare al loro livello ci basterebbe superare il rancore, vincere l’individualismo, trovare una prospettiva comune e puntare sul tanto di buono che il nostro Paese possiede. Semplice, no?!  ]]>
L’Italia di oggi in un apologo https://www.lavoce.it/litalia-oggi-un-apologo/ Tue, 27 Mar 2018 08:07:54 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51489 Logo rubrica Il punto

di Pier Giorgio Lignani Immaginiamo una famiglia piuttosto numerosa, all’antica, con tanti figli, nipoti, nuore, generi, cognati; tutti lavorano nell’azienda di famiglia. Hanno fama di una certa genialità, i loro prodotti piacciono alla clientela, e si vendono bene. Loro, però, potrebbero produrre e guadagnare molto di più se non fossero disordinati, sciuponi, poco puntuali, proprio come si pensa dei tipi geniali. In più, buttano soldi in investimenti scriteriati, acquistano macchinari che poi non utilizzano, fanno troppe vacanze, si rovinano al gioco. Così il loro conto in banca è sempre in passivo, e ogni tanto devono chiedere un nuovo finanziamento. Lo ottengono grazie al fatto che sono anche azionisti di minoranza della banca. Ma a un certo punto il direttore della banca dice: “Guardate che, se continuate così, finite male”. E si rifiuta di concedere un altro mutuo fino a che non saranno rientrati almeno un po’ di quelli vecchi. Loro si arrabbiano: quel tirchio come si permette? Poi uno dei ragazzi ha un’idea brillante: “Chiudiamo il conto e usciamo dalla banca, così il direttore la smette di romperci le scatole con le sue prediche”. Evviva! Cognati e nipoti propongono subito di nominarlo nuovo capofamiglia, con l’incarico di chiudere i rapporti con la banca. Qualche vecchia zia obietta che quell’enorme debito si dovrà comunque pagarlo “e quando non avremo più le loro azioni, i bancari non avranno tanti riguardi”, ma viene subito zittita: “Non è vero che noi siamo i più furbi del mondo?”. Fine dell’apologo. Questa storiella non vi suona un po’ familiare? A me pare una fedele immagine di ciò che succede in Italia, con l’Europa nella veste della banca e di quel direttore che raccomanda un po’ di autocontrollo; e mica lo fa per dispetto, ma perché è nel nostro interesse che dobbiamo darci una regolata. Abbiamo visto trionfare alle elezioni quelli che dicono che conviene aumentare il deficit, infischiarcene del rapporto fra il debito e il Pil, e anche dello spread; e poi magari uscire dall’euro e mandare al diavolo l’intera Europa. Ho fatto capire come la penso. Ma forse a sbagliare sono io, chissà.  ]]>
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di Pier Giorgio Lignani Immaginiamo una famiglia piuttosto numerosa, all’antica, con tanti figli, nipoti, nuore, generi, cognati; tutti lavorano nell’azienda di famiglia. Hanno fama di una certa genialità, i loro prodotti piacciono alla clientela, e si vendono bene. Loro, però, potrebbero produrre e guadagnare molto di più se non fossero disordinati, sciuponi, poco puntuali, proprio come si pensa dei tipi geniali. In più, buttano soldi in investimenti scriteriati, acquistano macchinari che poi non utilizzano, fanno troppe vacanze, si rovinano al gioco. Così il loro conto in banca è sempre in passivo, e ogni tanto devono chiedere un nuovo finanziamento. Lo ottengono grazie al fatto che sono anche azionisti di minoranza della banca. Ma a un certo punto il direttore della banca dice: “Guardate che, se continuate così, finite male”. E si rifiuta di concedere un altro mutuo fino a che non saranno rientrati almeno un po’ di quelli vecchi. Loro si arrabbiano: quel tirchio come si permette? Poi uno dei ragazzi ha un’idea brillante: “Chiudiamo il conto e usciamo dalla banca, così il direttore la smette di romperci le scatole con le sue prediche”. Evviva! Cognati e nipoti propongono subito di nominarlo nuovo capofamiglia, con l’incarico di chiudere i rapporti con la banca. Qualche vecchia zia obietta che quell’enorme debito si dovrà comunque pagarlo “e quando non avremo più le loro azioni, i bancari non avranno tanti riguardi”, ma viene subito zittita: “Non è vero che noi siamo i più furbi del mondo?”. Fine dell’apologo. Questa storiella non vi suona un po’ familiare? A me pare una fedele immagine di ciò che succede in Italia, con l’Europa nella veste della banca e di quel direttore che raccomanda un po’ di autocontrollo; e mica lo fa per dispetto, ma perché è nel nostro interesse che dobbiamo darci una regolata. Abbiamo visto trionfare alle elezioni quelli che dicono che conviene aumentare il deficit, infischiarcene del rapporto fra il debito e il Pil, e anche dello spread; e poi magari uscire dall’euro e mandare al diavolo l’intera Europa. Ho fatto capire come la penso. Ma forse a sbagliare sono io, chissà.  ]]>
Fascismo: emergenza ignoranza in Italia https://www.lavoce.it/fascismo-emergenza-ignoranza-italia/ Wed, 13 Dec 2017 15:54:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50826 di Francesco Bonini

Lo ha detto anche il Papa il giorno dell’Immacolata, nella preghiera a Maria: “Aiuta questa città a sviluppare gli ‘anticorpi’ contro alcuni virus dei nostri tempi”. L’immagine è molto efficace. Parlava come Vescovo di Roma, ma, come sappiamo, tanto più oggi nell’Era della globalizzazione, i virus non conoscono frontiere. Tanto più quelli che corrono sui registri delle idee, dell’etica, della cultura. Dopo averli elencati, Papa Francesco conclude con semplicità e chiarezza che i virus contemporanei possono validamente essere combattuti “con gli anticorpi che vengono dal Vangelo”. Come si possa proporre e percorrere, laicamente, ovvero fuori da vincoli confessionali, questa strada, è di fatto il grande tema di questi anni, in Italia e in Europa; e anche una delle sfide più grandi che si è assunto Francesco, innovando, aggiornando l’agenda e i riferimenti, e soprattutto invitando a parlare con chiarezza e franchezza.

In Italia il virus più virulento (il bisticcio è voluto per sottolineare il passaggio) è quello dell’ignoranza, che porta con sé due compari altrettanto pericolosi e invadenti: la violenza e la menzogna. Ne vediamo ogni giorno i frutti, nella vita quotidiana come nell’attualità politica. Sono virus tanto più insidiosi e perniciosi perché si instillano a piccole dosi e sono veicolati spesso dalla retorica, dal pensiero dominante, ovvero dai suoi esiti elitistici e nichilistici. In buona sostanza, non se ne parla, ovvero la retorica dominante non ha interesse a parlarne, e allora possono agire indisturbati, profittare di un brodo di coltura che li corrobora. Ovviamente a questi virus che si propagano sul registro delle idee, dell’etica e della cultura, i più esposti sono i più piccoli, i più poveri, quegli emarginati che il sistema contemporaneo tende a moltiplicare. Lo vediamo molto bene a proposito delle indecorose gazzarre a sfondo fascista delle ultime settimane, su cui è giusto intervenire con grande fermezza – ma all’interno di un quadro coerente; che non può che essere anche un esame di coscienza, che guardi alle cause di questi fenomeni.

C’è un’emergenza ignoranza che non si può risolvere scaricandola sulle inadempienze di un sistema scolastico e formativo soggetto da decenni alle più varie intrusioni, a una sistematica delegittimazione, senza un adeguato piano di investimenti in risorse umane e strutturali. Le gazzarre fasciste in giro per l’Italia ricordano che il fascismo vero, quello di un secolo fa – che non può certamente ritornare come tale – si era nutrito proprio di questo. Servono, dunque, anticorpi. Ma siamo in grado di produrli? E poi, di diffonderli in modo che agiscano con efficacia?

Rispondere a questi interrogativi forti non è facile, comporta che ciascuno, a partire dalle élite, si assuma le proprie responsabilità. Ma se non cominciamo a dire le cose con franchezza e così sviluppare un vero dibattito civile, ci limiteremo, come sempre, alla pur sacrosanta indignazione del momento, che non impedisce ai processi di svilupparsi, mentre ciascuna parte si limita a tutelare i propri interessi, a partire da quelli elettorali.

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Si può far meglio che indennizzare https://www.lavoce.it/si-puo-far-meglio-indennizzare/ Mon, 04 Dec 2017 08:00:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50715 Logo rubrica Il punto

di Pier Giorgio Lignani Ci sono in discussione due proposte di legge, entrambe per contributi in denaro a spese dello Stato. Una è in favore delle donne vittime di abusi e molestie sessuali. L’altra in favore dei cosiddetti orfani del femminicidio, i ragazzini che si trovano con la madre ammazzata e il padre suicida o in galera. Sia l’una che l’altra categoria di vittime hanno tutta la mia solidarietà. Però sono contrario agli indennizzi a spese dello Stato. Per tre motivi. Primo: il bilancio dello Stato è già sovraccarico e il debito pubblico è enorme. Chiunque propone un solo euro di spesa in più in una direzione, deve sapere che significa togliere la stessa somma da un’altra parte, e deve dire chiaramente da dove la toglierebbe, altrimenti non se ne parla. Secondo: ci sono innumerevoli reati e disgrazie che colpiscono tanti innocenti, perché indennizzare a spese dello Stato solo alcuni? Per esempio, se è la madre ad ammazzare il padre (qualche volta succede), perché quegli orfani dovrebbero meritare di meno? Terzo: il compito naturale dello Stato non è quello di indennizzare le vittime dei reati (quali che siano) bensì quello di scoprire i colpevoli e punirli, e soprattutto prevenire la commissione dei reati, proteggendo i cittadini onesti. Come si prevengono i reati? Uno degli strumenti è la punizione stessa dei reati già commessi – e qui, come insegna Beccaria, più che la gravità della pena vale la sua certezza. Per il resto, la prevenzione si fa con l’educazione, con il controllo del territorio, la vigilanza, la prontezza con la quale gli apparati pubblici reagiscono ai primi sintomi di deviazione e di minaccia. Ma tutto questo, sia per la punizione che per la prevenzione, richiede impegno, organizzazione e grosse spese. E da parecchi anni a questa parte, proprio per le difficoltà di bilancio che sappiamo, lo Stato lesina più del tollerabile sulle spese per la giustizia e per la polizia. Si sono chiusi qua e là tribunali, commissariati di polizia e stazioni dei carabinieri, si sono ridotti gli organici, gli orari e gli strumenti. A questo si dovrebbe pensare, non agli indennizzi per le vittime.  ]]>
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di Pier Giorgio Lignani Ci sono in discussione due proposte di legge, entrambe per contributi in denaro a spese dello Stato. Una è in favore delle donne vittime di abusi e molestie sessuali. L’altra in favore dei cosiddetti orfani del femminicidio, i ragazzini che si trovano con la madre ammazzata e il padre suicida o in galera. Sia l’una che l’altra categoria di vittime hanno tutta la mia solidarietà. Però sono contrario agli indennizzi a spese dello Stato. Per tre motivi. Primo: il bilancio dello Stato è già sovraccarico e il debito pubblico è enorme. Chiunque propone un solo euro di spesa in più in una direzione, deve sapere che significa togliere la stessa somma da un’altra parte, e deve dire chiaramente da dove la toglierebbe, altrimenti non se ne parla. Secondo: ci sono innumerevoli reati e disgrazie che colpiscono tanti innocenti, perché indennizzare a spese dello Stato solo alcuni? Per esempio, se è la madre ad ammazzare il padre (qualche volta succede), perché quegli orfani dovrebbero meritare di meno? Terzo: il compito naturale dello Stato non è quello di indennizzare le vittime dei reati (quali che siano) bensì quello di scoprire i colpevoli e punirli, e soprattutto prevenire la commissione dei reati, proteggendo i cittadini onesti. Come si prevengono i reati? Uno degli strumenti è la punizione stessa dei reati già commessi – e qui, come insegna Beccaria, più che la gravità della pena vale la sua certezza. Per il resto, la prevenzione si fa con l’educazione, con il controllo del territorio, la vigilanza, la prontezza con la quale gli apparati pubblici reagiscono ai primi sintomi di deviazione e di minaccia. Ma tutto questo, sia per la punizione che per la prevenzione, richiede impegno, organizzazione e grosse spese. E da parecchi anni a questa parte, proprio per le difficoltà di bilancio che sappiamo, lo Stato lesina più del tollerabile sulle spese per la giustizia e per la polizia. Si sono chiusi qua e là tribunali, commissariati di polizia e stazioni dei carabinieri, si sono ridotti gli organici, gli orari e gli strumenti. A questo si dovrebbe pensare, non agli indennizzi per le vittime.  ]]>
Io sono italiano. Riflessioni sullo ius soli https://www.lavoce.it/italiano-riflessioni-sullo-ius-soli/ Fri, 24 Nov 2017 17:00:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50669

Sono circa un milione in Italia i bambini nati sul territorio italiano da genitori stranieri. Frequentano le scuole italiane, le associazioni territoriali, fanno sport insieme ai loro coetanei eppure non sono giuridicamente al pari dei loro compagni. Non sono infatti cittadini italiani in quanto, ad oggi, l’acquisto della cittadinanza nel nostro paese è ancora regolato dalla legge 91 del 1992 che si basa sostanzialmente sullo ius sanguinis, ovvero l’acquisizione tramite genitori italiani (vedi scheda a lato). La nuova legge sullo ius soli che permetterebbe di ottenere la cittadinanza italiana anche ai nati in Italia da genitori stranieri in possesso però di svariati altri requisiti, si trova al momento bloccata in Senato, dopo esser stata approvata alla Camera nell’ottobre 2015. Sulla nuova legge e sul tema dello ius soli è stato organizzato l’incontro “Io sono italiano. Riflessioni intorno allo ius soli” tenutosi il 20 novembre alla sala Brugnoli di palazzo Cesaroni e promosso dal Garante dell’infanzia e dell’adolescenza della Regione Umbria Maria Pia Serlupini. Quali sono le obiezioni più frequenti che vengono fatte alla legge sullo ius soli ? Ha risposto in merito la presidente del Consiglio della Regione Umbria Donatella Porzi: “Sono obiezioni ma più che altro paure. Si teme che la nuova legge faccia aumentare l’immigrazione, che conceda la cittadinanza automatica a chiunque venga a partorire in Italia, che l’integrazione non sia possibile e, ancora, che possa avere ripercussioni negative all’interno delle famiglie straniere in cui i figli siano cittadini italiani e i genitori no”. Si parla di ius soli nella nuova legge, ma, come spiegato da Maria Chiara Locchi, ricercatrice in Diritto pubblico comparato all’università di Perugia, “non sarebbe ius soli in forma pura. In Europa tutti i paesi prevedono una forma temperata di ius soli in cui, oltre al requisito della nascita su suolo, i genitori stranieri devono averne molti altri e l’acquisto della cittadinanza perciò non è così automatico”. “Dopo la legge di stabilità, faremo di tutto perchè venga approvata la nuova legge sulla cittadinanza” ha detto l’on. Walter Verini, della commissione Giustizia della Camera dei deputati. La nuova legge è infatti molto attesa, non solo dai diretti interessati: “La scuola vive tutti i giorni una contraddizione che lo ius soli potrebbe risolvere: forma tutti i ragazzi per essere dei cittadini, ma poi non tutti lo sono davvero” ha affermato Renzo Zuccherini del Movimento cooperazione educativa. Qual è invece la posizione della Chiesa in merito? Ha risposto il vescovo ausiliare di Perugia mons. Paolo Giulietti: “Per la Chiesa le migrazioni non sono un pericolo, ma un’occasione in più di accoglienza. La centralità della persona è al di sopra di tutto il resto”. Leggi le testimonianze di chi vorrebbe ottenere la cittadinanza italiana e come acquisirla ora e con la nuova legge sull' edizione digitale de La Voce.  ]]>

Sono circa un milione in Italia i bambini nati sul territorio italiano da genitori stranieri. Frequentano le scuole italiane, le associazioni territoriali, fanno sport insieme ai loro coetanei eppure non sono giuridicamente al pari dei loro compagni. Non sono infatti cittadini italiani in quanto, ad oggi, l’acquisto della cittadinanza nel nostro paese è ancora regolato dalla legge 91 del 1992 che si basa sostanzialmente sullo ius sanguinis, ovvero l’acquisizione tramite genitori italiani (vedi scheda a lato). La nuova legge sullo ius soli che permetterebbe di ottenere la cittadinanza italiana anche ai nati in Italia da genitori stranieri in possesso però di svariati altri requisiti, si trova al momento bloccata in Senato, dopo esser stata approvata alla Camera nell’ottobre 2015. Sulla nuova legge e sul tema dello ius soli è stato organizzato l’incontro “Io sono italiano. Riflessioni intorno allo ius soli” tenutosi il 20 novembre alla sala Brugnoli di palazzo Cesaroni e promosso dal Garante dell’infanzia e dell’adolescenza della Regione Umbria Maria Pia Serlupini. Quali sono le obiezioni più frequenti che vengono fatte alla legge sullo ius soli ? Ha risposto in merito la presidente del Consiglio della Regione Umbria Donatella Porzi: “Sono obiezioni ma più che altro paure. Si teme che la nuova legge faccia aumentare l’immigrazione, che conceda la cittadinanza automatica a chiunque venga a partorire in Italia, che l’integrazione non sia possibile e, ancora, che possa avere ripercussioni negative all’interno delle famiglie straniere in cui i figli siano cittadini italiani e i genitori no”. Si parla di ius soli nella nuova legge, ma, come spiegato da Maria Chiara Locchi, ricercatrice in Diritto pubblico comparato all’università di Perugia, “non sarebbe ius soli in forma pura. In Europa tutti i paesi prevedono una forma temperata di ius soli in cui, oltre al requisito della nascita su suolo, i genitori stranieri devono averne molti altri e l’acquisto della cittadinanza perciò non è così automatico”. “Dopo la legge di stabilità, faremo di tutto perchè venga approvata la nuova legge sulla cittadinanza” ha detto l’on. Walter Verini, della commissione Giustizia della Camera dei deputati. La nuova legge è infatti molto attesa, non solo dai diretti interessati: “La scuola vive tutti i giorni una contraddizione che lo ius soli potrebbe risolvere: forma tutti i ragazzi per essere dei cittadini, ma poi non tutti lo sono davvero” ha affermato Renzo Zuccherini del Movimento cooperazione educativa. Qual è invece la posizione della Chiesa in merito? Ha risposto il vescovo ausiliare di Perugia mons. Paolo Giulietti: “Per la Chiesa le migrazioni non sono un pericolo, ma un’occasione in più di accoglienza. La centralità della persona è al di sopra di tutto il resto”. Leggi le testimonianze di chi vorrebbe ottenere la cittadinanza italiana e come acquisirla ora e con la nuova legge sull' edizione digitale de La Voce.  ]]>
Migranti, in calo sbarchi e ricollocamenti nell’Ue https://www.lavoce.it/migranti-calo-sbarchi-ricollocamenti-nellue/ Mon, 20 Nov 2017 12:33:56 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50626

Meno arrivi di migranti in Europa e meno richieste di protezione internazionale. Nel 2015 erano state oltre 1.800.000 le persone in fuga, nel 2016 sono scese a 551.371. In Italia gli sbarchi sono calati del 30% ma - a differenza del dato europeo - le domande di protezione aumentate del 47%: nel 2016 sono sbarcati sulle coste italiane 181.436 migranti, di cui 162mila partiti dalla Libia. Migliora l’accoglienza diffusa nei territori, con il 40% (3.231) dei Comuni italiani coinvolti. Aumentano anche i posti messi a disposizione dallo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), 9mila in più dell’anno precedente. La rotta più utilizzata è quella del Mediterraneo centrale, la più rischiosa: 5.000 morti nel 2016 nel Mediterraneo, di cui 4.500 lungo questa rotta. Il numero totale di chi scappa da guerra, fame e persecuzioni nel mondo però continua a salire, segno che il fenomeno non è affatto risolto: 65,6 milioni nel mondo alla fine del 2016, 300mila in più rispetto al 2015. Di questi, 2,8 milioni sono richiedenti asilo. Il 55% viene da Siria, Afghanistan e Sud Sudan. Leggi l'articolo completo sull'edizione digitale de La Voce.]]>

Meno arrivi di migranti in Europa e meno richieste di protezione internazionale. Nel 2015 erano state oltre 1.800.000 le persone in fuga, nel 2016 sono scese a 551.371. In Italia gli sbarchi sono calati del 30% ma - a differenza del dato europeo - le domande di protezione aumentate del 47%: nel 2016 sono sbarcati sulle coste italiane 181.436 migranti, di cui 162mila partiti dalla Libia. Migliora l’accoglienza diffusa nei territori, con il 40% (3.231) dei Comuni italiani coinvolti. Aumentano anche i posti messi a disposizione dallo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), 9mila in più dell’anno precedente. La rotta più utilizzata è quella del Mediterraneo centrale, la più rischiosa: 5.000 morti nel 2016 nel Mediterraneo, di cui 4.500 lungo questa rotta. Il numero totale di chi scappa da guerra, fame e persecuzioni nel mondo però continua a salire, segno che il fenomeno non è affatto risolto: 65,6 milioni nel mondo alla fine del 2016, 300mila in più rispetto al 2015. Di questi, 2,8 milioni sono richiedenti asilo. Il 55% viene da Siria, Afghanistan e Sud Sudan. Leggi l'articolo completo sull'edizione digitale de La Voce.]]>
Mondiali senza Italia: come mai? https://www.lavoce.it/mondiali-senza-italia-mai/ Sun, 19 Nov 2017 08:00:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50616 Logo rubrica Il punto

di Pier Giorgio Lignani Sono abbastanza vecchio per ricordarmi il campionato del mondo di calcio del 1958 (io avevo 15 anni) giocato in Svezia e vinto dal Brasile del mitico Pelè. Era il secondo campionato del mondo trasmesso in TV. Ed il primo al quale non partecipasse l’Italia, che aveva vinto nel 1934 e nel 1938, vincendo anche le Olimpiadi del 1936. Quella volta a buttarci fuori dalle qualificazioni fu l’Irlanda del Nord. Sessant’anni dopo è stata la Svezia. Gli appassionati dicono che è una tragedia, per il calcio italiano ma anche per l’Italia intera. Io direi di non esagerare con le recriminazioni; però che questa nazionale fosse al di sotto di un livello accettabile si era capito già da qualche anno, e i primi segnali si erano già avuti con i mondiali del 2010 e del 2014, praticamente all’indomani della vittoria del 2006. Questa volta, nel girone di qualificazione avevamo mostrato una netta inferiorità rispetto alla Spagna; eravamo comunque arrivati secondi rimediando vittorie stentate e qualche imbarazzante pareggio con avversari di basso profilo (Macedonia, Albania, Israele, Liechtenstein). Il secondo posto comportava la necessità di uno spareggio, e l’abbiamo perduto. Il fatto è che usciti i veterani del 2006 non vi è stato alcun ricambio soddisfacente, perché il calcio italiano non lo fornisce. Questo accade perché le grandi squadre non puntano ad allevare giovani campioni, ma li acquistano all’estero, già formati, spendendo cifre pazzesche, giustificate dagli incassi altrettanto pazzeschi dei diritti televisivi. Il calcio è un gioco bellissimo se ben giocato, ma al livello professionistico - il solo che conta per il grande pubblico è inquinato dall’affarismo e dalla corruzione. Le più grandi squadre europee, comprese diverse italiane, sono diventate proprietà di grandi investitori transnazionali, per lo più asiatici o americani; e schierano calciatori ugualmente transnazionali, che passano di anno in anno dal campionato italiano a quello inglese, poi a quello francese, a quello tedesco e così via. Sicché si capisce sempre di meno il fanatismo dei tifosi per squadre che a ben vedere non rappresentano più nulla. Morale: se nel 2018 la nazionale italiana non gioca il campionato del mondo, possiamo farcene una ragione.  ]]>
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di Pier Giorgio Lignani Sono abbastanza vecchio per ricordarmi il campionato del mondo di calcio del 1958 (io avevo 15 anni) giocato in Svezia e vinto dal Brasile del mitico Pelè. Era il secondo campionato del mondo trasmesso in TV. Ed il primo al quale non partecipasse l’Italia, che aveva vinto nel 1934 e nel 1938, vincendo anche le Olimpiadi del 1936. Quella volta a buttarci fuori dalle qualificazioni fu l’Irlanda del Nord. Sessant’anni dopo è stata la Svezia. Gli appassionati dicono che è una tragedia, per il calcio italiano ma anche per l’Italia intera. Io direi di non esagerare con le recriminazioni; però che questa nazionale fosse al di sotto di un livello accettabile si era capito già da qualche anno, e i primi segnali si erano già avuti con i mondiali del 2010 e del 2014, praticamente all’indomani della vittoria del 2006. Questa volta, nel girone di qualificazione avevamo mostrato una netta inferiorità rispetto alla Spagna; eravamo comunque arrivati secondi rimediando vittorie stentate e qualche imbarazzante pareggio con avversari di basso profilo (Macedonia, Albania, Israele, Liechtenstein). Il secondo posto comportava la necessità di uno spareggio, e l’abbiamo perduto. Il fatto è che usciti i veterani del 2006 non vi è stato alcun ricambio soddisfacente, perché il calcio italiano non lo fornisce. Questo accade perché le grandi squadre non puntano ad allevare giovani campioni, ma li acquistano all’estero, già formati, spendendo cifre pazzesche, giustificate dagli incassi altrettanto pazzeschi dei diritti televisivi. Il calcio è un gioco bellissimo se ben giocato, ma al livello professionistico - il solo che conta per il grande pubblico è inquinato dall’affarismo e dalla corruzione. Le più grandi squadre europee, comprese diverse italiane, sono diventate proprietà di grandi investitori transnazionali, per lo più asiatici o americani; e schierano calciatori ugualmente transnazionali, che passano di anno in anno dal campionato italiano a quello inglese, poi a quello francese, a quello tedesco e così via. Sicché si capisce sempre di meno il fanatismo dei tifosi per squadre che a ben vedere non rappresentano più nulla. Morale: se nel 2018 la nazionale italiana non gioca il campionato del mondo, possiamo farcene una ragione.  ]]>
Le proposte della Settimana sociale all’Italia e all’Europa https://www.lavoce.it/le-proposte-della-settimana-sociale-allitalia-alleuropa/ Fri, 03 Nov 2017 16:09:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50445

La Settimana sociale 2017 ha inaugurato un "metodo" di interlocuzione con le forze politiche formulando alcune proposte cantierabili rivolte al Paese e alla comunità europea.

QUATTRO PROPOSTE AL GOVERNO ITALIANO

1. Rimettere il lavoro al centro dei processi formativi Per ridurre ulteriormente e in misura più consistente la disoccupazione giovanile, occorre intervenire in modo strutturale rafforzando la filiera formativa professionalizzante nel sistema educativo italiano. 2. Canalizzare i risparmi dei Piani individuali di risparmio (Pir) Anche verso le piccole imprese non quotate che rispondono a precise caratteristiche di coerenza ambientale e sociale. Stimolando l’investimento dei patrimoni familiari delle generazioni adulte. 3. Accentuare il cambio di paradigma del Codice dei contratti pubblici - potenziando i criteri di sostenibilità ambientale; - inserendo tra i criteri reputazionali i parametri di responsabilità sociale, ambientale e fiscale con certificazione di ente terzo; - varando un programma di formazione delle amministrazioni sul nuovo codice. 4. Tenendo conto delle scadenze e dei vincoli europei, rimodulare le aliquote Iva per le imprese che producono rispettando i criteri ambientali e sociali minimi, oggettivamente misurabili (a saldo zero per la finanza pubblica). Anche per combattere il dumping sociale e ambientale.

TRE PROPOSTE ALL’EUROPA

1. Armonizzazione fiscale ed eliminazione dei paradisi fiscali all’interno dell’Ue 2. Investimenti infrastrutturali e investimenti produttivi, anche privati 3. Integrazione nello statuto della Bce del parametro dell’occupazione accanto a quello dell’inflazione come riferimenti per le scelte di politica economica]]>

La Settimana sociale 2017 ha inaugurato un "metodo" di interlocuzione con le forze politiche formulando alcune proposte cantierabili rivolte al Paese e alla comunità europea.

QUATTRO PROPOSTE AL GOVERNO ITALIANO

1. Rimettere il lavoro al centro dei processi formativi Per ridurre ulteriormente e in misura più consistente la disoccupazione giovanile, occorre intervenire in modo strutturale rafforzando la filiera formativa professionalizzante nel sistema educativo italiano. 2. Canalizzare i risparmi dei Piani individuali di risparmio (Pir) Anche verso le piccole imprese non quotate che rispondono a precise caratteristiche di coerenza ambientale e sociale. Stimolando l’investimento dei patrimoni familiari delle generazioni adulte. 3. Accentuare il cambio di paradigma del Codice dei contratti pubblici - potenziando i criteri di sostenibilità ambientale; - inserendo tra i criteri reputazionali i parametri di responsabilità sociale, ambientale e fiscale con certificazione di ente terzo; - varando un programma di formazione delle amministrazioni sul nuovo codice. 4. Tenendo conto delle scadenze e dei vincoli europei, rimodulare le aliquote Iva per le imprese che producono rispettando i criteri ambientali e sociali minimi, oggettivamente misurabili (a saldo zero per la finanza pubblica). Anche per combattere il dumping sociale e ambientale.

TRE PROPOSTE ALL’EUROPA

1. Armonizzazione fiscale ed eliminazione dei paradisi fiscali all’interno dell’Ue 2. Investimenti infrastrutturali e investimenti produttivi, anche privati 3. Integrazione nello statuto della Bce del parametro dell’occupazione accanto a quello dell’inflazione come riferimenti per le scelte di politica economica]]>