Istat Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/istat/ Settimanale di informazione regionale Wed, 17 Jul 2024 16:03:17 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Istat Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/istat/ 32 32 Volontari: regge solo il fai-da-te https://www.lavoce.it/volontari-regge-solo-il-fai-da-te/ https://www.lavoce.it/volontari-regge-solo-il-fai-da-te/#respond Wed, 17 Jul 2024 16:02:28 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77035 Mani in primo piano che si intrecciano

I numeri sono sempre da prendere con le pinze, ma comunque segnalano un trend: l’Istat ha recentemente registrato un calo del volontariato di circa 600 mila unità tra il 2016 e il 2021. Chiariamoci: il dato del 2016 era quasi sicuramente sovrastimato e quindi il calo è stato più contenuto. Però aggiungiamo che il Covid ha dato un ulteriore colpo al volontariato quanto a numeri, e questo trend lo confermano praticamente tutti gli enti del terzo settore che traggono linfa vitale dal volontariato. La questione ha anche un risvolto economico: milioni di ore lavorative a zero euro che vengono a mancare, comportando quindi o un aumento dei costi o una diminuzione dei servizi. Spesso, entrambe le cose.

C’è da dire che questi ultimi anni hanno portato alla regolarizzazione lavorativa di molte figure prima inquadrate come “volontari”: gli occupati nel terzo settore in Italia guardano da vicino la soglia del milione di unità. Ma l’Istat segnala comunque una tendenza chiara: a diminuire sono soprattutto i volontari inquadrati negli enti non profit più grandi, più strutturati; soffrono anche gli intermedi, mentre aumenta il numero di volontari nelle realtà più piccole. Segno – dice l’istituto statistico – di una minore voglia di “inquadramento” e della maggior propensione a un volontariato più occasionale e più “vicino”:

lo hanno definito “volontariato liquido”. Insomma “individuale, episodico, temporaneo, discontinuo, in cui prevale l’iniziativa personale”. Bisogna anzitutto guardare alla demografia: sempre meno giovani, età del pensionamento sempre più lontana. Una tenaglia che stringe il settore.  Ma soprattutto è la mentalità cambiata, le motivazioni che spingono alla generosità sociale: dal dare una mano a chi ne ha bisogno al dare una mano perché mi va, mi migliora, mi fa star bene. Una “crisi vocazionale” a cui non è estraneo un mondo cattolico sempre meno frequentato dalle giovani generazioni: il buon samaritano 2024 s’impegna per il clima, la plastica, gli animali; un po’ meno per i disabili o i vecchi. Insomma, per il genere umano non globalmente inteso.

A questo punto sarà compito delle realtà del terzo settore farsi conoscere e mobilitare nuove energie, saper attrarre braccia e menti che diano una mano, senza per forza un compenso economico in cambio. Altrimenti il rischio vero è quello di trasformarsi in un para-Stato, laddove l’impegno è solamente contrattualizzato, ma senza più quel cuore che fa la differenza tra un amico che aiuta e un impiegato pubblico che lavora.

Nicola Salvagnin
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Mani in primo piano che si intrecciano

I numeri sono sempre da prendere con le pinze, ma comunque segnalano un trend: l’Istat ha recentemente registrato un calo del volontariato di circa 600 mila unità tra il 2016 e il 2021. Chiariamoci: il dato del 2016 era quasi sicuramente sovrastimato e quindi il calo è stato più contenuto. Però aggiungiamo che il Covid ha dato un ulteriore colpo al volontariato quanto a numeri, e questo trend lo confermano praticamente tutti gli enti del terzo settore che traggono linfa vitale dal volontariato. La questione ha anche un risvolto economico: milioni di ore lavorative a zero euro che vengono a mancare, comportando quindi o un aumento dei costi o una diminuzione dei servizi. Spesso, entrambe le cose.

C’è da dire che questi ultimi anni hanno portato alla regolarizzazione lavorativa di molte figure prima inquadrate come “volontari”: gli occupati nel terzo settore in Italia guardano da vicino la soglia del milione di unità. Ma l’Istat segnala comunque una tendenza chiara: a diminuire sono soprattutto i volontari inquadrati negli enti non profit più grandi, più strutturati; soffrono anche gli intermedi, mentre aumenta il numero di volontari nelle realtà più piccole. Segno – dice l’istituto statistico – di una minore voglia di “inquadramento” e della maggior propensione a un volontariato più occasionale e più “vicino”:

lo hanno definito “volontariato liquido”. Insomma “individuale, episodico, temporaneo, discontinuo, in cui prevale l’iniziativa personale”. Bisogna anzitutto guardare alla demografia: sempre meno giovani, età del pensionamento sempre più lontana. Una tenaglia che stringe il settore.  Ma soprattutto è la mentalità cambiata, le motivazioni che spingono alla generosità sociale: dal dare una mano a chi ne ha bisogno al dare una mano perché mi va, mi migliora, mi fa star bene. Una “crisi vocazionale” a cui non è estraneo un mondo cattolico sempre meno frequentato dalle giovani generazioni: il buon samaritano 2024 s’impegna per il clima, la plastica, gli animali; un po’ meno per i disabili o i vecchi. Insomma, per il genere umano non globalmente inteso.

A questo punto sarà compito delle realtà del terzo settore farsi conoscere e mobilitare nuove energie, saper attrarre braccia e menti che diano una mano, senza per forza un compenso economico in cambio. Altrimenti il rischio vero è quello di trasformarsi in un para-Stato, laddove l’impegno è solamente contrattualizzato, ma senza più quel cuore che fa la differenza tra un amico che aiuta e un impiegato pubblico che lavora.

Nicola Salvagnin
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Umbri, sempre meno e anziani https://www.lavoce.it/umbri-sempre-meno-e-anziani/ Fri, 17 Dec 2021 14:23:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64129 Nella loro imparziale freddezza, i dati parlano chiaro. Se non intervengono cambiamenti, entro il 2063 l’Umbria è destinata a scendere alla soglia dei 700 mila abitanti, rispetto agli attuali 870 mila. Fra il 2020 e il 2040 è atteso un calo del 7,6 per cento, per un totale di circa 63 mila abitanti. In pratica, è come se – nell’arco di ogni decennio – la nostra regione perdesse la popolazione di un Comune come Gubbio.

Cifre e stime sono quelle di un approfondimento intitolato L’erosione demografica in Umbria, curato dal ricercatore Istat Luca Calzola e pubblicato in questi giorni dall’Agenzia Umbria Ricerche.

Secondo il report, entro il 2040 più di una persona su tre avrà almeno 65 anni, con un aumento di circa il 10% degli ultrasessantacinquenni rispetto a oggi. Una riduzione drastica della popolazione in età da lavoro.

“In particolare – scrive ancora Calzola – , il rapporto di dipendenza degli anziani, che misura il peso delle persone con più di 64 anni su quelle tra 15 e 64 anni, sarà soggetto a un aumento di quasi 20 punti percentuali (dal 46% del 2020 al 67% del 2040)”. E sarà proprio la popolazione in età produttiva a subire la maggiore contrazione.

Proiezioni che sollevano enormi interrogativi sui temi del lavoro, della produzione regionale, delle politiche sociali e del welfare. Inoltre, annota sempre il rapporto di Aur, “l’invecchiamento della popolazione e la bassa natalità condurranno a ulteriori trasformazioni che si inseriscono nella scia di cambiamenti già in atto da tempo”. Tra il 2020 e il 2040 le persone sole aumenteranno del 20%, le famiglie senza figli del 10% e quelle con figli si ridurranno del 30 per cento.

Proprio questa settimana, in Assemblea legislativa regionale il consigliere Andrea Fora ha rilanciato l’allarme sul problema demografico dell’Umbria, definendola una vera e propria emergenza nell’emergenza.

“Non convinceremo nessuno a far figli parlando solo di contributi economici – ha detto Fora in aula – , occorre spingere senza sosta sui servizi alle famiglie, investire in asili nido, orari flessibili, strutture sportive e ricreative. Quasi due anni fa abbiamo presentato due disegni di legge che non si riescono a far marciare e approvare: prendiamo l’impegno di approvare la legge nei prossimi tre mesi. Se non ora, quando?”.

Un appello che ci sentiamo in dovere di rilanciare. Ne va del futuro della regione e della nostra gente.

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Povertà. La carità non basta, serve il lavoro https://www.lavoce.it/carita-non-basta-lavoro/ https://www.lavoce.it/carita-non-basta-lavoro/#comments Wed, 19 Jun 2019 16:42:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54732

Dove stanno andando gli umbri? Non è la domanda sulla destinazione delle vacanze. No. È la domanda che si impone quando si mettono in fila i vari rapporti e indagini sulla situazione economica e sociale della nostra regione.

L’ultimo è il report “Le statistiche sulla povertà” presentato dall’Istat martedì scorso. Una tabella riassume l’incidenza della povertà relativa delle singole regioni mettendo a confronto gli anni 2017 e 2018 mostrando un dato medio italiano dell’11,8% di “poveri relativi”, in leggera diminuzione (0,5%) rispetto al 2017. E l’Umbria? Dal 12,6% del 2017 passa al 14,3% del 2018: la povertà relativa aumenta dell’1,7%.

Il Report Istat conferma l’analisi del Rapporto annuale della Banca d’Italia sull’economia umbra presentato a Perugia la settimana scorsa con dovizia di dati sulla nostra regione tra cui anche quelli che ci dicono che aumenta il numero di persone in povertà assoluta e cresce la distanza tra chi ha e chi non ha.

L’elenco potrebbe allungarsi con le analisi periodicamente proposte dai sindacati e dagli organismi di rappresentanza delle diverse categorie economiche. Ma a chi servono questi dati? Certo non ai giovani che sperimentano sulla loro pelle la difficoltà di trovare o di crearsi un lavoro, né ai liberi professionisti che perdono clienti o hanno clienti che non pagano la parcella, né ai lavoratori delle aziende che chiudono e licenziano … Per tutte queste persone l’economia che non va e la povertà che cresce non sono numeri ma vita concreta.

Potremmo dire anche che questi dati non servono neppure alle realtà caritative delle nostre Chiese che incontrano le persone concrete, conoscono le loro difficoltà e sperimentano anche il limite dell’aiuto che possono dare.

Il limite, appunto. Perché la carità non può essere la sola risposta che una società mette in campo di fronte all’impoverimento di una parte sempre più numerosa dei suoi componenti. C’è bisogno di lavoro, e il lavoro viene dal sistema economico.

Lo Stato può incentivare o ostacolare, può indirizzare di più o di meno, può fare tante cose, ma non può sostituirsi all’imprenditore nè ai sindacati. Insomma la politica deve fare la sua parte, gli operatori economici la loro, la società la sua. Un numero sempre maggiore di umbri non riesce ad immaginare un futuro nella propria terra.

Il direttore dell’Agenzia Umbria ricerche Giuseppe Coco, nel Focus “L’Umbria delle fragilità” pubblicato sul sito dell’Aur l’11 giugno scorso, ha evidenziato l’inversione di tendenza nella crescita della popolazione in Umbria: positiva fino al 2010 quando abbiamo raggiunto i 906mila abitanti e poi negativa con una perdita di 20 mila abitanti, per lo più in età lavorativa.

“Un serio elemento di preoccupazione – commenta in quanto può risultare molto difficile riuscire ad impostare strategie di sviluppo economico se diminuiscono le persone in età lavorativa e aumentano gli anziani”.

Occorre una risposta politica ma sembra che i politici siano in tutt’altro affaccendati. Nel numero della scorsa settimana il segretario generale Cisl Ulderico Sbarra concludeva il suo contributo facendo appello al “mondo libero e responsabile che pure esiste nel lavoro, nel sociale, nell’ambientalismo, nella produzione” per “elaborare proposte concrete per affrontare il futuro”.

Queste proposte saranno sul tavolo del dibattito politico quando in autunno gli umbri saranno chiamati a eleggere il Consiglio regionale?

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Investire oggi per gli umbri di domani. Commento ai dati Istat sulle previsioni della popolazione https://www.lavoce.it/investire-oggi-per-gli-umbri-di-domani-commento-ai-dati-istat-sulle-previsioni-della-popolazione/ Fri, 06 Jul 2018 16:00:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52262

di Rosita Garzi I dati demografici dell’Istat denotano una diminuzione generale della popolazione e, negli ultimi anni, un suo invecchiamento costante. Le previsioni demografiche suddivise per fasce di età e riguardanti la regione Umbria ci danno un’immagine sempre più spopolata e per giunta sempre più vecchia. Da precisare che si tratta di previsioni basate sul trend statistico degli ultimi anni, il cui andamento potrebbe subire effettivamente modifiche sul piano reale. Nelle riflessioni che seguono si parte dunque dal presupposto che questa possa essere la realtà futura se, in qualche misura, non si interviene sul piano economico, sociale e culturale. Quali possano essere le conseguenze su questi piani possiamo almeno ipotizzarlo e immaginarlo dal punto di vista sociologico facendo alcune riflessioni. Meno giovani e più anziani Si tratta anzitutto di un fenomeno dovuto essenzialmente a due fattori. Da una parte l’innalzamento dell’età media della popolazione, dovuto a una qualità migliore della vita, e a condizioni migliori di salute tra gli anziani; dall’altra, una costante riduzione del tasso di fertilità. Su questo ultimo aspetto, il contributo fornito dalle donne immigrate, che in un primo momento ha potuto riequilibrare la situazione, oggi non sembra più colmare il gap che impedisce la riproduzione minima della popolazione (Save the Children, La maternità in Italia , 2018). Questo accade probabilmente perché, quando si percepiscono le difficoltà nel generare e far crescere figli, magari creandosi anche una famiglia, si manifesta un rapido adattamento della popolazione straniera ai comportamenti di riproduzione della popolazione autoctona e il tasso di fecondità scende rapidamente nel tempo, avvicinandosi sempre più a quello della popolazione locale. Per quanto concerne l’invecchiamento della popolazione, questo porta con sé anche un invecchiamento della popolazione attiva, con conseguenze a valanga.
Popolazione umbra: dati presenti e proiezioni

L’Istat ha pubblicato nel mese di maggio 2018 i dati relativi alle previsioni demografiche del nostro Paese. Tali dati forniscono un’immagine di come la struttura della popolazione potrebbe cambiare in futuro. Il punto base delle previsioni è il dato certo di 60,6 milioni di italiani residenti al 31 dicembre 2017.

Viene stimato che in Italia la popolazione residente attesa sia pari, secondo lo scenario mediano, a 60,5 milioni nel 2025, per poi passare a 59 milioni nel 2045 e infine a 54,1 milioni nel 2065 con una flessione massima di 6,5 milioni di residenti in meno rispetto al 2017.

Ma nello specifico, quali sono le previsioni demografiche relative alla nostra regione? Dalla banca dati Istat, abbiamo ricavato i dati relativi all’Umbria e dopo averli raggruppati, li abbiamo analizzati secondo i parametri che l’Istat stesso aveva utilizzato per l’Italia.

Il territorio umbro, dal 2017 al 2065, subirà una forte diminuzione di circa 110 mila residenti (dagli attuali 888.908 ai 770.8816) con un aumento significativo della fascia anziana (più di 65 anni) rispetto alla fascia giovane (0-14 anni).

Nel 2017 la popolazione nella nostra regione era così suddivisa: 12,79% giovani, 62,14% adulti e 25,07 % anziani. Tra 27 anni, nel 2045, con .679 abitanti (-36.229 rispetto al 2017) la struttura della popolazione subirà un grande squilibrio con una diminuzione in numeri assoluti e in percentuale della popolazione giovane (-17.469 e l’11,29% del totale) e della fascia media (15-64 anni) (99.318) e sarà il 53,13% del totale degli umbri, con un forte incremento della popolazione anziana (+80.558) che sarà il 35,02% del totale. Nel 2065, con una diminuzione della popolazione di oltre 118 mila residenti scenderà ancora il peso dei più giovani.

In conclusione si stima che, se oggi per ogni giovane ci sono poco meno di 2 anziani, dal 2045 ci saranno più di 3 anziani ogni giovane: una regione che ‘invecchia’!

Arianna Sorrentino

Le conseguenze nel mondo del lavoro Un primo effetto sarebbe nella riduzione di investimenti in processi innovativi, con il rischio di indebolimento della vitalità imprenditoriale e conseguentemente anche della domanda di lavoro. La scarsità di lavoro potrebbe spingere la popolazione più giovane ad allontanarsi dal contesto locale. La componente più giovane della popolazione, tendenzialmente più aperta al cambiamento e utile per la vivacità economica del territorio, potrebbe “scegliere” la strada di abbandonare il territorio per cercare condizioni economiche più favorevoli, e costruendosi un futuro oltre il territorio locale. Il processo di invecchiamento po- trebbe in questo modo inasprirsi, con il conseguente aumento dell’età media e facendo sì che l’evoluzione professionale e i progetti familiari si realizzino al di fuori dell’Umbria. Tre anziani per ogni giovane Lo spopolamento e il probabile aumento della popolazione anziana potrebbe condurre anche alla nascita di zone residenziali popolate in prevalenza da anziani, con tutto ciò che ne consegue sul piano economico e sociale: gli anziani in condizioni di fragilità sociale sarebbero sempre più a rischio di isolamento. Sui giovani che restano graverebbe il peso della cura delle persone anziane (nel 2065, circa tre anziani ogni giovane), con un legame sociale sempre più impoverito dalla quasi assenza di famiglie e forze di lavoro giovani, e con un welfare sempre più in affanno. L’impoverimento generale dal punto di vista economico, ma anche sociale e umano, concorrerebbe al rischio di una più profonda frattura generazionale che potrebbe comportare il collasso sociale, oltre che economico, del nostro “cuore verde d’Italia”. Come invertire la rotta? Cosa fare per evitare una previsione così drammatica sul piano demografico? Non è certo cosa semplice; risposte sicure non ne abbiamo, ma alcune certezze sì. Rimodellare la società sulla base dell’incremento di longevità, investire sull’incremento della fertilità nel nostro Paese e sulle tre dimensioni del welfare (mercato, società e Stato) può essere una prevenzione attuabile. Lavorare quindi sull’idea di business (mercato), sul legame sociale e familiare (società), e investire nelle politiche sociali (Stato e altri), tutto nell’ottica di sostenere le famiglie, la genitorialità e gli anziani, favorendo la riproduzione sociale. È certo che sui curricula non si denunciano gli anziani in casa o i figli appena nati, ma solo i master conseguiti (continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce). *Docente di Sociologia dei processi economici del lavoro all’Università di Perugia]]>

di Rosita Garzi I dati demografici dell’Istat denotano una diminuzione generale della popolazione e, negli ultimi anni, un suo invecchiamento costante. Le previsioni demografiche suddivise per fasce di età e riguardanti la regione Umbria ci danno un’immagine sempre più spopolata e per giunta sempre più vecchia. Da precisare che si tratta di previsioni basate sul trend statistico degli ultimi anni, il cui andamento potrebbe subire effettivamente modifiche sul piano reale. Nelle riflessioni che seguono si parte dunque dal presupposto che questa possa essere la realtà futura se, in qualche misura, non si interviene sul piano economico, sociale e culturale. Quali possano essere le conseguenze su questi piani possiamo almeno ipotizzarlo e immaginarlo dal punto di vista sociologico facendo alcune riflessioni. Meno giovani e più anziani Si tratta anzitutto di un fenomeno dovuto essenzialmente a due fattori. Da una parte l’innalzamento dell’età media della popolazione, dovuto a una qualità migliore della vita, e a condizioni migliori di salute tra gli anziani; dall’altra, una costante riduzione del tasso di fertilità. Su questo ultimo aspetto, il contributo fornito dalle donne immigrate, che in un primo momento ha potuto riequilibrare la situazione, oggi non sembra più colmare il gap che impedisce la riproduzione minima della popolazione (Save the Children, La maternità in Italia , 2018). Questo accade probabilmente perché, quando si percepiscono le difficoltà nel generare e far crescere figli, magari creandosi anche una famiglia, si manifesta un rapido adattamento della popolazione straniera ai comportamenti di riproduzione della popolazione autoctona e il tasso di fecondità scende rapidamente nel tempo, avvicinandosi sempre più a quello della popolazione locale. Per quanto concerne l’invecchiamento della popolazione, questo porta con sé anche un invecchiamento della popolazione attiva, con conseguenze a valanga.
Popolazione umbra: dati presenti e proiezioni

L’Istat ha pubblicato nel mese di maggio 2018 i dati relativi alle previsioni demografiche del nostro Paese. Tali dati forniscono un’immagine di come la struttura della popolazione potrebbe cambiare in futuro. Il punto base delle previsioni è il dato certo di 60,6 milioni di italiani residenti al 31 dicembre 2017.

Viene stimato che in Italia la popolazione residente attesa sia pari, secondo lo scenario mediano, a 60,5 milioni nel 2025, per poi passare a 59 milioni nel 2045 e infine a 54,1 milioni nel 2065 con una flessione massima di 6,5 milioni di residenti in meno rispetto al 2017.

Ma nello specifico, quali sono le previsioni demografiche relative alla nostra regione? Dalla banca dati Istat, abbiamo ricavato i dati relativi all’Umbria e dopo averli raggruppati, li abbiamo analizzati secondo i parametri che l’Istat stesso aveva utilizzato per l’Italia.

Il territorio umbro, dal 2017 al 2065, subirà una forte diminuzione di circa 110 mila residenti (dagli attuali 888.908 ai 770.8816) con un aumento significativo della fascia anziana (più di 65 anni) rispetto alla fascia giovane (0-14 anni).

Nel 2017 la popolazione nella nostra regione era così suddivisa: 12,79% giovani, 62,14% adulti e 25,07 % anziani. Tra 27 anni, nel 2045, con .679 abitanti (-36.229 rispetto al 2017) la struttura della popolazione subirà un grande squilibrio con una diminuzione in numeri assoluti e in percentuale della popolazione giovane (-17.469 e l’11,29% del totale) e della fascia media (15-64 anni) (99.318) e sarà il 53,13% del totale degli umbri, con un forte incremento della popolazione anziana (+80.558) che sarà il 35,02% del totale. Nel 2065, con una diminuzione della popolazione di oltre 118 mila residenti scenderà ancora il peso dei più giovani.

In conclusione si stima che, se oggi per ogni giovane ci sono poco meno di 2 anziani, dal 2045 ci saranno più di 3 anziani ogni giovane: una regione che ‘invecchia’!

Arianna Sorrentino

Le conseguenze nel mondo del lavoro Un primo effetto sarebbe nella riduzione di investimenti in processi innovativi, con il rischio di indebolimento della vitalità imprenditoriale e conseguentemente anche della domanda di lavoro. La scarsità di lavoro potrebbe spingere la popolazione più giovane ad allontanarsi dal contesto locale. La componente più giovane della popolazione, tendenzialmente più aperta al cambiamento e utile per la vivacità economica del territorio, potrebbe “scegliere” la strada di abbandonare il territorio per cercare condizioni economiche più favorevoli, e costruendosi un futuro oltre il territorio locale. Il processo di invecchiamento po- trebbe in questo modo inasprirsi, con il conseguente aumento dell’età media e facendo sì che l’evoluzione professionale e i progetti familiari si realizzino al di fuori dell’Umbria. Tre anziani per ogni giovane Lo spopolamento e il probabile aumento della popolazione anziana potrebbe condurre anche alla nascita di zone residenziali popolate in prevalenza da anziani, con tutto ciò che ne consegue sul piano economico e sociale: gli anziani in condizioni di fragilità sociale sarebbero sempre più a rischio di isolamento. Sui giovani che restano graverebbe il peso della cura delle persone anziane (nel 2065, circa tre anziani ogni giovane), con un legame sociale sempre più impoverito dalla quasi assenza di famiglie e forze di lavoro giovani, e con un welfare sempre più in affanno. L’impoverimento generale dal punto di vista economico, ma anche sociale e umano, concorrerebbe al rischio di una più profonda frattura generazionale che potrebbe comportare il collasso sociale, oltre che economico, del nostro “cuore verde d’Italia”. Come invertire la rotta? Cosa fare per evitare una previsione così drammatica sul piano demografico? Non è certo cosa semplice; risposte sicure non ne abbiamo, ma alcune certezze sì. Rimodellare la società sulla base dell’incremento di longevità, investire sull’incremento della fertilità nel nostro Paese e sulle tre dimensioni del welfare (mercato, società e Stato) può essere una prevenzione attuabile. Lavorare quindi sull’idea di business (mercato), sul legame sociale e familiare (società), e investire nelle politiche sociali (Stato e altri), tutto nell’ottica di sostenere le famiglie, la genitorialità e gli anziani, favorendo la riproduzione sociale. È certo che sui curricula non si denunciano gli anziani in casa o i figli appena nati, ma solo i master conseguiti (continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce). *Docente di Sociologia dei processi economici del lavoro all’Università di Perugia]]>
Lavoro. Coldiretti, 30mila giovani puntano su agricoltura https://www.lavoce.it/lavoro-coldiretti-30mila-giovani-puntano-agricoltura/ Wed, 02 May 2018 15:21:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51794

“Con quasi 30mila giovani che nel 2016/2017 hanno presentato in Italia domanda per l’insediamento in agricoltura dei Piani di sviluppo rurale (Psr) dell’Unione Europea, il lavoro dei giovani cresce nei campi”. È quanto emerge da un’analisi della Coldiretti in relazione agli ultimi dati Istat che indicano un calo dello 0,9% della disoccupazione giovanile in Italia rispetto a febbraio 2018 e del 4,4% su marzo 2017. “Le nuove generazioni – sottolinea la Coldiretti – sono il motore dell’agricoltura del futuro con una crescita del 6% nel 2017 per un totale di 55.121 imprese agricole italiane condotte da under 35 che pone l’Italia al vertice nell’Unione europea”. Le aziende agricole dei giovani, ricorda la Coldiretti, “possiedono una superficie superiore di oltre il 54 per cento alla media, un fatturato più elevato del 75 per cento della media e il 50 per cento di occupati per azienda in più. I giovani agricoltori usano il web e la tecnologia, 1 su 4 è laureato e conosce, almeno a livello scolastico, una o più lingue straniere, di solito l’inglese, mentre 8 su 10 sono abituati a viaggiare e andare all’estero, una caratteristica che permette di raggiungere e inserirsi in nuovi mercati e di mandare i propri prodotti in giro per il mondo”. Per sostenere gli aspiranti colleghi imprenditori, i giovani della Coldiretti hanno costituito anche una speciale task force che opera a livello territoriale con tutor, corsi di formazione e consigli per accesso al credito. “È in atto un cambiamento epocale che non accadeva dalla rivoluzione industriale – afferma la Coldiretti -: il mestiere della terra non è più considerato l’ultima spiaggia di chi non ha un’istruzione e ha paura di aprirsi al mondo, ma è la nuova strada del futuro per le giovani generazioni istruite e lo dimostra il fatto che le domande presentate per i Psr già superano di circa il 44% il totale degli insediamenti previsti per l’intera programmazione fino al 2020”.]]>

“Con quasi 30mila giovani che nel 2016/2017 hanno presentato in Italia domanda per l’insediamento in agricoltura dei Piani di sviluppo rurale (Psr) dell’Unione Europea, il lavoro dei giovani cresce nei campi”. È quanto emerge da un’analisi della Coldiretti in relazione agli ultimi dati Istat che indicano un calo dello 0,9% della disoccupazione giovanile in Italia rispetto a febbraio 2018 e del 4,4% su marzo 2017. “Le nuove generazioni – sottolinea la Coldiretti – sono il motore dell’agricoltura del futuro con una crescita del 6% nel 2017 per un totale di 55.121 imprese agricole italiane condotte da under 35 che pone l’Italia al vertice nell’Unione europea”. Le aziende agricole dei giovani, ricorda la Coldiretti, “possiedono una superficie superiore di oltre il 54 per cento alla media, un fatturato più elevato del 75 per cento della media e il 50 per cento di occupati per azienda in più. I giovani agricoltori usano il web e la tecnologia, 1 su 4 è laureato e conosce, almeno a livello scolastico, una o più lingue straniere, di solito l’inglese, mentre 8 su 10 sono abituati a viaggiare e andare all’estero, una caratteristica che permette di raggiungere e inserirsi in nuovi mercati e di mandare i propri prodotti in giro per il mondo”. Per sostenere gli aspiranti colleghi imprenditori, i giovani della Coldiretti hanno costituito anche una speciale task force che opera a livello territoriale con tutor, corsi di formazione e consigli per accesso al credito. “È in atto un cambiamento epocale che non accadeva dalla rivoluzione industriale – afferma la Coldiretti -: il mestiere della terra non è più considerato l’ultima spiaggia di chi non ha un’istruzione e ha paura di aprirsi al mondo, ma è la nuova strada del futuro per le giovani generazioni istruite e lo dimostra il fatto che le domande presentate per i Psr già superano di circa il 44% il totale degli insediamenti previsti per l’intera programmazione fino al 2020”.]]>
Tre cause per la crisi demografica https://www.lavoce.it/tre-cause-la-crisi-demografica/ https://www.lavoce.it/tre-cause-la-crisi-demografica/#comments Wed, 06 Dec 2017 16:30:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50783 di Andrea Casavecchia

“Come frecce in mano a un guerriero sono i figli della giovinezza. Beato l’uomo che piena ne ha la faretra” recita il Salmo 127.

Purtroppo non è la condizione italiana.

Ancora una volta negli ultimi dieci anni si segnala una diminuzione del numero dei nostri figli. E le difficoltà ci sono: lo osserviamo nella stanca lentezza con cui la popolazione reagisce ai cambiamenti epocali che viviamo: la tecnologia, la società migrante, il nuovo panorama internazionale. Il serbatoio di giovani è sempre più scarso perché ci sono sempre meno bambini in Italia. L’ultima rilevazione Istat che osserva i dati 2016 sottolinea un’ulteriore diminuzione: i nuovi nati sono 473.438, circa 12 mila in meno dell’anno precedente e più di 100mila in meno rispetto alle nascite del 2008. Se scorriamo il report possiamo rintracciare tre cause. La prima è intelligentemente sottolineata dall’istituto statistico che osserva il passaggio del testimone tra le donne della generazione del baby boom, le molte nate tra il 1965 e il 1975 che sono uscite o stanno uscendo dall’età feconda, e le donne della generazione del baby bust, le poche nate tra il 1976 e il 1995) anno in cui il tasso di fecondità ha toccato il fondo: 1,19 figli per donna). Secondo il calcolo degli statistici i tre quarti della diminuzione delle nascite di oggi dipende dalla diminuzione numerica della popolazione femminile in età feconda. Anche se si fosse mantenuto lo stesso tasso del 2008 il numero dei figli sarebbe diminuito di oltre 70 mila nascite.

L’altro quarto sarebbe dovuto dalla minore propensione alla genitorialità: qui c’è un forte condizionamento dovuto alla crisi economica: si verifica infatti una forte contrazione del numero dei primi figli (20% rispetto al 2008). Il dato sarebbe attribuibile alla diminuzione del numero di matrimoni conseguente agli anni della crisi, perché come afferma l’Istat: in Italia i figli nella stragrande maggioranza dei casi (oltre il 70%) nasce all’interno del matrimonio e tra questi il 50% dei primogeniti nasce entro tre anni dalle nozze. La decisione di rimandare le nozze a causa delle difficoltà economiche che si sono registrate in questi ultimi anni diventa un motivo di calo delle nascite. C’è poi un terzo fattore, che si legge tra le righe del rapporto. Risulta evidente la differente costante tra il tasso di fecondità delle cittadine italiane e quello delle cittadine straniere: rispettivamente 1,26 contro 1,97 nel 2016. La crisi demografica è dunque legata anche a un fattore culturale, che evidenzia una minore propensione delle nostre giovani alla genitorialità. Questo elemento è significativo e ci dovrebbe interrogare: la voglia di indipendenza, la ricerca di affermazione professionale, la tendenza a procrastinare l’entrata nella vita adulta? Le motivazioni potrebbero essere molte. Non dobbiamo dimenticare che se i figli offrono una pienezza particolare alla vita familiare, come evidenzia Papa Francesco in Amoris laetitia (n. 15), una società senza figli è una società incapace di proiettarsi nel futuro.

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Il lavoro illegale tema della Settimana sociale dei cattolici https://www.lavoce.it/lavoro-illegale-tema-della-settimana-sociale-dei-cattolici/ Thu, 26 Oct 2017 17:00:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50338

Il lavoro è anche sfida di legalità. Soprattutto in alcuni contesti - e non solo quelli ai quali farebbero pensare antichi luoghi comuni - il lavoro rappresenta un antidoto alle mafie, lo strumento di contrasto più efficace all’economia illegale, la risposta per uno sviluppo possibile “autoprodotto” e per tale ragione sostenibile nel tempo. L’Istat ha presentato pochi giorni fa i dati dell’economia illegale, quella costituita essenzialmente dal fenomeno della prostituzione, del contrabbando e soprattutto del traffico di droga. "Nel 2015, le attività illegali considerate nel sistema dei conti nazionali – informa l’Istat - hanno generato un valore aggiunto pari a 15,8 miliardi di euro ovvero 0,2 miliardi in più rispetto all’anno precedente". Il “lavoro illegale” è uno dei temi dei quali si discuterà a Cagliari, la tappa nazionale del cammino della 48a Settimana sociale dei cattolici, che avrà anche un seguito, dopo la quattro-giorni dal 26 al 29 ottobre. Leggi l'articolo completo sull'edizione digitale de "La Voce"]]>

Il lavoro è anche sfida di legalità. Soprattutto in alcuni contesti - e non solo quelli ai quali farebbero pensare antichi luoghi comuni - il lavoro rappresenta un antidoto alle mafie, lo strumento di contrasto più efficace all’economia illegale, la risposta per uno sviluppo possibile “autoprodotto” e per tale ragione sostenibile nel tempo. L’Istat ha presentato pochi giorni fa i dati dell’economia illegale, quella costituita essenzialmente dal fenomeno della prostituzione, del contrabbando e soprattutto del traffico di droga. "Nel 2015, le attività illegali considerate nel sistema dei conti nazionali – informa l’Istat - hanno generato un valore aggiunto pari a 15,8 miliardi di euro ovvero 0,2 miliardi in più rispetto all’anno precedente". Il “lavoro illegale” è uno dei temi dei quali si discuterà a Cagliari, la tappa nazionale del cammino della 48a Settimana sociale dei cattolici, che avrà anche un seguito, dopo la quattro-giorni dal 26 al 29 ottobre. Leggi l'articolo completo sull'edizione digitale de "La Voce"]]>