Islam Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/islam/ Settimanale di informazione regionale Fri, 11 Jun 2021 14:51:23 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Islam Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/islam/ 32 32 In questo numero: la scuola si prepara per l’estate – matrimoni forzati – oratori https://www.lavoce.it/la-scuola-si-prepara-per-lestate-matrimoni-forzati-oratori/ Fri, 11 Jun 2021 14:51:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60968

Questa settimana su La Voce (Leggi tutto nell'edizione digitale)

l’editoriale

La scuola è anche questione di edilizia

di Alberto Campoleoni L’anno scolastico va verso la conclusione. Una conclusione “strana”, come è stato “strano” un po’ tutto questo anno scolastico, sballottato tra didattica a distanza e assenza vera e propria di didattica (già, perché non vanno dimenticate quelle situazioni più volte denunciate dove le infrastrutture inadeguate – reti internet, strumentazione tecnologica carente, difficoltà sociali e familiari – hanno impedito quasi del tutto l’esperienza scolastica). Un anno che si chiude però all’insegna della speranza di …

Focus

Brusca: è giusto scarcerarlo?

di Pier Giorgio Lignani Giovanni Brusca è stato scarcerato per fine pena, e non si placano le polemiche dei tanti che vorrebbero farlo stare in galera fino alla morte. La prima osservazione è che tutti parlano come se qualcuno si fosse svegliato una mattina e avesse deciso di scarcerare l’autore della strage di Capaci …

Burkina inerme di fronte al jihad

di Tonio Dell’Olio Il Papa l’ha richiamato all’Angelus domenicale, chiedendo una preghiera e la denuncia dell’indifferenza della comunità internazionale. Il Presidente del Burkina Faso, non riuscendo a garantire la difesa...

Nel giornale

Il banco di prova

Termina un anno scolastico molto particolare, di cui è ancora difficile valutare che trascichi avrà, tra nuove forme di apprendimento e problemi di apprendimento. Secondo la dirigente dell’Ufficio scolastico regionale, Antonella Iunti, il 2020-21 è stato un duro “banco di prova”, di cui fare tesoro per la didattica futura. Intanto, al via le attività scolastiche estive: una scelta facoltativa, con punti dibattuti, ma che offre delle belle opportunità, come sottolineano esponenti del corpo docente. Senza dimenticare la fondamentale l’educazione alla vita sociale, per cui la Regione ha stanziato fondi importanti. Le proposte di Grest che arrivano  dalle nostre parrocchie

TURISMO

È confermato, in molti “amano il mare dell’Umbria”! Il settore turistico, duramente colpito, si prepara adesso a ripartire con slancio. Su cosa puntare? Lo abbiamo chiesto all’assessora regionale Paola Agabiti

CULTURA

Anche la musica elettronica esalta Dante nel suo centenario. Autore, un professore umbro... di violino

ECOLOGIA

Per la transizione ecologica, torna utile l’insegnamento di san Paolo. Il Messaggio della Cei per la prossima Giornata del creato

ISLAM E MATRIMONI FORZATI

Finalmente - dopo tragici fatti di cronaca - dal mondo islamico una parola chiara contro la pratica dei matrimoni foarzati. Ne abbiamo parlato con Maymouna Abdel Qader, figlia dello “storico” imam di Perugia. La voce giovane del dialogo e dell’apertura culturale  ]]>

Questa settimana su La Voce (Leggi tutto nell'edizione digitale)

l’editoriale

La scuola è anche questione di edilizia

di Alberto Campoleoni L’anno scolastico va verso la conclusione. Una conclusione “strana”, come è stato “strano” un po’ tutto questo anno scolastico, sballottato tra didattica a distanza e assenza vera e propria di didattica (già, perché non vanno dimenticate quelle situazioni più volte denunciate dove le infrastrutture inadeguate – reti internet, strumentazione tecnologica carente, difficoltà sociali e familiari – hanno impedito quasi del tutto l’esperienza scolastica). Un anno che si chiude però all’insegna della speranza di …

Focus

Brusca: è giusto scarcerarlo?

di Pier Giorgio Lignani Giovanni Brusca è stato scarcerato per fine pena, e non si placano le polemiche dei tanti che vorrebbero farlo stare in galera fino alla morte. La prima osservazione è che tutti parlano come se qualcuno si fosse svegliato una mattina e avesse deciso di scarcerare l’autore della strage di Capaci …

Burkina inerme di fronte al jihad

di Tonio Dell’Olio Il Papa l’ha richiamato all’Angelus domenicale, chiedendo una preghiera e la denuncia dell’indifferenza della comunità internazionale. Il Presidente del Burkina Faso, non riuscendo a garantire la difesa...

Nel giornale

Il banco di prova

Termina un anno scolastico molto particolare, di cui è ancora difficile valutare che trascichi avrà, tra nuove forme di apprendimento e problemi di apprendimento. Secondo la dirigente dell’Ufficio scolastico regionale, Antonella Iunti, il 2020-21 è stato un duro “banco di prova”, di cui fare tesoro per la didattica futura. Intanto, al via le attività scolastiche estive: una scelta facoltativa, con punti dibattuti, ma che offre delle belle opportunità, come sottolineano esponenti del corpo docente. Senza dimenticare la fondamentale l’educazione alla vita sociale, per cui la Regione ha stanziato fondi importanti. Le proposte di Grest che arrivano  dalle nostre parrocchie

TURISMO

È confermato, in molti “amano il mare dell’Umbria”! Il settore turistico, duramente colpito, si prepara adesso a ripartire con slancio. Su cosa puntare? Lo abbiamo chiesto all’assessora regionale Paola Agabiti

CULTURA

Anche la musica elettronica esalta Dante nel suo centenario. Autore, un professore umbro... di violino

ECOLOGIA

Per la transizione ecologica, torna utile l’insegnamento di san Paolo. Il Messaggio della Cei per la prossima Giornata del creato

ISLAM E MATRIMONI FORZATI

Finalmente - dopo tragici fatti di cronaca - dal mondo islamico una parola chiara contro la pratica dei matrimoni foarzati. Ne abbiamo parlato con Maymouna Abdel Qader, figlia dello “storico” imam di Perugia. La voce giovane del dialogo e dell’apertura culturale  ]]>
Il Myanmar torna in mano all’aristocrazia militare https://www.lavoce.it/il-myanmar-torna-in-mano-allaristocrazia-militare/ Thu, 18 Feb 2021 18:24:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59269 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Le notizie dal Myanmar arrivano con il contagocce. L’informazione è tra i primi diritti che vengono repressi. Anche il traffico della rete internet è stato oscurato. I generali sembrano aver dichiarato guerra agli abitanti del Paese perché il dissenso tra la popolazione sembra essere diffuso, dilagante, pressoché totale. Da una parte ci sono elezioni condotte regolarmente, che hanno inteso affidare le sorti del Paese alla National League for Democracy (Nld: Lega nazionale per la democrazia) della Nobel della pace Aung San Suu Kyi, e dall’altra un gruppo di militari d’altissimo rango che vedono traballare i propri interessi economici. Centrale è il ruolo della Cina che, a quanto pare, vede garantita la sudditanza economica dell’ex Birmania più grazie ai militari che alla democrazia. Si teme che la repressione possa sfociare in una strage con migliaia di morti, come è già nel 1988 e nel 2007, quando la “rivolta zafferano” guidata dai monaci aveva fatto tremare il regime. La comunità internazionale, davanti a questo rischio, non può continuare a restare sugli spalti. Potrebbe piuttosto cominciare a comminare sanzioni economiche, non contro la popolazione ma congelando il denaro che i militari hanno depositato nelle banche estere per tenerli al sicuro. Tonio Dell’Olio]]>
colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Le notizie dal Myanmar arrivano con il contagocce. L’informazione è tra i primi diritti che vengono repressi. Anche il traffico della rete internet è stato oscurato. I generali sembrano aver dichiarato guerra agli abitanti del Paese perché il dissenso tra la popolazione sembra essere diffuso, dilagante, pressoché totale. Da una parte ci sono elezioni condotte regolarmente, che hanno inteso affidare le sorti del Paese alla National League for Democracy (Nld: Lega nazionale per la democrazia) della Nobel della pace Aung San Suu Kyi, e dall’altra un gruppo di militari d’altissimo rango che vedono traballare i propri interessi economici. Centrale è il ruolo della Cina che, a quanto pare, vede garantita la sudditanza economica dell’ex Birmania più grazie ai militari che alla democrazia. Si teme che la repressione possa sfociare in una strage con migliaia di morti, come è già nel 1988 e nel 2007, quando la “rivolta zafferano” guidata dai monaci aveva fatto tremare il regime. La comunità internazionale, davanti a questo rischio, non può continuare a restare sugli spalti. Potrebbe piuttosto cominciare a comminare sanzioni economiche, non contro la popolazione ma congelando il denaro che i militari hanno depositato nelle banche estere per tenerli al sicuro. Tonio Dell’Olio]]>
Il giorno peggiore per Santa Sofia https://www.lavoce.it/il-giorno-peggiore-per-santa-sofia/ Fri, 24 Jul 2020 09:57:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57571

Come non condividere l’amarezza di Papa Francesco alla notizia che verrà restituito al culto islamico quello che per più di mille anni (dal IV secolo al 1453) era stato uno dei principali templi della cristianità? La cattedrale di Costantinopoli, Santa Sofia, dedicata alla Sapienza divina. La sua prima fondazione risalirebbe a Costantino, così come quella di San Pietro a Roma; la sua struttura attuale all’imperatore Giustiniano. Convertita in moschea con la conquista turca, è rimasta tale fino al 1935, quando venne trasformata in museo. Però se guardiamo la storia potremmo farcene una ragione.

Il momento peggiore della storia

Il momento di gran lunga peggiore della basilica di Santa Sofia è stato nel 1204, quando quella che era la capitale dell’Impero romano di Oriente, e della Chiesa ortodossa, venne conquistata da un esercito straniero che, secondo la credibile testimonianza dei contemporanei, fece il saccheggio più feroce e offensivo che si fosse mai visto al mondo. Donne stuprate, bambini sgozzati, chiese e case saccheggiate e incendiate. Santa Sofia fu bestialmente profanata; gli invasori issarono sul trono del Patriarca una prostituta discinta che cantava canzoni oscene fra gli applausi della soldataglia. Gli arredi sacri furono depredati, persino i venerabili mosaici distrutti. Il saccheggio dell’intera città durò tre giorni, poi i comandanti ne ordinarono la fine, ma solo perché altrimenti sarebbe stato impossibile fare la “giusta” spartizione del bottino fra le diverse armate che componevano l’esercito invasore.

Gli invasori erano…

Ma chi erano questi barbari invasori? I soldati delle nazioni cattoliche apostoliche romane, riuniti per la quarta Crociata, poi deviati dai loro sovrani verso una preda più ricca, la capitale bizantina. Ma portavano tuttora il nome di “crociati” e ne vestivano le insegne, mentre stupravano e profanavano le chiese cristiane. Solo ai nostri giorni un Papa ne ha chiesto perdono ai cristiani ortodossi. Dunque è naturale provare oggi amarezza perché Santa Sofia torna al culto islamico, ma con l’umiltà di chi ha, nella propria storia, anche quella pagina orribile. Pier Giorgio Lignani]]>

Come non condividere l’amarezza di Papa Francesco alla notizia che verrà restituito al culto islamico quello che per più di mille anni (dal IV secolo al 1453) era stato uno dei principali templi della cristianità? La cattedrale di Costantinopoli, Santa Sofia, dedicata alla Sapienza divina. La sua prima fondazione risalirebbe a Costantino, così come quella di San Pietro a Roma; la sua struttura attuale all’imperatore Giustiniano. Convertita in moschea con la conquista turca, è rimasta tale fino al 1935, quando venne trasformata in museo. Però se guardiamo la storia potremmo farcene una ragione.

Il momento peggiore della storia

Il momento di gran lunga peggiore della basilica di Santa Sofia è stato nel 1204, quando quella che era la capitale dell’Impero romano di Oriente, e della Chiesa ortodossa, venne conquistata da un esercito straniero che, secondo la credibile testimonianza dei contemporanei, fece il saccheggio più feroce e offensivo che si fosse mai visto al mondo. Donne stuprate, bambini sgozzati, chiese e case saccheggiate e incendiate. Santa Sofia fu bestialmente profanata; gli invasori issarono sul trono del Patriarca una prostituta discinta che cantava canzoni oscene fra gli applausi della soldataglia. Gli arredi sacri furono depredati, persino i venerabili mosaici distrutti. Il saccheggio dell’intera città durò tre giorni, poi i comandanti ne ordinarono la fine, ma solo perché altrimenti sarebbe stato impossibile fare la “giusta” spartizione del bottino fra le diverse armate che componevano l’esercito invasore.

Gli invasori erano…

Ma chi erano questi barbari invasori? I soldati delle nazioni cattoliche apostoliche romane, riuniti per la quarta Crociata, poi deviati dai loro sovrani verso una preda più ricca, la capitale bizantina. Ma portavano tuttora il nome di “crociati” e ne vestivano le insegne, mentre stupravano e profanavano le chiese cristiane. Solo ai nostri giorni un Papa ne ha chiesto perdono ai cristiani ortodossi. Dunque è naturale provare oggi amarezza perché Santa Sofia torna al culto islamico, ma con l’umiltà di chi ha, nella propria storia, anche quella pagina orribile. Pier Giorgio Lignani]]>
Il vescovo di Assisi e l’imam di Perugia sottoscrivono il documento di fratellanza https://www.lavoce.it/assisi-documento-fratellanza/ Fri, 08 Mar 2019 08:32:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54164 fratellanza

È stata sottoscritta, giovedì 7 marzo nella sala della Spogliazione di Assisi, tra il vescovo della diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, monsignor Domenico Sorrentino e l’Imam di Perugia, Abdel Qader Moh’d, la dichiarazione di pieno accoglimento del documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato il 4 febbraio ad Abu Dhabi da papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb.

Si tratta di un impegno a mettere in pratica e diffondere nelle rispettive comunità quanto raccomandato dal documento stesso che cade nell’ottavo centenario della visita di Francesco a Malik Al-Kamil, Sultano d’Egitto. Dopo le considerazioni generali, il presidente della commissione Spirito di Assisi, don Tonio Dell’Olio, ha illustrato la struttura e gli elementi di innovazione e di profezia che caratterizzano il documento. Questo momento di riflessione è stato intervallato dalla lettura di alcuni tratti del documento stesso.

“Il vero passo in avanti – ha sottolineato monsignor Sorrentino – è la capacità di dialogare in sincerità dicendosi quello in cui si crede e imparando a dialogare da fratelli. Mi sembra bello – ha aggiunto - esplicitare in questa sala l’animus del documento che ci impegna molto più profondamente anche nel grande orizzonte che esso delinea nella costruzione della fraternità universale.

La nostra sfida è mostrare che il nostro incontro con Dio è esplicitato in maniera vera, sincera e chiara come un tema dialogico da porre al centro dei nostri rapporti che non ci porta più alla guerra”.

“In questa sala della spogliazione – ha sottolineato l’Imam di Perugia, Abdel Qader Moh’d – mi spoglio da ogni pregiudizio, da ogni odio verso mio fratello nell’umanità. Siamo fratelli, Dio ci ha creato, dobbiamo obbedire non dobbiamo ferire l’altro. Questo documento porta verità, sincerità e lealtà. Sono certo e credo che ci sono uomini veri e sinceri.

Io firmo – ha aggiunto - con senso di grande responsabilità, consapevole che questi valori sono scritti da grandi uomini che rappresentano religioni monoteiste e desidero che questi valori vengano messi in pratica. Devono essere usati. Non dobbiamo comprare un vestito bello e poi metterlo nell’armadio e dimenticarlo, poi un altro e così via.

Questo vestito deve girare non solo a livello locale, italiano, ma mondiale perché sappiamo che nel mondo ci sono correnti contrarie, c’è lo scontro tra le civiltà, ma noi siamo più numerosi, siamo quelli che credono nella fratellanza della civiltà. Dobbiamo costruire la via retta della pace e della fratellanza. Allah faccia di questo documento un atto vero, un motivo per avvicinarci, amarci, abbracciarci e non fare differenze”.

Antonella Porzi

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fratellanza

È stata sottoscritta, giovedì 7 marzo nella sala della Spogliazione di Assisi, tra il vescovo della diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, monsignor Domenico Sorrentino e l’Imam di Perugia, Abdel Qader Moh’d, la dichiarazione di pieno accoglimento del documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato il 4 febbraio ad Abu Dhabi da papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb.

Si tratta di un impegno a mettere in pratica e diffondere nelle rispettive comunità quanto raccomandato dal documento stesso che cade nell’ottavo centenario della visita di Francesco a Malik Al-Kamil, Sultano d’Egitto. Dopo le considerazioni generali, il presidente della commissione Spirito di Assisi, don Tonio Dell’Olio, ha illustrato la struttura e gli elementi di innovazione e di profezia che caratterizzano il documento. Questo momento di riflessione è stato intervallato dalla lettura di alcuni tratti del documento stesso.

“Il vero passo in avanti – ha sottolineato monsignor Sorrentino – è la capacità di dialogare in sincerità dicendosi quello in cui si crede e imparando a dialogare da fratelli. Mi sembra bello – ha aggiunto - esplicitare in questa sala l’animus del documento che ci impegna molto più profondamente anche nel grande orizzonte che esso delinea nella costruzione della fraternità universale.

La nostra sfida è mostrare che il nostro incontro con Dio è esplicitato in maniera vera, sincera e chiara come un tema dialogico da porre al centro dei nostri rapporti che non ci porta più alla guerra”.

“In questa sala della spogliazione – ha sottolineato l’Imam di Perugia, Abdel Qader Moh’d – mi spoglio da ogni pregiudizio, da ogni odio verso mio fratello nell’umanità. Siamo fratelli, Dio ci ha creato, dobbiamo obbedire non dobbiamo ferire l’altro. Questo documento porta verità, sincerità e lealtà. Sono certo e credo che ci sono uomini veri e sinceri.

Io firmo – ha aggiunto - con senso di grande responsabilità, consapevole che questi valori sono scritti da grandi uomini che rappresentano religioni monoteiste e desidero che questi valori vengano messi in pratica. Devono essere usati. Non dobbiamo comprare un vestito bello e poi metterlo nell’armadio e dimenticarlo, poi un altro e così via.

Questo vestito deve girare non solo a livello locale, italiano, ma mondiale perché sappiamo che nel mondo ci sono correnti contrarie, c’è lo scontro tra le civiltà, ma noi siamo più numerosi, siamo quelli che credono nella fratellanza della civiltà. Dobbiamo costruire la via retta della pace e della fratellanza. Allah faccia di questo documento un atto vero, un motivo per avvicinarci, amarci, abbracciarci e non fare differenze”.

Antonella Porzi

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ll Papa negli Emirati Arabi Uniti. Un evento eccezionale per vari motivi https://www.lavoce.it/papa-emirati-arabi-uniti/ Thu, 07 Feb 2019 10:21:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53969 emirati

Eccezionale per tanti versi, la visita di Papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti svoltasi dal 3 al 5 febbraio. Il primo Pontefice a mettere piede nella Penisola arabica, proprio nell’ottavo centenario dell’incontro (avvenuto però in Egitto) tra san Francesco e il sultano Malik al-Kamil. Una liturgia celebrata in pubblico, in un Paese musulmano, di fronte a 120-130 mila persone, tra cui 4.000 fedeli del Corano.

[caption id="attachment_53972" align="aligncenter" width="640"]emirati Il Papa celebra la messa presso la Zayed Sports City[/caption]

E ancora, la firma del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, tra il Papa e il Grande imam dell’università di Al-Azhar (al Cairo), principale centro di formazione dell’islam sunnita. Ma non basta, perché, anche se Al-Azhar ‘parla’ a nome dell’islam sunnita, erano presenti anche gli sciiti tra i 700 leader che, ad Abu Dhabi, hanno partecipato all’Incontro interreligioso sulla fratellanza umana organizzata dal Muslim Council of Elders (Consiglio islamico degli anziani).

[caption id="attachment_53971" align="aligncenter" width="755"]emirati La firma del documento sulla fratellanza[/caption]

“Seguire la via di Gesù - ha detto il Papa all’omelia della messa non significa stare sempre allegri. Chi è afflitto, chi patisce ingiustizie, chi si prodiga per essere operatore di pace sa che cosa significa soffrire. Per voi non è certo facile vivere lontani da casa e sentire magari, oltre alla mancanza degli affetti più cari, l’incertezza del futuro. Ma il Signore è fedele e non abbandona i suoi...

Quando Gesù ci ha detto come vivere, non ha chiesto di innalzare grandi opere o di segnalarci compiendo gesta straordinarie. Ci ha chiesto di realizzare una sola opera d’arte, possibile a tutti: quella della nostra vita... Vi auguro di essere così, ben radicati in Cristo, in Gesù, e pronti a fare del bene a chiunque vi sta vicino. Le vostre comunità siano oasi di pace”.

Commentando la messa, padre Francesco Patton, custode di Terra Santa, l’ha definita un segno di “grande apertura, e sintomo che qualcosa sta cambiando. Questa messa, con la partecipazione di decine di migliaia di cattolici, avrà un’enorme risonanza in tutta la Penisola arabica, dove ci sono in totale qualcosa come tre milioni di cattolici, tutti lavoratori stranieri da diversi Paesi asiatici, come India, Pakistan e Filippine, e ricchi di grande fede. Credo che sia anche un segno di quella ‘reciprocità’ che tante volte abbiamo invocato - qualche volta per difenderci - e che adesso comincia a essere accolta”.

Tra i commenti più positivi da parte del mondo musulmano, spicca quello del giovane studioso algerino Kamel Abderrahmani: “Sono meravigliato dalla bellezza e sincerità delle proposte fatte. Dopo questa visita, alle istituzioni musulmane non resterà nulla da dire sulla violenza che si compie in nome dell’islam, se non scomunicare in modo diretto e imperativo i fabbricanti di morte.

Non siamo più nel Medioevo, e i Governi occidentali non sono la Chiesa cattolica. Il che significa che nell’ambiente moderno non vi è alcuna crociata nel nome della fede cristiana. Papa Francesco ha teso le braccia ai musulmani, offerto fraternità, amore e pace, ed essi non dovrebbero rifiutare questa occasione per costruire ponti di umanità insieme”.

Dario Rivarossa

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emirati

Eccezionale per tanti versi, la visita di Papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti svoltasi dal 3 al 5 febbraio. Il primo Pontefice a mettere piede nella Penisola arabica, proprio nell’ottavo centenario dell’incontro (avvenuto però in Egitto) tra san Francesco e il sultano Malik al-Kamil. Una liturgia celebrata in pubblico, in un Paese musulmano, di fronte a 120-130 mila persone, tra cui 4.000 fedeli del Corano.

[caption id="attachment_53972" align="aligncenter" width="640"]emirati Il Papa celebra la messa presso la Zayed Sports City[/caption]

E ancora, la firma del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, tra il Papa e il Grande imam dell’università di Al-Azhar (al Cairo), principale centro di formazione dell’islam sunnita. Ma non basta, perché, anche se Al-Azhar ‘parla’ a nome dell’islam sunnita, erano presenti anche gli sciiti tra i 700 leader che, ad Abu Dhabi, hanno partecipato all’Incontro interreligioso sulla fratellanza umana organizzata dal Muslim Council of Elders (Consiglio islamico degli anziani).

[caption id="attachment_53971" align="aligncenter" width="755"]emirati La firma del documento sulla fratellanza[/caption]

“Seguire la via di Gesù - ha detto il Papa all’omelia della messa non significa stare sempre allegri. Chi è afflitto, chi patisce ingiustizie, chi si prodiga per essere operatore di pace sa che cosa significa soffrire. Per voi non è certo facile vivere lontani da casa e sentire magari, oltre alla mancanza degli affetti più cari, l’incertezza del futuro. Ma il Signore è fedele e non abbandona i suoi...

Quando Gesù ci ha detto come vivere, non ha chiesto di innalzare grandi opere o di segnalarci compiendo gesta straordinarie. Ci ha chiesto di realizzare una sola opera d’arte, possibile a tutti: quella della nostra vita... Vi auguro di essere così, ben radicati in Cristo, in Gesù, e pronti a fare del bene a chiunque vi sta vicino. Le vostre comunità siano oasi di pace”.

Commentando la messa, padre Francesco Patton, custode di Terra Santa, l’ha definita un segno di “grande apertura, e sintomo che qualcosa sta cambiando. Questa messa, con la partecipazione di decine di migliaia di cattolici, avrà un’enorme risonanza in tutta la Penisola arabica, dove ci sono in totale qualcosa come tre milioni di cattolici, tutti lavoratori stranieri da diversi Paesi asiatici, come India, Pakistan e Filippine, e ricchi di grande fede. Credo che sia anche un segno di quella ‘reciprocità’ che tante volte abbiamo invocato - qualche volta per difenderci - e che adesso comincia a essere accolta”.

Tra i commenti più positivi da parte del mondo musulmano, spicca quello del giovane studioso algerino Kamel Abderrahmani: “Sono meravigliato dalla bellezza e sincerità delle proposte fatte. Dopo questa visita, alle istituzioni musulmane non resterà nulla da dire sulla violenza che si compie in nome dell’islam, se non scomunicare in modo diretto e imperativo i fabbricanti di morte.

Non siamo più nel Medioevo, e i Governi occidentali non sono la Chiesa cattolica. Il che significa che nell’ambiente moderno non vi è alcuna crociata nel nome della fede cristiana. Papa Francesco ha teso le braccia ai musulmani, offerto fraternità, amore e pace, ed essi non dovrebbero rifiutare questa occasione per costruire ponti di umanità insieme”.

Dario Rivarossa

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UMBERTIDE. Si riapre il dibattito sulla moschea https://www.lavoce.it/umbertide-dibattito-moschea/ Mon, 15 Oct 2018 10:00:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53135 moschea

Sul caso del Centro culturale islamico la Giunta comunale di Umbertide rilancia: “No alla moschea”. A commentare l’esito del parere “pro veritate” è il sindaco Luca Carizia, il quale precisa come l’Amministrazione abbia ritenuto fondamentale richiedere la consulenza ad uno studio legale per capire come, a livello tecnico e giuridico, ci si possa approcciare sulla questione.

L’esito rappresenta un punto di partenza perché indirizza verso un percorso assolutamente conforme alla legge e in sintonia con le competenze amministrative. Mossa che, qualora non venissero rispettati i termini della destinazione d’uso, potrebbe portare alla chiusura dell’immobile.

Carizia continua dicendo che “da parte mia, della Giunta, posso assicurare un impegno certosino nel vigilare che la struttura di via Madonna del Moro non venga trasformata in moschea”.

Tiene inoltre a precisare che, diversamente da quanto riportato nei titoli di alcuni quotidiani, l’Amministrazione comunale, anche durante l’ultima assise cittadina, non ha mai parlato di “moschea”, bensì di Centro culturale islamico. Sul quale si hanno delle forti perplessità relative all’utilizzo, alle dimensioni e, non ultimo, alla provenienza dei fondi.

Va ricordato, comunque, che dallo scorso 3 settembre, dopo lo sgombero della vecchia moschea di via Battisti, la numerosa comunità musulmana locale non ha un posto dove pregare. Come affermato dall’imam Chafiq El Oqayly in una lettera inviata al primo cittadino, mancherebbero ancora sei mesi per la fine definitiva dei lavori del nuovo Centro islamico. L’attenzione sul caso resta più alta che mai. Stiamo a vedere.

Fabrizio Ciocchetti

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moschea

Sul caso del Centro culturale islamico la Giunta comunale di Umbertide rilancia: “No alla moschea”. A commentare l’esito del parere “pro veritate” è il sindaco Luca Carizia, il quale precisa come l’Amministrazione abbia ritenuto fondamentale richiedere la consulenza ad uno studio legale per capire come, a livello tecnico e giuridico, ci si possa approcciare sulla questione.

L’esito rappresenta un punto di partenza perché indirizza verso un percorso assolutamente conforme alla legge e in sintonia con le competenze amministrative. Mossa che, qualora non venissero rispettati i termini della destinazione d’uso, potrebbe portare alla chiusura dell’immobile.

Carizia continua dicendo che “da parte mia, della Giunta, posso assicurare un impegno certosino nel vigilare che la struttura di via Madonna del Moro non venga trasformata in moschea”.

Tiene inoltre a precisare che, diversamente da quanto riportato nei titoli di alcuni quotidiani, l’Amministrazione comunale, anche durante l’ultima assise cittadina, non ha mai parlato di “moschea”, bensì di Centro culturale islamico. Sul quale si hanno delle forti perplessità relative all’utilizzo, alle dimensioni e, non ultimo, alla provenienza dei fondi.

Va ricordato, comunque, che dallo scorso 3 settembre, dopo lo sgombero della vecchia moschea di via Battisti, la numerosa comunità musulmana locale non ha un posto dove pregare. Come affermato dall’imam Chafiq El Oqayly in una lettera inviata al primo cittadino, mancherebbero ancora sei mesi per la fine definitiva dei lavori del nuovo Centro islamico. L’attenzione sul caso resta più alta che mai. Stiamo a vedere.

Fabrizio Ciocchetti

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A Collevalenza le Giornate del dialogo islamo-cristiano https://www.lavoce.it/collevalenza-le-giornate-del-dialogo-islamo-cristiano/ Fri, 04 May 2018 11:41:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51819

Un’occasione di incontro e conoscenza reciproca. Uno scambio profondo e intenso di testimonianze, storie personali di conversione e ricerca spirituale, condivisione delle sfide che preoccupano, ma anche delle opportunità che si vogliono cogliere e sfruttare insieme. Molti i giovani e le donne che prendono la parola. Si parla di educazione in famiglia, di seconde generazioni, del ruolo delle comunità religiose, dei giovani che sono alla ricerca di grandi ideali, ma anche molto spaesati. Si parla di terrorismo. Questo in estrema sintesi sono le Giornate all’insegna del dialogo islamo-cristiano, che si sono vissute (29 aprile - 1° maggio) al santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. A promuoverle con lo slogan “La gioia dell’incontro” è il “gruppo di interesse sull’islam”, che fa capo all’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei. Sono presenti una cinquantina di partecipanti tra imam, rappresentanti di comunità e associazioni islamiche, esperti di dialogo, animatori di centri culturali. Molto forte e di impatto la testimonianza di Valeria Collina, mamma di Youssef Zaghba, il ragazzo italiano affiliato allo Stato islamico, morto lo scorso anno sul Ponte di Londra nell’attentato del 3 giugno. Tra silenzi e profonda commozione, Valeria ha raccontato il giorno dell’attentato, l’arrivo della Digos a casa, l’annuncio della morte del figlio, l’oscurità e l’impegno oggi a condividere le “sfide” della seconda generazione. Perché, purtroppo, parlare di islam oggi significa pure affrontare con determinazione, ma anche insieme, l’oscuro nodo del fondamentalismo, i pericoli del Web, la responsabilità delle comunità religiose. L’iniziativa della Cei è frutto di un percorso di amicizia e dialogo nato lo scorso anno quando un nutrito gruppo di musulmani, rappresentanti delle maggiori sigle associative islamiche presenti nel nostro Paese, si sono dati per la prima volta appuntamento a Roma, su invito della Cei. La tre-giorni di Collevalenza – spiega don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio Cei per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso - nasce con l’obiettivo di “consolidare le relazioni di amicizia e di dialogo tra musulmani e cristiani, che consideria- mo urgenti e di grande arricchimento reciproco”. Di “impegno essenziale”, parla mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone e presidente della Commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo. E spiega: “Siamo in un mondo di diversi, e lo saremo sempre più. Il nostro Paese si confronta con una presenza di migranti, uomini e donne di appartenenze religiose diverse, appartenenze che a volte suscitano distanza, fanno emergere pregiudizi, suscitano forme sempre più violente di razzismo, che sono in fondo l’affermazione di una cultura incapace di aprirsi all’altro”. La finalità? “È affermare – risponde mons. Spreafico - che in un Paese come nostro il cristianesimo può fare da ponte verso gli altri. È quello che ci sta chiedendo Papa Francesco: guardare all’altro uscendo dal proprio mondo, non rinunciando alla nostra identità. Anzi, proprio perché crediamo profondamente in Gesù di Nazareth, siamo un ponte”. La posta in gioco è quella di “essere adeguati a gestire una situazione ormai pluralistica e irreversibile che il nostro Paese ha visto nascere in pochi decenni”, afferma Paolo Branca, islamista e docente all’Università Cattolica. Dopo secoli di omogeneità l’Italia si trova ad avere, per esempio, nella sola area metropolitana di Milano 100 mila musulmani, la più grossa comunità non cristiana presente in quel territorio. “Un fatto nuovo - dice - , a cui non eravamo preparati. Ma in questi ultimi decenni si sono fatti passi avanti. Il nostro obiettivo è riuscire a comunicare alla gente comune, dire che c’è la possibilità di capirsi, di parlarsi, di conoscersi, di fare un pezzo di cammino insieme. Purtroppo, però, le buone notizie non emergono e le persone sono sempre più impaurite, pronte a scattare anche meccanicamente su pregiudizi e notizie negative, sulle quali alcuni addirittura costruiscono consenso e giochi politici. L’alternativa allo scontro c’è, ma non sembra essere percepita”. L’alternativa è qui. Nei volti degli imam, dei giovani musulmani, dei parroci e delle insegnanti che a Collevalenza stanno prendendo la parola, rappresentanti di un’Italia multireligiosa, numerosa, integrata, all’altezza dei nuovi tempi. La conoscenza reciproca – dice Nader Akkad, imam di Trieste – “è la prima tappa per poter costruire un progetto comune di fraternità”. Mentre fra’ Ignazio de Francesco, monaco della Piccola Famiglia dell’Annunziata, parla di “un passaggio di una storia di dialogo iniziato da qualche anno tra cristiani e musulmani, all’interno delle attività delle Cei”. Le giornate di Collevalenza vogliono allora “essere un seme di speranza e di costruzione di una vita comune, in un momento in cui sembrano prevalere segnali di disgregazione, di polemiche, di scontro. Ci troviamo tra musulmani e cristiani, uomini e donne di buona volontà, per poter porre punti di vita comune e dialogo costruttivo tra noi”.  ]]>

Un’occasione di incontro e conoscenza reciproca. Uno scambio profondo e intenso di testimonianze, storie personali di conversione e ricerca spirituale, condivisione delle sfide che preoccupano, ma anche delle opportunità che si vogliono cogliere e sfruttare insieme. Molti i giovani e le donne che prendono la parola. Si parla di educazione in famiglia, di seconde generazioni, del ruolo delle comunità religiose, dei giovani che sono alla ricerca di grandi ideali, ma anche molto spaesati. Si parla di terrorismo. Questo in estrema sintesi sono le Giornate all’insegna del dialogo islamo-cristiano, che si sono vissute (29 aprile - 1° maggio) al santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. A promuoverle con lo slogan “La gioia dell’incontro” è il “gruppo di interesse sull’islam”, che fa capo all’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei. Sono presenti una cinquantina di partecipanti tra imam, rappresentanti di comunità e associazioni islamiche, esperti di dialogo, animatori di centri culturali. Molto forte e di impatto la testimonianza di Valeria Collina, mamma di Youssef Zaghba, il ragazzo italiano affiliato allo Stato islamico, morto lo scorso anno sul Ponte di Londra nell’attentato del 3 giugno. Tra silenzi e profonda commozione, Valeria ha raccontato il giorno dell’attentato, l’arrivo della Digos a casa, l’annuncio della morte del figlio, l’oscurità e l’impegno oggi a condividere le “sfide” della seconda generazione. Perché, purtroppo, parlare di islam oggi significa pure affrontare con determinazione, ma anche insieme, l’oscuro nodo del fondamentalismo, i pericoli del Web, la responsabilità delle comunità religiose. L’iniziativa della Cei è frutto di un percorso di amicizia e dialogo nato lo scorso anno quando un nutrito gruppo di musulmani, rappresentanti delle maggiori sigle associative islamiche presenti nel nostro Paese, si sono dati per la prima volta appuntamento a Roma, su invito della Cei. La tre-giorni di Collevalenza – spiega don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio Cei per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso - nasce con l’obiettivo di “consolidare le relazioni di amicizia e di dialogo tra musulmani e cristiani, che consideria- mo urgenti e di grande arricchimento reciproco”. Di “impegno essenziale”, parla mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone e presidente della Commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo. E spiega: “Siamo in un mondo di diversi, e lo saremo sempre più. Il nostro Paese si confronta con una presenza di migranti, uomini e donne di appartenenze religiose diverse, appartenenze che a volte suscitano distanza, fanno emergere pregiudizi, suscitano forme sempre più violente di razzismo, che sono in fondo l’affermazione di una cultura incapace di aprirsi all’altro”. La finalità? “È affermare – risponde mons. Spreafico - che in un Paese come nostro il cristianesimo può fare da ponte verso gli altri. È quello che ci sta chiedendo Papa Francesco: guardare all’altro uscendo dal proprio mondo, non rinunciando alla nostra identità. Anzi, proprio perché crediamo profondamente in Gesù di Nazareth, siamo un ponte”. La posta in gioco è quella di “essere adeguati a gestire una situazione ormai pluralistica e irreversibile che il nostro Paese ha visto nascere in pochi decenni”, afferma Paolo Branca, islamista e docente all’Università Cattolica. Dopo secoli di omogeneità l’Italia si trova ad avere, per esempio, nella sola area metropolitana di Milano 100 mila musulmani, la più grossa comunità non cristiana presente in quel territorio. “Un fatto nuovo - dice - , a cui non eravamo preparati. Ma in questi ultimi decenni si sono fatti passi avanti. Il nostro obiettivo è riuscire a comunicare alla gente comune, dire che c’è la possibilità di capirsi, di parlarsi, di conoscersi, di fare un pezzo di cammino insieme. Purtroppo, però, le buone notizie non emergono e le persone sono sempre più impaurite, pronte a scattare anche meccanicamente su pregiudizi e notizie negative, sulle quali alcuni addirittura costruiscono consenso e giochi politici. L’alternativa allo scontro c’è, ma non sembra essere percepita”. L’alternativa è qui. Nei volti degli imam, dei giovani musulmani, dei parroci e delle insegnanti che a Collevalenza stanno prendendo la parola, rappresentanti di un’Italia multireligiosa, numerosa, integrata, all’altezza dei nuovi tempi. La conoscenza reciproca – dice Nader Akkad, imam di Trieste – “è la prima tappa per poter costruire un progetto comune di fraternità”. Mentre fra’ Ignazio de Francesco, monaco della Piccola Famiglia dell’Annunziata, parla di “un passaggio di una storia di dialogo iniziato da qualche anno tra cristiani e musulmani, all’interno delle attività delle Cei”. Le giornate di Collevalenza vogliono allora “essere un seme di speranza e di costruzione di una vita comune, in un momento in cui sembrano prevalere segnali di disgregazione, di polemiche, di scontro. Ci troviamo tra musulmani e cristiani, uomini e donne di buona volontà, per poter porre punti di vita comune e dialogo costruttivo tra noi”.  ]]>
Incontro con Farhad Bitani, ex militare afgano emigrato in Italia https://www.lavoce.it/incontro-farhad-bitani-ex-militare-afgano-emigrato-italia/ Sun, 21 Jan 2018 16:16:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51055

Il 13 gennaio, nella sala del Trono del vescovado di Todi, in occasione della conclusione della mostra sui migranti – organizzata dalla Caritas diocesana e dell’associazione Matavitatau - e della Giornata mondiale dei migranti, si è tenuta un’affollata conferenza, moderata da Nicoletta Bernardini, con Farhad Bitani autore del libro L’ultimo lenzuolo bianco. L’inferno e il cuore dell’Afghanistan. Ex capitano dell’esercito afgano, figlio di un generale mujaheddin, la sua testimonianza, toccante e coinvolgente, ha inquadrato perfettamente la situazione politica, sociale ed economica del suo Paese. Cresciuto in un contesto di intolleranza, di violenza, che non permette di conoscere la verità trasmessa dal Corano, con la sola convinzione che il ‘diverso’ sia da eliminare. Durante la sua infanzia ha vissuto la guerra da vincitore, perché suo padre era uno dei generali mujaheddin che hanno sconfitto il potere sovietico. Più tardi l’ha vissuta da perseguitato, perché suo padre era nemico dei talebani, che in Afghanistan avevano preso il potere. In seguito l’ha vissuta da militare, combattendo lui stesso contro i talebani. La vita di Farhad subisce una svolta quando, nel 2005, il padre lo esorta ad andare in Italia. “Appena sono arrivato in aeroporto, ho visto soltanto una moltitudine di infedeli. Pregavo Dio per avere il potere di ucciderli” ha confessato Farhad. Le cose hanno iniziato a cambiare dal 2008, attraverso “piccoli gesti quotidiani”, come il rispetto della sua cultura o una mano sulla fronte che gli sentiva la febbre proprio come faceva sua madre quando era bambino. Farhad ha quindi deciso di leggere il Corano in lingua persiana – quella che conosce meglio – scoprendo così che non vi era traccia nel Libro sacro della maggior parte delle cose che gli erano state inculcate in giovane età. “Nel Corano ho trovato aiuto e rispetto per gli altri, ed è parola di Allah che nessuno può prendere la vita di un altro individuo. Il problema non è nella religione islamica, ma nei musulmani, poiché il 90% di loro non conosce cosa c’è realmente scritto nel testo sacro. Occorre andare in fondo all’umanità delle persone per conoscerle davvero”. Questo, e l’essere sopravvissuto a un attacco dei talebani nel 2011, ha portato Farhad verso il mutamento. “Sono cambiato attraverso la conoscenza del diverso, attraverso i piccoli gesti di bene. È quando questi vengono a mancare che aumenta la violenza”. Al termine dell’incontro, lancia un appello che tutti vogliamo raccogliere: “Tutti possono incontrare il Bene nella loro vita, anche la persona più crudele, in quanto ciascuno di noi ha un puntino bianco nel proprio cuore che attraverso l’incontro con l’altro può ingrandirsi”.  ]]>

Il 13 gennaio, nella sala del Trono del vescovado di Todi, in occasione della conclusione della mostra sui migranti – organizzata dalla Caritas diocesana e dell’associazione Matavitatau - e della Giornata mondiale dei migranti, si è tenuta un’affollata conferenza, moderata da Nicoletta Bernardini, con Farhad Bitani autore del libro L’ultimo lenzuolo bianco. L’inferno e il cuore dell’Afghanistan. Ex capitano dell’esercito afgano, figlio di un generale mujaheddin, la sua testimonianza, toccante e coinvolgente, ha inquadrato perfettamente la situazione politica, sociale ed economica del suo Paese. Cresciuto in un contesto di intolleranza, di violenza, che non permette di conoscere la verità trasmessa dal Corano, con la sola convinzione che il ‘diverso’ sia da eliminare. Durante la sua infanzia ha vissuto la guerra da vincitore, perché suo padre era uno dei generali mujaheddin che hanno sconfitto il potere sovietico. Più tardi l’ha vissuta da perseguitato, perché suo padre era nemico dei talebani, che in Afghanistan avevano preso il potere. In seguito l’ha vissuta da militare, combattendo lui stesso contro i talebani. La vita di Farhad subisce una svolta quando, nel 2005, il padre lo esorta ad andare in Italia. “Appena sono arrivato in aeroporto, ho visto soltanto una moltitudine di infedeli. Pregavo Dio per avere il potere di ucciderli” ha confessato Farhad. Le cose hanno iniziato a cambiare dal 2008, attraverso “piccoli gesti quotidiani”, come il rispetto della sua cultura o una mano sulla fronte che gli sentiva la febbre proprio come faceva sua madre quando era bambino. Farhad ha quindi deciso di leggere il Corano in lingua persiana – quella che conosce meglio – scoprendo così che non vi era traccia nel Libro sacro della maggior parte delle cose che gli erano state inculcate in giovane età. “Nel Corano ho trovato aiuto e rispetto per gli altri, ed è parola di Allah che nessuno può prendere la vita di un altro individuo. Il problema non è nella religione islamica, ma nei musulmani, poiché il 90% di loro non conosce cosa c’è realmente scritto nel testo sacro. Occorre andare in fondo all’umanità delle persone per conoscerle davvero”. Questo, e l’essere sopravvissuto a un attacco dei talebani nel 2011, ha portato Farhad verso il mutamento. “Sono cambiato attraverso la conoscenza del diverso, attraverso i piccoli gesti di bene. È quando questi vengono a mancare che aumenta la violenza”. Al termine dell’incontro, lancia un appello che tutti vogliamo raccogliere: “Tutti possono incontrare il Bene nella loro vita, anche la persona più crudele, in quanto ciascuno di noi ha un puntino bianco nel proprio cuore che attraverso l’incontro con l’altro può ingrandirsi”.  ]]>
Avremo imam con i titoli di studio https://www.lavoce.it/avremo-imam-con-i-titoli-di-studio/ Thu, 20 Jul 2017 16:10:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=49520

La “questione musulmana” continua a far discutere a Umbertide, e non solo per alcune traversie che hanno coinvolto l’imam (vedi articolo qui sotto) ma anche e soprattutto per il progetto per la costruzione della moschea e relativo Centro culturale islamico. L’ondata di islamofobia, o più semplicemente una conoscenza molto approssimativa delle religioni, viene cavalcata da alcuni gruppi politici e organi di “informazione” che gettano benzina sul fuoco dell’allarme terrorismo. Resta però vero che la situazione degli imam in Italia è ancora molto fluida, senza normative chiare. Alcuni casi di predicazione integralista in moschea - si ricordi l’imam di Ponte Felcino qualche anno fa, e quello di Perugia centro nelle settimane scorse - hanno provocato non solo l’arresto e l’espulsione dei colpevoli, ma anche un senso di pericolo nell’opinione pubblica. Di fatto, per un imam l’iter di formazione non è regolamentato in modo netto, con un percorso che dura molti anni, come per i sacerdoti cattolici. Il suo compito è essenzialmente quello di guidare le formule e i gesti corporei nel rito della preghiera, e poi commentare non la parola di Dio bensì i fatti del giorno. Per questo il suo ruolo non è tanto quello del “parroco” quanto quello del “cerimoniere” e del predicatore o magari dell’oratore politico. Il tema è stato esaminato con attenzione nel Rapporto stilato nell’aprile 2016 dal Consiglio per i rapporti con l’islam italiano. Ne emerge che “la formazione degli imam [nel nostro Paese] passa per almeno quattro possibili ambiti diversi, non necessariamente alternativi, e anzi spesso complementari”. C’è anzitutto “l’autoformazione”, con un livello di approfondimento molto diverso da persona a persona. Oppure possono esistere - in alcuni Paesi europei ma non in Italia, per ora - “scuole o corsi di istruzione superiore organizzati da centri di formazione creati a questo scopo, spesso con finanziamenti di Fondazioni estere”. Oppure ancora, l’imam può aver seguito un iter di preparazione non nel Paese europeo in cui vive bensì in Università e altre istituzioni nei Paesi musulmani; che comunque, di solito, offrono una preparazione esclusivamente su materie religiose, non culturali né interculturali. E infine, “la formazione all’interno di corsi e istituzioni create ad hoc nei vari Paesi europei”, che è la meta a cui si vorrebbe arrivare. È di pochi giorni fa la notizia che presso il nostro ministero degli Esteri si è tenuta una Conferenza sulla tutela delle comunità religiose. Al termine, il responsabile del Centro culturale islamico della Grande moschea di Roma, Abdellah Redouane, ha dichiarato che “siamo molto vicini alla creazione di un organismo per la formazione degli imam in Italia”. Già lo scorso febbraio era stato firmato il Patto nazionale per un islam italiano, e questo - ha aggiunto Redouane - ha posto le premesse “per un dibattito di cui c’è bisogno anche a livello territoriale, perché vuol dire apertura di moschee e formazione degli imam”. Esattamente, a che serve una moschea? Quando nell’anno 638 il patriarca di Gerusalemme, Sofronio, invitò il califfo Omar a pregare insieme nella basilica del Santo Sepolcro dopo la conquista araba della città, Omar disse: “No, pregherò fuori, perché altrimenti un giorno vi verrà confiscato l’edificio”. E fu provvidenziale. Per i musulmani, infatti, un luogo in cui ci si raduna per pregare diventa automaticamente sacro, come una moschea, e si può pretendere di acquisirne la proprietà. È un punto su cui a volte i vescovi o altre autorità mettono in guardia i sacerdoti che “prestano” spazi parrocchiali agli immigrati musulmani. Questa della sacralità dello spazio è una venerabile tradizione che accomuna forse tutti i popoli, perlomeno quelli antichi: si tratta solo di saperlo, e di agire con avvedutezza. Ma la questione è ancora più complessa. Una moschea infatti non ha solo funzioni “liturgiche” (nel senso etimologico di rito pubblico). In Umbria in questi giorni è vivo il dibattito sulla costruzione del Centro culturale islamico a Umbertide. Già nel 2001, all’inizio della querelle sulle moschee in Italia, su La cività cattolica era apparso un articolo del gesuita Khalil Samir, il quale sottolineava: “La moschea è il luogo dove la comunità si raduna per esaminare tutto ciò che la riguarda: questioni sociali, culturali, politiche, come anche per pregare. Voler limitare la moschea a luogo di preghiera è fare violenza alla tradizione musulmana”. Nel giorno sacro, il venerdì, l’imam tiene ai fedeli un discorso, la khutbah, “che non è una predica - prosegue padre Samir. - Nella khutbah vengono approfondite le questioni dell’ora presente: politiche, sociali, morali, ecc.”. Il che rende le moschee un luogo ‘delicato’ perfino nei Paesi a maggioranza islamica, perché “nella storia musulmana quasi tutte le rivoluzioni e i sollevamenti popolari sono partiti dalle moschee... In alcuni Paesi musulmani il testo della khubtah deve essere presentato prima alle autorità civili, visto che gli imam sono funzionari statali”. Un altro aspetto della questione, che infatti riaffiora regolarmente anche in Italia, Umbertide inclusa, consiste nel “chiedersi chi finanzi le moschee e i Centri islamici. È risaputo che gran parte delle moschee e dei Centri islamici in Europa sono finanziati da Governi musulmani, in particolare da quello dell’Arabia Saudita, che perciò ha il diritto di imporre i suoi imam”. E - precisa Samir - “non sono questi imam che potranno aiutare gli emigrati a inserirsi nella civiltà occidentale”. Quindi, meglio non avere moschee in casa nostra? Tutto il contrario. Bisogna semmai creare rapporti di vicinato e di prossimità, imparare a conoscersi, a stimarsi, perché - come diceva Gesù - “la bocca parla dalla pienezza del cuore”. Nessuno predicherà mai contro le persone di cui ha imparato a fidarsi. Senza fiducia reciproca, senza un tessuto sociale variegato ma solido, non basteranno le leggi a garantire quella famigerata “sicurezza” che oggi viene invocata per giustificare qualunque misura. Il caso dell’imam di Umbertide In questi tempi l’imam di Umbertide, Chafiq El Oqayly, si è ritrovato al centro di vicende movimentate. Forse tutte si sgonfieranno con il tempo ma, se non altro, dimostrano che il clima è teso perfino nei confronti di una comunità musulmana, quella umbertidese, composta perlopiù da marocchini, non taliban afghani. A inizio giugno una trasmissione tv aveva insinuato che la moschea di Umbertide sarebbe realizzata con soldi del Qatar, Stato con cui la stessa Arabia Saudita ha interrotto i rapporti con l’accusa (probabilmente strumentale) di terrorismo. A fine mese, l’imam è stato vittima di un’aggressione. Poi, la settimana scorsa, è finito tra gli indagati in una storia di false assunzioni e falsi licenziamenti allo scopo di ricevere sussidi dall’Inps. Il sindaco della città, Marco Locchi, tiene d’occhio questa spinosa situazione; intanto però c’è un suo collega del Pd, Marco Vinicio Guasticchi, che a più riprese si è pronunciato contro la moschea.]]>

La “questione musulmana” continua a far discutere a Umbertide, e non solo per alcune traversie che hanno coinvolto l’imam (vedi articolo qui sotto) ma anche e soprattutto per il progetto per la costruzione della moschea e relativo Centro culturale islamico. L’ondata di islamofobia, o più semplicemente una conoscenza molto approssimativa delle religioni, viene cavalcata da alcuni gruppi politici e organi di “informazione” che gettano benzina sul fuoco dell’allarme terrorismo. Resta però vero che la situazione degli imam in Italia è ancora molto fluida, senza normative chiare. Alcuni casi di predicazione integralista in moschea - si ricordi l’imam di Ponte Felcino qualche anno fa, e quello di Perugia centro nelle settimane scorse - hanno provocato non solo l’arresto e l’espulsione dei colpevoli, ma anche un senso di pericolo nell’opinione pubblica. Di fatto, per un imam l’iter di formazione non è regolamentato in modo netto, con un percorso che dura molti anni, come per i sacerdoti cattolici. Il suo compito è essenzialmente quello di guidare le formule e i gesti corporei nel rito della preghiera, e poi commentare non la parola di Dio bensì i fatti del giorno. Per questo il suo ruolo non è tanto quello del “parroco” quanto quello del “cerimoniere” e del predicatore o magari dell’oratore politico. Il tema è stato esaminato con attenzione nel Rapporto stilato nell’aprile 2016 dal Consiglio per i rapporti con l’islam italiano. Ne emerge che “la formazione degli imam [nel nostro Paese] passa per almeno quattro possibili ambiti diversi, non necessariamente alternativi, e anzi spesso complementari”. C’è anzitutto “l’autoformazione”, con un livello di approfondimento molto diverso da persona a persona. Oppure possono esistere - in alcuni Paesi europei ma non in Italia, per ora - “scuole o corsi di istruzione superiore organizzati da centri di formazione creati a questo scopo, spesso con finanziamenti di Fondazioni estere”. Oppure ancora, l’imam può aver seguito un iter di preparazione non nel Paese europeo in cui vive bensì in Università e altre istituzioni nei Paesi musulmani; che comunque, di solito, offrono una preparazione esclusivamente su materie religiose, non culturali né interculturali. E infine, “la formazione all’interno di corsi e istituzioni create ad hoc nei vari Paesi europei”, che è la meta a cui si vorrebbe arrivare. È di pochi giorni fa la notizia che presso il nostro ministero degli Esteri si è tenuta una Conferenza sulla tutela delle comunità religiose. Al termine, il responsabile del Centro culturale islamico della Grande moschea di Roma, Abdellah Redouane, ha dichiarato che “siamo molto vicini alla creazione di un organismo per la formazione degli imam in Italia”. Già lo scorso febbraio era stato firmato il Patto nazionale per un islam italiano, e questo - ha aggiunto Redouane - ha posto le premesse “per un dibattito di cui c’è bisogno anche a livello territoriale, perché vuol dire apertura di moschee e formazione degli imam”. Esattamente, a che serve una moschea? Quando nell’anno 638 il patriarca di Gerusalemme, Sofronio, invitò il califfo Omar a pregare insieme nella basilica del Santo Sepolcro dopo la conquista araba della città, Omar disse: “No, pregherò fuori, perché altrimenti un giorno vi verrà confiscato l’edificio”. E fu provvidenziale. Per i musulmani, infatti, un luogo in cui ci si raduna per pregare diventa automaticamente sacro, come una moschea, e si può pretendere di acquisirne la proprietà. È un punto su cui a volte i vescovi o altre autorità mettono in guardia i sacerdoti che “prestano” spazi parrocchiali agli immigrati musulmani. Questa della sacralità dello spazio è una venerabile tradizione che accomuna forse tutti i popoli, perlomeno quelli antichi: si tratta solo di saperlo, e di agire con avvedutezza. Ma la questione è ancora più complessa. Una moschea infatti non ha solo funzioni “liturgiche” (nel senso etimologico di rito pubblico). In Umbria in questi giorni è vivo il dibattito sulla costruzione del Centro culturale islamico a Umbertide. Già nel 2001, all’inizio della querelle sulle moschee in Italia, su La cività cattolica era apparso un articolo del gesuita Khalil Samir, il quale sottolineava: “La moschea è il luogo dove la comunità si raduna per esaminare tutto ciò che la riguarda: questioni sociali, culturali, politiche, come anche per pregare. Voler limitare la moschea a luogo di preghiera è fare violenza alla tradizione musulmana”. Nel giorno sacro, il venerdì, l’imam tiene ai fedeli un discorso, la khutbah, “che non è una predica - prosegue padre Samir. - Nella khutbah vengono approfondite le questioni dell’ora presente: politiche, sociali, morali, ecc.”. Il che rende le moschee un luogo ‘delicato’ perfino nei Paesi a maggioranza islamica, perché “nella storia musulmana quasi tutte le rivoluzioni e i sollevamenti popolari sono partiti dalle moschee... In alcuni Paesi musulmani il testo della khubtah deve essere presentato prima alle autorità civili, visto che gli imam sono funzionari statali”. Un altro aspetto della questione, che infatti riaffiora regolarmente anche in Italia, Umbertide inclusa, consiste nel “chiedersi chi finanzi le moschee e i Centri islamici. È risaputo che gran parte delle moschee e dei Centri islamici in Europa sono finanziati da Governi musulmani, in particolare da quello dell’Arabia Saudita, che perciò ha il diritto di imporre i suoi imam”. E - precisa Samir - “non sono questi imam che potranno aiutare gli emigrati a inserirsi nella civiltà occidentale”. Quindi, meglio non avere moschee in casa nostra? Tutto il contrario. Bisogna semmai creare rapporti di vicinato e di prossimità, imparare a conoscersi, a stimarsi, perché - come diceva Gesù - “la bocca parla dalla pienezza del cuore”. Nessuno predicherà mai contro le persone di cui ha imparato a fidarsi. Senza fiducia reciproca, senza un tessuto sociale variegato ma solido, non basteranno le leggi a garantire quella famigerata “sicurezza” che oggi viene invocata per giustificare qualunque misura. Il caso dell’imam di Umbertide In questi tempi l’imam di Umbertide, Chafiq El Oqayly, si è ritrovato al centro di vicende movimentate. Forse tutte si sgonfieranno con il tempo ma, se non altro, dimostrano che il clima è teso perfino nei confronti di una comunità musulmana, quella umbertidese, composta perlopiù da marocchini, non taliban afghani. A inizio giugno una trasmissione tv aveva insinuato che la moschea di Umbertide sarebbe realizzata con soldi del Qatar, Stato con cui la stessa Arabia Saudita ha interrotto i rapporti con l’accusa (probabilmente strumentale) di terrorismo. A fine mese, l’imam è stato vittima di un’aggressione. Poi, la settimana scorsa, è finito tra gli indagati in una storia di false assunzioni e falsi licenziamenti allo scopo di ricevere sussidi dall’Inps. Il sindaco della città, Marco Locchi, tiene d’occhio questa spinosa situazione; intanto però c’è un suo collega del Pd, Marco Vinicio Guasticchi, che a più riprese si è pronunciato contro la moschea.]]>
Papa Francesco torna a Assisi per i 30 anni dello “spirito di Assisi” https://www.lavoce.it/papa-francesco-torna-a-assisi-per-i-30-anni-dello-spirito-di-assisi/ Thu, 18 Aug 2016 12:33:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47286 papa-francesco-basilica-assisi-per-visita-ottobre-2013Papa Francesco sarà ad Assisi il 20 settembre prossimo in occasione dei 30 anni dall’incontro interreligioso per la pace tra i popoli. La notizia è stata comunicata dalla Prefettura della Casa pontificia al custode del Sacro convento padre Mauro Gambetti.

Lo ha annunciato il direttore della sala stampa dello stesso Sacro Convento, padre Enzo Fortunato.

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Questo l’evento cui partecipa Papa Francesco, nell’articolo pubblicato su La Voce il 22 luglio scorso:

Leggilo nell’edizione digitale (http://lavoce.ita.newsmemory.com/publink.php?shareid=17f30b78d) o qui di seguito.

 

Lo “spirito di Assisi”, 30 anni dopo

Evento speciale per l’anniversario della Giornata voluta da Giovanni Paolo II- L’iniziativa cade in un’epoca segnata dal terrorismo di “presunta” matrice islamica. Un problema anche per il mondo musulmano, che parteciperà numeroso all’evento 
 
L'incontro delle religioni per la pace voluto da Giovanni Paolo II il 27 ottbre 1986
L’incontro delle religioni per la pace voluto da Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986

“C’è un movimento di popoli e di vertice che sente la necessità dello spirito di Assisi, e oggi più di ieri”. Lo ha affermato Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, mercoledì 20 luglio a Perugia. Il contesto era la presentazione ufficiale dell’evento “Sete di pace” che si terrà ad Assisi il 18-20 settembre per i 30 anni della Giornata di preghiera interreligiosa voluta da Giovanni Paolo II. Alla conferenza stampa erano presenti il vescovo di Assisi mons. Domenico Sorrentino e la neo-sindaco della città, Stefania Proietti.

Impagliazzo ha fatto anche notare che, rispetto al 1986, saranno più numerosi gli esponenti musulmani presenti ad Assisi, incluso il rettore dell’università egiziana di Al-Azhar, massimo centro di formazione dell’islam sunnita. Segno che le violenze scatenate di questi ultimi tempi in mezzo mondo – le cui vittime sono in maggioranza musulmane – stanno scuotendo anche la religione ‘teoricamente’ di provenienza dei terroristi. “L’islam – ha aggiunto il presidente della Sant’Egidio – non è un problema ma ha un problema: quello di predicatori dell’odio che si mettono a turlupinare le giovani generazioni”. In Occidente, questo si somma a un problema di integrazione, perché i kamikaze si sentono isolati nelle società in cui vivono. Ha concluso che incontri come la rievocazione dello spirito di Assisi dovrebbero spingere “i leader musulmani a essere sempre più chiari e netti nel condannare le violenze”.

Mons. Sorrentino, da parte sua, ha ricordato che la Giornata di 30 anni fa non sarebbe stata possibile senza un ele- mento di 50 anni fa: “La dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II, che ha aperto le frontiere della Chiesa all’orizzonte del dialogo interreligioso”. Ha quindi aggiunto che lo spirito di Assisi è diventato parte integrante della vita della diocesi. Nel recentissimo Libro del Sinodo sono espressamente previsti “appuntamenti annuali, il 27 ottobre, per la preghiera, la riflessione, l’incontro, il tutto in stile sobrio, ‘francescano’. L’evento di settembre invece servirà a cogliere la bellezza dell’iniziativa voluta da Giovanni Paolo II soprattutto nel contesto attuale”.

Stefania Proietti ha ricordato che nel 1986 era una ragazzina delle medie, entusiasta di partecipare alla creazione spontanea di immagini di pace per la città. “Assisi – ha detto – è uno scrigno di arte e di storia. Uno dei suoi tesori è lo spirito di Assisi. Dobbiamo far ridiventare la città un faro per il mondo e per il nuovo umanesimo, contro la globalizzazione dell’indifferenza e contro le tenebre che le congiunture presenti fanno sembrare anche peggiori di ciò che sono”.

La tre-giorni di settembre sarà particolarmente intensa. La mattina di domenica 18, eucaristia con presenza di personalità di altre Chiese nella basilica superiore; al pomeriggio, assemblea di inaugurazione al teatro Lyrick. Il pomeriggio del giorno 20, preghiera e processione per la pace. Nel tempo intermedio, un susseguirsi di panel (tavole rotonde) approfondirà una vasta serie di temi: la Misericordia, il terrorismo, economia, ecologia e sviluppo sostenibile, le donne e la pace, l’Europa, le migrazioni, ecc.

Si traccerà infine un bilancio di questi trent’anni di “spirito di Assisi” con un incontro introdotto da mons. Sorrentino e condiviso dai principali protagonisti dell’evento, presenti tra gli altri il presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e l’ex presidente polacco Lech Walesa.

Un ruolo di particolare spicco sarà dato al Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, che il 20 settembre otterrà dall’Università di Perugia la laurea honoris causa in Relazioni internazionali, e riceverà una speciale accoglienza nella cattedrale di San Lorenzo.

Per concludere con le parole di Impagliazzo: “Andremo ad Assisi non solo per commemorare un evento ma per creare un nuovo evento, per dare nuova linfa a tutti coloro che cercano vie di pace nel mondo”.

Dario Rivarossa

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Non avrete il nostro odio https://www.lavoce.it/non-avrete-il-nostro-odio/ Sat, 21 Nov 2015 17:35:56 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44479 Parigi-3L’aberrante attacco terroristico di Parigi, consumato la notte del 13 novembre scorso, ha sconvolto la Francia, l’Europa e l’intero mondo. Un commando di attentatori kamikaze – terroristi islamici – ha colpito sei volte in 33 minuti, sparando all’impazzata sulla folla, in strada e nei locali, soprattutto fra giovani che stavano trascorrendo il venerdì sera fuori casa: almeno 135 i morti e oltre 300 feriti, alcuni ancora in gravissime condizioni.

In ogni angolo del mondo si sono levate voci di condanna. Il Papa ha parlato di bestemmia se si utilizza il nome di Dio per giustificare tali gesti. La paura sta prendendo il sopravvento, la gente non si sente più sicura, la normalità della vita (andare in pizzeria, al teatro, allo stadio…) è in pericolo. “Ma – come ha scritto Guillaume Goubert, direttore del quotidiano cattolico francese La Croix – dobbiamo imparare a convivere con questa minaccia. Non dobbiamo smettere di vivere. Non dobbiamo smettere di agire, di impegnarci, di gioire, di amare. Questa sarà la forma della nostra resistenza alla barbarie dei terroristi islamici”.

“Se ciò che chiamiamo Occidente ha un senso”, come si chiede Massimo Gramellini dalle pagine del quotidiano La Stampa, questo senso palpita nelle parole con cui il signor Antoine Leiris si è rivolto su Facebook ai terroristi che al Bataclan hanno ucciso sua moglie.

“Venerdì sera – scrive – avete rubato la vita di una persona eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Voi siete anime morte. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ci ha fatti a Sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel Suo cuore. Perciò non vi farò il regalo di odiarvi. Sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete.

Voi vorreste che io avessi paura, che guardassi i miei concittadini con diffidenza, che sacrificassi la mia libertà per la sicurezza. Ma la vostra è una battaglia persa. L’ho vista stamattina [17 novembre]. Finalmente, dopo notti e giorni d’attesa. Era bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando mi innamorai perdutamente di lei più di 12 anni fa. Ovviamente sono devastato dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma sarà di breve durata. So che lei accompagnerà i nostri giorni, e che ci ritroveremo in quel paradiso di anime libere nel quale voi non entrerete mai. Siamo rimasti in due, mio figlio e io, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo.

Non ho altro tempo da dedicarvi, devo andare da Melvil che si risveglia dal suo pisolino. Ha appena 17 mesi e farà merenda come ogni giorno e poi giocheremo insieme, come ogni giorno, e per tutta la sua vita questo petit garçon vi farà l’affronto di essere libero e felice. Perché, no, voi non avrete mai nemmeno il suo odio”.

Nel momento in cui le “teste di cuoio” francesi, il 18 novembre, hanno dato l’assalto a un covo di terroristi a Saint-Denis, sobborgo a nord di Parigi, i Vescovi francesi hanno pubblicato questa preghiera per la pace scritta “nello spirito di Tibhirine” da frère Dominique Motte del convento domenicano di Lille. “Disarmali: sappiamo quanto questa violenza estrema sia il sinistro pane quotidiano in Iraq, in Siria, Palestina, Centrafrica, Sudan, Eritrea, Afghanistan. Ora si è impossessata di noi. Disarmali, Signore, e fa’ che sorgano in mezzo a loro profeti che gridano la loro indignazione e la loro vergogna nel vedere come hanno sfigurato l’immagine dell’Uomo, l’immagine di Dio”.

“Disarmali, Signore; dandoci, se necessario, poiché è necessario, di adottare tutti i mezzi utili per proteggere gli innocenti con determinazione. Ma senza odio. Disarma anche noi, Signore: in Francia, in Occidente, senza ovviamente giustificare il circolo vizioso della vendetta”.

 

Musulmani italiani: pronti a collaborare per individuare chi genera il male

L’Europa è ancora scossa dagli eventi parigini e il mondo musulmano prova a reagire, anche per prevenire l’odio etnico e religioso. Per questo il Consiglio islamico supremo dei musulmani in Italia (Cismi) e il Consiglio supremo dell’islam in Italia (Csi) promettono di collaborare con le istituzioni italiane per individuare chi genera il seme del male dentro le comunità islamiche e denunciarle alle autorità competenti. “Proponiamo – dice Sharif Lorenzini, vice presidente e portavoce del Cismi, e vice presidente del Csi – una collaborazione per evitare che l’Isis possa spargere nuovamente sangue provocando una ‘terza guerra mondiale a pezzi’, come l’ha definita Papa Francesco, causando ancora morti, e infangando il nome di Allah, che i terroristi nominano blasfemamente mentre uccidono”.

 

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Nostalgia del paradiso https://www.lavoce.it/nostalgia-del-paradiso/ Fri, 13 Nov 2015 12:46:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44392 L’incontro di presentazione dell’edizione 2015 del Film festival “Popoli e religioni”
L’incontro di presentazione dell’edizione 2015 del Film festival “Popoli e religioni”

“Paradiso perduto” è il tema dell’11a edizione del festival cinematografico “Popoli e religioni” promosso dalla diocesi di Terni-Narni-Amelia nell’ambito del Progetto culturale della Cei e organizzato dall’Istituto di studi teologici e sociali (Istess), in collaborazione con il Comune di Terni, la Regione Umbria, il sostegno della Fondazione Carit e del ministero per i Beni culturali e il patrocinio del Pontificio consiglio per la cultura.

“Paradiso perduto, il tema scelto per questa edizione – ha detto il Vescovo alla presentazione del festival –, non è solo un aspetto della religione cristiana ma è presente anche in altre religioni e rappresenta una pienezza di vita, un vivere nella gioia, nella pace, nel benessere, uno stato bello dal punto di vista spirituale, culturale, umano, di relazioni con gli altri e con il cosmo. Spesso facciamo esperienza della mancanza del paradiso perché viviamo questo benessere come nostalgia”.

Dal 14 al 22 novembre molte le proposte culturali che si svolgeranno al Cityplex politeama, al cenacolo San Marco e al Museo diocesano, con proiezioni mattutine per gli studenti, con quelle dei film in concorso (tre le categorie: lungometraggi, cortometraggi e documentari, cui si aggiungono i corti del concorso “Il cielo sopra Terni”), presentazioni e dibattiti e il focus sul Marocco e la cultura islamica il 18 novembre al Museo diocesano.

La mattina al Cityplex sarà proiettato l’unico film su Maometto prodotto nella storia del cinema. Al Museo diocesano, oltre a vedere film, documentari e cortometraggi, si potrà visitare l’angolo marocchino con degustazione di tè, effettuare tatuaggi all’henné, ammirare gli abiti tipici del Marocco e persino indossare il “velo”. La serata comprende anche un concerto di musiche arabe, la proiezione della commedia Ameluch e una conviviale con piatti tipici.

Tanti gli eventi in programma “Un caffè in paradiso”, serata dedicata ai vent’anni delle pubblicità Lavazza, con il meglio degli spot televisivi introdotti dal regista Alessandro D’Alatri e il direttore creativo della campagna pubblicitaria Mauro Mortaroli; la proiezione del terzo Francesco di Liliana Cavani; la proiezione di Viva la sposa; consegna dell’Angelo alla carriera ad Ascanio Celestini da parte di Lucilla Galeazzi.

E ancora: la giornata “spaziale” che prevede la proiezione di Interstellar, Gravity, di una lettura interreligiosa di E.T. e dell’anteprima del documentario su Samantha Cristoforetti.

L’inaugurazione il 14 novembre alle ore 17,30 vedrà la presenza del card. Bassetti che parlerà di: “Per un nuovo umanesimo tra popoli e religioni”.

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Nigeria in fiamme https://www.lavoce.it/nigeria-in-fiamme/ Thu, 09 Jul 2015 09:42:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=38069 Un campo profughi in Nigeria
Bambini in fuga dagli attacchi di Boko Haram rifugiati in un campo profughi a Diffa (Niger)

Bambine e donne kamikaze, bombe nei mercati, nelle chiese, nelle moschee e nei ristoranti. Tragedie che colpiscono indistintamente musulmani e cristiani e portano la firma del gruppo fondamentalista Boko Haram.

Nell’ultima settimana sono state più di 200 le vittime in Nigeria, le ultime 44 a Jos, in un’affollata moschea dove il predicatore invitava alla pace tra le religioni, e in un ristorante frequentato da musulmani. Poi una giovane donna si è fatta esplodere in una chiesa evangelica nel Nord-est, uccidendo 5 fedeli.

Alcuni giorni prima, nella stessa area, erano state date alle fiamme 32 chiese e 300 abitazioni; altre due donne kamikaze si sono fatte esplodere a Maiduguri, provocando 13 morti. A Miringa i miliziani islamici hanno sgozzato 11 persone accusandole di essere “traditori” in procinto di disertare. In 6 anni nel Nord-est della Nigeria i morti sono stati 13 mila, e un milione e mezzo gli sfollati.

Abbiamo raggiunto telefonicamente l’arcivescovo di Jos, mons. Ignatius Ayau Kaigama, presidente della Conferenza episcopale nigeriana.

La sua arcidiocesi è stata di nuovo colpita al cuore…

“È dovere delle autorità fermare la violenza. La gente chiede con forza di essere difesa dagli attacchi dei gruppi fondamentalisti. Non so indicare in che modo, perché la situazione è molto difficile: non c’è un nemico ben identificato, con soldati in uniforme. Questa è una sorta di guerriglia, che coinvolge perfino donne e bambine kamikaze vestite normalmente. Per cui è difficile, anche per il Governo, contrastare un fenomeno di questo tipo, nel quale non si sa chi sia il nemico”.

Com’è il clima nella comunità cristiana?

“Chi non avrebbe paura di vivere in una situazione del genere? Anche il nostro vicino potrebbe essere pericoloso. C’è un continuo clima di sospetto e siamo tutti preoccupati. Non siamo tranquilli in nessun luogo. All’interno delle nostre chiese e strutture abbiamo delle forze di sicurezza private, oltre alle normali forze dell’ordine. Cerchiamo di essere attenti e di vigilare”.

La situazione è peggiorata?

“Al Nord-est è molto peggiorata. Ci sono migliaia di sfollati interni, e poi ci sono centinaia di migliaia di rifugiati nei Paesi vicini: in Ciad, in Niger, in Camerun. È terribile. Questi terroristi hanno perso la loro umanità, attaccano senza una logica razionale. Quando si perde la razionalità, si apre la strada al fanatismo e si uccide indiscriminatamente”.

Gli stessi musulmani sono colpiti dalla violenza dei fanatici. Dialogate?

“C’è un dialogo costante e una collaborazione molto buona. I musulmani moderati comprendono bene il problema, si sentono anche loro vittime del fanatismo, lo denunciano con forza. La scorsa settimana sono andato, con altri preti, nella grande moschea di Jos per salutare il nuovo imam. Tutti dicono che questi terroristi non sono veri musulmani, non agiscono in nome dell’islam, commettono solo gravi crimini contro l’umanità. Io ci credo”.

Il 20 luglio il presidente Buhari incontrerà alla Casa Bianca il presidente Obama, che promette aiuti alla lotta contro Boko Haram.

“Siamo ottimisti sulla presidenza del generale Buhari. I leader europei e americani stanno estendendo la collaborazione, molto è stato fatto. Abbiamo visto tanta buona volontà da parte della comunità internazionale, che ha intenzione di aiutarci. È interesse di tutti unire le forze per combattere contro il terrorismo, che si sta diffondendo ovunque. Non è solo un problema della Nigeria ma di diverse zone dell’Africa e del Medio Oriente, dell’Europa e dell’America. Oramai il terrorismo è globale, non ci sono più i limiti delle frontiere. Il livello di attenzione deve essere molto alto, da parte di tutti”.

 

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Un anno vissuto nel terrore https://www.lavoce.it/un-anno-vissuto-nel-terrore/ Wed, 01 Jul 2015 12:54:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=37089 Militanti Isis presso la provincia irachena di Salahuddin (foto AFP)
Militanti Isis presso la provincia irachena di Salahuddin (foto AFP)

Si trasforma in tragedia anche una vacanza sulle spiagge della Tunisia. È ancora presto per dire se e in che misura sia coinvolto il gruppo terrorista Stato islamico (Isis), ma – a distanza di un anno esatto dalla proclamazione del sedicente Califfato – l’Isis è diventato una minaccia globale, intravista dietro ogni attentato che sia feroce e attuato da kamikaze.

Prima, lo “spettro che si aggirava per il mondo” era Al Qaeda; ora ci si chiede se le due formazioni confluiranno in una. (A noi occidentali potrà sembrare che l’estremismo islamico sia tutto uguale ma, di fatto, solo di recente Al Qaeda e Isis hanno cominciato a cercare vie di collaborazione).

Un anno. Riprecorriamo brevemente i fatti. Il 29 giugno 2014, Ibrahim al-Badri, ossia Abu Bakr al-Baghdadi, proclamò la nascita del Califfato in un territorio compreso tra Siria e Iraq, conquistato dalle milizie fondamentaliste dell’Isis, che era emerso alla luce un po’ prima.

Mosul, Ramadi, Raqqa, Palmira sono alcune delle località su cui ora sventola il vessillo nero del Califfo. Da quel momento una lunga scia di sangue: dal Maghreb al Mashreq, dal Golfo arabico fino all’Afghanistan, jihadisti di varie provenienze hanno espresso fedeltà al califfo Al Baghdadi.

Le stragi contro le minoranze irachene yazide e cristiane, l’uso sistematico dello stupro, della tortura, della pena di morte, dei rapimenti, sono i mezzi abituali con cui i “miliziani neri” impongono la loro supremazia alle popolazioni conquistate. Il tutto, seguendo passo dopo passo un dettagliato manuale di guerra rimasto segreto fino a poco fa, poi rivelato da un’inchiesta del settimanale tedesco Der Spiegel.

A fare da cassa di risonanza mondiale per il movimento terrorista sono state le decapitazioni di prigionieri occidentali, a cominciare dal giornalista americano James Foley il 19 agosto 2014. Il bilancio delle vittime sale giorno dopo giorno: alcune stime lo fissano in almeno 15 mila morti, e va ricordato che la maggioranza di loro erano musulmani. L’Isis non combatte l’Occidente, combatte tutto ciò che non coincide con se stesso. Le minacce si sono estese all’Occidente: “Arriveremo a Roma” ha annunciato tempo fa il Califfo.

I Governi sembrano aver sottovalutato il fenomeno almeno fino a stragi come quella di Charlie Ebdo a Parigi, o al Museo del Bardo a Tunisi.

I cristiani delle aree occupate dall’Isis sono in una situazione disperata. Giorni fa, tra gli altri, il senatore John McCain e Tony Perkins, presidente del Family Research Council americano, hanno rilasciato una dichiarazione in cui si afferma che la strategia di Usa e Europa non sta minimanente fermando i massacri dei fedeli in Cristo.

I miliziani – hanno denunciato – “stanno commettendo feroci atrocità contro le comunità cristiane in Siria e in Iraq, preseguitando le minoranze religiose e distruggendo intere città, intere economie locali. I cristiani fuggono dalle loro case in numero sempre più grande, creando una crisi migratoria esplosiva che avrà pesanti ripercussioni sulla stabilità e sicurezza dell’intera area”.

Dopo un anno, l’Occidente – e non solo – si ritrova a dover prendere misure per salvaguardare la sicurezza interna dalle minacce dei terroristi, che trovano reclute direttamente sul territorio: vedi i killer di Charlie Ebdo, vedi il killer tunisino, che lavorava come animatore di spiaggia.

Sostanzialmente, bravi ragazzi, disagiati per vari motivi, che vengono “assunti” per uccidere, come fanno le mafie in Italia. È lecito, chiedersi che cosa si stia facendo per evitare che le nuove generazioni musulmane conoscano solo odio religioso e intolleranza. Non saranno certo gli aerei della Coalizione a mettere la parola “fine” allo Stato islamico.

 

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Non si vede la luce in fondo al tunnel https://www.lavoce.it/non-si-vede-la-luce-in-fondo-al-tunnel/ Thu, 11 Jun 2015 10:15:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=35391 Cristiani a Mosul
Cristiani a Mosul

Gli edifici pubblici rivestiti di nastri e addobbi. Festoni sulle strade principali piene di miliziani. Ma anche moschee fatte saltare in aria, donne costrette a coprirsi completamente, scuole vuote e quartieri cristiani deserti.

Così, a un anno esatto dall’occupazione dell’Isis, si presenta Mosul, la seconda città irachena, oggi nella morsa del califfo Abu Bakr al Baghdadi. La sua caduta rappresenta uno dei momenti focali dell’avanzata dello “Stato islamico” in Iraq e in Siria, e ha portato la comunità internazionale a reagire avviando, sotto l’egida Usa, bombardamenti nei territori occupati.

Sono di martedì 9 giugno le immagini, riprese segretamente nel corso del 2014, clandestinamente fatte uscire dalla città e quindi trasmesse dalla Bbc, in cui residenti locali parlano delle regole severissime imposte dall’Isis secondo un’interpretazione ferrea della sharia , la legge islamica.

Si apprende così che “la punizione minima è la fustigazione, che può essere applicata anche se si viene sorpresi a fumare. Il furto è punito con l’amputazione di una mano, l’adulterio di un uomo gettandolo dall’alto di un edificio, di una donna con la lapidazione. Le esecuzioni avvengono in pubblico per intimidire la gente, che spesso è obbligata ad assistere”.

Altre testimonianze riferiscono che “le donne possono uscire di casa solo se accompagnate da un familiare maschio e completamente coperte, compresi viso e mani”. In un video si vedono moschee sciite e sunnite fatte saltare in aria al grido di Allah akbar (“Dio è grande”), solo perché mete di pellegrinaggi considerati “idolatri”.

Terrore e violenza bloccano la città, dove scarseggia il carburante e la ricostruzione stenta a partire. Per non parlare dell’inquinamento e del degrado che aumentano a vista d’occhio. Deserte le aule scolastiche. I genitori hanno ritirato i figli per evitare che subiscano l’indottrinamento dei miliziani. Ma i timori della popolazione di Mosul non si fermano allo Stato islamico. L’altra grande paura dei residenti è che, se le milizie sciite dovessero arrivare a Mosul insieme alle truppe dell’esercito regolare di Baghdad, queste potrebbero lasciarsi andare a rappresaglie contro la popolazione sunnita, come accaduto a Tikrit, strappata nei mesi scorsi all’Isis.

Non ha visto le immagini della Bbc, mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, ma commenta: “Non mi direbbero nulla di nuovo. Distruzione, violenza, terrore, persecuzione come mai fino a oggi. È quello che stiamo vivendo ormai da anni, e con lo Stato islamico la situazione è peggiorata. E non parlo solo di Mosul. Quelli dell’Isis sono dei veri barbari”.

La mente del vescovo corre alla vicina Piana di Ninive, un tempo popolata di villaggi cristiani e “oggi ridotta a una landa desolata”. Mons. Warduni parla da uno dei villaggi a nord della Piana, “dove manca tutto, acqua, medicine, cibo, mezzi di trasporto… Sa qual è la nostra sofferenza più grande? Non sapere dov’è la comunità internazionale, non capire perché si permette di distruggere una storia cristiana lunga duemila anni. Il mondo se ne infischia di questa storia, e una parte di esso continua a vendere armi all’Isis e alimentare la guerra, diventando complici della nostra sciagura”.

Le scuole chiuse di Mosul, le case dei cristiani marchiate con la “N” nera, famigerata “lettera scarlatta” con cui il Califfato marchia i nasrani, ovvero i cristiani seguaci del Nazareno, l’indottrinamento violento, gli abusi, gli espropri, le torture e le esecuzioni sommarie: “Chi avrebbe mai pensato che un giorno ci saremmo trovati in questa condizione?”, chiede mons. Warduni.

“La cosa più grave è che non vediamo la luce in fondo al tunnel, il buio più pesto ci avvolge, ci stringe, ci impedisce di avanzare. Siamo circondati dalla disperazione, dalla paura. Siamo stanchi”. Eppure la Chiesa irachena, nelle sue diverse componenti, continua il suo sforzo “di stare accanto ai fedeli rimasti grazie agli aiuti che altre Chiese e organismi di solidarietà ci recapitano. Li ringraziamo per questo. Purtroppo l’esodo dei cristiani è continuo, è un’emorragia che, se continua, così ci porterà alla morte. Non ci saranno più cristiani in Iraq. Tutto, nell’indifferenza di molti della comunità internazionale. Questo ci fa molto male. L’unico rifugio vero per noi è confidare nella preghiera, nella certezza che Dio è al nostro fianco”.

 

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Fraternità e dialogo: a confronto religioni, filosofia e economia https://www.lavoce.it/fraternita-e-dialogo-a-confronto-religioni-filosfia-e-economia/ Sat, 09 May 2015 00:20:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=32965 DSC_51701532325959
foto A.Coli

Quasi 500 persone hanno partecipato in questi giorni al Laboratorio di studio promosso a Perugia dal 7 al 9 maggio, in preparazione al convegno ecclesiale di Firenze 2015.

(Guarda le foto dell’evento)

 

Al centro congressi della Figc sede dei lavori, giovedì pomeriggio il cardinale Gualtiero Bassetti ha aperto i lavori con una riflessione sul valore dell’accoglienza declinato sulle tematiche perno del laboratorio, ovvero solidarietà, fraternità, identità, estraneità e relazioni, con il fine di portare un contributo ad un’umanesimo definito nuovo perché propositivo.

“Dobbiamo evitare di abbrutirci, puntando sempre alla ricerca dell’Assoluto”, è stata la frase più incisiva e ritwittata dai tanti follower del laboratorio. A moderare il dibattito don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio Cei per l’ecumenismo e il dialogo, che ha spiegato con queste parole l’impostazione del laboratorio: “Ci sentiamo interrogati sulla figura di Gesù e il nuovo umanesimo, intendendo il termine ‘nuovo’ come propositivo nei tempi in cui viviamo: cerchiamo di passare la visione di un umanesimo capace di dire qualcosa di buono per l’uomo di oggi, capendone le declinazioni che può assumere, dal punto di vista laico-filosofico e interreligioso, approfondendo i punti di contatto tra le tre religioni monoteistiche – cristianesimo, ebraismo e islamismo – e tra queste e le principali religioni orientali (buddismo e induismo)”.

Tutti i lavori del convegno sono stati trasmessi in streaming e i video sono disponibili on line (clicca qui per i video).
PRIMA GIORNATA

La prima giornata ha avuto un taglio di carattere filosofico e antropologico, con l’obiettivo di spiegare il significato della scelta del termine “nuovo umanesimo” (dove per nuovo s’intende capace di essere propositivo, in una dinamica di dialogo tra diversità volto ad arricchire gli interlocutori) e le sue declinazioni nel campo della ricerca filosofica (la relazione di Angelo Capecci, docente di Filosofia e prospettive di nuovo umanesimo all’ateneo di Perugia, si è incentrata sull’approfondimento del postulato “l’uomo è ciò che sceglie”, celebre nella trattazione filosofica) e dell’analisi dei fatti relativi alla storia contemporanea, grazie agli interventi degli storici Luciano Tosi, Marco Impagliazzo e Roberto Morozzo della Rocca.

L’evoluzione e l’andamento della religiosità in Europa. Marco Impagliazzo, docente di storia a Perugia e presidente della Comunità di Sant’Egidio, ha offerto una relazione ricca di dati, utili a farsi un quadro dell’andamento socio-religioso in Europa, con particolare riguardo tra differenze e analogie che si stanno verificando in Italia e nella regione balcanica: “Nell’Europa contemporanea il 10% della popolazione è composta da immigrati o da persone di origine non europea – ha detto Impagliazzo -. Questo melting pot genera una pluralità di credenze religiose che obbligano ad un dialogo interreligioso sempre più fervente e importante, che non sia materia riservata a specialisti, ma da collocare in un cammino più vasto della Chiesa italiana. Il dialogo tra le religioni deve essere un fatto di popolo, che riguardi le Chiese locali, le parrocchie e i movimenti. Sostenere la fede delle popolazioni immigrate è necessario a rafforzare i legami comunitari, e salva dal rischio di una religione senza popolo. Papa Francesco nell’ultimo Concistoro ha parlato ai nuovi cardinali di pastorale dell’integrazione, stando attenti a non respingere nessuno. Nella Evangelii Gaudium c’è un passaggio che riecheggia lo spirito di Assisi trent’anni dopo: si parla infatti di mistica del vivere insieme, appoggiandoci a vicenda in una marea un po’ caotica che può trasformarsi in un santo pellegrinaggio”.

Tante analogie tra la religiosità italiana e quella balcanica. Il dialogo sull’Europa è proseguito analizzando il contesto dell’Europa balcanica e dei Paesi ex-comunisti con Roberto Morozzo della Rocca, docente di Storia dell’Europa contemporanea e Storia dell’Europa orientale all’ateneo di Roma Tre. Morozzo ha snocciolato i dati sull’andamento della religiosità popolare nei Paesi dell’Europa orientale, caratterizzati fino al 1989 dall’egemonia comunista, i quali solleticano il ragionamento sulla situazione attuale italiana. “In Polonia stanno rinascendo movimenti laicisti organizzati da polacchi che avevano vissuto il periodo comunista immigrando nei Paesi dell’Europa occidentale – ha spiegato Morozzo -, così come in Romania e nei Paesi balcanici in generale è pressoché assente l’ateismo dichiarato ma la religiosità è sempre più fragile, anche per la crescita del benessere economico grazie ai fondi europei. In Russia viene mantenuta in molte case la tradizione del cosiddetto “angolo delle icone” come luogo di preghiera, ma la pratica cristiana è poi quasi assente. Anche in Italia viviamo un periodo simile, con la religiosità che va disgregandosi anche tra coloro che si definiscono cristiani”.

Homo economicus e nuovo umanesimo. L’ultima tavola rotonda ha avuto come tema “Società civile, fraternità e dialogo interreligioso: prospettive di nuovo umanesimo”. Carlo Vinti dell’Università di Perugia e i docenti Francesco Fischetti, Mauro Letterio e Fulvio Longato hanno ragionato sulla necessità del dialogo tra culture e religioni differenti e spesso, per vari fattori, antagoniste. Più volte è stato citato il pensiero di Amartya Sen, il filosofo indiana premio Nobel per l’economia nel 1998, ma in particolare ha suscitato l’interesse del popolo virtuale (che ha seguito i lavori del convegno trasmesso in streaming sul sito www.firenze2015.it o twittando @Firenze_2015) la frase di Jacques Maritain “senza le religioni saremmo infinitamente più poveri e malvagi”. Su tale riflessione Fistetti ha analizzato il criterio di necessità della religione come elemento equilibrante della vita umana e – conseguentemente nonostante tutto – delle relazioni tra uomini. “Nell’homo economicus la libertà è intesa come non avere debiti con nessuno, introducendo il criterio razionale della giustizia di mercato, che diventa anche giustizia politica”.

Diritto internazionale e Magistero universale. Mauro Letterio ha cominciato la sua relazione citando Papa Francesco, il quale nel corso del suo ancora breve ma denso magistero ha parlato più volte “dell’uomo come essere relazionale”. Tale frase è in continuità con l’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e proseguendo in un’analisi storica del Diritto internazionale ha strutturato un parallelismo tra il crescendo del diritto e l’evoluzione del magistero ecclesiale. Infine Fulvio Longato ha esordito dicendo che “l’unità strutturale è basata su dignità, libertà, uguaglianza e fraternità, e l’implementazione dei diritti è strettamente legata alla crescita dei doveri”.

Nel video il direttore dell’Ufficio nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso della Cei, don Cristiano Bettega, fa il punto sulla prima giornata di lavori

 

 SECONDA GIORNATA – mattino

In apertura di giornata è stata la tavola rotonda “Dialogo: nel nome dell’Unico, per un’antropologia di pace” (introdotta dal vescovo di Città di Castello Mons. Domenico Cancian e le relazioni – introdotte da Brunetto Salvarani – del docente di teologia trinitaria Piero Coda e l’islamista Adnane Mokrani.

Il vescovo di Città di Castello Domenico Cancian

I parallelismi del dialogo interreligioso tra Cristianesimo e Islam.  “Il monoteismo può essere garante di alterità, come principio universale e sotto il profilo etico”, ha detto mons. Piero Coda, docente di Teologia trinitaria alla Ius Sophia, che ha proseguito la relazione sttolineando che “l’unicità di Dio è rappresentata dall’unità nella verità, ed è fondamentale non rimanere sul pianio teorico ma scendere nella prassi, nella cultura e nella pastorale ecclesiale.  Coda ha offerto una rilettura del “monoteismo trinitario cristiano” che “è attraversato al suo interno dal principio di alterità” e da una fraternità radicata nella Parola di Dio, che nella creazione dice “è bene che l’altro sia”.

Il teologo ha sottolineato l’esigenza di una “scuola di dialogo” in cui “imparare ad essere amici senza nascondere la propria identità, per discernere cosa è conforme alla fede nell’unico Dio e cosa è proiezione del nostro egoismo”. Questo, ha aggiunto, può essere il contributo dei credenti ad una società civile, politica, culturale “completamente sorda” su questo fronte, ancora incapace di prendere atto “della risorsa che di per sé le religioni possono costituire per la stessa società e i suoi assetti istituzionali”.

“La religione dovrebbe santificare l’uomo, ma l’uomo può santificare o falsificare la religione”. Con questa frase l’islamista Adnane Mokrani, tunisimo da oltre vent’anni in Italia, docente universitario e rappresentante del Pontificio Istituto di Studi Arabi e di Islamistica, ha aperto la sua relazione nella quale ha proposto una interpretazione spirituale di alcuni passi del Corano per mostrare la contraffazione che del Libro sacro viene fatta da una lettura fondamentalista e violenta, una lettura che ne altera l’ispirazione profonda. Commentando  alcuni testi  del Corano, il relatore ha fatto notare che “i falsi nomi, le bugie sono all’origine della violenza, che è tale solo per le vittime: gli altri la chiamano con altri nomi, storia, civiltà… Nessuno ha il coraggio di dire i veri nomi, che sono violenza, sfruttamento”. E così, “la violenza verbale si trasforma in violenza teologica: è una rete satanica che non manca in certi ambienti religiosi”.

Ha fatto seguito il dibattito coordinato da Marco Bontempi sul tema del “Tavolo ebraico-cristiano-islamico”, con domande provenienti dal pubblico e dai follower che hanno seguito la diretta streaming sul sito www.firenze2015.it e sull’account Twitter @Firenze_2015.

 SECONDA GIORNATA – pomeriggo

“Epifania dell’altro e disvelamento del sé”. Padre Giulio Michelini (membro della Giunta coordinatrice di Firenze 2015),  ha aperto il pomeriggio presentando il tema ed i relatori, i docenti della Pontificia Università di Rio de Janeiro Maria Clara Bingemer e Paulo Fernando de Andrade, e la partecipazione di Roberto Repole, presidente dell’Associazione Teologica Italiana.

Da citare la frase di Maria Clara Bingemer  “la giustizia è tale solo se interpellata da etica”, estrapolata dal pensiero del filosofo francese Emmanuel Lévinas. “Si tratta di un’etica – quella mistica – che non può essere marginalizzata e che deve caratterizzare la politica, affinché quest’ultima non si riduca, nella nostra era della globalizzazione, ad essere solo una mera attuazione delle richieste del mercato”.

Paulo Fernando de Andrade ha trattato il tema della “Chiesa dei poveri” che Papa Francesco ha fatto suo sin dalla scelta del nome, e parlando ai giornalisti, tre giorni dopo la sua elezione disse “come vorrei una Chiesa povera per i poveri”. Andrade, specializzato in teologia della liberazione e questioni etiche, ha ripercorso la storia del gruppo ““Gesù, la Chiesa e i poveri” che portò il tema nel Concilio Vaticano II, contando tra i suoi membri personaggi come Paul Gauthier, Helder Camara, e tra gli italiani Dossetti chiamato dal Cardinale Lercaro che seguì da vicino il lavoro del gruppo e portò nelle discussioni conciliari l’attenzione al tema.

Infine Roberto Repole ha offerta una riflessione teologica sul dialogo interreligioso: “Riflettere sulla fraternità è certamente offrire un contributo al nuovo umanesimo in Cristo. La Chiesa deve essere contrassegnata dalla fraternità, intesa in senso di apertura all’altro: un concetto di fraternità cristiana che non è filantropia, ma ospitalità affinché ciascuno trovi la sua identità, con la capacità di ospitare gli altri nella sua sconvolgente novità è la strada verso una chiesa in uscita, come intende Papa Francesco”.

Citando il teologo Ratzinger che nel 1961 scriveva che “la fraternità dei cristiani è fondata nella incorporazione in Cristo” ha sottolineato la forza dell’eucarestia il cui “fine non è solo la transustanziazione” del pane e del vino poichè “noi nello Spirito veniamo ospitati in Cristo divenendo così ospiti gli uni degli altri”. E se la fraternità si fonda sulla comune paternità di Dio “non tollera nessun gerarchismo”, scriveva Ratzinger, aggiungendo che questa “non è solo questione ecclesiologica ma teologica perchè è manifestazione del volto di Dio”. Per i cristiani la fraternità non è chiusa ma universale poiché “in Cristo non è stato creato solo il cristiano ma ogni essere umano”.

Dialogare tra popoli diversi presuppone un’etica economica. In conclusione di giornata il dibattito ha affrontato il tema “Etica ed economia: la ferita dell’altro” con Simone Poledrini (Università di Perugia), Emmanuel Gabellieri (Università Cattolica di Lione), Alain Caillè (Università Paris X) e Luigino Bruni (Università Lumsa), quest’ultimo autore di molti studi sulla relazione tra economia, civiltà e religione.

Gabellieri e Caillè hanno commentato alcuni testi di Bruni anticipando e preparando l’intervento di Bruni, molto atteso per lo spessore degli studi – anche recenti – che lo stesso economista ha svolto.

“Viviamo la cultura dell’invulnerabilità dovuta a sua volta alla cultura dell’immunità, nel senso che ci si lascia toccare dall’altro, dal diverso, dal povero. Per riflettere sulla cultura nella quale viviamo è opportuno riflettere sul significato dell’abbraccio di Francesco d’Assisi al lebbroso. Il dono è una faccenda molto seria che la nostra società ha ridotto a segni spesso ridotti e banali, quasi dei vaccini per immunizzarci dalla vera logica del dono. Domandiamoci se c’è compatibilità tra economia e logica del dono: la risposta è negativa, soprattutto negli ultimi anni. Infatti non possiamo paragonare il capitalismo italiano degli anni Ottanta con quello odierno.

Ragioniamo sul finanziamento del no-profit, che oggi è finanziato per un 50% dalle multinazionali del gioco dell’azzardo. Il dono è il cuore dell’economia occidentale, e per capirlo dobbiamo riprendere la Bibbia, per la precisione il libro di Giobbe, dove si ragiona sulla logica retributiva. Proseguendo nell’analisi storica, possiamo fare un salto in avanti arrivando al periodo della Riforma, dove la logica del dono fu uno dei motivi di scissione. Arrivando al mondo contemporaneo, la dimostrazione che la logica del dono attualmente non esiste è l’analisi dei temi neomanageriali, basati sulla grande spinta motivazionale del giovane, sottoposto a trattamenti economici talvolta imbarazzanti, e la logica dell’incentivo, dove l’impiegato nonostante sia assunto con regolare contratto necessita di un incentivo per dare il meglio di sé.

Questo denota che il lavoratore è inteso come un asino o un mulo utile a fare lavori di fatica. Oppure, nel caso degli insegnanti, l’incentivo economico sottintende pensarli come fannulloni che altrimenti non svolgerebbero appieno il proprio lavoro. Quindi, un mondo che non accoglie l’invulnerabilità è semplicemente un mondo invivibile”.

 TERZA GIORNATA

Sabato mattina si è tenuta l’ultima sessione dedicata a “Dialogo: l’uomo, tra Oriente e Occidente”, moderata da Simone Morandini, dell’Istituto di Studi Ecumenici “San Bernardino” di Venezia, che ha introdotto gli intereventi di Massimo Raveri, dell’Università Ca’ Foscati di Venezia, Svamini Hamsananda Giri, dell’Unione Induista Italiana e di Osvaldo Santi, dell’Unione Buddista Italiana. Un confronto franco attraversato dalla domanda su come è visto l’uomo nelle tradizioni religiose orientali.

“Nella loro radicale alterità, le religioni orientali sfidano la crisi dell’Occidente”, ha esordito Raveri, che si è soffermato sul buddismo giapponese, per il quale “il mio io non ha alcuna consistenza ontologica”. Sta qui la “radicale differenza con il cristianesimo: alla fine dello svuotamento interiore, che per il cristianesimo è la kenosi, c’è la relazione con Dio, mentre nel buddismo c’è l’illuminazione del vuoto”. “È un errore considerare l’induismo politeista”. A spiegarlo, è stata Hamsananda Giri, monaca induista, che ha ricordato come l’induismo sia “una religione poliedrica, una filosofia di vita per cui nessuna verità è esclusa, ma viene accettata come tale”. Per l’induismo, cioè, “la verità è una, ma i saggi la chiamano, la invocano in molteplici nomi”. “Le religioni – ha concluso – devono essere sorelle: non si fanno concorrenza, devono sedersi intorno a un tavolo per ascoltare e arricchirsi delle reciproche differenze”. Osvaldo Santi ha sottolineato la dimensione dell’ascolto e della ricerca. “Dialogare vuol dire crescere di più nella propria spiritualità. Quando facciamo un percorso insieme, le differenze sono notevoli, ma ascoltare quanto mi viene detto mi fa crescere nella mia fede religiosa e comprenderla ancora di più”.

La sessione si è conclusa con l’esperienza di dialogo con l’Oriente vissuta accanto a don Luigi Giussani da Ambrogio Pisoni, delegato dell’Arcidiocesi di Milano per il dialogo con le religioni orientali.

LE CONCLUSIONI

Partecipare per esprimere le nostre idee per il futuro della nostra comunità, della Chiesa e della società. Questo è chiesto ai delegati nazionali al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze che sarà, lo ha anticipato Adriano Fabris concludendo a Perugia il primo dei tre Laboratori di studio in preparazione a Firenze.

Il Convegno di Firenze, ha detto Fabris, “non sarà un convegno in cui c’è solo l’ascolto ma un laboratorio di pensiero” in cui i delegati lavoreranno in piccoli gruppi e la partecipazione sarà “aperta” anche a chi non potrà essere presente grazie all’interattività sperimentata in queste giornate di Perugia trasmesse in streaming e commentate in diretta su Twitter e su Facebook.

Firenze, ha aggiunto, vuole esprimere  “idee per il futuro” percorrendo le “due vie” sperimentate a Perugia, quella del dialogo con le scienze umane quali l’economia, la sociologia, la filosofia, e quella del dialogo con le religioni.

Tutti i relatori del Laboratorioperugino sono stati invitati a confrontarsi con la parola fraternità, la cenerentola delle tre parole-manifesto della Rivoluzione francese, messa tra parentesi, dimenticata nell’Ottocento e nel Novecento. Nelle giornate di Perugia, ha detto Fabris, docente di Teologia morale all’Università di Pisa, “le scienze umane ci hanno detto che la fraternità è fondamentale per uscire dalla crisi perché la fraternità è un’esigenza dell’uomo in quanto essere umano e non in quanto essere umano religioso, e ce lo hanno detto, per esempio, con la categoria del dono”.

Nel dialogo, ha aggiunto Fabris, qui a Perugia “sia gli esponenti delle religioni monoteiste, sia quelli delle religioni orientali ci hanno testimoniato che le religioni pur nelle difficoltà di un incontro tra molte tradizioni diverse e differenze linguaggi, hanno in loro stesse una tensione verso l’elemento della fraternità”. Rimettere al centro questa parola ha portato i relatori a dire cosa è l’uomo, e è emerso chiaramente che l’essere umano non è quell’individuo isolato che si mette in relazione con gli altri se e come vuole, come lo pensa gran parte della cultura contemporanea, ma è “un essere in relazione” che cresce, si forma, si esprime in relazione con gli altri, con l’ambiente, con l’Altro. “Siamo fratelli non lo ha detto Robespierre”, ha detto Fabris a sottolineare la necessità di “riappropriarsi delle parole proprie del cattolicesimo, che gli sono state scippate o che rischiano di essere distorte da altri ambienti e altri settori”.

“Noi cristiani abbiamo il dovere di riproporre la fraternità, in un contesto sociale improntato a ben altri valori”. Lo ha detto il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, portando il saluto conclusivo ai convegnisti. “Mi ha fatto piacere – ha aggiunto – che in queste tre giornate il tema del dialogo abbia avuto il suo giusto spazio, sia come riflessione teorica, ma anche come incontro reale tra persone di diverse convinzioni, ma con la certezza che al centro deve essere sempre messo, e oggi in particolare deve tornare ad essere, l’uomo”. Il Cardinale ha detto poi di aver trovato “molto interessanti” le due proposte fatte da mons. Piero Coda della “istituzione di un gruppo di lavoro sui tre monoteismi” che possa essere “spazio di incontro reale e di apertura a un nuovo umanesimo del dialogo” e poi “l’attivazione di un’assemblea interreligiosa, per mettere al centro l’uomo e il suo desiderio di assoluto”.

Don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio Cei Ecumenismo e dialogo, ha invitato a chiudere i lavori con “un momento di dialogo particolare: un minuto di silenzio in cui essere uniti “nella preghiera anche se non con le stesse parole”.

 

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C’è chi emigra e chi va in letargo https://www.lavoce.it/ce-chi-emigra-e-chi-va-in-letargo/ Fri, 17 Apr 2015 09:50:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31542 Solo la primavera riesce a dare un segnale diffuso di risurrezione e di vita. Una serie di iniziative culturali e pastorali hanno rimesso in moto persone e comunità. Alle liturgie del tempo pasquale che si sono protratte a lungo – essendo state celebrate due date di Pasqua, il 5 aprile per i cattolici e il 12 per gli ortodossi – si sono aggiunti eventi in moltissimi centri. Cito per tutti il Festival di scienza e filosofia di Foligno, la Festa delle famiglie di Spoleto, il Festival del giornalismo a Perugia. Una di tali iniziative mi ha sollecitato una riflessione sull’attualità e i problemi che ci travagliano: quelli delle migrazioni. Sabato 18 aprile al Museo della migrazione di Gualdo Tadino si apre una mostra che riguarda l’emigrazione italiana all’estero, e si celebra l’XI edizione di un concorso sul tema, volto a lumeggiare gli addii, gli incontri e gli scontri degli italiani che si sono recati in un Paese straniero in cerca di una vita migliore. Un’ottima iniziativa che si arricchisce ogni anno di più di documenti e ricordi.

Questo tema, che ci riguarda per il passato e per altri aspetti anche per il presente (i giovani e i “cervelli” che vanno all’estero) ci rimanda alle tragiche vicende del Mediterraneo e alla minaccia di un’‘invasione’ che si annuncia per i prossimi mesi e che ha tutta l’aria di una catastrofe. Mons. Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, questa mattina (mercoledì 15) nella sala dei Notari di Perugia ha detto che nel Mediterraneo in questi anni si calcola che siano morte oltre 30 mila persone. Dovrebbe essere un mare che unisce le coste, anzi “il mare di Dio” è stato chiamato – sempre secondo Mogavero – perché vi si affacciano le tre grandi religioni monoteistiche, l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam. Ha ricordato che in altri tempi, anche se non sono mancate le lotte, era possibile la convivenza, tanto che a Palermo si parlavano 4 lingue e si redigevano documenti in ebraico, in greco, in latino e in arabo.

Anche oggi sarebbe possibile tale convivenza in una situazione di flussi moderati e normali di migranti, come avviene a Mazara dove i ragazzi che vanno a scuola o all’oratorio non avvertono come ostacolo la diversa religione e non sentono come un problema le differenze culturali, che vengono mediate dalla scuola e dal vivere sociale. Tutto ciò che ha detto mons. Mogavero è positivo e incoraggiante. Ma appena usciti dalla sala, aperti i computer, tablet e cellulari vari, abbiamo saputo delle uccisioni, delle ragazze rapite, delle fosse comuni, dei cristiani uccisi come tali e perché tali; e abbiamo letto minacciose e tracotanti profezie di invasione e di strage. Per arrivare alla situazione prefigurata dal Vescovo di Mazara si dovrà risolvere il fenomeno della migrazione selvaggia e di massa, lasciata in mano a commercianti di vite umane senza scrupoli. Lo si dovrà fare con mezzi adeguati, che non sono le buone parole e neppure le condanne verbali a scopo elettorale, ma decisivi interventi proporzionati alle emergenze umanitarie e della salvaguardia della minima condizione di sopravvivenza dell’ordine sociale. Le migrazioni provocano conseguenze catastrofiche come una guerra, è stato detto in passato, quando ancora si trattava di un fenomeno molto più ristretto. Ora tutto ciò è esploso con la crisi dei Paesi a maggioranza e ‘conduzione’ musulmana, e con la deriva fondamentalista e fanatica di correnti diffuse di terrorismo pseudo-teologico. A Mazara si è resa possibile una convivenza perché vi è una Chiesa e una cultura che ha per fondamento l’accettazione dell’altro, chiunque sia, e l’accoglienza del diverso nel rispetto della sua libertà di coscienza.

Questo non sarà mai possibile in un contesto culturale in cui predomina il disprezzo degli altri, e persino di opere artistiche e archeologiche che hanno segnato la storia dell’umanità. C’è strada da fare per tutti, a cominciare da chi ha in mano le sorti dei popoli – Europa, Onu, Stati ricchi, commercianti di armi – che sembrano piombati in un profondo e cinico letargo.

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Il salutare “scandalo” della Misericordia https://www.lavoce.it/il-salutare-scandalo-della-misericordia/ Thu, 16 Apr 2015 09:51:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31501 “San Francesco di fronte al Crocifisso” (Assisi, basilica)
“San Francesco di fronte al Crocifisso” (Assisi, basilica)

Misericordiae vultus: si apre con queste parole la bolla di indizione dell’Anno santo straordinario voluto da Papa Francesco. Un Volto che, come lui stesso insegnò durante la visita all’Istituto Serafico di Assisi, non è misericordioso nel senso di “innocuo” ma è il volto del Crocifisso, scandalo per il mondo edonista e superficiale, e scandalo addirittura per la Chiesa. “Gesù Cristo – scrive Papa Bergoglio – è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth. Il Padre, ‘ricco di misericordia’ (Ef 2,4), dopo aver rivelato il Suo nome a Mosè come ‘Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà’ (Es 34,6), non ha cessato di far conoscere in vari modi e in tanti momenti della storia la Sua natura divina. Nella pienezza del tempo (Gal 4,4), quando tutto era disposto secondo il Suo piano di salvezza, Egli mandò suo Figlio nato dalla Vergine Maria per rivelare a noi in modo definitivo il Suo amore. Chi vede Lui vede il Padre (cfr Gv 14,9). Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio”.

Se questo vale per Dio, di conseguenza vale anche per la Chiesa: “L’architrave – scrive il Pontefice al n. 10 – che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole”. Quindi un mea culpa, meno tragico dei mea culpa espressi da altri Papi, ma si tratta di un “male della Chiesa” la cui gravità consiste proprio nella sua diffusione a macchia d’olio: “Forse per tanto tempo abbiamo dimenticato di indicare e di vivere la via della misericordia. La tentazione, da una parte, di pretendere sempre e solo la giustizia ha fatto dimenticare che questa è il primo passo, necessario e indispensabile, ma la Chiesa ha bisogno di andare oltre per raggiungere una meta più alta e più significativa… Senza la testimonianza del perdono, rimane solo una vita infeconda e sterile, come se si vivesse in un deserto desolato. È giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno all’essenziale, per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza”.

Il cammino di conversione per tornare dal Padre misericordioso, come fece il “figliol prodigo”, è per definizione il pellegrinaggio. Il quale (n. 14) “è un segno peculiare nell’Anno santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza… Attraversando la Porta santa, ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo a essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi”.

È lo stesso Gesù a indicare le tappe: “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6,37-38). “Misericordiosi come il Padre, dunque, è il ‘motto’ dell’Anno santo. Nella misericordia abbiamo la prova di come Dio ama. Egli dà tutto se stesso, per sempre, gratuitamente, e senza nulla chiedere in cambio. Viene in nostro aiuto quando lo invochiamo… Egli viene a salvarci dalla condizione di debolezza in cui viviamo. E il Suo aiuto consiste nel farci cogliere la Sua presenza e la Sua vicinanza”.

Poi, un riagganciarsi al tema-chiave che ha segnato il suo pontificato fin dai primordi (n. 15): “In questo Anno santo potremo fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica. Quante situazioni di precarietà e sofferenza sono presenti nel mondo di oggi! Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi. In questo Giubileo ancora di più la Chiesa sarà chiamata a curare queste ferite, a lenirle con l’olio della consolazione, fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e l’attenzione dovuta. Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge!”.

Infine, c’è la dimensione del dialogo interreligioso. “La misericordia – spiega il Santo Padre – possiede una valenza che va oltre i confini della Chiesa. Essa ci relaziona all’Ebraismo e all’Islam, che la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio. (…) Questo Anno Giubilare vissuto nella misericordia possa favorire l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose; ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione”.

Avrà successo, il Giubileo? Il Papa fornisce un metodo di controllo: “È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della Misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo, o no, come suoi discepoli”.

 

Calendario dell’anno santo: Date ed eventi speciali 

L’Anno santo della Misericordia si aprirà l’8 dicembre prossimo, solennità dell’Immacolata Concezione, nel 50° della conclusione del Concilio Vaticano II. Non si tratta di pura casualità: cinquant’anni fa la chiusura del Concilio segnava una nuova stagione per la Chiesa, che tornava ad aprirsi verso il mondo.

La domenica successiva, 13 dicembre, verrà aperta la Porta santa nella “cattedrale di Roma”, la basilica di San Giovanni in Laterano. Successivamente, si aprirà la Porta santa nelle altre basiliche papali. “Nella stessa domenica – prosegue Bergoglio – stabilisco che in ogni Chiesa particolare, nella cattedrale… oppure nella concattedrale o in una chiesa di speciale significato, si apra per tutto l’Anno santo una uguale porta della Misericordia”.

Il Giubileo straordinario si concluderà nella solennità di Cristo Signore dell’universo, 20 novembre 2016. Speciale rilievo avrà il periodo di Quaresima 2016, da vivere “più intensamente come momento forte per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio”.

In particolare, il Papa ripropone l’iniziativa “24 ore per il Signore”, “da celebrarsi nel venerdì e sabato che precedono la IV domenica di Quaresima, è da incrementare nelle diocesi. Tante persone si stanno riavvicinando al sacramento della riconciliazione, e tra questi molti giovani, che in tale esperienza ritrovano spesso il cammino per ritornare al Signore, per vivere un momento di intensa preghiera e riscoprire il senso della propria vita”.

Inoltre, sempre in Quaresima “ho l’intenzione di inviare i missionari della Misericordia… Saranno sacerdoti a cui darò l’autorità di perdonare anche i peccati che sono riservati alla Sede apostolica, perché sia resa evidente l’ampiezza del loro mandato. Saranno soprattutto segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in ricerca del Suo perdono”.

 

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Cuori desiderosi di unità https://www.lavoce.it/cuori-desiderosi-di-unita/ Fri, 03 Apr 2015 10:22:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31305 Padre Pierbattista Pizzaballa durante la celebrazione della Domenica delle Palme a Gerusalemme
Padre Pierbattista Pizzaballa durante la celebrazione della Domenica delle Palme a Gerusalemme

Il vero sepolcro da aprire è l’idea che non sia possibile cambiare nulla”. Ripercorre il passo evangelico di Marco 16, padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, per descrivere come le comunità cristiane di Terra Santa si apprestino a vivere la Pasqua. Gli echi, nemmeno troppo lontani, delle violenze in Siria, in Iraq, delle persecuzioni delle minoranze non solo cristiane, delle sofferenze dei milioni di rifugiati, ma anche gli annosi problemi che vessano la Terra Santa, il conflitto israelo-palestinese, l’esodo dei cristiani, la mancanza di lavoro e di prospettive future, le famiglie separate dall’occupazione militare: sono questi “i sepolcri da aprire per fare entrare la luce di Cristo e ridare così speranza e vita”. “Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?”, dicevano le donne mentre andavano al sepolcro per ungere il corpo di Gesù con olii aromatici. Ma “guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande”.

Chi aprirà tutti questi sepolcri di cui è piena la Terra Santa?

“La Pasqua ci insegna che Cristo ha consegnato la sua vita e consegnandola l’ha cambiata a tutti. È una forza che non è nostra e alla quale ci consegniamo. Deve essere questo il messaggio. Se contiamo solo sulle nostre forze, non ce la faremo”.

Il sepolcro che, da troppo tempo, racchiude la pace sembra inespugnabile…

“La Pasqua porti coraggio e visione a chi ha le responsabilità delle decisioni. Le strategie sono importanti, l’organizzazione anche, tutto quello che è necessario fare deve essere fatto. Dobbiamo impegnarci per la pace, guai a noi se non lo facessimo – è parte della nostra missione qui – ma non siamo solo noi. Se non alziamo lo sguardo, non riusciremo a leggere la Storia per poter poi superare le difficoltà che ci pone davanti. Alzare lo sguardo è avere una visione del ‘dopo’, pensare alle generazioni future. Non alzarlo è abdicare alla speranza”.

La mancanza di prospettive future per i giovani, l’emigrazione continua sono altri sepolcri dei quali far rotolare via la pietra. Ma come?

“La Terra Santa è luogo di Passione, ma guai a credere che sia solo questo. I giovani vanno esortati a impegnarsi perché ci sono tanti segni di luce, gente che prova a costruirsi percorsi di vita. I giovani devono dare forza a queste luci e a questa speranza, innanzitutto con fantasia, entusiasmo. L’emigrazione è un problema: sono tanti quelli che partono, ma sono molti quelli che restano. Temi come lavoro, casa, famiglia, futuro, vanno affrontati con realismo. I giovani devono scommettere, darsi da fare per conquistare ciò che è possibile, nella consapevolezza che non si può avere tutto. Il primo sepolcro da scardinare è l’idea che non sia possibile cambiare nulla”.

A soffrire non sono solo i giovani ma anche tante famiglie divise a causa dell’occupazione militare.

“La Terra Santa è piena di divisioni, e quella delle famiglie, soprattutto palestinesi, è una di queste. Le divisioni nascono proprio dall’incapacità di vedere l’uno i bisogni dell’altro. Si resta confinati dentro le proprie visioni. Anche in questo àmbito occorre avere la forza e la pazienza di lavorare, aiutare e, laddove non si riesce, di consolare”.

Le drammatiche condizioni in cui vivono associano i milioni di rifugiati siriani e iracheni alla Passione di Cristo. Come parlare loro di Risurrezione?

“Guai a noi a pensare che sia tutto finito! Se guardiamo alla storia della presenza cristiana in Medio Oriente, ci accorgiamo che non è la prima volta che si subiscono violenze. Penso al genocidio armeno di 100 anni fa. Dovevano morire tutti, erano due o tre milioni, oggi ce ne sono circa 20. Senza nulla togliere alla drammaticità del momento, non dobbiamo pensare che siamo alla fine della Storia. Questa la facciamo anche noi con la nostra vita, il nostro cuore, e soprattutto con la nostra forza interiore. Per questa gente bisogna darsi da fare, con la solidarietà certamente, ma anche con la vicinanza spirituale. Hanno una forza dentro che nessun terrorista potrà mai scalfire. La rabbia che si può covare nel vedere tanta violenza perpetrata contro le minoranze, non solo cristiane, deve diventare spinta a porre domande forti alle autorità politiche, alla comunità internazionale, ai media, perché tengano accesa l’attenzione su questa realtà drammatica”.

Solidarietà: le opere della Chiesa, le scuole, gli ospedali, la cura degli anziani, dei giovani, sono tante piccole luci che rischiarano le tenebre di questa terra. Cosa manca a queste fiammelle perché diventino luce forte?

“Manca un po’ di coordinamento, di conoscenza approfondita dei bisogni. In questo ambito il lavoro da fare è ancora molto. Tuttavia è bello vedere tanta solidarietà, che è l’antidoto più potente alla violenza dei terroristi, come lo Stato islamico che vuole troncare la vita delle nostre comunità. Ma non ci riuscirà”.

Un augurio personale per questa Pasqua?

“C’è un detto nella letteratura rabbinica che dice: ‘Un cuore integro è spezzato’. Perché un cuore spezzato è sempre desideroso di ricostituire la propria integrità perduta, è assetato e alla ricerca di unità. Il mio augurio è che in questa Pasqua il cuore di ciascuno si lasci spezzare”.

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Incontro tra cattolici e musulmani sciiti a Roma https://www.lavoce.it/incontro-tra-cattolici-e-musulmani-sciiti-a-roma/ Fri, 27 Mar 2015 13:43:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31113 Il tavolo del convegno della Sant’Egidio su “Cattolici e Sciiti”
Il tavolo del convegno della Sant’Egidio su “Cattolici e Sciiti”

“Nel mondo globale, l’uomo non sopporta di essere senza radici, e si rifugia nel fanatismo. Ma questo è perversione delle religioni”. Lo ha affermato Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, all’incontro “Cattolici e sciiti. Responsabilità dei credenti in un mondo globale e plurale” svoltosi il 24 marzo a Roma.

Riccardi ha ricordato come lo scenario internazionale sia attraversato da numerose crisi e conflitti, veri e propri “momenti di prova per le religioni, per i cristiani in Pakistan, Iraq, Nigeria ma anche per gli sciiti. Non c’è dialogo senza libertà religiosa: da Paolo VI fino a Giovanni Paolo II, la Chiesa ha impersonato l’impegno delle religioni per il dialogo e la pace. Noi ci muoviamo su questa linea”.

Alle parole di Riccardi hanno fatto eco quelle del card. Jean-Louis Tauran: “Esiste per un popolo un flagello peggiore della guerra? No”. Il pensiero del porporato è andato subito alla Siria, entrata nel suo quinto anno di conflitto, con “215 mila morti, 7 milioni di sfollati interni, 4 milioni di rifugiati nei Paesi confinanti”. Davanti a queste cifre, ha detto Tauran, è lecito chiedersi da dove tragga origine la guerra.

E i motivi vanno cercati nelle “discriminazioni, nelle persecuzioni, nelle pulizie etniche, nei genocidi, anche culturali, come quelli portati avanti in Iraq dal sedicente Stato islamico. Grave, inoltre, è l’incitamento alla violenza da parte dei leader religiosi, per esempio in Pakistan contro i cristiani, sui quali spesso pende la falsa accusa di blasfemia. Quanta pena si prova a sapere che scuole, in particolare religiose, sono un vivaio di futuri terroristi”.

La pace, ha argomentato il cardinale, “non si può ottenere se non viene tutelato il bene delle persone. È necessario avere la ferma determinazione di rispettare la dignità degli altri popoli e degli altri uomini. Il discorso religioso ha l’obbligo di favorire il rispetto reciproco e la pace sociale, specialmente in tempi di crisi”.

Il dialogo non deve restare confinato ai dotti e alle élite”, ha sottolineato Jawad Al-Khoei, segretario generale dell’Al-Khoei Institute, ma deve diffondersi tra la gente. “Perché il dialogo si affermi, occorre innanzitutto contrastare l’estremismo religioso, tanto diffuso nel mondo”.

Un punto fondamentale è “l’accettazione del pluralismo quale principio umano e divino, come indica il Corano. Non ci sono differenze tra i popoli. Una certa ostilità tra i seguaci di alcune religioni nasce dalla mancata comunicazione diretta, specie tra le loro autorità religiose. La mancata comunicazione crea ignoranza dell’altro; di qui nascono le diffidenze. Ci sono ampi spazi comuni tra l’islam e le altre religioni monoteistiche, e vanno ‘abitati’ per costruire ponti di comprensione”.

Non sempre è stato così, ha ammesso il teologo libanese Mohamad Hassan Al-Amine. “Ci sono stati nell’islam – come nel cristianesimo – duri conflitti tra le diverse correnti circa la dottrina e la sharia. Per questo, oggi chiedo ai leader musulmani di organizzare incontri di dialogo basati sull’autocritica. L’autocritica trasparente e aperta incoraggia a rivedere i presupposti che ognuno ritiene sacri mentre in realtà non lo sono, non fanno parte dell’essenza della religione, e sono solo il frutto di una chiusura confessionale che porta all’ostilità e all’inimicizia verso chi ha un pensiero differente”.

È da questo atteggiamento che nasce “l’immagine terrificante e dolorosa che molti popoli hanno dell’islam; che è invece una religione che esorta alla pace e alla carità. È necessario dire che la religione non ha nulla a che fare con i gruppi estremisti che commettono crimini orrendi in nome della fede”.

I PARTECIPANTI

L’incontro “Cattolici e sciiti” si è svolto il 24 marzo a Roma per iniziativa della Comunità di Sant’Egidio e della Imam al-Khoei Foundation, fondazione internazionale legata alla massima autorità religiosa dell’islam sciita iracheno, l’ayatollah Ali Sistani. Erano presenti, tra gli altri, dignitari religiosi sciiti di primo piano provenienti da Iran, Iraq, Libano, Arabia Saudita, Bahrein, Kuwait, e i cardinali Reinhard Marx, presidente della Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea (Comece), e Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.

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