internet Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/internet/ Settimanale di informazione regionale Thu, 08 Sep 2022 17:36:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg internet Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/internet/ 32 32 I nostri dati “privati” a cui hanno accesso tutti (gli scocciatori) https://www.lavoce.it/dati-privati-accesso/ Sat, 13 Oct 2018 08:00:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53122 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Uno dei paradossi più eclatanti di questi tempi riguarda quella che viene definita ‘privacy’, cioè il diritto della persona di controllare che le informazioni che la riguardano vengano trattate da altri solo in caso di necessità.

Ma quando mai?! Hai il tuo telefono cellulare, il numero lo dai solo ai parenti stretti e agli amici più fidati... e continuamente, durante la giornata, ti arrivano chiamate da ditte e aziende con le quali non hai mai avuto contatto (e che quindi il tuo numero lo hanno avuto da altri, in una sorta di commercio dei dati personali) e messaggi via internet su prodotti e promozioni commerciali delle quali non ti importa nulla.

Questo ‘bombardamento’ che sbriciola il muro della tua voglia di startene in disparte ti fa venire in mente quella volta che hai acquistato quel tale prodotto, e nel negozio ti hanno fatto firmare un documento scritto piccolo piccolo. Ecco, con quella firma, tu che tiene tanto alla privacy hai detto “ok, fate girare i miei dati...”.

Mea culpa, dunque. Certo che sì; un mea culpa ancora più grande da fare nel momento in cui siamo noi stessi a spiattellare al nostro prossimo dati che riguardano la nostra vita privata. Come le foto e i filmati della nostra quotidianità che mettiamo ogni giorno in Rete. O peggio, le immagini dei bambini. Già, i bambini: almeno a loro, finché non crescono, lasciamo un po’ di privacy.

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lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Uno dei paradossi più eclatanti di questi tempi riguarda quella che viene definita ‘privacy’, cioè il diritto della persona di controllare che le informazioni che la riguardano vengano trattate da altri solo in caso di necessità.

Ma quando mai?! Hai il tuo telefono cellulare, il numero lo dai solo ai parenti stretti e agli amici più fidati... e continuamente, durante la giornata, ti arrivano chiamate da ditte e aziende con le quali non hai mai avuto contatto (e che quindi il tuo numero lo hanno avuto da altri, in una sorta di commercio dei dati personali) e messaggi via internet su prodotti e promozioni commerciali delle quali non ti importa nulla.

Questo ‘bombardamento’ che sbriciola il muro della tua voglia di startene in disparte ti fa venire in mente quella volta che hai acquistato quel tale prodotto, e nel negozio ti hanno fatto firmare un documento scritto piccolo piccolo. Ecco, con quella firma, tu che tiene tanto alla privacy hai detto “ok, fate girare i miei dati...”.

Mea culpa, dunque. Certo che sì; un mea culpa ancora più grande da fare nel momento in cui siamo noi stessi a spiattellare al nostro prossimo dati che riguardano la nostra vita privata. Come le foto e i filmati della nostra quotidianità che mettiamo ogni giorno in Rete. O peggio, le immagini dei bambini. Già, i bambini: almeno a loro, finché non crescono, lasciamo un po’ di privacy.

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Nell’era di internet siamo davvero più liberi e informati? https://www.lavoce.it/nellera-internet-davvero-piu-liberi-informati/ Sun, 27 May 2018 11:00:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51962

“La moltiplicazione delle fonti di informazione non vuol dire necessariamente pluralismo”. Lo sostiene Pier Cesare Rivoltella, professore ordinario di didattica e tecnologie dell’istruzione all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che martedì ha tenuto la relazione centrale all’assemblea della Cei (vedi anche a pagina 3). In Italia il numero di persone che ha accesso a internet ha superato quota 43 milioni (73% del totale), mentre gli iscritti sui social media sono 34 milioni (57%). Come sta cambiando la comunicazione in Italia? Il Paese è tra i primi al mondo come diffusione di smartphone, le percentuali di consumo internet sono sicuramente salite, ma manca ancora una cultura della Rete solida e diffusa, spesso il “saperci fare” viene confuso con la Media Literacy. C’è molto da lavorare. E la metà circa di italiani che non frequentano i social? Sono esclusi dai processi comunicativi? Il divario digitale ha contorni complessi, non si può ridurre all’asse nord-sud del mondo. Così abbiamo sacche di divario anche da noi, spesso nelle stesse smart cities. Penso alla popolazione anziana, o ai migranti. Che panorama mediatico dobbiamo aspettarci? Il sistema dei media sta cambiando in profondità. Il tradizionale assetto dei media main stream non regge più. La scena è fatta da una comunicazione sempre più crossmediale e transmediale. Occorre ripensare in profondità il senso e i linguaggi dei vecchi media. Il citizen journalism sta mutando (o uccidendo?) l’informazione così come si è strutturata in oltre un secolo di giornalismo? Oggi l’informazione...non informa più. Le notizie arrivano prima. Il problema è che spesso anche il commento si sposta dalla pagina del quotidiano alla rete dei social o alla blogosfera. Anche in questo caso va probabilmente ridefinito il ruolo del giornale dentro il nuovo contesto comunicativo. In un mondo in cui tutti possono dire la loro, si è davvero più liberi e informati? No, perché la moltiplicazione delle fonti di informazione non vuol dire necessariamente pluralismo. Può invece produrre disorientamento, senza sottrarre la produzione di informazione al rischio del controllo, del pensiero unico, del modellamento. I media possono essere considerati ancora soltanto degli strumenti? Assolutamente no. Oggi i media sono per un verso sinapsi sociali, per l’altro tessuto connettivo che tiene insieme le vite nostre e delle organizzazioni. I robot di Google studiano già i programmi scolastici dei bambini nei loro processi di apprendimento. Cambierà l’idea che abbiamo di uomo e di macchina? Oggi viviamo nella terza età della mediazione tecnologica, quella in cui la tecnologia media tra tecnologia e tecnologia. L’intelligenza artificiale sta modificando la relazione tra quello che è umano e quel che non lo è. L’antropologia e l’etica non possono che essere in prima linea.  ]]>

“La moltiplicazione delle fonti di informazione non vuol dire necessariamente pluralismo”. Lo sostiene Pier Cesare Rivoltella, professore ordinario di didattica e tecnologie dell’istruzione all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che martedì ha tenuto la relazione centrale all’assemblea della Cei (vedi anche a pagina 3). In Italia il numero di persone che ha accesso a internet ha superato quota 43 milioni (73% del totale), mentre gli iscritti sui social media sono 34 milioni (57%). Come sta cambiando la comunicazione in Italia? Il Paese è tra i primi al mondo come diffusione di smartphone, le percentuali di consumo internet sono sicuramente salite, ma manca ancora una cultura della Rete solida e diffusa, spesso il “saperci fare” viene confuso con la Media Literacy. C’è molto da lavorare. E la metà circa di italiani che non frequentano i social? Sono esclusi dai processi comunicativi? Il divario digitale ha contorni complessi, non si può ridurre all’asse nord-sud del mondo. Così abbiamo sacche di divario anche da noi, spesso nelle stesse smart cities. Penso alla popolazione anziana, o ai migranti. Che panorama mediatico dobbiamo aspettarci? Il sistema dei media sta cambiando in profondità. Il tradizionale assetto dei media main stream non regge più. La scena è fatta da una comunicazione sempre più crossmediale e transmediale. Occorre ripensare in profondità il senso e i linguaggi dei vecchi media. Il citizen journalism sta mutando (o uccidendo?) l’informazione così come si è strutturata in oltre un secolo di giornalismo? Oggi l’informazione...non informa più. Le notizie arrivano prima. Il problema è che spesso anche il commento si sposta dalla pagina del quotidiano alla rete dei social o alla blogosfera. Anche in questo caso va probabilmente ridefinito il ruolo del giornale dentro il nuovo contesto comunicativo. In un mondo in cui tutti possono dire la loro, si è davvero più liberi e informati? No, perché la moltiplicazione delle fonti di informazione non vuol dire necessariamente pluralismo. Può invece produrre disorientamento, senza sottrarre la produzione di informazione al rischio del controllo, del pensiero unico, del modellamento. I media possono essere considerati ancora soltanto degli strumenti? Assolutamente no. Oggi i media sono per un verso sinapsi sociali, per l’altro tessuto connettivo che tiene insieme le vite nostre e delle organizzazioni. I robot di Google studiano già i programmi scolastici dei bambini nei loro processi di apprendimento. Cambierà l’idea che abbiamo di uomo e di macchina? Oggi viviamo nella terza età della mediazione tecnologica, quella in cui la tecnologia media tra tecnologia e tecnologia. L’intelligenza artificiale sta modificando la relazione tra quello che è umano e quel che non lo è. L’antropologia e l’etica non possono che essere in prima linea.  ]]>
Perugia sempre più digitale con la nuova anagrafe https://www.lavoce.it/perugia-sempre-piu-digitale-la-nuova-anagrafe/ Sun, 18 Mar 2018 10:48:18 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51474

Il Comune di Perugia compie un altro importante passo verso la digitalizzazione dei processi amministrativi e si conferma, ancora una volta, all’avanguardia per quanto riguarda l’innovazione nella pubblica amministrazione. Dopo l’avvio dei certificati online e del Pago online, nonchè l’apertura della prima Circoscrizione 4.0 in Italia, infatti, da oggi il Comune di Perugia –primo capoluogo di regione a fare il suo ingresso- entra ufficialmente nell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), la banca dati telematica nazionale istituita dal Ministero dell’Interno, nella quale confluiranno progressivamente tutte le anagrafi -circa 8000- dei comuni italiani. L’ANPR sarà la prima banca dati che riunirà le informazioni di circa 60 milioni di residenti in Italia, a cui si aggiungono anche gli italiani residenti all’estero, iscritti nell’AIRE. Sarà, in sostanza, il sistema anagrafico di riferimento dell’intero paese. “E’ un salto di qualità del Comune nel quadro della digitalizzazione –ha detto con orgoglio l’assessore alla Demografia Dramane Wagué- che arriva a integrare un percorso già avviato da tempo e che ha visto la fattiva collaborazione tra le istituzioni, il Ministero dell’Interno, la Prefettura, gli uffici comunali che hanno lavorato in squadra, sotto la direzione dei dirigenti Bonifacio, De Micheli e Migliarini, il Team della trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione, Sogei e Maggioli Informatica Spa. Per arrivare a questo importante risultato –ha concluso- sin dal 2016, gli uffici comunali di Perugia hanno portato avanti un lavoro molto complesso di cui siamo particolarmente orgogliosi.” Perugia potrà, dunque, d’ora in avanti, colloquiare con gli altri comuni facenti parte dell’Anagrafe,esclusivamente in via telematica, eliminando l’uso del cartaceo, semplificando le operazioni di cambio di residenza, emigrazioni, immigrazioni, censimenti e richiesta di nulla osta per l’emissione delle carte di identità. Alla banca dati di ANPR possono far riferimento non solo i Comuni, ma l’intera Pubblica Amministrazione e i gestori dei pubblici servizi, nel rispetto assoluto della tutela dei dati personali. “E’ un’opportunità importante –ha sottolineato la dott.ssa Silvia Mari Cesarini, in rappresentanza della Prefettura- perché arriva a facilitare sia i cittadini, ma anche le amministrazioni, che potranno lavorare meglio e in maniera più efficiente.” L’anagrafe nazionale garantirà certezza e qualità al dato anagrafico e consentirà di evitare duplicazioni di comunicazioni con le pubbliche amministrazioni e i gestori di pubblici servizi, i quali potranno far riferimento a questa banca dati, nel rispetto assoluto della tutela dei dati personali. Grazie ad un’unica Anagrafe nazionale sarà possibile, inoltre, ottenere certificati anagrafici in qualsiasi comune italiano già presente in ANPR e non più esclusivamente in quello di residenza; in futuro, infine, i cittadini potranno collegarsi direttamente on line al servizio, per richiedere certificati e informative. “L’Anagrafe Nazionale, per la sua rilevanza strategica, è sempre stata considerata un pilastro dell’Agenda Digitale Italiana, –ha spiegato Mirko Calvaresi del Team per la trasformazione digitale- uno degli strumenti più potenti per modernizzare la P.A. L’ANPR rappresenta, infatti, un passaggio fondamentale nell’ambizioso progetto promosso dal Team della trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione di Diego Piacentini, in collaborazione con il Ministero dell’Interno e Sogei di ridisegnare i processi attraverso cui la stessa Pubblica Amministrazione si relaziona con i cittadini.” Per capire quanto sia efficiente il sistema con la messa in opera di ANPR, basta qualche numero. Si stimano 7.000 cambi di residenza ogni giorno, al costo per cambio di 37 euro. Il costo per le PA è di 259.000 euro al giorno e di 65 milioni di euro l’anno. Con ANPR questi costi sarebbero praticamente abbattuti dato che le informazioni sono già disponibili in un' unica piattaforma. Ovviamente affinché tutto possa essere pienamente efficiente dovranno fare ingresso nel sistema ANPR tutti gli altri comuni d’Italia. Attualmente, sono 73 i comuni entrati nella rete, per un totale di 1.578.186 abitanti. Altri 5, tra cui Perugia, entrano oggi, in contemporanea. Il comune di Perugia costituisce, dunque, un esempio da seguire e, allo stesso tempo, un punto di riferimento per gli altri comuni capoluogo di regione che vorranno entrare nell’anagrafe nazionale. “Entro la fine dell’anno –ha aggiunto Calvaresi- contiamo che siano subentrati nell’anagrafe nazionale i comuni pià rappresentativi in termini di popolazione. Stiamo lavorando sui comuni come Roma o Milano e Torino, questi ultimi due dovrebbero subentrare entro luglio, per quelli più piccoli c’è qualche difficoltà in più. Attualmente, sono 1076 i comuni che stanno facendo le prove di subentro.” Alla conferenza stampa di oggi hanno partecipato anche l’area manager di Maggioli Informatica spa Alessandro Colliva e il responsabile tecnico del progetto Alberto Zini, che hanno supportato il comune negli aspetti tecnici del subentro. “Da parte nostra –ha detto Colliva- un ringraziamento particolare al comune di Perugia per lo sforzo fatto e per la volontà mostrata nel voler affrontare questo cambiamento non semplice.”]]>

Il Comune di Perugia compie un altro importante passo verso la digitalizzazione dei processi amministrativi e si conferma, ancora una volta, all’avanguardia per quanto riguarda l’innovazione nella pubblica amministrazione. Dopo l’avvio dei certificati online e del Pago online, nonchè l’apertura della prima Circoscrizione 4.0 in Italia, infatti, da oggi il Comune di Perugia –primo capoluogo di regione a fare il suo ingresso- entra ufficialmente nell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), la banca dati telematica nazionale istituita dal Ministero dell’Interno, nella quale confluiranno progressivamente tutte le anagrafi -circa 8000- dei comuni italiani. L’ANPR sarà la prima banca dati che riunirà le informazioni di circa 60 milioni di residenti in Italia, a cui si aggiungono anche gli italiani residenti all’estero, iscritti nell’AIRE. Sarà, in sostanza, il sistema anagrafico di riferimento dell’intero paese. “E’ un salto di qualità del Comune nel quadro della digitalizzazione –ha detto con orgoglio l’assessore alla Demografia Dramane Wagué- che arriva a integrare un percorso già avviato da tempo e che ha visto la fattiva collaborazione tra le istituzioni, il Ministero dell’Interno, la Prefettura, gli uffici comunali che hanno lavorato in squadra, sotto la direzione dei dirigenti Bonifacio, De Micheli e Migliarini, il Team della trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione, Sogei e Maggioli Informatica Spa. Per arrivare a questo importante risultato –ha concluso- sin dal 2016, gli uffici comunali di Perugia hanno portato avanti un lavoro molto complesso di cui siamo particolarmente orgogliosi.” Perugia potrà, dunque, d’ora in avanti, colloquiare con gli altri comuni facenti parte dell’Anagrafe,esclusivamente in via telematica, eliminando l’uso del cartaceo, semplificando le operazioni di cambio di residenza, emigrazioni, immigrazioni, censimenti e richiesta di nulla osta per l’emissione delle carte di identità. Alla banca dati di ANPR possono far riferimento non solo i Comuni, ma l’intera Pubblica Amministrazione e i gestori dei pubblici servizi, nel rispetto assoluto della tutela dei dati personali. “E’ un’opportunità importante –ha sottolineato la dott.ssa Silvia Mari Cesarini, in rappresentanza della Prefettura- perché arriva a facilitare sia i cittadini, ma anche le amministrazioni, che potranno lavorare meglio e in maniera più efficiente.” L’anagrafe nazionale garantirà certezza e qualità al dato anagrafico e consentirà di evitare duplicazioni di comunicazioni con le pubbliche amministrazioni e i gestori di pubblici servizi, i quali potranno far riferimento a questa banca dati, nel rispetto assoluto della tutela dei dati personali. Grazie ad un’unica Anagrafe nazionale sarà possibile, inoltre, ottenere certificati anagrafici in qualsiasi comune italiano già presente in ANPR e non più esclusivamente in quello di residenza; in futuro, infine, i cittadini potranno collegarsi direttamente on line al servizio, per richiedere certificati e informative. “L’Anagrafe Nazionale, per la sua rilevanza strategica, è sempre stata considerata un pilastro dell’Agenda Digitale Italiana, –ha spiegato Mirko Calvaresi del Team per la trasformazione digitale- uno degli strumenti più potenti per modernizzare la P.A. L’ANPR rappresenta, infatti, un passaggio fondamentale nell’ambizioso progetto promosso dal Team della trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione di Diego Piacentini, in collaborazione con il Ministero dell’Interno e Sogei di ridisegnare i processi attraverso cui la stessa Pubblica Amministrazione si relaziona con i cittadini.” Per capire quanto sia efficiente il sistema con la messa in opera di ANPR, basta qualche numero. Si stimano 7.000 cambi di residenza ogni giorno, al costo per cambio di 37 euro. Il costo per le PA è di 259.000 euro al giorno e di 65 milioni di euro l’anno. Con ANPR questi costi sarebbero praticamente abbattuti dato che le informazioni sono già disponibili in un' unica piattaforma. Ovviamente affinché tutto possa essere pienamente efficiente dovranno fare ingresso nel sistema ANPR tutti gli altri comuni d’Italia. Attualmente, sono 73 i comuni entrati nella rete, per un totale di 1.578.186 abitanti. Altri 5, tra cui Perugia, entrano oggi, in contemporanea. Il comune di Perugia costituisce, dunque, un esempio da seguire e, allo stesso tempo, un punto di riferimento per gli altri comuni capoluogo di regione che vorranno entrare nell’anagrafe nazionale. “Entro la fine dell’anno –ha aggiunto Calvaresi- contiamo che siano subentrati nell’anagrafe nazionale i comuni pià rappresentativi in termini di popolazione. Stiamo lavorando sui comuni come Roma o Milano e Torino, questi ultimi due dovrebbero subentrare entro luglio, per quelli più piccoli c’è qualche difficoltà in più. Attualmente, sono 1076 i comuni che stanno facendo le prove di subentro.” Alla conferenza stampa di oggi hanno partecipato anche l’area manager di Maggioli Informatica spa Alessandro Colliva e il responsabile tecnico del progetto Alberto Zini, che hanno supportato il comune negli aspetti tecnici del subentro. “Da parte nostra –ha detto Colliva- un ringraziamento particolare al comune di Perugia per lo sforzo fatto e per la volontà mostrata nel voler affrontare questo cambiamento non semplice.”]]>
“Sù la testa” dal cellulare! L’uso eccessivo dei nuovi strumenti crea danni non solo psicologici ma anche fisici https://www.lavoce.it/la-testa-dal-cellulare-luso-eccessivo-dei-nuovi-strumenti-crea-danni-non-solo-psicologici-anche-fisici/ Sun, 18 Feb 2018 11:10:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51242

Bisogna “tirare su la testa”, se vogliamo preservare corpo e mente, e imparare a staccarci dal cellulare. Una recente ricerca sostiene infatti che il 51% dei ragazzi tra i 15 e i 20 anni ha difficoltà a prendersi una pausa dalle nuove tecnologie, tanto da arrivare a controllare in media lo smartphone 75 volte al giorno. Un’abitudine diffusa che ormai vediamo verificarsi dai mezzi pubblici fino ai ristoranti e anche a scuola. Dove prima si sfogliava un giornale, ora si “scrolla” velocemente per dare un’occhiata e magari commentare al volo su Facebook. Dove si mangiava in compagnia, ora ci si distrae tra un piatto e l’altro con un messaggio di Whatsapp, spesso a scapito della conversazione. Lo facciamo tutti, grandi e piccoli. Anche in casa, indiscriminatamente. A raccontarne i disagi fisici e psicologici sulla popolazione americana è un articolo del New York Times salito sul podio dei più cliccati in una manciata di ore. L’attenzione sale, il problema va affrontato. Federico Tonioni, psichiatra e psicoterapeuta che si occupa di dipendenze patologiche e guida il Centro pediatrico interdipartimentale per la psicopatologia da Web del Gemelli di Roma, afferma che “è una questione più evolutiva che patologica. Il mondo si è evoluto con la tecnologia: i nostri figli nascono con i telefonini, e noi non possiamo rapportarci a loro privandoli di questi strumenti. Dobbiamo avere un nuovo modo di pensare senza stigmatizzare l’uso dei cellulari, senza sottrarli ai nostri figli come forma di punizione ma imparando tramite il dialogo - a fargli capire come ci si può rapportare con i cellulari. Considerando che spesso sono i genitori a utilizzarli senza sosta, gli adulti dovrebbero darsi delle regole. Siamo troppo sedotti dalle tecnologie”. L’uso costante dei social e dei telefoni porta poi i ragazzi a “una differente empatia: attivano le emozioni solo quando vogliono loro, e disinvestono dal proprio corpo. Questi fenomeni, col passare degli anni e la crescita del digitale, saranno sempre più frequenti”. La chiave più immediata per uscire da questa doppia spirale da danni mentali e fisici è, per Tonioni, una sola: “Spegnere i telefonini e insegnare i figli a farlo tramite trattative. Basta far capire loro che con il telefono spento si può comunque vivere”. I danni dell’iperconnessione agli smartphone non sono solo emotivi e psicologici ma anche fisici. In media la nostra testa pesa intorno ai 10 chili: ogni giorno, per almeno 47 volte, la abbassiamo per controllare le notifiche sul nostro smartphone e per 2.600 volte tocchiamo il telefonino controllando ad esempio mail e messaggi. Se questo vale per gli adulti, negli adolescenti le ore passate col capo chino sul telefonino raddoppiano. Cifre che portano a due conseguenze precise: ne risentiamo sia fisicamente che mentalmente. I primi a essere colpiti, oltre alla vista, sono infatti il collo e la nostra cervicale che, con una postura non corretta e la pressione del capo all’ingiù (che arriva a 27 chili) può influenzare negativamente umore e comportamento, dando luogo a stati di ansia, depressione e isolamento e difficoltà di memoria. Alziamo tutti la testa, dunque, e impariamo a dosare l’uso, utile ma non indispensabile, dei nostri smartphone.  ]]>

Bisogna “tirare su la testa”, se vogliamo preservare corpo e mente, e imparare a staccarci dal cellulare. Una recente ricerca sostiene infatti che il 51% dei ragazzi tra i 15 e i 20 anni ha difficoltà a prendersi una pausa dalle nuove tecnologie, tanto da arrivare a controllare in media lo smartphone 75 volte al giorno. Un’abitudine diffusa che ormai vediamo verificarsi dai mezzi pubblici fino ai ristoranti e anche a scuola. Dove prima si sfogliava un giornale, ora si “scrolla” velocemente per dare un’occhiata e magari commentare al volo su Facebook. Dove si mangiava in compagnia, ora ci si distrae tra un piatto e l’altro con un messaggio di Whatsapp, spesso a scapito della conversazione. Lo facciamo tutti, grandi e piccoli. Anche in casa, indiscriminatamente. A raccontarne i disagi fisici e psicologici sulla popolazione americana è un articolo del New York Times salito sul podio dei più cliccati in una manciata di ore. L’attenzione sale, il problema va affrontato. Federico Tonioni, psichiatra e psicoterapeuta che si occupa di dipendenze patologiche e guida il Centro pediatrico interdipartimentale per la psicopatologia da Web del Gemelli di Roma, afferma che “è una questione più evolutiva che patologica. Il mondo si è evoluto con la tecnologia: i nostri figli nascono con i telefonini, e noi non possiamo rapportarci a loro privandoli di questi strumenti. Dobbiamo avere un nuovo modo di pensare senza stigmatizzare l’uso dei cellulari, senza sottrarli ai nostri figli come forma di punizione ma imparando tramite il dialogo - a fargli capire come ci si può rapportare con i cellulari. Considerando che spesso sono i genitori a utilizzarli senza sosta, gli adulti dovrebbero darsi delle regole. Siamo troppo sedotti dalle tecnologie”. L’uso costante dei social e dei telefoni porta poi i ragazzi a “una differente empatia: attivano le emozioni solo quando vogliono loro, e disinvestono dal proprio corpo. Questi fenomeni, col passare degli anni e la crescita del digitale, saranno sempre più frequenti”. La chiave più immediata per uscire da questa doppia spirale da danni mentali e fisici è, per Tonioni, una sola: “Spegnere i telefonini e insegnare i figli a farlo tramite trattative. Basta far capire loro che con il telefono spento si può comunque vivere”. I danni dell’iperconnessione agli smartphone non sono solo emotivi e psicologici ma anche fisici. In media la nostra testa pesa intorno ai 10 chili: ogni giorno, per almeno 47 volte, la abbassiamo per controllare le notifiche sul nostro smartphone e per 2.600 volte tocchiamo il telefonino controllando ad esempio mail e messaggi. Se questo vale per gli adulti, negli adolescenti le ore passate col capo chino sul telefonino raddoppiano. Cifre che portano a due conseguenze precise: ne risentiamo sia fisicamente che mentalmente. I primi a essere colpiti, oltre alla vista, sono infatti il collo e la nostra cervicale che, con una postura non corretta e la pressione del capo all’ingiù (che arriva a 27 chili) può influenzare negativamente umore e comportamento, dando luogo a stati di ansia, depressione e isolamento e difficoltà di memoria. Alziamo tutti la testa, dunque, e impariamo a dosare l’uso, utile ma non indispensabile, dei nostri smartphone.  ]]>
Incontro di Nova Civitas sulla comunicazione: chi potrà liberarci dallo strapotere dei computer? https://www.lavoce.it/incontro-nova-civitas-sulla-comunicazione-potra-liberarci-dallo-strapotere-dei-computer/ Tue, 23 Jan 2018 11:00:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51053

Rinunciare a internet per un giorno? Panico!... È questa modernità che rende liberi? Ne hanno riflettuto una giornalista, uno scrittore e un’esperta di comunicazione nell’ultimo incontro di Nova Civitas a Orvieto. Maria Rita Valli, direttrice del settimanale La Voce, ricorda che più della metà degli italiani crede alle “bufale”. Chi lavora nell’informazione dovrebbe essere filtro tra realtà e finzione, perseguendo la verità. Per raggiungere lo scopo bisogna ricordare alcune parole chiave: l’infoetica, indicata da Benedetto XVI, comprende princìpi e valori che devono guidare soprattutto i proprietari dei mezzi di comunicazione sociale e gli editori, spesso soggetti a interessi aziendali ed economici, a scapito della dignità delle persone. Un principio cardine della vita democratica è il pluralismo delle voci, da qui l’importanza di salvaguardare la piccola editoria legata al territorio. Altra parola chiave è la coscienza critica, cioè la capacità di leggere e filtrare attraverso intelligenza e cultura. Stefano Diana, autore del libro Noi siamo incalcolabili, introduce al fenomeno della crescita degli algoritmi generati da computer per modellare la realtà, attraverso la matematica e la statistica, scienze messe in campo per esemplificare fenomeni complessi come quelli umani e per costruire strutture sociali nel mondo reale. Se il progresso si affida a macchine che forniscono al mondo economico e alla politica modelli semplificati di esseri estremamente complessi, è inevitabile andare verso modelli distruttivi. La vera modernità è recuperare quell’empatia che ha permesso l’evoluzione e che si realizza soltanto nei rapporti tra persone in carne e ossa. Recupere il corpo, guardarsi negli occhi: unico modo per comprendere il prossimo. Per questo i social, in quanto astrazione, creano l’illusione di una conversazione, ma si riducono a simulatori di sentimenti, aumentando la solitudine. Per dare concretezza a questo dibattito Nova Civitas lancia la prima Giornata della disconnessione per il prossimo 14 aprile. Barbara Bucari, esperta di comunicazione, insieme alla coordinatrice suor Maria Luisa, ha formalmente avviato i lavori. La Giornata sarà una sorta di digital detox. Saranno organizzati tavoli di dialogo reale tra vari protagonisti della vita della città, per devolvere alla medesima il frutto della disconnessione.  ]]>

Rinunciare a internet per un giorno? Panico!... È questa modernità che rende liberi? Ne hanno riflettuto una giornalista, uno scrittore e un’esperta di comunicazione nell’ultimo incontro di Nova Civitas a Orvieto. Maria Rita Valli, direttrice del settimanale La Voce, ricorda che più della metà degli italiani crede alle “bufale”. Chi lavora nell’informazione dovrebbe essere filtro tra realtà e finzione, perseguendo la verità. Per raggiungere lo scopo bisogna ricordare alcune parole chiave: l’infoetica, indicata da Benedetto XVI, comprende princìpi e valori che devono guidare soprattutto i proprietari dei mezzi di comunicazione sociale e gli editori, spesso soggetti a interessi aziendali ed economici, a scapito della dignità delle persone. Un principio cardine della vita democratica è il pluralismo delle voci, da qui l’importanza di salvaguardare la piccola editoria legata al territorio. Altra parola chiave è la coscienza critica, cioè la capacità di leggere e filtrare attraverso intelligenza e cultura. Stefano Diana, autore del libro Noi siamo incalcolabili, introduce al fenomeno della crescita degli algoritmi generati da computer per modellare la realtà, attraverso la matematica e la statistica, scienze messe in campo per esemplificare fenomeni complessi come quelli umani e per costruire strutture sociali nel mondo reale. Se il progresso si affida a macchine che forniscono al mondo economico e alla politica modelli semplificati di esseri estremamente complessi, è inevitabile andare verso modelli distruttivi. La vera modernità è recuperare quell’empatia che ha permesso l’evoluzione e che si realizza soltanto nei rapporti tra persone in carne e ossa. Recupere il corpo, guardarsi negli occhi: unico modo per comprendere il prossimo. Per questo i social, in quanto astrazione, creano l’illusione di una conversazione, ma si riducono a simulatori di sentimenti, aumentando la solitudine. Per dare concretezza a questo dibattito Nova Civitas lancia la prima Giornata della disconnessione per il prossimo 14 aprile. Barbara Bucari, esperta di comunicazione, insieme alla coordinatrice suor Maria Luisa, ha formalmente avviato i lavori. La Giornata sarà una sorta di digital detox. Saranno organizzati tavoli di dialogo reale tra vari protagonisti della vita della città, per devolvere alla medesima il frutto della disconnessione.  ]]>
Come riconoscere le false notizie https://www.lavoce.it/riconoscere-le-false-notizie/ Sat, 11 Nov 2017 13:00:50 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50507

“Il fenomeno delle fake news ha radici strutturali e non va sottovalutato: danneggia la collettività e la qualità del dibattito pubblico, che è parte della qualità della democrazia. L’educazione delle nuove generazioni è la prima soluzione di lungo termine a questa questione”. A dirlo è la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli , che lo scorso 31 ottobre, insieme alla presidente della Camera Laura Boldrini, ha presentato a Roma al liceo Visconti il decalogo # BastaBufale : una sorta di “cassetta degli attrezzi” per permettere ai ragazzi di difendersi dalle false notizie che circolano in Rete. Per Fedeli, “fornire alle nostre giovani e ai nostri giovani conoscenze e competenze, strumenti e chiavi di lettura della realtà vuol dire porre le basi della loro cittadinanza, che vogliamo attiva e responsabile”. Le fa eco Boldrini : “Le fake news non sono goliardate, ma un pericolo per la nostra società”. Basta pensare a quelle sui vaccini, sulle cure mediche improvvisate o alle truffe online. La disinformazione, avverte la Presidente della Camera, “inquina il dibattito democratico, alterando l’opinione pubblica e violando il diritto delle persone a una corretta informazione. Per questa ragione è necessario che le istituzioni intervengano e mettano in campo misure e politiche per un uso responsabile econsapevole del Web”. Per ora i punti del ‘decalogo’ sono otto perché i due mancanti saranno stilati direttamente da studentesse e studenti attraverso uno strumento di scrittura cooperativa che il Miur metterà a disposizione delle scuole sul proprio sito. L’idea dà seguito all’accordo lanciato lo scorso maggio a Montecitorio fra Camera dei deputati e Ministero. Rivolto alle scuole secondarie di I e II grado per un totale di oltre 4,2 milioni di studenti, fa parte di un più ampio pacchetto di azioni per l’educazione civica digitale che il Miur sta mettendo in campo nell’ambito del potenziamento dell’offerta formativa previsto dalla legge 107/2015 (Buona scuola). Del progetto sono partner Rai, Federazione degli editori (Fieg), Confindustria e attori strategici come Facebook e Google, le piattaforme su cui circolano le fake news. “Molte luci e qualche ombra” è però il commento di Vania De Luca , vaticanista di Rainews24 e presidente nazionale dell’Unione cattolica stampa italiana (Ucsi). La definisce“una buona iniziativa, perché stimola l’analisi e la riflessione e tenta di offrire strumenti di verifica molto pratici per difendersi da tranelli”, ma allo stesso tempo si tratta di “‘attrezzi’ che fanno parte del background dei comunicatori di professione, segno di quella disintermediazione che ha toccato anche il nostro ambito dell’informazione”. Attenzione quindi, avverte, “a non caricare i ragazzi di eccessive richieste e responsabilità. Il decalogo pone il problema, è una buona base, ma da solo non basta. Occorre anche l’accompagnamento di esperti”.

Il decalogo contro le fake mews letto punto per punto con Vania De Luca

1. Condividi solo notizie che hai verificato Premessa importante, perché è un invito alla responsabilizzazione. I ragazzi devono sapere che condivisione fa rima con diffusione, e valutarne le conseguenze. 2. Usa gli strumenti di internet per verificare le notizie La verifica della notizia e delle fonti fa parte del bagaglio deontologico di un giornalista di professione; quella attraverso internet è una possibile strada, ma nei limiti dello strumento utilizzato. Chiare le indicazioni su cui procedere: motori di ricerca, siti di testate autorevoli, siti anti-bufale. 3. Chiedi le fonti e le prove È come dire: fidati solo delle fonti istituzionali e certificate, di soggetti informatori forti e autorevoli. 4. Chiedi aiuto a una persona esperta o a un ente davvero competente Mi sembra un po’ vaga nella formulazione. Qui si rivolge agli studenti una richiesta non da poco. È come dire loro: “Attrezzati per un’autoverifica delle fonti e della veridicità della notizia”, ma chi è la persona esperta o l’ente davvero competente? Si tratta di soggetti da individuare nelle scuole? Un filtro potrebbero essere docenti formati ad hoc, oppure si potrebbe pensare alla consulenza esterna di un giornalista. Diversamente, mi sembra si rimanga sul piano teorico. 5. Ricorda che anche internet e i social network sono manipolabili Qui si accende una spia luminosa, un valido avvertimento a non fidarsi. 6. Riconosci i vari tipi e gli stili delle notizie false Detto così, mi sembra si chieda troppo a dei ragazzi. Chi falsifica o manipola le news è talmente abile che a volte noi stessi, comunicatori di professione, facciamo fatica a distinguere. Non sempre i titoli o i toni usati sono urlati, allarmistici, poco credibili. L’avvertimento non basta se non è accompagnato dalla proposta di un percorso formativo che aiuti a riconoscere e smascherare bufale, diffusori di cattive notizie, provocatori seriali. 7. Hai un potere enorme, usalo bene Clic, “like” o condivisioni non sono neutri, innocui, hanno un peso e possono avere conseguenze serie. È un altro invito alla responsabilizzazione. 8. Dai il buon esempio: non lamentarti del buio ma accendi la luce Un invito a ispirarsi allo stile di chi fa buon giornalismo, si dice - ma attenzione: va bene diffondere buone notizie, però non siamo tutti giornalisti, né dobbiamo per forza diventarlo.  ]]>

“Il fenomeno delle fake news ha radici strutturali e non va sottovalutato: danneggia la collettività e la qualità del dibattito pubblico, che è parte della qualità della democrazia. L’educazione delle nuove generazioni è la prima soluzione di lungo termine a questa questione”. A dirlo è la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli , che lo scorso 31 ottobre, insieme alla presidente della Camera Laura Boldrini, ha presentato a Roma al liceo Visconti il decalogo # BastaBufale : una sorta di “cassetta degli attrezzi” per permettere ai ragazzi di difendersi dalle false notizie che circolano in Rete. Per Fedeli, “fornire alle nostre giovani e ai nostri giovani conoscenze e competenze, strumenti e chiavi di lettura della realtà vuol dire porre le basi della loro cittadinanza, che vogliamo attiva e responsabile”. Le fa eco Boldrini : “Le fake news non sono goliardate, ma un pericolo per la nostra società”. Basta pensare a quelle sui vaccini, sulle cure mediche improvvisate o alle truffe online. La disinformazione, avverte la Presidente della Camera, “inquina il dibattito democratico, alterando l’opinione pubblica e violando il diritto delle persone a una corretta informazione. Per questa ragione è necessario che le istituzioni intervengano e mettano in campo misure e politiche per un uso responsabile econsapevole del Web”. Per ora i punti del ‘decalogo’ sono otto perché i due mancanti saranno stilati direttamente da studentesse e studenti attraverso uno strumento di scrittura cooperativa che il Miur metterà a disposizione delle scuole sul proprio sito. L’idea dà seguito all’accordo lanciato lo scorso maggio a Montecitorio fra Camera dei deputati e Ministero. Rivolto alle scuole secondarie di I e II grado per un totale di oltre 4,2 milioni di studenti, fa parte di un più ampio pacchetto di azioni per l’educazione civica digitale che il Miur sta mettendo in campo nell’ambito del potenziamento dell’offerta formativa previsto dalla legge 107/2015 (Buona scuola). Del progetto sono partner Rai, Federazione degli editori (Fieg), Confindustria e attori strategici come Facebook e Google, le piattaforme su cui circolano le fake news. “Molte luci e qualche ombra” è però il commento di Vania De Luca , vaticanista di Rainews24 e presidente nazionale dell’Unione cattolica stampa italiana (Ucsi). La definisce“una buona iniziativa, perché stimola l’analisi e la riflessione e tenta di offrire strumenti di verifica molto pratici per difendersi da tranelli”, ma allo stesso tempo si tratta di “‘attrezzi’ che fanno parte del background dei comunicatori di professione, segno di quella disintermediazione che ha toccato anche il nostro ambito dell’informazione”. Attenzione quindi, avverte, “a non caricare i ragazzi di eccessive richieste e responsabilità. Il decalogo pone il problema, è una buona base, ma da solo non basta. Occorre anche l’accompagnamento di esperti”.

Il decalogo contro le fake mews letto punto per punto con Vania De Luca

1. Condividi solo notizie che hai verificato Premessa importante, perché è un invito alla responsabilizzazione. I ragazzi devono sapere che condivisione fa rima con diffusione, e valutarne le conseguenze. 2. Usa gli strumenti di internet per verificare le notizie La verifica della notizia e delle fonti fa parte del bagaglio deontologico di un giornalista di professione; quella attraverso internet è una possibile strada, ma nei limiti dello strumento utilizzato. Chiare le indicazioni su cui procedere: motori di ricerca, siti di testate autorevoli, siti anti-bufale. 3. Chiedi le fonti e le prove È come dire: fidati solo delle fonti istituzionali e certificate, di soggetti informatori forti e autorevoli. 4. Chiedi aiuto a una persona esperta o a un ente davvero competente Mi sembra un po’ vaga nella formulazione. Qui si rivolge agli studenti una richiesta non da poco. È come dire loro: “Attrezzati per un’autoverifica delle fonti e della veridicità della notizia”, ma chi è la persona esperta o l’ente davvero competente? Si tratta di soggetti da individuare nelle scuole? Un filtro potrebbero essere docenti formati ad hoc, oppure si potrebbe pensare alla consulenza esterna di un giornalista. Diversamente, mi sembra si rimanga sul piano teorico. 5. Ricorda che anche internet e i social network sono manipolabili Qui si accende una spia luminosa, un valido avvertimento a non fidarsi. 6. Riconosci i vari tipi e gli stili delle notizie false Detto così, mi sembra si chieda troppo a dei ragazzi. Chi falsifica o manipola le news è talmente abile che a volte noi stessi, comunicatori di professione, facciamo fatica a distinguere. Non sempre i titoli o i toni usati sono urlati, allarmistici, poco credibili. L’avvertimento non basta se non è accompagnato dalla proposta di un percorso formativo che aiuti a riconoscere e smascherare bufale, diffusori di cattive notizie, provocatori seriali. 7. Hai un potere enorme, usalo bene Clic, “like” o condivisioni non sono neutri, innocui, hanno un peso e possono avere conseguenze serie. È un altro invito alla responsabilizzazione. 8. Dai il buon esempio: non lamentarti del buio ma accendi la luce Un invito a ispirarsi allo stile di chi fa buon giornalismo, si dice - ma attenzione: va bene diffondere buone notizie, però non siamo tutti giornalisti, né dobbiamo per forza diventarlo.  ]]>
Insulti sul web: fermiamo gli “odiatori” di professione https://www.lavoce.it/insulti-sul-web-fermiamo-gli-odiatori-professione/ Sat, 28 Oct 2017 08:00:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50352 Marini come Boldrini, come tante altre donne, uomini, istituzioni che sulla Rete vengono derisi (quando va bene), più spesso pesantemente insultati e minacciati. Anche di morte. La Presidente dell’Umbria su un famoso social network viene coperta di insulti per una sua foto, reagisce e invita fermare “i violenti del Web”. Una sollecitazione giusta, comprensibile e condivisibile. C’è da chiedersi se questi “violenti del Web” esistano soltanto nel mondo virtuale o se li incontriamo anche nella vita reale: in fila alla posta, al bar, in tram, al semaforo. Sono forse quelli che se ne infischiano di quando è il loro turno allo sportello e accampano scuse per saltare la fila? O quelli che quando lampeggia il giallo danno un colpo di acceleratore e ti sfiorano la macchina, evitando di un nulla di causare un incidente? O quelli che buttano cicche di sigarette in terra, o parlano a voce alta, o fanno colazione al bar impiastrando di caffè il giornale che il locale mette a disposizione dei clienti? Dovremo cercare, una buona volta, di capire a che ‘razza’ appartengono, questi ‘eroi’ del nulla che si nascondono dietro una tastiera per colmare, forse, una vita incompiuta, ricca solo di fallimenti e priva di soddisfazioni. Che non c’è niente di male, a vivere una vita non brillante: ma non è sfogando la propria rabbia sparando a raffica sul primo che capita, tra l’altro in maniera troppo spesso coperta da nomi di fantasia, che si rovescia in positivo il corso dell’esistenza. O che si trova sollievo alla rabbia repressa. Ma forse questo è un ragionamento troppo pacato, per questi ‘professionisti dell’odio’ che si arrogano il diritto di sputare sentenze sull’universo mondo, sul valore delle persone, sul loro aspetto fisico e sulla loro vita privata, senza metterci la faccia. E una firma. Serve una legge – che ancora non c’è – per far finire questo scempio, che è sociale più che mediatico. Ed è una battaglia che le persone di buon senso dovrebbero sentire come propria e portare avanti.

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Dibattiti “drogati” https://www.lavoce.it/dibattiti-drogati/ Tue, 15 Sep 2015 14:39:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43266 Il mondo ci rovescia addosso notizie preoccupanti. L’economia cinese minaccia una crisi che potrebbe diventare mondiale. Il sedicente Califfato islamico si spinge verso le sponde del Mediterraneo. Profughi e diseredati, oggi a decine di migliaia, domani forse a milioni, bussano alle porte dell’Europa, anzi entrano senza bussare.

Ma di che cosa discutono appassionatamente gli italiani? Del funerale dei Casamonica a Roma (“Potevano farlo? Non potevano farlo?”) e del fatto che Renzi è andato a New York con l’aereo di Stato apposta per assistere a una partita di tennis (“Doveva andarci? Non doveva andarci?”).

Due eventi di pura immagine, irrilevanti non solo per la storia futura, ma anche per la vita di oggi. L’esito di quella partita sarebbe stato lo stesso anche se Renzi l’avesse guardata in televisione, o non l’avesse guardata affatto. D’altra parte, lo Stato non è andato in rovina perché quel giorno Renzi era in gita all’estero invece che a farsi intervistare in Tv come al solito.

La famiglia Casamonica è da un pezzo al centro di un giro di affari a dir poco sospetti, e ci resterà, anche se avesse accompagnato il suo capo al cimitero all’alba, in silenzio e fra pochi intimi. Ecco il punto: l’opinione pubblica è attratta e “drogata” da non-notizie che per qualche ragione misteriosa scatenano le sue emozioni.

La facilità di lanciare e ricevere messaggi in pochi attimi e gratis spinge ciascuno a “dire la sua”, tanto meglio se si tratta di cose di cui non sa nulla e, se ne sa qualcosa, magari è sbagliato. Se si leggono i commenti che diluviano su internet si rimane stupefatti della superficialità e della volgarità generali.

Però i governanti, sempre a caccia di consenso, si lasciano facilmente condizionare da quelle che sembrano le opinioni dominanti; e tutto questo viene chiamato “democrazia”. Ma la democrazia vera è un’altra cosa e richiede serietà e riflessione. Detto questo, se mi chiedete se Renzi ha fatto bene ad andare a New York con l’aereo di Stato per una partita di tennis, la mia risposta è no. Un uomo di governo ha altro da fare.

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Non è affatto una droga “leggera” https://www.lavoce.it/non-e-affatto-una-droga-leggera/ Thu, 23 Jul 2015 09:56:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39935 cannabisUn dibattito sbagliato e dalle conseguenze potenzialmente imprevedibili. Così le associazioni di matrice cattolica e quanti operano nel contrasto alle dipendenze bollano l’iniziativa bipartisan, illustrata il 15 luglio in conferenza stampa a Montecitorio, circa la legalizzazione della cannabis.

Secondo la proposta di legge, che vede promotore l’ex radicale Benedetto Della Vedova, senatore e sottosegretario agli Esteri, la cannabis si potrà vendere nei negozi con la licenza dei Monopòli di Stato, coltivare in casa e fumare in luoghi privati.

In più, non sarà punito il possesso fino a 5 grammi (15 in casa) “per uso ricreativo”, purché si sia maggiorenni. Consentiti, infine, i “Cannabis Social Club” per la coltivazione. Permangono, invece, i divieti per il consumo nei parchi e negli altri luoghi pubblici, come pure per la guida in stato di alterazione.

“È una sconfitta: la legalizzazione moltiplicherà le dipendenze nei nostri giovani”, commenta Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, rimarcandone la posizione “costante” – fin dai tempi del fondatore, don Oreste Benzi – contro ogni droga. “Rendere legale l’assunzione di cannabis diventerà una ‘norma di vita’ che produrrà una ferita ai nostri giovani, che non hanno bisogno di sballo ma di valori, cultura, lavoro, sport”.

Ramonda ricorda che “buona parte di quanti arrivano a dipendenze pesanti sono partiti proprio dalla cannabis”. Mentre il dibattito si anima tra chi ritiene che la legalizzazione rappresenti un favore alle mafie e chi, invece, sostiene l’esatto opposto, il responsabile della Comunità ammonisce che “il mercato criminale non si sconfigge con la legalizzazione, anzi. Lo vediamo con la prostituzione, che laddove è stata legalizzata, come in Olanda, resta comunque appannaggio del mercato criminale, che continua a fare affari”.

No pure alla proposta del leader della Lega, Salvini, di legalizzare la prostituzione. Assurdo – obietta Ramonda – “dal momento che stiamo parlando di violenza ai danni delle donne, di una brutalità bestiale”.

Il quotidiano Avvenire, in un corsivo, mette in luce “la rischiosità di una mossa che ignora le ricadute educative e sociali della cannabis: se resta vietato guidare sotto l’effetto di uno spinello, per dirne una, non sarà che c’è una pericolosa alterazione della psiche?”. Osservando oltretutto che alle “fantasie di 218 parlamentari” non si sono accodati “i quattro quinti dei legislatori”.

“Uno Stato che rende lecito un comportamento dannoso non fa il bene dei propri cittadini, e di questo se ne deve assumere la responsabilità”, annota Paola Ricci Sindoni, presidente nazionale dell’associazione Scienza & Vita. “Sono noti gli effetti deleteri di questa droga, chiamata falsamente ‘leggera’, e l’espressione ‘per uso ricreativo’ è una ingenuità ipocrita che nasconde dietro alle parole le drammatiche conseguenze del suo uso irresponsabile. Allo stesso modo, liberalizzare tout court evoca un messaggio pericoloso: che la droga non faccia male e che lo spinello, in fondo, sia innocuo. Un conto – prosegue – è prescrivere farmaci cannabinoidi in determinate condizioni di gravi disturbi, tutt’altro è giocare in maniera volutamente ambigua con la scarsa dimestichezza dei non addetti ai lavori, e contrabbandare la cannabis come panacea in grado di curare le più svariate patologie”.

Di proposta “assurda” e “insensata” parla Roberto Mineo, presidente del Ceis “Don Mario Picchi”, organizzazione impegnata nel combattere l’esclusione sociale, in particolare dei giovani. “I veri problemi che il Parlamento dovrebbe affrontare sono altri”, tuona Mineo, chiedendosi se “chi fa questa proposta è consapevole di cosa stiamo parlando. È sempre una droga, e oltretutto non più ‘leggera’. Rispetto alla cannabis degli anni Ottanta – chiarisce – ora il principio attivo è stato geneticamente modificato, per cui gli effetti dannosi sono maggiori, più gravi e permanenti”.

In prospettiva, il presidente del Ceis teme che possa succedere come con la liberalizzazione del gioco d’azzardo. “Abbiamo 1.800.000 giocatori patologici grazie alla liberalizzazione dell’azzardo, con una criminalità organizzata ancora più agguerrita e un costo sociale elevato, e lo stesso accadrà se passa questa sciagurata proposta”.

Contrario è pure don Armando Zappolini, presidente del Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza), poiché “si riporta la discussione su un piano ideologico, distraendosi da quella che è la vera urgenza, ossia mettere mano alle legge quadro sulle droghe, che risale al 1990, mentre oggi ci troviamo di fronte a nuove dipendenze da sostanze, come pure altre che non derivano da sostanze, ad esempio internet e il gioco d’azzardo patologico”. Sono queste, ad avviso del presidente del Cnca, le “vere urgenze che chiedono oggi una risposta”.

 

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Social-polarizzazioni ai tempi di Facebook https://www.lavoce.it/social-polarizzazioni-ai-tempi-di-facebook/ https://www.lavoce.it/social-polarizzazioni-ai-tempi-di-facebook/#comments Wed, 15 Jul 2015 09:54:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=38957 facebookSono tempi, questi, di grandi discussioni collettive: famiglia, scuola, migranti. È utile proporre una riflessione sulle dinamiche comunicative all’interno delle quali tali dibattiti si inseriscono.

Pur permanendo uno spazio di risonanza sui media classici (che però sembrano sempre più rivestire un ruolo limitatamente assertivo), è palese come il fermentare di notizie e controversie abbia cittadinanza all’interno del mondo social.

È una realtà evidente per chi li “abita”, quanto escludente per i pochi che – pur per ragioni legittime – provano a decifrare la polis come se questa rivoluzione della comunicazione e del pensiero non fosse avvenuta.

“Mi piace”… cosa?

Il mondo social investe chi lo abita di due funzioni: quella di poter dire la propria, e quella di potersi informare per poter dire la propria. Se sul “dire la propria” si è discusso e scritto, è sul potersi informare che vale la pena spendere qualche pensiero.

Chi usa Facebook sa che gran parte del tempo passato su questo social consiste nello scorrere la bacheca della home, dove compaiono gli stati, le condivisioni degli amici, ma anche gli aggiornamenti delle agenzie informative – soprattutto testate on line e blog – sulle quali l’utente ha cliccato mi piace.

Questo processo pare innocuo: cliccherò mi piace su ciò che mi interessa per seguirne gli aggiornamenti, il negozio di chitarre, ad esempio, e non cliccherò mi piace sul negozio di découpage.

Lo stesso processo diventa però cruciale se dal negozio di hobbistica si passa alla fonte informativa su temi importanti. Facciamo un esempio attuale.

Ipotizziamo due utenti Facebook, fortemente interessati ai temi messi in campo dal recente Family Day, ma con visioni antropologiche e appartenenze culturali del tutto opposte. Senza allontanarci troppo dal vero, possiamo prevedere che ciascuno metterà mi piace e quindi seguirà blog o quotidiani coerenti con la propria visione, aumentando così nel tempo fonti monocolore, in modo proporzionale al grado di militanza dall’una e dall’altra parte.

Ovviamente ci sarà anche chi per libertà personale avrà nella sua home fonti di segno opposto, ma è innegabile che mettere mi piace a una testata o blog di segno opposto alla propria appartenenza costituisca una soglia psicologica non irrilevante.

In sintesi, maggiore sarà l’uso e la cittadinanza nel proprio mondo di riferimento, maggiore sarà il modellarsi della propria “socialsfera” alla propria visione culturale. L’ambiente in cui ci si troverà gradualmente a navigare, come un guanto, aderirà in modo sempre più armonico con la propria verità, sempre più confermata.

E allora che succede?

Fin qui si è semplicemente descritto un dato di realtà. Ma quali le implicazioni? Non ci vuole molto. Il livello di polarizzazione tra posizioni distanti sale alle stelle, e la possibilità di un confronto che abbracci la complessità di posizioni diverse diventa arduo.

Per cattiva volontà dei social-cittadini? No, ci mancherebbe. Ma per un processo tanto semplice quanto inevitabile: un sistema personale così auto-costruitosi nel tempo, su misura dell’utente, non lascia spazio a dubbi o possibilità dal mettere in crisi le proprie idee.

Facciamo un altro esempio. Poniamo la possibilità di disporre di due profili sperimentali, uno pro-vita, uno pro-Lgbt, maturi ed espansi, ossia ben caratterizzati dal mondo culturale di riferimento in termini di amicizie e mi piace. Poniamo la possibilità di una consultazione da parte terza delle due diverse narrazioni sul tema gender per quanto postato da amici e agenzie di informazione.

Quale sarebbe il risultato? Di sicuro, quello di due narrazioni comunque solide. Il problema ovviamente è che nessuno dispone abitualmente di questo Dottor Jekyll & Mr. Hyde (a prescindere da quale sia la parte buona e quella cattiva).

Molto più realisticamente, esistono sì utenti social che per storia, disponibilità e anche libertà riescono, seppur parzialmente, ad abbracciare uno spettro non polarizzato di posizioni, ma sono – ne restiamo convinti – la minoranza. È alta la sensazione che un “contenitore informativo” così determinato contribuisca non poco alla polarizzazione estrema che sembra investire i dibattiti più caldi di questo periodo.

Conclusioni

Già dalle prime righe sentiamo il levarsi di scudi dei social-cittadini schierati sì, ma liberi, critici e informati. Nessuna paura, ci mancherebbe che non si desse spazio a questa opzione. Il problema è capire quale sia la tendenza di base che investe la maggioranza degli utenti.

Rimane il dubbio che anche i più consapevoli tendano a drenare le proprie occasionali perdite di certezze o a ovattare l’insorgenza di dubbi mediante condivisioni da fonti che blocchino prontamente ogni cedimento all’autocritica.

Spesso la formula ricorrente è la stessa: condivisione di un articolo a rinforzo delle proprie certezze, magari introdotto da due-tre righe di commento personale e quindi pletora di commenti degli amici, spesso e volentieri in un crescere di radicalismo.

Perché poi il dato che rimane è questo: c’è più dialogo, più possibilità di confronto in queste praterie che sembrano essere sconfinate? A nostro parere, non tanto, o perlomeno, una maggiore consapevolezza gioverebbe un po’ a tutti. Soprattutto capire se al primo posto venga l’affermazione della mia-verità-a-prescindere o la dignità della mia-verità-che-sappia-interrogarsi-per-diventare-relazione.

Un’ultima chiosa. Le agenzie informative fanno il loro mestiere. Noi utenti comuni recepiamo informazioni, assumendole nel nostro corredo di fonti. Ma spesso ciò avviene senza quella specifica formazione, che permette di cogliere a fondo criteri e concetti sui quali nascono le stesse informazioni.

Ne siamo quindi fruitori, beneficiari ma anche vittime. Va anche ricordato come questa fase nuova della circolazione delle idee usufruisca di contenitori comunque privati. Perché i social sono di due, tre nel mondo, e questo non li rende una cosa neutra (Twitter ad esempio segue logiche del tutto diverse, con implicazioni ulteriori).

Immaginiamo come cambierebbero milioni di relazioni personali se un giorno Zuckerberg decidesse di inserire il tasto non mi piace. Ma questo è un ulteriore discorso.

 

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https://www.lavoce.it/social-polarizzazioni-ai-tempi-di-facebook/feed/ 4
Parliamo a una Voce sola https://www.lavoce.it/parliamo-a-una-voce-sola/ Thu, 02 Jul 2015 09:37:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=37133 Un momento dell’incontro degli “Amici de La Voce”
Un momento dell’incontro degli “Amici de La Voce”

“Che Voce avremo domani?”. Con questa citazione, tratta dal numero scorso del nostro settimanale, si è aperto l’intervento del card. Gualtiero Bassetti sabato 27, presso il chiostro della cattedrale di Perugia, all’annuale incontro degli Amici de La Voce.

Era presente una rappresentanza qualificata delle redazioni del settimanale, dei collaboratori di ieri e di oggi, e dei più fedeli abbonati e sostenitori.

Il tema del futuro de La Voce, e del modo in cui portare avanti la sua missione di informazione, educazione, evangelizzazione, è stato al centro dei diversi interventi, che spaziavano dall’aspetto contenutistico a quello materiale (carta, supporti digitali) a quello economico-amministrativo.

L’Arcivescovo ha anzitutto sottolineato lo stile che deve caratterizzarci: “L’amicizia è un valore umano e spirituale sempre necessario, oggi che viviamo in un terribile clima di divisione. Trovo nelle pagine de La Voce tanta parresìa, tanta libertà di parola, ma sempre cercando di creare un clima di amicizia. Come direbbero a Firenze, è uno ‘svegliarino’; soprattutto don Elio, con i suoi editoriali, non ci lascia dormire sonni tranquilli. La Voce settimanalmente abbatte muri e costruisce ponti”.

Un altro aspetto rilevato è quello politico, inteso come interesse alla polis , alla società. L’on. Giampiero Bocci ha ricordato di aver spesso ascoltato “politici di diverso schieramento che, a turno, se la prendevano con don Elio” perché lo avrebbero voluto appiattito sulle proprie posizioni. Bassetti gli ha fatto eco citando la famosa frase del vescovo brasiliano Hélder Camara: “Se do da mangiare ai poveri, mi applaudono. Se chiedo quali sono le cause della povertà, mi accusano di essere comunista”.

È quindi intervenuto il Direttore stesso, ricordando che portare avanti il giornale “costa tanto lavoro, sacrificio, anche sofferenza. La Voce è bene inserita nel nostro tessuto popolare, ma bisogna rinsaldare il sentire comune, rivitalizzare l’associazione dei suoi Amici. Non è affatto un ‘giornalino clericale acido’ come vorrebbe qualcuno.

È espressione di una piccola regione che, se non saprà tenersi insieme, magari scomparirà dentro una macro-regione. Sul piano ecclesiale, dovremmo essere sempre più ‘otto Chiese, una Voce’, valorizzando il settimanale come veicolo in cui si incontrano le molteplici attività locali, che a volte possono apparire un po’ slegate. Vorremmo trasmettere un messaggio di appartenenza facendo uno sforzo di coerenza, sobrietà, serenità.

L’Umbria è una regione ricchissima di comunità religiose, chiese, monasteri, santi: non mettiamo sotto il moggio [cfr. Mt 5,15] questa ricchezza! Vogliamo essere un segno visibile che dia speranza e volontà di ricominciare all’intera regione”.

Insieme a Vincenzo Alberati dell’ufficio amministrativo si è quindi fatto il punto sulla situazione economica. Questi ultimi anni sono stati tremendi per la stampa, anche se La Voce regge meglio rispetto alla media nazionale. Negli ultimi cinque anni, ad esempio, la pubblicità sui giornali è diminuita del 50%, ma per noi “solo” del 22%. La Voce ha perso sì il 10% degli abbonati in questi ultimi anni, ma le vendite di altre pubblicazioni sono crollate di metà o anche di più rispetto al passato.

Alberati e don Elio hanno inoltre ricordato che una forza spesso trascurata de La Voce è rappresentata dalla pubblicazione di opuscoli (sulla Pasqua, su Papa Francesco, ecc.) che tirano fino a 70.000 copie. Con un maggiore sforzo, si potrebbe raddoppiare la cifra, e – ha aggiunto il Direttore – “questo risultato capillare che si riesce a ottenere con gli opuscoli, andrebbe ottenuto anche con il settimanale. Ci sono zone in cui non riusciamo ad arrivare, in cui si resta ancora indifferenti a tutto ciò che non coincida con il proprio orticello. Eppure concordo con chi afferma che, in tempo di crisi, occorre investire”.

A seguire, le proposte per migliorare il giornale, ad esempio “posizionarsi” in modo più chiaro sul mercato editoriale, e aumentare la quantità di materiale fresco e riflettuto rispetto al copia-incolla di comunicati stampa. Inoltre, data l’età media degli umbri, e dei nostri lettori, le innovazioni tecnologiche, le varie versioni su internet e tablet, non potranno sostituire del tutto il buon vecchio giornale cartaceo.

In conclusione, l’appello di don Elio: “In questa regione c’è una forte presenza della Caritas. Resta però spesso negletta la carità intellettuale, per cui si offrono tanti panini ma poche idee. Offriamo idee!”.

 

27/06/2015 – Foto di Andra Coli

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Elezioni regionali. Nemico comune: l’astensionismo https://www.lavoce.it/nemico-comune-lastensionismo/ Thu, 28 May 2015 08:55:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34317 elezioni-regionaliCatiuscia Marini, oppure Claudio Ricci. Ma avranno un grande peso, nell’esito finale, i consensi verso Andrea Liberati del Movimento 5 stelle, e soprattutto l’incognita – anzi l’incubo, per tanti candidati – dell’astensionismo, che potrebbe diventare il primo “partito” in Umbria.

Si dovrebbe giocare su questi fattori la poltrona di presidente della Regione Umbria per il prossimo quinquennio.

La legge elettorale regionale, tanto contestata, non prevede ballottaggi: quindi governerà chi prenderà più voti in percentuale. Basterà ottenere la maggioranza relativa per ottenere la maggioranza assoluta e guidare magari l’Umbria verso una sua aggregazione con un’altra Regione.

L’ultima settimana di campagna elettorale ha portato i big nazionali in Umbria nella convinzione – solo presunta – di suscitare qualche entusiasmo in più nell’elettorato, stanco e demotivato da una delle campagne elettorali meno coinvolgenti degli ultimi anni.

Silvio Berlusconi e Claudio Ricci
Silvio Berlusconi e Claudio Ricci

E così è arrivato ad Assisi, a sostegno di Claudio Ricci, Silvio Berlusconi , il quale si è pure rivolto a san Francesco per tentare di ripetere il “miracolo” del 2000 che portò, con il risultato delle regionali, a scalzare Massimo D’Alema da premier.

L’auspicio è che anche l’attuale primo ministro, Matteo Renzi – se sconfitto – vada a casa, perché, come al solito, il risultato delle regionali, nel nostro Paese, può influenzare la maggioranza politica che governa a livello nazionale.

Il leader di Forza Italia ha inoltre sottolineato che Ricci “ha già ottenuto un primo successo riuscendo, come prima Regione, a mettere insieme tutto il centrodestra”, osservando che “non è stato così facile, perché purtroppo la situazione attuale del centrodestra disorienta molti nostri, anche antichi, elettori”.

Nel frattempo è arrivato lo stesso Renzi a Perugia per sostenere Catiuscia Marini. “L’Umbria – ha detto il premier – è stata ben governata da Catiuscia Marini nei precedenti cinque anni.Lunedì prossimo Catiuscia sarà di nuovo alla guida di questa regione, amata da tutta l’Italia, di cui è il centro geografico e da cui è possibile una ripartenza per tutto il Paese”.

Catiuscia Marini, Matteo Renzi e Giacomo Leonelli
Catiuscia Marini, Matteo Renzi e Giacomo Leonelli

Ha pure ricordato quando, con il suo gruppo scout, venne a Nocera Umbra dopo il terremoto del 1997: “Mi resi conto in quella situazione di quanto questa terra fosse nel cuore di ogni italiano, che qui aveva una casa, un parente, una fidanzata. Vederla dall’elicottero mi ha fatto commuovere”.

Ma Renzi, premier ma anche segretario nazionale Pd, ha lanciato un monito: “C’è bisogno che non la diamo per vinta, l’Umbria. Qui c’è da lavorare”, fino all’ultimo, ha ricordato.

“Allora istruzioni per l’uso: prendere telefonino in mano, controllare la rubrica, fare l’elenco di persone da contattare” e “raccontiamo che nella scommessa di Catiuscia c’è la scommessa di tutti voi”.

 

I candidati:

FULVIO MAIORCA “No all’aborto, e aboliamo le Regioni”

Supportato dalla lista “Forza nuova”, Fulvio Carlo Maiorca, nato a Pisticci (Matera) nel 1937, è avvocato del Foro di Perugia. Tra le sue proposte c’è quella dell’abolizione delle Regioni e la devoluzione delle loro competenze e prerogative alla Provincia, nel quadro di un progetto di sviluppo politico dell’autonomia locale.

Per la rinascita dell’Umbria, afferma, è necessario il “richiamo dei giovani di buona volontà alle loro scelte vocazionali, per creare professionisti, artigiani, commercianti, agricoltori, allevatori che si sposino, abbiano figli, riempiano l’Umbria e siano di esempio e guida anche ai giovani immigrati i quali, per sopravvivere dignitosamente, dovranno essere preparati alla nostra cultura. E pertanto, stop immediato all’aborto e a tutte le pratiche abortive; via libera agli aiuti alle famiglie; applicazione piena dell’art. 31 della Costituzione”.

La copertura finanziaria di tali provvedimenti dovrà essere ricavata dalla riduzione dei costi della politica, dall’eliminazione delle spese inutili o superflue, di consulenze e uffici per gestire attività fantasma.

CATIUSCIA MARINI “Più fondi a sostegno delle imprese”

La Presidente uscente si avvale del supporto di 4 liste: Pd, “Umbria più uguale – Sinistra, ecologia libertà – La sinistra per l’Umbria”, “Socialisti riformisti – Territori per l’Umbria” e “Iniziativa per l’Umbria civica e popolare”.

La Marini è nata a Todi nel 1967, laureata in Scienze politiche con indirizzo internazionale. Dal 1998 al 2007 è stata sindaco di Todi per due mandati consecutivi. Nel 2007 è stata assunta come dirigente di Legacoop Umbria. Tra il 2008 e il 2009 è stata parlamentare europea. Nel 2010 è stata eletta presidente della Regione.

In tema economico, nel programma di Marini si parla di “700 milioni di euro nei prossimi anni a sostegno delle imprese agricole, industriali, dell’artigianato, del turismo, del commercio e dell’economia sociale”, di “237 milioni di euro di Fondo sociale europeo per favorire: occupazione giovanile, ritorno al lavoro dei disoccupati, riduzione delle povertà e miglioramento delle competenze dei lavoratori e delle persone”.

CLAUDIO RICCI “Case popolari, zero sprechi, sicurezza”

 

Ha sei liste in appoggio: “Ricci presidente”, “Per l’Umbria popolare con Ricci”, “Cambiare in Umbria con Ricci”, “Fratelli d’Italia – Alleanza nazionale – Ricci presidente”, Lega nord e Forza Italia. Ricci è nato a Perugia nel 1964. È ingegnere, e dal 1997 ricopre ruoli amministrativi ad Assisi, di cui è stato sindaco dal 2006 al 2015.

Tra i punti del programma riguardanti l’economia, “realizzare più case popolari assegnandole, con alcuni parametri di priorità, a chi risiede in Umbria da almeno 10 anni e dando prevalenza a famiglie numerose e con disabili”; “risparmiare nei primi 3 anni almeno il 10% (del bilancio disponibile) azzerando gli sprechi per ridurre le tasse regionali”; “l’utilizzo gratuito di internet per tutti e in particolare per imprese e giovani”. Tra gli altri punti del programma: “Priorità alla sicurezza, finanziando di più la legge regionale sulla sicurezza. Sviluppare sistemi di videocamere e centrali di controllo attive 24 ore su 24 e sostenere le associazioni di volontari per la sicurezza (al servizio delle polizie locali)”.

MICHELE VECCHIETTI “Un’alternativa reale, antiliberista, di sinistra”

È appoggiato dalla lista “L’Umbria per un’altra Europa”. Nato a Terni nel 1981, è laureato in Filosofia e ha un master in Cooperazione internazionale. Ha lavorato come operatore sociale e insegnante; attualmente è un precario del pubblico impiego.

Si propone come “un’alternativa reale, antiliberista, democratica e di sinistra, rispetto al consociativismo del centrosinistra e del centrodestra, responsabile della ‘crisi nella crisi’ della nostra regione, e della subalternità alle scelte sciagurate del governo Renzi e dell’Europa delle banche”.

Nel suo programma vi è, tra l’altro, un “piano regionale per il contrasto alla povertà, che preveda la sperimentazione di forme di reddito minimo garantito, per inoccupati e disoccupati non coperti da ammortizzatori sociali”, e un “piano regionale per il lavoro, quale strumento con cui concentrare le risorse disponibili, tanto di provenienza regionale che di natura nazionale e comunitaria”, oltre al “blocco degli sfratti per morosità incolpevole”.

SIMONE DI STEFANO “La Ast va salvata nazionalizzandola”

 

È supportato dalla lista “Sovranità – Prima gli italiani”. Di Stefano, nato a Roma nel 1976, è vice presidente nazionale del movimento politico di destra Casapound. Tra i temi principali del suo programma “sicuramente lavoro e sicurezza. L’Umbria è una regione particolare, perché i suoi problemi sono emblematici di situazioni gravi anche a livello nazionale. Pensiamo alle Acciaierie di Terni, con famiglie intere di operai abbandonate a se stesse per colpa di un Governo asservito alla Ue a alle lobby finanziarie, che intende procedere verso lo smantellamento del comparto siderurgico italiano.

Noi siamo per la nazionalizzazione, per l’intervento pubblico, per una public company partecipata da capitale della Regione perché dobbiamo essere padroni delle Acciaierie e non lasciare che i tedeschi le facciano fallire”. Tra le proposte, lo “stop all’immigrazione. In una nazione che ha il 50% di disoccupazione giovanile, non possiamo accogliere altre persone. Non possiamo destinare quei famosi 35 euro al giorno agli immigrati. Dobbiamo destinare quei fondi alla sicurezza”.

AMATO JOHN DE PAULIS “Ecco come fermare i racket criminali”

 

È appoggiato dalla lista “Alternativa riformista”. De Paulis è nato a Wilmington (Delaware, Usa) nel 1950. Biologo e medico veterinario, ha ricoperto ruoli di vertice e rappresentativi di numerose associazioni di veterinari umbri. Tra i punti più caratterizzanti del programma: “Legalizzazione e auto-coltivazione regolamentata della cannabis nonché legalizzazione, controllo sanitario e tassazione della prostituzione: le uniche vie praticabili per spezzare il crimine organizzato e la violenza associata” e “riconoscimento degli animali d’affezione come membri effettivi del nucleo familiare, tutelando i loro diritti”.

Per quanto riguarda la sanità: “Riduzione del ticket sanitario attraverso l’accorpamento delle due Asl in un’unica struttura regionale” e “costituzione di un unico centro acquisti regionale di farmaci, attrezzature e di materiale sanitario”.

In tema economico punta, tra l’altro, sulla “formazione professionale” e sull’utilizzo delle aree agricole demaniali dismesse anche a favore dell’occupazione giovanile.

AURELIO FABIANI “I due problemi sono lavoro e povertà”

 

Lo sostiene la lista “Casa rossa – Partito comunista e dei lavoratori”. Fabiani è nato a Spoleto nel 1955. Nei suoi interventi ha affermato che “in Umbria, come in tutto l’Occidente, oggi i problemi sono due: il lavoro e la povertà. Questi sono originati da grandi gruppi finanziari che hanno causato la crisi e l’hanno poi scaricata sui Paesi più deboli e sui ceti sociali più deboli.

“Anche in Umbria dobbiamo rispondere in tema di lavoro e di povertà. Una vera forza comunista è fondamentale per questo. Da quando essa manca, non l’Umbria, ma i poveri e i lavoratori dell’Umbria hanno subìto un vero massacro sociale. Ci vuole una svolta politica, e l’unico progetto utile è unire le forze che in Umbria si oppongono a questa Europa capitalista delle banche e delle multinazionali che ci strozzano e ci rubano lavoro”. Fabiani ha posto l’accento anche sul fatto che è necessario destinare risorse per l’occupazione “tagliando consulenze e appalti clientelari, per dirottare il tutto per creare lavoro”.

ANDREA LIBERATI “Lotta senza quartiere alla corruzione”

 

È il candidato della lista del Movimento 5 stelle. Liberati è nato a Terni nel 1976; è giornalista, laureato in Scienze politiche e negli ultimi anni, ricoprendo ruolo di vertice locale di “Italia nostra”, ha sollevato le principali questioni ambientali della Conca ternana (tra le quali le contaminazioni di suolo, aria, acqua e cibo e l’ampliamento della discarica Ast).

Nella campagna elettorale di Liberati è stata centrale la lotta alla corruzione. C’è una “gigantesca questione morale che attanaglia l’Umbria ormai da decenni. Una vera e propria cappa che impedisce lo sviluppo della nostra Regione, preda di interessi privatistici lontani anni luce dal bene comune e dagli interessi dei cittadini”.

Tra i principali punti del programma, “il reddito di cittadinanza regionale: 780 euro al mese per disoccupati, inoccupati e pensioni minime. Sgravi fiscali alle imprese virtuose che producono utilità sociale ed eccellenza nel mondo attraverso il reperimento di risorse da una spending review generale”.

 

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Connessione di cuori https://www.lavoce.it/connessione-di-cuori/ Fri, 15 May 2015 08:27:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=33430 Volontari e operatori aiutano nella rimozione delle macerie dopo il terremoto in Nepal
Volontari e operatori aiutano nella rimozione delle macerie dopo il terremoto in Nepal

Colletta per la solidarietà ai nepalesi nelle parrocchie italiane domenica 17 maggio, nella solennità dell’Ascensione del Signore che è anche Giornata mondiale per le comunicazioni sociali sul tema “Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell’incontro nella gratuità dell’amore”.

La colletta l’hanno voluta i Vescovi ma sta già nel cuore dei cattolici italiani, nella sensibilità di coloro che partecipano all’eucaristia domenicale. “Colletta” significa mettere insieme, condividere, collegarsi. Domenica sarà una connessione reale, una colletta reale di relazione di carità con i nepalesi.

“La Presidenza della Cei – si legge nel messaggio -, a nome dei Vescovi italiani, rinnova profonda partecipazione alle sofferenze delle popolazioni del Nepal provate dal terribile terremoto che ha provocato migliaia di morti. A causa della straordinaria gravità del sisma, dopo lo stanziamento di 3 milioni di euro dai fondi dell’8 per mille disposto nei giorni scorsi, la Presidenza indìce una colletta nazionale, da tenersi in tutte le chiese italiane domenica 17 maggio, come segno della concreta solidarietà di tutti i credenti”.

A dire la verità, questa Chiesa italiana, questi cattolici italiani, queste parrocchie sono davvero “con le mani bucate”: non c’è domenica senza un banchetto fuori dalle porte della chiesa che propone un gesto di carità e solidarietà verso gli immigrati, verso un’associazione di volontariato per i malati di cuore, della Sla, dei portatori di handicap, per i poveri che bussano alle porte delle canoniche, per le scuole materne, per i gruppi parrocchiali, scout o Azione cattolica. Anzi, anche le associazioni laiche di emanazione non cattolica hanno capito che lì, proprio in quelli che alcuni indifferenti considerano bigotti, palpita un cuore generoso. E come se non bastasse, ogni domenica arrivano in Chiesa mamme e papà con i loro figli che portano pesanti borse della spesa. E poi vi sono il gruppo Caritas o della San Vincenzo che pensano anche agli affitti dei bisognosi.

Nel cuore di questi cattolici praticanti vi è spazio per tutti, anche per i lontani, perché con le Giornate missionarie si sono abituati a pensare in termini “cattolici”, vale a dire mondiali, universali. Questa domenica troveranno attenzione anche i terremotati del Nepal. I volti di bimbi e mamme, di case sventrate, i feretri di migliaia di morti che hanno reso i superstiti familiari, membri di casa nostra, della nostra famiglia.

È il potere positivo della comunicazione, della tv e di internet. I nepalesi non ci sono più estranei, forestieri, stranieri. Sono nostri amici. Ci pare di conoscerli da sempre; le loro famiglie sono le nostre famiglie. Non possiamo girarci dall’altra parte. Abbiamo visto, sappiamo. Internet, con diversi media, ci ha messi in connessione. Chiamano il Web “connessione di intelligenze”. In realtà è connessione di cuori, di emozioni che vincolano e incoraggiano alla solidarietà. Il trionfo di una comunicazione di bene, che genera relazioni quasi di famiglia tra noi e i nepalesi, è una felice coincidenza nella Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, voluta dal Concilio Vaticano II ma ancora troppo trascurata dalle nostre parrocchie.

È la 49a Giornata mondiale. Ha per tema la famiglia, oggi piuttosto bistrattata dai media, dal pensiero conforme e dominante. I cattolici ne dovrebbero prendere atto e amare la loro stampa, i loro siti. Invece non è sempre così. Eppure, anche fare informazione è un atto di carità verso lo spirito, perché non si ammali. Spesso anche a noi cattolici pare che la carità “delle cose” sia più importante della carità dello spirito. Nel ricordare la colletta per il Nepal, sottolineiamo invece che essa avviene per merito della comunicazione in generale, e della comunicazione dei nostri settimanali che proprio ai cattolici si rivolgono.

 

Caritas italiana in Nepal

Caritas italiana è presente in Nepal ed è sostenuta negli interventi da Caritas India e da tutta la rete internazionale. Le priorità restano cibo, acqua e riparo. Si sta cercando di fornire anche un sostegno psico-sociale. Finora sono state raggiunte circa 4.000 famiglie. Sono state già distribuite 10.000 tende e 3.000 teloni cerati. Caritas Nepal ha lanciato un piano di intervento organico in favore di 20.000 famiglie (circa 100.000 persone) per i prossimi due mesi, con un costo di oltre 2,5 milioni di euro.

Il piano prevede la distribuzione sia di kit per alloggi temporanei (teloni, corde, materassini, coperte) sia materiale igienico-sanitario e generi non alimentari di prima necessità (lampade a energia solare, pentole e utensili da cucina; pastiglie per la potabilizzazione dell’acqua). L’intervento è rivolto alle famiglie le cui abitazioni sono crollate o gravemente danneggiate.

 

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Le “Apette” dell’Alveare di Santa Rita a lezione di web sicuro https://www.lavoce.it/le-apette-dellalveare-di-santa-rita-a-lezione-di-web-sicuro/ Wed, 13 May 2015 14:06:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=33306 web-sicuro“Per un web sicuro” è il tema della campagna nazionale, giunta alla 4a edizione, che si propone di informare le famiglie sull’uso responsabile della rete. Venerdì 15 maggio, presso l’Auditorium Santa Chiara di Cascia (Perugia), in via Santa Chiara, le “Apette” dell’Alveare di Santa Rita – ovvero le ragazze provenienti da famiglie in disagio, ospiti della casa d’accoglienza del Monastero Santa Rita da Cascia – insieme agli studenti dell’ Istituto omnicomprensivo statale “Beato Simone Fidati” di Cascia incontreranno, dalle 10 alle 13, un team di esperti, che li guiderà nella conoscenza dei pericoli del web e fornirà loro utili consigli per navigare in sicurezza.

La quarta edizione dell’iniziativa, promossa da Moige e Polizia Postale e della Comunicazioni in collaborazione con Trend Micro, Google, Hp, Vodafone e Cisco, si arricchisce così della prestigiosa partecipazione della Fondazione Santa Rita da Cascia onlus, da sempre impegnata nell’accoglienza di giovani bisognosi d’aiuto.

L’iniziativa “Per un web sicuro” coinvolge 70 scuole medie in 15 regioni d’Italia. In Umbria c’è anche la scuola media statale “Leonardo da Vinci e O. Nucola” di Terni. In tutto il territorio nazionale sono coinvolti circa 23.000 studenti e 50.000 tra docenti, genitori e nonni, a cui si aggiungono le oltre 30.000 famiglie che parteciperanno attraverso i coordinamenti territoriali del Moige. Durante la formazione, ciascun docente ha preso confidenza con le nozioni sull’uso consapevole del web e il kit multimediale di supporto. Successivamente, nel corso degli open day con ragazzi e adulti i professori saranno affiancati da un esperto della Polizia di Stato, o da ambassador Cisco e Hp, e distribuiranno i materiali informativi con pratici consigli per navigare in sicurezza. Agli studenti è inoltre riservato un concorso a premi in cui saranno chiamati a rappresentare, con una foto, un disegno o un video, il tema della sicurezza online. I 5 istituti vincitori si aggiudicheranno materiali informatici utili alla didattica.

 

I DATI

Stando ai dati forniti dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni, nel 2014 i reati di cyberbullismo che hanno come vittime i minori sono 345. I più colpiti sono i ragazzi di età compresa tra i 14 e i 17 anni con 238 casi. Gli illeciti più diffusi sono il furto di identità sui Social Network che comprende 1/3 delle vittime totali (114 casi), seguiti dalla diffamazione online (82) e dalle ingiurie via e-mail (41).

L’indagine “La dieta mediatica dei nostri figli” evidenzia un uso costante, ma non sempre consapevole, della rete da parte dei minori. Navigano abitualmente 9 ragazzi su 10 e un quinto di loro afferma di restare connesso per più di 3 ore al giorno. Tra coloro che dispongono di un computer a casa il 32% ha una postazione per connettersi dalla propria stanza; un’abitudine maggiormente diffusa tra i ragazzi tra gli 11 e i 13 anni (39%). 6 intervistati su 10 dichiarano, inoltre, di utilizzare Internet da soli.

Le motivazioni che spingono i giovani a connettersi sono tutt’altro che didattiche: si connette per studiare solo 1 ragazzo su 7, a fronte del 24% dei giovani internauti che chatta, del 22% che scarica e ascolta musica, del 18% che gioca o guarda immagini. La “socializzazione” resta, dunque, il motore principale che spinge all’uso del web, come dimostra la percentuale significativa (30%) di coloro che affermano di intraprendere “sempre” o “spesso” nuove amicizie in rete.

A questa situazione, contribuisce il controllo piuttosto blando da parte dei genitori. 4 su 10 non danno alcun limite di tempo alla connessione dei figli mentre nel 23% dei casi, lo fanno “raramente”. Altrettanto significativa è la percentuale dei genitori che hanno scarsa cognizione delle attività online del figlio: 1 su 4 infatti conosce “poco” o “per niente” che cosa facciano i figli connessi.

Un altro fattore di rischio piuttosto diffuso tra i giovani che si connettono a Internet riguarda l’uso di identità fittizie. 1 ragazzo su 3 afferma di non utilizzare mai la propria identità in rete o di farlo raramente; un dato in linea con il 37% di coloro che confermano di aver fatto amicizia con perfetti sconosciuti.

Ancor più preoccupante è quel 19% che confessa di aver incontrato nella vita offline le persone conosciute sul web e quel 13% di ragazzi tra i 14 e i 20 anni che si sono esposti al fenomeno del sexting (dall’inglese “sex” – sesso – e “texting” – invio di messaggi virtuali) dando il proprio numero di cellulare a estranei conosciuti in chat. 1 studente su 4 dichiara di aver ricevuto contenuti a sfondo sessuale (tendenza più che raddoppiata rispetto al 2011). 6 ragazzi su 10 sottostimano la reale gravità della situazione affermando senza problemi di essersi divertiti nel ricevere o inviare foto o video “hot”. 6 adolescenti su 10, appartenenti alla classe d’età 14-20, almeno una volta hanno utilizzato foto o video per prendere in giro qualcuno (1 su 5 dichiara di farlo spesso).

 

 

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La Rete… ma anche no https://www.lavoce.it/la-rete-ma-anche-no/ Fri, 20 Mar 2015 13:48:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31011 bambini-tablet-ludopatiaSocial network, pc, tablet, videogiochi e telefonini per bambini e adolescenti, i cosiddetti “nativi digitali”, sono come l’acqua per i pesci. L’elemento naturale nel quale e con il quale costruiscono le loro relazioni sociali, acquisiscono conoscenze e informazioni, giocano e vivono emozioni. Come tutte le tecnologie, dalla ruota all’energia nucleare, è il loro cattivo uso o abuso a determinare rischi e pericoli.

“Però, come non si può levare l’acqua ai pesci, è impensabile sottrarre internet e la Rete ai nostri figli” ha detto Alvaro Paolacci, medico psichiatra, nel corso di uno dei tre incontri di formazione per insegnanti, genitori, educatori e studenti promossi a Santa Maria degli Angeli dalla Commissione regionale per l’educazione (Cresu) della Conferenza episcopale umbra per preparare il mondo della scuola al prossimo Convegno ecclesiale di Firenze.

È quindi compito degli educatori, in particolare scuola e famiglie, accompagnare bambini e adolescenti all’uso corretto di questi strumenti, i quali – come droga e alcol – possono portare a una vera e propria dipendenza, difficile da curare, e che quindi bisogna prevenire.

Gli adulti però non sempre hanno la consapevolezza dei rischi che comporta l’uso distorto di tablet, pc e telefonini. Una mancata consapevolezza dovuta anche a scarse conoscenze pratiche di queste tecnologie.

Strumenti per educatori

Scopo dell’incontro, svoltosi venerdì scorso, era proprio quello di sensibilizzare e aiutare genitori, insegnanti e educatori ad affrontare questi problemi. Il tema affidato al relatore Alvaro Paolacci, docente universitario e esperto del Tribunale ecclesiastico regionale, era “Homo ludens e ludopatia”.

I lavori, coordinati dalla prof.ssa Annarita Caponera, coordinatrice della Cresu, sono stati aperti dal vescovo di Assisi, Domenico Sorrentino. “Dio – ha detto – è amore e gioia, e nel gioco ci sono emozione, levità e bellezza. Tutti, grandi e piccini, hanno bisogno del gioco, ma si deve imparare a giocare bene e per il bene”.

Il gioco – ha spiegato il dott. Paolacci – è presente da sempre in qualsiasi società, e “non è né virtù, né peccato”. È un’attività che nei bambini aiuta a sviluppare le qualità fisiche e intellettuali. Il problema è che adesso, anche per giocare, si usano strumenti tecnologici che ipnotizzano, proiettano in un mondo virtuale dove tutto è facile e possibile, e dal quale c’è chi non vuole uscire per tornare nel mondo reale, arrivando a confondere il virtuale della Rete con la realtà. Così, con un uso non corretto di questi mezzi si arriva alla condizione patologica della dipendenza.

Genitori assenti

La ludopatia è una di queste dipendenze, di cui soffrono sempre di più persone di tutte le età (compresi i bambini) e di tutte le condizioni sociali. È una malattia che rende dipendenti non solo dal gioco d’azzardo ma anche da giochi e videogiochi in cui non si vince denaro. Videogiochi regalati ai figli che così passano ore da soli davanti allo schermo dei tablet. Senza disturbare gli adulti che hanno altre cose da fare.

“Da bambini si giocava insieme in piazza – ha ricordato Paolacci – ma ogni tanto c’era una mamma che si affacciava da casa a controllare. Se qualcosa non andava, ci sgridava e ci faceva rientrare”.

Non è però solo un problema di videogiochi. Internet e la Rete, per i bambini, talvolta sostituiscono genitori troppo indaffarati e assenti. E così – ha detto il relatore – “la connessione prende il posto delle relazioni con le persone. Internet diventa l’altro, che risponde sempre, 24 ore al giorno”.

Come sta avvenendo in Giappone con il fenomeno degli hikikomori, giovani che si chiudono in camera con il loro videogiochi, rifiutando qualsiasi contatto con altre persone. I pasti vengono lasciati dai familiari davanti alla porta chiusa a chiave.

Bambini e adolescenti invece hanno bisogno del dialogo e di regole. Gli adulti – ha detto lo psichiatra – devono “creare un controambiente” al mondo virtuale di internet, pur “senza tirare fuori ‘i pesci dall’acqua’, perché questo porterebbe allo scontro e all’ostilità”. Devono offrire alternative a tablet e pc, e stare con i figli quando li usano, magari navigando insieme. Devono però anche porre regole sul loro uso, a cominciare dal tempo. Soprattutto, devono saper dire “no”, e non solo per internet.

“Viviamo in una società – ha detto – in cui porre regole viene fatto equivalere a impedire la libertà. Bambini e ragazzi hanno invece bisogno di educatori che sappiano mettere un confine al loro desiderio di spingersi sempre oltre. Per il loro bene: perché, se abituati a ricevere sempre un ‘sì’, quando nella vita inevitabilmente si troveranno di fronte a un ‘no’, potrebbero crollare”.

Cime tempestose

Paolacci ha poi suggerito consigli pratici ad alcuni insegnanti che hanno parlato delle difficoltà del lavoro quotidiano con ragazzi, sempre connessi a costosi telefonini, e con genitori che talvolta protestano quando i professori li fanno spegnere per un compito in classe. “Come educatori – ha detto Annarita Caponera – ogni giorno ci troviamo di fronte a una grande montagna da scalare”.

Una montagna con una vetta sempre lontana – hanno detto altri docenti – per le difficoltà di un aggiornamento professionale su questi temi, e di circolari e programmi ministeriali discutibili. “È impensabile – ha risposto il relatore – escludere il computer dalle scuole e dalla didattica, così come dalla vita quotidiana dei nostri figli e nipoti. Il problema è invece l’uso che ne facciamo a scuola e in casa, e non si risolve certo spegnendolo, ma accendendo il dialogo”.

Prossimo incontro

Venerdì 27 marzo, alle ore 16.30, si tiene il terzo incontro promosso dalla Cresu. Interverrà mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei sul tema “Umano – disumano – postumano. Quale umanesimo per il nostro tempo?”

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Non è mai tardi per andare a scuola…di internet! https://www.lavoce.it/non-e-mai-tardi-per-andare-a-scuola-di-internet/ Tue, 03 Mar 2015 08:11:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30609 corso internet anziani - Pila

Interrompere il divario digitale tra le generazioni si può. Per questo FederAnziani e la Fondazione Vodafone Italia, con l’appoggio anche del ministero dell’Istruzione, ricerca e università, del ministero per la Cooperazione e lo sviluppo internazionale e dell’Anci, hanno realizzato un progetto di alfabetizzazione digitale rivolto a circa 100mila ultra55enni in tutta Italia. L’obiettivo è scoprire come la tecnologia possa semplificare e velocizzare le attività quotidiane…a tutte le età!

L’iniziativa, dal titolo “Insieme a scuola di internet”, ha coinvolto anche l’Umbria. E’ il caso, ad esempio, della frazione di Pila a Perugia, dove il centro socio-culturale ha promosso il progetto con l’aiuto della Regione, che ha messo a disposizione la docente Margherita Pispola. E’ appena terminato, infatti, presso i locali del centro, il corso gratuito dedicato all’utilizzo dei tablet, che ha visto una ventina di partecipanti cimentarsi nell’utilizzo di questi nuovi e sempre più diffusi strumenti elettronici messi a disposizione dai formatori. “Si è trattato di un’esperienza molto positiva – spiegano dal centro socio-culturale -, che ha lasciato tutti i partecipanti particolarmente soddisfatti. La tecnologia è una sfida affascinante a tutte le età!”.

Laura Lana

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Comunicare nella Rete https://www.lavoce.it/comunicare-nella-rete/ Thu, 02 May 2013 10:43:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=16454 ComputerIntegrationLa Settimana delle comunicazioni sociali, nata per iniziativa delle suore Paoline, che vivono il carisma della evangelizzazione tramite i moderni mezzi di apostolato, è rivolta a dare respiro e spazio alla Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Questa, la “giornata” più ufficiale, è universalmente condivisa di tutte, in quanto è stata indetta dallo stesso Concilio Vaticano II e stabilita nel decreto sui mezzi della comunicazione sociale, Inter mirifica, il primo a essere stato approvato dal Concilio.

È stata celebrata fin da subito, e quest’anno è la 47a. Non possiamo dire che abbia trovato un’adeguata corrispondenza nella grande massa del popolo di Dio, anche perché in questi anni il panorama delle comunicazioni si è profondamente mutato. Si rende pertanto opportuna l’iniziativa di preparare la giornata (domenica 12 maggio, Ascensione del Signore) con una serie di iniziative che trovate qui accanto nel programma. Il tema del messaggio pontificio scritto dal vescovo emerito di Roma, Benedetto XVI, prima della rinuncia, ha per oggetto, come si esprime lui stesso, “lo sviluppo delle reti sociali digitali che stanno contribuendo a far emergere una nuova ‘agorà’, una piazza pubblica e aperta in cui le persone condividono idee, informazioni, opinioni, e dove, inoltre, possono prendere vita nuove relazioni e forme di comunità”.

Come si può capire, Benedetto XVI riconosce un grande valore umano e anche cristiano all’essere connessi in una rete (Web) in cui ci pone in relazione, e considera questo fatto come un’opportunità anche per l’evangelizzazione. Naturalmente si richiede che ci si ponga in Rete con serietà, sincerità, testimoniando amore, comprensione e anche la propria identità di credenti. Recentemente, durante il Festival del giornalismo di Perugia, il padre gesuita Antonio Spadaro, direttore della Civiltà cattolica, ha ritenuto che la Rete digitale possa essere illuminata dal concetto di comunione trinitaria, in quanto pone le persone in una relazione profonda, continua, per la quale ci si realizza in quanto posti in relazione gli uni con gli altri, e cercando ognuno di arricchirsi dei valori e della testimonianza di vita dell’altro.

C’è da precisare che non tutti oggi sono in Rete e non tutti hanno ben chiaro che ci stanno a fare nei vari social network, per cui si devono tenere in vita e sviluppare anche altre forme di comunicazione che sono i libri, i giornali, la radio, la televisione, che hanno ancora, e avranno sempre, un loro spazio e un loro peso nella formazione della cultura e della coscienza delle persone. Da qui le iniziative della Settimana in cui si presentano altri modi di comunicazione che possono interessare e devono esser coltivati e usati per il comune fine della evangelizzazione.

Il programma

La Settimana della comunicazione

 47a GIORNATA DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI

Domenica 12 maggio ore 18, cattedrale di San Lorenzo – Perugia, celebrazione eucaristica presieduta da mons.Paolo Giulietti, vicario generale e direttore di Umbria Radio.

Iniziative alla libreria Paoline (piazza IV Novembre, Perugia)

Lunedì 6 maggio ore 18
Dalla vita le parole. Tre novità in libreria di autori perugini: Fabrizio Carletti, “SOS Creatività”, Paoline, 2013; Roberta Vinerba, “Alla luce dei tuoi occhi”, Cittadella, 2013; Flavia Marcacci, “La Pasqua degli sposi”, Dehoniane, 2013.

Martedì 7 maggio ore 18
I consacrati nel social network: presenza e usi
. Ne parlano Rita Marchetti, vice presidente WeCa e docente di Teoria e tecniche dei nuovi media – Università di Perugia, e don Francesco Verzini, vice direttore ufficio di Pastorale giovanile.

Mercoledì 8 maggio ore 10
“Come nasce un libro?
, incontro dei bambini della scuola elementare “Giovanni Cena” con la scrittrice Silvia Vecchini.

Giovedì 9 maggio ore 20.45
Presso la biblioteca del Centro di accoglienza, via Bontempi13, “Profezia di Don Tonino Bello a 20 anni dalla morte”.
Tonio Dell’Olio (ass. Libera internazionale) presenta il nuovo libro di Sergio Paronetto, vice presidente di Pax Cristi, “Don Tonino Bello, maestro di non violenza, pedagogia, politica, cittadinanza attiva e vita cristiana” (ed. Paoline, 2013) con proiezione di parti del film L’anima attesa.

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Dai social network al sociale https://www.lavoce.it/dai-social-network-al-sociale/ Thu, 17 Jan 2013 14:51:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=14597 L’intervento di Pier Cesare Rivoltella
L’intervento di Pier Cesare Rivoltella

Lunedì scorso presso il Centro studi “Beato Carlo Liviero” si è tenuto il primo incontro del corso “Da immigrati a nativi digitali a scuola” organizzato dall’ufficio Scuola della diocesi. L’iniziativa è rivolta a tutti coloro che operano nel settore dell’educazione e della scuola, quotidianamente a contatto con i giovani e con una pluralità di strumenti mediali con cui è difficile prendere una corretta confidenza.

Il prof. Pier Cesare Rivoltella, ordinario di Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento presso l’Università Cattolica di Milano, relatore di questo primo incontro, ha spiegato che la concezione moderna della media education si sviluppa intorno agli anni ’70 dalla necessità di educare i giovani a capire i fatti che il cinema trasmetteva loro. Solo dopo gli anni Novanta, con l’ampia diffusione dei telefoni cellulari ed in tempi recenti dei social network, il problema, amplificato per dimensione ed effetti, si sposta verso la questione della cittadinanza. Si parla oggi infatti della valenza civica della new media education, che non si ferma all’utilizzo degli strumenti mediali ma approfondisce il tema della corretta interpretazione dei messaggi.

Il prof. Rivoltella ha analizzato i motivi dello spostamento della questione verso il territorio della cittadinanza, individuandone tre principali.

Il primo è rappresentato dalla mediatizzazione crescente della scena politica, che ha reso i personaggi pubblici più reali e vicini alla gente, li ha smitizzati portandone spesso in evidenza gli umani difetti, e generando un progressivo ed attualissimo disinteresse verso la politica.

Il secondo motivo è individuato nella concentrazione del “mondiale” nel “locale”, perché grazie al Web è possibile accedere a luoghi e persone lontanissime, sviluppando una visibilità globalizzata sensibile a problemi che non ci appartengono, con un coinvolgimento emotivo forte ma limitato allo spazio web, a scapito del concreto attivismo pratico.

Terzo motivo dello spostamento verso l’aspetto della cittadinanza è la “protesizzazione” dei media, oggi sempre più presenti nella vita dei giovani, fino a diventare un vero e proprio prolungamento dei sensi – una sorta di protesi di competenza sociale.

“La progressiva migrazione dei media dentro la vita degli adulti – spiega Rivoltella – erode il senso civico che ne consentirebbe un uso corretto. Nel caso dei giovani non parliamo di migrazione, perché questi sono nati già dentro un sistema dominato dai media e con una notevole facilità di utilizzo del canale multimediale. Questo evidenzia l’urgenza di un’educazione che insista su alcuni tasti fondamentali per ridare lustro alla dimensione civica delle coscienze dei futuri aduli”

L’invito che il relatore rivolge agli insegnanti è quello a non temere di sporcarsi le mani nell’educare gli allievi come cittadini. “L’alfabetizzazione tecnica – ha detto – non è di per sé sufficiente allo sviluppo personale di un giovane, se non si affianca un lavoro educativo trasversale incentrato su valori di ospitalità, giustizia e sincerità. È necessario aiutare i giovani a ridefinire il confine tra lo spazio pubblico e quel privato ampliamente eroso dai social network, sviluppare un senso critico nei confronti dei numerosi messaggi che la Rete offre, ed un coerente senso di responsabilità riguardo a quanto detto e scritto, gestendo in maniera consapevole quel caos di informazioni e quel pluralismo di pensieri che da vessillo di libertà sta degenerando in anarchia”.

Prossimi incontri

Il secondo appuntamento del ciclo di incontri organizzati nell’ambito dell’iniziativa “Da immigrati a nativi digitali a scuola” è previsto per l’11 febbraio alle ore 21 presso il Centro studi Beato Carlo Liviero, ed affronterà il tema “I ragazzi del Web”. Il terzo ed ultimo appuntamento della serie è invece previsto, sempre presso la stessa sede, per il giorno 11 marzo alle ore 17, su “Nuovi media e Web 2.0 a scuola e nei gruppi”. Tema su cui interverrà il prof. Luca Paolini, insegnante di Religione ed esperto di tecnologia mediale applicata all’insegnamento.

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Internet è ormai di casa… ma va sorvegliato https://www.lavoce.it/internet-e-ormai-di-casa-ma-va-sorvegliato/ Thu, 01 Mar 2012 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=892 Pornografia, cyberbullismo, ricezione di messaggi con contenuti sessuali, incontri faccia a faccia con persone conosciute on line, diffusione non autorizzata dei propri dati personali: sono alcuni dei rischi emersi dal nuovo rapporto del progetto Eu Kids online, finanziato dalla Commissione europea e promosso da London School of Economics e OssCom (Osservatorio comunicazione dell’Università cattolica). La ricerca, presenta in Italia nei giorni scorsi, si basa sulle interviste a 25.000 genitori e minorenni di 25 Paesi europei. Dai dati si avverte la necessità di un impegno “più attivo” da parte di padri e madri nei confronti dei figli, “incominciano dal parlare con loro di internet e assistendoli qualche volta personalmente online. Rispetto all’imposizione di divieti, questo impegno può ridurre il rischio di danni, senza precludere le opportunità di internet”.Per quanto riguarda la situazione nel nostro Paese, si sottolinea che l’87% dei genitori dichiara di fissare regole per la diffusione d’informazioni personali on line; il 56% sostiene di essere accanto ai figli quando usano internet e il 79% ne parla con loro. Solo il 13% dei genitori non ha attivato alcuna strategia di mediazione tra quelle esplorate nel questionario, mentre il 21% usa filtri per la sicurezza. “Nel complesso – spiega Sonia Livingstone, coordinatrice del progetto – si rivela un quadro positivo, in cui i minori ben accettano l’interesse dei genitori, e i genitori esprimono fiducia nelle abilità dei propri figli. Ma ci sono padri e madri che non fanno molto, neppure per i figli più piccoli”. L’attenzione dei genitori è fondamentale ma non è ancora abbastanza per garantire la sicurezza dei minori. Ad esempio, il 41% del campione esaminato si è infatti imbattuto in uno o più contenuti o contesti d’interazione potenzialmente pericolosi, ma il 54% dei genitori ignorano che i propri figli hanno visto immagini a sfondo sessuale (mentre i ragazzi hanno ammesso – nel questionario – di averle viste). Questo quadro, ad avviso di Franco Mugerli, presidente del Comitato media e minori, mette “in luce l’urgenza di una tutela reale dei diritti dei minori in internet e negli altri media. Manca ancora una sensibilità condivisa – ha aggiunto Mugerli.- Senza questa e senza una maggior responsabilizzazione non si può rendere incisiva un’azione a livello politico e legislativo”. Anche Domenico Delle Foglie, presidente del Copercom (Coordinamento di 29 associazioni per la comunicazione) ha confermato l’impegno a “intensificare riflessioni, proposte e iniziative in questo ambito, coinvolgendo educatori, esperti, istituzioni e quanti hanno a cuore i diritti e la dignità dei minori”. In questa prospettiva il Copercom anche per l’anno in corso riproporrà l’esperienza dei laboratori on line per gli animatori di cultura e comunicazione. Su questa iniziativa rivolta in particolare al territorio (parrocchie, comunità associazioni, scuole…) si possono avere informazioni visitando il sito www.copercom.it, dove nei prossimi giorni sarà pubblicato il calendario del laboratorio, che inizierà verso la fine marzo.

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Il successo del Web: perché? https://www.lavoce.it/il-successo-del-web-perche/ Thu, 14 Jul 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9512 Che cosa c’è dietro l’espansione a macchia d’olio di internet e del mondo digitale, utilizzato oggi in media dal 95% delle persone, di cui il 65% utilizza i social network?”. A chiederselo è stato Giuseppe De Rita, presidente del Censis, presentando a Roma, il 13 luglio, il nono Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione, dal titolo “I media personali nell’era digitale”. La risposta il sociologo l’ha trovata in un paradosso: “Nel momento in cui, dopo 50 anni di indiscusso primato del soggetto, comincia a dare segni di stanchezza l’individualismo, il fai-da-te, il primato dell’ego, e quindi trova spazio la ricerca di altre strade – come il rapporto comunitario, volontario, o un diverso rapporto con l’altro – nell’uso dei media emerge invece una dimensione di accentuazione della soggettività”. Se a livello generale, in altre parole, “il primato del soggetto è in declino, nei media sta crescendo”, e si rende evidente soprattutto nella tendenza alla “personalizzazione” dei palinsesti. “La soggettività innanzitutto – ha commentato De Rita – con una sorta di non-coscienza, tanto che il mezzo più credibile diventa internet”. Altra tendenza che emerge dal Rapporto, secondo il presidente del Censis, è “la crescita della dimensione della comunicazione in orizzontale”, in virtù della quale i media digitali “trasmettono intersoggettività”, a scapito però “della riflessione e dell’approfondimento”. I giornalisti? “Molto competenti, ma poco indipendenti dal potere politico e finanziario”. È l’identikit che emerge dal Rapporto. A illustrarne nel dettaglio i contenuti è stato Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, che tra le novità del Rapporto ha segnalato il fatto che gli italiani giudicano internet “il mezzo più credibile” dal punto di vista informativo. Dal capitolo dedicato alla reputazione dei media, secondo il relatore emerge che “il giornalista non deve tradire chi lo ascolta o chi lo legge”. Tra i media ad alta reputazione figura la radio, giudicata “il mezzo più equilibrato, perché la voce aiuta a spersonalizzare il messaggio”. I giornalisti televisivi e della carta stampata, invece, sono visti come “personaggi che non rappresentano più, ma creano la realtà, spesso con eccessive smanie di protagonismo”. La scelta dei “media personali – ha aggiunto Roma – è una scelta soggettiva molto integrata con la vita quotidiana di ciascuno, e basata sulla funzionalità”. Nelle “diete mediatiche” degli italiani, infine, cresce la percentuale (46%) di chi non utilizza la carta stampata. “Servono ancora i ruvidi reporter, capaci di passare il tempo a investigare e di scrivere in solitudine”. Ne è convinto Paolo Garimberti, presidente della Rai, che ha confessato di provare “una certa nostalgia” per queste figure che rischiano di diventare un retaggio del passato, sostituiti invece da “show man dell’informazione”, intenti a “scrivere editoriali, partecipare a trasmissioni televisive, tenere blog e pubblicare libri”, salvo poi passare ben poco tempo nelle redazioni. A livello di “diete mediatiche”, ha osservato, “la tavola degli italiani è molto più imbandita di prima, e ciò è un bene, perché il pluralismo di fonti informative è una cosa sana per la democrazia, che non muore mai per eccesso di informazioni, semmai per il contrario”. Nello stesso tempo, però, tale tendenza “è un male, perché la grande eterogeneità di fonti informative a cui ci abbeveriamo oggi fa sì che il controllo delle fonti sia molto difficile, e produce una diffusa irresponsabilità che porta a diffondere informazioni false”. Garimberti, in particolare, ha stigmatizzato “il protagonismo dei protagonisti dell’informazione, che spesso prende il sopravvento sull’umile distacco e sulla capacità di stare nelle retrovie che dovrebbe caratterizzare ogni giornalista”. “Reimpaginare le competenze, mettendo l’accento sulla deontologia professionale”. È l’appello rivolto ai giornalisti da Andrea Melodia, presidente dell’Ucsi (Unione cattolica stampa italiana). “Non possiamo rinunciare alla presenza di comunicatori professionisti, assolutamente essenziali per garantire un corretto uso del mondo delle informazioni”, ha ammonito il relatore, soffermandosi nello stesso tempo sulla necessità di “recuperare autorevolezza rispetto al cittadino, che deve trovare spazio anche su internet: non possiamo trovare né autorevolezza, né pluralismo su internet, se non li coltiviamo”. In secondo luogo, Melodia ha esortato ad evitare commistioni tra politica e giornalismo: “È necessario rispettare la distanza tra le due funzioni, a cominciare dal servizio pubblico, che dovrebbe continuare a essere garanzia di pluralismo”. Entrando nel dettaglio del Rapporto, il presidente dell’Ucsi ha fatto notare come esso serva a “sfatare alcuni luoghi comuni”, come quello che concepisce la televisione come “una tv per vecchi”: il 93% dei consumatori televisivi è infatti sotto i 30 anni. Dal Rapporto, inoltre, emerge che “non è internet ad assorbire la tv, ma la tv che si appresta a valorizzare internet, visto che il 40% del traffico in Rete è fatto da video, ed è in continua crescita”.

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