integrazione Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/integrazione/ Settimanale di informazione regionale Wed, 26 Apr 2023 17:40:23 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg integrazione Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/integrazione/ 32 32 “Sostituzione etnica”… Meglio “integrazione” https://www.lavoce.it/sostituzione-etnica-meglio-integrazione/ https://www.lavoce.it/sostituzione-etnica-meglio-integrazione/#respond Wed, 26 Apr 2023 17:20:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=71200 Logo rubrica Il punto

Un ministro, mentre parlava di immigrazione, ha detto di essere preoccupato per il rischio di una “sostituzione etnica”. È stato sommerso da una valanga di accuse di razzismo. Non so bene che cosa intendesse, ma, se si dà alle parole il loro giusto significato, “razza” ed “etnìa” sono concetti distinti e non si deve confondere l’uno con l’altro. Se parlo di razza, mi riferisco alla genetica, al sangue; se parlo di etnìa, mi riferisco alla cultura. Dove per cultura s’intende – in questo caso – il patrimonio di tradizioni, saperi, credenze, costumi, princìpi, abitudini, che è specifico di un popolo e gli conferisce un’identità.

Ciò che ci permette di riconoscere uno svedese da un turco, ed entrambi da un giapponese; non dai tratti del volto, ma dai comportamenti individuali e collettivi.

Mentre non è scientificamente corretto parlare di “razze” con riferimento alla genetica, certamente esistono popoli (etnie) caratterizzati dalle rispettive culture. Questo si sa da sempre; e da sempre, ogni popolo è portato a pensare che “noi” siamo quelli civili e “gli altri” sono i selvaggi, i barbari. Solo da poco più di un secolo si è capito che “diverso” non vuol dire inferiore, e ogni popolo ha diritto a conservare la sua cultura, e con essa la sua identità.

Che dire dunque della temuta sostituzione etnica? Che nella storia dell’umanità le sostituzioni etniche ci sono state; ma a farle siamo stati noi europei quando abbiamo spento le culture dei nativi americani, africani e di altri ancora; o, nel migliore dei casi, le abbiamo ridotte a ruoli subalterni e marginali.

Perché ne avevamo la forza e pensavamo che questo ce ne desse anche il diritto. Oggi abbiamo una visione diversa delle cose, più rispettosa delle differenze e del pluralismo. Però non si deve cadere nell’eccesso opposto: quello di pensare che in nome del rispetto dovuto alle culture diverse si possa e si debba accettare tutto, giustificare tutto. Nella nostra cultura (diciamo quella europea e cristiana degli ultimi duemila anni) ci sono state anche pagine nere, ingiustizie e delitti di cui oggi ci vergogniamo.

Anche le culture “altre” possono avere dunque le loro pagine nere. Il confronto, il dialogo, l’integrazione, possono permettere a ciascuno di emendarsi. È una strada difficile. Ma in un mondo interconnesso a ogni latitudine, è indispensabile percorrerla.

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Un ministro, mentre parlava di immigrazione, ha detto di essere preoccupato per il rischio di una “sostituzione etnica”. È stato sommerso da una valanga di accuse di razzismo. Non so bene che cosa intendesse, ma, se si dà alle parole il loro giusto significato, “razza” ed “etnìa” sono concetti distinti e non si deve confondere l’uno con l’altro. Se parlo di razza, mi riferisco alla genetica, al sangue; se parlo di etnìa, mi riferisco alla cultura. Dove per cultura s’intende – in questo caso – il patrimonio di tradizioni, saperi, credenze, costumi, princìpi, abitudini, che è specifico di un popolo e gli conferisce un’identità.

Ciò che ci permette di riconoscere uno svedese da un turco, ed entrambi da un giapponese; non dai tratti del volto, ma dai comportamenti individuali e collettivi.

Mentre non è scientificamente corretto parlare di “razze” con riferimento alla genetica, certamente esistono popoli (etnie) caratterizzati dalle rispettive culture. Questo si sa da sempre; e da sempre, ogni popolo è portato a pensare che “noi” siamo quelli civili e “gli altri” sono i selvaggi, i barbari. Solo da poco più di un secolo si è capito che “diverso” non vuol dire inferiore, e ogni popolo ha diritto a conservare la sua cultura, e con essa la sua identità.

Che dire dunque della temuta sostituzione etnica? Che nella storia dell’umanità le sostituzioni etniche ci sono state; ma a farle siamo stati noi europei quando abbiamo spento le culture dei nativi americani, africani e di altri ancora; o, nel migliore dei casi, le abbiamo ridotte a ruoli subalterni e marginali.

Perché ne avevamo la forza e pensavamo che questo ce ne desse anche il diritto. Oggi abbiamo una visione diversa delle cose, più rispettosa delle differenze e del pluralismo. Però non si deve cadere nell’eccesso opposto: quello di pensare che in nome del rispetto dovuto alle culture diverse si possa e si debba accettare tutto, giustificare tutto. Nella nostra cultura (diciamo quella europea e cristiana degli ultimi duemila anni) ci sono state anche pagine nere, ingiustizie e delitti di cui oggi ci vergogniamo.

Anche le culture “altre” possono avere dunque le loro pagine nere. Il confronto, il dialogo, l’integrazione, possono permettere a ciascuno di emendarsi. È una strada difficile. Ma in un mondo interconnesso a ogni latitudine, è indispensabile percorrerla.

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Nocera e Africa insieme: nasce l’associazione “Diamante” https://www.lavoce.it/nocera-africa-associazione-lamine/ Tue, 06 Nov 2018 10:00:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53308 Lamine

“Un ponte sul Mediterraneo per restituire alla nostra terra l’esperienza che abbiamo imparato e acquisito qui in Italia”. È quello che vuole costruire l’associazione “Diamante - Nocera e Africa insieme”, nata da un’idea di Carlo Morini, imprenditore agricolo, e Lamine Kidiera, 26enne senegalese arrivato in Italia qualche anno fa come richiedente asilo, e che ora sta mettendo la sua esperienza a disposizione dei suoi amici, che spesso arrivano come rifugiati politici scappando dalla guerra.

Lamine, un esempio di integrazione

Lamine è arrivato in Italia tre anni fa, a Reggio Calabria, dove è rimasto una settimana. Poi è stato portato a Perugia per una notte, da lì cinque mesi in un ostello di Bevagna; e da marzo 2016 a Nocera Umbra. “Non è stato facile – racconta –, il primo problema era riuscire a integrarsi”. Ma Lamine ha capito la strada, che consiglia anche a chi si trova nella sua stessa situazione: “Prima di tutto bisogna studiare la lingua, poi imparare un mestiere. Solo così potrai entrare in contatto con le persone, attraverso la comunicazione”.

Lamine infatti, con la sua grande determinazione, nel 2017 ha conseguito la licenza media. Poi, attraverso Garanzia giovani, ha imparato il mestiere del pizzaiolo. Da lì l’incontro con Carlo Morini, la collaborazione con la sua azienda agricola e l’idea del “ponte sul Mediterraneo”. Ma intanto Lamine lavora con gli altri ragazzi rifugiati, ai quali insegna a stare lontano dal tunnel del crimine, che spesso può attirare per i facili guadagni. “Non conoscevo la situazione in cui questi ragazzi vivono – dice Morini – e per me è stato importante mettermi a disposizione della costruzione di una società più civile”.

A Nocera non è comunque l’unico di caso di buona pratica sul tema dell’integrazione. C’è anche Gerry, uno dei richiedenti asilo che, grazie alla convenzione stipulata dalla prefettura con i Comuni, lavora quotidianamente per i lavoretti di manutenzione da effettuare sul territorio.

Alessandro Orfei

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Lamine

“Un ponte sul Mediterraneo per restituire alla nostra terra l’esperienza che abbiamo imparato e acquisito qui in Italia”. È quello che vuole costruire l’associazione “Diamante - Nocera e Africa insieme”, nata da un’idea di Carlo Morini, imprenditore agricolo, e Lamine Kidiera, 26enne senegalese arrivato in Italia qualche anno fa come richiedente asilo, e che ora sta mettendo la sua esperienza a disposizione dei suoi amici, che spesso arrivano come rifugiati politici scappando dalla guerra.

Lamine, un esempio di integrazione

Lamine è arrivato in Italia tre anni fa, a Reggio Calabria, dove è rimasto una settimana. Poi è stato portato a Perugia per una notte, da lì cinque mesi in un ostello di Bevagna; e da marzo 2016 a Nocera Umbra. “Non è stato facile – racconta –, il primo problema era riuscire a integrarsi”. Ma Lamine ha capito la strada, che consiglia anche a chi si trova nella sua stessa situazione: “Prima di tutto bisogna studiare la lingua, poi imparare un mestiere. Solo così potrai entrare in contatto con le persone, attraverso la comunicazione”.

Lamine infatti, con la sua grande determinazione, nel 2017 ha conseguito la licenza media. Poi, attraverso Garanzia giovani, ha imparato il mestiere del pizzaiolo. Da lì l’incontro con Carlo Morini, la collaborazione con la sua azienda agricola e l’idea del “ponte sul Mediterraneo”. Ma intanto Lamine lavora con gli altri ragazzi rifugiati, ai quali insegna a stare lontano dal tunnel del crimine, che spesso può attirare per i facili guadagni. “Non conoscevo la situazione in cui questi ragazzi vivono – dice Morini – e per me è stato importante mettermi a disposizione della costruzione di una società più civile”.

A Nocera non è comunque l’unico di caso di buona pratica sul tema dell’integrazione. C’è anche Gerry, uno dei richiedenti asilo che, grazie alla convenzione stipulata dalla prefettura con i Comuni, lavora quotidianamente per i lavoretti di manutenzione da effettuare sul territorio.

Alessandro Orfei

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Tutto ciò che ci portano gli stranieri https://www.lavoce.it/tutto-cio-che-ci-portano-gli-stranieri/ Thu, 27 Jul 2017 10:40:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=49551 Immigrati-lavoro-CMYKSono tanti i falsi miti e i luoghi comuni da sfatare intorno al mondo dell’immigrazione, mentre i politici si azzuffano e l’opinione pubblica è sempre più disorientata e divisa. Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dei processi migratori all’Università di Milano, precisa che in Italia “non è in corso alcuna invasione” e gli immigrati non sono un fardello ma anzi sono vantaggiosi per la nostra società. Lo abbiamo incontrato a Roma a margine della summer school “Acting EurHope” promossa da Ac, Caritas italiana, Focsiv, Istituto Toniolo e Missio.

 

Il tema dello ius soli rischia di diventare motivo di crisi politica, tant’è che il dibattito sulla legge sulla cittadinanza è stato rimandato. Cosa ne pensa?

“Si fa una confusione, forse voluta, tra questioni molto diverse: una cosa sono gli sbarchi, un’altra è l’immigrazione, un’altra è il tema della cittadinanza per i figli di genitori immigrati cresciuti in Italia. La confusione porta opposizione, paura, ansia. Se si mettono insieme tutti questi temi, si forma un fantasma di assedio, di invasione, che nuoce alla serietà del dibattito. Dobbiamo ricordare che gli sbarchi sono poca cosa rispetto al fenomeno dell’immigrazione, e che i richiedenti asilo sono 180.000 a fronte di 5 milioni e mezzo di immigrati residenti. L’immigrazione nel complesso è stazionaria in Italia, non c’è nessuna invasione in corso”.

Che fare?

“Oggi abbiamo l’esigenza di stabilizzare, favorire l’integrazione e dare un futuro alle famiglie immigrate e ai loro figli, un milione e 100 mila tra bambini e ragazzi che frequentano le scuole italiane, si affacciano all’università, al mondo del lavoro. Che senso ha tenerli fuori dal sistema della cittadinanza, dando loro l’impressione di essere cittadini di serie B in una società che non li vuole o li mantiene in una condizione di limbo permanente? Se vogliamo affrontare il tema razionalmente, occorre preparare un futuro più armonico e pacifico per tutti. Certo è un passo importante. Significa prendere atto che gli italiani non saranno più così come siamo abituati a pensarli. Avremo sempre più italiani con la pelle scura, con gli occhi a mandorla, con il velo, di varie religioni. Questo esiste già nei fatti, si tratta di dargli compiutezza e capire che la nostra società sarà sempre più diversificata”.

Perché tutte queste resistenze da parte dell’opinione pubblica e dei politici?

“La resistenza a prendere atto di questa situazione riflette, da una parte, le ansie di un Paese in difficoltà di fronte alla globalizzazione. Gli italiani, invece di reagire e prendersela con i lupi di Wall Street o con le forze finanziarie globali, se la prendono con l’africano sbarcato e con i figli degli immigrati. Mi sembra che, siccome avanza la povertà, dobbiamo difenderci da possibili concorrenti o, comunque sia, da persone che destabilizzano l’immagine dell’ordine sociale che abbiamo. Dall’altra parte, è un tipico calcolo politico-elettorale. Nei sondaggi la maggior parte degli italiani si dice oggi contraria allo ius soli perché probabilmente accomuna questo tema agli sbarchi, come si tenta di fare. È diventato un modo, per i partiti, di ridefinirsi. Un tema abbastanza marginale, di modesto impatto politico, sociale, economico e culturale, diventa invece decisivo per quanto riguarda il posizionamento delle forze politiche e le loro strategie elettorali”.

Il presidente dell’Inps ha ricordato che il sistema pensionistico ha bisogno di immigrati regolari, i quali “regalano” agli italiani un punto di Pil in contributi.

“Nel silenzio un po’ assordante della politica su questi temi, è bene che qualcuno faccia i conti, metta in evidenza questioni note agli esperti. Il tema è squisitamente demografico. Gli immigrati sono perlopiù giovani adulti e non gravano ancora sul sistema pensionistico. Se si guarda il rapporto tra ciò che versano in termini di contributi e ciò che incassano o fruiscono in termini di servizi, il saldo è largamente positivo per il nostro Paese. Anche qui si tratta di sfatare un altro fantasma: che gli immigrati siano un fardello per l’Italia, predatori di risorse scarse. Non è così, neanche tenendo conto dei costi dell’accoglienza dei rifugiati”.

Questo vale anche a livello locale?

“A livello locale ci sono dei costi indotti: perché significa aver bisogno di più scuole, di più case popolari, di più servizi sanitari e sociali. Su questo punto varrebbe la pena aprire un dibattito più serio su come andare incontro alle necessità delle località in cui c’è un maggiore insediamento di immigrati residenti. Altra cosa da mettere in rilievo è l’importanza delle tasse e dei contributi versati dagli immigrati nel bilancio dello Stato, con un’operazione di contabilizzazione a parte che evidenzi questo saldo positivo. Questa semplice operazione contabile da parte della Ragioneria dello Stato potrebbe contribuire a sfatare qualche luogo comune”.

Però per l’accoglienza, nonostante i fondi europei, le spese sono più alte. Come vengono compensate?

“Certo quello che spendiamo è più di quello che riceviamo, anche se ogni tanto l’Europa aumenta i contributi. Tra le operazioni di salvataggio in mare, operazioni di pubblica sicurezza e accoglienza a terra, stiamo parlando di una spesa intorno ai 4 miliardi di euro, mentre i contributi europei incidono intorno a 1 miliardo o 2 rispetto al totale. Su questa voce c’è un costo compensato da voci positive a vantaggio delle casse dello Stato su altre partite”.

Alcuni esempi?

“Non dimentichiamo che gli italiani lavorano nei centri di accoglienza. E poi si pensa poco al contributo degli immigrati ai consumi: sono 5 milioni e mezzo di persone che comprano auto di seconda mano, abitazioni di modesto pregio, supermercati e discount, telefonia, rimesse o beni di largo consumo come i pannolini e gli alimenti per l’infanzia. Il contributo che danno le nascite degli immigrati si traduce in consumi e gettito Iva per le casse dello Stato. Non se ne parla mai. Sembra solo che gli immigrati prendano”.

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Il Ponte d’incontro a Ponte Felcino https://www.lavoce.it/il-ponte-dincontro-a-ponte-felcino/ Thu, 01 Dec 2016 09:00:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47973 don-Alberto-Veschini-CMYKL’Anno santo della Misericordia ha segnato anche la mia vita di parroco, in una realtà complessa e variegata come Ponte Felcino. Sono qui da poco più di venti anni e posso affermare di essere testimone di un cambiamento “epocale” all’interno di un territorio che si trova a fronteggiare sfide inedite e impensabili fino a trent’anni fa.

Salta all’occhio, prima di tutto, la presenza di un mondo multietnico e internazionale, che si accompagna a un invecchiamento progressivo della popolazione residente. Questo porta come conseguenza l’assottigliamento delle fila dei presenti e la chiusura psicologica di molti, preoccupati da una “invasione” non cercata, che diventa sempre più marcata.

La presenza poi dell’Ostello della gioventù, trasformato in hot spot per l’accoglienza dei naufraghi, fa sì che la situazione non sia semplice. Ci sono persone che percepiscono tutta la problematicità della situazione. Ci si domanda se è questo il modo giusto per accogliere le persone… Per fortuna, però, ci sono anche tanti che offrono la loro disponibilità per portare una presenza, un sorriso e tanta solidarietà. È nata l’associazione chiamata “Ponte d’incontro 3.0” che si ispira a valori di solidarietà e accoglienza e promuove la propria azione per creare “ponti” d’integrazione tra esperienze, culture e popoli diversi tra loro e per abbattere i muri che ostacolano la comunicazione e la reciproca conoscenza. Associazione che vede molti parrocchiani come principali animatori.

Tornando all’Anno santo, abbiamo cercato di sfruttare la presenza del santuario giubilare di Montescosso. Il giorno dell’apertura, 21 dicembre 2015, la gente era tanta che non entrava in chiesa, e tutti i preti della Zona erano disponibili per le confessioni. Molte parrocchie, poi, hanno approfittato del santuario per vivere momenti di catechesi, di confessione per ragazzi, giovani e adulti. Noi di Ponte Felcino siamo andati in pellegrinaggio, una domenica pomeriggio, sotto una pioggia battente… quasi a ricordarci che la grazia lava l’anima e disseta in cuore!

Un’iniziativa che mi piace sottolineare è quella del Pellegrinaggio giubilare di Zona in cattedrale. Un’iniziativa che sembrava non appetibile, invece la partecipazione è stata notevole, e tutti hanno potuto sperimentare la bellezza di celebrare la misericordia di Dio nella cattedrale con una concelebrazione corale dei preti di tutta la Zona.

La quinquennale Festa del Crocifisso – che abbiamo vissuto nel mese di settembre – ha visto una “gara” ideale tra le due parti del paese nei momenti di preghiera, di catechesi, di socializzazione, all’insegna della fede nel Crocifisso. La sua immagine cinquecentesca viene poi portata in processione nelle strade del paese, con una presenza significativa di persone, attirate anche dai “quadri viventi” realizzati sulle opere di misericordia e i Santi della misericordia. Ci sono state scene molto toccanti che hanno fatto riflettere e pregare!

Una delle realtà più belle di cui parlare è l’unione pastorale con la parrocchia di Villa Pitignano. Si tratta di una comunità molto diversa da Ponte Felcino. Geograficamente siamo molto vicini: le due chiese distano meno di due chilometri. La distanza culturale, invece, è molto più evidente. Villa Pitignano ha la caratteristica di un paese coeso e unito. Le iniziative religiose sono molto sentite e partecipate. Ci sono poi due confraternite (una maschile e una femminile) che vedono la presenza di molte persone, anche giovani, che vivono il loro servizio con entusiasmo e passione.

Per grazia di Dio, posso dire che il rapporto delle due comunità sta crescendo. Quest’anno siamo anche riusciti a unificare le celebrazioni per il Triduo pasquale. A livello più “civile” poi, ci sono elementi che unificano, come la scuola media e la società sportiva.

Abbiamo anche un foglio settimanale che dal 2006 si chiama Camminare insieme, dove pubblichiamo orari delle iniziative e riflessioni, con una newsletter a esso collegata.

Come punto finale vorrei parlare dell’oratorio inter-parrocchiale che stiamo ultimando proprio in questo periodo. Si trova a metà strada tra le due parrocchie ed è costituito da un corpo centrale che tutti a Ponte Felcino conoscono come “il teatrino delle suore”. Era stato chiuso negli anni ’70 per motivi di sicurezza: ora si è provveduto al restauro e all’ampliamento. Quest’opera sarà molto importante per tutto il territorio. Abbiamo infatti un urgente bisogno di spazi adeguati, soprattutto per i giovani.

 

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Il Brexit è realtà. Restano quattro domande: sul referendum e sull’Europa https://www.lavoce.it/il-brexit-e-realta-restano-quattro-domande-sul-referendum-e-sulleuropa/ Fri, 24 Jun 2016 11:20:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46528 Cameron referendum BrexitQuesto articolo – occorre confessarlo – era stato scritto mercoledì 22 giugno. Certo, mancavano i risultati del voto inglese che, con il referendum di ieri (23 giugno), sancisce il “leave”, l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, cui aveva aderito nel 1973. Per il resto le considerazioni che si potevano avanzare due giorni fa, una settimana or sono o nel mese di marzo erano e restano le stesse. Anzitutto i dati: per il referendum sulla permanenza o l’uscita del Regno Unito dall’Ue hanno votato il 72% degli aventi diritto. 17 milioni e 410mila sudditi britannici hanno scelto il “no” all’Europa (51,9%), 16 milioni 140mila si sono espressi per il “sì” (48,1%). Londra città, Scozia e Irlanda del Nord hanno votato per il “remain”, il resto del Paese per il “Brexit” (Britain exit). Concretamente ora si apre una lunga fase di negoziati per ridefinire i rapporti tra Regno Unito e il resto dell’Unione europea.

Ci sono due anni di tempo per riscrivere le regole di una convivenza che si vuole comunque amichevole ed economicamente sostenibile con vantaggio reciproco. Nel frattempo l’isola è in subbuglio e l’Europa comunitaria si lecca una ferita profonda: alla crisi economica, alla crisi migratoria, si aggiunge questa nuova crisi politica: non è la prima che l’Ue affronta; ma certamente questa appare tra le più ardue, capitando in un momento di disaffezione al progetto di pace e d’integrazione europea, avviato 70 anni fa sulle ceneri della seconda guerra mondiale.

Risuonano invece in queste ore le parole del vero vincitore (se così si può definire) di questa battaglia: Nigel Farage, visionario indipendentista, leader dell’Ukip, antieuropeo dichiarato, europarlamentare tignoso e indomabile, finalmente riuscito nel suo doppio intento: isolare il Regno di Elisabetta in un mondo ormai interdipendente e rifilare un fendente a una Ue già di per sé provata. “C’è un sogno che irrompe nell’alba di oggi su un Regno Unito indipendente. Questa sarà – ha dichiarato Farage alla luce dei risultati del referendum – una vittoria per la gente vera, una vittoria per la gente comune, una vittoria per la gente perbene. Spero che questa vittoria faccia crollare” il progetto europeo “fallimentare”, e “ci porti a un’Europa di Stati sovrani, che commercino assieme, che siano amici e collaborino insieme, e che ci si sbarazzi della bandiera e dell’inno di Bruxelles”. Infine: “Facciamo sì che il 23 giugno entri nella storia come il nostro giorno dell’indipendenza”.

Sul versante opposto c’è il primo degli sconfitti: il premier David Cameron.  Il quale lo scorso anno, pur di vincere le elezioni politiche, aveva promesso il referendum, del quale diventa vittima. Con questa sfida elettorale Cameron ha diviso il suo partito (i Conservatori); ha spezzato esattamente a metà l’elettorato e dunque il suo Paese; ha dato coraggio e forza vincente a populismo, nazionalismo ed euroscetticismo; ha isolato l’United Kingdom dal resto del Vecchio Continente e dal mercato unico europeo con il quale le imprese dell’isola svolgono la gran parte degli affari. E ora rischia di vedere la stessa nazione britannica spezzata in due se, tenendo fede alle promesse, la Scozia, convintamente europeista, dovesse indire un ulteriore referendum per staccarsi da Londra pur di rimanere nell’Ue.

Alla luce di tali esiti, a Cameron non resterebbe, per coerenza, che farsi da parte (come ha già dichiarato), lasciando che siano altri ad avviare i negoziati di buon vicinato, partendo, questa volta, da un Regno Unito “extracomunitario”, così come extraUe diventano i suoi cittadini, le sue imprese, la sua City… Si salva solo la lingua, perché l’inglese è, nei fatti, una lingua globale, della quale nessuno può, nel terzo millennio, fare a meno.

Rimangono sul tavolo vari quesiti, gli stessi – appunto – di due giorni fa, di una settimana fa, dei mesi scorsi.

Il primo: sulla base di quali elementi certi e convinzioni consolidate i cittadini hanno scelto per il sì o per il no? Non è un dubbio sulla democrazia, ma un interrogativo sullo strumento referendum che, nella semplificazione di un sì o un no, porta a decidere su materie in genere complesse, che andrebbero forse trattate con maggior cautela e ampia visione strategica ed etico-politica, nelle sedi delegate dalle democrazie parlamentari. E il Parlamento inglese ha secoli di storia…

Secondo quesito: la scossa proveniente dal Regno Unito indurrà l’Ue a ripensarsi? Il sogno europeo dei “padri fondatori” resta indiscutibile e buono nelle fondamenta, ma richiede, alla luce dei tempi che cambiano, delle trasformazioni epocali in corso, delle nuove sfide interne ed esterne, di essere aggiornato, rafforzato e reso presentabile e nuovamente ambito – persino “amato” – dai cittadini europei.

Terzo punto: l’“esempio” inglese sarà seguito da altri Paesi membri, sull’onda dei nazionalismi diffusi che sperimentiamo da anni e che trovano il loro “volto scuro” nei muri risorgenti in varie parti del continente?

Così arriva almeno una quarta domanda: in relazione a questa Europa che sembra imboccare strade divergenti, prenderà forma un’Europa a più velocità o a geografie variabili? Perché è esattamente ciò che è stato imposto da Cameron all’Ue e sancito lo scorso febbraio tra Londra e i 27, quando, pur di scongiurare il Brexit, era stato detto sì alle condizioni imposte dal premier britannico: il Regno Unito non avrebbe fatto parte di ulteriori integrazioni verso l’unità politica; dell’Ue nel suo complesso (mercato, leggi, accordi…) Londra avrebbe pescato solo ciò che sarebbe andato a proprio vantaggio, di fatto negando il principio di solidarietà sul quale si basa la stessa Ue; il Regno avrebbe trattato diversamente i lavoratori, e dunque i cittadini, Ue da quelli con passaporto inglese, a partire da un diverso sistema di welfare. Chi crede davvero all’Europa unita può soggiacere a queste condizioni oppure è meglio che l’Ue assuma una nuova dimensione plurima a cerchi concentrici, con maggiori o minori gradi di profondità d’integrazione politica?

Agli interrogativi si comincerà probabilmente a rispondere da domani. Per oggi c’è una certezza: chi insegue i populismi alla fine ne resta vittima.

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Immigrati: dove sta il problema https://www.lavoce.it/immigrati-dove-sta-il-problema/ https://www.lavoce.it/immigrati-dove-sta-il-problema/#comments Thu, 28 Jan 2016 15:14:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45200 puntoNon è vero che l’Europa sia pregiudizialmente ostile agli immigrati e alla loro integrazione. Ricordo, tra l’altro, la Direttiva del 2003 sui ricongiungimenti familiari, emanata a seguito di un vertice europeo del 1999.
Quella Direttiva ha imposto agli Stati membri di agevolare gli immigrati che vogliano farsi raggiungere dai loro familiari, e di favorire poi la permanenza delle famiglie. Così, per esempio, uno straniero che commette certi reati deve essere rimandato al Paese di origine, ma questo non si può fare (o si può fare solo in casi di eccezionale gravità) se quello straniero ha con sé moglie e figli. Il concetto è che la famiglia dell’immigrato è un fattore utile a facilitarne l’inserimento e l’integrazione. Questo era stato stabilito nel 2003. Non sono sicuro che, se si dovesse decidere oggi, il risultato sarebbe lo stesso.
Stanno esplodendo in Europa gli egoismi nazionalistici. La causa scatenante è il problema del numero. La sociologia insegna che un fenomeno in sé utile, o comunque non dannoso, può convertirsi in una fonte di problemi anche gravi se diventa un fenomeno di massa. Così può essere anche per l’arrivo degli immigrati e degli stessi rifugiati. Ciascuno di loro è una persona con il suo carico di potenzialità e di bisogni, di virtù e di vizi. Presi singolarmente, meritano rispetto e accoglienza; se diventano massa, gestirli può diventare impossibile. Il futuro non promette bene.
L’intera Africa – a parte i problemi politici, economici e sanitari – sta scoppiando dal punto di vista demografico. I Paesi dell’Africa equatoriale e subequatoriale crescono del 100% ogni venti anni; la loro popolazione è composta per il 40 per cento (e più) di individui con meno di 15 anni, a loro volta futuri genitori. Il tutto in contesti di povertà estrema. Facile prevedere che crescerà ancora la fuga verso l’Europa, ricca e prodiga di assistenza, servizi e welfare verso chi ha la fortuna di stare nel suo territorio, come cittadino o come immigrato. Saremo sfidati a garantire un posto a tutti. È una sfida che dobbiamo cercare di vincere, ma le buone intenzioni non bastano.

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Un bambino su quattro negli oratori umbri è straniero. Censite oltre 25 nazionalità https://www.lavoce.it/un-bambino-su-quattro-negli-oratori-umbri-e-straniero-censite-oltre-25-nazionalita/ Fri, 15 Jan 2016 22:49:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45025 immigratiIn media per quattro giorni la settimana e un totale di oltre cinquanta ore al mese, gli oratori disseminati in tutta la Regione, che sono ad oggi oltre 100, offrono un servizio gratuito di sostegno alle principali agenzie educative, quali famiglia e scuola, per favorire la crescita integrale del bambino e del ragazzo, di qualunque estrazione sociale o provenienza esso sia.

Il principio fondamentale del modello educativo di riferimento è la centralità della persona umana, percui ogni giovane, italiano o straniero, ricco o povero, è seguito nella prospettiva della sua piena realizzazione umana e nel contesto delle sue esigenze, problematiche e caratteristiche personali.

L’attività istituzionale degli oratori umbri è caratterizzata da una molteplicità di attività e proposte che spaziano dal Gr.Est. (gruppi estivi oratoriali) allo sport in oratorio, dal servizio di aiuto compiti agli spazi ludici, ricreativi e aggregativi in cui tutti i bambini e giovani con le loro famiglie possono ritrovarsi per trascorrere del tempo di qualità in un ambiente quanto più possibile sicuro ed educativamente valido.

Un trend di tutto questo decennio, che si è andato caratterizzando in modo particolare nell’ultimo triennio, è quello dell’altissima presenza in oratorio di bambini stranieri, provenienti da oltre 25 nazioni differenti.

Questo dato, per il quale nelle periferie cittadine almeno 1 bambino su 4 tra quelli che frequentano l’oratorio è di un’altra nazionalità, è il linea con quello di moltissime città italiane ed è proprio anche del nostro tessuto sociale. Esso chiama certamente gli oratori in causa e in prima linea in alcuni servizi fondamentali: il primo è l’accompagnamento allo studio e il secondo è l’offerta di uno spazio, di un luogo e di una proposta di accoglienza e di integrazione per il tempo libero pomeridiano di tantissimi bambini e ragazzi, che diversamente sarebbero soli a casa.

Esperienza comune al 60% degli oratori disseminati sul territorio è il fatto che moltissime famiglie straniere si rivolgono quasi in prima istanza a quello che per loro diventa un luogo di aggregazione, un punto di riferimento sul territorio, uno spazio, un’occasione e un’opportunità di crescita, integrazione, accoglienza e rete con la realtà locale.

Nel patto educativo che, concretamente, quotidianamente ed efficacemente, lega l’oratorio alle scuole e alle famiglie, tanti bambini che devono inserirsi nella scuola primaria, trovano nell’accompagnamento allo studio svolto nei nostri oratori la mano tesa di un gesto di accoglienza e amicizia che poi cresce in tante forme e maniere nel tempo.

Basta scendere da Perugia a Ponte San Giovanni per vedere che le sale dell’oratorio C’Entro sono state dipinte dai ragazzi con le città e i luoghi più significativi delle loro nazioni di provenienza e si vivono ogni anno percorsi e progetti di accoglienza e integrazione nei linguaggi e metodi propri dei giovani e dell’oratorio: dalla danza al laboratorio di cucina, dallo sport alla musica, dallo studio alle arti grafiche.

“Nello stile della prossimità propria degli oratori – commenta don Riccardo Pascolini , coordinatore regionale oratori e direttore ufficio pastorale giovanile di Pg – alcuni obiettivi strutturalmente insiti nell’attività oratoriale anche umbra sono: l’accompagnamento alla crescita e alla formazione integrale della persona; l’aiuto nella maturazione della capacità relazionale nell’ambito della solidarietà e della socialità in un costante rapporto intergenerazionale; la collaborazione con tutte le istituzioni e gli enti territoriali per Orientare al senso della responsabilità verso la comunità e la società intera tutti i bambini, i giovani, i ragazzi e anche le famiglie a cui piace vivere l’oratorio”. In questo senso, aggiunge don Pascolini, “è certamente una ricchezza, un’occasione e un’opportunità che in oratorio si cammini insieme tra bambini di diverse nazionalità, ma oggi, ancor di più, è una chiamata e un’esigenza che nasce dal territorio e dal contesto sociale che noi viviamo e di cui non possiamo che farci carico con entusiasmo, gioia e impegno ma anche cercando di attivare tutte le possibili collaborazioni per avere un’adeguata formazione e competenza”.

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Immigrazione. I migranti chiedono soluzioni intelligenti https://www.lavoce.it/i-migranti-chiedono-soluzioni-intelligenti/ https://www.lavoce.it/i-migranti-chiedono-soluzioni-intelligenti/#comments Fri, 15 Jan 2016 22:32:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44985 don-paolo-giulietti
Mons. Paolo Giulietti

Non “se” ma “come” è la congiunzione giusta quando si parla di migrazioni. Si tratta infatti di confrontarsi con un fenomeno che è imponente e irreversibile. Si può – e si deve – certamente operare per il diritto a non emigrare, come sosteneva Benedetto XVI nel 2012 e ha ribadito Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale dei migranti e dei rifugiati 2016 . A tale proposito ci dovremmo seriamente domandare quanto le politiche economiche e le scelte diplomatico-militari dei Paesi occidentali (ma non solo essi) abbiano contribuito a far crescere una migrazione sempre più disperata e disordinata, facile appannaggio di trafficanti senza scrupoli. Basti pensare che la cifra stanziata dall’Italia nel 2015 per la cooperazione allo sviluppo è ferma allo 0,16% del Pil, a fronte dello 0,7% che i Paesi Ocse si sono dati come livello minimo. Senza parlare dei massicci flussi migratori generati da conflitti bellici spesso incautamente innescati – o favoriti – e malamente gestiti.

E senza dire, infine, dei Paesi dimenticati, della cui povertà e delle cui guerre a nessuno interessa, salvo poi scoprire che anche da lì si continua – giustamente – a fuggire verso lidi migliori. Sta di fatto che i movimenti di persone sono in costante aumento, riguardando non solo chi abbandona territori afflitti da guerra o da povertà endemica, ma anche tanti giovani italiani ed europei che hanno ripreso a emigrare, all’interno dei propri Paesi o verso l’estero.

La migrazione interna in Italia ammontava nel 2014 a oltre 1.300.000 unità; quella verso l’estero a quasi 140.000 unità, oltre la metà di quanti sono immigrati legalmente da altri Paesi. Il flusso globale di migranti transazionali è assommato, sempre nel 2014, a oltre 230 milioni di persone. Numeri imponenti, che obbligano a ripensare in fretta e con intelligenza modelli culturali e sociali. Serve a poco assumere atteggiamenti di chiusura o – peggio – innalzare barriere di qualsiasi genere: non si arresta un movimento di tale portata.

La questione vera è, allora, come gestire ciò che sta accadendo. Nessuno possiede le ricette; anche perché i modelli di integrazione finora sperimentati mostrano limiti vistosi. In questo cammino di riflessione c’è posto per tutti: per chi è preoccupato della sicurezza e chi dell’accoglienza; per chi desidera preservare identità e tradizioni e chi vede con favore l’incontro delle culture; per chi non vuole mettere in discussione diritti acquisiti e chi sostiene la necessità di una decisa revisione degli stili di vita. Non bisognerebbe demonizzare le idee diverse dalle proprie, perché nessun approccio unilaterale è sufficiente a trovare le soluzioni giuste. Chi strumentalizza singoli episodi o paure diffuse ventilando un futuro “a immigrazione controllata e garantita” o – peggio – “a immigrazione zero” mente sapendo di mentire. Ma anche chi minimizza le difficoltà e invita a mettere da parte ogni riserva compie un’operazione di dubbia onestà intellettuale.

Comunque, in omnibus charitas : è indispensabile l’atteggiamento della misericordia. Misericordia verso chi emigra, perché si tratta di persone, non di numeri o di problemi. Misericordia verso chi è chiamato ad accogliere, perché paure ed egoismi, ingenuità e interessi fanno parte dell’uomo e vanno curati più che condannati.

Misericordia verso l’umanità tutta, che chiede con sempre maggiore urgenza operazioni coraggiose e intelligenti di governance locale e globale, che sottraggano il controllo dei fenomeni alle forze occulte del malaffare o dell’affarismo, per riconsegnarlo ai popoli, nella prospettiva del bene comune.

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L’Umbria solidale con Parigi https://www.lavoce.it/lumbria-solidale-con-parigi/ Sat, 21 Nov 2015 17:39:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44481 attentati-parigi-novembreDa ogni parte del mondo sono sorte iniziative di preghiera e ricordo delle vittime. Anche in Umbria i Vescovi hanno espresso solidarietà alla Chiesa e al popolo di Francia: “Nell’affidare le vittime a Gesù Buon Pastore – si legge nella nota -, i Vescovi invocano l’intercessione di san Benedetto da Norcia, patrono d’Europa, affinché la Francia e tutto il Continente europeo ritrovino pace, serenità e unità”. Il card. Gualtiero Bassetti nel corso dell’intervento all’inaugurazione del Film festival Popoli e religioni a Terni ha affermato: “La cosa migliore per reagire è quella dell’accoglienza, dell’integrazione e del dialogo”. Ad Assisi, ad esempio, oggi venerdì 20 novembre alle 21 si tiene una veglia di preghiera nel monastero delle Collettine. La preghiera poi si farà cammino silenzioso fino all’Istituto Serafico, luogo simbolo di servizio alla vita, dove ci si potrà fermare per l’adorazione notturna. “Vogliamo sottolineare con forza – dice il vescovo Domenico Sorrentino – che il terrorismo non può gettare ombra sui musulmani che vivono la loro fede con sentimenti e pensieri di pace”. A Perugia, poi, domenica 22 novembre nella messa delle ore 11.45 alla chiesa dell’Università un gruppo di giovani cristiani della Terra Santa che studiano nel capoluogo umbro canteranno, in segno di pace e fratellanza, il Padre nostro in arabo. A Spoleto sabato 21 novembre alle 9 in duomo, il vicario generale della diocesi mons. Luigi Piccioli presiederà la mensile messa con i membri della confraternita della Santissima Icone: in speciale modo si pregherà per le vittime degli attentati in Francia. Altre veglie di preghiera si terranno nelle parrocchie, nei conventi e nei monasteri.

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L’Umbria “invisibile” delle tv di comunità https://www.lavoce.it/lumbria-invisibile-delle-tv-di-comunita/ Thu, 01 Oct 2015 13:05:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43660 Don Riccardo Pascolini
Don Riccardo Pascolini

La “tv di comunità” ha contribuito a raccontare sullo schermo quell’“Umbria invisibile” dei tanti giovani che donano il loro tempo agli anziani, alle mense della Caritas, nelle diverse realtà del volontariato, e che reagiscono alle difficoltà di trovarsi un lavoro inventandolo.

Una rappresentazione ben diversa da quella che arriva ogni giorno dagli schermi di televisione, pc, tablet e dalle pagine dei giornali che raccontano di una gioventù rassegnata, rinchiusa nel recinto dei social network, con poca voglia di lavorare e di studiare; giovani “fatti” di alcol e droga, aguzzini e vittime delle violenze del bullismo.

La Voce ne ha parlato con don Riccardo Pascolini, giovane anche lui (34 anni), che dal 2008 è direttore dell’ufficio per la Pastorale giovanile della diocesi di Perugia. Coordinatore degli Oratori perugini e di quelli dell’intera Umbria, dal novembre scorso ha assunto anche l’importante incarico di presidente del Forum dei 7.000 oratori italiani.

“Purtroppo – osserva don Riccardo – esiste un forte disagio giovanile, allarmante in molti suoi aspetti, in una società che, per tante e troppe cause, ha confini generazionali assolutamente precari, difficoltà educative e in cui i ragazzi fanno fatica a trovare certezze su cui crescere e responsabilizzarsi. Un nostro tentativo di risposta a queste problematiche è l’associazione di volontariato ‘Perugia per i giovani’, nata nel 2009. L’intento è quello di promuovere la crescita umana dei giovani, realizzando progetti ed eventi, sostenendoli e accompagnandoli in percorsi di carattere educativo, formativo, aggregativo, ludico, sportivo, caritativo, socio-assistenziale, artistico e culturale.

In questa esperienza, come nella realtà oratoriale, quotidianamente abbiamo modo di vedere che i ragazzi spendono tempo e energie gratuitamente, nelle parrocchie, negli oratori, nelle associazioni, nell’educazione dei ragazzi, nel servizio ai malati, agli anziani e ai poveri, nell’impegno nelle missioni. I giovani, se ben motivati, sostenuti e sollecitati, possono veramente credere nelle proprie capacità, investire su se stessi ed essere protagonisti del proprio futuro”.

Esperienze come la tv di comunità possono servire a far conoscere una realtà del mondo giovanile più positiva; e soprattutto, sono utili a questi giovani abituati a relazionarsi sui social media ?

“Abbiamo provato a mettere sotto gli occhi della città il buono del nostro territorio, mostrando soprattutto come basti dare la possibilità ai giovani di mettersi in gioco con impegno, perseveranza e un po’ di creatività per realizzare progetti concreti, che mostrano il loro potenziale e vanno incontro alle esigenze dei loro coetanei. Basti citare il progetto dello skate-park all’oratorio ‘C’Entro’ di Ponte San Giovanni, del quale si parla in un documentario, pensato, disegnato e pianificato dai ragazzi. Altro importante esempio di partecipazione è l’impegno concreto del Forum regionale dei giovani umbri, esempio di collaborazione e integrazione fra tutte le anime ed espressioni del mondo giovanile umbro”.

Quale è il vostro rapporto con le istituzioni locali?

“I rapporti con le istituzioni sono fondamentali per il mondo oratoriale, ma anche per tutto il panorama del mondo delle associazioni, in quanto il servizio che viene svolto in oratorio non si può scindere dagli altri servizi che il territorio offre o di cui ha bisogno. Regione, Comune e Provincia, Ufficio scolastico regionale, prefettura insieme al Tribunale dei minori e alla scuola, in Umbria, collaborano attivamente con l’oratorio, secondo il principio di sussidiarietà proprio a ciascuno, a favore dei giovani e della cittadinanza tutta. Il contributo regionale per gli oratori (dovuto alla legge regionale n. 28 del 2004) è stato un atto importante, di riconoscimento formale e sostanziale della funzione sociale svolta. Esso permette di programmare, progettare e raggiungere obiettivi altrimenti difficilmente attuabili per i nostri oratori”.

Più del 40% di disoccupati tra i giovani, con un 27% circa di under 30 che non studiano, non hanno un lavoro e hanno anche rinunciato a cercarlo. Il documentario invece racconta di giovani che si sono inventati o stanno cercando di inventarsi un’occasione di lavoro. C’è qualche esperienza di questo tipo maturata grazie alla vita di oratorio?

“Nella vita d’oratorio crediamo che si possano maturare relazioni positive di crescita e condivisione, si possa avere un sostegno e un supporto nel percorso di studi, nell’orientamento alle scelte. Crediamo anche che nello scambio generazionale si possano trasmettere saperi, avere incontri e fornire opportunità, talvolta anche lavorative. Nella formazione di tutti i giovani animatori ed educatori abbiamo visto nel tempo che non si formano solo tecnici specializzati, ma si accompagna la crescita di una persona, a livello integrale, che potrà poi trovare il suo posto nella vita e spendersi al meglio per se stessa e per gli altri anche nell’ambiente lavorativo”.

 

Come funziona

Il progetto “Tv di comunità” era stato avviato alla fine del 2012 con la collaborazione dell’Ordine dei giornalisti e dei Cesvol (Centri servizio volontariato) per cercare di fare conoscere e valorizzare questa realtà spesso sconosciuta, della quale però in Umbria fanno parte migliaia di persone. Questo, mediante la produzione di filmati da diffondere in programmi tv e in occasione di manifestazioni, convegni e dibattiti. Sono stati 48 i video realizzati da una rete di soggetti no profit nell’ambito di quattro progetti: FairTv (che ha visto come capofila Monimbò e associazione Pettirosso), KmZero-Videolab (cooperativa Fioreverde), EverGreen2 (associazione Perugia per i giovani) e Domino – Reazione a catena (Cesvol di Terni e Perugia). Lorenzo Grighi, ex allievo della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia che ha collaborato alla iniziativa, ne ha tratto i due interessanti documentari presentati al Postmodernissimo.

Al Perugia Social Film Festival, appena concluso, sono stati presentati due documentari prodotti dal Corecom Umbria per il progetto “Tv di comunità” ( vedi sopra ) che – come sottolineato dalla presidente del Corecom Gabriella Mecucci – raccontano “un’Umbria diversa. Una realtà troppo spesso invisibile, fatta di persone che si aiutano e che non si dimenticano di chi è in difficoltà. Una realtà composta anche da tanti giovani che non si rassegnano, e che investono su se stessi e sul proprio futuro”.

Tante le storie e le situazioni in quelli che la presidente del Consiglio regionale Donatella Porzi ha definito “piccoli prodigi quotidiani”. Prodigi che – ha detto Antonio Socci, direttore della Scuola di giornalismo radiotelevisivo – “nella narrazione giornalistica sono lasciati colpevolmente in ombra”.

Nel primo documentario presentato al Festival si comincia da Perugia, con il doposcuola organizzato all’oratorio di San Sisto e la pista di pattinaggio all’oratorio “C’Entro” di Ponte San Giovanni, un progetto interamente costruito dai ragazzi che lo hanno pensato, disegnato e pianificato. E ancora l’esperienza dell’Emporio della Caritas e dell’assistenza fornita a studenti disabili dell’Università perugina.

Belle le storie di questa “Umbria invisibile” anche in provincia di Terni. Come quelle dell’associazione Aladino, che assiste ragazzi con difficoltà psichiche aiutandoli a vivere le esperienze quotidiane di tanti loro coetanei in città; e del Centro diurno “Marco Polo” che assiste quelli che per tanta gente sono ancora “i matti”. Sono tante le storie di “questa Umbria – come si afferma nel documentario – pronta ad aiutare”, l’ultima delle quali porta lo spettatore nel clima sereno e perfino allegro della “Casa dei girasoli” di San Giustino, dove gli anziani ospiti e i giovani volontari cantano e suonano la chitarra come in una festa familiare con nonni e nipoti.

Del secondo documentario sono protagonisti giovani che con talento e creatività hanno superato la paura di “non farcela”. Ad esempio, gli studenti che in un anno e mezzo di intenso lavoro hanno scritto, girato e interpretato a Perugia il cortometraggio Alla luce dei tuoi occhi, accumulando competenze che per alcuni di loro potrebbero tradursi in occasioni lavorative. Un viaggio per dare spazio a questi giovani “con tanta voglia di provarci” che tocca varie località e esperienze, come a Foligno con il progetto degli orti solidali, Corciano con l’innovativa esperienza di collaborazione nel laboratorio Hub Corciano e nella provincia di Terni con i progetti del “Mercato brado” e “Mettiamoci in gioco”.

 

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Ritorno alla terra con colture green https://www.lavoce.it/ritorno-alla-terra-con-colture-green/ Thu, 01 Oct 2015 09:39:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43567 FaLaCosaGiusta_319Sarà un weekend di “ritorno alla terra” quello in programma dal 2 al 4 ottobre, presso il polo espositivo Umbriafiere di Bastia Umbra, grazie alla seconda edizione di “Fa’ la cosa giusta!”, la fiera del consumo consapevole e degli stili di vita sostenibili.

Una tre-giorni di eventi gratuiti non-stop per capire che la sostenibilità “è giusta, è bella e produce profitti economici”, come spiega Nicoletta Gasbarrone, presidente dell’evento.

“Vivere e lavorare in maniera sostenibile – sottolinea -, sia dal punto di vista economico-sociale che ambientale, non è un’utopia, bensì un’alternativa già possibile e, in molti casi, un’esperienza di successo imprenditoriale. L’obiettivo di questo evento è proprio far capire e conoscere ciò alle persone. Già lo scorso anno abbiamo avuto una risposta di pubblico veramente positiva, che non ci aspettavamo, a riprova che si tratta di un argomento che interessa e coinvolge”.

Il tema di quest’anno è proprio “Ritorniamo alla terra”, inteso come esaltazione della vocazione agricola dell’Umbria, come visione della terra quale fonte di vita e di salute, ma anche come nuova forma di reddito nell’agricoltura sostenibile. “L’evento – spiega ancora Gasbarrone – si struttura su tre pilastri fondamentali: la fiera vera e propria con la mostra mercato di prodotti e servizi green, il programma culturale che prevede convegni, dibattiti, seminari ecc., e il progetto scuole con laboratori dedicati alle classi di ogni ordine e grado”.

A organizzare l’evento, insieme a Fair Lab, c’è anche Umbriafiere, in veste non solo di spazio espositivo quindi, ma di vero e proprio partner. “Subito entusiasti di questo progetto fin dall’anno scorso – ha sottolineato il presidente di Umbriafiere spa, Lazzaro Bogliari -, quest’anno abbiamo deciso di ampliare lo spazio dai 5.000 metri quadrati della passata edizione agli attuali 10.000, con la prospettiva di arrivare il prossimo anno a coprire tutti i 15.000 metri quadrati di Umbriafiere. In contemporanea con ‘Fa’ la cosa giusta’ organizzeremo ‘Così in Terra’, nuova fiera dedicata alle piante autoctone e alle fibre naturali, che sarà presentata sabato 3 ottobre, alle 12, presso l’Umbriafiere”.

“Fa’ la cosa giusta!” è stato realizzato anche grazie al al contributo della Regione. “La presenza della nostra istituzione – ha spiegato l’assessore all’Ambiente, agricoltura e cultura Cecchini – non è una presenza formale ma attiva. Saremo presenti con gli assessorati della Salute e del Turismo in attività di promozione, informazione e consulenza”.

Spazi per sanità, cultura e lavoro

Alcune segnalazioni tra i tanti eventi presenti alla fiera “Fa’ la cosa giusta!” a Bastia Umbra

Il programma di “Fa’ la cosa giusta!” si presenta ricchissimo di appuntamenti con più di 200 eventi gratuiti: seminari, workshop, dibattiti, educazione e didattica, dimostrazioni, presentazioni, mostre, convegni, cooking show, laboratori pratici. Al centro degli eventi la mostra mercato con 200 stand, divisa in aree tematiche: Abitare sostenibile, Buono da mangiare, Mobilità nuova, Ethical fashion, Cosmesi naturale e biologica, Viaggiare, Editoria, Servizi etici, Il pianeta dei piccoli, Cittadinanza e partecipazione e una area Vegan, il VeganOk Expo.

La Regione Umbria sarà presente con lo “spazio +”, area dedicata all’informazione sui temi energetici, un vero e proprio centro informativo dove i cittadini potranno conoscere vantaggi e soluzioni per i loro consumi privati, ma anche opportunità in ambito ambientale e di incentivi per le imprese. La Sanità interverrà con il progetto, coordinato dal Servizio prevenzione, sanità veterinaria e sicurezza alimentare della Regione, denominato “Piazza della salute”, un’area dove i cittadini potranno confrontarsi “in tempo reale” con il Servizio sanitario regionale, informarsi e trovare risposta su importanti di salute come la prevenzione, attraverso la pratica degli screening, delle malattie tumorali.

Presenti in fiera anche specifici spazi di promozione della salute dedicati, il primo, al rapporto tra à fisica e salute delle persone e, il secondo, al tema della alimentazione. Nel programma culturale, segnaliamo venerdì 2 ottobre, dalle 18, l’incontro “L’accoglienza dei richiedenti asilo ai tempi del filo spinato”, esperimenti di solidarietà, pratiche dei diritti e integrazione sociale nei progetti Sprar e Nuova emergenza dell’Umbria per i richiedenti asilo.

Venerdì 2 ottobre, dalle 15 alle 18, in collaborazione con l’assessorato al Turismo della Regione, è in programma l’incontro “Il turismo responsabile”, per una giusta interazione tra industria del turismo, comunità locali e viaggiatori, con le esperienze degli operatori del settore. Sul tema del lavoro, sabato 3, dalle 15, l’iniziativa “#dagrande – Sfrutta la crisi! Scopri nuove opportunità professionali”, per capire come orientarsi e trovare lavoro insieme ai giovani che hanno partecipato al programma Garanzia giovani. Ancora sabato, alle 16.30, sul tema ambientale si parlerà di “Economia circolare per un nuovo modello di società”, dal rifiuto al riutilizzo, come lo scarto diventa risorsa, insieme a esperti dell’Arpa Umbria, Novamont, Legambiente e Kyoto Club.

Per info e programma completo: www.falacosagiustaumbria.it

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Esisterà ancora la Regione Umbria? https://www.lavoce.it/esistera-ancora-la-regione-umbria/ Thu, 17 Sep 2015 08:50:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43272 L'Umbria vista dallo spazio (foto esa.int)
L’Umbria vista dallo spazio (foto esa.int)

Ci sarà ancora la regione Umbria? Il governo Renzi nell’ambito delle riforme costituzionali aveva annunciato anche la creazione di macro-regioni. Nel dicembre scorso il Pd aveva presentato un disegno di legge costituzionale per ridurre il loro numero da 20 a 12.

Secondo questa proposta, l’Umbria entrerebbe a fare parte della Regione appenninica con la Toscana e la provincia di Viterbo. Una riforma che stravolgerebbe l’attuale assetto amministrativo (e forse anche il quadro politico) dell’Italia. Sul tema però è calato il silenzio, mentre si continua a litigare sulla riforma del Senato e sulla nuova legge elettorale.

Delle macro-regioni però si è tornato a parlare alla fine della scorsa settimana nelle Giornate della geografia, l’incontro annuale dei geografi italiani, che per la prima volta si è svolto a Perugia, organizzato dalla Università degli studi con il coordinamento del prof. Giovanni De Santis. Il tema della prima tavola rotonda era infatti “L’Umbria, regione centrale nell’Italia di mezzo”.

Una posizione di centro che – come emerso dai lavori – l’Umbria occupa soltanto nelle carte geografiche. Non lo è infatti dal punto di vista economico, e con una popolazione in cui gli anziani con più di 65 anni sono percentualmente superiori alla media nazionale.

Una regione di 900.000 abitanti, tanti quanti ne conta un grande quartiere di Roma, che non è mai esistita nelle carte geografiche prima dell’Unità d’ Italia e che – come ha detto lo storico Mario Tosti – è una “costruzione amministrativa”.

Dunque l’Umbria come ente Regione è da cancellare? Una domanda alla quale non possono rispondere i geografi ma i politici, i quali invece – come ha sottolineato il giurista Paolo Rossi – hanno fatto calare il silenzio su una questione complessa che rischierebbe di rimettere in discussione delicati equilibri tra le forze politiche in campo.

L’Umbria geograficamente – ha detto l’economista Sergio Sacchi – è proprio il centro dell’Italia, ma non dal punto di vista economico. Nel 1980 aveva un Pil superiore alla media nazionale, ora non è più così. Soprattutto negli ultimi anni c’è stata una discesa costante, con l’aumento del lavoro precario e irregolare e una diminuzione della capacità di esportare. Dal punto di vista dei parametri economici, l’Umbria – ha spiegato – si colloca al 12° posto tra le 20 regioni italiane. “Dunque – ha sintetizzato – l’essere al centro evidentemente non paga”.

Anche per le difficoltà nei collegamenti stradali e ferroviari, ha osservato il prof. Carlo Pongetti, dell’Università di Macerata, che ha coordinato la tavola rotonda.

Problemi aperti

Dall’intervento del demografo Odoardo Bussini è emerso che l’Umbria è una regione con tanti vecchi e pochi giovani. Il 24,2% degli abitanti hanno più di 65 anni, una percentuale che supera del 2,6% la media nazionale e dell’1,8 quella dell’Italia centrale. Nella classifica degli “over 65” è preceduta soltanto da Liguria, Friuli e Toscana. C’è poi anche una forte riduzione della natalità, superiore alla media nazionale e anche a quella dell’Italia centrale. Le persone che muoiono sono il 3,2% in più dei nati, con un calo demografico cominciato già negli anni ’90 e compensato solo dall’arrivo di immigrati.

Umbria proiettata verso l’Adriatico o verso il Tirreno? Il progetto di riforma costituzionale, con l’Umbria inserita nella Regione appenninica con Toscana e Viterbo, “ci proietta – ha detto ancora il prof. Paolo Rossi – verso il Tirreno”. Di questo si era discusso anche in Umbria, con pareri contrari tra chi lo condivide e chi invece preferisce una “proiezione verso l’Adriatico” con una macro-regione comprendente le Marche.

“Una riforma però – ha ricordato il giurista – della quale non si parla più e che sembra essere un non-problema, il grande assente nel dibattito politico”. Perché? “Si dovrebbero rimettere le mani sulla riforma elettorale e alle Circoscrizioni – ha risposto – riponendo in discussione delicati equilibri politici”.

Nel suo intervento il prof. Mario Tosti, presidente dell’Isuc (Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea), ha sottolineato la “difficoltà di identificare l’Umbria” che per secoli è stata caratterizzata da una frammentazione territoriale. È soltanto con l’Unità d’Italia che ha cominciato ad assumere una sua identità. In merito poi al progetto per le macro-regioni, Tosti ha detto che la Storia insegna che la ridefinizione di assetti amministrativi “non funziona se calata dal centro. Sono invece operazioni che vanno costruite dal basso, tenendo conto delle diversità e delle vocazioni dei territori e della valorizzazione delle autonomie locali”.

“Ogni soluzione – per l’economista Sergio Sacchi – ha aspetti positivi e negativi”. Se si dovesse andare avanti nel progetto di macro-regioni, a suo parere l’Umbria dovrà superare la “riserva mentale” di sentirsi al centro. “Io – ha concluso parlando con La Voce – sogno una Umbria come provincia di una macro-regione”.

 Il demografo Bussini: abbiamo bisogno degli immigrati

L’Umbria, regione di vecchi, è stata ringiovanita dagli immigrati; ma il loro apporto si sta esaurendo. Lo ha sottolineato nel suo intervento il prof. Odoardo Bussini, docente dell’ateneo perugino. Dalla fine dell’Ottocento agli anni Settanta del secolo scorso, 263.000 umbri hanno lasciato la loro terra per cercare fortuna altrove, il 70% all’estero e gli altri in altre regioni d’Italia.

Negli anni Ottanta, l’inversione di tendenza: l’Umbria diventa meta di immigrati. Oggi quelli regolari sono circa 100.000, l’11% della popolazione. Percentuale che colloca la regione al terzo posto in Italia dopo Emilia Romagna e Lombardia. “L’Umbria – ha detto ancora – è un buon esempio di integrazione: i nuovi abitanti si occupano dei nostri anziani, fanno lavori poco ambiti dagli italiani, vanno a scuola e giocano con i nostri figli. Questo loro contributo al ringiovanimento della nostra popolazione si sta però esaurendo, anche per colpa della crisi economica. Stiamo assistendo – ha aggiunto Bussini parlando con La Voce – a questa fuga di massa da Paesi colpiti da guerre e carestie.

È un fenomeno storico destinato a durare e che dobbiamo governare, perché abbiamo ancora bisogno di immigrati da integrare nella nostra economia e nella nostra società. Le ultime stime delle Nazioni Unite dicono che la popolazione nel mondo nei prossimi decenni continuerà a crescere. In Europa siamo 700 milioni, ma nella sola Africa sub-sahariana si supereranno i 2 miliardi.

In Italia solo 13 abitanti su 100 hanno meno di 15 anni, mentre in Africa e negli altri Paesi del cosiddetto terzo mondo sono 35-40, quasi la metà della popolazione. Ci saranno dunque milioni di persone, in gran parte giovani, che nei prossimi decenni inevitabilmente non avranno pane sufficiente nei loro Paesi e quindi premeranno in massa ai confini delle nazioni dell’Occidente. Certo non basteranno i muri a fermarli. E tutto questo avverrà mentre in Italia, senza il loro apporto, saremo sempre di meno e sempre più vecchi”.

 

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L’accoglienza degli immigrati a Terni https://www.lavoce.it/laccoglienza-degli-immigrati-a-terni/ Wed, 05 Aug 2015 09:31:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=41865 accoglienza-immigratiL’accoglienza degli immigrati, tesa a favorire il loro inserimento nella comunità attraverso il coinvolgimento in attività di volontariato organizzate, è l’obiettivo del protocollo d’intesa, della durata di un anno, che vede protagonisti la prefettura di Terni, l’Anci Umbria, l’Inail, la Direzione territoriale del lavoro, i Comuni di Terni, Amelia, Ferentillo, Lugnano in Teverina, Montefranco, Narni, Orvieto e San Venanzo, gli enti gestori delle strutture di accoglienza quali Arci solidarietà, associazione San Martino, laboratorio Idea, Casa vincenziana Andreoli, Caritas diocesana di Orvieto-Todi, cooperativa sociale agricola Labouré e i sindacati Cgil, Cisl, Uil e Ugl.

Il tutto nasce da un’idea di accoglienza e integrazione, basata sul rispetto reciproco e sulla condivisione dei valori di partecipazione, solidarietà, che permettano agli immigrati di conoscere il contesto sociale, attraverso attività di volontariato a favore della collettività ospitante.

“Una opportunità – ha detto il prefetto Gianfelice Bellesini – che esalta il valore della solidarietà e della partecipazione, del dialogo e integrazione fra i migranti e la comunità che li ospita. Il coinvolgimento in attività di servizio e di pubblica utilità in forma volontaria, può essere una formidabile opportunità di conoscenza e accettazione reciproca, di condivisione del bene comune”.

Il protocollo prevede l’impegno del migrante a rendere prestazioni personali, volontarie e gratuite, individualmente o in gruppi, per il perseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale dell’organizzazione cui aderisce, secondo le indicazioni del sindaco del Comune ospitante.

Attività a carattere civile che non richiedono specializzazione e, che andranno individuate secondo le capacità, attitudini, professionalità e intenzioni dell’interessato. Tali attività dovranno essere svolte sotto la supervisione di un operatore sociale o di un tecnico, anche al fine di garantire la piena realizzazione delle potenzialità educativo-formative del progetto.

Da parte loro i Comuni aderenti svolgeranno funzione di garanzia per quanto attiene agli obblighi in materia di assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali connessi allo svolgimento dell’attività prestata. Le organizzazioni che accolgono i migranti si impegnano ad assicurare agli interessati l’informazione, la formazione e l’addestramento in materia di sicurezza sul lavoro, con particolare riguardo all’uso dei dispositivi di protezione individuale necessari in relazione allo svolgimento dei compiti assegnati. Le attività in alcuni Comuni sono già in fase di svolgimento come quelle attuate per il decoro urbano.

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Miti da sfatare https://www.lavoce.it/miti-da-sfatare/ Wed, 22 Jul 2015 09:56:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39787 immigratiSono diventati nel tempo una presenza sempre più visibile nelle nostre città, paesi, borghi. Il nostro sguardo, da sorpreso e incuriosito che era, si è pian piano abituato al cambiamento: parliamo dei residenti stranieri.

L’argomento è attuale e crea notevoli divisioni tra i pareri, anche perché il ruolo sociale e l’impatto nella vita civile degli immigrati spesso non era ben definito.

Ebbene, la ricerca presentata nei giorni scorsi dal gruppo di lavoro Sistan istituito in prefettura a Terni definisce con molta precisione questa realtà, che è di molto cresciuta.

Oggi appare multietnica e ben integrata nel territorio, tanto che ne è ormai una insostituibile realtà produttiva e lavorativa e sociale. Intanto, rispetto alla comune “percezione” del fenomeno immigrazione, le cifre dicono che essa rappresenta il 10% del totale dei residenti della provincia di Terni, ovvero 23.061 unità, cresciuti di quasi due terzi dal 2010, ma assai meno negli ultimi anni di crisi.

Il voluminoso dossier esamina molti aspetti dell’immigrazione, ma sembra importante evidenziare l’incidenza che essa determina sulle attività economiche del territorio, a cominciare dal mercato del lavoro, per rispecchiare infine livelli di reale integrazione.

Ora, se il tasso di occupazione degli immigrati è simile a quello generale (58,5%), il tasso di disoccupazione è assai più elevato (19,7% contro 12,2). Se analizziamo gli avviamenti al lavoro nel 2014, ne scaturisce rispetto al 2013 una caduta occupazionale del 4,7% che diventa un abisso rispetto al 2008 (-31,2%), contravvenendo la “vulgata” secondo cui la crisi sarebbe “pagata” dagli italiani a favore degli immigrati.

Da notare che a soffrire il maggior costo è l’occupazione maschile (-10,3%) rispetto al -0,2% di quella femminile (dati del 2014 sul 2013), la quale conserva alti livelli occupazionali in alcuni settori di cura alla persona. I settori di impiego prevalenti sono l’agricoltura (14,1%), le costruzioni (9,6%), l’industria (7,6%) e il commercio (5,1%), mentre – come si diceva – con una forte presenza femminile nei servizi alla persona (12,7%), sanità e assistenza sociale (11,4%), e soprattutto nelle attività di famiglie e convivenza come datori di lavoro (23,5%) essi pesano addirittura per l’80,5% del totale.

Inoltre gli stranieri hanno un forte ruolo nell’imprenditoria, il cui incremento è costante e sembra non sentire la crisi. Oggi sono 1.946, con un incremento del 5,3% rispetto al 2013. Quanto ai settori di attività, prevalgono commercio (31,9%) e costruzioni (27,9%); seguono alloggio e ristorazione, manifattura e agricoltura.

Interessante anche l’evoluzione delle strutture giuridiche delle aziende: gli immigrati imprenditori sono titolari di imprese individuali al 64,9%, amministratori di società di capitali al 24,5%, soci di una società di persone all’8,5%.

Quanto alla provenienza, prevalgono romeni (19%) su albanesi (11,4) e marocchini (8,8); i primi due, fortemente impegnati nelle costruzioni. Il dossier è assai interessante e piuttosto voluminoso. I dati qui riassunti non rendono giustizia a un lavoro ben più complesso, che dà un’idea più precisa e lontana dai luoghi comuni circa il complesso fenomeno dell’immigrazione.

 

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“Grazie per l’ospitalità fraterna” https://www.lavoce.it/grazie-per-lospitalita-fraterna/ Thu, 16 Jul 2015 08:42:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39126 La consegna dell’onorificenza al card. Bassetti da parte dell’ambasciatore romeno Tataru- Cazaban
La consegna dell’onorificenza al card. Bassetti da parte dell’ambasciatore romeno Tataru- Cazaban

“Ci siamo riuniti qui, in questa bella chiesa di San Fiorenzo di Perugia, diventata, grazie all’ospitalità fraterna di sua eminenza il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia – Città della Pieve, luogo di culto della comunità ortodossa romena, per celebrare un atto di autentica amicizia e allo stesso tempo di alto apprezzamento verso la persona di Sua Eminenza e la prestigiosa arcidiocesi perugina”.

Così si è espresso l’ambasciatore romeno presso la Santa Sede, Bogdan Tataru-Cazaban, domenica 12 luglio alla cerimonia di consegna al card. Bassetti del titolo dell’“Ordine nazionale ‘Servizio fedele’ in grado di Gran Croce”, tenutasi in una gremita San Fiorenzo al termine della liturgia ortodossa.

Si tratta della più alta onorificenza che viene concessa dal Presidente della Romania, anche a cittadini stranieri.

Al nostro Arcivescovo, in particolare, è stata concessa “per la promozione della dignità della persona umana e del dialogo interconfessionale, per il sostegno accordato alla comunità romena e alla Diocesi ortodossa romena d’Italia, contribuendo in particolar modo allo sviluppo dei rapporti tra la Romania e la Santa Sede in occasione della ricorrenza dei 25 anni dal ripristino delle relazioni diplomatiche tra i due Stati”.

L’ambasciatore ha aggiunto che “l’ospitalità della Chiesa cattolica ha avuto e continua ad avere il ruolo essenziale di consentire a moltissimi dei miei concittadini di vivere la propria identità spirituale anche in situazioni di vita molte volte difficili, in cui il punto fisso di riferimento resta la fede. Così, i romeni ortodossi che abitano a Perugia e nei dintorni godono, grazie alla sensibilità pastorale e ecumenica di Vostra Eminenza, di uno spazio di culto, il quale, per la sua storia profondamente legata alla città di Perugia, li integra con dignità nella società in cui vivono”.

Bassetti, nell’esprimere il suo ringraziamento, ha commentato: “Mi piace pensare che questo riconoscimento vada non soltanto alla mia persona, ma all’intera Chiesa perugino-pievese che da tanto tempo è impegnata in un serio dialogo ecumenico con i fratelli ortodossi di Romania, e sempre li ha accolti, specialmente negli anni bui della dittatura e nel tempo della diaspora, quando migliaia di persone sono venute anche in Umbria per cercare lavoro e sostentamento per una vita più dignitosa. Negli ultimi anni, tanti fratelli romeni sono stati aiutati dalla comunità cattolica di Perugia e dalla Caritas diocesana, perché a nessuno mancasse il necessario”.

Ha quindi detto all’ambasciatore: “Eccellenza, formulo voti perché il Signore benedica l’amata terra di Romania e conservi nel Suo amore tutti i suoi figli”. Ha infine salutato i numerosi fedeli ortodossi presenti in romeno con un multumesc (grazie).

 

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In fuga per vedere tutelata la propria dignità https://www.lavoce.it/in-fuga-per-vedere-tutelata-la-propria-dignita/ Wed, 15 Jul 2015 13:30:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39040 Profughi a Colle Umberto
Profughi a Colle Umberto

Si fugge per fame, per scappare da guerre e persecuzioni. Ma si fugge anche per poter esprimere liberamente le proprie idee politiche, il proprio orientamento sessuale, per essere donne senza dover subire violenze.

Sono tante e diverse le storie di coloro che si sono rifugiati in Umbria in attesa di vedersi accolta o negata la richiesta per il riconoscimento della protezione internazionale.

Di loro, dal 18 marzo di quest’anno, si occupa la neo-costituita Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, con sede a Perugia in corso Cavour, presso i locali della prefettura.

La sezione ha competenza sulle istanze presentate alle questure di Perugia, Arezzo e Terni, oltre che per i richiedenti asilo attualmente inseriti nello Sprar, il Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati.

A comporre la commissione un dirigente prefettizio, un rappresentante del dipartimento di polizia, uno dell’ente territoriale, tra cui il Comune di Perugia, e uno dell’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

È proprio davanti a queste persone – opportunamente formate tramite un corso tenuto dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo e dall’Unhcr – che il richiedente asilo, nel momento della presentazione della domanda, è chiamato a raccontare la propria storia, “il proprio vissuto, le ingiustizie subite in patria e durante il viaggio e vedersi così restituire, attraverso un ascolto attento, la propria dignità di essere umano”, come spiegato dal prefetto di Perugia, Antonella De Miro, in occasione dell’ultima Giornata mondiale del rifugiato.

Ad oggi, dopo quattro mesi di attività, la sezione ha complessivamente esaminato 165 istanze, di cui 52 di Arezzo, 78 di Perugia e 35 di Terni. In sei casi è stato riconosciuto lo status di rifugiato (2 di Arezzo, 2 di Perugia e 2 di Terni); altrettante le concessioni di protezioni sussidiarie (1 Arezzo, 4 Perugia, 1 Terni), mentre 33 sono stati i riconoscimenti del diritto alla protezione umanitaria (12 di Arezzo, 13 di Perugia e 8 di Terni).

Ben 108 sono stati, invece, i provvedimenti di diniego delle domande di protezione internazionale. “L’alto numero di rigetti – sottolinea il prefetto – trova una prima spiegazione nella provenienza dei richiedenti da Paesi che non presentano situazioni locali da cui far discendere automaticamente il riconoscimento: Nigeria del Sud, Gambia, Senegal, Mali del Sud e Bangladesh tra le prime cinque nazionalità. Ovviamente ogni singolo caso viene trattato in maniera individuale per la sua specificità a prescindere dalla nazionalità del singolo richiedente”.

Tante specificità che si ritrovano accomunate da un unico filo conduttore, la sofferenza. “Tutte le richieste esaminate – continua infatti la De Miro – presentano un punto comune: il racconto traumatico del viaggio, l’approdo in Libia, le violenza subite in quel Paese, l’impossibilità di tornare indietro, attraverso il deserto, la spinta a proseguire in avanti, attraverso il mare, sconosciuto a molti, verso un futuro ignoto”.

Su tutte, resta emblematica la testimonianza di un giovane gambiano: “Sapevo cosa avevo lasciato alle spalle: il deserto e le sue asperità. Non sapevo che cosa avevo davanti, non avevo mai visto l’acqua prima, ma l’atrocità dalla quale fuggivo era talmente grande che quello spaventoso Ignoto mi è sembrato l’unica salvezza”.

Profughi: i numeri in Umbria

Ad oggi, in Umbria sono presenti 918 cittadini extracomunitari gestiti dalle prefetture, di cui 698 in provincia di Perugia e 220 in provincia di Terni. A questi occorre aggiungere 373 immigrati ospitati nei centri Sprar dell’Umbria, di cui 180 inviati direttamente dal Servizio centrale protezione del ministero dell’Interno.

In realtà, i cittadini giunti nella nostra regione nel corso dei mesi sono stati di più, ma molti si sono allontanati prima dell’identificazione. Gli allontanamenti volontari sono stati, infatti, complessivamente 683 tra il 2014 e il 2015. Gli immigrati provengono da diversi Paesi e in particolare da: Gambia, Senegal, Mali, Niger, Nigeria. Tutti coloro che sono presenti nei centri di accoglienza hanno fatto istanza di riconoscimento della condizione di profugo.

L’esempio virtuoso dello Sprar di Todi

L’arrivo in Italia, il periodo di accoglienza e di richiesta asilo possono diventare anche un’importante occasione di crescita e di formazione. Ne è un esempio lo Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati) di Todi, il cui soggetto attuatore è l’istituto Artigianelli Crispolti e “l’anima” operativa la Caritas.

“Nel nostro centro – racconta Marcello Rinaldi, delegato della Caritas diocesana e direttore dell’istituto – ospitiamo circa una trentina di persone. Nel tempo, infatti, abbiamo sempre scelto di puntare maggiormente sulla qualità della nostra accoglienza che sulla quantità delle persone accolte.

L’obiettivo non è rispondere ai soli, seppur fondamentali, bisogni materiali, come mangiare, dormire, vestirsi, ecc., ma anche dare qualcosa in più, accompagnare queste persone a inserirsi in un nuovo Paese. Un obiettivo sempre più difficile, data la crisi, ma che portiamo avanti poggiandoci su basi solide che sono i nostri valori, umani e religiosi”.

Per questo lo Sprar di Todi mette in campo una serie di iniziative volte a promuovere l’accoglienza e l’integrazione. Come l’accordo firmato nel febbraio scorso tra l’istituto Crispolti e il Comune di Todi per interventi di manutenzione al parco della Rocca.

“Si tratta di una sorta di ‘dono’ che i nostri ragazzi hanno voluto fare alla cittadinanza”, spiega ancora Rinaldi. I rifugiati e richiedenti asilo attualmente ospitati nell’istituto tuderte si occuperanno, infatti, a titolo completamente gratuito, con cadenza settimanale, dell’esecuzione di piccoli interventi di manutenzione del verde urbano di una parte del parco.

Altra importante esperienza dello Sprar tuderte, ormai attiva da tre anni, è il progetto “Asylon”, “progetto di formazione professionale – dice Rinaldi – nell’ambito dell’agricoltura, che si propone di attivare percorsi formativi per queste persone, anche minorenni, durante il loro periodo di permanenza in accoglienza.

I percorsi formativi sono realizzati dall’istituto Agrario di Todi, dove ogni anno i ragazzi collaborano alla produzione e alla commercializzazione nell’azienda agricola annessa all’istituto di un vino bianco, Grechetto di Todi Doc, appunto chiamato Asylon. I proventi della vendita vengono interamente destinati al finanziamento dei percorsi formativi per rifugiati”.

L’iniziativa, che gode del patrocinio dell’Unhcr, si avvale del sostegno di Caritas Umbria e di Libera – associazione contro le mafie. Per acquistare il vino: www.vinoasylon.it.

 

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Stranieri in crescita https://www.lavoce.it/stranieri-in-crescita/ Wed, 08 Jul 2015 14:04:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=38022 Alcuni momenti della presentazione tenuta alla Camera di Commercio di Terni
Alcuni momenti della presentazione tenuta alla Camera di Commercio di Terni

Il 7 luglio presso la Camera di Commercio si è tenuta la presentazione del rapporto “La presenza straniera nella provincia di Terni.

Aspetti demografici, sociali ed economici” realizzata dall’Istat in collaborazione con la Prefettura, il Comune di Terni, la Questura, l’Usr, Inail, Inps e Regione Umbria, uno strumento di ausilio nell’interpretazione e nella comprensione di una realtà sempre più complessa e diversificata per lingua, cultura, religione, condizioni socio-economiche.

La continua crescita nell’ultimo decennio della popolazione straniera, tra i residenti della Provincia e del Comune di Terni, ha rappresentato un fenomeno demografico e sociale di assoluta rilevanza; tra il 2005 e il 2014 il numero dei cittadini residenti è più che raddoppiato.

Al 1° gennaio 2014, l’incidenza della popolazione straniera sul totale di quella residente in provincia è pari al 10,0%, più sostenuto per le donne che per gli uomini.

È elevata la quota di persone in età infantile e di giovani adulti, mentre risulta quasi completamente assente il peso della popolazione anziana. Quasi tre quarti dei residenti (73% del totale) proviene dai Paesi europei, con una prevalenza di cittadini di Paesi dell’Unione europea (43,6%). La comunità più presente a Terni è quella dei romeni, seguita dagli albanesi, ucraini, indiani e filippini; sono in crescita costante nigeriani e pakistani.

incontro-immigrati-2Per quanto concerne le fasce d’età, il 23% degli stranieri ha tra i 30 e 39 anni; altro dato significativo è la presenza di giovani e di Seconda generazione, soprattutto nelle scuole, in particolare primarie.

Il focus delle Seconde generazioni è stato sottolineato da Eleonora Bigi della Regione Umbria: “L’intercultura è un metodo di integrazione e il modello sociale da perseguire.

Fare intercultura significa risoluzione dei conflitti e creazione di spazi di negoziazione e dialogo; la scuola è il primo e il più importante ambito nel quale fare questo, perché le scuole in Umbria hanno una forte presenza di Seconde generazioni e di studenti stranieri, ed è proprio lì che si creano i primi presupposti per una reale integrazione”.

Altri dati presentati, sono stati quelli relativi all’occupazione e all’imprenditoria. Il tasso di occupazione della popolazione residente straniera è del 58,5%, pressoché analogo a quello della popolazione complessiva.

I settori dove sono maggiormente occupati gli stranieri sono: agricoltura, costruzione e servizi di alloggio e ristorazione; questo nonostante abbiano un buon livello di scolarizzazione; nell’immaginario collettivo difatti, lo straniero è “ancora” colui che può essere impiegato solo in alcuni tipi di lavoro.

 

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Accogliere e accompagnare https://www.lavoce.it/accogliere-e-accompagnare/ Thu, 25 Jun 2015 09:04:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36591 La presentazione
La presentazione

Accompagnamento, misericordia, accoglienza, integrazione, discernimento, verità. Sono alcune parole-chiave dell’Instrumentum laboris per la 14a Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi, in programma dal 4 al 25 ottobre in Vaticano. Ne parliamo con don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale familiare.

Quali sono i punti più significativi dell’Instrumentum laboris?

“All’inizio del cammino sinodale Papa Francesco ha dato come direttive tre sfide: ascolto, confronto fraterno, sguardo su Cristo.

Oltre all’ascolto, mi sembra sia molto maturato il confronto, dal quale emergono alcune linee concrete su cui i Padri sinodali potranno lavorare.

Sono stati toccati spazi in precedenza rimasti esclusi: lo stato vedovile, le famiglie che vivono la fatica di avere un portatore di disabilità in casa o di situazioni economiche gravose, l’esperienza dell’esclusione sociale, gli anziani.

Uno sguardo davvero a 360 gradi su tutta la ‘carne viva’ della famiglia, un linguaggio più vicino alla sfida quotidiana di vivere il Vangelo. Ogni nucleo vi si può riconoscere”.

Famiglia ed evangelizzazione.

“Oltre alla concretezza delle diverse situazioni familiari, emerge dal documento anche una maggiore attenzione alla ministerialità coniugale , termine piuttosto nuovo per dire che la coppia di sposi è chiamata a grande responsabilità, a stare dentro la Chiesa come soggetto evangelizzatore, protagonista delle azioni di catechesi e di carità”.

Nel testo si parla di “accompagnamento differenziato delle famiglie”.

“Sono il linguaggio e la sensibilità di Papa Francesco, entrati nel cuore del popolo e restituiti dalle famiglie ai Padri sinodali. Si incarna il n. 34 della Familiaris consortio sulla legge della gradualità che ogni famiglia vive concretamente ogni giorno nello sguardo ‘differenziato’ che i genitori hanno verso ogni figlio, verso la sua unicità. Lo chiamerei ‘metodo famiglia’”.

Un tema “sensibile” è anche quello dei casi di nullità matrimoniale.

“Un ambito in cui sono emerse proposte pressanti. Insieme alla necessità di uno snellimento delle procedure, sono interessanti la larga convergenza sulla non-obbligatorietà della doppia sentenza concorde, il superamento dell’attribuzione di responsabilità al singolo vescovo – carico che sarebbe eccessivo -, l’istituzione nelle diocesi di un servizio stabile e gratuito di consulenza. Oltre a un maggior decentramento delle strutture dei tribunali, occorre un accompagnamento pastorale di chi sta vivendo il calvario del percorso verso la dichiarazione di nullità. Un’attenzione nuova per chi sta rivisitando l’esperienza del proprio fallimento. In questo avverto tutta la responsabilità della rete della pastorale familiare in Italia”.

E per quanto riguarda i divorziati risposati?

“Accoglienza e integrazione sono i termini ricorrenti, pur nella diversità delle situazioni. Si parla della possibilità di una via penitenziale, ma non è così semplice: le modalità sono tutte da inventare. Ci sono alcune proposte, e saranno i Padri sinodali a offrire indicazioni al Santo Padre. Tuttavia anche la comunità deve superare il suo volto giudicante: la via penitenziale va percorsa a livello individuale e comunitario, acquietando gli animi esacerbati dei coniugi e l’ostilità della comunità verso chi vive una nuova unione. Per tradurre tutto questo in prassi pastorale occorre la figura di presbitero che ‘accompagni’, e quindi la necessità di una nuova formazione dei preti che coniughi doti di discernimento, sapienza e tenerezza”.

Tra le novità, il riconoscimento del ruolo delle donne nella Chiesa.

“Ad Ancona, nel Seminario regionale delle Marche, il rettore ha fatto la scelta di dare ogni seminarista in affido a una famiglia perché vedere il genio femminile e la sapienza del padre all’opera lo aiutano a crescere nella propria vocazione al servizio delle famiglie.

Molti altri Seminari stanno gradualmente inaugurando una modalità nuova di presenza del femminile e di coppie di sposi all’interno della formazione. Si tratta di esperienze positive che danno la ‘carne’ della vita quotidiana: in famiglia la santità è quella del pannolino, delle bollette che aumentano, della cassa integrazione che avanza, dell’anziano da accudire…

La presenza femminile, dal canto suo, accompagna e acquieta la formazione sul lato dell’affettività nel seminarista, perché il celibato non è per una difesa dalla donna o per un arroccamento su di sé, ma per una maggiore relazione con tutto l’Umano, e quindi anche con il femminile che ne è parte”.

Pastorale degli omosessuali

L’Instrumentum laboris ribadisce la distinzione tra cura pastorale degli omosessuali e riconoscimento delle nozze gay. “Non si può mescolare – dice don Gentili – la custodia della famiglia, nei confronti della colonizzazione ideologica del gender, con il compito dell’accompagnamento delle persone con orientamento omosessuale, in particolare se sono credenti.

L’Instrumentum laboris si riferisce a veri e propri progetti pastorali diocesani specifici che, tranne qualche tentativo, non esistono. Questo ambito richiede che la cura di queste persone, spesso passate attraverso sofferenza ed esclusione, sia intrisa di quel fiume di misericordia che innerva l’Anno giubilare, alla vigilia del quale si colloca il Sinodo. Coniugare insieme carità, fatica e verità del Vangelo richiede una grande sapienza”.

 

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Terni per tutti: siamo una città accogliente? https://www.lavoce.it/terni-per-tutti-siamo-una-citta-accogliente/ Tue, 16 Jun 2015 11:15:11 +0000 https://www.lavoce.it/?p=35922 ternipertuttiL’incontro “#ternipertutti – Siamo una città accogliente?” ha concluso il percorso dei giovanissimi dell’Azione cattolica della parrocchia di San Matteo, che hanno affrontato il tema del “prendersi cura” declinato in diverse forme: cura della loro crescita umana e cristiana, degli altri, soprattutto dei più poveri e della città in cui vivono.

Parlando della città, è subito balzato all’occhio il tema dell’integrazione e dell’accoglienza degli stranieri. Hanno incontrato loro coetanei immigrati, la presidente e alcuni componenti della Consulta comunale per l’integrazione di Terni.

Dopo questi momenti di conoscenza, i ragazzi e la Consulta hanno deciso di organizzare un incontro pubblico di discernimento sul tema. Prima dell’incontro, per sensibilizzare la popolazione i ragazzi hanno messo in piedi un flash mob che si può vedere su YouTube all’indirizzo https:// www.youtube.com/ watch?v=8xvjVELSYY0.

All’incontro hanno preso parte Giuseppe Croce economista dell’Università La Sapienza di Roma, Nenita Magmanlac presidente della Consulta per l’integrazione e l’assessore alla Scuola Carla Riccardi. Giuseppe Croce ha evidenziato una serie di dati forniti dal Miur che ci dicono che in Italia sono 800.000 gli studenti stranieri, il 9% del totale (in Umbria la percentuale è del 14%) e il 52 % è nato nel nostro Paese. Nel 2004 i ragazzi stranieri erano meno di 400.000. A Terni, l’87% dei ragazzi stranieri che frequentano la scuola dell’infanzia è nato in Italia.

C’è comunque una grande disparità di presenza tra i vari istituti, frutto sia della collocazione geografica sia del grado di accoglienza della scuola per quanto riguarda la primaria e la secondaria inferiore. Negli istituti superiori, la loro presenza è altissima in quelli tecnici e professionali; molto bassa nei licei, mentre il ritardo scolastico degli stranieri vede una percentuale tripla rispetto agli italiani. Nenita Magmanlac ha sottolineato che “non possiamo accogliere e coltivare la vita se non ne curiamo le condizioni”.

Molto possono fare le religioni, ma, come ha puntualizzato, “non basta che parlino i Pastori o che gruppi di volontari compiano gesti generosi nei confronti degli immigrati: è l’intera comunità che deve farsi carico del problema, e ciascun cristiano deve fare la sua parte”. La presidente ha inoltre posto l’attenzione sul tema dell’educazione data dalle famiglie e dalle varie agenzie educative, perché con il loro lavoro possono “rendere possibile la convivenza fra le diversità delle espressioni culturali e promuovere un dialogo che favorisca una società pacifica”.

L’assessore Riccardi ha poi evidenziato, facendo tesoro della sua esperienza di preside, l’importanza della conoscenza della lingua italiana, che non significa tralasciare quella dei propri avi, ma essere messi in condizione di poter recepire un testo e capirlo nella sua interezza. Nel dibattito molto ci si è interrogati su cosa potesse fare una comunità che cerca di fregiarsi dell’aggettivo di “accogliente”. Uno dei temi condivisi è stato quello del sostegno nell’insegnamento della lingua italiana ai ragazzi che arrivano. Diverse esperienze sono presenti sul territorio, ma molto frammentate.

Una possibile pista di lavoro potrebbe essere quella di coordinare questi interventi e fare in modo che vengano effettuati direttamente nelle scuole, per un maggiore contatto tra volontari e professori e una maggiore fidelizzazione dei ragazzi con il proprio istituto. L’Ac e la Consulta si sono lasciate con un “arrivederci” perché qualche altro frutto possa nascere da questo incontro.

 

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Immigrazione, segno dei tempi https://www.lavoce.it/immigrazione-segno-dei-tempi/ https://www.lavoce.it/immigrazione-segno-dei-tempi/#comments Thu, 11 Jun 2015 10:37:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=35401 Abbiamo in questo momento in Italia un concentrato di avvenimenti e problemi. La visita di Putin a Roma e in Vaticano (10 giugno) assume una serie di significati che qui non possiamo trattare, e ci porta a riflettere sulla guerra in atto in Ucraina (guerra tra cristiani, nota Papa Francesco), nonché alle relazioni tra cattolici e ortodossi russi.

Altro argomento è il termine delle lezioni scolastiche, che per quasi tre mesi dà alla società il carattere di una “vacanza” piuttosto faticosa da affrontare con coraggio: il coraggio delle famiglie e delle comunità cattoliche che si assumono il carico di attivarsi per i ragazzi delle parrocchie con iniziative di gioco e formazione. Sempre in ambito scolastico, lo scontro sulla riforma è salito a toni molto accesi.

Si aggiunge a ciò, e forse sovrasta, una specie di guerra civile sull’accoglienza dei migranti. Un fronte è nettamente contro: chi non li vuole, come il presidente della Lombardia Maroni, minaccia di non trasferire i finanziamenti ai Comuni che facessero accoglienza. A Maroni il Governo ha risposto che – anzi – fornirà incentivi a chi si accolla una quota di rifugiati. Intanto alcuni Comuni mandano a dire a Maroni che seguiranno le indicazioni dei prefetti, e i prefetti a loro volta hanno dichiarato che seguiranno le normative del Governo.

Se non vogliamo chiamarla “guerra civile” istituzionale o politica, con animo disteso, perché non si viene ancora alle mani e tanto meno alle armi, facciamo bene. Dobbiamo però almeno riflettere sul pericolo che tutto si blocchi, in Italia, per le dure contrapposizioni di gruppi tra e dentro i partiti.

Un’idea che ci siamo ripetuti tra cattolici, e che portiamo al resto del mondo, è che la migrazione dei popoli è un “segno dei tempi”. È un fenomeno mondiale, che può essere catastrofico come è avvenuto anche di recente nel Canale di Sicilia; portatore di sofferenze per tutti, se non si fanno sforzi per contenerlo, governarlo, gestirlo con la concretezza che deriva dalla lunga esperienza di iniziative di vario genere portate avanti dal mondo cattolico e laico. Esperienze in questo settore in Umbria vi sono state dagli anni ’70 del Novecento.

La migrazione potrebbe – e secondo me, dovrebbe – costituire uno dei motivi di maggiore unità e collaborazione tra i 27 Paesi dell’Ue. Questo darebbe all’Europa un segno di discontinuità rispetto alla sua passata storia coloniale. In qualche modo, una forma di “restituzione di visita”, per così dire: prima siamo venuti noi europei da voi, specialmente in Africa, ora venite voi da noi, mettiamoci attorno a un tavolo e discutiamo.

Un sogno, direte. È vero. Però l’Europa, vecchia, stanca e delusa, potrebbe risvegliarsi attivandosi con un coinvolgimento più convinto ed efficace. Ci può dare un certo conforto constatare che su tale questione gli episcopati europei, e anche in generale le Chiese ortodosse e protestanti, sono d’accordo nella posizione di apertura e accoglienza, e lo sono non solamente con dichiarazioni, ma con iniziative concrete.

Una Chiesa europea che accoglie e integra gli immigrati con criteri verificati nei fatti, è una buona notizia che prospetta un auspicabile cammino ecumenico dal quale il Vecchio Continente può trarre nuova, giovanile linfa vitale. Al fondo di tale gravoso e urgente impegno, perché sia possibile portarlo avanti – sia pure parzialmente e progressivamente -, ci deve essere una nuova cultura che permetta di riconoscere la persona dell’immigrato come un valore, sul piano della comune umanità, della sua dignità e anche della sua cultura.

Finché si avranno posizioni che lo accusano di “impresentabilità” o “incompatibilità”, non sarà possibile nessuna integrazione e neppure un inserimento pacifico. Questo, pur essendo un progetto di lungo respiro, si può realizzare già nell’ambito di una città – Una città per il dialogo -, un paese, una parrocchia. E vale non solo per noi che guardiamo a loro, ma anche per loro che guardano a noi, troppo spesso con sospetto.

 

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