Ignazio Sanna Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/ignazio-sanna/ Settimanale di informazione regionale Fri, 21 Jul 2023 14:44:54 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Ignazio Sanna Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/ignazio-sanna/ 32 32 Portiamo il Vangelo a tutti, in comunione https://www.lavoce.it/portiamo-il-vangelo-a-tutti-in-comunione/ Thu, 28 Nov 2013 15:34:28 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20882 gmg_rio_janeiroUna sorta di “summa” dello stile del pontificato, e della conseguente idea di Chiesa, con un accento particolare sulla gioia come requisito essenziale per il cristiano.

È l’esortazione apostolica di Papa Francesco, Evangelii gaudium (La gioia del Vangelo), nelle parole di mons. Ignazio Sanna, membro della Commissione episcopale Cei per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi.

Il Papa, ha riferito padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede, ha lavorato all’esortazione apostolica – 220 pagine – “di sua mano”, ad agosto, al ritorno da Rio e prima dell’inizio degli impegni autunnali. Nel testo, fa notare mons. Sanna, “non si parla mai di nuova evangelizzazione, ma solo di evangelizzazione”, con l’invito a portare il Vangelo agli uomini di oggi sine glossa, senza aggettivi.

Tra i gesti concreti che possiamo aspettarci dal Papa, secondo l’arcivescovo, la valorizzazione del ruolo delle donne “anche là dove si decide, nella Chiesa e nella società”. All’attenzione dei Vescovi, invece, la “salutare decentralizzazione” chiesta da Papa Francesco nel senso della collegialità e sinodalità, tramite la “revisione” del ruolo delle Conferenze episcopali.

Mons. Sanna, qual è la sua prima impressione sull’esortazione apostolica?

“È un documento leggibile, molto semplice, diretto, immediato: non c’è il plurale maiestatis, né la ricerca di citazioni dotte. Papa Francesco cita quasi sempre i Papi che lo hanno preceduto, in particolare Paolo VI, spessissimo la Evangelii nuntiandi. Le espressioni che usa – per esempio quando dà consigli pratici sull’omelia – sono quelle delle omelie del mattino o delle catechesi: nell’esortazione apostolica vengono riprodotte tutte, segno che il Papa vi attribuisce molta importanza. Francesco insiste sulla gioia e sull’ottimismo: il Vangelo è vita e gioia, non un insieme di precetti. Riprende inoltre l’insegnamento del Concilio, quando esorta a una ‘gerarchia della verità’: dobbiamo andare all’essenziale, è il suo invito, mentre molte volte ci siamo fermati agli aspetti secondari. E l’essenziale è che Gesù è il Salvatore, Gesù è la gioia, Gesù è il Pastore; tutto il resto è secondario”.

Il Papa insiste sul tema della “riforma” della Chiesa, a vari livelli.

“Il Papa parte dalla parrocchia, chiedendole di essere sempre di più Chiesa tra la gente ed esortando a inserire i movimenti e le associazioni all’interno di una pastorale unitaria. Poi passa ai Vescovi, chiedendo loro di privilegiare gli organismi di partecipazione e di collaborare tutti a portare avanti uno stile di collegialità. Poi parla di una ‘conversione del papato’, rilevando che si è fatto poco, rispetto a quanto aveva chiesto Giovanni Paolo II in riferimento all’esercizio del Primato petrino. Rivaluta, infine, le Conferenze episcopali, addirittura attribuendo loro potere dottrinario e facendo riferimento agli statuti delle Conferenze episcopali regionali. L’ottica scelta dal Papa è, dunque, quella della ‘comunione’ della Chiesa, che non è fatta di singoli protagonisti”.

Francesco stigmatizza anche alcuni “vizi”, o meglio “tentazioni” degli operatori pastorali: quali sono quelli da cui guardarsi maggiormente?

“In primo luogo, quella che il Papa chiama ‘accidia pastorale’, cioè il senso di sfiducia nelle capacità dello Spirito, che è vita. Chi opera nella Chiesa non può lasciar andare avanti le cose per inerzia: deve imprimere un orientamento a queste. Altrimenti si cade nel relativismo pratico o nella mondanità spirituale. C’è un verbo, in spagnolo, a cui il Papa dà molto rilievo: primerear, prendere l’iniziativa. Nella storia, è Dio che ci precede, noi andiamo appresso a lui”.

“Chiesa in uscita”: così il Papa definisce la comunità ecclesiale. Come realizzare quello che chiama il “sogno missionario”?

“L’obiettivo, il sogno di Papa Francesco è una Chiesa aperta a tutti, anche a costo di essere ‘accidentata’, torna a ripetere. Una Chiesa che sappia trovare le parole giuste per le cose vere, che dica no alla ‘cultura dello scarto’, che tenga conto delle fragilità degli uomini. L’elenco che ne fa il Papa non dimentica nessuno, il suo è un atteggiamento di padre improntato alla misericordia di Dio, che non giudica. Quando parla di aborto, ad esempio, Papa Francesco dice prima di tutto che non bisogna aspettarsi che la Chiesa cambi la sua dottrina: se però ogni persona è sacra, non possiamo non trarne le conseguenze. Ciò significa che il compito della Chiesa non è solo presentare la dottrina, ma anche trovare il modo di accompagnare le persone, soprattutto dove sono più fragili ed esposte. Partendo dai poveri”.

papa_assisi_2013Il documento: i sette punti-chiave

Evangelii gaudium è il titolo dell’esortazione apostolica di Papa Francesco (Clicca qui per scaricare il pdf o consultalo online su www.vatican.va). Nel testo, a più riprese, Papa Francesco fa riferimento alle Propositiones del Sinodo dell’ottobre 2012. I sette punti, raccolti nei cinque capitoli dell’esortazione, costituiscono le colonne fondanti della visione di Papa Francesco per l’evangelizzazione: la riforma della Chiesa in uscita missionaria, le tentazioni degli agenti pastorali, la Chiesa intesa come totalità del popolo di Dio che evangelizza, l’omelia e la sua preparazione, l’inclusione sociale dei poveri, la pace e il dialogo sociale, le motivazioni spirituali per l’impegno missionario.

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Cosa ci sarà dopo la fine del mondo? https://www.lavoce.it/cosa-ci-sara-dopo-la-fine-del-mondo/ Thu, 22 Mar 2012 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=10050 Dal calendario dei Maya che preconizzarono il termine del ciclo “del Lungo computo” per il 21 dicembre 2012 alle predizioni della fine del mondo nelle religioni orientali, nei nuovi culti, in letteratura e su internet. “Fine del mondo o avvento del Regno?” è il titolo del convegno che si è svolto giovedì 15 nell’abbazia di Casamari (Frosinone) su iniziativa della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale laziale. “Il convegno – ha affermato mons. Giuseppe Petrocchi, vescovo di Latina e presidente della Commissione laziale – parte dalle domande che ciascuno di noi porta dentro: verso dove va la Storia? In quale direzione cammina il tempo e cosa ci sarà dopo la fine?”. “Sono domande – ha osservato mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone – nascoste e inespresse che rivelano un mondo di incertezza e di paura, una dimensione di precarietà dell’esistenza umana che domina la vita di oggi”. Il vescovo ha fatto notare come la questione della fine del mondo sia un tema antico della Bibbia, che risale al racconto del Diluvio, e ha commentato: “Da quel racconto emergono per l’umanità due responsabilità: quella dell’uomo davanti a Dio, e quella dell’uomo davanti al creato e al suo simile”. “L’uomo globalizzato, oltre che un nomade senza spazio e senza tempo, è anche un uomo senza cielo”; per questo “è difficile oggi dare un messaggio di vita eterna che dia luce e senso alla vita e alla morte, al dolore e alla gioia”.

È stato l’arcivescovo di Oristano e biblista mons. Ignazio Sanna a esplicitare così i termini della questione. “Oggi come oggi – ha spiegato – l’escatologia e la fine dei tempi, il loro annuncio e la loro dimensione di fede non possono non confrontarsi con la cultura contemporanea e, in modo particolare, con l’istanza del futuro che la contraddistingue”. L’annuncio dell’escatologia è sfidato anche dalle conseguenze della globalizzazione sull’antropologia. “L’aspirazione alla precaria immortalità del successo, della salute, della gioventù – ha aggiunto mons. Sanna – sta sostituendo la fede nell’immortalità dell’anima. L’effimero si mangia l’assoluto. Si è perso il riferimento alla provenienza dalla terra, dalle mani di Dio. L’uomo che non è più creato ma solo fatto, può essere anche disfatto. Non c’è futuro ultraterreno, perché tutto si consuma sotto il cielo, speranze e delusioni, successi e sconfitte, vita e morte”. Da qui la responsabilità che ricade oggi sui cristiani: “Testimoniare la nostra fede nella vita eterna” ma soprattutto la certezza di un giudizio finale che è giudizio da non temere: “Dio sa cosa c’è nel cuore dell’uomo, conosce le sue debolezze e sa come far prevalere la misericordia divina sul giudizio umano”.

Ma cosa si nasconde dietro al successo delle predizioni sulla fine del mondo? “Un misto di paura e di bisogno di certezze”, ha risposto Vincenzo Pace, docente di Sociologia delle religioni all’Università di Padova. “L’incertezza è compensata con l’ansia di trovare una risposta certa, che di solito viene offerta dalle tendenze fondamentaliste della religione, secondo cui è già tutto scritto e predetto nei testi sacri”. Per il sociologo, anche nel cristianesimo “questa ala millenarista continua oggi a essere molto attiva”. Alle religioni spetta, quindi, il compito di “raffreddare queste forme di entusiastica e allucinata attesa della fine del mondo ricordando il passo evangelico di Matteo in cui si dice che nessuno conosce l’ora”. Ma cosa dice a proposito della fine del mondo la tradizione cattolica? Il Concilio Vaticano II ribadì chiaramente che noi “ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l’umanità, e non sappiamo in che modo sarà trasformato l’universo” ha ricordato mons. Ignazio Sanna. Ha quindi concluso che ciò che conta per la teologia cattolica “è l’evento stesso, non il modo con cui le diverse categorie scientifiche, culturali, storiche, interpretano questo evento”.

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Adamo dove sei? https://www.lavoce.it/adamo-dove-sei/ Thu, 10 Apr 2008 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=6575 Sabato 29 marzo ha avuto luogo a Santa Maria degli Angeli la seconda tappa del ciclo di incontri sulla Corresponsabilità educativa, promossi dalla Commissione regionale per l’educazione, la scuola e l’università (Cresu) della Conferenza episcopale umbra. Di fronte a circa 150 partecipanti, in prevalenza insegnanti, mons. Ignazio Sanna, arcivescovo di Oristano, ha trattato il tema ‘Adamo, dove sei? Dalla visione biblica dell’uomo, alcuni riferimenti antropologici’. Mons. Sanna ha anzitutto chiarito come la visione biblica dell’uomo sia profondamente unitaria. L’unità dell’uomo descritta dalla Bibbia, però, non è di carattere filosofico o psicologico, bensì di carattere teologico. L’uomo è ‘uno’ nella misura in cui è in comunione con Dio. Tant’è vero che quando l’uomo perde la comunione con Dio, perde anche l’unità interiore, sia con se stesso; sia con l’altro, perché si mette in contrasto con la donna; sia con il mondo, perché questo non è più il giardino da coltivare e custodire, ma l’ambiente dove l’uomo lavora con il sudore della fronte e la donna partorisce tra le sofferenze. Nella storia della filosofia occidentale e della tradizione teologica, ha poi notato Sanna, l’unità originaria dell’essere umano non è stata trattata sempre allo stesso modo. In un primo tempo, ci si è rivolti al neoplatonismo. La visione antropologica del platonismo e del neoplatonismo, infatti, garantiva meglio due aspetti importantissimi per la concezione cristiana dell’uomo: la spiritualità e l’immortalità dell’anima. In un secondo tempo, la teologia cristiana si avvide del pericolo che una tale antropologia significava per l’unità dell’uomo, così come la si ricavava dall’insegnamento della Bibbia. Il pericolo si manifestò soprattutto, perché si voleva mettere troppo presto d’accordo l’idea biblica della risurrezione della carne con la dottrina greca dell’immortalità. Fu quindi san Tommaso, sfidando le incomprensioni, a elaborare, sulla base di Aristotele, un principio che gettò luce sull’unità originaria dell’essere umano: l’anima, in quanto forma, e il corpo, in quanto materia prima. Un passo ancor più deciso nel recupero della unitarietà dell’essere umano è stato compiuto dal Concilio Vaticano II, che nella Gaudium et spes si esprime così: ‘Unità di anima e di corpo, l’uomo sintetizza in sé, per la sua stessa condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore… L’uomo, però, non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della civiltà umana. Infatti, nella sua interiorità egli trascende l’universo; a questa profonda interiorità egli torna, quando si volge al cuore, là dove lo aspetta Dio, che scruta i cuori (Cf 1Re 16, 7; Ger 17, 10), là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino’. Mons. Sanna ha quindi passato brevemente in rassegna alcune posizioni della teologia moderna, come la tesi rahneriana dell’uomo come spirito incarnato, e quella di Romano Guardini sulla conoscenza come vita. La relazione con gli altri – è stata la conclusione – è il cuore stesso della nostra umanità. Dire ‘altro’ implica tacitamente un ‘io’ che non pensa se stesso come altro e che, nel dire altro, fa in certo senso valere il proprio modo di essere, la propria identità come un criterio a cui commisurare la distanza e la alterità degli altri. Così, ha affermato mons. Sanna, accanto al cogito ergo sum, al cognosco ergo sum, esiste ora (sulla scia dei medievali che usavano affermare ubi charitas, ibi intellectus: il mio amare è il mio conoscere) anche un diligo ergo sum. Qui si tocca il nucleo dell’antropologia cristiana, che si trova nella categoria dell’uomo immagine di Dio, che ha una sua validità che supera le contingenze delle stagioni culturali. È proprio a partire dalla convinzione dell’uomo come essere personale creato ad immagine e somiglianza di Dio-Amore che è stato possibile sviluppare nei secoli un’identità di antropologia cristiana, non in contrapposizione alle altre antropologie esistenti, ma in dialogo con esse.

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Educare è una corresponsabilità https://www.lavoce.it/educare-e-una-corresponsabilita/ Thu, 14 Feb 2008 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=6465 La Commissione regionale per l’educazione, la scuola e l’università (Cresu), in collaborazione con l’Isituto teologico di Assisi (Ita), propone tre incontri di riflessione e di confronto per quanti operano nel campo della scuola e dell’educazione, dunque insegnanti, educatori, genitori. Il tema unitario dei tre incontri sarà ‘Corresponsabilità educativa. Quale scuola per quale uomo’. Nelle intenzioni degli organizzatori tali appuntamenti dovrebbero rappresentare una tappa di riflessione e di confronto verso l’elaborazione di un patto condiviso tra la scuola e le altre agenzie educative presenti sul territorio, dalla famiglia alle aggregazioni sociali, sportive e religiose. Di fronte all’emergenza educativa denunciata da più parti ed alla crisi della istituzione scolastica, sembra importante anzitutto domandarsi a quale idea di uomo si fa riferimento quando si elabora una proposta formativa, mettendo a fuoco i caratteri distintivi dell’essere umano, i suoi diritti fondamentali, i valori irrinunciabili da porre a fondamento del progetto educativo. Se nel cuore di ciascuno abita un germe di verità, di bontà, di bellezza, che va coltivato e fatto sbocciare, è importante chiedersi cosa significhi oggi educare a scuola e su quali basi sia possibile fondare un patto educativo condiviso tra la scuola, la famiglia e le altre agenzie educative. Saranno tre autorevoli esperti ad aiutarci ad approfondire queste domande, contando sul coinvolgimento di tutti quegli insegnanti ed educatori, credenti o non credenti, interessati ad approfondire le ragioni e le sfide del lavoro che sono chiamati a svolgere. Al centro del primo incontro sarà la riflessione sul contesto sociale e culturale in cui si colloca la proposta educativa, a partire dall’idea di uomo che è alla base di atteggiamenti e scelte concrete. La partecipazione è libera ed aperta a tutti gli interessati, cui sarà dato modo di condividere le proprie esperienze e riflessioni dopo le relazioni. Per informazioni: www.chiesainumbria.it/cresu. IN CALENDARIO23 febbraio – Luigi Alici, filosofo, docente dell’Università di Macerata e presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana: ‘Cerco l’Uomo. Come al tempo di Diogene, ci domandiamo…’ 29 marzo: mons. Ignazio Sanna ‘Adamo, dove sei? Dalla visione biblica dell’uomo alcuni riferimenti”19 aprile: Floriana Falcinelli ‘Educare a scuola, sfida impossibile?’ Appuntamento alle ore 16 presso la Domus Pacis di S. Maria degli Angeli

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Identità in relazione https://www.lavoce.it/identita-in-relazione/ Fri, 26 Jan 2007 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=5635 Si discute molto oggi del problema dell’identità, riferita a molti aspetti della vita singola e collettiva, collegandosi in modo particolare alla relazione tra popoli e culture, in ultima analisi alla pace. In un recente incontro a Roma un professore del Laterano, divenuto vescovo alcuni mesi fa, Ignazio Sanna, già assistente nazionale del Meic, autore di importanti opere di antropologia teologica, tra le altre osservazioni fatte ha proposto un interessante concetto dell’identità, da una parte ovvia e dall’altra controcorrente.

Egli ha detto: “C’è chi definisce l’identità come appartenenza a un territorio, una cultura, una lingua, una religione, e chi fa riferimento alla percezione interiore di sé”. “Nel nostro tempo, in cui è venuta meno la stabilità dei parametri delle appartenenze culturali”, ha detto Sanna, “la concezione cristiana dell’uomo come ‘immagine di Dio’ può offrire un contributo alla definizione dell’identità e alla tutela della dignità della persona”. “‘L’uomo immagine’ ha una identità ‘aperta’, agli altri e all’Altro”.

Ognuno può comprendere che abbiamo qui la presentazione della più genuina concezione biblica e cristiana, sufficiente a fugare ogni tentazione di chiusura e di opposizione tra persone e popoli a causa di un’identità nazionale o culturale. Il pensiero di Sanna, articolato e complesso nei suoi scritti di antropologia, è una diretta risposta alla paventata guerra tra religioni. L’essere immagine di Dio è infatti l’identità base, quella fondamentale che assimila gli esseri umani e li accomuna in un’unica dimensione per essenza, dignità e valore. Così l’apertura all’altro risulta imprescindibile per la costituzione della persona umana nella relazione io-tu. È pertanto un’identità necessaria, ed ogni persona umana non sarebbe tale nella sua autocoscienza senza la presa d’atto di questa propria intima realtà. Oggi questo discorso risulta più importante del solito per lo spettro dello scontro, non solo tra grandi masse portatrici di culture e tradizioni diverse, come sono le grandi tradizioni religiose secolari, ma anche tra gruppi e gruppuscoli che si agitano nello stesso ambiente culturale e sociale. Pensiamo ai fondamentalismi ideologici di tipo politico o economico, lobbistico o tribale. Questa concezione aperta dell’identità, tuttavia, non deve essere considerata una specie di cavallo di Troia per eliminare quelle caratteristiche non citate da Sanna, come, tra l’altro, la distinzione dei generi maschile e femminile, come alcuni tentano di proporre.

Il riconoscimento della diversità tra l’essere uomo e l’essere donna non scalfisce in nulla l’identità fondamentale in quanto persone aperte l’una all’altra e serve a comprendere modi di sentire e di comportarsi che non sono omologabili e che meritano di essere rispettati anche come ruoli e funzioni: maternità e paternità ad esempio. Il discorso è delicato e va preso con intelletto d’amore per non chiudere le persone dentro schemi rigidi prefissati dall’alto. Questo riconoscimento porta con sé una qualità sul piano dell’essere (operari sequitur esse) e va ad arricchire l’identità fondamentale comune ad ogni persona. Alcuni oggi propongono, quale principio antropologico, l’eliminazione della differenza di genere per dare ad ogni individuo un’assoluta libertà di scelta. Voltare così le spalle alla natura, però, si corre il rischio, ricordato da Ruini, di perdere il contatto con il fondamento dei diritti umani e di entrare nella sfera dell’arbitrio.

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Per i cristiani la vera sfida da affrontare è la globalizzazione https://www.lavoce.it/per-i-cristiani-la-vera-sfida-da-affrontare-e-la-globalizzazione/ Thu, 31 Jul 2003 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=3300 E’ stata soprannominata la ‘questione sociale del XXI secolo’: è il fenomeno della globalizzazione con il suo carico di sfide e di domande ancora senza risposta. Ci si chiede come governarla affinché non diventi fonte di nuove schiavitù e violazioni delle libertà fondamentali. Tra poche settimane la conferenza dell’Organizzazione mondiale del Commercio, convocata a Cancun in Messico dal 10 al 14 settembre, ne discuterà ancora. I cristiani non possono e non vogliono rimanere estranei a tale dibattito. Ne è testimonianza l’annuale ‘Settimana Teologica’ organizzata dal Meic, il Movimento ecclesiale di Impegno culturale. A Renato Balduzzi abbiamo chiesto come è nata questa particolare sensibilità per il problema della globalizzazione da parte degli intellettuali cattolici che fanno capo al Meic. Una sensibilità testimoniata anche da numerosi interventi sul tema pubblicati sul bimestrale del Meic, Coscienza. ‘Ogni intellettuale del Meic incontra il tema della globalizzazione almeno sotto due aspetti. In primo luogo, nella sua professione, perché ogni professione è attraversata dal grande cambiamento che l’interdipendenza sta comportando. In secondo luogo, nel proprio impegno di intellettuale cristiano. Sotto entrambi gli aspetti il problema è quello di imparare a governare la globalizzazione, a trarne vantaggi riducendone o annullandone gli svantaggi’. Imparare a governare la globalizzazione. Quale responsabilità hanno i cristiani? ‘I cristiani trovano nella globalizzazione una conferma della possibilità di una proposta universale e integrale all’intero genere umano e al tempo stesso l’accentuazione, almeno apparente, delle differenze etniche, culturali e religiose. Ecco perché per essi la globalizzazione è la vera sfida da affrontare, un’interrogazione permanente alla loro capacità di rendere testimonianza alla verità. Come reagire alla Babele diventata globale senza arroccarsi su perniciosi fondamentalismi e dunque perderne di vista gli aspetti comunque positivi o anche solo potenzialmente positivi? Questa è la domanda di fondo, che interpella non solo i cristiani, ma essi in modo del tutto particolare, perché portatori di speranza’. All’alba del XXI secolo vediamo ridursi o allargarsi gli spazi di libertà per l’uomo? ‘L’altro quesito di fondo che pone la globalizzazione è come rendere il livello delle decisioni politiche e istituzionali ‘competitivo’ con il livello delle decisioni economiche e finanziarie, cioè capace di governare queste ultime, che è poi il problema della democrazia e dunque degli spazi di libertà. Questi spazi noi li vediamo ora ridursi, ora allargarsi, sia per quanto concerne le disparità tra parte e parte dell’umanità, tra Nord e Sud soprattutto, sia per quanto concerne la vita personale di ciascuno di noi, occidentali d’Europa. Oggi si sta verificando sempre più la situazione in cui il massimo di cittadinanza, intesa come massimo di opportunità di usufruire delle risorse materiali e spirituali, si accompagna spesso con il massimo di distacco rispetto a un concreto territorio. La massima cittadinanza viene così a coincidere, potremmo dire, con la massima apolidia. Da notare che questa tendenza tocca ormai, con la crescita del mondo virtuale delle reti informatiche, masse enormi di persone, almeno da noi. Quali certezze o anche soltanto quali piste di ricerca di senso offrire all’apolide culturale di oggi? Ecco un buon terreno di impegno per un movimento di intellettuali europei…’ In quali ambiti è più urgente testimoniare il ‘coraggio della libertà’? ‘Bisogna anzitutto essere capaci di mettere in rapporto libertà e ricerca della verità, per evitare di avvitarsi in false libertà che non sono altro che forme mascherate di dipendenza culturale ed economica. Due mi sembrano gli ambiti nei quali una falsa idea di libertà, sconnessa da quella di responsabilità, sta facendo i maggiori danni: in primo luogo quello dell’ambiente, in secondo luogo quello dell’informazione e della comunicazione di massa. Nel primo si gioca la nostra responsabilità verso le generazioni future. Nel secondo viene in rilievo la stessa possibilità di parlare di libertà consapevole. Anche e soprattutto nel nostro Paese, il coraggio della libertà va oggi esercitato soprattutto in questi campi. L’incontro teologico del Meic ad Assisi sarà l’occasione per alcune concrete proposte agli intellettuali italiani’. Con lo sguardo rivolto a cancan’La libertà del cristiano nell’età della globalizzazione’. E’ questo il tema dell’annuale incontro teologico organizzato dal Movimento ecclesiale di impegno culturale ( Meic) e che quest’anno si svolgerà dal 22 al 25 agosto alla Domus Pacis di Assisi. ‘Lo sguardo – informa in una nota il Meic – è rivolto alla Conferenza dell’Organizzazione mondiale del Commercio, convocata a Cancun in Messico dal 10 al 14 settembre, che sarà chiamata a misurarsi con i mutevoli scenari del mondo globalizzato. I cristiani non possono e non vogliono rimanere estranei a tale dibattito’. Ad Assisi, mons. Gianni Ambrosio, assistente centrale dell’Università Cattolica, e mons. Ignazio Sanna, assistente nazionale del Meic, parleranno della ‘fatica della libertà’. A Giuseppe Lorizio, ordinario di teologia fondamentale all’Università Lateranense di Roma, il compito di approfondire la ‘radice della libertà’. Luigi Alici, ordinario di Filosofia all’Università di Macerata, e Renato Balduzzi, costituzionalista e presidente nazionale del Meic, rifletteranno infine sul ‘coraggio della libertà’. Largo spazio sarà lasciato al dibattito e al confronto tra i partecipanti che giungeranno da tutta Italia. Il programma completo dell’incontro è disponibile su www.meic.net.

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