guerra Russia - Ucraina Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/guerra-ucraina/ Settimanale di informazione regionale Wed, 23 Oct 2024 10:40:58 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg guerra Russia - Ucraina Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/guerra-ucraina/ 32 32 La Terza guerra mondiale può essere evitata? https://www.lavoce.it/la-terza-guerra-mondiale-puo-essere-evitata/ https://www.lavoce.it/la-terza-guerra-mondiale-puo-essere-evitata/#respond Wed, 23 Oct 2024 10:40:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78140 macerie lungo una strada, uomini che con pale le raccolgono, altri uomini e bambini guardano sullo sfondo

Un incendio tanto più è indomabile quanto più deriva dall’innesco di diversi focolai. Il vertice Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) annuncia altri passi verso il multipolarismo, tra cui la de-dollarizzazione dei mercati. La Nato, con il plauso baltico-polacco, allestisce in Nord Europa una maxi-esercitazione per lo scenario di una guerra nucleare con la Russia. La Cina invece simula il blocco navale di Taiwan, a monito del sostegno Usa all’indipendenza dell’isola, funzionale a preservare il monopolio sull’Indo-Pacifico.

Intanto, significa molto la freddezza verso il “Piano della vittoria” svelato da Zelensky in tema di ingresso di Kiev nella Nato, e l’installazione di basi missilistiche. Considerando che entrambi i punti corrispondono al motivo primario dell’invasione russa, è altresì inverosimile che il Piano sia spendibile come leva negoziale con Mosca, per quanto allettante sia la contropartita offerta all’Occidente: sfruttamento estero delle risorse minerarie nazionali e subentro nelle basi europee dei militari ucraini (posto che ve ne siano a sufficienza) a quelli statunitensi, da liberare per altre sfide.

Tutt’altro discorso vale per il Medioriente. Quale che sia il suo inquilino, la Casa Bianca resta in ostaggio di Israele, non potendogli negare sostegno: al netto degli interessi geostrategici sull’avamposto israeliano, pesa l’influenza ebraica interna agli Usa, unita a quella delle Chiese evangeliche e dei cristianosionisti in genere, che condiscono di sincretismi rituali l’attesa escatologica del giorno in cui anche l’Israele vittorioso riconoscerà in Cristo il Messia.

Se Israele trascinerà in guerra l’Iran, il blocco del petrolio verso l’Asia sarebbe un reagente eccitativo sul Pacifico. Le petrolmonarchie sarebbero sempre più sospinte in direzione Brics, indisposte nei confronti di chi mette a rischio i loro traffici vitali. Senza contare il surplus del supporto tecnologico-militare ai pasdaran, che proverrebbe dalla Russia, intenta a preservarsi le proiezioni sui mari caldi: la destabilizzazione siriana è già servita a farle stringere solidarietà funzionali con Teheran.

Analogamente il conflitto in Ucraina, mentre ha cementato la subalternità Ue a Washington, d’altra parte ha spinto la Russia nelle braccia della Cina, sua antica rivale. Mentre le cortine commerciali sollevate dall’Occidente hanno indotto Pechino a connubi con un vicinato fino a ieri in orbita statunitense. Si tratta degli effetti paradossali derivanti dalla strategia dei disimpegni regionali avviati dagli Usa per concentrarsi sul Dragone. Eppure Washington oggi si trova implicata all’unisono su più polveriere, in cui la cura degli equilibri sembra l’ultimo dei pensieri.

Sicché le domande sulla terza guerra mondiale, più che il “se”, riguardano il “come” e il “quando”. Il rapporto di luglio della Commissione al Congresso per la Strategia nazionale di difesa raccomanda l’omologazione delle forze alleate alle direttive Usa, piani di reclutamento e la mobilitazione totale (dall’economia all’informazione alle scuole) per affrontare il nemico alle porte. Sono segnali dello snodo epocale di un ciclo egemonico, che tipicamente si consuma con eventi traumatici, inclusa la tentazione di rovesciare il tavolo pur di non fallire. Saggiare i ricorsi storici non significa però rassegnarsi con fatalismo. Il passato ingiunga di sterzare dalla traiettoria che si para innanzi.

Giuseppe Casale Pontificia università lateranense]]>
macerie lungo una strada, uomini che con pale le raccolgono, altri uomini e bambini guardano sullo sfondo

Un incendio tanto più è indomabile quanto più deriva dall’innesco di diversi focolai. Il vertice Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) annuncia altri passi verso il multipolarismo, tra cui la de-dollarizzazione dei mercati. La Nato, con il plauso baltico-polacco, allestisce in Nord Europa una maxi-esercitazione per lo scenario di una guerra nucleare con la Russia. La Cina invece simula il blocco navale di Taiwan, a monito del sostegno Usa all’indipendenza dell’isola, funzionale a preservare il monopolio sull’Indo-Pacifico.

Intanto, significa molto la freddezza verso il “Piano della vittoria” svelato da Zelensky in tema di ingresso di Kiev nella Nato, e l’installazione di basi missilistiche. Considerando che entrambi i punti corrispondono al motivo primario dell’invasione russa, è altresì inverosimile che il Piano sia spendibile come leva negoziale con Mosca, per quanto allettante sia la contropartita offerta all’Occidente: sfruttamento estero delle risorse minerarie nazionali e subentro nelle basi europee dei militari ucraini (posto che ve ne siano a sufficienza) a quelli statunitensi, da liberare per altre sfide.

Tutt’altro discorso vale per il Medioriente. Quale che sia il suo inquilino, la Casa Bianca resta in ostaggio di Israele, non potendogli negare sostegno: al netto degli interessi geostrategici sull’avamposto israeliano, pesa l’influenza ebraica interna agli Usa, unita a quella delle Chiese evangeliche e dei cristianosionisti in genere, che condiscono di sincretismi rituali l’attesa escatologica del giorno in cui anche l’Israele vittorioso riconoscerà in Cristo il Messia.

Se Israele trascinerà in guerra l’Iran, il blocco del petrolio verso l’Asia sarebbe un reagente eccitativo sul Pacifico. Le petrolmonarchie sarebbero sempre più sospinte in direzione Brics, indisposte nei confronti di chi mette a rischio i loro traffici vitali. Senza contare il surplus del supporto tecnologico-militare ai pasdaran, che proverrebbe dalla Russia, intenta a preservarsi le proiezioni sui mari caldi: la destabilizzazione siriana è già servita a farle stringere solidarietà funzionali con Teheran.

Analogamente il conflitto in Ucraina, mentre ha cementato la subalternità Ue a Washington, d’altra parte ha spinto la Russia nelle braccia della Cina, sua antica rivale. Mentre le cortine commerciali sollevate dall’Occidente hanno indotto Pechino a connubi con un vicinato fino a ieri in orbita statunitense. Si tratta degli effetti paradossali derivanti dalla strategia dei disimpegni regionali avviati dagli Usa per concentrarsi sul Dragone. Eppure Washington oggi si trova implicata all’unisono su più polveriere, in cui la cura degli equilibri sembra l’ultimo dei pensieri.

Sicché le domande sulla terza guerra mondiale, più che il “se”, riguardano il “come” e il “quando”. Il rapporto di luglio della Commissione al Congresso per la Strategia nazionale di difesa raccomanda l’omologazione delle forze alleate alle direttive Usa, piani di reclutamento e la mobilitazione totale (dall’economia all’informazione alle scuole) per affrontare il nemico alle porte. Sono segnali dello snodo epocale di un ciclo egemonico, che tipicamente si consuma con eventi traumatici, inclusa la tentazione di rovesciare il tavolo pur di non fallire. Saggiare i ricorsi storici non significa però rassegnarsi con fatalismo. Il passato ingiunga di sterzare dalla traiettoria che si para innanzi.

Giuseppe Casale Pontificia università lateranense]]>
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A chi serve ancora questa guerra https://www.lavoce.it/a-chi-serve-ancora-questa-guerra/ https://www.lavoce.it/a-chi-serve-ancora-questa-guerra/#respond Wed, 18 Sep 2024 09:47:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77595

Ma davvero c’è qualcuno che pensa che trasferire missili a lunga gittata all’Ucraina aiuterà la pace? Perfino gli strateghi specializzati del Pentagono e i Capi di stato maggiore delle nazioni europee concordano nell’affermare (apertamente o con discrezione) che quella controversia non può avere una soluzione armata. Al contrario la guerra sembra destinata a proseguire a lungo, a trascinarsi stancamente e drammaticamente con il suo carico di distruzione, morti e sofferenze, se non si ha il coraggio di intervenire con tutta la forza diplomatica che il mondo ha in corpo.

Eppure, contrariamente a quello che ci hanno riferito i dispacci di palazzo, anche l’agenda del viaggio del premier britannico Keir Starmer in Italia segnava la richiesta del via libera indispensabile del Governo italiano all’uso in Ucraina degli Storm Shadow (“Presagio di tempesta”). A studiare bene le carte delle aziende, questo missile a lunga gittata che potrebbe superare i confini russo-ucraini e provocare la distruzione di obiettivi strategici in territorio russo viene prodotto dal consorzio europeo Mbda, sigla che include la francese Matra (ex Aerospace), la britannica British Aerospace (Bae) Dynamics e l’italiana Alenia, con un 25% di share di Leonardo.

Pertanto questi missili, per essere ceduti alle forze armate ucraine, hanno bisogno anche del consenso italiano che finora è stato negato. Ma il tema vero è che, se davvero ci si concentrasse nello sforzo diplomatico, nella riapertura di canali efficaci di dialogo con Putin e nella mediazione tra i due Governi belligeranti, forse si riuscirebbe a ottenere un risultato più apprezzabile di quello che si ricava continuando a gettare benzina sul fuoco della guerra. Né appare comprensibile e solido a questo proposito l’argomento secondo il quale il dittatore russo non ne vuole sapere, e forse nemmeno Zelensky.

Siamo riusciti a negoziare con i talebani afghani e con i peggiori dittatori della Storia! A questo punto serve piuttosto comprendere a chi serve la guerra. Serve sicuramente alle aziende di materiale bellico e di nuovi sistemi d’arma, che si inebriano del business e considerano ogni conflitto armato una nuova vetrina per testare ed esporre l’efficienza degli strumenti di morte, che poi piazzeranno in tutto il mondo.

Forse conviene alle potenze mondiali di Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) e Nato per provare la propria forza su un terreno concreto e fiutare l’aria del dominio del mondo. In ogni caso, quella che stiamo percorrendo è la via della morte quotidiana di esseri umani inconsapevoli, che la guerra la subiscono e non la scelgono.

Da parte nostra, come credenti nel Vangelo della pace, dovremmo fare il tifo per la soluzione diplomatica, incoraggiando le parole del Papa e indirizzandole ciascuno al proprio Governo; ma nello stesso tempo dovremmo chiedere una riforma in senso democratico dell’Onu, che anche in questo scenario si rivela un utensile obsoleto e inutile; e incoraggiare le popolazioni dei Paesi in guerra a scegliere la strada dell’obiezione di coscienza. Sono queste le vie che il Vangelo della pace ci suggerisce, lontano mille miglia dalla logica della forza delle armi.

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Ma davvero c’è qualcuno che pensa che trasferire missili a lunga gittata all’Ucraina aiuterà la pace? Perfino gli strateghi specializzati del Pentagono e i Capi di stato maggiore delle nazioni europee concordano nell’affermare (apertamente o con discrezione) che quella controversia non può avere una soluzione armata. Al contrario la guerra sembra destinata a proseguire a lungo, a trascinarsi stancamente e drammaticamente con il suo carico di distruzione, morti e sofferenze, se non si ha il coraggio di intervenire con tutta la forza diplomatica che il mondo ha in corpo.

Eppure, contrariamente a quello che ci hanno riferito i dispacci di palazzo, anche l’agenda del viaggio del premier britannico Keir Starmer in Italia segnava la richiesta del via libera indispensabile del Governo italiano all’uso in Ucraina degli Storm Shadow (“Presagio di tempesta”). A studiare bene le carte delle aziende, questo missile a lunga gittata che potrebbe superare i confini russo-ucraini e provocare la distruzione di obiettivi strategici in territorio russo viene prodotto dal consorzio europeo Mbda, sigla che include la francese Matra (ex Aerospace), la britannica British Aerospace (Bae) Dynamics e l’italiana Alenia, con un 25% di share di Leonardo.

Pertanto questi missili, per essere ceduti alle forze armate ucraine, hanno bisogno anche del consenso italiano che finora è stato negato. Ma il tema vero è che, se davvero ci si concentrasse nello sforzo diplomatico, nella riapertura di canali efficaci di dialogo con Putin e nella mediazione tra i due Governi belligeranti, forse si riuscirebbe a ottenere un risultato più apprezzabile di quello che si ricava continuando a gettare benzina sul fuoco della guerra. Né appare comprensibile e solido a questo proposito l’argomento secondo il quale il dittatore russo non ne vuole sapere, e forse nemmeno Zelensky.

Siamo riusciti a negoziare con i talebani afghani e con i peggiori dittatori della Storia! A questo punto serve piuttosto comprendere a chi serve la guerra. Serve sicuramente alle aziende di materiale bellico e di nuovi sistemi d’arma, che si inebriano del business e considerano ogni conflitto armato una nuova vetrina per testare ed esporre l’efficienza degli strumenti di morte, che poi piazzeranno in tutto il mondo.

Forse conviene alle potenze mondiali di Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) e Nato per provare la propria forza su un terreno concreto e fiutare l’aria del dominio del mondo. In ogni caso, quella che stiamo percorrendo è la via della morte quotidiana di esseri umani inconsapevoli, che la guerra la subiscono e non la scelgono.

Da parte nostra, come credenti nel Vangelo della pace, dovremmo fare il tifo per la soluzione diplomatica, incoraggiando le parole del Papa e indirizzandole ciascuno al proprio Governo; ma nello stesso tempo dovremmo chiedere una riforma in senso democratico dell’Onu, che anche in questo scenario si rivela un utensile obsoleto e inutile; e incoraggiare le popolazioni dei Paesi in guerra a scegliere la strada dell’obiezione di coscienza. Sono queste le vie che il Vangelo della pace ci suggerisce, lontano mille miglia dalla logica della forza delle armi.

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Il coraggio di chiedere Pace https://www.lavoce.it/il-coraggio-di-chiedere-pace/ https://www.lavoce.it/il-coraggio-di-chiedere-pace/#respond Fri, 19 Jul 2024 10:57:50 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77138

La linea decisa, ribadita e rafforzata dai G7 e dalla Nato di fornire un numero superiore di armi e sistemi tecnologicamente più potenti all’Ucraina sembra aver diffuso una sorta di dogma assoluto sulla necessità di armarsi per ottenere la pace. Ora, chiunque sia onesto e sincero, interroghi la propria coscienza per rispondere alla domanda: aver deciso di fornire le forze ucraine anche degli F16 accelererà il processo di pace?

Senza scomodare i grandi valori e i principi della pace e seguendo piuttosto soltanto il buon senso, crediamo davvero che entrare nel vortice di questa escalation produca la soluzione del conflitto? Sicuramente contribuisce ad alimentare la guerra, ovvero a prolungarla causando sofferenza, morte e distruzioni.

Persino gli esperti strateghi di guerra e gli analisti del conflitto sono pronti ad affermare che non vi è alcuna possibilità di risolvere quel conflitto sul terreno della guerra. La voce di Papa Francesco sembra isolata e dissonante, le cancellerie mondiali non sembrano impegnate nell’apertura di corridoi di dialogo e anche il difficile dissenso interno alla Russia sembra ricevere sostegno e quindi è questo il tempo della testimonianza di pace che risale la corrente e chieda ad alta voce di invertire la rotta della politica internazionale di riarmo verso il negoziato e la cooperazione. Il fatto che la strada sia difficile non significa che non vada percorsa.

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La linea decisa, ribadita e rafforzata dai G7 e dalla Nato di fornire un numero superiore di armi e sistemi tecnologicamente più potenti all’Ucraina sembra aver diffuso una sorta di dogma assoluto sulla necessità di armarsi per ottenere la pace. Ora, chiunque sia onesto e sincero, interroghi la propria coscienza per rispondere alla domanda: aver deciso di fornire le forze ucraine anche degli F16 accelererà il processo di pace?

Senza scomodare i grandi valori e i principi della pace e seguendo piuttosto soltanto il buon senso, crediamo davvero che entrare nel vortice di questa escalation produca la soluzione del conflitto? Sicuramente contribuisce ad alimentare la guerra, ovvero a prolungarla causando sofferenza, morte e distruzioni.

Persino gli esperti strateghi di guerra e gli analisti del conflitto sono pronti ad affermare che non vi è alcuna possibilità di risolvere quel conflitto sul terreno della guerra. La voce di Papa Francesco sembra isolata e dissonante, le cancellerie mondiali non sembrano impegnate nell’apertura di corridoi di dialogo e anche il difficile dissenso interno alla Russia sembra ricevere sostegno e quindi è questo il tempo della testimonianza di pace che risale la corrente e chieda ad alta voce di invertire la rotta della politica internazionale di riarmo verso il negoziato e la cooperazione. Il fatto che la strada sia difficile non significa che non vada percorsa.

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Guerra Russia-Ucraina: a proposito di confini, per essere chiari https://www.lavoce.it/guerra-russia-ucraina-a-proposito-di-confini-per-essere-chiari/ https://www.lavoce.it/guerra-russia-ucraina-a-proposito-di-confini-per-essere-chiari/#respond Fri, 31 May 2024 08:34:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=76448

Nei giorni scorsi ci siamo sentiti sfiorare dal vento gelido della guerra imminente. È stato quando Stoltenberg – il segretario generale della Nato – ha detto che si dovrebbe pensare ad autorizzare l’Ucraina ad impiegare le armi che le vengono fornite dagli Occidentali, anche per colpire obiettivi all’interno della Russia. Sinora, quelle armi vengono date sotto la condizione che vengano usate solo per colpire le forze russe che occupano territori ucraini.

Si tratterebbe di un grosso salto di qualità, almeno a prima vista: l’azione dell’Ucraina non sarebbe più solamente difensiva, ma diventerebbe offensiva, e metterebbe nella stessa posizione i Paesi dell’alleanza atlantica che sostengono l’Ucraina ma non vogliono essere coinvolti direttamente nella guerra. Dobbiamo sapere, però, che Stoltenberg è solo un funzionario esecutivo – per quanto di alto rango – e non ha il potere di prendere certe decisioni.

Dobbiamo anche sapere che, almeno per ora, l’intenzione dell’Ucraina non sarebbe quella di bombardare le città russe e la loro popolazione civile ma solo quella di colpire le basi, situate in territorio russo, dalle quali vengono lanciati i missili che bombardano (quelli sì) le città e la popolazione civile dell’Ucraina. Insomma si tratterebbe pur sempre di azioni difensive. Che si arrivi davvero a questo aggravamento (escalation) della guerra è ben poco probabile.

Ma che oggi si discuta intorno a questa ipotesi è importante perché mette meglio in luce una verità che tutti sanno o dovrebbero sapere, ma che diversi personaggi (come Michele Santoro e Marco Travaglio) sembrano non considerare. E cioè che la guerra fra la Russia e l’Ucraina si svolge tutta e solo in territorio ucraino, e coinvolge solo quelle popolazioni. Questo accade per la semplice ragione che è stata la Russia ad invadere l’Ucraina e non viceversa, e che se non l’avesse fatto non ci sarebbe alcuna guerra in corso.

È importante aggiungere che quei confini che l’Ucraina vorrebbe difendere non sono stati imposti alla Russia da chicchessia – tanto meno dagli Occidentali – ma sono i vecchi confini interni dell’Unione Sovietica, decisi al Cremlino di Mosca e in vigore il 26 dicembre 1991, quando l’Urss fu dissolta, con il pieno accordo di chi (Boris Eltsin) in quel momento governava quella che si chiamava già e tuttora si chiama Federazione Russa. Tanto per essere chiari.

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Nei giorni scorsi ci siamo sentiti sfiorare dal vento gelido della guerra imminente. È stato quando Stoltenberg – il segretario generale della Nato – ha detto che si dovrebbe pensare ad autorizzare l’Ucraina ad impiegare le armi che le vengono fornite dagli Occidentali, anche per colpire obiettivi all’interno della Russia. Sinora, quelle armi vengono date sotto la condizione che vengano usate solo per colpire le forze russe che occupano territori ucraini.

Si tratterebbe di un grosso salto di qualità, almeno a prima vista: l’azione dell’Ucraina non sarebbe più solamente difensiva, ma diventerebbe offensiva, e metterebbe nella stessa posizione i Paesi dell’alleanza atlantica che sostengono l’Ucraina ma non vogliono essere coinvolti direttamente nella guerra. Dobbiamo sapere, però, che Stoltenberg è solo un funzionario esecutivo – per quanto di alto rango – e non ha il potere di prendere certe decisioni.

Dobbiamo anche sapere che, almeno per ora, l’intenzione dell’Ucraina non sarebbe quella di bombardare le città russe e la loro popolazione civile ma solo quella di colpire le basi, situate in territorio russo, dalle quali vengono lanciati i missili che bombardano (quelli sì) le città e la popolazione civile dell’Ucraina. Insomma si tratterebbe pur sempre di azioni difensive. Che si arrivi davvero a questo aggravamento (escalation) della guerra è ben poco probabile.

Ma che oggi si discuta intorno a questa ipotesi è importante perché mette meglio in luce una verità che tutti sanno o dovrebbero sapere, ma che diversi personaggi (come Michele Santoro e Marco Travaglio) sembrano non considerare. E cioè che la guerra fra la Russia e l’Ucraina si svolge tutta e solo in territorio ucraino, e coinvolge solo quelle popolazioni. Questo accade per la semplice ragione che è stata la Russia ad invadere l’Ucraina e non viceversa, e che se non l’avesse fatto non ci sarebbe alcuna guerra in corso.

È importante aggiungere che quei confini che l’Ucraina vorrebbe difendere non sono stati imposti alla Russia da chicchessia – tanto meno dagli Occidentali – ma sono i vecchi confini interni dell’Unione Sovietica, decisi al Cremlino di Mosca e in vigore il 26 dicembre 1991, quando l’Urss fu dissolta, con il pieno accordo di chi (Boris Eltsin) in quel momento governava quella che si chiamava già e tuttora si chiama Federazione Russa. Tanto per essere chiari.

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La voce (isolata) del Papa che non perde occasione per dare alito alla sete di pace https://www.lavoce.it/voce-isolata-papa-non-perde-occasione-dare-alito-sete-pace/ https://www.lavoce.it/voce-isolata-papa-non-perde-occasione-dare-alito-sete-pace/#respond Thu, 02 May 2024 11:53:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75948

Il metro per misurare il livello generale della nostra rassegnazione alla guerra è l’informazione che sui conflitti internazionali ormai indulge quasi esclusivamente sulla comparazione delle potenze di fuoco, sugli approvvigionamenti di armi e sistemi di armi delle forze in campo, sul numero del personale militare e sulle strategie di fuoco adottate. Soprattutto rispetto al conflitto in terra di Ucraina non vi è più notizia di tentativi di mediazione e di negoziati in corso ma solo della richiesta di munizioni e armamenti da parte del governo ucraino. Peraltro invece tutti gli esperti concordano nell’affermare che in quel conflitto non vi potrà essere possibilità di soluzione per via militare e che sarebbe una tremenda illusione anche solo immaginarlo. È il buon senso, allora, a suggerire la tragica domanda sul perché di tanti morti, del pianto dei familiari dei soldati, dei mutilati a vita nel corpo e nell’anima, delle case, delle aziende e delle infrastrutture distrutte che bisognerà ricostruire, delle risorse impegnate nello spreco di uno sforzo tanto grande quanto inutile. E scandalosamente dannoso. Ma ancor di più scoraggia l’appiattimento pressoché unanime nel dare microfono, penna e tastiera solo alla forza della violenza della guerra. Isolata resta la voce di un anziano pontefice che non perde occasione per dare alito alla sete di pace che non sia il risultato illusorio e amaro della violenza.]]>

Il metro per misurare il livello generale della nostra rassegnazione alla guerra è l’informazione che sui conflitti internazionali ormai indulge quasi esclusivamente sulla comparazione delle potenze di fuoco, sugli approvvigionamenti di armi e sistemi di armi delle forze in campo, sul numero del personale militare e sulle strategie di fuoco adottate. Soprattutto rispetto al conflitto in terra di Ucraina non vi è più notizia di tentativi di mediazione e di negoziati in corso ma solo della richiesta di munizioni e armamenti da parte del governo ucraino. Peraltro invece tutti gli esperti concordano nell’affermare che in quel conflitto non vi potrà essere possibilità di soluzione per via militare e che sarebbe una tremenda illusione anche solo immaginarlo. È il buon senso, allora, a suggerire la tragica domanda sul perché di tanti morti, del pianto dei familiari dei soldati, dei mutilati a vita nel corpo e nell’anima, delle case, delle aziende e delle infrastrutture distrutte che bisognerà ricostruire, delle risorse impegnate nello spreco di uno sforzo tanto grande quanto inutile. E scandalosamente dannoso. Ma ancor di più scoraggia l’appiattimento pressoché unanime nel dare microfono, penna e tastiera solo alla forza della violenza della guerra. Isolata resta la voce di un anziano pontefice che non perde occasione per dare alito alla sete di pace che non sia il risultato illusorio e amaro della violenza.]]>
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I cristiani, segno di umanità riconciliata https://www.lavoce.it/i-cristiani-segno-di-umanita-riconciliata/ https://www.lavoce.it/i-cristiani-segno-di-umanita-riconciliata/#respond Fri, 29 Mar 2024 09:18:17 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75527 Mons. Giuseppe Baturi a mezzo busto parla con in mano un microfono

“Dobbiamo evangelizzare, parlare di Cristo al cuore inquieto dell’uomo, raccontare e dare testimonianza perché Cristo si può annunciare solo dando testimonianza nella nostra vita e nell’unità della Chiesa”.

Mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, parla in questa Settimana santa che si celebra quest’anno in un mondo insanguinato: l’attentato a Mosca, le decine di migliaia di morti a Gaza e nel Medio Oriente, gli oltre due anni di guerra in Ucraina.

“È un tempo carico di dolore, che richiama la Passione del Signore e il racconto della violenza, del tradimento, dell’abbandono per paura. È il paradigma del male che conosciamo, che vediamo ogni giorno. È impressionante, sembra essere sempre presenti a quei momenti in cui Cristo viene consegnato per la salvezza del mondo. Quel dolore lo conosciamo, così come conosciamo la cattiveria e la volontà di deridere. Appartiene all’inventario peggiore della nostra umanità, che in questi giorni occupa gli spazi della cronaca”.

Scorge spiragli di luce?

“Non possiamo ignorare le figure di compassione e di pietà nel racconto della Passione. Penso a Maria Maddalena, al discepolo che Gesù tanto amava, a Maria: c’è grande dolore e preoccupazione, ma ci sono anche punti di luce e di amore che possono illuminare la notte e farci attendere l’aurora. In fondo la Pasqua è anche questo: saper guardare e credere ai segni di bene che esistono nel mondo. Credere nella possibilità di un mondo nuovo, che si realizzi ancora l’impossibile, ovvero una vita più grande della morte”.

La Chiesa in Italia è da sempre partecipe delle situazioni di dolore del mondo.

“Il popolo cristiano celebra la Risurrezione e prega, facendosi vicino agli uomini che sono sgomenti e che hanno paura. La Chiesa in Italia ha raccolto questa grande consegna dalla storia e dal magistero dei Papi: essere un segno di rinnovamento e di umanità riconciliata. Tutto ciò lo esprimiamo continuamente, anzitutto nella preghiera incessante per la fine della guerra, per la pace, per la libertà, per la riconciliazione nel perdono. E poi spendendoci per l’amicizia tra i popoli con le visite o con i fondi dell’8xmille che destiniamo alle zone più povere. A noi interessa creare reti di amicizia laddove la guerra è il più grande motore d’inimicizia e inoltre attraverso la solidarietà concreta, per alleviare le conseguenze più aspre dei conflitti che si ripercuotono sempre sui popoli indifesi. In Ucraina, a Gaza, nel Congo, in Siria. Vogliamo essere come il viandante misterioso che si affianca ai discepoli, mettendoci accanto agli uomini che cercano e che soffrono per consolarli e per indicare una via di speranza”.

È così difficile, Eccellenza, riuscire a far dialogare popoli che spesso sono fratelli?

“Tutte le volte in cui, sull’evidenza di un’umanità che ti rende fratelli, prevalgono le ideologie si manifesta l’inimicizia. Allora non ci si fa più scrupolo di violare gli altri, di cercare complici, di generare vittime. È una logica spietata, contraria al Vangelo. Una preghiera bizantina molto bella invita a dare il nome di fratello anche al nemico, ma questo può farlo soltanto il Risorto. Per questa ragione, in certi contesti la presenza cristiana è fondamentale, perché invita all’incontro attraverso il perdono. Se dovessero sparire i cristiani dalla Terra Santa sarebbe un male per tutti, perché i cristiani predicano una possibilità di perdono e riconciliazione”.

Guardando in casa nostra, che urgenze identifica per l’Italia?

“Dobbiamo evangelizzare, parlare di Cristo al cuore inquieto dell’uomo, raccontare e dare testimonianza perché Cristo si può annunciare solo dando testimonianza nella nostra vita e nell’unità della Chiesa. C’è poi la questione della solidarietà di fronte alla povertà economica ed educativa, che richiede lo sforzo delle autorità civili e la creatività delle comunità cristiane. Penso anche ai giovani, alla loro sofferenza talvolta gridata e talvolta muta, che diventa troppo spesso violenza verso se stessi e il proprio corpo. Dobbiamo essere compagni di questi ragazzi, dando loro una speranza”.

Pochi giorni fa il card. Matteo Zuppi ha detto che “suscita preoccupazione la tenuta del sistema Paese”.

“È certamente in ballo la tenuta del sistema Italia, non dobbiamo far venire meno i legami di solidarietà e di coesione, fondamentali per l’unità nazionale. Perché un Paese può crescere solo insieme e unito“.

A Pioltello una scuola ha deciso di sospendere le lezioni nel giorno di chiusura del mese sacro del Ramadan. È un campanello di allarme per la presenza dei cattolici in Italia?

“Sarei più preoccupato di un laicismo che non riconosca lo spazio del fenomeno religioso in termini comunitari. Vorrei che i cristiani vivessero il dialogo con tutte le religioni, sapendo riportare l’uomo alla dimensione religiosa del suo rapporto con Dio dentro un’identità chiara e un’amicizia aperta. Le cose non sono incompatibili: quando il cristianesimo non è ridotto a mero elemento sociologico o identitario, ma è aperto all’incontro con gli altri, una nazione come l’Italia può aprirsi ad altre dimensioni culturali, etiche e religiose. È un vantaggio per tutti, naturalmente nel rispetto degli ordinamenti“.

A giugno si voterà per il Parlamento europeo. Cosa si attende?

“Una nuova immagine dell’Europa. Ciò che sta accadendo ai suoi confini, in Ucraina ma anche a Gaza, ci parla della necessità di un’iniziativa di pace, di salvaguardia della persona umana e dei diritti delle comunità da parte dell’Europa”.

Riccardo Benotti

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Mons. Giuseppe Baturi a mezzo busto parla con in mano un microfono

“Dobbiamo evangelizzare, parlare di Cristo al cuore inquieto dell’uomo, raccontare e dare testimonianza perché Cristo si può annunciare solo dando testimonianza nella nostra vita e nell’unità della Chiesa”.

Mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, parla in questa Settimana santa che si celebra quest’anno in un mondo insanguinato: l’attentato a Mosca, le decine di migliaia di morti a Gaza e nel Medio Oriente, gli oltre due anni di guerra in Ucraina.

“È un tempo carico di dolore, che richiama la Passione del Signore e il racconto della violenza, del tradimento, dell’abbandono per paura. È il paradigma del male che conosciamo, che vediamo ogni giorno. È impressionante, sembra essere sempre presenti a quei momenti in cui Cristo viene consegnato per la salvezza del mondo. Quel dolore lo conosciamo, così come conosciamo la cattiveria e la volontà di deridere. Appartiene all’inventario peggiore della nostra umanità, che in questi giorni occupa gli spazi della cronaca”.

Scorge spiragli di luce?

“Non possiamo ignorare le figure di compassione e di pietà nel racconto della Passione. Penso a Maria Maddalena, al discepolo che Gesù tanto amava, a Maria: c’è grande dolore e preoccupazione, ma ci sono anche punti di luce e di amore che possono illuminare la notte e farci attendere l’aurora. In fondo la Pasqua è anche questo: saper guardare e credere ai segni di bene che esistono nel mondo. Credere nella possibilità di un mondo nuovo, che si realizzi ancora l’impossibile, ovvero una vita più grande della morte”.

La Chiesa in Italia è da sempre partecipe delle situazioni di dolore del mondo.

“Il popolo cristiano celebra la Risurrezione e prega, facendosi vicino agli uomini che sono sgomenti e che hanno paura. La Chiesa in Italia ha raccolto questa grande consegna dalla storia e dal magistero dei Papi: essere un segno di rinnovamento e di umanità riconciliata. Tutto ciò lo esprimiamo continuamente, anzitutto nella preghiera incessante per la fine della guerra, per la pace, per la libertà, per la riconciliazione nel perdono. E poi spendendoci per l’amicizia tra i popoli con le visite o con i fondi dell’8xmille che destiniamo alle zone più povere. A noi interessa creare reti di amicizia laddove la guerra è il più grande motore d’inimicizia e inoltre attraverso la solidarietà concreta, per alleviare le conseguenze più aspre dei conflitti che si ripercuotono sempre sui popoli indifesi. In Ucraina, a Gaza, nel Congo, in Siria. Vogliamo essere come il viandante misterioso che si affianca ai discepoli, mettendoci accanto agli uomini che cercano e che soffrono per consolarli e per indicare una via di speranza”.

È così difficile, Eccellenza, riuscire a far dialogare popoli che spesso sono fratelli?

“Tutte le volte in cui, sull’evidenza di un’umanità che ti rende fratelli, prevalgono le ideologie si manifesta l’inimicizia. Allora non ci si fa più scrupolo di violare gli altri, di cercare complici, di generare vittime. È una logica spietata, contraria al Vangelo. Una preghiera bizantina molto bella invita a dare il nome di fratello anche al nemico, ma questo può farlo soltanto il Risorto. Per questa ragione, in certi contesti la presenza cristiana è fondamentale, perché invita all’incontro attraverso il perdono. Se dovessero sparire i cristiani dalla Terra Santa sarebbe un male per tutti, perché i cristiani predicano una possibilità di perdono e riconciliazione”.

Guardando in casa nostra, che urgenze identifica per l’Italia?

“Dobbiamo evangelizzare, parlare di Cristo al cuore inquieto dell’uomo, raccontare e dare testimonianza perché Cristo si può annunciare solo dando testimonianza nella nostra vita e nell’unità della Chiesa. C’è poi la questione della solidarietà di fronte alla povertà economica ed educativa, che richiede lo sforzo delle autorità civili e la creatività delle comunità cristiane. Penso anche ai giovani, alla loro sofferenza talvolta gridata e talvolta muta, che diventa troppo spesso violenza verso se stessi e il proprio corpo. Dobbiamo essere compagni di questi ragazzi, dando loro una speranza”.

Pochi giorni fa il card. Matteo Zuppi ha detto che “suscita preoccupazione la tenuta del sistema Paese”.

“È certamente in ballo la tenuta del sistema Italia, non dobbiamo far venire meno i legami di solidarietà e di coesione, fondamentali per l’unità nazionale. Perché un Paese può crescere solo insieme e unito“.

A Pioltello una scuola ha deciso di sospendere le lezioni nel giorno di chiusura del mese sacro del Ramadan. È un campanello di allarme per la presenza dei cattolici in Italia?

“Sarei più preoccupato di un laicismo che non riconosca lo spazio del fenomeno religioso in termini comunitari. Vorrei che i cristiani vivessero il dialogo con tutte le religioni, sapendo riportare l’uomo alla dimensione religiosa del suo rapporto con Dio dentro un’identità chiara e un’amicizia aperta. Le cose non sono incompatibili: quando il cristianesimo non è ridotto a mero elemento sociologico o identitario, ma è aperto all’incontro con gli altri, una nazione come l’Italia può aprirsi ad altre dimensioni culturali, etiche e religiose. È un vantaggio per tutti, naturalmente nel rispetto degli ordinamenti“.

A giugno si voterà per il Parlamento europeo. Cosa si attende?

“Una nuova immagine dell’Europa. Ciò che sta accadendo ai suoi confini, in Ucraina ma anche a Gaza, ci parla della necessità di un’iniziativa di pace, di salvaguardia della persona umana e dei diritti delle comunità da parte dell’Europa”.

Riccardo Benotti

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Non rassegnarsi alle armi https://www.lavoce.it/non-rassegnarsi-alle-armi/ https://www.lavoce.it/non-rassegnarsi-alle-armi/#respond Wed, 20 Mar 2024 15:26:50 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75387 L'esterno del Parlamento europeo a Bruxelles

C’è un rischio: impossibile non vederlo. Il summit dei Capi di Stato e di governo Ue, convocato per il 21 e 22 marzo a Bruxelles, rischia di trasformarsi in un “Consiglio di guerra”. L’aggressione russa all’Ucraina sta segnando da oltre due anni la storia continentale, che si era abituata alla pace.

Il risultato delle “elezioni” (le virgolette sono d’obbligo) in Russia rafforza il minaccioso autocrate Putin, il quale ormai si occupa solo di guerra. Sul campo avverso c’è l’aggredita Ucraina, con un leader – Zelensky – cui non resta che invocare aiuti militari nella disperata impresa di salvare il proprio Paese dalla distruzione totale. Il terzo co-protagonista è l’Unione europea, schierata al fianco di Kiev con soldi e armamenti; ma anche qui il peso del conflitto comincia a segnare “diserzioni” (Ungheria), passi indietro e divisioni (diventare cobelligeranti? Inviare truppe di terra? Entrare in campo assieme alla Nato?).

Una cosa è certa: diversi leader europei (Macron, Tusk…) e qualche responsabile di istituzioni Ue hanno imboccato la strada del conflitto aperto, con una parola d’ordine: sostenere militarmente l’Ucraina, sconfiggere la Russia. Atteggiamento comprensibile secondo il diritto internazionale. Purché non si rinunci, al contempo, a tenere testardamente aperta la strada della mediazione, della soluzione politica e diplomatica. In questo senso, un peccato di omissione non sarebbe giustificabile, perché nel frattempo le armi uccidono e distruggono.

Tornando al Consiglio europeo di primavera, l’ordine del giorno parla chiaro: “I leader dell’Ue discuteranno del proseguimento del sostegno all’Ucraina e alla sua popolazione in risposta all’aggressione militare della Russia. L’Ue continuerà a fornire un sostegno politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico per tutto il tempo necessario”.

Finora l’Unione europea e i suoi Stati membri hanno fornito all’Ucraina oltre 138 miliardi di euro, e tante, tante armi e munizioni. Ora si parla di missili. Sempre nell’agenda dei leader figura al secondo punto il tema della difesa: se Putin attacca, occorre difendersi, è il ragionamento. Così i Ventisette discuteranno della “necessità per l’Europa di aumentare la sua prontezza in materia di difesa”, di come “rendere l’industria della difesa più resiliente e competitiva” e di un “programma europeo di investimenti nel settore della difesa”. La quale dovrà essere appunto “competitiva” nel produrre armi per i propri eserciti (e continuare a commerciare aerei, carri armati, bombe, fucili con numerosi Paesi del mondo). Gli arsenali vanno riempiti per essere poi svuotati.

I venti di guerra – in Ucraina, così pure in Medio Oriente e in altre aree del pianeta – segnano profondamente il cammino dell’Unione, e dell’umanità. Con un timore sottaciuto: un’escalation regionale dei conflitti. Con esiti imprevedibili.

Risuonano, come un monito, le parole espresse il 18 marzo dal cardinale Matteo Zuppi al Consiglio permanente della Cei: “Non possiamo rassegnarci a un aumento incontrollato delle armi, né tanto meno alla guerra come via per la pace”.

Gianni Borsa

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L'esterno del Parlamento europeo a Bruxelles

C’è un rischio: impossibile non vederlo. Il summit dei Capi di Stato e di governo Ue, convocato per il 21 e 22 marzo a Bruxelles, rischia di trasformarsi in un “Consiglio di guerra”. L’aggressione russa all’Ucraina sta segnando da oltre due anni la storia continentale, che si era abituata alla pace.

Il risultato delle “elezioni” (le virgolette sono d’obbligo) in Russia rafforza il minaccioso autocrate Putin, il quale ormai si occupa solo di guerra. Sul campo avverso c’è l’aggredita Ucraina, con un leader – Zelensky – cui non resta che invocare aiuti militari nella disperata impresa di salvare il proprio Paese dalla distruzione totale. Il terzo co-protagonista è l’Unione europea, schierata al fianco di Kiev con soldi e armamenti; ma anche qui il peso del conflitto comincia a segnare “diserzioni” (Ungheria), passi indietro e divisioni (diventare cobelligeranti? Inviare truppe di terra? Entrare in campo assieme alla Nato?).

Una cosa è certa: diversi leader europei (Macron, Tusk…) e qualche responsabile di istituzioni Ue hanno imboccato la strada del conflitto aperto, con una parola d’ordine: sostenere militarmente l’Ucraina, sconfiggere la Russia. Atteggiamento comprensibile secondo il diritto internazionale. Purché non si rinunci, al contempo, a tenere testardamente aperta la strada della mediazione, della soluzione politica e diplomatica. In questo senso, un peccato di omissione non sarebbe giustificabile, perché nel frattempo le armi uccidono e distruggono.

Tornando al Consiglio europeo di primavera, l’ordine del giorno parla chiaro: “I leader dell’Ue discuteranno del proseguimento del sostegno all’Ucraina e alla sua popolazione in risposta all’aggressione militare della Russia. L’Ue continuerà a fornire un sostegno politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico per tutto il tempo necessario”.

Finora l’Unione europea e i suoi Stati membri hanno fornito all’Ucraina oltre 138 miliardi di euro, e tante, tante armi e munizioni. Ora si parla di missili. Sempre nell’agenda dei leader figura al secondo punto il tema della difesa: se Putin attacca, occorre difendersi, è il ragionamento. Così i Ventisette discuteranno della “necessità per l’Europa di aumentare la sua prontezza in materia di difesa”, di come “rendere l’industria della difesa più resiliente e competitiva” e di un “programma europeo di investimenti nel settore della difesa”. La quale dovrà essere appunto “competitiva” nel produrre armi per i propri eserciti (e continuare a commerciare aerei, carri armati, bombe, fucili con numerosi Paesi del mondo). Gli arsenali vanno riempiti per essere poi svuotati.

I venti di guerra – in Ucraina, così pure in Medio Oriente e in altre aree del pianeta – segnano profondamente il cammino dell’Unione, e dell’umanità. Con un timore sottaciuto: un’escalation regionale dei conflitti. Con esiti imprevedibili.

Risuonano, come un monito, le parole espresse il 18 marzo dal cardinale Matteo Zuppi al Consiglio permanente della Cei: “Non possiamo rassegnarci a un aumento incontrollato delle armi, né tanto meno alla guerra come via per la pace”.

Gianni Borsa

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“Casa Padre Pio” a Kiev, un progetto per cuori feriti di madri https://www.lavoce.it/casa-padre-pio-a-kiev-un-progetto-per-cuori-feriti-di-madri/ https://www.lavoce.it/casa-padre-pio-a-kiev-un-progetto-per-cuori-feriti-di-madri/#respond Thu, 29 Feb 2024 08:00:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75035 Una fila orizzontale di mogli e madri ucraine coinvolte nel progetto all'interno di una chiesa, davanti le foto dei figli o mariti scomparsi

A Kiev, la Casa “Padre Pio” è un luogo di pace e preghiera. Lì, nei pressi del convento francescano, è nato un progetto di cura per le madri dei soldati morti in guerra: a conflitto ancora in corso, i cappuccini d’Ucraina lavorano per una riconciliazione dello spirito, primo passo per costruire la pace e riaccendere la speranza. Un progetto sostenuto dai lettori di Frate Indovino e dalla Fondazione Assisi Missio, iniziato nel febbraio 2023, che ha coinvolto 127 madri: per queste, oltre all’aiuto materiale, è stata una via di cura per riaccendere la speranza, una scintilla di nuova vita.

Un progetto in collaborazione con la Caritas perugina

“Fin dai primi giorni di marzo 2022 spiega fra Carlo Maria Chistolini, responsabile della Fondazione Assisi Missio - abbiamo subito cercato di fare qualcosa di concreto per sostenere chi era maggiormente colpito dalla guerra organizzando, in collaborazione con la Caritas perugina, un primo convoglio di cibo e aiuti di prima necessità. Nel tempo poi abbiamo messo a disposizione le nostre case in Italia per ospitare alcune famiglie scappate dalla guerra ed è nato così uno scambio fecondo che ha reso possibile anche l’avvio di questo progetto”.

I Cappuccini della Custodia d'Ucraina

Sono 41 i frati cappuccini della Custodia d’Ucraina: vivono in sette conventi in varie zone del territorio ucraino e in due conventi in territorio russo, rappresentando con i fatti un autentico ponte di pace fra le due nazioni in guerra tra loro. Fra Carlo Maria e Paolo Friso, direttore delle Edizioni Frate Indovino, hanno visitato i confratelli di Kiev, portando loro gli aiuti economici per sostenere il progetto “Le madri di Casa Padre Pio”. Sono stati il tramite della vicinanza della “famiglia” dei cappuccini umbri e italiani a quanti vivono ogni giorno nella paura e nella sofferenza. Tutto questo proprio nei giorni scorsi, in occasione dei due anni dall’inizio del conflitto.

A Kiev programma di cura per le mamme e le mogli di soldati

A Kiev hanno testimoniato anche l’avvio di una nuova sessione del programma di cura dedicato alle madri e alle mogli dei soldati di cui non si hanno più notizie o che sono caduti in combattimento. “Il lavoro e la preghiera, l’arteterapia e la ginnastica, la cura del corpo e la musica - spiegano - sono strumenti validi per superare lo stress emotivo della perdita e favorire la riconciliazione, primo passo per far riaccendere la speranza in un futuro di pace”.

Fra Carlo Maria Chistolini: “Un ponte di solidarietà che vogliamo continuare"

Il percorso residenziale per 20 di queste mamme, iniziato circa un anno fa, è terminato in questi giorni ma il progetto continua, crescendo nei numeri e nella professionalità dei volontari che vi operano. “Sono stati giorni di fraternità e solidarietà con i frati cappuccini che ringraziamo per la loro accoglienza. Nonostante il dolore e le lacrime - racconta ancora fra Carlo Maria - abbiamo vissuto un tempo di gioia e di speranza, come nel compleanno di Ludmila. Ma il nostro compito non finisce qui: vogliamo continuare questo ponte di solidarietà e siamo certi che non mancherà il sostegno di tutti gli amici di Frate Indovino ”.

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Una fila orizzontale di mogli e madri ucraine coinvolte nel progetto all'interno di una chiesa, davanti le foto dei figli o mariti scomparsi

A Kiev, la Casa “Padre Pio” è un luogo di pace e preghiera. Lì, nei pressi del convento francescano, è nato un progetto di cura per le madri dei soldati morti in guerra: a conflitto ancora in corso, i cappuccini d’Ucraina lavorano per una riconciliazione dello spirito, primo passo per costruire la pace e riaccendere la speranza. Un progetto sostenuto dai lettori di Frate Indovino e dalla Fondazione Assisi Missio, iniziato nel febbraio 2023, che ha coinvolto 127 madri: per queste, oltre all’aiuto materiale, è stata una via di cura per riaccendere la speranza, una scintilla di nuova vita.

Un progetto in collaborazione con la Caritas perugina

“Fin dai primi giorni di marzo 2022 spiega fra Carlo Maria Chistolini, responsabile della Fondazione Assisi Missio - abbiamo subito cercato di fare qualcosa di concreto per sostenere chi era maggiormente colpito dalla guerra organizzando, in collaborazione con la Caritas perugina, un primo convoglio di cibo e aiuti di prima necessità. Nel tempo poi abbiamo messo a disposizione le nostre case in Italia per ospitare alcune famiglie scappate dalla guerra ed è nato così uno scambio fecondo che ha reso possibile anche l’avvio di questo progetto”.

I Cappuccini della Custodia d'Ucraina

Sono 41 i frati cappuccini della Custodia d’Ucraina: vivono in sette conventi in varie zone del territorio ucraino e in due conventi in territorio russo, rappresentando con i fatti un autentico ponte di pace fra le due nazioni in guerra tra loro. Fra Carlo Maria e Paolo Friso, direttore delle Edizioni Frate Indovino, hanno visitato i confratelli di Kiev, portando loro gli aiuti economici per sostenere il progetto “Le madri di Casa Padre Pio”. Sono stati il tramite della vicinanza della “famiglia” dei cappuccini umbri e italiani a quanti vivono ogni giorno nella paura e nella sofferenza. Tutto questo proprio nei giorni scorsi, in occasione dei due anni dall’inizio del conflitto.

A Kiev programma di cura per le mamme e le mogli di soldati

A Kiev hanno testimoniato anche l’avvio di una nuova sessione del programma di cura dedicato alle madri e alle mogli dei soldati di cui non si hanno più notizie o che sono caduti in combattimento. “Il lavoro e la preghiera, l’arteterapia e la ginnastica, la cura del corpo e la musica - spiegano - sono strumenti validi per superare lo stress emotivo della perdita e favorire la riconciliazione, primo passo per far riaccendere la speranza in un futuro di pace”.

Fra Carlo Maria Chistolini: “Un ponte di solidarietà che vogliamo continuare"

Il percorso residenziale per 20 di queste mamme, iniziato circa un anno fa, è terminato in questi giorni ma il progetto continua, crescendo nei numeri e nella professionalità dei volontari che vi operano. “Sono stati giorni di fraternità e solidarietà con i frati cappuccini che ringraziamo per la loro accoglienza. Nonostante il dolore e le lacrime - racconta ancora fra Carlo Maria - abbiamo vissuto un tempo di gioia e di speranza, come nel compleanno di Ludmila. Ma il nostro compito non finisce qui: vogliamo continuare questo ponte di solidarietà e siamo certi che non mancherà il sostegno di tutti gli amici di Frate Indovino ”.

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Cosa aspetta il mondo? https://www.lavoce.it/cosa-aspetta-il-mondo/ https://www.lavoce.it/cosa-aspetta-il-mondo/#respond Thu, 14 Dec 2023 09:23:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=74286 Palazzi a Gaza distrutti dai bombardamenti

Siamo sempre più vicini a un Natale che quest’anno è assai difficile da vivere e che ci porta con il cuore in tutti quei luoghi dove la Natività è coperta dalle macerie, dalla violenza e dalla guerra.

Il nostro pensiero ricorrente va all’amata Terra Santa e alla catastrofe umanitaria che si traduce in decine di migliaia di morti, in un numero imprecisato di feriti e in milioni di persone in grave difficoltà, con poche aspettative di futuro. Il pensiero più straziante è quello per i tanti bambini innocenti e indifesi che stanno subendo tutto questo.

Chi ha seguito in presenza o attraverso i mezzi di comunicazione la giornata di riflessione e di marcia per la pace di domenica scorsa, ha potuto ascoltare parole soffocate in gola e autentica commozione in vari momenti della manifestazione. Vi confesso che lo scoraggiamento - pensando al fronte mediorientale, a quello russo-ucraino e ai tanti conflitti dimenticati nel mondo - spesso prende il sopravvento anche su chi vi scrive queste poche righe.

Proprio domenica scorsa, in parallelo con il corteo assisano dei costruttori di pace, il Sacro Convento francescano ha ospitato la maratona televisiva delle emittenti locali del circuito Corallo Tv. Tra gli ospiti dello speciale “Pace in terra” c’era anche il patriarca di Gerusalemme dei Latini, il card. Pierbattista Pizzaballa.

Commentando le ultime notizie da Gaza e il veto degli Stati Uniti alla risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu sul cessate il fuoco umanitario, la domanda ci è uscita d’impeto. Cosa sta aspettando il mondo? Come si può scorgere e ritrovare il Bambino Gesù in mezzo alle macerie e alle distruzioni di Gaza?

“Gli occhi della fede non ci devono aiutare solo a guardare la realtà che ci circonda - ci ha risposto Pizzaballa - ma la fede ci deve aiutare anche a guardare oltre. Se restiamo solo dentro al dolore che ci circonda, all’odio che ci inonda, non riusciremo ad andare oltre. La fede è un’esperienza di perdono e di salvezza che ci tocca il cuore e ci cambia la prospettiva. Dove c’è ancora qualcuno cristiano, ebreo o musulmano che è capace di dare la vita per l’altro, lì è Natale”.

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Palazzi a Gaza distrutti dai bombardamenti

Siamo sempre più vicini a un Natale che quest’anno è assai difficile da vivere e che ci porta con il cuore in tutti quei luoghi dove la Natività è coperta dalle macerie, dalla violenza e dalla guerra.

Il nostro pensiero ricorrente va all’amata Terra Santa e alla catastrofe umanitaria che si traduce in decine di migliaia di morti, in un numero imprecisato di feriti e in milioni di persone in grave difficoltà, con poche aspettative di futuro. Il pensiero più straziante è quello per i tanti bambini innocenti e indifesi che stanno subendo tutto questo.

Chi ha seguito in presenza o attraverso i mezzi di comunicazione la giornata di riflessione e di marcia per la pace di domenica scorsa, ha potuto ascoltare parole soffocate in gola e autentica commozione in vari momenti della manifestazione. Vi confesso che lo scoraggiamento - pensando al fronte mediorientale, a quello russo-ucraino e ai tanti conflitti dimenticati nel mondo - spesso prende il sopravvento anche su chi vi scrive queste poche righe.

Proprio domenica scorsa, in parallelo con il corteo assisano dei costruttori di pace, il Sacro Convento francescano ha ospitato la maratona televisiva delle emittenti locali del circuito Corallo Tv. Tra gli ospiti dello speciale “Pace in terra” c’era anche il patriarca di Gerusalemme dei Latini, il card. Pierbattista Pizzaballa.

Commentando le ultime notizie da Gaza e il veto degli Stati Uniti alla risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu sul cessate il fuoco umanitario, la domanda ci è uscita d’impeto. Cosa sta aspettando il mondo? Come si può scorgere e ritrovare il Bambino Gesù in mezzo alle macerie e alle distruzioni di Gaza?

“Gli occhi della fede non ci devono aiutare solo a guardare la realtà che ci circonda - ci ha risposto Pizzaballa - ma la fede ci deve aiutare anche a guardare oltre. Se restiamo solo dentro al dolore che ci circonda, all’odio che ci inonda, non riusciremo ad andare oltre. La fede è un’esperienza di perdono e di salvezza che ci tocca il cuore e ci cambia la prospettiva. Dove c’è ancora qualcuno cristiano, ebreo o musulmano che è capace di dare la vita per l’altro, lì è Natale”.

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Il Padre nostro serve alla pace? https://www.lavoce.it/il-padre-nostro-serve-alla-pace/ https://www.lavoce.it/il-padre-nostro-serve-alla-pace/#respond Wed, 18 Oct 2023 13:00:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73686

Diceva Niccolò Machiavelli che “gli stati non si governano con i paternostri”. Troppo cinico? Diciamo che i Papi del suo secolo – e anche quelli dei secoli precedenti e successivi – come sovrani dello Stato pontificio hanno mostrato, con i fatti, di pensarla allo stesso modo. Tanto che, per consolidare il loro dominio sull’Umbria, l’avevano disseminata di robuste fortezze, da un capo all’altro. Comunque, con quella frase Machiavelli non voleva mancare di rispetto alla preghiera e alle persone che pregano. Con la parola “paternostri” alludeva piuttosto alle buone parole, alle esortazioni, alle prediche; le quali possono convertire ed educare alcuni, ma lasciano indifferenti gli altri. Purtroppo questi temi non si possono trattare con leggerezza. La guerra fra la Russia (attaccante) e l’Ucraina (aggredita) già ci mostrava ogni giorno che le speranze di pace si allontanano di più; e intanto è scoppiato un nuovo conflitto ferocissimo in Medio Oriente, fra Hamas e Israele. Si sono viste e sentite raccontare azioni terribili di aggressione e di ritorsione; e il terrorismo dei fanatici islamisti colpisce anche in Europa. E mentre c’è chi, in nome di Dio, supplica i violenti ad abbandonare le armi e a convertirsi alla pace, c’è chi uccide e devasta sentendosi in missione per conto di Dio. In queste condizioni, raggiungere la pace può apparire un’impresa disperata. Viene da pensare che nell’umanità coesistano e si mescolino le tendenze a fare il bene e gli impulsi a fare il male, fra i popoli come fra gli individui. Vediamo come anche nei rapporti fra le persone si moltiplicano i casi di violenza, i femminicidi, gli stupri. L’aspirazione dell’umanità al bene si è manifestata, nei millenni, con la costruzione della società civile e di comunità politiche (gli Stati) dotate di leggi, tribunali, scuole, apparati di governo e di servizio: queste sono le armi della pace. Ma non sono bastate, almeno finora, a estinguere i semi della violenza, dell’odio, della ferocia. Non dico che ci si debba arrendere all’idea che la guerra fa parte dell’umanità e non scomparirà mai. Ma la ricerca della via per raggiungere la pace è dura e faticosa – perché gli Stati, appunto, non si governano con i “paternostri”. E però se, quando preghiamo con il Padre nostro, prendessimo sul serio le parole che pronunciamo, proprio lì troveremmo la vera formula della pace.]]>

Diceva Niccolò Machiavelli che “gli stati non si governano con i paternostri”. Troppo cinico? Diciamo che i Papi del suo secolo – e anche quelli dei secoli precedenti e successivi – come sovrani dello Stato pontificio hanno mostrato, con i fatti, di pensarla allo stesso modo. Tanto che, per consolidare il loro dominio sull’Umbria, l’avevano disseminata di robuste fortezze, da un capo all’altro. Comunque, con quella frase Machiavelli non voleva mancare di rispetto alla preghiera e alle persone che pregano. Con la parola “paternostri” alludeva piuttosto alle buone parole, alle esortazioni, alle prediche; le quali possono convertire ed educare alcuni, ma lasciano indifferenti gli altri. Purtroppo questi temi non si possono trattare con leggerezza. La guerra fra la Russia (attaccante) e l’Ucraina (aggredita) già ci mostrava ogni giorno che le speranze di pace si allontanano di più; e intanto è scoppiato un nuovo conflitto ferocissimo in Medio Oriente, fra Hamas e Israele. Si sono viste e sentite raccontare azioni terribili di aggressione e di ritorsione; e il terrorismo dei fanatici islamisti colpisce anche in Europa. E mentre c’è chi, in nome di Dio, supplica i violenti ad abbandonare le armi e a convertirsi alla pace, c’è chi uccide e devasta sentendosi in missione per conto di Dio. In queste condizioni, raggiungere la pace può apparire un’impresa disperata. Viene da pensare che nell’umanità coesistano e si mescolino le tendenze a fare il bene e gli impulsi a fare il male, fra i popoli come fra gli individui. Vediamo come anche nei rapporti fra le persone si moltiplicano i casi di violenza, i femminicidi, gli stupri. L’aspirazione dell’umanità al bene si è manifestata, nei millenni, con la costruzione della società civile e di comunità politiche (gli Stati) dotate di leggi, tribunali, scuole, apparati di governo e di servizio: queste sono le armi della pace. Ma non sono bastate, almeno finora, a estinguere i semi della violenza, dell’odio, della ferocia. Non dico che ci si debba arrendere all’idea che la guerra fa parte dell’umanità e non scomparirà mai. Ma la ricerca della via per raggiungere la pace è dura e faticosa – perché gli Stati, appunto, non si governano con i “paternostri”. E però se, quando preghiamo con il Padre nostro, prendessimo sul serio le parole che pronunciamo, proprio lì troveremmo la vera formula della pace.]]>
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Gli Usa forniscono all’Ucraina le bombe a grappolo https://www.lavoce.it/usa-forniscono-allucraina-bombe-grappolo/ https://www.lavoce.it/usa-forniscono-allucraina-bombe-grappolo/#respond Thu, 20 Jul 2023 09:29:02 +0000 https://www.lavoce.it/?p=72349

“Abbiamo visto i filmati in cui le forze russe trasferiscono armi straordinariamente letali in Ucraina, che non dovrebbero mai essere usate al fronte. Tra queste ci sono le bombe a grappolo e le bombe termobariche, vietate dalle Convezioni di Ginevra”. Così dichiarava alle Nazioni Unite l’ambasciatrice Usa Linda Thomas-Greenfield il 1° marzo 2022.

Le bombe a grappoolo sono mine a tutti gli effetti

Si tratta delle stesse bombe che ora l’Amministrazione statunitense ha deciso di inviare all’Ucraina. Sono mine, a tutti gli effetti. Si disseminano infatti sul terreno restando perlopiù inesplose, ma pronte ad attivarsi contro chiunque ne venga a contatto, fossero anche contadini, bambini o passanti. Sono armi che non possono essere disattivate dopo la fine dei combattimenti – che auspichiamo immediata – e sono costruite appositamente per ferire in modo da creare maggiori danni al “nemico”.

123 Paesi nel 2008 hanno firmato la Convenzione di Oslo per vietare la produzione

Se mai esistessero armi buone e armi cattive, insieme a quelle nucleari, queste sono le peggiori. Per queste ragioni, 123 Paesi nel 2008 hanno siglato la Convenzione di Oslo per vietare la produzione, lo stoccaggio, la vendita e l’uso di bombe a grappolo, che non sono certamente armi di difesa! Anche da queste pagine, ci permettiamo di chiedere di ripensarci.

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“Abbiamo visto i filmati in cui le forze russe trasferiscono armi straordinariamente letali in Ucraina, che non dovrebbero mai essere usate al fronte. Tra queste ci sono le bombe a grappolo e le bombe termobariche, vietate dalle Convezioni di Ginevra”. Così dichiarava alle Nazioni Unite l’ambasciatrice Usa Linda Thomas-Greenfield il 1° marzo 2022.

Le bombe a grappoolo sono mine a tutti gli effetti

Si tratta delle stesse bombe che ora l’Amministrazione statunitense ha deciso di inviare all’Ucraina. Sono mine, a tutti gli effetti. Si disseminano infatti sul terreno restando perlopiù inesplose, ma pronte ad attivarsi contro chiunque ne venga a contatto, fossero anche contadini, bambini o passanti. Sono armi che non possono essere disattivate dopo la fine dei combattimenti – che auspichiamo immediata – e sono costruite appositamente per ferire in modo da creare maggiori danni al “nemico”.

123 Paesi nel 2008 hanno firmato la Convenzione di Oslo per vietare la produzione

Se mai esistessero armi buone e armi cattive, insieme a quelle nucleari, queste sono le peggiori. Per queste ragioni, 123 Paesi nel 2008 hanno siglato la Convenzione di Oslo per vietare la produzione, lo stoccaggio, la vendita e l’uso di bombe a grappolo, che non sono certamente armi di difesa! Anche da queste pagine, ci permettiamo di chiedere di ripensarci.

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I media ‘sordi’ di fronte alla missione del card. Matteo Zuppi a Mosca https://www.lavoce.it/media-sordi-fronte-missione-card-zuppi-mosca/ https://www.lavoce.it/media-sordi-fronte-missione-card-zuppi-mosca/#respond Wed, 05 Jul 2023 17:06:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=72266

di Paolo Bustaffa

“Nei giorni 28-30 corrente mese [di giugno], il card. Matteo Zuppi, inviato del Santo Padre, ha effettuato una visita a Mosca finalizzata all’individuazione di iniziative umanitarie, che possano aprire percorsi per il raggiungimento della pace”. Inizia con queste parole il comunicato stampa della Santa Sede pubblicato il 30 giugno. Dopo aver elencato gli incontri avvenuti in tre giorni il breve testo così si conclude: “I risultati della visita saranno portati alla conoscenza del Santo Padre, in vista di ulteriori passi da compiere, sia a livello umanitario che nella ricerca di percorsi per la pace”.

L'incessante impegno per la pace

Nel linguaggio necessariamente stringato di un comunicato stampa c’è la conferma di un incessante impegno per la ricerca della pace. Dietro le poche ed essenziali parole c’è un volto. Ai tratti di fraternità di quel volto la cronaca proponeva negli stessi giorni i tratti dell’odio dei volti degli uomini delle armi e del potere. Il mandato del card. Zuppi era di guardare negli occhi.+

Il card. Zuppi ha guardato negli occhi gli interlocutori

Guardare attraverso gli occhi coloro che ritengono di risolvere le tensioni con la violenza. Ha guardato dritto negli occhi i suoi interlocutori e si è lasciato guardare nei propri. Quella degli occhi è stata una comunicazione che ha rafforzato una richiesta e una disponibilità al dialogo. Il card. Zuppi ha percorso la strada dello sguardo come un insistente bussare alla porta della coscienza di chi, dicendosi cristiano, sceglie e giustifica la guerra.

L'appello ai media di usare la parola pace

Anche ai media, alcuni dei quali hanno trovato dedicato solo un piccolo spazio per documentare la visita del cardinale a Mosca, va l’appello a fare uso di vocabolari dove ancora ci sia la parola “pace”. C’è chi ci sta pensando. L’opinionista Salvatore Settis così scrive il 1° luglio su un quotidiano nazionale: “Se il Papa invita in ogni modo le parti in guerra al dialogo e al negoziato in nome del Vangelo, ma anche di una laica concezione della diplomazia, perché queste sue calorose invocazioni vengono talora scambiate per posizioni filo-russe o perfino ignorate o marginalizzate dai media? Perché la minaccia delle armi atomiche, che tanto angoscia questo Pontefice venuto da lontano, non spaventa altrettanto tutti noi?”.

Papa Papa Wojtyla "la preghiera costituisce la forza più potente della storia umana"

Perché sia all’ovest che all’est dell’Europa ci sono cristiani che vedono nella visita a Mosca, così come in quella a Kiev, un segno di impotenza, e non la forza disarmata e disarmante della preghiera? Perché non ricordano le parole di Papa Wojtyla, che il 12 gennaio 1994 – nel chiedere la pace in Bosnia Erzegovina – disse che la preghiera “costituisce la forza più potente della storia umana”? Perché non accorgersi che la preghiera illuminava gli occhi di un cardinale che nel nome di Francesco tornava a chiedere pace?

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di Paolo Bustaffa

“Nei giorni 28-30 corrente mese [di giugno], il card. Matteo Zuppi, inviato del Santo Padre, ha effettuato una visita a Mosca finalizzata all’individuazione di iniziative umanitarie, che possano aprire percorsi per il raggiungimento della pace”. Inizia con queste parole il comunicato stampa della Santa Sede pubblicato il 30 giugno. Dopo aver elencato gli incontri avvenuti in tre giorni il breve testo così si conclude: “I risultati della visita saranno portati alla conoscenza del Santo Padre, in vista di ulteriori passi da compiere, sia a livello umanitario che nella ricerca di percorsi per la pace”.

L'incessante impegno per la pace

Nel linguaggio necessariamente stringato di un comunicato stampa c’è la conferma di un incessante impegno per la ricerca della pace. Dietro le poche ed essenziali parole c’è un volto. Ai tratti di fraternità di quel volto la cronaca proponeva negli stessi giorni i tratti dell’odio dei volti degli uomini delle armi e del potere. Il mandato del card. Zuppi era di guardare negli occhi.+

Il card. Zuppi ha guardato negli occhi gli interlocutori

Guardare attraverso gli occhi coloro che ritengono di risolvere le tensioni con la violenza. Ha guardato dritto negli occhi i suoi interlocutori e si è lasciato guardare nei propri. Quella degli occhi è stata una comunicazione che ha rafforzato una richiesta e una disponibilità al dialogo. Il card. Zuppi ha percorso la strada dello sguardo come un insistente bussare alla porta della coscienza di chi, dicendosi cristiano, sceglie e giustifica la guerra.

L'appello ai media di usare la parola pace

Anche ai media, alcuni dei quali hanno trovato dedicato solo un piccolo spazio per documentare la visita del cardinale a Mosca, va l’appello a fare uso di vocabolari dove ancora ci sia la parola “pace”. C’è chi ci sta pensando. L’opinionista Salvatore Settis così scrive il 1° luglio su un quotidiano nazionale: “Se il Papa invita in ogni modo le parti in guerra al dialogo e al negoziato in nome del Vangelo, ma anche di una laica concezione della diplomazia, perché queste sue calorose invocazioni vengono talora scambiate per posizioni filo-russe o perfino ignorate o marginalizzate dai media? Perché la minaccia delle armi atomiche, che tanto angoscia questo Pontefice venuto da lontano, non spaventa altrettanto tutti noi?”.

Papa Papa Wojtyla "la preghiera costituisce la forza più potente della storia umana"

Perché sia all’ovest che all’est dell’Europa ci sono cristiani che vedono nella visita a Mosca, così come in quella a Kiev, un segno di impotenza, e non la forza disarmata e disarmante della preghiera? Perché non ricordano le parole di Papa Wojtyla, che il 12 gennaio 1994 – nel chiedere la pace in Bosnia Erzegovina – disse che la preghiera “costituisce la forza più potente della storia umana”? Perché non accorgersi che la preghiera illuminava gli occhi di un cardinale che nel nome di Francesco tornava a chiedere pace?

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Prigozhin non è un “nostro amico” https://www.lavoce.it/prigozhin-non-e-nostro-amico/ https://www.lavoce.it/prigozhin-non-e-nostro-amico/#respond Thu, 29 Jun 2023 07:34:02 +0000 https://www.lavoce.it/?p=72249

Nel corso della crisi russa che vedeva la rivolta del capo della formazione mercenaria Wagner, più volte e da più parti, anche commentatori esperti di politica estera, hanno rispolverato l’espressione proverbiale: “Il nemico del mio nemico è mio amico”. Naturalmente con questo intendevano riferirsi a Prigozhin che, essendosi presentato come nemico di Putin, diventava immediatamente alleato delle forze democratiche dell’occidente. Una mentalità di questo genere, che ha peraltro trovato un vasto consenso, è molto più che una semplice sospensione della valutazione etica. Non ci si può alleare con chi si è macchiato di orribili crudeltà nel corso dei conflitti e ha portato al fronte persone “graziate” che si erano macchiate di reati tra i più riprovevoli quali stupri e femminicidi. Per queste ragioni, i rappresentanti dei movimenti russi per la pace, in patria e in esilio, non hanno mai esitato a denunciare le violazioni dei diritti umani tanto del presidente della Federazione russa quanto del capo di un esercito mercenario che continua a macchiarsi di orrori in Ucraina, in Siria e in tanti Paesi africani. Bisognerebbe piuttosto scommettere e investire sulla popolazione russa, sulla sua sete di democrazia e sulla volontà di riprendersi in mano pacificamente il proprio destino.]]>

Nel corso della crisi russa che vedeva la rivolta del capo della formazione mercenaria Wagner, più volte e da più parti, anche commentatori esperti di politica estera, hanno rispolverato l’espressione proverbiale: “Il nemico del mio nemico è mio amico”. Naturalmente con questo intendevano riferirsi a Prigozhin che, essendosi presentato come nemico di Putin, diventava immediatamente alleato delle forze democratiche dell’occidente. Una mentalità di questo genere, che ha peraltro trovato un vasto consenso, è molto più che una semplice sospensione della valutazione etica. Non ci si può alleare con chi si è macchiato di orribili crudeltà nel corso dei conflitti e ha portato al fronte persone “graziate” che si erano macchiate di reati tra i più riprovevoli quali stupri e femminicidi. Per queste ragioni, i rappresentanti dei movimenti russi per la pace, in patria e in esilio, non hanno mai esitato a denunciare le violazioni dei diritti umani tanto del presidente della Federazione russa quanto del capo di un esercito mercenario che continua a macchiarsi di orrori in Ucraina, in Siria e in tanti Paesi africani. Bisognerebbe piuttosto scommettere e investire sulla popolazione russa, sulla sua sete di democrazia e sulla volontà di riprendersi in mano pacificamente il proprio destino.]]>
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La pace ora sarebbe un miracolo https://www.lavoce.it/la-pace-ora-sarebbe-un-miracolo/ https://www.lavoce.it/la-pace-ora-sarebbe-un-miracolo/#respond Thu, 18 May 2023 13:11:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=71571 Papa Francesco al tavolo con Volodymyr Zelensky

Il Papa si sta impegnando per portare la pace in Ucraina, o almeno aprire una trattativa. Dio voglia che abbia successo. Sarebbe, tecnicamente, un miracolo. Però, ragionando in termini laici – i soli che mi competono – ci sono alcuni punti che erano chiari già all’inizio e che valgono tuttora.

I punti principali su cui ragionare

Primo: la guerra si fermerà nel momento in cui Putin deciderà di fermarsi. Secondo: se non costretto da altri con la forza, Putin si fermerà solo quando avrà ottenuto tutto ciò che vuole. Terzo: ciò che Putin vuole non è solo annettersi una fetta consistente dell’Ucraina, come in parte ha già fatto (sia pure senza averne ancora il riconoscimento sul piano internazionale); vuole che quello che resterà dell’Ucraina sia uno stato vassallo, con un governofantasma che prenda gli ordini da Mosca. Come accade già in Bielorussia e in altre repubbliche exsovietiche nominalmente indipendenti. Quarto: Putin non nasconde l’ambizione (lo ha detto) di ripetere l’operazione, quando potrà, in altre direzioni, ripristinando lo spazio che era dell’URSS e prima ancora dell’impero zarista (il quale nel suo momento migliore andava dalla Polonia e dalla Finlandia all’Alaska).

Per riportare la pace in Europa non basterebbe sacrificare Zelensky e l'Ucraina

Quest’ultimo obiettivo Putin può solo sognarselo (per ora), ma ci fa capire che per riportare la pace in Europa non basterebbe sacrificare Zelensky e abbandonare l’Ucraina al suo destino. Come nel settembre 1938 – contrariamente a quello che tutti credevano - non bastò abbandonare la Cecoslovacchia alle pretese di Hitler, che ne voleva un pezzo. Dopo pochi mesi Hitler, beffando il mondo intero, si era preso anche il resto della Cecoslovacchia e a settembre del 1939 la Polonia; e fu la seconda guerra mondiale. Lasciamo stare questi scenari così cupi.

Ammettiamo che questa volta sia possibile individuare un punto d’incontro tale che Putin si accontenti di qualcosa (o anche molto) a spese dell’Ucraina e rinunci affidabilmente e per sempre a tutto il resto. Bene: ammesso che una soluzione del genere sia possibile, ci si arriverà solo se Putin si renderà conto che insistere con la guerra gli costerebbe troppo. E perché se ne convinca, bisogna che l’Ucraina continui a resistergli efficacemente il più a lungo possibile. L’Ucraina non potrà farlo senza il sostegno – non solo morale – degli occidentali, noi compresi. Questa conclusione non vi pare abbastanza pacifista? Non ne vedo un’altra. Spero di sbagliarmi, non sono io a decidere.

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Papa Francesco al tavolo con Volodymyr Zelensky

Il Papa si sta impegnando per portare la pace in Ucraina, o almeno aprire una trattativa. Dio voglia che abbia successo. Sarebbe, tecnicamente, un miracolo. Però, ragionando in termini laici – i soli che mi competono – ci sono alcuni punti che erano chiari già all’inizio e che valgono tuttora.

I punti principali su cui ragionare

Primo: la guerra si fermerà nel momento in cui Putin deciderà di fermarsi. Secondo: se non costretto da altri con la forza, Putin si fermerà solo quando avrà ottenuto tutto ciò che vuole. Terzo: ciò che Putin vuole non è solo annettersi una fetta consistente dell’Ucraina, come in parte ha già fatto (sia pure senza averne ancora il riconoscimento sul piano internazionale); vuole che quello che resterà dell’Ucraina sia uno stato vassallo, con un governofantasma che prenda gli ordini da Mosca. Come accade già in Bielorussia e in altre repubbliche exsovietiche nominalmente indipendenti. Quarto: Putin non nasconde l’ambizione (lo ha detto) di ripetere l’operazione, quando potrà, in altre direzioni, ripristinando lo spazio che era dell’URSS e prima ancora dell’impero zarista (il quale nel suo momento migliore andava dalla Polonia e dalla Finlandia all’Alaska).

Per riportare la pace in Europa non basterebbe sacrificare Zelensky e l'Ucraina

Quest’ultimo obiettivo Putin può solo sognarselo (per ora), ma ci fa capire che per riportare la pace in Europa non basterebbe sacrificare Zelensky e abbandonare l’Ucraina al suo destino. Come nel settembre 1938 – contrariamente a quello che tutti credevano - non bastò abbandonare la Cecoslovacchia alle pretese di Hitler, che ne voleva un pezzo. Dopo pochi mesi Hitler, beffando il mondo intero, si era preso anche il resto della Cecoslovacchia e a settembre del 1939 la Polonia; e fu la seconda guerra mondiale. Lasciamo stare questi scenari così cupi.

Ammettiamo che questa volta sia possibile individuare un punto d’incontro tale che Putin si accontenti di qualcosa (o anche molto) a spese dell’Ucraina e rinunci affidabilmente e per sempre a tutto il resto. Bene: ammesso che una soluzione del genere sia possibile, ci si arriverà solo se Putin si renderà conto che insistere con la guerra gli costerebbe troppo. E perché se ne convinca, bisogna che l’Ucraina continui a resistergli efficacemente il più a lungo possibile. L’Ucraina non potrà farlo senza il sostegno – non solo morale – degli occidentali, noi compresi. Questa conclusione non vi pare abbastanza pacifista? Non ne vedo un’altra. Spero di sbagliarmi, non sono io a decidere.

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Guerra. Vicini a chi vive la fatica – non raccontata – del vivere quotidiano https://www.lavoce.it/guerra-vicini-a-chi-vive-la-fatica-non-raccontata-del-vivere-quotidiano/ https://www.lavoce.it/guerra-vicini-a-chi-vive-la-fatica-non-raccontata-del-vivere-quotidiano/#respond Thu, 20 Apr 2023 17:06:28 +0000 https://www.lavoce.it/?p=71188

L’informazione sulla guerra in Europa ci ha abituati alle notizie dal fronte col suo carico di missili lanciati da una parte e intercettati dall’altra o caduti su un obiettivo “strategico” o, peggio, su un luogo abitato da civili inermi. Riusciamo ad avere notizia e visione delle distruzioni e delle vittime ma non dei disagi quotidiani che degenerano ben presto in drammi. Visitando Mykolaiv (quasi 500mila abitanti) che per mesi ha costituito il fronte di guerra e ha visto l’esercito russo penetrare fin verso il centro della città, a colpire non sono solo i segni dei bombardamenti di artiglieria pesante e missili, ma la fatica di vivere ogni giorno senz’acqua o senza corrente, i bambini e i ragazzi che, dopo aver praticamente saltato un anno di frequenza per la pandemia, ora si sono trovati costretti a saltarne un altro per la guerra, la fila dei cittadini davanti ai centri di distribuzione viveri. La presenza fraterna internazionale si rivela perciò efficace nell’accompagnare e sostenere queste condizioni con l’installazione di un dissalatore o di un generatore elettrico, ma anche condividendo un concerto improvvisato o donando un ramoscello d’ulivo come abbiamo fatto nella Domenica delle palme.]]>

L’informazione sulla guerra in Europa ci ha abituati alle notizie dal fronte col suo carico di missili lanciati da una parte e intercettati dall’altra o caduti su un obiettivo “strategico” o, peggio, su un luogo abitato da civili inermi. Riusciamo ad avere notizia e visione delle distruzioni e delle vittime ma non dei disagi quotidiani che degenerano ben presto in drammi. Visitando Mykolaiv (quasi 500mila abitanti) che per mesi ha costituito il fronte di guerra e ha visto l’esercito russo penetrare fin verso il centro della città, a colpire non sono solo i segni dei bombardamenti di artiglieria pesante e missili, ma la fatica di vivere ogni giorno senz’acqua o senza corrente, i bambini e i ragazzi che, dopo aver praticamente saltato un anno di frequenza per la pandemia, ora si sono trovati costretti a saltarne un altro per la guerra, la fila dei cittadini davanti ai centri di distribuzione viveri. La presenza fraterna internazionale si rivela perciò efficace nell’accompagnare e sostenere queste condizioni con l’installazione di un dissalatore o di un generatore elettrico, ma anche condividendo un concerto improvvisato o donando un ramoscello d’ulivo come abbiamo fatto nella Domenica delle palme.]]>
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Il vero pacifismo https://www.lavoce.it/il-vero-pacifismo/ Wed, 22 Feb 2023 17:31:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=70585

di Giovanni Ramonda

Molti ritengono che, se un popolo viene aggredito militarmente, abbia diritto a difendersi anche con le armi. L’articolo 11 della Costituzione recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”.

Certamente ogni Paese ha diritto di difendersi, lo afferma anche la dottrina sociale della Chiesa. Questo non toglie che bisogna assolutamente lavorare per prevenire i conflitti e per avere organismi sovranazionali che tutelino i popoli senza scatenare guerre, sviluppando un dialogo costruttivo. L’“occhio per occhio, dente per dente” ha sempre creato morte e distruzione. Oggi continuare ad alimentare la guerra giocando sul sistema degli equilibri e delle reazioni controllate è rischiosissimo, data la continua minaccia di un’evoluzione nucleare del conflitto che avrebbe conseguenze disastrose.

La rivoluzione che salva il mondo è l’amore al nemico. Deporre le armi, anzi bando alle armi, all’odio, all’indifferenza. Salva il mondo la nonviolenza della croce, l’amore di Cristo che ha dato la vita pregando per i suoi persecutori. Il paradosso della guerra in Ucraina, a un anno dal suo inizio, è che è attuata tra popoli cristiani, addirittura invocando la religione per giustificarla.

La spirale della violenza può essere interrotta solo dall’amore al nemico, togliendo questo comando dalla sola lettura individualista a quella comunitaria e sociale. Questa è l’autentica visione dei giovani che vogliono la pace: vincere la violenza con la nonviolenza per interrompere la follia della guerra, come espresso più volte da Papa Francesco.

L’unico modo per fermare le guerre è disarmarle. Ogni arma usata procura morte, arrivando a migliaia di giovani morti, sia russi che ucraini, e molti civili tra cui bambini. Il vero pacifismo non è discutere sulla pace nei salotti ma andare a vivere nelle zone di conflitto, come fanno i giovani dell’operazione Colomba, corpo civile di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII. Sottrarre i soldi agli armamenti per costruire pozzi d’acqua distrutti dai bombardamenti, per puntare a una ricostruzione per dare scuole e ospedali al popolo stremato da un anno di fuga e distruzione.

Bisogna istituire un ministero della Pace per educare le nuove generazioni a convivere, costruire relazioni nuove, basate sul dialogo e sulla giustizia. L’uomo da sempre ha giocato con la guerra sulla pelle dei più deboli; è tempo di una rivoluzione culturale per scegliere la pace con politici coraggiosi che sappiano rischiare delineando una nuova visione delle relazioni internazionali.

Giovanni XXIII nella Pacem in terris richiama all’assoluta necessità che tutti “hanno diritto all’esistenza e a un tenore di vita dignitoso, per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario , l’abitazione, le cure mediche, i servizi sociali necessari. Il diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta coscienza. Il diritto di emigrazione e di immigrazione. Che l’autorità non può essere serva dell’interesse di uno o di pochi ma deve essere a vantaggio del bene comune. Che bisogna sapere leggere i segni dei tempi nella verità e nella giustizia. Che nulla è perduto con la pace e tutto può essere perduto con la guerra”.  Oggi tocca a noi. Questo è il tempo della responsabilità e della preghiera per invocare da Dio il dono della pace.

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di Giovanni Ramonda

Molti ritengono che, se un popolo viene aggredito militarmente, abbia diritto a difendersi anche con le armi. L’articolo 11 della Costituzione recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”.

Certamente ogni Paese ha diritto di difendersi, lo afferma anche la dottrina sociale della Chiesa. Questo non toglie che bisogna assolutamente lavorare per prevenire i conflitti e per avere organismi sovranazionali che tutelino i popoli senza scatenare guerre, sviluppando un dialogo costruttivo. L’“occhio per occhio, dente per dente” ha sempre creato morte e distruzione. Oggi continuare ad alimentare la guerra giocando sul sistema degli equilibri e delle reazioni controllate è rischiosissimo, data la continua minaccia di un’evoluzione nucleare del conflitto che avrebbe conseguenze disastrose.

La rivoluzione che salva il mondo è l’amore al nemico. Deporre le armi, anzi bando alle armi, all’odio, all’indifferenza. Salva il mondo la nonviolenza della croce, l’amore di Cristo che ha dato la vita pregando per i suoi persecutori. Il paradosso della guerra in Ucraina, a un anno dal suo inizio, è che è attuata tra popoli cristiani, addirittura invocando la religione per giustificarla.

La spirale della violenza può essere interrotta solo dall’amore al nemico, togliendo questo comando dalla sola lettura individualista a quella comunitaria e sociale. Questa è l’autentica visione dei giovani che vogliono la pace: vincere la violenza con la nonviolenza per interrompere la follia della guerra, come espresso più volte da Papa Francesco.

L’unico modo per fermare le guerre è disarmarle. Ogni arma usata procura morte, arrivando a migliaia di giovani morti, sia russi che ucraini, e molti civili tra cui bambini. Il vero pacifismo non è discutere sulla pace nei salotti ma andare a vivere nelle zone di conflitto, come fanno i giovani dell’operazione Colomba, corpo civile di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII. Sottrarre i soldi agli armamenti per costruire pozzi d’acqua distrutti dai bombardamenti, per puntare a una ricostruzione per dare scuole e ospedali al popolo stremato da un anno di fuga e distruzione.

Bisogna istituire un ministero della Pace per educare le nuove generazioni a convivere, costruire relazioni nuove, basate sul dialogo e sulla giustizia. L’uomo da sempre ha giocato con la guerra sulla pelle dei più deboli; è tempo di una rivoluzione culturale per scegliere la pace con politici coraggiosi che sappiano rischiare delineando una nuova visione delle relazioni internazionali.

Giovanni XXIII nella Pacem in terris richiama all’assoluta necessità che tutti “hanno diritto all’esistenza e a un tenore di vita dignitoso, per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario , l’abitazione, le cure mediche, i servizi sociali necessari. Il diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta coscienza. Il diritto di emigrazione e di immigrazione. Che l’autorità non può essere serva dell’interesse di uno o di pochi ma deve essere a vantaggio del bene comune. Che bisogna sapere leggere i segni dei tempi nella verità e nella giustizia. Che nulla è perduto con la pace e tutto può essere perduto con la guerra”.  Oggi tocca a noi. Questo è il tempo della responsabilità e della preghiera per invocare da Dio il dono della pace.

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La pace si può fare se tutti la vogliono https://www.lavoce.it/la-pace-si-puo-fare-se-tutti-la-vogliono/ Fri, 03 Feb 2023 09:10:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=70388 Un uomo di spalle guarda un palazzo distrutto dalla guerra

Niente può legittimare un’aggressione del tipo di quella che la Russia sta portando avanti in Ucraina. Neppure se l’aggressore avesse, in teoria, qualche buona ragione da far valere sul piano politico. Ma nel caso specifico dell’Ucraina le “ragioni” declamate da Putin e dai suoi portavoce sono fasulle e rimarrebbero fasulle anche se lui si limitasse ad innocue note diplomatiche. Sono solo pretesti per dare una vernice di buon diritto alla pura e semplice volontà di potenza e di dominio.

Questa non è una buona notizia. Perché fa cadere l’illusione (coltivata da parecchi) che, cedendo a Putin qualche cosa o magari anche tutto quello che vuole, la guerra finirebbe e torneremmo tutti amici. Sarebbe così se potessimo credere alla buona volontà di Putin. Ma lui ha già detto in molti modi che ciò che vuole non è solo la revisione dei confini fra Russia e Ucraina. Vuole anche che quello che rimarrà dell’Ucraina diventi una ripartizione interna dell’impero russo, come ai tempi di Stalin, o comunque uno stato vassallo come lo è già (di buon grado, in questo caso) la Bielorussia. E ha anche detto, o fatto capire, che vorrebbe ripetere la stessa operazione con i tre Stati baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) che Stalin aveva incorporato nell’Urss nella seconda guerra mondiale. Magari anche con la Finlandia, che non ha fatto parte dell’Urss ma dell’impero zarista sì. Anche la Polonia non ha da stare molto tranquilla; poi, chissà che altro. Ma se queste sono le vere intenzioni di Putin si capisce che non c’è trattativa che possa fermarlo. Fingerebbe di fermarsi per qualche giorno ma poi attaccherebbe di nuovo, con altri pretesti (o anche senza), come Hitler.

Quindi non si può abbandonare l’Ucraina al suo destino, perché poi toccherebbe ad altri ancora più vicini a noi. E non si può scendere direttamente in campo, perché sarebbe guerra mondiale a tutti gli effetti e si scatenerebbero le armi nucleari. Resta la possibilità - che è quella che si sta tentando - di fornire all’Ucraina le armi per difendersi, non per contrattaccare; nella speranza che ciò possa spingere Putin a ridimensionare le sue pretese. Disgraziatamente non ci sono autorità sovranazionali che abbiano la forza di arbitrare questi conflitti. La pace si può avere solo se siamo tutti d’accordo nel volerla, e la vogliamo in buona fede. Ma quanto possiamo credere alla buona fede di Putin?

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Un uomo di spalle guarda un palazzo distrutto dalla guerra

Niente può legittimare un’aggressione del tipo di quella che la Russia sta portando avanti in Ucraina. Neppure se l’aggressore avesse, in teoria, qualche buona ragione da far valere sul piano politico. Ma nel caso specifico dell’Ucraina le “ragioni” declamate da Putin e dai suoi portavoce sono fasulle e rimarrebbero fasulle anche se lui si limitasse ad innocue note diplomatiche. Sono solo pretesti per dare una vernice di buon diritto alla pura e semplice volontà di potenza e di dominio.

Questa non è una buona notizia. Perché fa cadere l’illusione (coltivata da parecchi) che, cedendo a Putin qualche cosa o magari anche tutto quello che vuole, la guerra finirebbe e torneremmo tutti amici. Sarebbe così se potessimo credere alla buona volontà di Putin. Ma lui ha già detto in molti modi che ciò che vuole non è solo la revisione dei confini fra Russia e Ucraina. Vuole anche che quello che rimarrà dell’Ucraina diventi una ripartizione interna dell’impero russo, come ai tempi di Stalin, o comunque uno stato vassallo come lo è già (di buon grado, in questo caso) la Bielorussia. E ha anche detto, o fatto capire, che vorrebbe ripetere la stessa operazione con i tre Stati baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) che Stalin aveva incorporato nell’Urss nella seconda guerra mondiale. Magari anche con la Finlandia, che non ha fatto parte dell’Urss ma dell’impero zarista sì. Anche la Polonia non ha da stare molto tranquilla; poi, chissà che altro. Ma se queste sono le vere intenzioni di Putin si capisce che non c’è trattativa che possa fermarlo. Fingerebbe di fermarsi per qualche giorno ma poi attaccherebbe di nuovo, con altri pretesti (o anche senza), come Hitler.

Quindi non si può abbandonare l’Ucraina al suo destino, perché poi toccherebbe ad altri ancora più vicini a noi. E non si può scendere direttamente in campo, perché sarebbe guerra mondiale a tutti gli effetti e si scatenerebbero le armi nucleari. Resta la possibilità - che è quella che si sta tentando - di fornire all’Ucraina le armi per difendersi, non per contrattaccare; nella speranza che ciò possa spingere Putin a ridimensionare le sue pretese. Disgraziatamente non ci sono autorità sovranazionali che abbiano la forza di arbitrare questi conflitti. La pace si può avere solo se siamo tutti d’accordo nel volerla, e la vogliamo in buona fede. Ma quanto possiamo credere alla buona fede di Putin?

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Ucraina. Si apra la via diplomatica. Lo chiedono le vittime della guerra https://www.lavoce.it/ucraina-si-apra-la-via-diplomatica-lo-chiedono-le-vittime-della-guerra/ Thu, 19 Jan 2023 17:36:50 +0000 https://www.lavoce.it/?p=70145

Difficile riuscire a definire con esattezza le statistiche sul numero delle vittime della guerra in Ucraina arrivata ormai quasi a un anno dal suo inizio. Secondo varie agenzie, dal 24 febbraio 2022 i soldati ucraini morti in guerra sono almeno tredicimila. Le stime dell’Alto Commissariato della Nazioni Unite per i diritti umani fornite al 3 gennaio parlano di 6.919 civili morti a seguito dei bombardamenti e delle rappresaglie russe.

A dispetto della tregua del Natale ortodosso che non è mai stata osservata, si assiste piuttosto a una recrudescenza dei combattimenti. Al numero delle vittime civili indicate, bisognerà sicuramente aggiungere quelle del condominio di Dnipro e altre di questi ultimi giorni, Da parte sua Mosca ha ammesso la perdita di almeno seimila soldati tra le sue truppe ma secondo altre stime occidentali potrebbero essere centomila.

In ogni caso troppi! Soprattutto se si pensa che nel frattempo la parola sembra essere stata lasciata unicamente al campo di battaglia e non vi sono più le immagini di un anno fa dei lunghi tavoli di Putin meta di Capi di stato nelle vesti di mediatori. Confidiamo che una strategia diplomatica stia facendo un proprio corso in silenzio. Ce lo chiedono le vittime.

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Difficile riuscire a definire con esattezza le statistiche sul numero delle vittime della guerra in Ucraina arrivata ormai quasi a un anno dal suo inizio. Secondo varie agenzie, dal 24 febbraio 2022 i soldati ucraini morti in guerra sono almeno tredicimila. Le stime dell’Alto Commissariato della Nazioni Unite per i diritti umani fornite al 3 gennaio parlano di 6.919 civili morti a seguito dei bombardamenti e delle rappresaglie russe.

A dispetto della tregua del Natale ortodosso che non è mai stata osservata, si assiste piuttosto a una recrudescenza dei combattimenti. Al numero delle vittime civili indicate, bisognerà sicuramente aggiungere quelle del condominio di Dnipro e altre di questi ultimi giorni, Da parte sua Mosca ha ammesso la perdita di almeno seimila soldati tra le sue truppe ma secondo altre stime occidentali potrebbero essere centomila.

In ogni caso troppi! Soprattutto se si pensa che nel frattempo la parola sembra essere stata lasciata unicamente al campo di battaglia e non vi sono più le immagini di un anno fa dei lunghi tavoli di Putin meta di Capi di stato nelle vesti di mediatori. Confidiamo che una strategia diplomatica stia facendo un proprio corso in silenzio. Ce lo chiedono le vittime.

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Il Papa come mediatore in Ucraina? Impossibile https://www.lavoce.it/papa-mediatore-ucraina-impossibile/ Fri, 09 Dec 2022 17:47:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=69564 Papa Francesco a mezzo busto parla al microfono

Torna a galla, nei commenti giornalistici, l’idea di affidare al Papa la mediazione per la fine della guerra in Ucraina. Ma disgraziatamente il Papa non può farci nulla: dato e non concesso che sia accettato come mediatore, non ne verrebbe comunque a capo, avendo davanti un osso duro come Putin. Un capo di Governo può fare pressioni su un altro, offrendo contropartite o minacciando ritorsioni; il Papa non è in grado di farlo. Ma c’è di più: già in partenza, Putin non lo accetterebbe come mediatore.

Il problema non sta solo sul piano politico, ma anche e soprattutto su quello religioso. Riemerge l’antica frattura fra la Chiesa di Oriente (ortodossa) e quella di Occidente (cattolica). Si sta ricomponendo – ancora non del tutto – dagli anni di Giovanni XXIII in poi, grazie anche al rinnovamento conciliare della Chiesa cattolica e al movimento ecumenico. Ma mentre i rapporti fra il Papa di Roma e il Patriarca di Costantinopoli sono ormai fraterni, l’altro leader del mondo ortodosso, il Patriarca di Mosca, mantiene intatta la sua freddezza verso il Papa.

Questo atteggiamento è solo un riflesso della rivalità, interna all’Ortodossia, fra Costantinopoli (che si faceva chiamare “la nuova Roma”) e Mosca (che si fa chiamare “la terza Roma”). Mosca contende a Costantinopoli il primato, forte del numero dei suoi fedeli e del peso politico della Russia. Nel giugno 2016 era previsto un Concilio pan-ortodosso, convocato, dopo anni di preparazione e di accordi, da Bartolomeo di Costantinopoli; all’ultimo giorno, Kirill di Mosca, ritirandosi con un pretesto, lo fece fallire.

E come Putin vuole sottomettere politicamente l’Ucraina, così Kirill vuole riconquistare la sua autorità canonica sulla Chiesa ortodossa ucraina; i due si spalleggiano reciprocamente. Pochi giorni fa il braccio destro di Putin ha bollato come “poco cristiane” alcune parole dette da Francesco sulle stragi commesse in Ucraina dagli armati russi; un chiaro segnale che Mosca non riconosce a Francesco nessuna considerazione - non si dice autorità - neppure come capo religioso della sua Chiesa. A questo punto il Papa ha tante probabilità di essere accettato dai russi come mediatore quante ne avrebbe Biden.

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Papa Francesco a mezzo busto parla al microfono

Torna a galla, nei commenti giornalistici, l’idea di affidare al Papa la mediazione per la fine della guerra in Ucraina. Ma disgraziatamente il Papa non può farci nulla: dato e non concesso che sia accettato come mediatore, non ne verrebbe comunque a capo, avendo davanti un osso duro come Putin. Un capo di Governo può fare pressioni su un altro, offrendo contropartite o minacciando ritorsioni; il Papa non è in grado di farlo. Ma c’è di più: già in partenza, Putin non lo accetterebbe come mediatore.

Il problema non sta solo sul piano politico, ma anche e soprattutto su quello religioso. Riemerge l’antica frattura fra la Chiesa di Oriente (ortodossa) e quella di Occidente (cattolica). Si sta ricomponendo – ancora non del tutto – dagli anni di Giovanni XXIII in poi, grazie anche al rinnovamento conciliare della Chiesa cattolica e al movimento ecumenico. Ma mentre i rapporti fra il Papa di Roma e il Patriarca di Costantinopoli sono ormai fraterni, l’altro leader del mondo ortodosso, il Patriarca di Mosca, mantiene intatta la sua freddezza verso il Papa.

Questo atteggiamento è solo un riflesso della rivalità, interna all’Ortodossia, fra Costantinopoli (che si faceva chiamare “la nuova Roma”) e Mosca (che si fa chiamare “la terza Roma”). Mosca contende a Costantinopoli il primato, forte del numero dei suoi fedeli e del peso politico della Russia. Nel giugno 2016 era previsto un Concilio pan-ortodosso, convocato, dopo anni di preparazione e di accordi, da Bartolomeo di Costantinopoli; all’ultimo giorno, Kirill di Mosca, ritirandosi con un pretesto, lo fece fallire.

E come Putin vuole sottomettere politicamente l’Ucraina, così Kirill vuole riconquistare la sua autorità canonica sulla Chiesa ortodossa ucraina; i due si spalleggiano reciprocamente. Pochi giorni fa il braccio destro di Putin ha bollato come “poco cristiane” alcune parole dette da Francesco sulle stragi commesse in Ucraina dagli armati russi; un chiaro segnale che Mosca non riconosce a Francesco nessuna considerazione - non si dice autorità - neppure come capo religioso della sua Chiesa. A questo punto il Papa ha tante probabilità di essere accettato dai russi come mediatore quante ne avrebbe Biden.

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A chiedere negoziati in Ucraina ora è perfino il capo della Difesa https://www.lavoce.it/chiedere-negoziati-ucraina-perfino-capo-difesa/ Fri, 11 Nov 2022 10:16:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=69254 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

“Quanto durerà la guerra e come si potrà concludere?” chiede l’intervistatore del Corriere della sera (4/11) al capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. E lui risponde: “Secondo me, non ci potrà essere una soluzione militare al conflitto perché la Russia non ha conseguito i suoi scopi strategici, e perché l’Ucraina ha reagito con un forte senso di nazione. D’altra parte i territori presi dai russi non possono essere riconquistati. Ora ci sarà la pausa invernale, il freddo intensificherà la guerra di trincea con il riposizionamento dei due schieramenti. A primavera le ostilità ricominceranno in maniera più violenta, a meno che, come spero, la comunità internazionale riuscisse a catalizzare i suoi sforzi per una soluzione negoziale”. Mi sembra il sostegno più forte, quanto inatteso, alla manifestazione per la pace che chiedeva il “cessate il fuoco” e la convocazione di una Conferenza internazionale. Se anche il Capo di Stato maggiore crede che solo il negoziato può partorire la pace, non c’è tempo da perdere.]]>
colline e sole, logo rubrica oltre i confini

“Quanto durerà la guerra e come si potrà concludere?” chiede l’intervistatore del Corriere della sera (4/11) al capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. E lui risponde: “Secondo me, non ci potrà essere una soluzione militare al conflitto perché la Russia non ha conseguito i suoi scopi strategici, e perché l’Ucraina ha reagito con un forte senso di nazione. D’altra parte i territori presi dai russi non possono essere riconquistati. Ora ci sarà la pausa invernale, il freddo intensificherà la guerra di trincea con il riposizionamento dei due schieramenti. A primavera le ostilità ricominceranno in maniera più violenta, a meno che, come spero, la comunità internazionale riuscisse a catalizzare i suoi sforzi per una soluzione negoziale”. Mi sembra il sostegno più forte, quanto inatteso, alla manifestazione per la pace che chiedeva il “cessate il fuoco” e la convocazione di una Conferenza internazionale. Se anche il Capo di Stato maggiore crede che solo il negoziato può partorire la pace, non c’è tempo da perdere.]]>