globalizzazione Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/globalizzazione/ Settimanale di informazione regionale Sat, 26 Mar 2022 20:10:11 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg globalizzazione Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/globalizzazione/ 32 32 Un mondo “giovane” per i nostri giovani https://www.lavoce.it/un-mondo-giovane-nostri-giovani/ Wed, 20 Jun 2018 14:37:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52134 di Maria Rita Valli

In queste settimane di giugno nelle strade dei nostri centri, grandi o piccoli, incontriamo spesso gruppi di ragazzi che rendono subito più vivace (qualcuno forse direbbe ‘anche troppo’) la nostra giornata. La scuola è chiusa e non c’è da studiare, in più con GrEst e Centri estivi di ogni tipo li vediamo impegnati a imparare – cose nuove, ma anche a stare insieme – divertendosi. Nella loro giovinezza c’è la giovinezza della nostra società, c’è il futuro dei nostri paesi, delle nostre città e campagne, perché loro sono gli adulti di domani. Cosa riceveranno in eredità dalla generazione dei loro genitori e dei loro nonni? L’Istat ci ha ricordato che in Italia nel 2017 sono nati meno di 500mila bambini e che oggi l’Italia è il secondo Paese più vecchio al mondo con 169 anziani ogni 100 giovani. Di certo questi ragazzi, questi bambini, cresceranno in una società meno giovane di quella che abbiamo conosciuto noi. E meno giovani vuol dire non solo problemi economici e di welfare (sarà sempre più difficile far quadrare i conti con spese di pensioni e di assistenza crescenti) ma vuol dire, soprattutto, una società meno pronta a guardare al futuro con la capacità di immaginare nuove strade, nuovi percorsi. Cinquant’anni fa la “rivoluzione” del ’68 fece esplodere utopie, sogni e speranze.

Quale sia il giudizio dato a posteriori sui frutti di quegli anni resta comunque il fatto che furono gli anni del protagonismo dei giovani. Gli anni del cambiamento, del rinnovamento. Più vicine a noi negli anni anche le “primavere arabe“ ci parlano di società in cui la spinta al cambiamento viene dalle giovani generazioni che in alcuni paesi arrivano ad essere la metà della popolazione.

In questa situazione la prospettiva di un Paese “chiuso” nelle sue frontiere geografiche e culturali teso a difendere la “sua” identità nazionale, la “sua” economia da “invasioni” esterne la potremmo definire una fake news, una bufala, perché oggi non siamo più nel tempo della globalizzazione: l’abbiamo superato.

Oggi grazie alla tecnologia informatica viviamo in un mondo interconnesso con una capillarità che raggiunge i singoli cittadini e al tempo stesso il potere di chi gestisce queste “connessioni” supera non solo i singoli Stati ma anche le unioni di Stati. Le sfide che abbiamo dinanzi, dettate da questo “cambiamento d’epoca” chiedono, per essere affrontate, che le grandi potenze collaborino: dagli Stati Uniti alla Cina all’Europa all’india… Ma tutto questo non basterà se non si troveranno obiettivi fondati su valori forti e condivisi. Martedì Avvenire titolava l’editoriale dedicato alla notizia dei 2000 bambini divisi a forza dai genitori alla frontiera degli Stati Uniti “I frutti marci della democrazia I forzati al pianto”. Bambini detenuti e separati dai genitori in nome della difesa delle frontiere voluta da Trump. Occorre chiedersi quanto vale la vita umana? Vale di più se è bianca e occidentale? Vale di più se è sana e non ha difetti né malattie? Vale di meno se è di una cultura diversa dalla mia?

Ai ragazzi e ai giovani che vivono nelle nostre case e nelle nostre piazze dovremmo lasciare un mondo “giovane”. All’anagrafe, con politiche di sostegno della natalità e della famiglia, ma soprattutto e prima ancora “giovane” perché capace di affrontare le sfide senza rinunciare all’umanità, senza chiudersi alla vita.

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Al cuore del vangelo https://www.lavoce.it/al-cuore-del-vangelo/ Thu, 06 Aug 2015 10:05:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=42068 porziuncola
La Porziuncola

“Il Giubileo straordinario della Misericordia ci porta al cuore del Vangelo”. Inizia con queste parole il messaggio dei Vescovi umbri pubblicato – in vista dell’Anno santo – con la data del 2 agosto, festa del Perdono di Assisi.

In vista dell’inizio del Giubileo indetto da papa Francesco, che inizierà il prossimo 8 dicembre e terminerà il 20 novembre 2016, i Vescovi delineano la “geografia” della Misericordia in Umbria, evidenziando in particolare due grandi poli: la Porziuncola e il santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza.

Il messaggio rimanda spesso alla bolla di indizione dell’Anno santo, Misericordiae vultus, “ricca di preziose indicazioni”.

Tra le altre, il fatto che giustizia e misericordia “non sono due aspetti in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà che si sviluppa progressivamente fino a raggiungere il suo apice nella pienezza dell’amore” (MV 20).

E ancora: “La misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della Chiesa” (MV 41). “Il Papa – commentano i Vescovi umbri – ci porta, con questa affermazione, al grande spazio del dialogo interreligioso, che diventa oggi sempre più necessario, di fronte alle sfide della globalizzazione, della multi-culturalità e della pace. Il dialogo con Israele, con l’islam, con le altre grandi religioni dell’umanità può trovare nel concetto di misericordia un punto di incontro”.

Lineamenti

Il documento traccia quindi alcuni “lineamenti” spirituali del tema. Il primo è che “la misericordia è il cuore stesso del messaggio cristiano e ha il suo ‘volto’ in Gesù. Egli è la rivelazione piena del Dio-Amore”. Un Dio che si rivela pienamente in Cristo ma “si esprime fin dai primordi della creazione, facendo belle tutte le cose e ponendo la Sua immagine nell’uomo, del quale si prende cura anche quando il peccato ne imbratta e sfigura il volto.

È Dio di misericordia quello che si china con viscere materne sul popolo eletto, raccogliendone il gemito nell’oppressione e non rifiutando mai il perdono ai cuori pentiti. La stessa correzione [i ‘castighi’ descritti nell’Antico Testamento, ndr] è usata come pedagogia di misericordia. Ben lo esprimono i Salmi”.

Ma è soprattutto “nei gesti e nelle parole di Gesù, in particolare nella parabola del Padre misericordioso [o del figliol prodigo, ndr], che si coglie la grandezza di questo amore, che sulla croce ha la sua misura piena. Dobbiamo lasciarci avvolgere dalla tenerezza del Padre che getta le braccia al collo del figlio traviato e ‘ritrovato’”.

Sul piano pastorale – proseguono i Vescovi – Papa Francesco “ci invita a far crescere la misericordia non soltanto come perdono offerto e ricevuto nel sacramento della riconciliazione, ma anche come ‘stile’ che caratterizza ogni azione e percorso ecclesiale. È qui il segreto della nuova evangelizzazione”.

 

Collevalenza
Il santuario dell’ Amore Misericordioso di Collevalenza

Linee operative

A seguire, alcune linee operative comuni per le diocesi della regione. “Il Papa – si rammenta – ha proposto un giubileo che, pur prevedendo i tradizionali appuntamenti romani, avrà il suo svolgimento ordinario nelle Chiese locali”.

Ciò varrà anche per le cattedrali umbre. Ma, al di là di aprire le Porte sante, tanto è il lavoro trasversale che si può svolgere. Ad esempio, per approfondire il concetto biblico e teologico di misericordia “si impegnino in modo speciale i due istituti che sono particolarmente qualificati nella formazione teologica della nostra regione: l’Istituto teologico assisano e l’Istituto superiore di scienze religiose di Assisi”.

Occorrerà inoltre “riscoprire su larga scala il sacramento della riconciliazione. In particolare, incoraggiamo iniziative di formazione e di approfondimento per i confessori”.

In terzo luogo, si intende “favorire nuova sensibilità per le opere Caritas diffuse sul territorio regionale”.

Inoltre, “si potrà verificare la possibilità di un pellegrinaggio regionale a Roma, ad Assisi o a Collevalenza”. E infine, si farà in modo di valorizzare al meglio, nel corso del 2016, la felicissima coincidenza con il 30° anniversario dello “spirito di Assisi” del 1986.

La “geografia” della Misericordia

Alla Porziuncola san Francesco plasmò la sua prima comunità sotto lo sguardo materno della Vergine degli angeli. Per questo luogo a lui tanto caro volle ottenere da papa Onorio III il privilegio noto come “perdono di Assisi”, che tra l’1 e il 2 di agosto di ogni anno attira folle di pellegrini desiderosi di abbandonarsi all’amore perdonante di Dio.

A spingere il Santo a questa richiesta fu il desiderio di rendere partecipi tanti fratelli e sorelle della gioia che solo una vita riconciliata e sanata può sperimentare. “Voglio mandarvi tutti in paradiso”, fu la caratteristica espressione con cui ne diede l’annuncio. Di quel dono speciale ricorre il prossimo anno l’ottavo centenario (1216-2016), in una felice coincidenza con l’Anno giubilare della Misericordia. Come non gioire di tale circostanza, vedendola come un’occasione di grazia per tutta la nostra regione?

Il santuario dell’ Amore Misericordioso di Collevalenza, poi, è dono di Dio alla nostra regione attraverso il cuore tenero di Madre Speranza recentemente beatificata. Anche da questo santuario il messaggio e l’esperienza della Misericordia si diffondono nel mondo, ed è bello che le nostre Chiese umbre ne sentano per prime i benefici.

 

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Il Vangelo come antidoto allo sfruttamento https://www.lavoce.it/il-vangelo-come-antidoto-allo-sfruttamento/ Wed, 15 Jul 2015 12:50:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39008 Papa Francesco in Bolivia
Papa Francesco in Bolivia

Scelti per essere inviati. Si potrebbe titolare così il passo del Vangelo di Marco di questa domenica: “Gesù chiamò i Dodici e incominciò a mandarli a due a due”.

Così come siamo sorpresi quando, aprendo una pagina dei Vangeli, troviamo un riferimento utile per superare il momento di incertezza in cui siamo, possiamo dire lo stesso per come queste parole si armonizzino con il viaggio di Papa Francesco in America Latina.

Cosa sono stati tutti i suoi discorsi, quelli scritti e le parole uscite dal suo cuore e non segnate nei fogli, se non un invito ai credenti, ma anche alle donne e agli uomini del Continente, a uscire dal proprio guscio per andare incontro alle altre, per costruire, nel bene comune, il futuro del Continente?

La sfida che Francesco propone è quella di tornare alla radicalità e alla semplicità del Vangelo, di offrire gesti di misericordia e di gioia a tutti, specialmente alle persone abbandonate, in difficoltà; a quanti sono feriti nella loro dignità, o si trovano in situazione di povertà.

Visita tre Paesi, il Papa: Ecuador, Bolivia e Paraguay, che possiamo considerare tre periferie del Continente latinoamericano. Tre nazioni attorno all’Amazzonia, il grande polmone verde ferito dalla mano dell’uomo, e che Papa Bergoglio difende nella sua enciclica Laudato si’, così come chiede, in Bolivia, di fermare l’aggressione e di rispettare i diritti delle popolazioni indigene che vivono nella foresta.

Mons. Erwin Krautler, vescovo della prelatura di Xingu, Amazzonia brasiliana – una diocesi più estesa dell’Italia -, ci ha detto: “Il nostro popolo è in condizioni di vivere se sta nella propria terra; se sono espulsi, sia gli indios, sia i campesinos [contadini], è quasi impossibile che possano sopravvivere. Arrivati in città, vanno ad abitare in una baraccopoli. Ma non vivono, vegetano”.

Si aspetta molto dalla visita del Papa, perché la lotta per la terra “è urgente”; la terra “è un diritto, non un’elemosina. Diritto che è negato a causa di un’idea di sviluppo che non è del nostro popolo”. Uno sviluppo che emargina, dice Papa Francesco incontrando a Santa Cruz della Sierra i partecipanti al secondo Incontro dei movimenti popolari (il primo si è tenuto in Vaticano).

Francesco lancia un messaggio al Continente, al nord come al sud, alla vigilia del viaggio che in settembre lo porterà prima a parlare al Congresso degli Stati Uniti a Washington, e poi ai rappresentanti delle nazioni al palazzo di vetro dell’Onu a New York. Bergoglio chiede che si mettano da parte gli interessi personali, i tentativi di “scartare” una parte della popolazione.

Sottolinea l’urgenza di un cambiamento perché – dice – “il tempo sembra sia giunto al termine”. Questo sistema non regge più e ci sono cose che non vanno nel pianeta: contadini senza terra, famiglie senza casa, lavoratori senza diritti, persone ferite nella loro dignità, bambini sfruttati, guerre insensate, violenze fratricide.

C’è un sistema globale che ha imposto la logica del profitto a ogni costo. Francesco si fa voce dei poveri e dei popoli del mondo, degli esclusi. È l’ambizione del denaro – lo “sterco del diavolo” – che domina. Invece una globalizzazione della speranza dovrà sostituire la globalizzazione dell’indifferenza.

Dice “no”, Papa Francesco, al colonialismo vecchio e nuovo “che riduce i Paesi poveri a semplici fornitori di materie prime e manodopera a basso costo”. Tutto questo genera “violenza, povertà, migrazioni forzate e tutti i mali che abbiamo sotto i nostri occhi”. Mettendo la periferia in funzione del centro, “le si nega il diritto a uno sviluppo integrale: è iniquità che genera violenza che nessuna polizia, militari o servizi segreti sono in grado di fermare”.

Così ai rappresentanti della società civile ad Asuncion, in Paraguay, ha sottolineato la necessità che fraternità, giustizia e pace siano parole concrete, perché la società deve essere inclusiva, non deve escludere nessuno. Il Paraguay era il Paese delle reducciones dei Gesuiti, e un Papa figlio della Compagnia di Gesù non poteva non ricordare l’esperienza positiva di questo esperimento stroncato nel 1767 dall’egoismo di alcune monarchie del Vecchio Continente.

In queste realtà il Vangelo era l’anima e la vita delle comunità, dove non c’era fame, disoccupazione, analfabetismo, oppressione. Se è stato possibile allora, perché non oggi? Per Papa Francesco è quanto mai necessario accogliere il grido dei poveri perché nessuno sia escluso. La cosa peggiore, per Bergoglio, è che qualcuno uscendo dall’incontro possa non capire che le cose dette riguardavano tutti, anche lui.

 

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La Chiesa e la politica devono saper uscire verso gli ultimi https://www.lavoce.it/la-chiesa-e-la-politica-devono-saper-uscire-verso-gli-ultimi/ Thu, 23 Apr 2015 14:18:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31756 Il card. Bassetti con Gianni Di Cosimo ed Enrico Sarti al Convegno su Povertà della Chiesa
Il card. Bassetti con Gianni Di Cosimo ed Enrico Sarti al Convegno su Povertà della Chiesa

“Misericordia vuol dire avere un ‘cuore per i miseri’, avere compassione e lasciarsi muovere dalla sofferenza altrui. Gesù ci mostra che questa compassione non è solo un’emozione. L’emozione del cuore deve diventare attiva e portarci a muovere le mani e i piedi per andare incontro e per aiutare”. È un passo della riflessione su “Vivere la povertà” del card. Walter Kasper con cui è iniziata la due-giorni di Assisi, dal 17 al 19 aprile scorso, durante i quali l’associazione di amicizia politica Argomenti2000, attraverso il suo coordinatore nazionale Ernesto Preziosi (attualmente anche parlamentare), ha invitato quanti vivono l’esperienza ecclesiale e politica a riflettere su “Povertà e potere – Povertà della Chiesa, povertà nella politica”.

Un invito cui hanno risposto in tanti, provenienti dalle varie regioni d’Italia. Tre le sessioni in cui si è articolato il programma. Le prime due, attraverso singole testimonianze e interventi a più voci, hanno affrontato i temi specifici rispettivamente della povertà della Chiesa e della povertà nella politica. Tra gli interventi della prima tavola rotonda coordinata dal padre Giacomo Costa, direttore di Aggiornamenti sociali, particolarmente seguito quello del card. Gualtiero Bassetti, il quale ha rammentato come la povertà sia uno dei grandi temi che stanno caratterizzando il pontificato di Papa Francesco. La Chiesa in uscita evocata da Francesco, ha aggiunto, “è una Chiesa che esce da se stessa, che va verso gli ultimi, verso i poveri, verso tutti. Noi dobbiamo uscire, ma soprattutto dobbiamo far uscire quel Gesù che portiamo nella nostra vita, nel nostro cuore”.

Di seguito il costituzionalista Gianni Di Cosimo dell’Università di Macerata si è riferito in primo luogo ai limiti che il potere pubblico incontra nel rapporto con le confessioni religiose, soprattutto per quanto riguarda l’erogazione di finanziamenti, a fronte di una indiscriminata possibilità di favorire un gruppo religioso piuttosto che un altro. E ha evidenziato i problemi che emergono sul piano del buon andamento della gestione dei fondi ricevuti da parte delle confessioni religiose.

Di povertà nella politica ha offerto una significativa testimonianza Rita Visini, assessore alle Politiche sociali della Regione Lazio, raccontando, oltre che le modalità dell’impegno, di come stia affrontando il problema della sobrietà come “salute mentale per i politici”. Oltre al taglio del 30 per cento degli stipendi previsto per tutti i consiglieri, ha ricordato la sua rinuncia all’indennità di assessore, l’utilizzo dei mezzi pubblici per raggiungere la sede regionale e la consumazione del pasto in ufficio, portato da casa, insieme ai suoi collaboratori.

Nella terza e ultima sessione, ancora altri interventi si sono confrontati su “Ridurre le disuguaglianze, includere le differenze, governare la globalizzazione. La politica per costruire la città degli uomini”. Roberto Gatti, docente di Filosofia politica all’Università di Perugia, affrontando il tema delle immigrazioni, ha affermato che tale fenomeno è anche frutto di una politica dei Paesi ricchi nei confronti dei Paesi poveri. Per cui “c’è un debito da pagare”. “C’è soprattutto un problema – ha aggiunto – di strutture economiche, finanziarie e politiche che hanno determinato un certo tipo di sviluppo, e che oggi dovrebbero attuare una politica di giustizia internazionale che consenta a quei popoli di recuperare condizioni economiche, sociali e culturali nei Paesi d’origine. Non dobbiamo infatti pensare che le società multiculturali siano il destino della nostra epoca, ma che la pluralità delle culture torni ad abitare nei luoghi di origine”.

 

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Vangelo e dimensione sociale https://www.lavoce.it/vangelo-e-dimensione-sociale/ Wed, 22 Apr 2015 09:39:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31649 L'intervento di mons. Mario Toso
L’intervento di mons. Mario Toso

Lo scorso 18 aprile mons. Mario Toso, vescovo di Faenza, già segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha chiuso il corso della Scuola Politica Giuseppe Toniolo nell’affollatissima e partecipata sala convegni dell’Istituto Serafico, soffermandosi sul quarto capitolo dell’EG, che parla di dimensione sociale dell’evangelizzazione.

Papa Francesco ha inserito un capitolo sulla dimensione sociale della fede e dell’evangelizzazione proprio per offrire una visione più completa, meno riduttiva di quella che di solito, noi e le nostre comunità, diamo e offriamo, ad esempio facendo la catechesi, ma non inserendo in essa gli aspetti sociali della vita dell’uomo. “Ma se questa dimensione – ha dichiarato mons. Toso – non viene debitamente esplicitata e vissuta si corre il rischio di sfigurare la missione evangelizzatrice della Chiesa; affermando con forza che chi non porta il Vangelo nell’economia, nella politica, nelle relazioni fra gli Stati, nella finanza, nell’impresa, nella famiglia, chi non porta in queste realtà la vita di Cristo, rischia di ridimensionare arbitrariamente la missione evangelizzatrice della Chiesa, cioè rischia di non realizzarla”.

“Papa Francesco – ha continuato l’alto prelato – assegna alla evangelizzazione del sociale due priorità assolute: l’inclusione sociale dei poveri e la realizzazione del bene comune e del dialogo sociale. In un contesto di globalizzazione ci troviamo ancora di fronte ad alti tassi di povertà. La globalizzazione non è stata adeguatamente orientata alla realizzazione del bene comune, anzi, sono aumentate le diseguaglianze, anche all’interno dei paesi ricchi, con la quasi sparizione della classe media. Per integrare i poveri, rammenta papa Francesco, non bastano piani assistenziali, bisogna superarli, bisogna sconfiggere le cause strutturali della povertà. Non basta essere impegnati nella Caritas diocesana. Questa è sicuramente importante, ma non è tutto”.

Occorre pensare a una politica economica strutturata sulla base dei principi del bene comune e della dignità umana, offrendo a tutti istruzione, assistenza sanitaria e lavoro. Bisogna realizzare una democrazia inclusiva e, quindi, un’economia inclusiva attraverso politiche che rendano accessibili a tutti l’istruzione, il lavoro e la sicurezza sanitaria. Papa Francesco proponendo il lavoro per tutti, va contro la dogmatica attuale del mercantilismo o della finanza che si muove solo sulla base della speculazione senza limiti, per la quale il lavoro è marginale rispetto alla produzione delle ricchezza nazionale. Ma il lavoro è un bene fondamentale per personalizzarsi, socializzarsi, fare una famiglia, per contribuire al bene comune, per realizzare la pace.

La seconda priorità segnalata da papa Francesco è la realizzazione del bene comune e del dialogo sociale. Per realizzare il bene comune occorre che noi impariamo quello che coloro che ci hanno preceduto hanno insegnato, dobbiamo cioè essere realmente un popolo unito dal punto di vista morale, culturale, unito nella vocazione verso il bene comune.

 

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Le cooperative incontrano il Papa: al centro l’Uomo, non i soldi https://www.lavoce.it/le-cooperative-incontrano-il-papa-al-centro-luomo-non-i-soldi/ Fri, 06 Mar 2015 12:43:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30752 Un momento dell’incontro dei membri della Confederazione cooperative italiane con Papa Francesco, nella foto Andrea Fora consegna al Papa la pagnotta realizzata dai detenuti
Un momento dell’incontro dei membri della Confederazione cooperative italiane con Papa Francesco, nella foto Andrea Fora consegna al Papa la pagnotta realizzata dai detenuti

La cooperazione come via per un’economia nuova, che metta al centro l’uomo e non la finanza. Questo il messaggio emerso, sabato scorso, dall’incontro di Papa Francesco con 7.000 rappresentanti di Confcooperative. Bergoglio ha guardato alle origini (le cooperative sono “memoria viva di un grande tesoro della Chiesa italiana”), ma soprattutto al futuro, chiedendo di “portare la cooperazione sulle nuove frontiere del cambiamento, fino alle periferie esistenziali”. Con Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, ripercorriamo i passaggi salienti emersi dall’incontro.

Come coniugare l’attenzione locale con mercati e sfide globali?

“Bisogna coniugare le nuove istanze, in particolare la globalizzazione, rimanendo fedeli alle motivazioni per cui sono nate le cooperative: valorizzazione del prodotto dei soci, centralità del lavoratore, sostenibilità ambientale, ecc. Una cooperativa agricola, ad esempio, che cinquant’anni fa raccoglieva il prodotto dei soci e lo vendeva sul mercato locale, oggi deve assumere le dimensioni giuste per essere protagonista in un mercato nuovo. Non si può andare a vendere in Giappone o negli Stati Uniti se non si hanno una struttura tecnica adeguata o degli operatori commerciali che parlano le lingue!”.

Ingrandendosi, non si corre il rischio di finire per essere come le altre imprese, ma usufruendo dei vantaggi legati alle cooperative?

“Non possiamo chiedere alle cooperative di crescere ‘solo fino a un certo punto’. L’importante non è l’elemento dimensionale, ma rispettare sempre i valori della cooperazione, la partecipazione e la vita democratica. Le cooperative devono avere la giusta dimensione in relazione al loro scopo: a una cooperativa sociale che lavora in un territorio non è chiesto di crescere, ma di essere puntuale rispetto ai bisogni di quel territorio. Una cooperativa agricola che ha bisogno di vendere i propri prodotti, invece, deve crescere per essere protagonista sui mercati”.

Molto forte è stato il monito del Papa a “combattere le false cooperative”.

“C’è un mercato fortemente inquinato da speculatori ed espressioni della malavita, che costituiscono cooperative perché sono uno strumento giuridico che meglio risponde ai loro scopi. Nascono e chiudono senza pagare stipendi, contributi, senza avere controlli. Sono una patologia grave, che fa un doppio danno alle coop oneste e sane: porta via il lavoro e ‘prostituisce’ il nome della cooperazione”.

È possibile contrastarle?

“Non è facile, perché il più delle volte durano meno di un anno e sono ben organizzate. Tutti dobbiamo combatterle, a partire dalle imprese che le utilizzano, verso le quali si possono prevedere sanzioni o comunque una corresponsabilità. Infatti, quando si appalta un servizio a una cooperativa, se questa ha prezzi eccessivamente bassi, inferiori al costo del lavoro, non può essere una coop sana. E l’impresa non lo può ignorare”.

Il Papa ha richiamato l’uso del denaro “per realizzare opere buone”, invocando una collaborazione tra cooperative bancarie e imprese.

“Non va demonizzato il denaro: le cooperative, anche le più virtuose, hanno bisogno di risorse ben investite, di capitale. Una cooperativa sociale che volesse aprire una casa protetta per gli anziani o un’attività per l’inserimento lavorativo di persone diversamente abili avrebbe bisogno di risorse. I soldi impiegati per attività economiche devono essere valorizzati per ciò che riescono a produrre, e non per speculazioni finanziarie o per l’arricchimento”.

Siamo alla vigilia di una riforma bancaria che si preannuncia epocale, e non esente da rischi. Quale futuro avranno le banche di credito cooperativo?

“L’Europa e Bankitalia chiedono loro di adeguarsi rispetto a certi standard, e questo comporta un inevitabile processo di autoriforma. Un po’ di autonomia sarà trasferita dal territorio al Centro: occorre però che sia ben chiaro l’obiettivo, e che la governance sia di matrice cooperativa, conosca e abbia sempre il senso etico del fare finanza cooperativa”.

Ha ancora senso parlare di coop bianche, rosse e verdi?

“Questa distinzione appartiene al passato. Proprio il Papa ci ha invitato a guardare a quello che ci unisce e non ciò che ci ha diviso. Un tempo c’erano motivazioni ideologiche, ora cadute. Oggi si può avere una visione laica o una cristiana: l’importante è che ci si ritrovi insieme nel sostenere un modello di cooperativa che salvaguardi e metta al centro l’uomo, con le sue esigenze e i suoi bisogni, e tutti i valori propri della cooperazione, realizzando una sorta di contaminazione che ci permetta di vivere portando i nostri valori, senza paura di praticarli”.

La presenza delle cooperative umbre

Tra i 7.000 cooperatori che hanno gremito la sala Nervi in Vaticano c’era una folta delegazione di dirigenti e cooperatori di Confcooperative Umbria, guidati dal presidente Andrea Fora e dal direttore Lorenzo Mariani. All’alba ci si è messi in cammino per raccogliere l’invito di Papa Francesco. Il Papa si soffermato lungamente con i presenti nel percorso di ingresso e di uscita calorosamente salutato dalle strette di mano dei tanti cooperatori presenti. “Nelle tre piccole grandi storie di mutualità, di sacrificio e di riscatto lavorativo che sono state portate ad esempio nel palco al cospetto di Papa Francesco, sono saliti figurativamente i mille talenti della cooperazione che sa mettersi al servizio degli ultimi, della collettività, combattendo la criminalità e non scendendo con essa a compromessi”, ha commentato il presidente Fora, che ha avuto l’onore di consegnare al Santo Padre la pagnotta realizzata dai detenuti impegnati nella cooperazione sociale, “simbolo della fatica, la gioia, le sofferenze e i tanti talenti che abitano le nostre cooperative”. “Papa Francesco – ha aggiunto Fora – ha riservato un pensiero e una preghiera per tutti i cooperatori sociali e le persone svantaggiate che ogni giorno provano a darsi un’altra possibilità e a incamminarsi verso una nuova vita”.

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Con il fiato sospeso e troppi perché https://www.lavoce.it/con-il-fiato-sospeso-e-troppi-perche/ Fri, 13 Feb 2015 13:03:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30335 Ascoltando i servizi televisivi e leggendo i giornali, si rimane con il “fiato sospeso” (titolo dell’Osservatore Romano) perché, se non si firma un accordo tra filo-russi e filo-europei ucraini, si rischia la guerra nel cuore dell’Europa. “Putin più pericoloso di Milosevic”, “Putin: pronti alla guerra” (titoli da Il Sole 24 Ore), Obama pronto a inviare armi… Americani e europei non sono disposti a lasciare che la Russia ridisegni la carta geopolitica dell’Europa. Le forze in campo sono decisamente sproporzionate. In una eventuale, deprecabile guerra, il gioco è fatto. Ma non vogliamo lasciare i lettori con il “fiato sospeso”. Il Papa ha annunciato un viaggio a Sarajevo per il 6 giugno. Viaggio-simbolo della volontà di pace e riconciliazione tra popoli che si sono combattuti in una città martire, simbolo della più inaudita violenza. Mentre l’attenzione del mondo è sulle atrocità compiute dal terrorismo del sedicente Califfato islamico, rischiamo di ritrovarci in un conflitto che sarebbe tra cristiani (di maggioranza ortodossa). Il Papa l’ha detto: uno scandalo che vi sia odio e violenza tra cristiani, tra battezzati. Da ciò si vede che la religione rimane fuori dei conflitti (o è tirata in ballo strumentalmente), originati da altri fattori: interessi economici, difesa dell’identità nazionale, ricerca di un più ampio spazio di libertà e di nuove alleanze politiche. Purtroppo la religione rimane fuori anche dalla coscienza delle persone, soprattutto dei Capi dei popoli, che ragionano in termini di Realpolitik, mettendo da parte l’etica. In questi giorni le parti in conflitto si domandano infatti: quanto costa una guerra, chi se la può permettere? Non si domandano quante vittime potrà provocare, quante sofferenze di ogni genere a persone inermi, innocenti, vecchi, bambini, malati.

Papa Francesco si è espresso recentemente affermando che quando sente le parole “vittoria”, “sconfitta”, si sente male interiormente: “La vera parola è pace”. Intanto le vittime ci sono, e si moltiplicano giorno per giorno. Si calcola che vi siano già stati 5.000 morti e un milione di sfollati, mentre ogni giorno un tragico bollettino di guerra conta le vittime per attentati, incursioni, eccidi di civili da entrambe le parti. Tutto è iniziato tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, quando il Paese est-europeo si è spaccato tra quanti insistono per entrare nell’Ue e quanti vogliono rimanere legati a Mosca, per affinità linguistiche e culturali, e anche sotto il ricatto del prezzo del gas. Va anche detto sono tramontate le ideologie del nazionalismo e dell’imperialismo, per una visione più distaccata e “liquida” dei rapporti tra le genti nel vasto panorama della globalizzazione e nella prospettiva della comune interdipendenza dei popoli e delle nazioni. Le chiusure e le rigidezze idealistiche possono solo scadere nella pura utopia.

In questo scenario l’uomo della strada si chiede: cosa sta succedendo? Perché? Cosa si può fare? E risponde tra sé e sé: niente. Se è credente, dirà: non ci resta che pregare. Sfiduciato, sente che gli avvenimenti passano sopra la sua testa, vanno avanti secondo logiche che sfuggono e contraddicono il buon senso. Si domanda: perché gli uomini vogliono farsi del male a tutti i costi, quando di male ce n’è per tutti in ogni parte del mondo? Basti dare uno sguardo al fenomeno della malattia (oggi, 11 febbraio, è la Giornata mondiale del malato, voluta da Giovanni Paolo II nel giorno della memoria della Madonna di Lourdes) per far volgere l’attenzione verso tutti coloro – e sono tanti – che lottano contro il male fisico, psichico, morale, esistenziale. Un esercito ben equipaggiato a servizio di coloro che hanno bisogno di sostegno, cura, compagnia, comprensione. Sarebbe l’opera di un’umanità degna di questo nome; un’umanità che – aprendo un’altra finestra sull’oggi – dovrebbe sentirsi in profonda sofferenza a sapere che in questi giorni 29 persone sono morte dal freddo in un barcone in mezzo al mare. Che mondo è questo?

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Ottobre, il mese dedicato alle missioni https://www.lavoce.it/ottobre-il-mese-dedicato-alle-missioni/ Thu, 25 Sep 2014 17:41:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28149 MISSIONI-BATTESIMO-1-bnLa gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”. Così inizia l’esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco. Si tratta di un accorato appello a tutti i battezzati perché con nuovo fervore e dinamismo portino agli altri l’amore di Cristo. Da questo punto di vista, l’Ottobre missionario e la Giornata missionaria mondiale (Gmm) costituiscono un’occasione privilegiata per fare memoria dell’impegno battesimale proteso all’annuncio, alla testimonianza del Vangelo attraverso gesti di solidarietà fattiva.

Tutti sappiamo che nell’attuale società planetaria ondate di religiosità, unitamente ai flussi di una crescente secolarizzazione, hanno generato scorie di malessere e fanatismi a non finire, noia e disimpegno, per ignavia, stanchezza o delusione. Non possiamo pertanto permetterci di languire nei tepori delle sacrestie, supponendo che così facendo si salvi il mondo.

È per questo motivo che Missio, organismo pastorale della Cei che rappresenta in Italia le Pontificie opere missionarie, ha scelto come slogan per la Gmm: “Periferie, cuore della missione”, richiamando l’attenzione dei fedeli sul tema della periferia, tanto caro al Vescovo di Roma. Dal punto di vista “situazionale”, la periferia rappresenta la linea di faglia tra il comodo benessere e l’emarginazione. Attraversarla, dunque, significa lasciarsi alle spalle una situazione familiare, tuffandosi nell’ignoto. D’altronde, la posta in gioco è alta.

Allora, facendo proprio tesoro delle sfide poste dalla globalizzazione e in considerazione del veloce divenire della Storia – in cui, come Chiesa, siamo sempre più un piccolo gregge -, il dono dell’ascolto, in periferia, dialogando con rispetto, è certamente il modo migliore e più efficace per comunicare il Vangelo e testimoniare una relazione di vita da cui far scaturire la bellezza dell’essere cristiani.

A volte ci sembra di non avere ottenuto con i nostri sforzi alcun risultato – scrive sempre Papa Francesco nella sua enciclica programmatica – ma è bene rammentare che “lo Spirito santo opera come vuole, quando vuole e dove vuole; noi ci spendiamo con dedizione, ma senza pretendere di vedere risultati appariscenti. Sappiamo soltanto che il dono di noi stessi è necessario” (279).

L’impegno ad gentes, rivolto ai lontani, soprattutto i più poveri, perseguito con coraggio dai missionari nei cinque Continenti, diventa allora, per ognuno di noi, un paradigma di vita. Questi nostri connazionali (attualmente sono circa 10.000 i missionari italiani nel mondo, ndr), di cui dovremmo essere orgogliosi, sono delle “sentinelle del mattino” proprio in quelle periferie che rappresentano i bassifondi del nostro tempo: dalle baraccopoli di Nairobi, dove la miseria è endemica, alle palafitte sui rifiuti di Bangkok, dalle favelas di Rio de Janeiro, all’esclusione sociale nelle megalopoli occidentali.

Squarci di un’umanità dolente a cui si affiancano i volti dei bambini di Gaza, per non parlare dei piccoli schiavi al lavoro nelle fabbriche orientali o dei rifugiati costretti alla via dell’esilio dalle aree di crisi. Accanto a loro c’è, comunque, sempre, un missionario o una missionaria che condivide le ansie e le speranze di chi soffre nell’Era dell’indifferenza globale.

La loro testimonianza ci spinge a volare alto come aquile, evitando di schiamazzare nel pollaio; nella consapevolezza che, nella vita, c’è più gioia nel dare che nel ricevere.

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Il Vescovo di Terni: globalizzare giustizia e solidarietà https://www.lavoce.it/il-vescovo-di-terni-globalizzare-giustizia-e-solidarieta/ Thu, 04 Sep 2014 13:11:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27829 padre Giuseppe PiemonteseAlla vigilia dell’incontro tra il Governo e la dirigenza della Tk il Vescovo è intervenuto sulla vicenda nel corso della veglia di preghiera (clicca qui e leggi l’articolo). Pubblichiamo un ampio estratto dell’intervento del Vescovo

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I cristiani, oltre alla solidarietà e alla compagnia con la società civile, si ritrovano nella comunità ecclesiale per pregare, invocare lo Spirito santo perché illumini le menti e i cuori dei governanti, dei responsabili del bene comune, perché si intraprendano vie di giustizia, di equità e di benessere generale.

Nella convivenza civile, la pace, la concordia, il benessere personale, comunitario e familiare regge se ognuno lealmente, generosamente e responsabilmente fa la sua parte. Tutto ciò oggi non può trovare attuazione in ambito cittadino, locale, come avveniva fino a qualche secolo addietro. Gli orizzonti di azione e di responsabilità oggi sono estesi non solo a livello nazionale, ma europeo e mondiale. Globalizzazione e interdipendenza sono le categorie sociali, geografiche, culturali ed economiche nelle quali inevitabilmente siamo immersi da alcuni decenni, né è possibile sottrarcene. Per restare all’ambito economico-sociale, ogni persona, ciascuno di noi, i governanti della nazione e di tutto il mondo, le lobby industriali, economiche e finanziarie, i sindacati e ogni soggetto civile o si muove tenendo conto della dimensione universale, della ricerca del benessere locale e generale, o ci si condannerà a una precarietà e insicurezza perenne, permanente.

Il benessere che una nazione o un gruppo oggi sperimenta, se non tiene conto dell’orizzonte generale e globale, sarà destinato a durare per una breve stagione: il tempo della rivalsa da parte di coloro, singoli, gruppi, popoli e nazioni che non ritengono equa la propria condizione sociale o, peggio, ritengono il benessere altrui frutto di ingiustizia e sfruttamento della propria condizione.

Il benessere di cui si gode oggi potrebbe essere il frutto di sofferenze e ingiustizie nei confronti di società ed entità del passato e potrebbe essere la premessa di povertà, disagio e insicurezza dei nostri figli, che potrebbero essere perdenti in una lotta improba con gruppi sociali e nazioni che oggi anelano e lottano per rovesciare una situazione di sfruttamento e di ingiustizia. Tanto per dire che la società odierna e anche la nostra realtà difficile ha radici e ramificazioni lontane nel tempo e nello spazio. Inoltre occorre avere uno sguardo di “compagnia”, di “compassione” e di solidarietà nelle decisioni e nelle relazioni a qualunque livello.

La situazione delle acciaierie Ast e delle altre industrie del territorio, oltre che di strategie industriali o economiche, è figlia di una visione che propriamente non coniuga benessere personale, comunitario e familiare, lealtà personale e aziendale, generosità e responsabilità.

So che l’economia ha altre regole, ma sono regole che premiano apparentemente e per breve tempo solo alcuni, e che si ritorceranno sugli stessi che consapevolmente o inconsapevolmente le applicano, e sui loro figli. Mentre la gente comune sarà sballottata nella precarietà e nell’incertezza del presente e futura. O si globalizza la giustizia e la solidarietà o le storiche “lotte di occupazione” del passato remoto e recente si rinnoveranno ed estenderanno sempre più, con metodi e mezzi cruenti e sofisticati.

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“Europa” cioè…?: elezioni europee. Troppe “zone d’ombra” nelle proposte dei partiti https://www.lavoce.it/europa-cioe-elezioni-europee-troppe-zone-dombra-nelle-proposte-dei-partiti/ Fri, 16 May 2014 07:18:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24991 parlamento-europeo-aulaIl voto per l’elezione dell’Europarlamento del 22-25 maggio presenta contorni ben delineati accanto a questioni aperte e, perfino, “zone grigie”.

È chiaro, ad esempio, che 400 milioni di elettori, in una prova di democrazia tra le maggiori al mondo (seconda forse solo alla consultazione indiana), eleggeranno 751 eurodeputati, che animeranno per i prossimi cinque anni il Parlamento europeo, istituzione con funzioni legislative e di bilancio, organo rappresentativo dei popoli dei 28 Stati aderenti all’Ue.

All’interno della complessa architettura istituzionale dell’Unione, che comprende anche Consiglio e Commissione, l’emiciclo di Strasburgo ha anche una funzione di “controllo democratico”, riconosciuta dai Trattati. In questa direzione, l’Euroassemblea ha visto crescere negli ultimi anni i suoi poteri e le sue competenze, tanto che, in base ai Trattati, il voto influirà sulla scelta del prossimo Presidente della Commissione.

Un altro elemento incontrovertibile riguarda il momento in cui cadono queste elezioni. Soprattutto per via della crisi economica, con le sue pesanti ricadute sociali, che tormenta da sei anni il Vecchio Continente, è maturato un diffuso senso di euroscetticismo. All’Ue, infatti, sono state assegnate responsabilità dirette nella gestione della crisi, dimenticando però che è stata proprio l’Unione – chiamata in causa dagli Stati membri – a cercare di porre riparo all’instabilità dei conti pubblici. Interventi a breve sono stati realizzati per salvare diversi Stati dal default, altri, a medio-lungo termine, sono stati predisposti per evitare in futuro crisi altrettanto esplosive.

Tale euroscetticismo è uno degli elementi che ammantano le elezioni d’interrogativi: quanti elettori si recheranno alle urne? E dunque quanto sarà consistente il fenomeno dell’astensione, che solitamente rappresenta delusione e distacco da parte dei cittadini rispetto alla politica, in questo caso la politica europea? E quanto peso avranno nei seggi, e nella composizione della futura Assemblea, le formazioni politiche a vario titolo definite antieuropeiste, nazionaliste o populiste? E una volta giunte nel “palazzo”, tali forze si alleeranno tra di loro per contrastare la costruzione dell’Europa unita, oppure agiranno a ranghi sparsi, perdendo, di fatto, capacità di pesare sulle scelte dell’Ue?

C’è poi un ulteriore aspetto che la campagna elettorale in corso non sta chiarendo. Sia per parte “pro europea” (comprendente i vari partiti nazionali che dichiarano di afferire alle famiglie politiche di Popolari, Socialisti e Democratici, Verdi e Liberaldemocratici), sia sul fronte “europerplesso” o più decisamente “antieuropeo” (Fronte nazionale francese, Indipendentisti britannici, Movimento 5 stelle e Lega nord in Italia, Veri finlandesi, solo per fare qualche nome), non è sempre chiaro il progetto di Europa che si sostiene: federalista, confederalista? Con rafforzamento o meno dei poteri del Parlamento e della Commissione? Con un bilancio comunitario più elevato o più magro? Con un’estensione dei poteri della Bce oppure no?

I giorni che separano dalle urne si contano ormai sulle dita delle mani. È tempo di fare chiarezza. Di scegliere da che parte si sta. Lo devono rendere noto gli stessi partiti, i loro leader nazionali, i capi di Stato e di governo. È giusto che i cittadini sappiamo le posizioni in campo e la posta in gioco. Toccherà poi ai cittadini decidere chi sostenere, indicando – per sintetizzare – il percorso di una maggiore integrazione, rispettosa del principio di “unità nella diversità” e fondata sui valori della solidarietà e della sussidiarietà, oppure la via di un ritorno agli Stati-nazione, pienamente detentori della propria sovranità, ma soli, sempre più soli, dinanzi alle crescenti sfide della globalizzazione.

Nell’imminenza del voto, molti episcopati nazionali, gli organismi europei delle Chiese cristiane e numerosissime associazioni laicali dei diversi Stati Ue, si sono espressi con un forte incoraggiamento alla costruzione della “casa comune”, segnalando peraltro quei limiti che l’integrazione europea ha finora mostrato, così da poterli rimuovere per una Europa più giusta, aperta, fondata su valori condivisibili. Un segnale, quello proveniente dalle Chiese cristiane d’Europa, non scontato e che assume, ora, un interessante valore aggiunto.

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Per combattere l’“inequità” https://www.lavoce.it/per-combattere-linequita/ Thu, 20 Feb 2014 13:02:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22453 ernesto-vecchiNell’attuale epoca storica caratterizzata dal benessere, ma anche dalla “quotidiana precarietà” in cui vivono la maggioranza degli uomini e delle donne del nostro tempo, di cui le cronache e le statistiche ogni giorno ci riferiscono situazioni e dati sempre più allarmanti, di fronte a questo cambiamento epocale, dove l’“inequità” diventa sempre più evidente anche nei Paesi ricchi, Papa Francesco pronuncia i suoi quattro “no”, con la forza profetica del “discernimento evangelico”: No a un’economia dell’esclusione! No alla nuova idolatria del denaro! No a un denaro che governa anziché servire! No all’inequità che genera violenza! Di fatto, Papa Francesco ci sprona a intervenire sulle cause degli squilibri economico-sociali, senza sostenere il pauperismo. Egli, nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium indica i pilastri che sostengono un corretto rapporto tra economia e politica. Da trent’anni a questa parte, infatti, tali rapporti hanno subìto profondi mutamenti in seguito agli effetti congiunti della globalizzazione e della terza rivoluzione industriale. Pertanto, è necessario agire con decisione per rimuovere le precarietà ormai consolidate. Per combattere le vecchie e nuove povertà è indispensabile che la politica riprenda le redini in mano per indicare i fini da perseguire, cioè il bene comune, e che l’economia sia orientata a fornire i mezzi per realizzarli. Invece, oggi, l’economia è diventata il regno dei fini autoreferenziali, e la politica, il regno dei mezzi a essa subordinati.

La borsa valori di New York
La borsa valori di New York

L’esortazione Evangelii gaudium non è un magistero astratto, ma entra in medias res per sfatare alcuni luoghi comuni come la teoria della “ricaduta favorevole”. Essa è riuscita a persuadere l’opinione pubblica che ogni crescita economica – favorita dal libero mercato – riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo (cfr. EG, 54). Qui c’è un equivoco di fondo che non riesce a distinguere tra povertà assoluta e diseguaglianza sociale. La globalizzazione ha certamente diminuito la povertà assoluta, ma ha accresciuto in modo preoccupante quella relativa. Di fatto, sono in forte aumento coloro che ottengono meno della metà del reddito pro capite prevalente nella comunità di appartenenza. In sostanza, i poveri aumentano e i ricchi sono sempre più ricchi. Come scrive Papa Benedetto nell’enciclica Caritas in veritate, la crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forma di impegno (cfr. CiV, 21), a cominciare dall’educazione delle nuove generazioni. Qui si innesta l’azione di quanti sanno che lo Stato sociale da solo non può risolvere tutti i problemi, e che tutti devono reimparare a “rimboccarsi le maniche”. Pertanto, in tale prospettiva, è necessario attivare un’autentica pedagogia formativa che si impegni su tre fronti: il buon uso dell’intelligenza, contro l’irrazionalità dilagante; la conoscenza della verità, per l’esercizio maturo della libertà; la gestione della propria capacità di amare, fino alla riscoperta del fascino delle scelte definitive, per una piena donazione di sé. Benedetto XVI, nel suo messaggio in occasione della Giornata della pace del 1° gennaio 2009, scrisse che una delle strade maestre per costruire la pace e un mondo più equo è necessaria una globalizzazione finalizzata agli interessi della grande famiglia umana, mediante una forte “solidarietà globale” e un “codice etico comune”, radicato nella legge naturale inscritta dal Creatore nella coscienza di ogni essere umano.

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Stavolta è diverso https://www.lavoce.it/stavolta-e-diverso/ Thu, 13 Feb 2014 16:19:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22256 L’aula del parlamento europeo nella sede di Stasburgo
L’aula del parlamento europeo nella sede di Stasburgo

Con lo slogan “Questa volta è diverso” il Parlamento europeo ha realizzato una campagna di sensibilizzazione che entra nel vivo a 100 giorni dal voto per l’assemblea di Strasburgo. Fra il 22 e il 25 maggio (a seconda degli usi e delle leggi elettorali di ciascun Paese) i cittadini dell’Unione saranno chiamati a scegliere i propri rappresentanti nell’unica istituzione comunitaria eletta a suffragio universale.

L’Emiciclo negli ultimi anni, in base al Trattato di Lisbona, ha acquisito più ampi e solidi poteri legislativi e di bilancio in seno all’Ue, e anche voce in capitolo nella nomina del presidente della Commissione che sostituirà il portoghese Barroso ormai prossimo a fine mandato.

Ma perché questa volta dovrebbe essere “diverso” il voto per l’Europarlamento? Le risposte potrebbero essere fin troppo evidenti. Siamo anzitutto in piena crisi, non solo economica ma anche politica: c’è un diffuso deficit di credibilità tanto per le istituzioni Ue che per Governi e Parlamenti nazionali.

Secondo: i cittadini, proprio a causa delle ricadute concrete e del malessere sociale generato dalla crisi, si sono ulteriormente allontanati dal “progetto europeo”, anche perché proprio i politici nazionali e i mass media hanno attributo a Bruxelles e Strasburgo tutte le colpe possibili e immaginabili, andando ben al di là dei limiti pur evidenti di tale progetto.

Terzo elemento: la globalizzazione pone ogni giorno sfide nuove (ad esempio nei settori della finanza, dei mercati, delle comunicazioni, della sicurezza, della demografia, del lavoro, dei diritti, dell’energia…) che hanno reso meno solide talune certezze valoriali e comportamentali e tradizioni territoriali acquisite nel tempo, di fronte a cui non si hanno ancora risposte convincenti, lasciando così spazio all’unica proposta “alternativa” finora emersa: chiudersi nei confini – comunali, regionali, statali – e tagliar fuori il resto del mondo. E l’elenco potrebbe continuare.

Il voto per l’Europarlamento questa volta è diverso, dunque, non perché l’assemblea di Strasburgo abbia più poteri e, dunque, il voto dei cittadini conti effettivamente di più. Su questo filone si è innestata la campagna che vorrebbe sensibilizzare al voto, tanto da mettere in circolazione un ulteriore slogan che, a seconda delle diverse lingue europee, suona così: “Agire. Reagire. Decidere”.

No, le elezioni di fine maggio saranno differenti perché sono profondamente mutati il clima e i sentimenti verso la “casa comune”. Il nazionalismo cresce ovunque, il protezionismo economico riemerge dal fondo della storia e trova nuovi assertori, il populismo fa da collante a tutto ciò. Slogan semplici, parole “contro” (contro l’Ue, i politici di ogni tendenza e partito, gli stranieri, i rom, i vicini di casa se questi attentano al mio interesse particolare). La ricetta è servita.

L’esito del voto in Svizzera sull’iniziativa popolare relativa all’immigrazione è a suo modo lo specchio di questo clima. E benché la Confederazione elvetica non faccia parte dell’Ue, proprio all’Unione essa lancia un segnale forte: la campagna elettorale europea è iniziata, si facciano avanti populisti e nazionalisti, si mettano i popoli e gli Stati europei uno contro l’altro, e alla fine si vedrà.

Esistono strade alternative a questa deriva che tende a mandare all’aria mezzo secolo di integrazione economica e politica? Ci sono proposte migliori per restare dentro le dinamiche storiche, per “fare massa” rispetto alla competizione sui mercati internazionali, per creare un attore politico veramente “globale”, sostenuto da istituzioni democratiche funzionanti in rappresentanza di mezzo miliardo di cittadini?

Nessuno ha una formula magica pronta in tasca. Ma di sicuro la risposta a tali interrogativi dovrà passare ancora una volta da una politica “a misura d’uomo” e “di umanità”, dalla democrazia rappresentativa che cresce dal basso, dalla collaborazione su scala europea dei Paesi che fanno parte del Vecchio Continente.

Scorciatoie non ne esistono: quelle intraprese in passato hanno condotto esattamente dalla parte opposta, alle divisioni, a interessi contrastanti, quindi alle guerre e alle sofferenze. L’Europa è già stata oggetto per secoli dei nazionalismi e degli egoismi di parte. Ora non può che proseguire sulla via della democrazia, certo mutando rotta per evitare quegli errori che non sono mancati, e per raggiungere quei risultati che i cittadini si attendono: pace, benessere, diritti, sicurezza, rispetto e valorizzazione delle diversità che sono il sale e il lievito dell’Europa moderna.

La campagna elettorale verso il 22-25 maggio sta decollando. Partiti e candidati dovranno spiegare ai cittadini sulla base di quali principi e programmi chiederanno il sostegno elettorale. La palla passerà tra 100 giorni agli stessi cittadini: il futuro sarà più che mai nelle loro mani.

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La marcia dei populisti sull’Europarlamento https://www.lavoce.it/la-marcia-dei-populisti-sulleuroparlamento/ Fri, 31 Jan 2014 16:01:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21888 La sede del Parlamento Europeo di Bruxelles
La sede del Parlamento Europeo di Bruxelles

Il populismo marcia verso l’Europarlamento e le elezioni del 22-25 maggio per la nuova Assemblea di Strasburgo promettono non poche sorprese. Nel momento in cui l’Ue comincia a intravedere l’uscita dal tunnel dopo sei anni di pesante crisi economica, i movimenti che gridano il loro “no” alla politica, alle istituzioni, all’Europa, alle banche, alla troika, sono all’apice delle loro fortune: presenti in ogni Paese sotto varie sigle e tendenze politiche, con leader assai diversi tra loro, si preparano a fare il pieno di voti e a portare nelle sedi comunitarie il vento dell’antieuropeismo.

Manca ancora un’analisi seria e approfondita del fenomeno, che certo non si può liquidare con qualche anatema democratico. Le forze che si definiscono esplicitamente “populiste”, o quelle che ne hanno inconfessati tratti, sono espressione di un malcontento rispettabilissimo, che nasce dalla stessa recessione, dalla disoccupazione dilagante, da giovani generazioni che si vedono ogni strada sbarrata… A ciò si aggiungano sintomi non meno complessi, come la globalizzazione che sembra esporre la “vecchia” Europa (anche in senso demografico) alla competitività delle economie emergenti, le migrazioni, la destrutturazione delle culture tradizionali… Ecco qualche citazione dai più quotati leader “populisti” – etichetta semplicistica – come la francese Marine Le Pen, a capo del Front National (Fn). “Ben venga l’arrivo dei populisti al Parlamento europeo. Forse qualcuno ha paura del giudizio dei popoli?” ha recentemente affermato nell’emiciclo Ue. “Tutte le politiche comuni vanno contro gli interessi e la volontà dei popoli. Le elezioni 2014 saranno un referendum: sì alla Francia, no all’Europa”, ha tagliato corto. Da qui si scorge, fra l’altro, un limite alla futura capacità di alleanze tra euroscettici: perché al populismo si unisce spesso l’esaltazione della patria-nazione, e dunque ciascuno si sente differente e distante dagli altri.

La geografia europea dei populisti-nazionalisti mostra una diffusione pressoché omogenea: si va dalla Francia (Le Pen) al Regno Unito (il più noto è il Partito dell’indipendenza, Ukip, di Nigel Farage), dai Paesi Bassi (Partito della libertà, guidato da Geert Wilders) al Belgio (Vlaams Belang). Più a nord il fenomeno ha radici salde in Finlandia (Veri finlandesi), Svezia (Democratici svedesi), Danimarca (Partito del popolo).

Si rafforzano anche a est le posizioni anti-Bruxelles: Ungheria (Fidesz, al governo con il premier Orban; Jobbik), Bulgaria (Ataka), Romania (Grande Romania); ma l’elenco non può trascurare Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia. C’è poi una delle patrie del populismo, l’Austria, che anni fa aveva visto sbocciare il Partito della libertà, Fpö, dello scomparso Jörg Haider.

Più a sud ci sono l’Italia (Lega nord; Movimento 5 stelle) e la Grecia, forse la nazione maggiormente punita dalla crisi, che conta su un populismo “di destra” con il partito Alba dorata, e uno “di sinistra”, Syriza. Alle elezioni tedesche dello scorso settembre ha invece avuto discreta fortuna il partito contrario alla moneta unica, Alternative für Deutschland. E l’elenco potrebbe continuare.

Se in ogni Paese questi movimenti si esprimono con variegate parole d’ordine, è possibile evidenziare tratti riconoscibili e convergenti: una chiara propensione a valorizzare la sovranità nazionale a detrimento di qualsiasi percorso sovranazionale ed europeo; tanti “no”, no all’euro, a Schengen, all’allargamento Ue, così pure alle migrazioni, all’austerità. Non manca la riproposizione, talvolta equivoca, dei “valori tradizionali”: la terra, la famiglia, la patria e perfino la religione cristiana in chiave anti-islam. La demagogia populista – non di rado alimentata da leader nazionali inconcludenti e da mass media pigri nell’analisi sociopolitica – si scaglia dunque contro le istituzioni dell’Ue, facile capro espiatorio: un’Europa avvertita come lontana e inefficace, burocratizzata, accusata di legiferare sull’inutile e di attardarsi quando invece occorrerebbe essere solleciti nelle risposte ai bisogni dei cittadini. Accuse magari ingenerose, ma non del tutto prive di fondamento.

In questo senso, i “palazzi” della politica, a Parigi come a Londra, a Bruxelles come a Roma, Berlino o Varsavia, dovrebbero seriamente interrogarsi. Probabilmente a maggio un terzo o più dell’elettorato europeo farà riferimento al Front national, all’Ukip o al Vlaams Belang. I cosiddetti populismi pongono domande serie, ai Governi nazionali non meno che alla “casa comune” europea; domande che non possono essere eluse o liquidate con faciloneria. Questioni che sollecitano anche il mondo della cultura, le università, i giornali, le Chiese.

“I cristiani non sono esenti dal populismo”, ammoniva a fine 2010 un documento della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea). “Il populismo – aggiungevano i Vescovi – è l’opposto dell’idea di integrazione europea” ed “è assolutamente incompatibile con la vocazione universale della Chiesa”. Chiari punti fermi dai quali ripartire.

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Che cosa porteremo con noi di questo 2013 https://www.lavoce.it/che-cosa-porteremo-con-noi-di-questo-2013/ Fri, 20 Dec 2013 12:08:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21278 Questo numero de La Voce chiude l’anno. Avremmo voglia di riguardare dentro i giorni di questi dodici mesi che abbiamo avuto l’opportunità di vivere. Inclusa la perdita di alcuni amici. Comunque, di vivere gioie e dolori. Nessuno può farlo per conto di altri; tanto meno un giornale. Ognuno ha il suo conto e può fare il suo personale bilancio, senza delegare altri. La realtà di tutti e di ciascuno è sempre complessa e problematica, come è la natura e la condizione dell’uomo sulla Terra da sempre. Su alcune riflessioni possiamo però concordare. Il 2013 per il nostro Paese è stato un anno travagliato, pieno di discussioni aspre e senza possibilità di incontro – e non tra due opposte fazioni, ma tra tanti soggetti in lotta. Si sono messi in mezzo, da ultimo, anche i “forconi”. Senza voler banalmente semplificare la situazione, si deve porre attenzione alle radici del malessere. Ne citiamo alcune. La troppa ingiustizia esistente tra le persone: c’è chi ha troppo ed è troppo tutelato, e chi ha troppo poco e poco ascoltato e difeso. La seconda è l’incapacità di molti di capire che il mondo è cambiato e che la cosiddetta globalizzazione, comunque la si giudichi, è un fatto, non un’ideologia, e un fatto irreversibile. La moderazione e la pazienza di capire i segni dei tempi e ridisegnare con saggezza e umiltà le linee del futuro è l’atteggiamento necessario. Una terza radice è l’individualismo egoista di stampo materialistico ed edonistico, per cui si sacrificano valori profondamente umani e strutture basilari dell’esistenza sull’altare del consumo, dell’accumulo, di un mercato sfrenato, della soddisfazione propria ed esclusiva. Nella Chiesa quest’anno è stato segnato indelebilmente dalla vicenda dei due Papi, l’uno che è sceso dall’altissimo Soglio e l’altro che è salito, a modo suo, con uno stile del tutto nuovo, ed è diventato attore protagonista sulla scena del mondo. La Chiesa, a mio modesto parere, ha avuto una speciale grazia dello Spirito che la induce a rinnovarsi nel profondo, secondo il Vangelo. Per l’Umbria, quest’anno sarà ricordato per la visita di Papa Francesco. Una visita speciale perché, a causa di quel nome, ci siamo sentiti al centro della vicenda ecclesiale. Abbiamo avuto anche l’opportunità di consegnare personalmente al Papa due copie de La Voce con il resoconto della sua visita. Un anno da incorniciare per noi, che tra l’altro come giornale abbiamo compiuto 60 anni di vita. Restando in tema del Papa, riportiamo alcune righe dal Messaggio che ha inviato per la Giornata della pace  al n. 7: “Nell’anno trascorso, molti nostri fratelli e sorelle hanno continuato a vivere l’esperienza dilaniante della guerra… Molti sono i conflitti che si consumano nell’indifferenza generale. A tutti coloro che vivono in terre in cui le armi impongono terrore e distruzioni, assicuro la mia personale vicinanza e quella di tutta la Chiesa. Quest’ultima ha per missione di portare la carità di Cristo anche alle vittime inermi delle guerre dimenticate, attraverso la preghiera per la pace, il servizio ai feriti, agli affamati, ai rifugiati, agli sfollati e a quanti vivono nella paura. La Chiesa alza altresì la sua voce per far giungere ai responsabili il grido di dolore di quest’umanità sofferente e per far cessare, insieme alle ostilità, ogni sopruso e violazione dei diritti fondamentali dell’uomo”.

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Fraternità, fondamento e via di pace: il messaggio di papa Francesco per la Giornata per la pace https://www.lavoce.it/fraternita-fondamento-e-via-di-pace/ Fri, 20 Dec 2013 12:03:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21275 messaggio-paceE’ il primo messaggio che Papa Francesco invia per la Giornata mondiale della pace. Sul tema è stato detto molto, se non tutto, nel Concilio e nei messaggi inviati da Paolo VI che ha voluto questa Giornata (la prima volta il 1° gennaio 1968), e dagli altri Papi che si sono succeduti in questi 46 anni dall’inizio, senza contare la Pacem in terris (1963) di Giovanni XXIII. La curiosità di molti è sapere se e in che cosa si possa trovare un aspetto specifico della mentalità e dello stile del nuovo Pontefice. È risaputo che il nome di Francesco suona pace per vari motivi che è inutile ripetere tanto sono noti, ed egli, fin dalle prime righe del testo annuncia, “a tutti, singoli e popoli”, che la fraternità universale è il nuovo nome della pace. Chi legge ha da subito l’impressione di trovarsi di fronte a un documento importante, solido, pensato e studiato, quasi un piccolo trattato della relazione tra la pace e la fraternità. Questa è prima di tutto considerata una dimensione fondamentale e radicale di ogni essere umano, un anelito, un’aspirazione. L’uomo cerca i suoi fratelli e le sue sorelle, non può vivere da solo, la sua famiglia è l’intera umanità dentro la quale dovrebbe e vorrebbe sentirsi a casa sua, sicuro di non aver motivo di temere alcun male. È anche una vocazione: “Tale vocazione è però ancor oggi contrastata e smentita nei fatti, in un mondo caratterizzato da quella ‘globalizzazione dell’indifferenza’ che ci fa lentamente ‘abituare’ alle sofferenze dell’altro, chiudendoci in noi stessi”.

Semplice e diretto, il discorso di Francesco coglie il centro del problema ed evoca l’antica storia primordiale del fratricidio e dei motivi che l’hanno causato. Chiamati dall’unico Padre di tutti a vivere in pace tra loro, gli uomini si sono macchiati del sangue dei fratelli, sparso lungo tutta la loro storia. Il progresso e le trasformazioni sociali non migliorano il cuore umano. Anche la globalizzazione, ad esempio, “ci rende vicini ma non fratelli”. In essa convivono ingiustizie, sperequazioni, sfruttamento, individualismo, egocentrismo e consumismo, conflittualità tanto da dover sentire ancora oggi attuale la domanda di Dio a Caino: “Dov’è tuo fratello?” (Gen 4,9). Tale domanda non trova risposta se non nel cuore di chi crede e, considerato Dio come Padre di tutti, si fa discepolo di Cristo che ha abbattuto ogni muro di separazione tra gli uomini attraverso la sua croce, definita “il luogo definitivo di fondazione della fraternità che gli uomini non sono in grado di generare da soli”.

Papa Francesco ripropone l’insegnamento sulla pace e le condizioni che la rendono possibile come sono state indicate dai suoi predecessori: la pace come sviluppo, come solidarietà, come frutto della giustizia, come dovere di carità. Propone, tuttavia, con forza la condizione della fraternità come “fondativa” della pace: “Tutti sono amati da Dio, tutti sono riscattati da Cristo, morto in croce e risorto per ognuno. E questa è la ragione per cui non si può rimanere indifferenti davanti alla sorte dei fratelli”.

La dottrina sociale della Chiesa non è per Bergoglio un trattato di sociologia, di economia o di politica, ma sta dentro un concezione teologica e mistica e fa parte della evangelizzazione: “Non si tratta di una fraternità, indistinta e storicamente inefficace” – come quella proclamata nella triade illuministica della Rivoluzione francese, aggiungiamo noi – “bensì dell’amore personale, puntuale e straordinariamente concreto di Dio per ciascuno di noi”. Se vi fossero dubbi, Francesco ribadisce: “La solidarietà cristiana presuppone che il prossimo sia amato non solo come un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale uguaglianza davanti a tutti, ma come viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l’azione permanente dello Spirito santo”. Se è vero, dice Francesco, che la fraternità così intesa è “fondamento e via per la pace”, allora ne scaturiscono conseguenze pratiche coerenti nei vari ambiti della vita sociale. “La fraternità spegne la guerra”, aiuta a “custodire e a coltivare la natura”, si oppone alla “corruzione e al crimine organizzato” e si pone a servizio dell’utilità comune: “Il servizio è l’anima di quella fraternità che edifica la pace”.

Clicca qui per il testo integrale del messaggio di Papa Francesco per la Giornata della pace del 1° gennaio 2014.

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Coltivare la Speranza per vincere la povertà https://www.lavoce.it/coltivare-la-speranza-per-vincere-la-poverta/ Fri, 20 Dec 2013 10:40:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21263 assistenza-caregiverScoprirsi più poveri e continuare a sperare. Ecco l’Italia del 2013 e che si affaccia al 2014. Ma non solo l’Italia come Nazione, ma gli italiani come popolo, e i cattolici con loro. E insieme con la Chiesa italiana, Chiesa di popolo nei territori e accanto alle donne e agli uomini di questo Paese. Scoprirsi poveri, per milioni e milioni di italiani che non hanno memoria della povertà, che hanno vissuto nella sensazione che mai lo sarebbero diventati, convinti com’erano che fosse appannaggio dei sud del mondo, è stato ed è un autentico choc collettivo.

Diciamo la verità: dallo choc non ci siamo ancora ripresi. Al punto che continuiamo a raccontare storie di persone che per dignità celano la loro nuova condizione di disagio sociale. Pensionati e anziani, ma non solo. Anche giovani, a cui le famiglie non riescono a garantire più nulla di quanto sino all’altro ieri era certo. È giusto parlare dell’altro ieri perché all’alba del settimo anno di recessione siamo qui a sperare che lo 0,1% di ripresa del Pil possa assestarsi e invertire anche il sentimento popolare. Si chiama fiducia, ma per ora è merce rara. Anzi, abbonda la rabbia che ha messo in moto i forconi e che oscilla fra ribellismo e populismo. Entrambi nefasti per un Paese ordinato e civile. La verità è che non ci siamo preparati culturalmente e spiritualmente alla povertà. Abbiamo anche sperperato, non solo le nostre ricchezze (pensate solo allo sciupìo irresponsabile di risorse pubbliche ad ogni livello territoriale), ma anche i nostri talenti. L’illusione del progresso illimitato (grande feticcio dell’Illuminismo) contraddetto dalla dura realtà.

Ora è il tempo della rivincita del principio di realtà, nel quale il realismo cristiano ha tanto da dire e da dare. In questo incredibile 2013, è venuto un uomo “preso quasi dalla fine del mondo” che dal primo giorno della sua missione ci parla della povertà non come dannazione dell’umanità, ma come una sorella con la quale abituarsi a convivere perché “i poveri saranno sempre con noi”, ma aspettando da noi una parola di speranza. Quella di cui tutti abbiamo bisogno se vogliamo trovare dentro di noi le ragioni per garantire un futuro a noi stessi, alle nostre famiglie, alle nostre comunità e al nostro Paese. Papa Francesco non ha mai seminato facili illusioni. In questi mesi ha spalancato ancor più le porte della Chiesa, ma ha costruito la sua pedagogia dell’accoglienza e della misericordia sulla speranza della Salvezza portata da un Uomo di nome Gesù. Quanto scalpore hanno fatto alcune sue espressioni che ci introducevano alla consapevolezza della povertà: “nel sudario non ci sono tasche” o “la morte di un uomo non è una notizia, ma se si abbassano di dieci punti le borse è una tragedia!”. È la sua personale pedagogia (lui che ha scelto di vivere a pensione, invece che nell’appartamento papale) per la presa di distanza dalle cose in nome di una sobrietà e di una destinazione universale dei beni che la globalizzazione (soprattutto finanziaria) ha reso sempre più ardue. I cattolici italiani hanno capito bene la lezione.

In ogni angolo d’Italia le nostre comunità hanno dato nuovo slancio all’aiuto verso i vecchi e nuovi poveri. Molti Pastori hanno rivoluzionato le priorità delle loro chiese locali. Le emergenze sono tante, ma nessuno si è tirato indietro. Comunque bisogna fare e dare. Più pacchi viveri proprio mentre l’Europa taglia i suoi finanziamenti per gli acquisti di derrate alimentari da destinare ai poveri. Pazienza, dicono i nostri parroci durante le omelie, in qualche modo faremo. E chiedono aiuto alle famiglie che possono dare qualcosa. È il modo dei cattolici di non arrendersi alla povertà e di dividere quello che si ha. Storie analoghe vengono anche da altri Paesi europei dove la povertà morde. Ovunque i cattolici non si tirano indietro. Cosa li muove? La Speranza, solo la Speranza.

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Pace e fraternità. Il primo messaggio di Papa Francesco per la giornata per la pace https://www.lavoce.it/pace-e-fraternita-il-primo-messaggio-di-papa-francesco-per-la-giornata-per-la-pace/ Fri, 13 Dec 2013 16:04:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21056

papa-francesco-uscita-seraficoPace e fraternità. È il primo messaggio che Papa Francesco invia per la Giornata mondiale della pace. Sul tema è stato detto molto, se non tutto, nel Concilio e nei messaggi inviati da Paolo VI che ha voluto questa Giornata e dagli altri Papi che si sono succeduti in questi 46 anni dall’inizio, senza contare la “Pacem in terris” (1963) di Giovanni XXIII. La curiosità di molti è sapere se e in che cosa si possa trovare un aspetto specifico della mentalità e dello stile del nuovo Pontefice. È risaputo che il nome di Francesco suona pace per vari motivi che è inutile ripetere, tanto sono noti, ed egli, fin dalle prime righe del testo annuncia, “a tutti, singoli e popoli”, che la fraternità universale è il nuovo nome della pace. Chi legge ha da subito l’impressione di trovarsi di fronte a un documento importante, solido, pensato e studiato, quasi un piccolo trattato della relazione tra la pace e la fraternità. Questa è prima di tutto considerata una dimensione fondamentale e radicale di ogni essere umano, un anelito, un’aspirazione. L’uomo cerca i suoi fratelli e le sue sorelle, non può vivere da solo, la sua famiglia è l’intera umanità dentro la quale dovrebbe e vorrebbe sentirsi a casa sua, sicuro di non aver motivo di temere alcun male. È anche una vocazione: “Tale vocazione è però ancor oggi contrastata e smentita nei fatti, in un mondo caratterizzato da quella ‘globalizzazione dell’indifferenza’ che ci fa lentamente ‘abituare’ alle sofferenze dell’altro, chiudendoci in noi stessi”. Semplice e diretto, il discorso di Francesco coglie il centro del problema ed evoca l’antica storia primordiale del fratricidio e dei motivi che l’hanno causato. Chiamati dall’unico Padre di tutti a vivere in pace tra loro, gli uomini si sono macchiati del sangue dei fratelli, sparso lungo tutta la loro storia. Il progresso e le trasformazioni sociali non migliorano il cuore umano. Anche la globalizzazione, ad esempio, “ci rende vicini ma non fratelli”. In essa convivono ingiustizie, sperequazioni, sfruttamento, individualismo, egocentrismo e consumismo, conflittualità tanto da dover sentire ancor oggi attuale la domanda di Dio a Caino: “Dov’è tuo fratello?” (Gn 4,9). Tale domanda non trova risposta se non nel cuore di chi crede e, considerato Dio come Padre di tutti, si fa discepolo di Cristo che ha abbattuto ogni muro di separazione tra gli uomini attraverso la sua croce, definita “il luogo definitivo di fondazione della fraternità che gli uomini non sono in grado di generare da soli”. Papa Francesco ripropone l’insegnamento sulla pace e le condizioni che la rendono possibile come sono state indicate dai suoi predecessori: la pace come sviluppo, come solidarietà, come frutto della giustizia, come dovere di carità. Propone, tuttavia, con forza la condizione della fraternità come “fondativa” della pace: “Tutti sono amati da Dio, tutti sono riscattati da Cristo, morto in croce e risorto per ognuno. E questa è la ragione per cui non si può rimanere indifferenti davanti alla sorte dei fratelli”. La dottrina sociale della Chiesa non è per Francesco un trattato di sociologia, di economia o di politica, ma sta dentro un concezione teologica e mistica e fa parte dell’evangelizzazione: “Non si tratta di una fraternità, indistinta e storicamente inefficace” - come quella proclamata nella triade illuministica della Rivoluzione francese, aggiungiamo noi – “bensì dell’amore personale, puntuale e straordinariamente concreto di Dio per ciascuno di noi” (cf Mt 6,25-30). Se vi fossero dubbi Francesco ribadisce: “La solidarietà cristiana presuppone che il prossimo sia amato non solo come un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale uguaglianza davanti a tutti, ma come viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l’azione permanente dello Spirito santo”. Se è vero, dice Francesco, che la fraternità così intesa è “fondamento e via per la pace”, allora ne scaturiscono conseguenze pratiche coerenti nei vari ambiti della vita sociale: “La fraternità spegne la guerra”, aiuta a “custodire e a coltivare la natura”, si oppone alla “corruzione e al crimine organizzato” e si pone a “servizio” dell’utilità comune: “Il servizio è l’anima di quella fraternità che edifica la pace”.]]>

papa-francesco-uscita-seraficoPace e fraternità. È il primo messaggio che Papa Francesco invia per la Giornata mondiale della pace. Sul tema è stato detto molto, se non tutto, nel Concilio e nei messaggi inviati da Paolo VI che ha voluto questa Giornata e dagli altri Papi che si sono succeduti in questi 46 anni dall’inizio, senza contare la “Pacem in terris” (1963) di Giovanni XXIII. La curiosità di molti è sapere se e in che cosa si possa trovare un aspetto specifico della mentalità e dello stile del nuovo Pontefice. È risaputo che il nome di Francesco suona pace per vari motivi che è inutile ripetere, tanto sono noti, ed egli, fin dalle prime righe del testo annuncia, “a tutti, singoli e popoli”, che la fraternità universale è il nuovo nome della pace. Chi legge ha da subito l’impressione di trovarsi di fronte a un documento importante, solido, pensato e studiato, quasi un piccolo trattato della relazione tra la pace e la fraternità. Questa è prima di tutto considerata una dimensione fondamentale e radicale di ogni essere umano, un anelito, un’aspirazione. L’uomo cerca i suoi fratelli e le sue sorelle, non può vivere da solo, la sua famiglia è l’intera umanità dentro la quale dovrebbe e vorrebbe sentirsi a casa sua, sicuro di non aver motivo di temere alcun male. È anche una vocazione: “Tale vocazione è però ancor oggi contrastata e smentita nei fatti, in un mondo caratterizzato da quella ‘globalizzazione dell’indifferenza’ che ci fa lentamente ‘abituare’ alle sofferenze dell’altro, chiudendoci in noi stessi”. Semplice e diretto, il discorso di Francesco coglie il centro del problema ed evoca l’antica storia primordiale del fratricidio e dei motivi che l’hanno causato. Chiamati dall’unico Padre di tutti a vivere in pace tra loro, gli uomini si sono macchiati del sangue dei fratelli, sparso lungo tutta la loro storia. Il progresso e le trasformazioni sociali non migliorano il cuore umano. Anche la globalizzazione, ad esempio, “ci rende vicini ma non fratelli”. In essa convivono ingiustizie, sperequazioni, sfruttamento, individualismo, egocentrismo e consumismo, conflittualità tanto da dover sentire ancor oggi attuale la domanda di Dio a Caino: “Dov’è tuo fratello?” (Gn 4,9). Tale domanda non trova risposta se non nel cuore di chi crede e, considerato Dio come Padre di tutti, si fa discepolo di Cristo che ha abbattuto ogni muro di separazione tra gli uomini attraverso la sua croce, definita “il luogo definitivo di fondazione della fraternità che gli uomini non sono in grado di generare da soli”. Papa Francesco ripropone l’insegnamento sulla pace e le condizioni che la rendono possibile come sono state indicate dai suoi predecessori: la pace come sviluppo, come solidarietà, come frutto della giustizia, come dovere di carità. Propone, tuttavia, con forza la condizione della fraternità come “fondativa” della pace: “Tutti sono amati da Dio, tutti sono riscattati da Cristo, morto in croce e risorto per ognuno. E questa è la ragione per cui non si può rimanere indifferenti davanti alla sorte dei fratelli”. La dottrina sociale della Chiesa non è per Francesco un trattato di sociologia, di economia o di politica, ma sta dentro un concezione teologica e mistica e fa parte dell’evangelizzazione: “Non si tratta di una fraternità, indistinta e storicamente inefficace” - come quella proclamata nella triade illuministica della Rivoluzione francese, aggiungiamo noi – “bensì dell’amore personale, puntuale e straordinariamente concreto di Dio per ciascuno di noi” (cf Mt 6,25-30). Se vi fossero dubbi Francesco ribadisce: “La solidarietà cristiana presuppone che il prossimo sia amato non solo come un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale uguaglianza davanti a tutti, ma come viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l’azione permanente dello Spirito santo”. Se è vero, dice Francesco, che la fraternità così intesa è “fondamento e via per la pace”, allora ne scaturiscono conseguenze pratiche coerenti nei vari ambiti della vita sociale: “La fraternità spegne la guerra”, aiuta a “custodire e a coltivare la natura”, si oppone alla “corruzione e al crimine organizzato” e si pone a “servizio” dell’utilità comune: “Il servizio è l’anima di quella fraternità che edifica la pace”.]]>
Custodire l’umanità. Le “sottolineature” dell’economista e del teologo https://www.lavoce.it/custodire-lumanita-le-sottolineature-delleconomista-e-del-teologo/ Sat, 07 Dec 2013 16:43:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20975 Immagini dal convegno “Custodire l'umanità”
Relatori al convegno “Custodire l’umanità”

Per un’economia alternativa

di Pierluigi Grasselli
Come è ormai diffusamente denunciato, le gravissime difficoltà in cui ci troviamo sono dovute in gran parte all’operare di un’economia orientata al massimo profitto di breve periodo, e di una finanza dominata dalla ricerca di guadagni di natura speculativa. Nel corso dell’incontro sul tema “Custodire l’umanità, verso le periferie esistenziali” si è cercato di mettere in luce quelle forze, quei meccanismi, per lo più di marca neo-liberista, che agiscono in profondità, condizionando gravemente i nostri orientamenti, scelte e comportamenti. Il sociologo Mauro Magatti si è soffermato sulla “libertà di potenza”, una libertà che si associa a “volontà di potenza”, fondata sul potere crescente e pervasivo del connubio tra tecnica ed economia, manifestatasi in particolare negli sviluppi incontrollati e autoreferenziali della finanza (il finanz-capitalismo analizzato da Gallino, la deriva finanziarizzatrice del neoliberismo), culminati nel collasso del circuito degli scambi globali, nello “slegamento” delle relazioni economiche, istituzionali, affettive e nella perdita di significato, di senso del futuro (l’espansione come “festa dell’irrilevanza”).Il delirio della volontà di potenza ha slegato il rapporto economia-società, ha creato una società disumana, che cerca di cancellare l’impotenza (quale si manifesta nella povertà, nella malattia, nella vecchiaia). La nostra capacità e volontà di essere vicini all’uomo, mettendoci in relazione con l’altro e con l’Altro, è l’unico antidoto, secondo Magatti, ai deliri della prepotenza. La crisi è una grande opportunità, un’occasione storica per ritessere i rapporti violati, per una nuova crescita, per una nuova prosperità.

Anche il filosofo Rinaldo Fabris ha analizzato le gravi alterazioni del rapporto economia-società indotte dall’impiego delle nuove tecnologie, con particolare riferimento al ruolo assunto dal “sistema denaro”, sempre più immateriale e astratto, tale da sfuggire al controllo dell’Uomo, generatore di una profonda crisi delle relazioni sociali, misuratore del valore monetario attribuibile a ogni realtà (la deriva mercificatrice del neoliberismo), con sbocco obbligato nel consumo, e quindi nell’annullamento. Di qui l’esigenza di comprendere questi meccanismi devianti, e di recuperare, con ogni nostra energia, relazioni veramente umane.

L’economista Luigino Bruni pone in luce le differenze tra il capitalismo nordamericano, diffuso a livello globale, che si basa essenzialmente sulla diffusione del Mercato, e quello affermatosi in Italia, fatto prevalentemente di imprese familiari, piccole e medie, e di imprese cooperative, fondato su un forte intreccio tra economico e sociale. Bruni auspica la protezione e valorizzazione di quegli aspetti dell’attività economica che vanno a promozione delle persone e dei rapporti tra esse, contrastando povertà ed esclusione sociale, che si fondano sul dono e sulla reciprocità, che difendono e sostengono i beni comuni, che pongono un limite all’estensione del mercato ed alla mercificazione. Praticare rapporti autentici e sinceri con gli altri, in spirito di fraternità: anche per Bruni, questo è presupposto essenziale per custodire efficacemente l’umanità.

 

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Quel “di più” in senso orizzontale e verticale

di Mons. Fausto Sciurpa

Molteplici suggestioni per riflettere ha offerto il convegno “Custodire l’umanità”. Le diverse prospettive convergono verso il recupero di un più di umanità. Un più non in senso quantitativo, un più di potenza che di fatto si trasforma in prepotenza (Magatti), ma in senso relazionale.

Relazione orizzontale, per una civiltà del vivere insieme, in una dinamica che, pur dentro il fenomeno della globalizzazione, sia capace di ritrovare la profondità della stabilitas loci, lo spazio stabile della propria comunità (Riccardi), ricca della densità dei vissuti della gente (Bagnasco).

Relazione verticale, ove la dimensione dell’Oltre, della trascendenza, riscatti l’uomo dal “cattivo infinito”, in realtà ripiegamento ossessivo su di sé, senza prospettiva (Pessina), se non una deriva nichilista (Fabris).

La dimensione della trascendenza da riscoprire anche nell’immanenza (Givone, Verdon), diventa la domanda provocatoria del non-credente al credente: se la fede si traduce solo in caritas – che, per il credente, è comunque lo sguardo e il cuore di Dio che si fa attenzione vicinanza all’uomo (Bagnasco) – dove sta la differenza con quanti, pur non credenti, avvertono la vicinanza all’uomo nel suo dolore (Natoli)?

Nella domanda ci sembra di scorgere il bisogno, la nostalgia di uscire da una dimensione solo orizzontale, per non perdere il senso del mistero dell’uomo e di Dio. In maniera suggestiva, da alcuni considerata troppo poetica, lasciandosi forse sfuggire la forza evocatrice della provocazione, questo senso del mistero è fatto balenare nella contrapposizione tra un’apparenza povera di presenza (il mondo digitale) e una presenza povera di apparenza, quella dell’eucarestia (Hadjadj), presenza che è vicinanza (Incarnazione) e lontananza, trascendenza che immette in una Presenza che, mentre sfugge, avvolge di tenerezza.

Altri temi importanti per la vita etica, sociale, economica, politica sono stati toccati, legati alle trasformazioni di costume e di strutture; ma si aprirebbe un altro capitolo di riflessione.

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Custodire l’umanità. I temi trattati al convegno https://www.lavoce.it/custodire-lumanita-i-temi-trattati-al-convegno/ Mon, 02 Dec 2013 20:11:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20895 Immagini dal convegno “Custodire l'umanità”
Immagini dal convegno “Custodire l’umanità”

«Papa Francesco ricorda con molta insistenza che il Vangelo è seme di umanesimo nella storia. Bisogna che riemerga questa potenza umanizzante del Vangelo per il mondo di oggi e il Convegno di Assisi, con i suoi numerosi e autorevoli relatori, offre questa forza umanizzante del Vangelo in preparazione del V Convegno nazionale della Chiesa italiana dedicato al tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” , che si terrà a Firenze nel novembre 2015». A dirlo, a margine della sua “lezione inaugurale” (il testo integrale della relazione), è stato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, intervenendo all’apertura del Convegno “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali”, che si è tenuto il 29 e 30 novembre a Santa Maria degli Angeli in Assisi (Teatro Lyrick). Il convegno era poromosso da Conferenza episcopale umbra (Ceu), Progetto Culturale della Cei, Università degli Studi e per Stranieri di Perugia.
Il tema scelto per questo importante evento culturale, ha evidenziato il cardinale, «riprende quanto il Santo Padre Francesco ha annunciato all’inizio del suo Pontificato, e che richiama alla Chiesa universale con parole e azioni».
«Come discepoli per grazia, ma anche in quanto persone, siamo chiamati a prenderci cura dell’umanità là dove vive – ha proseguito il presidente della Cei –. Ci si addentra n

elle periferie – termine riccamente evocativo – non con una strategia di assalto, ma con la temperatura del cuore. Siamo qui per questo: ogni altra ottica sarebbe offensiva. Ma che cosa sono le “periferie”? Da un punto di vista sociologico sono i luoghi fuori dal “centro” della città; in senso più ampio, lontani dal potere, dagli apparati delle decisioni. Ma, intermini  più radicali e universali, le periferie sono i luoghi e le situazioni di lontananza dal centro più profondo dell’umano che è la verità, l’amore, la giustizia. Quando si vive vicini a questo centro allora si è centrati, e le altre distanze sociologiche diventano secondarie. Viceversa, quando siamo decentrati rispetto al bene e alla verità, all’amore a alla giustizia, allora vivere nel centro del potere, del successo, della salute, non cancella il nostro essere dolorosamente periferici rispetto a ciò che vale».

Alla sessione di apertura del Convegno sono intervenuti, oltre al cardinale Angelo Bagnasco, l’arcivescovo di Assisi e vice presidente della Ceu mons. Domenico Sorrentino, il vescovo di Città di Castello mons. Domenico Cancian, delegato Ceu per la Commissione regionale dei Problemi sociali e il Lavoro, la Giustizia e la Pace e la Salvaguardia del Creato, e Vittorio Sozzi, del Progetto Culturale della Cei.
Mons. Sorrentino ha evidenziato che «custodire l’umanità tocca il nostro vissuto, ha a che fare con le nostre preoccupazioni più radicali e le nostre speranze più vive, e ci spinge a misurarci senza paura con il rischio che forse per la prima volta l’umanità corre in modo così vasto e globale: quello di smarrire la sua identità». Interessante il riferimento del presule al  Cantico delle Creature di san Francesco da cui si sviluppa anche quell’orizzonte attuale sul creato. «Un cantico che è una preghiera di grande profilo umanistico – ha detto mons. Sorrentino – è posto nell’inclusione tra due prospettive umanistiche, che inseriscono la contemplazione della creazione dentro una cultura del dono e una cultura della speranza di cui abbiamo assolutamente bisogno per custodire la nostra umanità».
E’ stato quindi mons. Cancian a sottolineare nel suo saluto il senso plurimo  del verbo custodire che «evoca chiaramente la dimensione contemplativa dell’uomo che trova la sua massima espressione in Maria».

«Custodire è anche accogliere con attenzione e rispetto – ha aggiunto mons. Cancian –, meditare e cercare di comprendere, essere consapevoli di avere in dono qualcosa di Santo e di sacro che non può essere perduto, trascurato, usato a piacimento, consumato secondo il principio narcisistico dell’usa e getta. Tale atteggiamento del custodire è riferito al Creatore, all’umanità specie dei più deboli e fragili, quelli che papa Francesco chiama le periferie esistenziali».

Sozzi ha ricordato come «l’impegno culturale della comunità cristiana non può mai limitarsi ad una semplice analisi sociologica o all’applicazione di categorie ideologiche, ma si caratterizza come vero e proprio servizio all’uomo: un servizio che rianima la speranza e apre prospettive impensate».

Facendo riferimento all’attuale momento di crisi che, come ha ricordato papa Francesco, sembra generare rassegnazione e pessimismo,  Sozzi ha sottolineato che «se la crisi è affrontata con un giusto discernimento può diventare momento di purificazione e di ripensamento dei modelli economico-sociali per recuperare l’umanità in tutte le sue dimensioni».

Nella seconda sessione della mattinata sul tema “Quale modernità 
post-secolare?” sono intervenuti  Andrea Riccardi, Salvatore Natoli e mons. Bruno Forte.

Andrea Riccardi docente di Storia Contemporanea all’Università di Roma Tre e già ministro della Repubblica,  ha proposto interessanti spunti di riflessione sul tema “I cristiani e la globalizzazione”.Il lungo processo  della modernità ha messo in campo le molte opportunità legate alla globalizzazione ma con esse le tante problematiche socio-economiche e culturali. «Un effetto della globalizzazione – ha detto Riccardi – è la crescita del senso individuale della vita, che ha allentato legami sociali e ha sradicato movimenti di massa. E’ la crisi di tante forme comunitarie e la forma normale di vita diventa individuale. Di contro si sviluppa l’insicurezza, il mondo appare multipolare».

Andrea Riccardi ha anche parlato di scontro di civiltà, dei rapporti con l’Islam, di altre globalizzazione che si sono verificate nel passato: «a sua maniera il cristianesimo nasce come globalizzazione al di là delle frontiere etnico-linguistiche-culturali». La globalizzazione è un avvenimento che non ha trovato i cristiani impreparati «nella globalità del Concilio ed extra  Concilio si comincia  a vivere con gli altri in un mondo complesso in cui matura una teologia positiva dell’altro – ha aggiunto Riccardi –. Nel Concilio c’è il ripensamento di quello che vuol dire missione per un cristianesimo in un mondo globale e diverso: estroversione oltre le frontiere tradizionali, il contrario di un arroccamento. La Chiesa è una globalizzazione fondata sulla comunione di fede. E’ connaturato al cristianesimo la prossimità umana fondata sulla gratuità, prossimità ai poveri, comunione tra le persone sono valori irrinunciabili.

Politiche della felicità: giustizia e beni comuni” è stato il tema trattato dal prof. Salvatore Natoli, docente di Filosofia teoretica all’Università di Milano Bicocca. «Il processo di secolarizzazione ha portato nella modernità europea ad una progressiva perdita di riferimento alla trascendenza. Oggi ci troviamo in un passaggio d’epoca che definirei secolarizzazione della secolarizzazione, dall’attesa della fine dei tempi si è passati al tempo senza fine cercando di rendere migliore il dimorare degli uomini sulla terra e verso il raggiungimento della felicità massima. Ma sono necessarie politiche finalizzate alla giustizia e beni comuni nel distribuire equamente la ricchezza e salvaguardare la terra. In questo contesto il cristianesimo è ancora attuale con il suo messaggio d’amore e di carità ed in questo riesce ad essere influente e su questa strada è il suo futuro possibile».

A chiudere la sessione è stato l’intervento di mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e apprezzato teologo, sul tema “Custodire l’umanità oltre l’utopia e il disincanto. L’umanesimo cristiano alla prova del post-moderno”.  Dal totalitarismo della ragione moderna alle ideologie nichiliste, il trionfo del soggetto e della ragione nel disconoscimento della trascendenza portano alla ricerca di vie altre per l’uomo nel rapporto con l’Assoluto, nella sua condizione filiale «la proposta dell’umanesimo cristiano – ha detto mons. Forte – s’incontra oggi con modelli diversi di umanesimo che ispirano tante opzioni speculative e stili di vita. Un primo modello è quello dell’umanesimo religioso aperto alla trascendenza  come condizione che rende autentica ogni esperienza religiosa e che va rispettata in ogni forma di ricerca del divino. Un secondo modello potrebbe essere quello aperto alle questioni ultime, ma non coniugate ad un’esplicita opzione di fede anche se aperte al dialogo e alla ricerca comune. Un terzo modello di umanesimo è costituito dal cosiddetto pensiero debole, cioè che si chiude pregiudizialmente alla possibilità del trascendente e alle domande che lo riguardano. Certamente la proposta cristiana si pone come critica nei confronti di questo pensiero».

«In questo la proposta cristiana si offre come un nuovo umanesimo – ha concluso mons. Forte – proprio per la sua forza di suscitare novità di vita nell’accoglienza del dono “dell’altro”. Ai cristiani è richiesta una perenne novità di vita, e con essi ai credenti di altre fedi, ai non credenti in ricerca, agli indifferenti. Nei loro confronti è richiesto uno stile di annuncio fatto di presenza irradiante nella fede e nella carità, tale da suscitare l’amore più grande senza violentare il cuore dell’uomo».

Alla prima sessione pomeridiana dedicata a “Economia e società”, sono intervenuti gli accademici Mauro Magatti, docente di Sociologia all’Università Cattolica di Milano, di Luigino Bruni, docente di Politica economica alla Lumsa di Roma, e Adriano Fabris, docente di Filosofia morale all’Università di Pisa.
Magatti ha aperto il suo intervento facendo un excursus sulla crescita economica dal secondo dopoguerra ad oggi, che «il processo di accumulazione, coinvolgendo nuovi strati sociali, ha virato verso una progressiva socializzazione». La corsa all’accumulazione, ha ricordato il docente, ha avuto già negli anni ’70 il suo culmine rispetto a un termine più lungo che era stato programmato. Da qui la crisi mondiale che oggi si vive. Oggi «la mera espansione finanziaria non può costituire la via principale dell’accumulazione capitalistica, ma è necessario un ampliamento della base produttiva, o meglio di creazione del valore. Un contributo importante dovrà avvenire da nuove forme di accumulazione sociale e culturale, ossia la cura dei luoghi e delle persone patrimonio di intelligenza e creatività da cui si può sprigionare quel nuovo valore di cui le società sono alla ricerca».

Bruni si è soffermato sul concetto della «custodia dell’umanità» che «oggi passa anche per certi versi soprattutto dalla custodia dei beni comuni». La sua relazione ha trattato, da una prospettiva economica, in particolare, «le peculiarità della custodia dei beni comuni, dove il rapporto più cruciale non è tanto né soprattutto quello tra le persone e i beni, ma i rapporti interpersonali per i quali è richiesta una razionalità più sociale e meno strumentale rispetto a quella oggi nelle scienze economiche».

Fabris ha incentrato il suo intervento sul denaro «come forma di relazione degli esseri umani fra loro» e come questo rapporto abbia modificato rapporti socio-economici. «Il denaro oggi – ha detto il docente – si è fatto virtuale, autoreferenziale: è uno dei modi in cui si attua l’autoaffermazione delle nuove tecnologie provocando conseguenze sbagliate e ingiuste». L’evoluzione in positivo dell’attuale crisi economica è nella critica dell’attuale modo di agire e «nel promuovere, attraverso il giusto uso del denaro, relazioni buone».

Nell’ultima sessione della prima giornata sono intervenuti Philip Jenkins, docente di Storia alla Baylor University (Usa), mons. Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico emerito di Aleppo, Franco Vaccari, docente e fondatore di “Rondine-Cittadella della Pace” (Arezzo) e l’ambasciatore palestinese a Londra Manuel Hassassian, docente di Scienza politica all’Università di Betlemme.

Il professor Jenkins ha sostenuto che, «per quanto riguarda le situazioni di conflitto e violenza del mondo contemporaneo, prevalentemente situate nel Medio Oriente islamico, ma anche nell’Asia orientale, si prospetti un possibile futuro di pace e di parallela diminuzione dell’estremismo. Ciò attraverso l’europeizzazione dell’Islam in corso, visibile anche nel mutamento della concezione della donna che, combinata con un processo di secolarizzazione, condurrà nel breve termine alla riduzione di violenza e conflitti. Questa secolarizzazione incrementerà però, nel lungo periodo, individualismo e atomizzazione della società».
«Nei conflitti in cui lo scontro sarà tra le ambizioni degli Stati, da una parte e la difesa dei diritti dell’ individuo e delle comunità dall’altra – ha evidenziato il docente statunitense –, i gruppi e le istituzioni religiose giocheranno un ruolo fondamentale affrontando il bisogno urgente di definire e difendere questi diritti. In ciò i cristiani  troveranno una causa comune con le altre fedi, inclusa l’Islam. Il conflitto si trasformerà dunque in una sfida culturale non violenta tra valori religiosi e valori secolari».

Mons. Nazzaro ha ripercorso le tappe della storia siriana riportando l’esperienza vissuta in prima persona a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Egli ha messo in luce come le varie culture religiose avevano imparato a convivere come «figli della stessa patria con tradizioni diverse» fino al marzo 2011. Mons. Nazzaro ha sostenuto che «i conflitti scoppiati in seguito alla Primavera Araba non siano da considerarsi una guerra civile tra musulmani e cristiani, come risulta il più delle volte dall’informazione dei media, ma piuttosto una guerra tra l’esercito e le frange di al-Qaeda».
L’ambasciatore Hassassian, ricollegandosi all’intervento del professor Jenkins, ha manifestato il proprio ottimismo per quanto riguarda la risoluzione del conflitto arabo-israeliano, «a condizione che la pace non venga imposta come “diktat” da parte di Israele come avvenuto in passato, ma come effettiva trattativa mediata dall’intervento dell’Unione Europea».

Il professor Vaccari ha portato l’esperienza costruttiva di pace di “Rondine”  intervenendo sul tema “Guarire le relazioni per giungere alla pace”, in particolare soffermandosi sulle tante “periferie del mondo”. «Non solo nei territori di guerra – ha evidenziato Vaccari –, ma in ogni società succedono crescenti disarticolazioni ad ogni livello sociale cultuale, politico, umano, della relazione e quindi la disarticolazione del tessuto sociale crea milioni, miliardi di periferie e il cuore e la mente diventano deserto piano piano, si desertifica l’umanità. Dobbiamo costruire una cultura nuova della relazione con l’altro e dentro questa relazione forte, la persona si può ritrovare, esprimere il dolore, superare il conflitto e ricostruirsi».
Soffermandosi poi sul concetto che «la relazione ha un aggettivo forte, che è la custodia», Vaccari ha detto: «noi a “Rondine”, infatti, viviamo un laboratorio di custodia reciproca quotidiana: i giovani che vengono qui dai luoghi di guerra accettano la sfida per vedere se lontano dalla propaganda che avvelena il cuore e la mente possono custodirsi reciprocamente, da nemici diventare amici. L’israeliano accoglie alla stazione il palestinese e lo porta a Rondine come suo custode e viceversa. Questa è l’esperienza che dice che la strada di una relazione ricompresa ed educata è la via per la risoluzione di ogni tipo di conflitto».

Alla relazione di Vaccari è seguito un breve ma significativo intervento di un giovane israeliano ospite di “Rondine”, che ha affermato: l’esperienza di convivenza é riuscita ad abbattere il «muro non solo fisico ma anche mentale» che divide gli israeliani dai palestinesi, portandoli entrambi e considerarsi semplicemente come amici.

SECONDA GIORNATA
La prima sessione era dedicata ai destini delle utopie del Novecento e alla famiglia con i contributi di Lucetta  Scaraffia, docente di Storia Contemporanea all’Università La Sapienza di Roma,  Roberto Volpi, statistico e saggista, e  Adriano Pessina, docente di Filosofia morale all’Università Cattolica di Milano.

Scaraffia ha affrontato il tema della rivoluzione sessuale come crisi di un’utopia e uno degli effetti della secolarizzazione e dei cambiamenti della morale legata alla sessualità:  “E’ stata una delle trasformazione più grandi in Occidente, un cambiamento che ha inciso sulla morale sessuale, abbandonando  quella cristiana verso altre vie. Sono cambiati molti da allora i rapporti tra i sessi, le modalità del concepimento separando la procreazione dalla libertà della vita sessuale”. Una delle conseguenze maggiori di questa rivoluzione è stata a scapito della famiglia: “ Liberi da ogni morale sessuale, la famiglia orienta le sue scelte in modo diverso specie in riferimento ai figli, che sono voluti e si sceglie quando farli nascere ritenendo che i figli voluti crescono meglio, guardando  quindi alla qualità rispetto alla quantità.

Cresce una propaganda armonistica a favore dalla coppia e della famiglia, che considera il cattolicesimo contro la felicità umana.  Oggi possiamo dire che erano ideologie infondate e troppo sbandierate e gli effetti propagandati non si sono verificati per la famiglia e le difficoltà hanno colpito le famiglie disagiate”. In conclusione gli aspetti positivi di questi grandi cambiamenti: “Oggi si possono affrontare i problemi sessuali con maggiore serenità – ha detto Scaraffia – si ha un maggiore rispetto delle ragazze madri, il rispetto per il corpo femminile e la condanna di ogni forma di violenza sulle donne.  La Chiesa ha chiarito meglio la sua posizione su questi temi e operato per il bene dell’essere umano”.

Della questione antropologica familiare si è occupato Volpi tracciando un quadro storico sociale della famiglia tradizionale che ha espresso il massimo della sua forza nel periodo dal secondo dopoguerra alla fine degli anni Sessanta. “Tutti si sposavano in giovane età – ha detto Volpi – e in chiesa. La famiglia era lo strumento per farsi strada, era fatta di grandi progetti, per aspirare a un futuro migliore. Era biglietto d’ingresso nella società adulta,  uno strumento con cui aggredire la realtà. Non si aspettavano traguardi per costruire la famiglia, ma semplicemente si andava”. La situazione attuale sembra invece portare ad una rivoluzione fallimentare della famiglia, passata da un atteggiamento sociale di tipo aggressivo a difensivo. E i numeri parlano chiaro con la decrescita demografica, con l’invecchiamento della popolazione dove 1 persona su 6 s trova nella fascia tra gli 0 e i 17 anni mentre  12 milioni sono gli over 65 su un totale di 60 milioni. “Una famiglia stanca e decrepita dove mancano i ragazzi che sono il collante delle famiglie con la società – ha detto Volpi -. Si è scavato un fossato nella concezione della famiglia sulla quale pesano quattro elementi: il divorzio sulle trasformazioni della famiglia, l’università di massa, la forte terziarizzazione dell’economia e il bassissimo grado di mobilità sociale  specie in Italia. Sono cresciute le famigli uni personale al 30 per cento  e calano le coppie con figli il cui modello è quello prevalente del figlio unico”.

Una riflessione sull’uomo come capitale umano posto al centro del mercato biotecnologico che permette nuove forme di benessere personale è stato il tema dell’intervento di Adriano Pessina. “E’ impensabile conservare l’uomo così, perché il dibattito sul potenziamento dell’uomo si salda ormai con il superamento della condizione e della natura umana – ha detto Pessina -. In questo s’inserisce la possibilità per l’uomo di progettare la propria vita, il desiderio di un benessere che porti alla felicità ma che stride con l’insoddisfazione della condizione umana di oggi. Le  modifiche  genetiche, le migliori intelligenze aiutate dalla scienza che dipendono dal mercato portano sempre più ad un soggettivismo solipsistico. L’uomo deve fare i conti però con la propria finitezza. Del resto il finito e l’infinito si sono riconciliati nella persona di Cristo e questa è la sola strada del nuovo umanesimo”.

Alla seconda sessione dedicata a “L’uomo, l’arte e il sacro” hanno relazionato mons. Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore (Firenze), e  Sergio Givone, docente di Estetica all’Università degli Studi di Firenze.

Mons. Verdon ha proposto una riflessione sulla «funzione dell’arte sacra cristiana» a partire dagli affreschi di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi. Giotto, che rappresenta l’epoca in cui l’espressione artistica era indissolubilmente legata alla sfera cristiana, ci propone l’uomo Francesco come colui che «pregando percepisce nel cuore la forza del linguaggio divino». Linguaggio divino che si fa pane e si confonde nel «puzzo dei bassi fondi dell’Urbe» nella famosa Vocazione di San Matteo del Caravaggio: il linguaggio dell’artista è «efficace come indagine religiosa» per quanto sconcertante per il pubblico cristiano dell’epoca. L’arte va quindi verso la visione di Cristo «come l’anti-eroe» per eccellenza (Rembrandt), Colui che va a cercare l’uomo nella sua «periferia esistenziale». Ma, col passare dei secoli fino alla società odierna, «il genere umano, reso insensibile dal benessere, immobilizzato dai piaceri», reputa «politicamente scorretto e addirittura offensivo» realizzare opere che facciano chiara allusione a Cristo (Wallinger) o alla fede in genere. Ma ciò che di fatto emerge dalle opere degli artisti di oggi è una «ricerca spirituale focalizzata sull’uomo ma paradossalmente priva di Dio» (Viola), in cui «traspare tuttavia, anche se in maniera confusa, la sete di salvezza, la fame di senso e di vita vera». «La Chiesa – ha concluso mons. Verdon – con la sua millenaria tradizione di bellezza, deve andare incontro all’uomo» e noi cristiani siamo chiamati a «rispondere a quanti sperano da noi qualcosa dell’arte del vivere evangelico».

Givone ha ricordato come «a partire dai secoli  XV-XVI il processo di secolarizzazione sembra allontanare l’arte dal sacro. Se in passato “la penna dei profeti riusciva ad intingersi nell’essenza del divino”, successivamente l’uomo ha dovuto confrontarsi con la natura, come dimostra la teoria di Galileo Galilei riguarda alla «secolarizzazione della Natura». Nel contempo, ha sostenuto il docente, «emergono teorie e tecniche che ripropongono un’ idea dell’arte in cui il sacro ricopre un ruolo preponderante: la tecnica della prospettiva lineare, a partire da Masaccio, la teoria vichiana del singolo, la poetica di Bach del contrappunto ( l’arte della fuga), ma anche in epoca contemporanea nella visione del sociologo Adorno, nello scrittore Joyce e nell’artista Kandinskij».

La prima sessione del pomeriggio “Per un bilancio del cattolicesimo politico in Italia”, ha visto intervenire due docenti universitari di Storia contemporanea, Ernesto Galli della Loggia e Agostino Giovagnoli.

Galli della Loggia ha fatto un excursus storico dell’impegno dei cattolici italiani nella vita politica e istituzionale del Paese dal Risorgimento ad oggi, evidenziando il loro fondamentale contributo nei momenti più difficili della storia d’Italia. Inoltre, non ha tralasciato anche i momenti molto forti di tensione tra la Chiesa e gli stessi cattolici impegnati ad iniziare, come l’ha definito lo stesso docente, dal «padre unico della Repubblica italiana, Alcide De Gasperi».
Galli della Loggia ha ricordato l’impegno, universalmente riconosciuto, dei cattolici e della stessa Chiesa italiana nella Resistenza al nazifascismo, definendo la Chiesa «socio fondatore della Repubblica». Soffermandosi sull’odierna società italiana «corrotta fino al marciume», lo storico ha sostenuto che «per rimuovere questo marciume occorre mettere insieme uomini di buona volontà, piuttosto che riorganizzare un partito cattolico».
A margine del suo intervento, Galli della Loggia ha sostenuto che: «non si costruisce la politica sulla fede, ma la fede può produrre l’entusiasmo necessario per animare la politica che si costruisce intorno a delle ideologie e a dei valori».

Giovagnoli ha centrato il suo intervento sul bene comune alla luce del magistero di papa Francesco che «ha sviluppato un originale riflessione sul tema dell’amicizia politica, quale via privilegiata per realizzare una dinamica di sviluppo al servizio di tutti per contrastare la conflittualità esasperata favorita dall’individualismo consumista».
«Nell’ottica del bene comune – ha evidenziato Giovagnoli –, il contributo dei cattolici si è sviluppato in forme diverse nelle varie fasi della storia italiana, contribuendo alla formazione di una comune coscienza nazionale nel periodo risorgimentale. Nel secondo dopoguerra, i cattolici hanno assunto in modo prioritario l’impegno per il bene comune con una politica inclusiva sotto il profilo economico, sociale e culturale. Negli ultimi decenni tale azione si è progressivamente indebolita all’interno di una più generale crisi della politica nel contesto della crescente conflittualità».
«Oggi i cattolici – ha concluso il docente – sono chiamati ad impegnarsi non nell’ottica di una crescente esasperazione dei conflitti, ma al servizio di una vasta visione strategica per un’azione condivisa nel perseguimento del bene comune nazionale ed internazionale».

Alla Sessione conclusivaL’Occidente e il mondo contemporaneo. Analisi e prospettive”, coordinata da Giovanni Maria Vian, direttore de «L’Osservatore Romano», sono intervenuti il professor Fabrice Hadjadj, scrittore e filosofo, che ha relazionato sul “potere tecnologico e povertà evangelica”, offrendo ampi spunti di riflessione sull’odierna «crisi radicale dell’umanesimo», e l’arcivescovo mons. Gualtiero Bassetti, presidente della Ceu e vice presidente della Cei.
Mons. Bassetti, nel «tirare le fila» del Convegno, non ha esitato a definirlo straordinario e sorprendente: sia per la qualità degli interventi, che per la grande risonanza di pubblico che ha avuto questo convegno. Per questo motivo non posso che iniziare ringraziando calorosamente tutti i relatori e il pubblico numerosissimo che è venuto qui ad Assisi anche da fuori regione e che ha dimostrato, in questa due giorni, un’attenzione costante: ho notato che moltissimi scrivevano prendendo appunti e sono tantissimi coloro che ci hanno già richiesto gli atti».
«Voglio ringraziare anche tutte le associazioni e le realtà ecclesiali della regione che hanno aderito con entusiasmo a questa iniziativa – ha proseguito il suo intervento mons. Bassetti il cui testo integrale è consultabile sul sito www.chiesainumbria.it –. Un’iniziativa complessa e molto impegnativa che è stata realizzata grazie allo sforzo progettuale di alcuni giovani intellettuali supportati, con grandissima partecipazione e competenza, da un gruppo di giovanissimi volontari, per lo più studenti, che hanno dato tutto se stessi per il successo di questa iniziativa. E ringrazio, infine, non certo ultimo per importanza, il Signore che ha permesso tutto questo. Che ha fatto sì che, attraverso percorsi inattesi e inesplorati, per due giorni, qui ad Assisi, alcuni tra i più importanti intellettuali laici e cattolici del nostro Paese, e non solo, si incontrassero e dialogassero intorno alle parole di papa Francesco: “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali”».

«Questo incontro – ha evidenziato il presule – è il frutto di un’assunzione di responsabilità da parte di quanti hanno la piena consapevolezza di vivere all’interno di un eccezionale e delicatissimo periodo di transizione storica. Oggi, stiamo vivendo un momento di passaggio epocale, caratterizzato da profondi mutamenti culturali, geopolitici ed economici che, velocemente e bruscamente, stanno ridisegnando la geografia morale e culturale del mondo in cui viviamo. Molti degli interventi di questi giorni sono partiti proprio da questo assunto di fondo».
«La grande narrazione del tempo presente – ha detto mons. Bassetti – è caratterizzata dal paradigma della “crisi economica” a cui si aggiunge quello dell’agonia e del “declino” del mondo occidentale. Un declino, secondo alcuni ineluttabile, i cui effetti sarebbero sotto gli occhi di tutti: il rallentamento della crescita economica e l’aumento dei debiti pubblici degli Stati si legano, inesorabilmente, con l’invecchiamento progressivo della popolazione e con l’aumento di comportamenti antisociali. Il magistero della Chiesa cattolica ormai da anni insiste, giustamente, nel ritenere che alla base di questa lancinante crisi economica si colloca una profonda crisi morale dell’uomo moderno…, che vive in un indefinito e opprimente presente, con sempre meno consapevolezza del proprio passato e della propria storia e, di conseguenza, con sempre meno capacità di proiettarsi nel futuro.
«Uno dei fattori più inquietanti, preoccupanti e più drammatici di questa difficilissima crisi morale-economica – ha proseguito mons. Bassetti – è proprio questa rottura del patto tra le generazioni, tra i vecchi e i giovani, che di fatto sta scaricando dolorosamente il peso maggiore della crisi sui nostri figli e sui nostri nipoti. Nessuno di noi è immune da responsabilità. Ognuno di noi ha il dovere di domandarsi il perché di questa situazione».

«I dati pubblicati ieri dall’Istat sul tasso di disoccupazione giovanile in Italia – sottolineato il presule – lasciano sgomenti: il 41% dei giovani non ha un lavoro. È il dato peggiore dal 1977 ad oggi. Come non capire che dietro queste statistiche terribili si celano, non tanto e non solo dei dati economici, ma un drammatico vuoto esistenziale, una funesta rottura antropologica nel rapporto di scambio tra genitori e figli? Questa consapevolezza della crisi morale-economica della nostra società non deve, però, in alcun modo, farci perdere la speranza e farci distogliere lo sguardo dalla bussola della nostra vita, che è sempre indubitabilmente Cristo».
Poi mons. Bassetti si è soffermato sul «gesto che ha smosso la storia» nel 2013, le dimissioni di Papa Benedetto XVI, definendole «un gesto di cui non si può non sottolineare l’umiltà, la libertà e la fede profondissima. Un gesto a cui noi oggi guardiamo con ammirazione, devozione e gratitudine. Un gesto, dicevo, che ha mosso la storia, che ha aperto strade nuove e inaspettate, come l’arrivo di un nuovo pontefice “preso dalla fine del mondo” e che, tra le moltissime novità che si potrebbero sottolineare, ha preso, per primo, il nome del poverello d’Assisi, San Francesco. Questo tempo, dunque, non è soltanto un tempo segnato dalla crisi economica, ma è indubbiamente un tempo favorevole, è un kairòs, un tempo nel quale accogliere la grazia di Dio e i segni dei tempi di cui ci ha parlato il Concilio. Un tempo che va compreso e che non va demonizzato. Sia per i credenti che per i non credenti. Per la Chiesa questo tempo è, indiscutibilmente, il tempo dell’annuncio. Un annuncio autentico e vigoroso della bellezza del Vangelo. Un Vangelo annunciato ad ogni persona, ai malati e ai bambini, ai poveri e alle famiglie. Un Vangelo annunciato, prima di tutto, agli ultimi. Una Chiesa che non annuncia il Vangelo è, infatti, una Chiesa ritirata nelle stanze vuote di una mondanità spirituale che non produce frutto. Una Chiesa che evangelizza è, invece, prima di tutto una chiesa di popolo. E in questi due giorni, forse, abbiamo visto e toccato con mano questo popolo».

«Una chiesa che per sua natura, dunque – ha evidenziato ancora l’arcivescovo –, non può che essere missionaria e che, soprattutto, deve avere “le porte aperte” per “uscire verso gli altri” e “giungere alle periferie umane”. Verso quelle periferie dell’esistenza, in cui le povertà materiali si assommano alle povertà relazionali, e “verso quei luoghi dell’anima” – come abbiamo scritto nel messaggio iniziale di questo convegno – “dove ogni persona sperimenta la gioia e la sofferenza del vivere, nella speranza che l’umano, di fronte all’ascesa quasi inarrestabile della tecnica, ritorni al centro della riflessione e della convivenza sociale”».
«La Chiesa altro non è che il piccolo gregge – ha sottolineato mons. Bassetti avviandosi alla conclusione –, il popolo viandante lungo i sentieri del tempo, nella compagnia con gli uomini e le donne fratelli e sorelle, votato non al proprio tornaconto, non all’acquisizione di qualsivoglia posto di prestigio, di rendita, di potere: ma al servizio della promozione di tutto l’uomo e di ogni uomo, con sguardo di amore preferenziale rivolto a chi abita le “periferie esistenziali” del mondo moderno».
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Circa un migliaio sono stati i partecipanti (provenienti da undici regioni italiane) a questo evento culturale umbro di respiro internazionale per i relatori esteri che interverranno. Molto coinvolto anche il mondo dei media con più di cinquanta giornalisti provenienti da tutt’Italia e l’iniziativa del “Salotto delle interviste” a cura di alcuni direttori di testate giornalistiche in dialogo con i relatori.

Inoltre, la segreteria organizzativa del Convegno, evidenzia anche il grande interesse che ha suscitato il tema “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali” nelle Scuole superiori dell’Umbria (vi hanno partecipano circa 200 studenti di una decina di Istituti) e nelle Facoltà di Lettere e Filosofia e di Scienze Politiche dell’Università di Perugia.

Al termine della sessione sull’arte, sabato mattina  è stata presentata l’importante Mostra fotografica “Aure”, come contributo-testimonianza artistico al Convegno, dalla sua stessa autrice, la giornalista e documentarista polacca Monika Bulaj. Sono scatti dedicati ad importanti temi di ricerca quali: i confini delle fedi (mistica, archetipi, divinazione, possessione, pellegrinaggi, corpo, culto dei morti), minoranze, popoli nomadi, migranti, intoccabili, diseredati, in Asia, Europa e Africa.

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Resoconto tratto da www.chiesainumbria.it

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Il sito web del convegno: www.custodireumanita.it/

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Un nuovo umanesimo: risposta alla crisi di senso https://www.lavoce.it/un-nuovo-umanesimo-risposta-alla-crisi-di-senso/ Wed, 27 Nov 2013 13:47:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20794 Papa Francesco accolto dai giovani a Santa Maria degli Angeli durante la visita pastorale ad Assisi lo scorso 4 ottobre
Papa Francesco accolto dai giovani a Santa Maria degli Angeli durante la visita pastorale ad Assisi lo scorso 4 ottobre

“Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali”. Questo è il tema del convegno internazionale che si tiene il 29-30 novembre, promosso, nell’ambito del progetto culturale della Cei, dalla Ceu in collaborazione con l’Università degli studi e l’Università per Stranieri di Perugia. La sede prescelta è quella del teatro Lyrick di Santa Maria degli Angeli.

Senza dubbio si tratta di una sede inconsueta, ma preferita non soltanto per ragioni logistiche, quanto piuttosto per le modalità in cui il tema verrà trattato. Gli organizzatori infatti ritengono che sia la sede adeguata, in quanto neutra e aperta a tutti, per tracciare le linee di un “nuovo umanesimo” cioè di una visione capace di “custodire l’umanità” che è presente in tutti, soprattutto nei più poveri e nei più deboli. Questo compito, del resto, è antecedente a ogni convincimento laico o religioso e riguarda ogni persona.

Il progetto che ne scaturisce, pertanto, rappresenta il filo rosso che può unire tutti coloro che credono nella possibilità di riscattare l’uomo e di rimetterlo non solo al centro della politica, ma anche dell’economia, dell’arte, della ricerca scientifica, insomma di farne il vero protagonista della storia.

In qualche modo, il luogo stesso che è stato individuato sembra confermare questo intento: si tratta infatti di una figura geometrica che scaturisce dalla contaminazione dell’Uomo vitruviano di rinascimentale memoria con l’abside della basilica di San Francesco di Assisi, luogo da tempo deputato al dialogo tra tutte le religioni e alla promozione della pace anche nelle periferie del mondo.

Per quel che concerne il tema, è indubbio che ha la sua matrice di origine nelle parole e nei gesti compiuti di Papa Francesco quasi quotidianamente nelle sue apparizioni pubbliche. Ma ha anche una sua motivazione culturale di grande attualità. Per molto tempo il processo di secolarizzazione – in atto soprattuto nel mondo occidentale, ma non solo – è stato interpretato come un fenomeno inevitabile dell’età contemporanea, anche perché è stato considerato come l’espressione più matura del tentativo di emancipazione che l’uomo da sempre persegue nei confronti di qualsiasi condizionamento naturale o spirituale.

Alla fine del ’900 però, il fallimento delle ideologie materialiste e il ridimensionamento della presunta autosufficienza della ragione hanno portato alla luce un fenomeno del tutto imprevisto: la diffusione di un vasto processo di “de-secolarizzazione”. Si è fatta strada la sopravvivenza, in forme nuove e diverse da quelle tradizionali, del bisogno del Sacro e la rivendicazione della legittimità di forme di vita capaci di intercettarne il significato.

Non per questo però è cambiato il contesto culturale; anzi, se possibile, è diventato ancora di più secolarizzato. Questo è accaduto innanzitutto per gli effetti della globalizzazione, che ha incentivato una espansione smisurata dell’incidenza dell’economia e, prima ancora, della finanza in tutte le sfere della vita, sia pubblica che privata, e in un impiego “selvaggio” dei mezzi di comunicazione di massa. Ma è avvenuto anche perché, soprattutto con le ricerche scientifiche compiute nel campo della genetica e della genomica, si è imposta l’idea che l’uomo, essendo in grado di conoscere il Dna, può prevenire gran parte delle malattie e decidere la durata della propria esistenza.

Pertanto egli ha in mano non solo il proprio destino ma anche quello delle generazioni future.

Ma è proprio per liberare l’uomo da queste vane illusioni, che rischiano di trasformarlo nell’“apprendista stregone” di faustiana memoria, occorre tornare a riflettere sulla sua natura e sulla sua identità. Da questa esigenza scaturisce la necessità di un rinnovato dialogo tra laici e cattolici.

A tal fine la proposta di costruire una visione antropologica capace di restituire all’uomo il posto di preminenza che gli spetta nel creato, nella consapevolezza dei suoi limiti e delle sue miserie, rappresenta non solo un’opportunità ma anche una sfida. Richiede infatti uno sforzo di discernimento a proposito della profonda crisi di senso in cui l’uomo contemporaneo è immerso, ma anche un sussulto di responsabilità, se vogliamo che torni a guardare al futuro con fiducia.

Per questo appunto, il convegno dedicato a “Custodire l’umanità. verso le periferie esistenziali”, si interroga innanzitutto sulla modernità che si è andata determinando in questo primo decennio del XXI secolo. Quindi prende in considerazione la possibilità di un nuovo rapporto tra economia e società, che non si limiti a perseguire l’obiettivo della crescita, ma che tenga conto anche della progressiva scarsità delle risorse naturali e dell’esigenza di una loro ripartizione più equa e più equilibrata. In questo ordine di idee però non si possono chiudere gli occhi di fronte ai conflitti che insanguinano il mondo, sempre più rimossi o taciuti, perché non rispondono agli interessi economici delle grandi potenze del mondo. Di qui la necessità di individuare strategie che facciano giustizia di questa indifferenza e ristabiliscano la pace.

Venute meno inoltre le vecchie ideologie, diventa inderogabile la necessità di nuove visioni del mondo, che però siano imperniate su una antropologia veramente rispettosa della dignità dell’uomo e capace di intercettare la bellezza del creato.

I dati del convegno “Custodire l’umanità”

Il convegno si apre il 29 novembre, alle ore 9.30 con i saluti di mons. Sorrentino, Vittorio Sozzi del Progetto culturale Cei, e mons. Cancian. Dopo la lezione inaugurale del card. Bagnasco, presidente della Cei, una riflessione storico-filosofica su “Quale modernità post-secolare?”. Seguirà la sessione sociologica ed economica “Per un nuovo rapporto tra economia e società”; quindi una riflessione internazionalista “Oltre i conflitti. Alla ricerca di nuove strategie di pace”. Poi la sessione bioeticista e storico-filosofica “I destini delle utopie. Verso una nuova antropologia?” e quella artistica “L’uomo, l’arte e il Sacro”. Seguirà la sessione storico-politica intitolata “Per un bilancio del cattolicesimo politico in Italia” e quella conclusiva, “L’Occidente e il mondo contemporaneo. Analisi e prospettive”. Per i dettagli, vedi l’articolo sul numero scorso de La Voce.

Gli eventi collaterali. Al “Salotto delle interviste” alcuni direttori di testate giornalistiche umbre video-intervistano i relatori negli intervalli. È visitabile la mostra fotografica “Aure” della giornalista e documentarista Monika Bulaj, di origine polacca, italiana di adozione. Un reportage sulla Siria del fotografo toscano Riccardo Lorenzi. Esposizione di libri dell’editrice Città Nuova. Segnaliamo infine la presentazione del volume Alle sorgenti della fede. Pellegrinaggio in Terra Santa a cura della sezione Umbria dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

I partecipanti. In base ai dati disponibili qualche giorno prima dell’evento, i partecipanti superano la soglia dei 700 iscritti, tra cui studenti di scuole superiori umbre e toscane, delle Università degli studi e per gli Stranieri e dell’Accademia di belle arti di Perugia. Le regioni di provenienza sono, oltre all’Umbria, l’Abruzzo, la Basilicata, la Campania, il Friuli – Venezia Giulia, il Lazio, la Lombardia, le Marche, la Puglia, la Toscana e il Veneto.

Per informazioni. Le informazioni dettagliate sull’evento sono reperibili sui siti internet www.custodireumanita.it e www.periferiesistenziali.it.

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