Giuseppe Conte Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/giuseppe-conte/ Settimanale di informazione regionale Sun, 28 Nov 2021 16:17:14 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Giuseppe Conte Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/giuseppe-conte/ 32 32 Questione di fiducia https://www.lavoce.it/questione-di-fiducia/ Thu, 11 Feb 2021 16:04:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59135 Mario Draghi

In questo periodo d’incertezza e di preoccupazioni, in tanti hanno riposto la loro fiducia nelle scelte del capo dello Stato, nella sua capacità di individuare la strada migliore per il Paese. Fiducia non solo per il suo ruolo istituzionale, che alla luce della Costituzione si manifesta con particolare evidenza proprio nel caso di una crisi di governo, ma anche per la stima nella persona che quel ruolo sta ricoprendo in questi anni così travagliati eppure così desiderosi di futuro. Ancora una volta questa fiducia è stata ben riposta perché Sergio Mattarella è riuscito a sbloccare una situazione che sembrava incartata al punto da non avere altro sbocco possibile che le elezioni anticipate. Evento che sarebbe stato incompatibile con le tre emergenze in atto – sanitaria, economica e sociale – come lo stesso Presidente ha tenuto a documentare. E che avrebbe esposto il Paese, già colpito dalla brusca interruzione – in piena pandemia – dell’attività del governo precedente, a rischi incalcolabili.

Tre governi

È la terza volta che in questa legislatura il capo dello Stato si trova alle prese con la nascita di un nuovo esecutivo. La prima è stata subito dopo le elezioni del marzo 2018, il cui esito aveva determinato un completo sconvolgimento degli equilibri parlamentari tradizionali. La seconda è stata nell’estate del 2019, in seguito all’improvviso smarcamento del leader della Lega, Matteo Salvini, dalla maggioranza giallo-verde. La terza è cronaca di queste settimane, con la decisione di Matteo Renzi di portare Italia Viva fuori dalla coalizione su cui poggiava il secondo governo Conte, l’esecutivo che si è trovato a fronteggiare la tragedia della pandemia. In tutti e tre i casi, pur nella diversità delle situazioni, Mattarella ha seguito un percorso limpido, esplorando personalmente e attraverso incarichi ad hoc tutte le soluzioni teoricamente in campo. Ha dato tempo o ha pressato gli interlocutori avendo come unica bussola gli interessi del Paese.

E ora Draghi

Stavolta, di fronte al consumarsi di tutte le ragionevoli combinazioni parlamentari e allo stallo tra i partiti, ha dovuto assumere direttamente un’iniziativa, facendo appello a tutte le forze politiche. Nel lessico corrente si parla di “governo del Presidente” proprio perché sua è l’iniziativa originaria. Ma ogni governo che si costituisce diventa sempre un governo del Parlamento perché è lì che trova la sua legittimazione democratica attraverso la “fiducia” espressa dai rappresentanti dei cittadini. Questo vale anche per il governo Draghi, che nasce circondato da grandi attese dentro e fuori l’Italia, data l’esperienza, la competenza e l’indiscusso prestigio internazionale del premier. La speranza è che sia messo nelle condizioni di lavorare efficacemente e per il tempo necessario. Le “gravi emergenze non rinviabili” che hanno spinto il capo dello Stato ha chiamarlo dalle “riserve” della Repubblica interpellano la responsabilità di tutti. Stefano De Martis]]>
Mario Draghi

In questo periodo d’incertezza e di preoccupazioni, in tanti hanno riposto la loro fiducia nelle scelte del capo dello Stato, nella sua capacità di individuare la strada migliore per il Paese. Fiducia non solo per il suo ruolo istituzionale, che alla luce della Costituzione si manifesta con particolare evidenza proprio nel caso di una crisi di governo, ma anche per la stima nella persona che quel ruolo sta ricoprendo in questi anni così travagliati eppure così desiderosi di futuro. Ancora una volta questa fiducia è stata ben riposta perché Sergio Mattarella è riuscito a sbloccare una situazione che sembrava incartata al punto da non avere altro sbocco possibile che le elezioni anticipate. Evento che sarebbe stato incompatibile con le tre emergenze in atto – sanitaria, economica e sociale – come lo stesso Presidente ha tenuto a documentare. E che avrebbe esposto il Paese, già colpito dalla brusca interruzione – in piena pandemia – dell’attività del governo precedente, a rischi incalcolabili.

Tre governi

È la terza volta che in questa legislatura il capo dello Stato si trova alle prese con la nascita di un nuovo esecutivo. La prima è stata subito dopo le elezioni del marzo 2018, il cui esito aveva determinato un completo sconvolgimento degli equilibri parlamentari tradizionali. La seconda è stata nell’estate del 2019, in seguito all’improvviso smarcamento del leader della Lega, Matteo Salvini, dalla maggioranza giallo-verde. La terza è cronaca di queste settimane, con la decisione di Matteo Renzi di portare Italia Viva fuori dalla coalizione su cui poggiava il secondo governo Conte, l’esecutivo che si è trovato a fronteggiare la tragedia della pandemia. In tutti e tre i casi, pur nella diversità delle situazioni, Mattarella ha seguito un percorso limpido, esplorando personalmente e attraverso incarichi ad hoc tutte le soluzioni teoricamente in campo. Ha dato tempo o ha pressato gli interlocutori avendo come unica bussola gli interessi del Paese.

E ora Draghi

Stavolta, di fronte al consumarsi di tutte le ragionevoli combinazioni parlamentari e allo stallo tra i partiti, ha dovuto assumere direttamente un’iniziativa, facendo appello a tutte le forze politiche. Nel lessico corrente si parla di “governo del Presidente” proprio perché sua è l’iniziativa originaria. Ma ogni governo che si costituisce diventa sempre un governo del Parlamento perché è lì che trova la sua legittimazione democratica attraverso la “fiducia” espressa dai rappresentanti dei cittadini. Questo vale anche per il governo Draghi, che nasce circondato da grandi attese dentro e fuori l’Italia, data l’esperienza, la competenza e l’indiscusso prestigio internazionale del premier. La speranza è che sia messo nelle condizioni di lavorare efficacemente e per il tempo necessario. Le “gravi emergenze non rinviabili” che hanno spinto il capo dello Stato ha chiamarlo dalle “riserve” della Repubblica interpellano la responsabilità di tutti. Stefano De Martis]]>
I soldi non mancano. Il problema adesso è: chi li spenderà e come https://www.lavoce.it/i-soldi-non-mancano-il-problema-adesso-e-chi-li-spendera-e-come/ Thu, 30 Jul 2020 16:27:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57607

Temeva, Giuseppe Conte, di non poter essere lui a gestire e spendere l’inaspettato afflusso di risorse provenienti dall’Europa, per i giochi e i giochini politici - veri o presunti - che si stavano realizzando nel dietro le quinte di una politica italiana dalla trama debole, improvvisata e provvisoria.

“Ora i soldi muovono la politica”

Poi però sono arrivati gli applausi e la stima - anche quella, vera o presunta - per un premier che nella trattativa di Bruxelles, dove ognuno ha cercato di tirare più acqua possibile al proprio mulino (a cominciare dal rappresentante del Paese per eccellenza dei mulini, a vento), con il determinante ausilio di alcuni ministri, tutti Pd, del suo Governo, ha saputo tenere botta, riuscendo a far assegnare all’Italia tanti di quei soldi (207 miliardi di euro, 81 dei quali a fondo perduto) che ora il problema sarà come spenderli. Insomma, la politica a Bruxelles ha mosso i soldi. Ora i soldi muovono la politica. Finito di applaudire Conte, la questione è diventata chi e come debba gestire i fondi europei per far ripartire l’economia massacrata dal coronavirus. Anche perché si sa che in politica poter contare sul denaro equivale alla possibilità di creare consenso. E allargare il proprio potere. Escluso fin da subito che si possa affidare la gestione delle risorse all’ennesima commissione di super-esperti, si sta facendo strada una via intermedia, con Conte (e soprattutto il ministero dell’Economia e i suoi tecnici) a dettare e redigere progetti e obiettivi (il ‘Piano nazionale delle riforme’ da presentare in Ue dev’essere pronto per ottobre). Ma con il Parlamento, il bistrattato e ormai quasi istituzionalmente impalpabile Parlamento italiano, a dire la sua tramite due commissioni, una della Camera e una del Senato. In cui coinvolgere anche le forze di opposizione, a partire dalla ‘dialogante’ Forza Italia. Se questo schema operativo (Giuliano Amato lo ha ‘benedetto’, dicendo che alla responsabilità del Governo si deve affiancare necessariamente quella delle Camere) sarà rispondente alle direttive europee ed efficace nel direzionare dal 2021 nella maniera più incisiva tutti i fondi teoricamente a disposizione, lo sapremo in autunno.

Mattarella:si faccia “concreto ed efficace programma di interventi”

Nel frattempo, uno dei pochi, veri saggi del nostro tempo, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con poche parole ha saputo condensare quanto successo a Bruxelles e quello che dovrà accadere nelle prossime settimane in Italia. Per Mattarella, l’esito della trattativa Ue “contribuisce alla creazione di condizioni proficue perché l’Italia possa predisporre rapidamente un concreto ed efficace programma di interventi”. Un commento le cui parole chiave sono nel testo (“concreto ed efficace programma di interventi”) ma anche fuori dal testo. Perché il Capo dello Stato si è guardato bene dall’usare il termine ‘riforme’, che in Italia da decenni vuol dire tutto e niente. Inutile, dunque, elencare nuovamente i settori da cui ripartire per modernizzare il Paese (sanità, scuola, pensioni, pubblica amministrazione, lavoro): un Paese che ha bisogno, senza tanti giri di parole, di più sviluppo e maggiore equità sociale.

Dove intervenire si sa. Meno il come.

Come arrivarci, lo devono decidere le forze politiche di un panorama italiano in cui sembrano regnare non l’ancoraggio a valori e ideali definiti ma improvvisazione, opportunismo e ricorso a furbizie e stratagemmi. E in cui le differenze di approccio tra le diverse forze politiche si stanno progressivamente minimizzando, a partire dal linguaggio, con “una sorta di involontaria omologazione del ceto politico”, come ha scritto Marco Follini. Dunque, non bisogna farsi illusioni sulla possibilità che la generazione politica tutta, attualmente al comando in Italia riuscirà nell’intento di usare al meglio i tanti soldi europei per evitare il baratro e rigenerare la spenta vitalità di un Paese dove è dimostrato - come ha fatto notare lo stesso Giuliano Amato - che “sappiamo spendere soprattutto per distribuire sussidi”. In questa decisiva partita, non basterà lanciare soldi dall’alto con l’elicottero. Per fare le riforme servirebbero veri e convinti riformisti. Daris Giancarlini]]>

Temeva, Giuseppe Conte, di non poter essere lui a gestire e spendere l’inaspettato afflusso di risorse provenienti dall’Europa, per i giochi e i giochini politici - veri o presunti - che si stavano realizzando nel dietro le quinte di una politica italiana dalla trama debole, improvvisata e provvisoria.

“Ora i soldi muovono la politica”

Poi però sono arrivati gli applausi e la stima - anche quella, vera o presunta - per un premier che nella trattativa di Bruxelles, dove ognuno ha cercato di tirare più acqua possibile al proprio mulino (a cominciare dal rappresentante del Paese per eccellenza dei mulini, a vento), con il determinante ausilio di alcuni ministri, tutti Pd, del suo Governo, ha saputo tenere botta, riuscendo a far assegnare all’Italia tanti di quei soldi (207 miliardi di euro, 81 dei quali a fondo perduto) che ora il problema sarà come spenderli. Insomma, la politica a Bruxelles ha mosso i soldi. Ora i soldi muovono la politica. Finito di applaudire Conte, la questione è diventata chi e come debba gestire i fondi europei per far ripartire l’economia massacrata dal coronavirus. Anche perché si sa che in politica poter contare sul denaro equivale alla possibilità di creare consenso. E allargare il proprio potere. Escluso fin da subito che si possa affidare la gestione delle risorse all’ennesima commissione di super-esperti, si sta facendo strada una via intermedia, con Conte (e soprattutto il ministero dell’Economia e i suoi tecnici) a dettare e redigere progetti e obiettivi (il ‘Piano nazionale delle riforme’ da presentare in Ue dev’essere pronto per ottobre). Ma con il Parlamento, il bistrattato e ormai quasi istituzionalmente impalpabile Parlamento italiano, a dire la sua tramite due commissioni, una della Camera e una del Senato. In cui coinvolgere anche le forze di opposizione, a partire dalla ‘dialogante’ Forza Italia. Se questo schema operativo (Giuliano Amato lo ha ‘benedetto’, dicendo che alla responsabilità del Governo si deve affiancare necessariamente quella delle Camere) sarà rispondente alle direttive europee ed efficace nel direzionare dal 2021 nella maniera più incisiva tutti i fondi teoricamente a disposizione, lo sapremo in autunno.

Mattarella:si faccia “concreto ed efficace programma di interventi”

Nel frattempo, uno dei pochi, veri saggi del nostro tempo, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con poche parole ha saputo condensare quanto successo a Bruxelles e quello che dovrà accadere nelle prossime settimane in Italia. Per Mattarella, l’esito della trattativa Ue “contribuisce alla creazione di condizioni proficue perché l’Italia possa predisporre rapidamente un concreto ed efficace programma di interventi”. Un commento le cui parole chiave sono nel testo (“concreto ed efficace programma di interventi”) ma anche fuori dal testo. Perché il Capo dello Stato si è guardato bene dall’usare il termine ‘riforme’, che in Italia da decenni vuol dire tutto e niente. Inutile, dunque, elencare nuovamente i settori da cui ripartire per modernizzare il Paese (sanità, scuola, pensioni, pubblica amministrazione, lavoro): un Paese che ha bisogno, senza tanti giri di parole, di più sviluppo e maggiore equità sociale.

Dove intervenire si sa. Meno il come.

Come arrivarci, lo devono decidere le forze politiche di un panorama italiano in cui sembrano regnare non l’ancoraggio a valori e ideali definiti ma improvvisazione, opportunismo e ricorso a furbizie e stratagemmi. E in cui le differenze di approccio tra le diverse forze politiche si stanno progressivamente minimizzando, a partire dal linguaggio, con “una sorta di involontaria omologazione del ceto politico”, come ha scritto Marco Follini. Dunque, non bisogna farsi illusioni sulla possibilità che la generazione politica tutta, attualmente al comando in Italia riuscirà nell’intento di usare al meglio i tanti soldi europei per evitare il baratro e rigenerare la spenta vitalità di un Paese dove è dimostrato - come ha fatto notare lo stesso Giuliano Amato - che “sappiamo spendere soprattutto per distribuire sussidi”. In questa decisiva partita, non basterà lanciare soldi dall’alto con l’elicottero. Per fare le riforme servirebbero veri e convinti riformisti. Daris Giancarlini]]>
Al premier Giuseppe Conte adesso però non chiedete la luna https://www.lavoce.it/politica-al-premier-giuseppe-conte-adesso-pero-non-chiedete-la-luna/ https://www.lavoce.it/politica-al-premier-giuseppe-conte-adesso-pero-non-chiedete-la-luna/#comments Fri, 29 May 2020 18:52:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57259 m5s

Non si può chiedere la luna, a Giuseppe Conte. Avvocato, senza una storia politica alle spalle, a capo di una maggioranza precaria, il cui unico punto di stabilità è l’incertezza. E la debolezza, se non l’assoluta evanescenza, delle possibili alternative al momento su piazza. Se non fosse che dalle scelte di oggi dipenderà l’assetto della società italiana dei prossimi anni, il Governo guidato da Conte potrebbe durare all’infinito. Ma l’incertezza e la mancanza di alternative terranno saldo Conte in mezzo al guado fino a che i numeri dell’economia - con il crollo della produzione industriale e la disoccupazione di massa - non diventeranno molto peggiori di quelli della pandemia. Allora forse verrà in mente a più di qualcuno di chiedersi se questa classe politica, che ora - a causa anche di una burocrazia arretrata nelle metodologie e indolente nell’approccio all’emergenza - non riesce neanche a distribuire gli aiuti che servono a evitare la rivolta sociale, potrà essere all’altezza di una reale ed efficace ricostruzione del Paese.

Politica senza visione di futuro?

Ma la luna - cioè una visione di futuro per l’Italia - non si può pretendere che arrivi dall’attuale Governo, per la distanza di obiettivi e ideali delle forze che lo compongono. Né tanto meno dal nocchiero che ne sta guidando la precaria zattera nel mezzo di un mare in tempesta. Conte non viene dalla politica ma, alla guida prima del governo M5s-Lega e poi di quello M5s-Pd-Leu (con la rissosa appendice renziana di Italia viva), sta dimostrando di aver imparato a conoscerla. Almeno quello che attualmente dimostra di essere, la politica. Visto dall’esterno, potrebbe sembrare politicamente poco ‘coperto’ proprio dai quei cinquestelle che alla guida dell’esecutivo gialloverde lo avevano voluto, tornando a imporlo anche per il Governo in carica. L’autodefinitosi ‘avvocato del popolo’ ha trasformato questa apparente debolezza in un suo punto di forza: il dimostrarsi, cioè, esterno alle logiche politiche prevalenti lo ha reso popolare e ben accetto a molti italiani. Nel Conte 1, è passato con sufficiente scaltrezza da una prima fase di quasi anonimato, subissato dalla preponderanza politico-mediatica dei due vice premier Salvini e Di Maio, a una seconda fase di pedissequo mediatore tra le istanze grilline e quelle leghiste. Dopo il ‘suicidio’ politico del capo leghista con l’auto-esclusione dalla maggioranza, Conte non ha esitato a vestire i panni del censore politico di colui che fino a pochi giorni prima era stato il suo principale alleato nonché ministro dell’Interno.

Tensioni nella maggioranza

Trasformismo? Viene più che altro in mente una frase di Giuseppe Prezzolini, secondo cui “in Italia nulla è più definitivo del provvisorio”. Sta di fatto che, passando con invidiabile disinvoltura alla guida di un nuovo Governo con dentro quel Pd che fino al giorno prima lo aveva aspramente criticato, Conte è riuscito a diventare proprio per il partito ex-nemico “un fortissimo punto di riferimento di tutte le forze progressiste” (parole del segretario Dem, Zingaretti). Un ‘innamoramento’ - quello del Pd per il premier - che non riguarda tutto il partito, dove negli ultimi tempi, quelli segnati dalla pandemia. si sono levate diverse voci critiche sull’approccio di Conte, che molti ritengono abbia confuso il presenzialismo (con i suoi decreti per gestire la crisi, e le sue conferenze stampa in tv) con il presidenzialismo. Non minori contestazioni gli continuano ad arrivare dall’ala dei ‘duri e puri’ pentastellati, in contrapposizione a quella quota governista sulla quale il premier conta per restare in sella il più a lungo possibile. Ma se questo è - come pare - il suo obiettivo, non gli si prospetta un cammino facile.

Popolarità in bilico nel dopo Covid

Perché, se ora la sua popolarità è alta grazie al fatto che la maggioranza degli italiani, nel mezzo del contagio, ha cercato nel Governo e nel suo timoniere un punto di riferimento, quando la coda di disperazione sociale del coronavirus si mostrerà in tutta la sua virulenza, non basteranno le mediazioni tra opposte ricette, le elargizioni di fondi a pioggia sulla base di spinte corporative e i rinvii delle scelte per prendere un tempo che non sarà più concesso, a tenere a galla premier e Governo. Servirebbe, appunto, un di più: una visione di futuro, con la responsabile capacità di prendere decisioni. Ma anche un diverso approccio alla politica. Fatto di passione e impegno messi al servizio dell’interesse generale. È la luna. Ma non si può chiedere a Conte. Daris Giancarlini]]>
m5s

Non si può chiedere la luna, a Giuseppe Conte. Avvocato, senza una storia politica alle spalle, a capo di una maggioranza precaria, il cui unico punto di stabilità è l’incertezza. E la debolezza, se non l’assoluta evanescenza, delle possibili alternative al momento su piazza. Se non fosse che dalle scelte di oggi dipenderà l’assetto della società italiana dei prossimi anni, il Governo guidato da Conte potrebbe durare all’infinito. Ma l’incertezza e la mancanza di alternative terranno saldo Conte in mezzo al guado fino a che i numeri dell’economia - con il crollo della produzione industriale e la disoccupazione di massa - non diventeranno molto peggiori di quelli della pandemia. Allora forse verrà in mente a più di qualcuno di chiedersi se questa classe politica, che ora - a causa anche di una burocrazia arretrata nelle metodologie e indolente nell’approccio all’emergenza - non riesce neanche a distribuire gli aiuti che servono a evitare la rivolta sociale, potrà essere all’altezza di una reale ed efficace ricostruzione del Paese.

Politica senza visione di futuro?

Ma la luna - cioè una visione di futuro per l’Italia - non si può pretendere che arrivi dall’attuale Governo, per la distanza di obiettivi e ideali delle forze che lo compongono. Né tanto meno dal nocchiero che ne sta guidando la precaria zattera nel mezzo di un mare in tempesta. Conte non viene dalla politica ma, alla guida prima del governo M5s-Lega e poi di quello M5s-Pd-Leu (con la rissosa appendice renziana di Italia viva), sta dimostrando di aver imparato a conoscerla. Almeno quello che attualmente dimostra di essere, la politica. Visto dall’esterno, potrebbe sembrare politicamente poco ‘coperto’ proprio dai quei cinquestelle che alla guida dell’esecutivo gialloverde lo avevano voluto, tornando a imporlo anche per il Governo in carica. L’autodefinitosi ‘avvocato del popolo’ ha trasformato questa apparente debolezza in un suo punto di forza: il dimostrarsi, cioè, esterno alle logiche politiche prevalenti lo ha reso popolare e ben accetto a molti italiani. Nel Conte 1, è passato con sufficiente scaltrezza da una prima fase di quasi anonimato, subissato dalla preponderanza politico-mediatica dei due vice premier Salvini e Di Maio, a una seconda fase di pedissequo mediatore tra le istanze grilline e quelle leghiste. Dopo il ‘suicidio’ politico del capo leghista con l’auto-esclusione dalla maggioranza, Conte non ha esitato a vestire i panni del censore politico di colui che fino a pochi giorni prima era stato il suo principale alleato nonché ministro dell’Interno.

Tensioni nella maggioranza

Trasformismo? Viene più che altro in mente una frase di Giuseppe Prezzolini, secondo cui “in Italia nulla è più definitivo del provvisorio”. Sta di fatto che, passando con invidiabile disinvoltura alla guida di un nuovo Governo con dentro quel Pd che fino al giorno prima lo aveva aspramente criticato, Conte è riuscito a diventare proprio per il partito ex-nemico “un fortissimo punto di riferimento di tutte le forze progressiste” (parole del segretario Dem, Zingaretti). Un ‘innamoramento’ - quello del Pd per il premier - che non riguarda tutto il partito, dove negli ultimi tempi, quelli segnati dalla pandemia. si sono levate diverse voci critiche sull’approccio di Conte, che molti ritengono abbia confuso il presenzialismo (con i suoi decreti per gestire la crisi, e le sue conferenze stampa in tv) con il presidenzialismo. Non minori contestazioni gli continuano ad arrivare dall’ala dei ‘duri e puri’ pentastellati, in contrapposizione a quella quota governista sulla quale il premier conta per restare in sella il più a lungo possibile. Ma se questo è - come pare - il suo obiettivo, non gli si prospetta un cammino facile.

Popolarità in bilico nel dopo Covid

Perché, se ora la sua popolarità è alta grazie al fatto che la maggioranza degli italiani, nel mezzo del contagio, ha cercato nel Governo e nel suo timoniere un punto di riferimento, quando la coda di disperazione sociale del coronavirus si mostrerà in tutta la sua virulenza, non basteranno le mediazioni tra opposte ricette, le elargizioni di fondi a pioggia sulla base di spinte corporative e i rinvii delle scelte per prendere un tempo che non sarà più concesso, a tenere a galla premier e Governo. Servirebbe, appunto, un di più: una visione di futuro, con la responsabile capacità di prendere decisioni. Ma anche un diverso approccio alla politica. Fatto di passione e impegno messi al servizio dell’interesse generale. È la luna. Ma non si può chiedere a Conte. Daris Giancarlini]]>
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Covid19. Intanto i politici italiani sono rimasti fermi alla Fase zero https://www.lavoce.it/covid19-intanto-i-politici-italiani-sono-rimasti-fermi-alla-fase-zero/ Thu, 07 May 2020 16:56:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57090

Diceva il capo ufficio stampa dell’allora presidente americano Barack Obama che “non bisognerebbe mai sprecare una crisi”. All’alba della cosiddetta Fase 2, non sembra che la classe politica italiana stia sfruttando la pandemia per migliorarsi e rendere più produttivo ed efficace il proprio operato. Se ne deve essere accorto anche Papa Francesco, se in una delle sue ultime omelie durante la messa mattutina a Santa Marta ha volutopregare “per i governanti che hanno la responsabilità di prendersi cura dei loro popoli in questo momento di crisi”. Bergoglio li ha sollecitati a capire che, “nei momenti di crisi, devono essere molto uniti per il bene del popolo”.

A cosa pensano i politici?

Non pare che le cose della politica italiana stiano andando in questa direzione. La maggioranza di governo ribolle come ai ‘bei tempi’ in cui l’unica preoccupazione era tramare contro l’alleato di turno, o il nemico interno. I partiti dell’opposizione perseguono ognuno obiettivi differenti. In quella che sembra un’eterna, irredimibile ‘fase zero’ dalla quale non si ha né alcun mezzo ma, soprattutto, alcuna volontà di uscire. Imprigionati - i partiti tutti - in schematismi tattici e in infantilismi strategici che, di fronte all’inaspettata realtà della pandemia, sembrano strangolare sul nascere qualsiasi aspettativa di cambiamento. Ma trascinare - come sta succedendo - le logiche di uno ieri che non potrà più tornare nell’oggi del contagio getta un presagio nefasto su qualunque velleità di progettare il domani.

Allarme  “bomba sociale”

Fuori da ogni sociologismo: si sono accorti, i leader dei nostri principali partiti, delle file - che si stanno ingrossando giorno dopo giorno - di coloro che, in città grandi e piccole, vanno a chiedere un pasto e aiuti economici alla Caritas? Stride, questa immagine, con le vacue baruffe nelle aule del Parlamento, le manovre più o meno occulte per far cadere Conte, i voli pindarici su nuovi assetti di governo e nuove maggioranze. Pare abbia capito qualcosa di più di quello che sta realmente capitando in Italia il presidente designato di Confindustria, Carlo Bonomi, quando, con toni di una durezza che da tempo un capo degli industriali non utilizzava, prevede per l’autunno prossimo “l’esplosione della bomba sociale, considerato che i soldi a pioggia finiranno e il sistema produttivo, causa carenza di investimenti, non sarà ripartito”. Bonomi contesta il criterio dei soldi a pioggia perché lo considera un modo della politica di ricavarne “un dividendo elettorale”. In effetti, distribuire soldi liquidi in tasca alle persone può avere un senso nella immediatezza del blocco delle attività, anche allo scopo di sostenere i consumi dal lato della domanda. Ma non si può trasformare l’Italia intera in un Paese assistito. Alimentando passività e assistenzialismo.

Responsabilità sì, ma dei politici anzitutto

In questo snodo entra in ballo l’analisi sulla composizione della compagine governativa, dove il peso politico dei cinquestelle (coloro che il Reddito di cittadinanza hanno voluto e difeso, anche in queste ultime settimane, con immutato vigore) pare essere molto più rilevante di quello del Partito democratico. “Il convitato di pietra” - così lo definisce il politologo Piero Ignazi - della maggioranza: perché, se è vero che i cinquestelle hanno ancora la maggioranza in Parlamento, il Pd ha su di sé le stigmate del partito che, qualunque cosa succeda nei prossimi mesi, sarà ritenuto responsabile delle scelte fatte dall’attuale Governo. Ma dal Pd, dal punto di vista progettuale, non sta arrivando granché. E sotto il profilo politico, il partito di Zingaretti non sembra andare molto più in là della difesa dell’attuale Presidente del Consiglio. È logico - come ha ricordato lo stesso Pontefice - che, “se si sta in mezzo al guado di un fiume, non si deve cambiare cavallo”; ma una volta sulla sponda opposta, il cavallo deve sapere quale strada prendere. Tracciare quella strada è compito della politica. Che, se all’inizio della Fase 2 chiede ancora ai cittadini di mostrare senso di responsabilità, altrettanto dovrebbe fare guardandosi allo specchio. Daris Giancarlini]]>

Diceva il capo ufficio stampa dell’allora presidente americano Barack Obama che “non bisognerebbe mai sprecare una crisi”. All’alba della cosiddetta Fase 2, non sembra che la classe politica italiana stia sfruttando la pandemia per migliorarsi e rendere più produttivo ed efficace il proprio operato. Se ne deve essere accorto anche Papa Francesco, se in una delle sue ultime omelie durante la messa mattutina a Santa Marta ha volutopregare “per i governanti che hanno la responsabilità di prendersi cura dei loro popoli in questo momento di crisi”. Bergoglio li ha sollecitati a capire che, “nei momenti di crisi, devono essere molto uniti per il bene del popolo”.

A cosa pensano i politici?

Non pare che le cose della politica italiana stiano andando in questa direzione. La maggioranza di governo ribolle come ai ‘bei tempi’ in cui l’unica preoccupazione era tramare contro l’alleato di turno, o il nemico interno. I partiti dell’opposizione perseguono ognuno obiettivi differenti. In quella che sembra un’eterna, irredimibile ‘fase zero’ dalla quale non si ha né alcun mezzo ma, soprattutto, alcuna volontà di uscire. Imprigionati - i partiti tutti - in schematismi tattici e in infantilismi strategici che, di fronte all’inaspettata realtà della pandemia, sembrano strangolare sul nascere qualsiasi aspettativa di cambiamento. Ma trascinare - come sta succedendo - le logiche di uno ieri che non potrà più tornare nell’oggi del contagio getta un presagio nefasto su qualunque velleità di progettare il domani.

Allarme  “bomba sociale”

Fuori da ogni sociologismo: si sono accorti, i leader dei nostri principali partiti, delle file - che si stanno ingrossando giorno dopo giorno - di coloro che, in città grandi e piccole, vanno a chiedere un pasto e aiuti economici alla Caritas? Stride, questa immagine, con le vacue baruffe nelle aule del Parlamento, le manovre più o meno occulte per far cadere Conte, i voli pindarici su nuovi assetti di governo e nuove maggioranze. Pare abbia capito qualcosa di più di quello che sta realmente capitando in Italia il presidente designato di Confindustria, Carlo Bonomi, quando, con toni di una durezza che da tempo un capo degli industriali non utilizzava, prevede per l’autunno prossimo “l’esplosione della bomba sociale, considerato che i soldi a pioggia finiranno e il sistema produttivo, causa carenza di investimenti, non sarà ripartito”. Bonomi contesta il criterio dei soldi a pioggia perché lo considera un modo della politica di ricavarne “un dividendo elettorale”. In effetti, distribuire soldi liquidi in tasca alle persone può avere un senso nella immediatezza del blocco delle attività, anche allo scopo di sostenere i consumi dal lato della domanda. Ma non si può trasformare l’Italia intera in un Paese assistito. Alimentando passività e assistenzialismo.

Responsabilità sì, ma dei politici anzitutto

In questo snodo entra in ballo l’analisi sulla composizione della compagine governativa, dove il peso politico dei cinquestelle (coloro che il Reddito di cittadinanza hanno voluto e difeso, anche in queste ultime settimane, con immutato vigore) pare essere molto più rilevante di quello del Partito democratico. “Il convitato di pietra” - così lo definisce il politologo Piero Ignazi - della maggioranza: perché, se è vero che i cinquestelle hanno ancora la maggioranza in Parlamento, il Pd ha su di sé le stigmate del partito che, qualunque cosa succeda nei prossimi mesi, sarà ritenuto responsabile delle scelte fatte dall’attuale Governo. Ma dal Pd, dal punto di vista progettuale, non sta arrivando granché. E sotto il profilo politico, il partito di Zingaretti non sembra andare molto più in là della difesa dell’attuale Presidente del Consiglio. È logico - come ha ricordato lo stesso Pontefice - che, “se si sta in mezzo al guado di un fiume, non si deve cambiare cavallo”; ma una volta sulla sponda opposta, il cavallo deve sapere quale strada prendere. Tracciare quella strada è compito della politica. Che, se all’inizio della Fase 2 chiede ancora ai cittadini di mostrare senso di responsabilità, altrettanto dovrebbe fare guardandosi allo specchio. Daris Giancarlini]]>
Cercasi premier competente per la ripartenza. Mario Draghi? https://www.lavoce.it/premier-per-la-ripartenza-mario-draghi/ https://www.lavoce.it/premier-per-la-ripartenza-mario-draghi/#comments Tue, 21 Apr 2020 13:21:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56915 Mario Draghi

Mi dichiaro subito: sono un patito della competenza. Per questo mi sento di dire che per far ripartire il sistema economico italiano serve un nuovo governo. Ma soprattutto un nuovo premier. Per me, Mario Draghi. Non si tratta di scegliere tra morire di coronavirus o di fame. Si tratta di affrontare entrambe le emergenze con le 'armi' più adeguate. E con le persone maggiormente all'altezza della gravità - estrema, in entrambi i casi - della situazione e delle sue conseguenze. Draghi sul dopo-contagio dell'economia, italiana ed europea, da tempo ha chiaramente e autorevolmente detto la sua, richiamando i governi ad "agire subito, di fronte a una tragedia umana di proporzioni bibliche". La pandemia ha quasi del tutto azzerato il convincimento diffuso ad arte da alcune forze politiche che uno valesse uno. Finché va tutto bene, sono messaggi che si possono lanciare, contando sulla superficialità o sulla distrazione di chi li riceve. Quando però è in atto una tragedia, tutti - anche coloro che fino a un minuto prima consideravano competenza e preparazione come privilegi acquisiti chissà con quali sotterfugi - invocano l'esperto. Colui che ne sa di più e che può fornire ricette efficaci. Sotto il profilo sanitario, ormai da mesi gli scienziati, i ricercatori, i medici sono - ovviamente, e fortunatamente - al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica intera.

Nulla è cambiato nei e tra i partiti

Valutando il comportamento delle forze politiche - tutte - degli ultimi giorni e settimane, con il Paese in quarantena - non sembra che l'emergenza sanitaria abbia influito più di tanto sui loro atteggiamenti. Le polemiche dentro e tra gli schieramenti non si attenuano (nei Cinquestelle è in atto una spaccatura che farà presto a diventare scissione), i personalismi non si placano (cosa sono, se non questo, le critiche di Renzi a Conte?), gli stereotipi con cui si approcciano i problemi non si modificano. Tanto che viene da pensare a una reale incapacità di cambiare schemi e approcci, mediatici e progettuali, rispetto a una realtà imprevista e ad un futuro tutt'altro che roseo. Il tutto condito da approssimazione e confusione. Come si spiegano altrimenti - tanto per fare alcuni esempi - la miriade di ordinanze regionali che vanno a modificare anche in modo sostanziale molte direttive del Governo nazionale sulla gestione dell'emergenza sanitaria? O, dal punto di vista più propriamente politico, come si può valutare se non con i criteri della confusione ideologica e dell'approssimazione propagandistica, il voto - frammentato al punto da risultare autolesionistico - espresso dai partiti italiani di maggioranza e opposizione al Parlamento europeo sulla risoluzione che riguardava gli aiuti per la ripartenza? Le polemiche tra regioni del Nord e del Sud sono sterili, inconcludenti. Non risolvono mezzo problema e fanno riferimento a schematismi partitici che con la pandemia in atto risultano totalmente fuori contesto. Visto tutto ciò, e valutando il disastro economico che il contagio si porta dietro, pare da escludere che la forze politiche attualmente sulla scena riescano a compiere quel passo in più verso la coesione che servirebbe come successe dopo l'ultima guerra e negli anni del terrorismo per far ripartire il Paese. Con altri partiti. Soprattutto con altri leader. Per l'economia, come per la salute, si dovrà affrontare un'emergenza di dimensioni epocali. Alle forze politiche va chiesto un bagno di umiltà e una temporanea rinuncia alla ricerca del consenso fine a se stessa. Garantendo un comune sostegno al lavoro di un 'esperto', riconosciuto e stimato, della materia come ha dimostrato di essere Draghi.

Serve un leader per il dopo virus

D'altronde lo si fece anche nel 2011, quando lo spread era oltre 500 e il sistema economico italiano rischiava il collasso. Quello di Mario Monti fu un Governo 'tutto tecnico'. La maggioranza dei partiti diede 'obtorto collo' l'appoggio per riportare la disastrata barca italiana in galleggiamento. Con Draghi - come si ipotizza in alcuni ambienti politici - si potrebbe utilizzare il 'modello Ciampi', in base al quale il premier sceglie i ministri ed i partiti i sottosegretari. Serve un leader che, per il Paese del dopo-virus, abbia al contempo una visione chiara delle cose da fare e il carisma adeguato per attuarle. Non pochi osservatori ritengono che anche al Quirinale si stia valutando questa ipotesi. Daris Giancarlini]]>
Mario Draghi

Mi dichiaro subito: sono un patito della competenza. Per questo mi sento di dire che per far ripartire il sistema economico italiano serve un nuovo governo. Ma soprattutto un nuovo premier. Per me, Mario Draghi. Non si tratta di scegliere tra morire di coronavirus o di fame. Si tratta di affrontare entrambe le emergenze con le 'armi' più adeguate. E con le persone maggiormente all'altezza della gravità - estrema, in entrambi i casi - della situazione e delle sue conseguenze. Draghi sul dopo-contagio dell'economia, italiana ed europea, da tempo ha chiaramente e autorevolmente detto la sua, richiamando i governi ad "agire subito, di fronte a una tragedia umana di proporzioni bibliche". La pandemia ha quasi del tutto azzerato il convincimento diffuso ad arte da alcune forze politiche che uno valesse uno. Finché va tutto bene, sono messaggi che si possono lanciare, contando sulla superficialità o sulla distrazione di chi li riceve. Quando però è in atto una tragedia, tutti - anche coloro che fino a un minuto prima consideravano competenza e preparazione come privilegi acquisiti chissà con quali sotterfugi - invocano l'esperto. Colui che ne sa di più e che può fornire ricette efficaci. Sotto il profilo sanitario, ormai da mesi gli scienziati, i ricercatori, i medici sono - ovviamente, e fortunatamente - al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica intera.

Nulla è cambiato nei e tra i partiti

Valutando il comportamento delle forze politiche - tutte - degli ultimi giorni e settimane, con il Paese in quarantena - non sembra che l'emergenza sanitaria abbia influito più di tanto sui loro atteggiamenti. Le polemiche dentro e tra gli schieramenti non si attenuano (nei Cinquestelle è in atto una spaccatura che farà presto a diventare scissione), i personalismi non si placano (cosa sono, se non questo, le critiche di Renzi a Conte?), gli stereotipi con cui si approcciano i problemi non si modificano. Tanto che viene da pensare a una reale incapacità di cambiare schemi e approcci, mediatici e progettuali, rispetto a una realtà imprevista e ad un futuro tutt'altro che roseo. Il tutto condito da approssimazione e confusione. Come si spiegano altrimenti - tanto per fare alcuni esempi - la miriade di ordinanze regionali che vanno a modificare anche in modo sostanziale molte direttive del Governo nazionale sulla gestione dell'emergenza sanitaria? O, dal punto di vista più propriamente politico, come si può valutare se non con i criteri della confusione ideologica e dell'approssimazione propagandistica, il voto - frammentato al punto da risultare autolesionistico - espresso dai partiti italiani di maggioranza e opposizione al Parlamento europeo sulla risoluzione che riguardava gli aiuti per la ripartenza? Le polemiche tra regioni del Nord e del Sud sono sterili, inconcludenti. Non risolvono mezzo problema e fanno riferimento a schematismi partitici che con la pandemia in atto risultano totalmente fuori contesto. Visto tutto ciò, e valutando il disastro economico che il contagio si porta dietro, pare da escludere che la forze politiche attualmente sulla scena riescano a compiere quel passo in più verso la coesione che servirebbe come successe dopo l'ultima guerra e negli anni del terrorismo per far ripartire il Paese. Con altri partiti. Soprattutto con altri leader. Per l'economia, come per la salute, si dovrà affrontare un'emergenza di dimensioni epocali. Alle forze politiche va chiesto un bagno di umiltà e una temporanea rinuncia alla ricerca del consenso fine a se stessa. Garantendo un comune sostegno al lavoro di un 'esperto', riconosciuto e stimato, della materia come ha dimostrato di essere Draghi.

Serve un leader per il dopo virus

D'altronde lo si fece anche nel 2011, quando lo spread era oltre 500 e il sistema economico italiano rischiava il collasso. Quello di Mario Monti fu un Governo 'tutto tecnico'. La maggioranza dei partiti diede 'obtorto collo' l'appoggio per riportare la disastrata barca italiana in galleggiamento. Con Draghi - come si ipotizza in alcuni ambienti politici - si potrebbe utilizzare il 'modello Ciampi', in base al quale il premier sceglie i ministri ed i partiti i sottosegretari. Serve un leader che, per il Paese del dopo-virus, abbia al contempo una visione chiara delle cose da fare e il carisma adeguato per attuarle. Non pochi osservatori ritengono che anche al Quirinale si stia valutando questa ipotesi. Daris Giancarlini]]>
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Polemiche sullo stile delle decisioni di Conte. Democrazia a rischio? https://www.lavoce.it/democrazia-a-rischio/ Fri, 27 Mar 2020 11:20:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56634 Democrazia a rischio Conte durante un dibattito

Democrazia. Economia. Salute. Così sono declinate in ordine alfabetico. In questi giorni di pandemia, la priorità va alle tematiche sanitarie. Ovviamente, doverosamente. Ma il diritto alla salute (sancito dall’articolo 32 della Costituzione) si intreccia con gli altri due temi in maniera stringente. Perché il sistema produttivo non si può fermare del tutto in un Paese come l’Italia che, già prima del contagio, scontava l’impatto negativo di un debito pubblico elevatissimo e di crescita prossima allo zero per quest’anno e i prossimi. Di qui le polemiche - che non si fermano davanti a nulla, pare di capire - soprattutto tra quegli imprenditori del Nord che è nel contempo il motore economico italiano, ma anche il principale focolaio di diffusione del contagio. Tenere aperto o chiudere tutto? E quali unità produttive vanno fatte produrre? L’edilizia forse, e l’industria dell’acciaio si possono fermare, di certo non la chimica, la logistica e la produzione di medicinali... Confindustria prevede che il Paese perderà 100 miliardi al mese in seguito alle restrizioni imposte dal Governo (ma anche dalla stessa Regione Lombardia) per evitare il diffondersi del virus. Sul fronte diametralmente opposto i sindacati, che per tutelare la salute dei lavoratori sono disposti anche a indire uno sciopero generale. Anche perché - sostengono - in molte aziende non vengono sufficientemente garantite le misure anti-virus. A partire dal distanziamento tra un dipendente e l’altro, e dalla mancanza delle mascherine.  

Quanto a lungo può essere ‘forzata’ l’essenza della nostra democrazia

Esigenze legittime, da una parte e dall’altra. Contrapposizioni analoghe si registrano anche quando si ragiona su quanto il sistema democratico possa sopportare, senza rischi di degenerare in qualcos’altro, le restrizioni imposte dal Governo per limitare il contagio. Considerando che questo tempo di incertezze e difficoltà non sarà breve, è doveroso chiedersi quanto a lungo può essere ‘forzata’ l’essenza della nostra democrazia. In un panorama dove, comunque, nove italiani su dieci - stando a sondaggi recenti - accettano di buon grado di essere limitati nelle loro principali libertà. E qualche voce insiste a invocare l’‘uomo forte’ che sappia prendere decisioni veloci e incisive anche saltando diversi passaggi previsti dall’iter democratico, perché - si sottolinea - la nostra società è attualmente in stato d’assedio. Quello che si cerca, parlando di economia e democrazia in rapporto all’emergenza sanitaria, è un punto di equilibrio. Per conseguire questo obiettivo, più che l’uomo solo al comando’ sarebbe forse utile un Governo che sapesse muoversi in maniera flessibile, ma con grande fermezza. Consultando i rappresentanti delle categorie coinvolte e gli esperti di tutte materie interessate, per poi assumere decisioni coerenti ed efficaci. Non ‘uno solo’, ma un intero sistema votato a perseguire l’obiettivo dell’uscita dall’emergenza deve saper valutare e contrastare le sfide inedite di questo inizio 2020.  

Conte criticato: come decide le misure e come le comunica

Il premier Conte è stato criticato per il modo in cui il suo Governo decide le misure (a colpi di decreti del Presidente del Consiglio e non di decreti legge, che dovrebbero essere discussi in Parlamento), e per come queste misure vengono comunicate (in diretta tv e sui social, senza possibilità per i giornalisti di porre domande). Si tratta in questo caso di valutare la bontà di queste critiche, per capire se dietro a esse non ci sia la malcelata, e poco opportuna, volontà di colpire Conte nel momento in cui il suo consenso personale - anche qui, a detta degli ultimi sondaggi - sta crescendo. A scapito di altri leader politici. Quello che invece andrebbe suggerito al Capo del Governo è di incrementare, migliorare la propria presenza mediatica. Per dare anche l’immagine plastica e concreta di una vicinanza reale alle ansie e alle preoccupazioni che ogni giorno i cittadini sopportano. Ai diversi livelli. I nostri medici, infermieri, operatori sanitari e membri di altre categorie essenziali per mandare avanti la vita di tutti noi, ci insegnano che in questo momento bisogna avere il coraggio e la determinazione non soltanto, come si dice, per metterci la faccia, ma anche e soprattutto il cuore. Daris Giancarlini]]>
Democrazia a rischio Conte durante un dibattito

Democrazia. Economia. Salute. Così sono declinate in ordine alfabetico. In questi giorni di pandemia, la priorità va alle tematiche sanitarie. Ovviamente, doverosamente. Ma il diritto alla salute (sancito dall’articolo 32 della Costituzione) si intreccia con gli altri due temi in maniera stringente. Perché il sistema produttivo non si può fermare del tutto in un Paese come l’Italia che, già prima del contagio, scontava l’impatto negativo di un debito pubblico elevatissimo e di crescita prossima allo zero per quest’anno e i prossimi. Di qui le polemiche - che non si fermano davanti a nulla, pare di capire - soprattutto tra quegli imprenditori del Nord che è nel contempo il motore economico italiano, ma anche il principale focolaio di diffusione del contagio. Tenere aperto o chiudere tutto? E quali unità produttive vanno fatte produrre? L’edilizia forse, e l’industria dell’acciaio si possono fermare, di certo non la chimica, la logistica e la produzione di medicinali... Confindustria prevede che il Paese perderà 100 miliardi al mese in seguito alle restrizioni imposte dal Governo (ma anche dalla stessa Regione Lombardia) per evitare il diffondersi del virus. Sul fronte diametralmente opposto i sindacati, che per tutelare la salute dei lavoratori sono disposti anche a indire uno sciopero generale. Anche perché - sostengono - in molte aziende non vengono sufficientemente garantite le misure anti-virus. A partire dal distanziamento tra un dipendente e l’altro, e dalla mancanza delle mascherine.  

Quanto a lungo può essere ‘forzata’ l’essenza della nostra democrazia

Esigenze legittime, da una parte e dall’altra. Contrapposizioni analoghe si registrano anche quando si ragiona su quanto il sistema democratico possa sopportare, senza rischi di degenerare in qualcos’altro, le restrizioni imposte dal Governo per limitare il contagio. Considerando che questo tempo di incertezze e difficoltà non sarà breve, è doveroso chiedersi quanto a lungo può essere ‘forzata’ l’essenza della nostra democrazia. In un panorama dove, comunque, nove italiani su dieci - stando a sondaggi recenti - accettano di buon grado di essere limitati nelle loro principali libertà. E qualche voce insiste a invocare l’‘uomo forte’ che sappia prendere decisioni veloci e incisive anche saltando diversi passaggi previsti dall’iter democratico, perché - si sottolinea - la nostra società è attualmente in stato d’assedio. Quello che si cerca, parlando di economia e democrazia in rapporto all’emergenza sanitaria, è un punto di equilibrio. Per conseguire questo obiettivo, più che l’uomo solo al comando’ sarebbe forse utile un Governo che sapesse muoversi in maniera flessibile, ma con grande fermezza. Consultando i rappresentanti delle categorie coinvolte e gli esperti di tutte materie interessate, per poi assumere decisioni coerenti ed efficaci. Non ‘uno solo’, ma un intero sistema votato a perseguire l’obiettivo dell’uscita dall’emergenza deve saper valutare e contrastare le sfide inedite di questo inizio 2020.  

Conte criticato: come decide le misure e come le comunica

Il premier Conte è stato criticato per il modo in cui il suo Governo decide le misure (a colpi di decreti del Presidente del Consiglio e non di decreti legge, che dovrebbero essere discussi in Parlamento), e per come queste misure vengono comunicate (in diretta tv e sui social, senza possibilità per i giornalisti di porre domande). Si tratta in questo caso di valutare la bontà di queste critiche, per capire se dietro a esse non ci sia la malcelata, e poco opportuna, volontà di colpire Conte nel momento in cui il suo consenso personale - anche qui, a detta degli ultimi sondaggi - sta crescendo. A scapito di altri leader politici. Quello che invece andrebbe suggerito al Capo del Governo è di incrementare, migliorare la propria presenza mediatica. Per dare anche l’immagine plastica e concreta di una vicinanza reale alle ansie e alle preoccupazioni che ogni giorno i cittadini sopportano. Ai diversi livelli. I nostri medici, infermieri, operatori sanitari e membri di altre categorie essenziali per mandare avanti la vita di tutti noi, ci insegnano che in questo momento bisogna avere il coraggio e la determinazione non soltanto, come si dice, per metterci la faccia, ma anche e soprattutto il cuore. Daris Giancarlini]]>
POLITICA. Che succede in casa di M5s e Pd https://www.lavoce.it/politica-che-m5s-pd/ Sun, 09 Feb 2020 16:01:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56257 m5s

di Daris Giancarlini

Mediazione non è cercare un punto d’equilibrio tra due punti estremi: in politica, è spesso un modo per andare avanti non risolvendo ma posticipando la soluzione del problema. Un vero ‘principe’ di questo tipo di mediazione, mirata soprattutto a restare in sella, si sta rivelando l’attuale presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Si era presentato da capo del Governo Lega-cinquestelle, di derivazione grillina, come “avvocato del popolo” e come garante del cosiddetto ‘contratto’ fra i due partner della maggioranza. Figura risultata dalla scarsa consistenza politica, a fronte della straripante prevalenza mediatica dei due vice premier Salvini e Di Maio.

Poi, con la crisi innescata dal segretario leghista nell’estate scorsa, il premier ‘impalpabile’ si era eretto a censore delle esuberanze salviniane, fino a consolidarsi - anche agli occhi del Pd, nuovo alleato di governo dei 5s come successore di se stesso a capo di una maggioranza del tutto opposta a quella da lui stesso guidata per più di un anno.

Mediare, mediare e ancora mediare: la funzione del premier, che la Costituzione definisce “responsabile” della politica del Governo, in Giuseppe Conte ha trovato una vera sublimazione. Una mediazione che riguarda soprattutto i toni (più dei contenuti) del confronto tra quanti, dopo essere

stati acerrimi avversari prima delle elezioni, si trovano a condividere responsabilità di governo, mantenendo comunque riserve e punti di vista opposti rispetto al temporaneo alleato. Come dimostra il confronto sul progetto del ministro della Giustizia (Bonafede, M5s) che mira a cancellare la prescrizione.

La figura del Conte mediatore deriva soprattutto da una fase politica in cui, ancora in presenza di una legge elettorale parzialmente maggioritaria, lo storico bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra si è ritrovato con la ‘novità’ rappresentata da quel terzo imprevisto che sono i cinquestelle. 

Un tripolarismo che, anche se con i grillini in calo evidente di consensi, sta facendo orientare gran parte della classe politica verso una (ennesima) legge elettorale, stavolta totalmente proporzionale. Un’evoluzione che, stando ai più attenti politologi, avrà come conseguenza principale quella dello sbriciolamento degli schieramenti, con i partiti impegnati a correre da soli.

Senza sbilanciarsi, prima del voto, sulle future alleanze di governo, che si faranno in Parlamento. D’altronde, la Lega di Salvini prima delle elezioni del marzo 2018 aveva fatto fronte comune con Forza Italia e Fratelli d’Italia, ma poi era andata da sola al governo con i cinquestelle. Riposizionandosi non soltanto, secondo il nuovo credo salviniano, come forza non più limitata al Nord ma sempre più nazionale e nazionalista, ma anche e soprattutto come polo d’attrazione principale, se non unico, del centrodestra.

Sul fronte opposto, il Pd di Zingaretti non sembra ancora avere le idee chiare su come approcciare il proprio riposizionamento in vista della nuova fase politica. Il segretario parla di allargamento e di apertura a nuovi soggetti e movimenti, ma non si comprende se si tratterà di alleanze con soggetti alla propria sinistra o di assorbire voti in uscita da altre formazioni.

A partire da quei cinquestelle in cui la confusione regna sovrana, in attesa dell’annunciata riorganizzazione interna. Pare che il mediatore Conte guardi a questi giri di valzer con una certa preoccupazione, specie dopo gli attacchi di Matteo Renzi. Ma forse in futuro ci sarà ancora maggior necessità di un mediatore. Che magari interpreti questo ruolo in modo meno conservativo dello status quo.

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m5s

di Daris Giancarlini

Mediazione non è cercare un punto d’equilibrio tra due punti estremi: in politica, è spesso un modo per andare avanti non risolvendo ma posticipando la soluzione del problema. Un vero ‘principe’ di questo tipo di mediazione, mirata soprattutto a restare in sella, si sta rivelando l’attuale presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Si era presentato da capo del Governo Lega-cinquestelle, di derivazione grillina, come “avvocato del popolo” e come garante del cosiddetto ‘contratto’ fra i due partner della maggioranza. Figura risultata dalla scarsa consistenza politica, a fronte della straripante prevalenza mediatica dei due vice premier Salvini e Di Maio.

Poi, con la crisi innescata dal segretario leghista nell’estate scorsa, il premier ‘impalpabile’ si era eretto a censore delle esuberanze salviniane, fino a consolidarsi - anche agli occhi del Pd, nuovo alleato di governo dei 5s come successore di se stesso a capo di una maggioranza del tutto opposta a quella da lui stesso guidata per più di un anno.

Mediare, mediare e ancora mediare: la funzione del premier, che la Costituzione definisce “responsabile” della politica del Governo, in Giuseppe Conte ha trovato una vera sublimazione. Una mediazione che riguarda soprattutto i toni (più dei contenuti) del confronto tra quanti, dopo essere

stati acerrimi avversari prima delle elezioni, si trovano a condividere responsabilità di governo, mantenendo comunque riserve e punti di vista opposti rispetto al temporaneo alleato. Come dimostra il confronto sul progetto del ministro della Giustizia (Bonafede, M5s) che mira a cancellare la prescrizione.

La figura del Conte mediatore deriva soprattutto da una fase politica in cui, ancora in presenza di una legge elettorale parzialmente maggioritaria, lo storico bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra si è ritrovato con la ‘novità’ rappresentata da quel terzo imprevisto che sono i cinquestelle. 

Un tripolarismo che, anche se con i grillini in calo evidente di consensi, sta facendo orientare gran parte della classe politica verso una (ennesima) legge elettorale, stavolta totalmente proporzionale. Un’evoluzione che, stando ai più attenti politologi, avrà come conseguenza principale quella dello sbriciolamento degli schieramenti, con i partiti impegnati a correre da soli.

Senza sbilanciarsi, prima del voto, sulle future alleanze di governo, che si faranno in Parlamento. D’altronde, la Lega di Salvini prima delle elezioni del marzo 2018 aveva fatto fronte comune con Forza Italia e Fratelli d’Italia, ma poi era andata da sola al governo con i cinquestelle. Riposizionandosi non soltanto, secondo il nuovo credo salviniano, come forza non più limitata al Nord ma sempre più nazionale e nazionalista, ma anche e soprattutto come polo d’attrazione principale, se non unico, del centrodestra.

Sul fronte opposto, il Pd di Zingaretti non sembra ancora avere le idee chiare su come approcciare il proprio riposizionamento in vista della nuova fase politica. Il segretario parla di allargamento e di apertura a nuovi soggetti e movimenti, ma non si comprende se si tratterà di alleanze con soggetti alla propria sinistra o di assorbire voti in uscita da altre formazioni.

A partire da quei cinquestelle in cui la confusione regna sovrana, in attesa dell’annunciata riorganizzazione interna. Pare che il mediatore Conte guardi a questi giri di valzer con una certa preoccupazione, specie dopo gli attacchi di Matteo Renzi. Ma forse in futuro ci sarà ancora maggior necessità di un mediatore. Che magari interpreti questo ruolo in modo meno conservativo dello status quo.

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Da Assisi l’impegno per una economia giusta e sostenibile https://www.lavoce.it/da-assisi-limpegno-per-una-economia-giusta-e-sostenibile/ Fri, 24 Jan 2020 14:05:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56063

“Siamo convinti che, in presenza di politiche serie e lungimiranti, sia possibile azzerare il contributo netto di emissione dei gas serra entro il 2050. Questa sfida può rinnovare la missione dell’Europa dandole forza e centralità. E può vedere un’Italia in prima fila”. È un passaggio del “Manifesto di Assisi” “contro la crisi climatica” presentato ad Assisi questa mattina con un evento nazionale al quale ha partecipato anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. L’impegno dei sottoscrittori del Manifesto è costruire un’economia e una società più a misura d’uomo in grado di affrontare con coraggio la crisi climatica, grazie ad una nuova alleanza tra istituzioni, mondo economico, politica, società e cultura. “Siamo in tanti ad aver sottoscritto il Manifesto che Ermete ha ideato insieme ad alcuni esperti di economia. Oltre 2000 firme, di grande rappresentatività. E oltre 2000 saranno anche i giovani “quattro amici” che, con Papa Francesco, verranno a fine marzo con la voglia di cambiare l’economia. Li attendiamo con speranza: non possiamo e non vogliamo più tornare indietro. E sono convinto che insieme – noi tutti, i giovani e Francesco – cambieremo il mondo” ha detto il Custode del Sacro Convento, padre Mauro Gambetti, in apertura dell'incontro. Il Manifesto ha raccolto le firme di tanti cittadini ma anche e soprattutto imprenditori, a cominciare dai promotori: Confindustria, Coldiretti, Gruppo Enel, Novamont (la multinazionale umbra leader nel settore delle bioplastiche impegnata per lo sviluppo sostenibile) che con la Fondazione “Symbola” e il Sacro Convento di Assisi, hanno promosso il Manifesto. [gallery ids="56067,56066,56065,56064"]

Questo il testo del Manifesto

IL MANIFESTO DI ASSISI

Un’economia a misura d’uomo contro la crisi climatica

Qui sotto, il testo completo del Manifesto. Si trova pubblicato sul sito www.symbola.net, dove è anche possibile firmarlo. Affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro. È una sfida di enorme portata che richiede il contributo delle migliori energie tecnologiche, istituzionali, politiche, sociali, culturali. Il contributo di tutti i mondi economici e produttivi e soprattutto la partecipazione dei cittadini. Importante è stato ed è in questa direzione il ruolo dell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. Siamo convinti che, in presenza di politiche serie e lungimiranti, sia possibile azzerare il contributo netto di emissione dei gas serra entro il 2050. Questa sfida può rinnovare la missione dell’Europa dandole forza e centralità. E può vedere un’Italia in prima fila. Già oggi in molti settori, dall’industria all’agricoltura, dall’artigianato ai servizi, dal design alla ricerca, siamo protagonisti nel campo dell’ economia circolare e sostenibile. Siamo, ad esempio, primi in Europa come percentuale di riciclo dei rifiuti prodotti. La nostra green economy rende più competitive le nostre imprese e produce posti di lavoro affondando le radici, spesso secolari, in un modo di produrre legato alla qualità, alla bellezza, all’efficienza, alla storia delle città, alle esperienze positive di comunità e territori. Fa della coesione sociale un fattore produttivo e coniuga empatia e tecnologia. Larga parte della nostra economia dipende da questo. I nostri problemi sono grandi e antichi: non solo il debito pubblico ma le diseguaglianze sociali e territoriali, l’illegalità e l’economia in nero, una burocrazia spesso inefficiente e soffocante, l’incertezza per il presente e il futuro che alimenta paure. Ma l’ Italia è anche in grado di mettere in campo risorse ed esperienze che spesso non siamo in grado di valorizzare. Noi siamo convinti che non c’è nulla di sbagliato in Italia che non possa essere corretto con quanto di giusto c’è in Italia. La sfida della crisi climatica può essere l’occasione per mettere in movimento il nostro Paese in nome di un futuro comune e migliore. Noi, in ogni caso, nei limiti delle nostre possibilità, lavoreremo in questa direzione, senza lasciare indietro nessuno, senza lasciare solo nessuno. Un’Italia che fa l’Italia, a partire dalle nostre tradizioni migliori, è essenziale per questa sfida e può dare un importante contributo per provare a costruire un mondo più sicuro, civile, gentile.]]>

“Siamo convinti che, in presenza di politiche serie e lungimiranti, sia possibile azzerare il contributo netto di emissione dei gas serra entro il 2050. Questa sfida può rinnovare la missione dell’Europa dandole forza e centralità. E può vedere un’Italia in prima fila”. È un passaggio del “Manifesto di Assisi” “contro la crisi climatica” presentato ad Assisi questa mattina con un evento nazionale al quale ha partecipato anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. L’impegno dei sottoscrittori del Manifesto è costruire un’economia e una società più a misura d’uomo in grado di affrontare con coraggio la crisi climatica, grazie ad una nuova alleanza tra istituzioni, mondo economico, politica, società e cultura. “Siamo in tanti ad aver sottoscritto il Manifesto che Ermete ha ideato insieme ad alcuni esperti di economia. Oltre 2000 firme, di grande rappresentatività. E oltre 2000 saranno anche i giovani “quattro amici” che, con Papa Francesco, verranno a fine marzo con la voglia di cambiare l’economia. Li attendiamo con speranza: non possiamo e non vogliamo più tornare indietro. E sono convinto che insieme – noi tutti, i giovani e Francesco – cambieremo il mondo” ha detto il Custode del Sacro Convento, padre Mauro Gambetti, in apertura dell'incontro. Il Manifesto ha raccolto le firme di tanti cittadini ma anche e soprattutto imprenditori, a cominciare dai promotori: Confindustria, Coldiretti, Gruppo Enel, Novamont (la multinazionale umbra leader nel settore delle bioplastiche impegnata per lo sviluppo sostenibile) che con la Fondazione “Symbola” e il Sacro Convento di Assisi, hanno promosso il Manifesto. [gallery ids="56067,56066,56065,56064"]

Questo il testo del Manifesto

IL MANIFESTO DI ASSISI

Un’economia a misura d’uomo contro la crisi climatica

Qui sotto, il testo completo del Manifesto. Si trova pubblicato sul sito www.symbola.net, dove è anche possibile firmarlo. Affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro. È una sfida di enorme portata che richiede il contributo delle migliori energie tecnologiche, istituzionali, politiche, sociali, culturali. Il contributo di tutti i mondi economici e produttivi e soprattutto la partecipazione dei cittadini. Importante è stato ed è in questa direzione il ruolo dell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. Siamo convinti che, in presenza di politiche serie e lungimiranti, sia possibile azzerare il contributo netto di emissione dei gas serra entro il 2050. Questa sfida può rinnovare la missione dell’Europa dandole forza e centralità. E può vedere un’Italia in prima fila. Già oggi in molti settori, dall’industria all’agricoltura, dall’artigianato ai servizi, dal design alla ricerca, siamo protagonisti nel campo dell’ economia circolare e sostenibile. Siamo, ad esempio, primi in Europa come percentuale di riciclo dei rifiuti prodotti. La nostra green economy rende più competitive le nostre imprese e produce posti di lavoro affondando le radici, spesso secolari, in un modo di produrre legato alla qualità, alla bellezza, all’efficienza, alla storia delle città, alle esperienze positive di comunità e territori. Fa della coesione sociale un fattore produttivo e coniuga empatia e tecnologia. Larga parte della nostra economia dipende da questo. I nostri problemi sono grandi e antichi: non solo il debito pubblico ma le diseguaglianze sociali e territoriali, l’illegalità e l’economia in nero, una burocrazia spesso inefficiente e soffocante, l’incertezza per il presente e il futuro che alimenta paure. Ma l’ Italia è anche in grado di mettere in campo risorse ed esperienze che spesso non siamo in grado di valorizzare. Noi siamo convinti che non c’è nulla di sbagliato in Italia che non possa essere corretto con quanto di giusto c’è in Italia. La sfida della crisi climatica può essere l’occasione per mettere in movimento il nostro Paese in nome di un futuro comune e migliore. Noi, in ogni caso, nei limiti delle nostre possibilità, lavoreremo in questa direzione, senza lasciare indietro nessuno, senza lasciare solo nessuno. Un’Italia che fa l’Italia, a partire dalle nostre tradizioni migliori, è essenziale per questa sfida e può dare un importante contributo per provare a costruire un mondo più sicuro, civile, gentile.]]>
Il voto umbro è nazionale https://www.lavoce.it/voto-umbro-nazionale/ https://www.lavoce.it/voto-umbro-nazionale/#comments Thu, 31 Oct 2019 10:48:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55671 Ma è vero o no che l’esito delle elezioni in Umbria è anche un segnale importante per il futuro della politica nazionale?

Sì, lo è. Innanzi tutto, ha confermato (ammesso che ce ne fosse bisogno) che l’elettorato dei cinquestelle non gradisce l’apparentamento con il Partito democratico – salvo che per l’alleanza di governo, digerita però solo perché l’alternativa sarebbero le elezioni politiche anticipate.

O, andando più a fondo, ha mostrato che il Movimento 5 stelle è in crisi di identità fin dal momento in cui da partito anti-sistema è diventato partito di governo con la nascita del primo esecutivo Conte (primavera 2018). Finché sei antisistema, non hai problemi ad appoggiare simultaneamente quelli che vogliono la botte piena (meno tasse) e quelli che vogliono la moglie ubriaca (più gente in pensione e più a lungo).

Quando però sei al governo, ti accorgi che non puoi dare le due cose insieme, e magari nessuna delle due. Appena si rende conto di questo, chi li aveva votati una volta se va, perché il M5s non ha storia e non ha radici. Storia e radici, invece, ha – o avrebbe – il Pd. E questo spiega perché il 27 ottobre, nonostante tutto, abbia preso ancora un po’ di voti. Ma nessuno si deve illudere.

Anche il Pd è in crisi di identità, ed è una crisi ancora più profonda di quella dei grillini; risale molto indietro. Anche questo dimostra che il voto umbro è un segnale a livello nazionale. Proviamo a spiegarlo in breve.

C’era una volta il Pci, che aveva un’organizzazione granitica, un radicamento popolare, un’ideologia (quella marxista) e collegamenti internazionali (il mondo sovietico). Tutto questo faceva la sua forza, anche se, nello stesso tempo, forniva ottime giustificazioni a chi lo voleva mantenere lontano dal governo votando per i suoi avversari a costo di doversi “turare il naso”, come diceva Montanelli.

Intanto però il vecchio Pci, per una scelta precisa di Togliatti, svolgeva sottobanco in Italia un ruolo che altrove svolgevano i partiti laburisti, cristiano-sociali e socialdemocratici: ossia il ruolo di una sinistra progressista e socialmente avanzata, ma democratica e non rivoluzionaria.

Ai militanti lasciava credere che questa fosse una commedia, in attesa della rivoluzione che un bel giorno sarebbe comunque arrivata. Di fatto, però, questo progressismo non rivoluzionario si combinava silenziosamente con quello analogo della parte più progressista della Dc, e così pian piano l’Italia realizzava lo “Stato sociale” che abbiamo tuttora.

È poi accaduto che tutto il bagaglio ideologico del vecchio Pci è scomparso drammaticamente quando nei Paesi del “socialismo reale” i regimi comunisti sono crollati da un giorno all’altro, e con loro le speranze – sempre più mitologiche – nella futura rivoluzione. Il nome stesso di “partito comunista” era ormai solo un peso morto. Così il Pci si è riciclato in un partito nuovo, conservando però la fedeltà dei vecchi militanti e le strutture organizzative; e quindi una certa forza elettorale, finché durava.

Anzi, poi questo nuovo partito è sembrato diventare ancora più forte fondendosi con una quota non trascurabile di quella che era stata l’ala progressista della vecchia Dc, scomparsa anch’essa.

Restava al Pd quel ruolo di partito progressista e democratico che di fatto avevano già svolto i partiti suoi progenitori. Tutto bene, quindi? No. Perché in Italia lo “Stato sociale”, lo Stato del welfare era stato effettivamente costruito mantenendo l’economia di mercato nei suoi aspetti migliori e neutralizzandone gli effetti perversi.

Non dimentichiamo che oggi in Italia una buona metà della spesa pubblica è rappresentata dalle pensioni e dalla sanità, senza contare gli altri servizi: una colossale ridistribuzione di risorse fra le classi sociali. I partiti della sinistra progressista, in Italia come nel resto dell’Europa occidentale, hanno raggiunto – bene o male – il loro obiettivo, e a questo risultato nessuno vuole rinunciare (neppure le destre).

Ma se questo è vero, questi partiti progressisti hanno esaurito la loro funzione storica. Sul terreno rimangono ancora tantissimi problemi, nessuno può negarlo, ma le vecchie ricette non servono più. Vedi la crisi dei socialisti francesi, tedeschi e spagnoli, e dei laburisti inglesi.

Il declino del Pd in Umbria non dipende dunque (solo) da Catiuscia Marini e soci; e non è un fatto solo umbro, e neppure solo italiano. Bisogna ripensare un’intera politica; e va ripensata collegialmente a livello europeo, anzi mondiale. Nel frattempo, buona fortuna a Donatella Tesei e a Giuseppe Conte. E a tutti noi.

 

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Ora arrivano le gatte da pelare https://www.lavoce.it/ora-arrivano-gatte-pelare/ Wed, 30 Oct 2019 15:20:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55665

di Daris Giancarlini

Pensava di vincere, non di stravincere, Donatella Tesei. Che infatti, nella prima conferenza stampa alle 2 della notte elettorale, è sembrata emotivamente colpita dalla portata della vittoria che ha consentito al suo schieramento di conquistare, alla vigilia del 50° di nascita della Regione, la guida dell’Umbria.

A danno dell’inedita, improvvisata ‘alleanza’ (?) tra Partito democratico e cinquestelle, che fino a qualche settimana prima del voto umbro erano stati nemici acerrimi. Basti ricordare che a far partire Sanitopoli, l’inchiesta giudiziaria sui concorsi in sanità che ha sconquassato un Pd umbro già malmesso di suo, erano state proprio le denunce della pattuglia grillina in Consiglio regionale.

Ma dopo la crisi del Governo giallo-verde innescata dal segretario della Lega, Matteo Salvini, il voto regionale in Umbria è assurto a ruolo di primo test sulla consistenza reale, e sulle possibilità future, della maggioranza Pd-5S (più Italia viva di Matteo Renzi, che però in Umbria non si è presentata con propri candidati).

E il test, che alla fine anche il centrosinistra più i grillini hanno santificato, volenti o nolenti, con la riunione di Narni (presente perfino il premier Giuseppe Conte), ha detto che no, almeno gli umbri non gradiscono. Quei 20 punti percentuali di distacco tra Tesei e il candidato presidente di Pd-5S, il civico Vincenzo Bianconi, non sono né ‘interpretabili’ né redimibili. Sono una pietra tombale su un’eventuale riproposizione dello stesso connubio in altre elezioni regionali. Ma d’altronde Di Maio, il capo politico grillino, prima di decidere sull’Umbria aveva fatto votare gli iscritti del suo movimento sulla mitica piattaforma Rousseau: come a dire, sono il capo ma decidete voi.

L’atteggiamento del segretario Dem, Zingaretti, non era stato meno guardingo, ma anche per lui alla fine aveva prevalso la logica dell’argine all’avanzata della Lega. Peccato che in Umbria né il Pd nazionale né quello locale si fossero accorti che il fiume leghista quell’argine lo aveva rotto da tempo. Fin dalle regionali del 2015, quando a tirare la volata quasi vincente all’allora candidato presidente, Claudio Ricci, contro Catiuscia Marini (bis), erano stati proprio i 50.000 voti e passa della Lega.

Poi, in tutte le successive tornate elettorali, il partito di Salvini non ha fatto altro che guadagnare consensi, fino ad arrivare all’exploit del 38,8 per cento ottenuto alle elezioni europee del giugno scorso. E la Lega con il resto del centrodestra governa già in Umbria il 62 per cento dei Comuni (pari a più di 500 mila abitanti), a partire dai più grandi, come Perugia, Terni, Spoleto, Todi, Orvieto e Umbertide.

Dunque, quando Zingaretti viene in Umbria a fare campagna elettorale e dice che “qui Salvini non deve vincere”, dà il senso di un ritardo notevole. Dovuto forse al fatto che, finché questo voto regionale non è stato caricato di implicazioni nazionali, dell’Umbria importava poco o nulla al di fuori dei suoi confini. Essendo – come ha osservato, con poco tatto politico – il premier Conte, “grande quanto la provincia di Lecce”.

Nel primo commento a caldo sulla sconfitta umbra, Zingaretti conferma “una tendenza negativa che non siamo riusciti a ribaltare”. Magari sarebbe anche stato opportuno chiedersi perché e per responsabilità di chi, per progettare una ripartenza. Sta di fatto che nessuno dei capi del Pd, nazionali o locali, si è fatto vedere insieme a Bianconi a commentare il disastro delle urne.

Quel Bianconi che, da civico in quanto (orgogliosamente) inesperto delle cose della politica, avrebbe dovuto – nelle intenzione dei suoi sostenitori – tentare l’impresa titanica, in una Regione praticamente già persa politicamente, dare una ‘riverniciata’ alla politica stessa in un momento di forte crisi dei partiti: del Pd dopo Sanitopoli e la scissione renziana, e dei cinquestelle in continuo e, in tutta evidenza, inarrestabile declino di consensi per la palese assenza di contatto con il territorio.

Più politicamente saldo e consistente lo spessore della Tesei, con alle spalle un’esperienza decennale da sindaco di Montefalco. Anche questo le ha consentito di proporsi non come neofita della politica ma come possibile amministratore affidabile e rassicurante a una platea di elettori umbri che, in una fase economica e sociale regionale caratterizzata da grande incertezza, sembra aver trovato nella Lega un punto di riferimento meno incerto e impalpabile dell’ormai cronicamente malmesso Pd e del poco presente Movimento 5 stelle.

Ora, mentre Pd e grillini devono ‘elaborare il lutto’, il vincentissimo centrodestra a trazione leghista (ma con una consistente presenza di Fratelli d’Italia, e un ruolo meno incisivo di Forza Italia) è chiamato a interpretare nella maniera più realistica ed efficace possibile il successo che gli è piombato addosso. E magari ad affrontare quei temi, tutti regionali, che in una campagna elettorale caratterizzata prevalentemente come test nazionale non hanno trovato posto.

Per esempio: non si capisce bene quale sia, e se ci sia, una scelta tra la strada della macroregione e quella del regionalismo differenziato. Non si comprende quali possano essere le linee di indirizzo per rilanciare il sistema produttivo, né arrivano indicazioni serie e concrete per risolvere l’eterno problema dell’isolamento dell’Umbria. Di più: la ricostruzione postterremoto. È sufficiente pensare al risanamento edilizio, o serve anche qualche idea per evitare lo spopolamento delle zone colpite? E infine, la sanità: ci si limita a dire “fuori la politica”, o magari servirebbe più politica, ma quella ‘buona’?

Buon lavoro, Tesei. Il da fare non le manca.

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Il presidente Conte ricevuto in visita privata dal Cardinale Bassetti. L’intervista su Umbria, legge di bilancio, Chiesa https://www.lavoce.it/il-presidente-conte-ricevuto-in-visita-privata-dal-cardinale-bassetti-lintervista-su-umbria-legge-di-bilancio-chiesa/ Thu, 24 Oct 2019 19:31:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55607

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato ricevuto in visita privata dal Cardinale Gualtiero Bassetti il 24 ottobre, nel tardo pomeriggio. Un colloquio di quaranta minuti, al termine del quale non è stata rilasciata dichiarazione sui contenuti dell'incontro ma il Presidente Conte non si è sottratto alle domande dei media cattolici umbri La Voce e Umbria Radio, con i loro siti web www.lavoce.it e www.umbriaoggi.news. IL VIDEO DELLA VISITA  Ecco il testo dell'intervista: Come presidente del Consiglio quale pensa sia il contributo che può dare e che dà al Paese, la Chiesa che è in Italia? ”La Chiesa ha una spiccata vocazione pastorale. La Chiesa è un pilastro della nostra tradizione culturale e sociale. Che continui a sviluppare la sua attiva pastorale e continui a coltivare il suo carisma, la sua vocazione e quindi aiuti, in piena autonomia, ma possibilmente condividendo qualche iniziativa comune per quanto riguarda, ad esempio, le persone che soffrono e che sono emarginate. Le persone che più hanno difficoltà, finanziarie e non solo. Da questo punto di vista la Chiesa fa tanto ed è un pilastro anche per quanto riguarda l’area del terzo settore e ci auguriamo che possa continuare a contribuire anche il tessuto sociale”. Quale è il suo rapporto con questa regione: ci sono luoghi o personaggi cui è particolarmente legato? “Il personaggio è senz'altro san Francesco. È così assorbente che stento ad indicarne atri al suo posto, anche se ce ne sono tanti altri importanti. Sì, sono molte volte che vengo in Umbria e ci torno sempre volentieri. Ritengo che l’Umbria sia un territorio un po’ speciale perché qui si percepisce ancor più il senso dell’armonia, la bellezza dell’armonia che si può instaurare tra l’uomo e l’ambiente, e questo è al centro del progetto politico di questo governo. Voi sapete che alcuni punti programmatici del Governo sono proprio dedicati a rendere l’Italia più verde, più sostenibile, ad offrire una prospettiva ecocompatibile per tutte le attività che facciamo. Qui non dobbiamo parlare solo di industria , di ridurre le emissioni nocive o altro. Dobbiamo parlare di offrire una qualità della vita migliore, a tutti i cittadini. Ecco, quando io vengo in Umbria colgo concretamente questo progetto che è anche un progetto concreto ma è anche di speranza, un progetto attuale ma anche un progetto che disegna il futuro”. Le immagini dell'incontro [gallery ids="55619,55618,55617,55616,55613,55612,55611,55620"] Molte realtà cattoliche come il Forum delle associazioni familiari guardano con interesse a quello che nella legge di bilancio si potrà fare per le famiglie... “Noi abbiamo stanziato, pur in un quadro di risorse molto contenute - anzi non speravamo di riuscire a trovarne visto questo problema della sterilizzazione dell’Iva per cui abbiamo dovuto mettere sul piatto 23 miliardi, 23 miliardi sonanti dico io - però siamo riusciti a mettere sul piatto delle riscorse e una parte di queste è destinata a dare un segnale importante per il sostegno alle famiglie. In questo momento ci sono tra le persone in difficoltà famiglie con figli, soprattutto quelle numerose, quindi adesso si tratterà di lavorare. Si è parlato anche di un ‘family act’ che, per come interpreto io, è il tentativo di ordinare anche tutte le agevolazioni un po’ sparse che ci sono per le famiglie, e cercare quindi di riprogrammare in modo più organico e sistematico un sostegno effettivo che speriamo possa essere messo, ripeto, soprattutto alle famiglie numerose. Ma un segnale abbiamo cercato di darlo alle persone con disabilità incrementando le risorse già stanziate. Anche lì è un problema familiare, perché quando c’è una persona con disabilità è una intera famiglia che viene coinvolta dalle difficoltà. Noi dobbiamo lavorare a tutti i livelli per l’inclusione. Dico sempre che l’inclusione è fondamentale per riconoscere, più che restituire, la piena dignità. La dignità l’abbiamo tutti, con la nascita, ma c’ anche una dignità che ha una dimensione sociale, e se non c’è lavoro, se non c’è la possibilità di vivere dignitosamente, se non c’è la possibilità di essere partecipi a pieno titolo della comunità in cui viviamo, evidentemente non possiamo sentirci a posto con la nostra coscienza noi governanti, non possiamo esser contenti noi che guardiamo il nostro prossimo soffrire”. Ascolta l'audio [audio mp3="https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2019/10/191024-conte-visita-bassetti-perugia_INTERVISTA.mp3"][/audio]    ]]>

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato ricevuto in visita privata dal Cardinale Gualtiero Bassetti il 24 ottobre, nel tardo pomeriggio. Un colloquio di quaranta minuti, al termine del quale non è stata rilasciata dichiarazione sui contenuti dell'incontro ma il Presidente Conte non si è sottratto alle domande dei media cattolici umbri La Voce e Umbria Radio, con i loro siti web www.lavoce.it e www.umbriaoggi.news. IL VIDEO DELLA VISITA  Ecco il testo dell'intervista: Come presidente del Consiglio quale pensa sia il contributo che può dare e che dà al Paese, la Chiesa che è in Italia? ”La Chiesa ha una spiccata vocazione pastorale. La Chiesa è un pilastro della nostra tradizione culturale e sociale. Che continui a sviluppare la sua attiva pastorale e continui a coltivare il suo carisma, la sua vocazione e quindi aiuti, in piena autonomia, ma possibilmente condividendo qualche iniziativa comune per quanto riguarda, ad esempio, le persone che soffrono e che sono emarginate. Le persone che più hanno difficoltà, finanziarie e non solo. Da questo punto di vista la Chiesa fa tanto ed è un pilastro anche per quanto riguarda l’area del terzo settore e ci auguriamo che possa continuare a contribuire anche il tessuto sociale”. Quale è il suo rapporto con questa regione: ci sono luoghi o personaggi cui è particolarmente legato? “Il personaggio è senz'altro san Francesco. È così assorbente che stento ad indicarne atri al suo posto, anche se ce ne sono tanti altri importanti. Sì, sono molte volte che vengo in Umbria e ci torno sempre volentieri. Ritengo che l’Umbria sia un territorio un po’ speciale perché qui si percepisce ancor più il senso dell’armonia, la bellezza dell’armonia che si può instaurare tra l’uomo e l’ambiente, e questo è al centro del progetto politico di questo governo. Voi sapete che alcuni punti programmatici del Governo sono proprio dedicati a rendere l’Italia più verde, più sostenibile, ad offrire una prospettiva ecocompatibile per tutte le attività che facciamo. Qui non dobbiamo parlare solo di industria , di ridurre le emissioni nocive o altro. Dobbiamo parlare di offrire una qualità della vita migliore, a tutti i cittadini. Ecco, quando io vengo in Umbria colgo concretamente questo progetto che è anche un progetto concreto ma è anche di speranza, un progetto attuale ma anche un progetto che disegna il futuro”. Le immagini dell'incontro [gallery ids="55619,55618,55617,55616,55613,55612,55611,55620"] Molte realtà cattoliche come il Forum delle associazioni familiari guardano con interesse a quello che nella legge di bilancio si potrà fare per le famiglie... “Noi abbiamo stanziato, pur in un quadro di risorse molto contenute - anzi non speravamo di riuscire a trovarne visto questo problema della sterilizzazione dell’Iva per cui abbiamo dovuto mettere sul piatto 23 miliardi, 23 miliardi sonanti dico io - però siamo riusciti a mettere sul piatto delle riscorse e una parte di queste è destinata a dare un segnale importante per il sostegno alle famiglie. In questo momento ci sono tra le persone in difficoltà famiglie con figli, soprattutto quelle numerose, quindi adesso si tratterà di lavorare. Si è parlato anche di un ‘family act’ che, per come interpreto io, è il tentativo di ordinare anche tutte le agevolazioni un po’ sparse che ci sono per le famiglie, e cercare quindi di riprogrammare in modo più organico e sistematico un sostegno effettivo che speriamo possa essere messo, ripeto, soprattutto alle famiglie numerose. Ma un segnale abbiamo cercato di darlo alle persone con disabilità incrementando le risorse già stanziate. Anche lì è un problema familiare, perché quando c’è una persona con disabilità è una intera famiglia che viene coinvolta dalle difficoltà. Noi dobbiamo lavorare a tutti i livelli per l’inclusione. Dico sempre che l’inclusione è fondamentale per riconoscere, più che restituire, la piena dignità. La dignità l’abbiamo tutti, con la nascita, ma c’ anche una dignità che ha una dimensione sociale, e se non c’è lavoro, se non c’è la possibilità di vivere dignitosamente, se non c’è la possibilità di essere partecipi a pieno titolo della comunità in cui viviamo, evidentemente non possiamo sentirci a posto con la nostra coscienza noi governanti, non possiamo esser contenti noi che guardiamo il nostro prossimo soffrire”. Ascolta l'audio [audio mp3="https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2019/10/191024-conte-visita-bassetti-perugia_INTERVISTA.mp3"][/audio]    ]]>
San Francesco. Mons. Betori: “Oggi c’è una pretesa di autodeterminazione senza riferimenti valoriali” https://www.lavoce.it/san-francesco-mons-betori/ Fri, 04 Oct 2019 09:34:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55366 betori

Oggi la Chiesa celebra San Francesco di Assisi, patrono d’Italia. Nella città serafica stamattina è arrivato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte che, al termine della messa, parlerà alla nazione dalla Loggia del Sacro Convento.

Segui la diretta su Umbria Radio      

Il Sindaco di Firenze ha acceso la Lampada

La Lampada Votiva a san Francesco che da 80 anni arde dinnanzi alla tomba del santo, quest'anno è stata accesa dal sindaco di Firenze, Dario Nardella, accompagnato ad Assisi da circa 50 sindaci dalla regione Toscana. “Riportare la solennità di san Francesco d’Assisi a festa nazionale, credo che sarebbe un segno concreto di rispetto e di amore verso questa figura e verso ciò che rappresenta oggi per l’Italia. San Francesco è infatti espressione viva dell’importanza di focalizzare il nostro impegno sulla collaborazione, sul rispetto reciproco nella politica come nella vita pubblica. Per questo mi associo alla richiesta lanciata dalla sindaca di Assisi, Stefania Proietti, alle istituzioni” ha detto Nardella. Il Sindaco di Firenze ha parlato anche del significato che ha per la Toscana questo gesto: “E’ un’occasione – ha affermato – di profonda riflessione sui valori laici e spirituali che sono alla base della storia del nostro Paese e delle nostre istituzioni. Io vengo da una città come Firenze che ha sempre coltivato il dialogo tra cultura e spiritualità, tra laicità e religione, e non ha mai fatto mistero della rilevanza pubblica della fede. Accendere la lampada significa che vogliamo tenere accesa la sua testimonianza”. Il Sindaco ha poi sottolineato come “le manifestazioni di giovani in tutto il mondo, a sostegno dell’ambiente, permettano di comprendere quanto sia attuale il messaggio di san Francesco e quanto sia necessario cambiare radicalmente i nostri stili di vita, il nostro modo di produrre beni e servizi”. “Vi è un forte legame – ha concluso – tra le celebrazioni del santo e la fase che sta vivendo la politica in Italia e negli altri stati rispetto alle sfide ambientali”.

L'omelia di mons. Betori

[caption id="attachment_55368" align="aligncenter" width="755"] Mons. Betori durante l'omelia[/caption]

La celebrazione è stata presieduta dall’arcivescovo metropolita di Firenze, mons. Giuseppe Betori.

“Il volto di Gesù è simile a quello di nostri tanti fratelli umiliati, resi schiavi. San Francesco scoprì il volto di Cristo nel volto dei lebbrosi. Su questa capacità di incrociare lo sguardo dei poveri si gioca la credibilità della nostra Chiesa e del nostro Paese” ha detto l’Arcivescovo di Firenze nell’omelia della messa che ha celebrato al Sacro Convento d’Assisi. “Il problema non è chi sia il mio prossimo, ma di come io debba farmi prossimo a tutti fino al più lontano”, ha aggiunto il porporato. Citando le parole dei vescovi italiani di 18 anni fa sulla necessità di ripartire dagli ultimi, il cardinale ha ricordato che “la dimensione comunitaria è parte integrante della conformazione di una vita a Cristo a fronte della frammentazione che caratterizza questo tempo, dividendo popoli e gruppi sociali, famiglie e la stessa dimensione personale in un’affannosa ricerca di ciò che ci distingue per oscurare ciò che ci unisce”. “Il legame comunitario necessita, però, che nessuno pretenda di asservire il fratello, ma lo accolga con amore”, ha ammonito. Soffermandosi sulle “pretese dell’uomo oggi, di autonomia di svincolata libertà”, il card. Betori ha segnalato come “abbia condotto alle secche della frantumazione sociale fino alla contraddizione di uno sviluppo che si è tramutato in crisi economica”. “Su questa strada si collocano le minacciose nubi generate soprattutto ai confini della vita da una pretesa di autodeterminazione senza riferimenti valoriali e senza legami sociali”. Infine, l’appello alla minorità che “non va confuso con il venir meno della presenza della Chiesa nella società, non significa ritirarsi in un’ambigua interiorità narcisistica. Al contrario, quell’appello è il presupposto di una presenza più efficace”.

Il programma del pomeriggio

Segui la diretta delle celebrazioni da Santa Maria degli Angeli Nel pomeriggio arriverà ad Assisi il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Sarà ad Assisi alle 16 per i Vespri Pontificali nella Basilica Inferiore di San Francesco presieduti da mons. Augusto Paolo Lojudice, Arcivescovo di Siena-Colle di Val D’Elsa-Montalcino. A seguire parteciperà alla processione alla Basilica superiore e alla benedizione, all’Italia e al mondo, con la Chartula: l’autografo di San Francesco contenente la preghiera “Le lodi di Dio Altissimo” e la benedizione a Frate Leone.  ]]>
betori

Oggi la Chiesa celebra San Francesco di Assisi, patrono d’Italia. Nella città serafica stamattina è arrivato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte che, al termine della messa, parlerà alla nazione dalla Loggia del Sacro Convento.

Segui la diretta su Umbria Radio      

Il Sindaco di Firenze ha acceso la Lampada

La Lampada Votiva a san Francesco che da 80 anni arde dinnanzi alla tomba del santo, quest'anno è stata accesa dal sindaco di Firenze, Dario Nardella, accompagnato ad Assisi da circa 50 sindaci dalla regione Toscana. “Riportare la solennità di san Francesco d’Assisi a festa nazionale, credo che sarebbe un segno concreto di rispetto e di amore verso questa figura e verso ciò che rappresenta oggi per l’Italia. San Francesco è infatti espressione viva dell’importanza di focalizzare il nostro impegno sulla collaborazione, sul rispetto reciproco nella politica come nella vita pubblica. Per questo mi associo alla richiesta lanciata dalla sindaca di Assisi, Stefania Proietti, alle istituzioni” ha detto Nardella. Il Sindaco di Firenze ha parlato anche del significato che ha per la Toscana questo gesto: “E’ un’occasione – ha affermato – di profonda riflessione sui valori laici e spirituali che sono alla base della storia del nostro Paese e delle nostre istituzioni. Io vengo da una città come Firenze che ha sempre coltivato il dialogo tra cultura e spiritualità, tra laicità e religione, e non ha mai fatto mistero della rilevanza pubblica della fede. Accendere la lampada significa che vogliamo tenere accesa la sua testimonianza”. Il Sindaco ha poi sottolineato come “le manifestazioni di giovani in tutto il mondo, a sostegno dell’ambiente, permettano di comprendere quanto sia attuale il messaggio di san Francesco e quanto sia necessario cambiare radicalmente i nostri stili di vita, il nostro modo di produrre beni e servizi”. “Vi è un forte legame – ha concluso – tra le celebrazioni del santo e la fase che sta vivendo la politica in Italia e negli altri stati rispetto alle sfide ambientali”.

L'omelia di mons. Betori

[caption id="attachment_55368" align="aligncenter" width="755"] Mons. Betori durante l'omelia[/caption]

La celebrazione è stata presieduta dall’arcivescovo metropolita di Firenze, mons. Giuseppe Betori.

“Il volto di Gesù è simile a quello di nostri tanti fratelli umiliati, resi schiavi. San Francesco scoprì il volto di Cristo nel volto dei lebbrosi. Su questa capacità di incrociare lo sguardo dei poveri si gioca la credibilità della nostra Chiesa e del nostro Paese” ha detto l’Arcivescovo di Firenze nell’omelia della messa che ha celebrato al Sacro Convento d’Assisi. “Il problema non è chi sia il mio prossimo, ma di come io debba farmi prossimo a tutti fino al più lontano”, ha aggiunto il porporato. Citando le parole dei vescovi italiani di 18 anni fa sulla necessità di ripartire dagli ultimi, il cardinale ha ricordato che “la dimensione comunitaria è parte integrante della conformazione di una vita a Cristo a fronte della frammentazione che caratterizza questo tempo, dividendo popoli e gruppi sociali, famiglie e la stessa dimensione personale in un’affannosa ricerca di ciò che ci distingue per oscurare ciò che ci unisce”. “Il legame comunitario necessita, però, che nessuno pretenda di asservire il fratello, ma lo accolga con amore”, ha ammonito. Soffermandosi sulle “pretese dell’uomo oggi, di autonomia di svincolata libertà”, il card. Betori ha segnalato come “abbia condotto alle secche della frantumazione sociale fino alla contraddizione di uno sviluppo che si è tramutato in crisi economica”. “Su questa strada si collocano le minacciose nubi generate soprattutto ai confini della vita da una pretesa di autodeterminazione senza riferimenti valoriali e senza legami sociali”. Infine, l’appello alla minorità che “non va confuso con il venir meno della presenza della Chiesa nella società, non significa ritirarsi in un’ambigua interiorità narcisistica. Al contrario, quell’appello è il presupposto di una presenza più efficace”.

Il programma del pomeriggio

Segui la diretta delle celebrazioni da Santa Maria degli Angeli Nel pomeriggio arriverà ad Assisi il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Sarà ad Assisi alle 16 per i Vespri Pontificali nella Basilica Inferiore di San Francesco presieduti da mons. Augusto Paolo Lojudice, Arcivescovo di Siena-Colle di Val D’Elsa-Montalcino. A seguire parteciperà alla processione alla Basilica superiore e alla benedizione, all’Italia e al mondo, con la Chartula: l’autografo di San Francesco contenente la preghiera “Le lodi di Dio Altissimo” e la benedizione a Frate Leone.  ]]>
La crisi di Governo e il G7, mentre brucia la foresta https://www.lavoce.it/la-crisi-di-governo-e-il-g7-mentre-brucia-la-foresta/ Tue, 27 Aug 2019 15:07:50 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55117

Ci sono da commentare le vicende che dovrebbero (mentre scrivo) portare alla nascita del governo Conte 2, ma d’altra parte, viste su scala mondiale le contorsioni della politica italiana sono poco più che un nulla. Occupiamoci dunque del “G7” svoltosi in questi giorni a Biarritz, in Francia. Che cos’è il G7? E’ il vertice dei sette paesi che riconoscono se stessi come i più ricchi del mondo. Fino agli anni Settanta erano in cinque (Stati Uniti, Giappone, Gran Bretagna, Germania, Francia) poi sono diventati sette con l’ammissione di Italia e Canada. Per un po’ sono stati otto, con la Russia, che però quest’anno non ha partecipato. Non per la mancanza della Russia, ma per l’incapacità dei partecipanti di trovare una linea comune, il vertice di quest’anno è risultato inconcludente – ammesso che i precedenti avessero concluso qualcosa. Ma, anche se ne fossero stati capaci, sarebbe lecito chiedersi quanto valgano ormai le decisioni di quei Sette. Sulla scena mondiale sono cresciuti altri attori (la Cina e l’India, per dirne solo due) che a occhio non pesano meno. Su tutto, poi, incombono i problemi dell’umanità, di fronte ai quali fare una crisi di governo per la TAV Torino-Lione appare un po’ ridicolo. Parliamo della salvaguardia dell’ambiente su dimensione planetaria, fra i mutamenti climatici, il consumo forsennato delle risorse, l’esplosione demografica; fenomeni inarrestabili che ne provocano altri come le migrazioni di massa. È futile occuparsi dei problemi locali e nazionali se non si mettono al primo posto quelli globali. Intanto però i governi di alcuni paesi fra i più grandi (Stati Uniti, Cina, Brasile…) ostentano indifferenza verso i problemi ambientali globali; figurarsi se possiamo aspettarci che si accordino per trovare soluzioni che non potrebbero essere comunque indolori. Ci possiamo trastullare discutendo del ritorno (se ci sarà) di Giuseppe Conte al governo dell’Italia? Pier Giorgio Lignani]]>

Ci sono da commentare le vicende che dovrebbero (mentre scrivo) portare alla nascita del governo Conte 2, ma d’altra parte, viste su scala mondiale le contorsioni della politica italiana sono poco più che un nulla. Occupiamoci dunque del “G7” svoltosi in questi giorni a Biarritz, in Francia. Che cos’è il G7? E’ il vertice dei sette paesi che riconoscono se stessi come i più ricchi del mondo. Fino agli anni Settanta erano in cinque (Stati Uniti, Giappone, Gran Bretagna, Germania, Francia) poi sono diventati sette con l’ammissione di Italia e Canada. Per un po’ sono stati otto, con la Russia, che però quest’anno non ha partecipato. Non per la mancanza della Russia, ma per l’incapacità dei partecipanti di trovare una linea comune, il vertice di quest’anno è risultato inconcludente – ammesso che i precedenti avessero concluso qualcosa. Ma, anche se ne fossero stati capaci, sarebbe lecito chiedersi quanto valgano ormai le decisioni di quei Sette. Sulla scena mondiale sono cresciuti altri attori (la Cina e l’India, per dirne solo due) che a occhio non pesano meno. Su tutto, poi, incombono i problemi dell’umanità, di fronte ai quali fare una crisi di governo per la TAV Torino-Lione appare un po’ ridicolo. Parliamo della salvaguardia dell’ambiente su dimensione planetaria, fra i mutamenti climatici, il consumo forsennato delle risorse, l’esplosione demografica; fenomeni inarrestabili che ne provocano altri come le migrazioni di massa. È futile occuparsi dei problemi locali e nazionali se non si mettono al primo posto quelli globali. Intanto però i governi di alcuni paesi fra i più grandi (Stati Uniti, Cina, Brasile…) ostentano indifferenza verso i problemi ambientali globali; figurarsi se possiamo aspettarci che si accordino per trovare soluzioni che non potrebbero essere comunque indolori. Ci possiamo trastullare discutendo del ritorno (se ci sarà) di Giuseppe Conte al governo dell’Italia? Pier Giorgio Lignani]]>
Mobilità in Umbria. Il punto sulle difficoltà e l’isolamento della regione https://www.lavoce.it/mobilita-umbria-isolamento/ Thu, 08 Aug 2019 08:00:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55070 isolamento

L' isolamento dell'Umbria senza mare, senza autostrade e tagliata fuori dalle principali direttrici ferroviarie ha contribuito a farla diventare "cuore verde d'Italia", citando l'ormai fortunato slogan di promozione turistica del secolo scorso. Questo suo isolamento sta però pesando sempre di più sullo sviluppo sociale ed economico della regione, aggravato dalle difficoltà della mobilità interna: trasporti pubblici non sempre efficienti e di conseguenza strade intasate anche perchè in rapporto alla popolazione la densità delle auto in Umbria è tra le più alte in Italia. In questa estate poi a peggiorare la situazione sono arrivati la soppressione e riduzione delle corse dei bus, che ha penalizzato soprattutto i centri minori, ed i tanti cantieri sulle strade, sicuramente necessari ma che rendono più dura la vita di pendolari e di chi comunque deve spostarsi in auto perchè i mezzi pubblici non ci sono o sono troppo lenti. Sulla Ferrovia centrale umbra da luglio è stato ripristinato il servizio nella tratta Città di Castello-Perugia ma anche dopo i lavori per l'ammodernamento della linea il viaggio da Città di Castello per arrivare alla stazione perugina di S. Anna dura mediamente quasi due ore. Qualche novità positiva riguarda i collegamenti interregionali: voli giornalieri Perugia-Milano Linate dall'autunno, treni ad alta velocità che da giugno si fermano anche nella vicina stazione di Chiusi e tante promesse per il completamento della superstrada Perugia-Ancona e per altre infrastrutture importanti non soltanto per il turismo ma soprattutto per le aziende, l'occupazione e lo sviluppo economico.

Meno autobus

Nella vita quotidiana degli umbri a pesare di più è però il problema della mobilità interna. Fino al 12 settembre sono state ridotte le corse degli autobus pubblici, gli unici collegamenti in tanti centri e borghi dell' Umbria. "Si tratta di un passaggio necessario per mettere in equilibrio finanziario l'annualità 2019 del servizio di trasporti pubblici locali" ha detto l'assessore regionale Giuseppe Chianella spiegando che negli ultimi otto anni "la Regione dell'Umbria ha visto ridurre risorse per oltre 70 milioni di euro". Una decisione che ha suscitato la protesta di tanti sindaci e soprattutto degli utenti, alcuni dei quali titolari di abbonamenti già pagati per un servizio più completo. Nei piccoli centri ci sono anziani che devono fare chilometri a piedi per andare al cimitero, fare acquisti, visite mediche. In vista della riapertura dell'anno scolastico studenti e genitori sono preoccupati per l'annunciato "ridimensionamento" del servizio anche dopo la fine dell' estate. Più treni, ma quando? Per la mobilità interna una delle alternative all'auto è il treno ma l'offerta e la qualità dei servizi delle Ferrovie dello stato (Terontola-Perugia-Foligno-Terni) non è il massimo. "Per il raddoppio della Foligno-Terontola ci sono già stanziati 32 milioni di euro - ha detto l'assessore regionale Giuseppe Chianella - e chiederemo un quadro preciso degli interventi da realizzare fino al 2021". Con l'auspicio che non si ripeta quanto avvenuto per il raddoppio della ferrovia tra Campello e Spoleto con lavori cominciati da 20 anni e non ancora finiti. C'è poi la Ferrovia centrale umbra, quella che poteva essere la nostra "metropolitana", da Sansepolcro a Terni, paralizzata ormai da anni con treni fermi, stazioni abbandonate ed erba che cresce sui binari, come denunciato dall'assessore comunale di Todi Moreno Primieri. Se i treni sono tornati a viaggiare (50 chilometri all'ora!) da Città di Castello a Ponte San Giovanni, tutto è fermo sulla linea Perugia-Terni. Cerca di rassicurare l'assessore regionale Chianella. "La tratta a sud di Perugia (Ponte San Giovanni-Terni) è stata dichiarata di interesse nazionale ed abbiamo chiesto al Ministero dei trasporti oltre 200 milioni di euro in 5 anni per l'ammodernamento e la messa in sicurezza". Le voragini che "tornano" sul viadotto Genna - Pochi autobus, pochi treni ed allora serve l'auto ma le strade sono sempre più intasate. Cantieri che vanno e vengono. Sul raccordo autostradale attorno a Perugia ormai il caos e quasi quotidiano. Così come sulla superstrada E45 dove si lavora per migliorare l'asfalto ma le buche sono sempre tante. Cantieri che serviranno? Sul raccordo autostradale di Perugia c'è il viadotto Genna dove in circa due anni si è dovuto intervenire per 6 volte per richiudere le voragini che continuano ad aprirsi sull'asfalto. Forse è solo un caso ma una delle aziende che si erano aggiudicati gli appalti è stata colpita da una "interdittiva antimafia". Ed è recente la notizia del rinvio a giudizio di 10 persone per frode in fornitura pubblica e attentato alla sicurezza dei trasporti pubblici per avere "risparmiato" sul cemento nella costruzione di una delle gallerie (ora messa in sicurezza) della superstrada Foligno-Civitanova Merche.

La superstrada Perugia-Ancona eterna incompiuta

Cantieri che aprono e chiudono, fallimenti e 60 milioni di debiti. Conte e Toninelli: ad aprile 2020 lavori finiti L' Umbria è in Italia dove i lavori per le opere pubbliche non si sa mai quando finiscono. Il completamento della Terni - Civitavecchia è stato bloccato da un ricorso al Tar del Lazio su questioni ambientali. Sulla superstrada "fantasama" E78, che dovrebbe collegare Tirreno ed Adriatico, al confine tra Umbria e Marche c'è una galleria di 6 chilometri costata miliardi delle vecchie lire, con lavori conclusi nel 2004 e mai collegata ad altre strade tanto che nel 2012 era stata utilizzata abusivamente per ospitare una segheria. C'è anche la superstrada Terni-Rieti dove i lavori sono cominciati da 40 anni ma l'opera è ancora incompiuta. Situazione simile per la Perugia-Ancona, con tante solenni cerimonie per inaugurare una nuova galleria o qualche chilometro di superstrada, ma ancora oggi da completare. Con cantieri che aprono e chiudono per ricorsi sulle procedure degli appalti o perchè le aziende che si aggiudicano i lavori sono in difficoltà economiche, non pagano i fornitori e imprese in subappalto e ricorrono al concordato o addirittura falliscono. Con questo meccanismo del concordato o del fallimento solo negli ultimi anni nei lavori di questa superstrada si sono avvicendate 3 grandi imprese, l'ultima delle quali, la Astaldi, ha chiesto la procedura del concordato, lasciando i cantieri incompiuti e un debito di 60 milioni di euro. Tra i creditori ci sono una trentina di imprese umbre e marchigiane con 1500 dipendenti che hanno compiuto lavori non pagati per 40 milioni di euro. Alcune di queste rischiano la chiusura e non riescono a pagare fornitori e dipendenti. Nell'aprile scorso a Fabriano erano arrivati anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ed il ministro Danilo Toninelli promettendo la ripresa dei lavori da concludere entro aprile prossimo ed il pagamento del 70 per cento dei crediti dovuti alle aziende impegnate nei cantieri. Nel luglio scorso, intervenendo alla assemblea dell'Ance, l'associazione costruttori edili di Confindustria umbra, il ministro Toninelli ha riferito della costituzione di un "fondo salva cantieri" per coprire il 70 per cento di questi debiti. Bene, ha detto il presidente dell'Ance, ma adesso serve "il regolamento attuativo". Perchè le parole diventino fatti.]]>
isolamento

L' isolamento dell'Umbria senza mare, senza autostrade e tagliata fuori dalle principali direttrici ferroviarie ha contribuito a farla diventare "cuore verde d'Italia", citando l'ormai fortunato slogan di promozione turistica del secolo scorso. Questo suo isolamento sta però pesando sempre di più sullo sviluppo sociale ed economico della regione, aggravato dalle difficoltà della mobilità interna: trasporti pubblici non sempre efficienti e di conseguenza strade intasate anche perchè in rapporto alla popolazione la densità delle auto in Umbria è tra le più alte in Italia. In questa estate poi a peggiorare la situazione sono arrivati la soppressione e riduzione delle corse dei bus, che ha penalizzato soprattutto i centri minori, ed i tanti cantieri sulle strade, sicuramente necessari ma che rendono più dura la vita di pendolari e di chi comunque deve spostarsi in auto perchè i mezzi pubblici non ci sono o sono troppo lenti. Sulla Ferrovia centrale umbra da luglio è stato ripristinato il servizio nella tratta Città di Castello-Perugia ma anche dopo i lavori per l'ammodernamento della linea il viaggio da Città di Castello per arrivare alla stazione perugina di S. Anna dura mediamente quasi due ore. Qualche novità positiva riguarda i collegamenti interregionali: voli giornalieri Perugia-Milano Linate dall'autunno, treni ad alta velocità che da giugno si fermano anche nella vicina stazione di Chiusi e tante promesse per il completamento della superstrada Perugia-Ancona e per altre infrastrutture importanti non soltanto per il turismo ma soprattutto per le aziende, l'occupazione e lo sviluppo economico.

Meno autobus

Nella vita quotidiana degli umbri a pesare di più è però il problema della mobilità interna. Fino al 12 settembre sono state ridotte le corse degli autobus pubblici, gli unici collegamenti in tanti centri e borghi dell' Umbria. "Si tratta di un passaggio necessario per mettere in equilibrio finanziario l'annualità 2019 del servizio di trasporti pubblici locali" ha detto l'assessore regionale Giuseppe Chianella spiegando che negli ultimi otto anni "la Regione dell'Umbria ha visto ridurre risorse per oltre 70 milioni di euro". Una decisione che ha suscitato la protesta di tanti sindaci e soprattutto degli utenti, alcuni dei quali titolari di abbonamenti già pagati per un servizio più completo. Nei piccoli centri ci sono anziani che devono fare chilometri a piedi per andare al cimitero, fare acquisti, visite mediche. In vista della riapertura dell'anno scolastico studenti e genitori sono preoccupati per l'annunciato "ridimensionamento" del servizio anche dopo la fine dell' estate. Più treni, ma quando? Per la mobilità interna una delle alternative all'auto è il treno ma l'offerta e la qualità dei servizi delle Ferrovie dello stato (Terontola-Perugia-Foligno-Terni) non è il massimo. "Per il raddoppio della Foligno-Terontola ci sono già stanziati 32 milioni di euro - ha detto l'assessore regionale Giuseppe Chianella - e chiederemo un quadro preciso degli interventi da realizzare fino al 2021". Con l'auspicio che non si ripeta quanto avvenuto per il raddoppio della ferrovia tra Campello e Spoleto con lavori cominciati da 20 anni e non ancora finiti. C'è poi la Ferrovia centrale umbra, quella che poteva essere la nostra "metropolitana", da Sansepolcro a Terni, paralizzata ormai da anni con treni fermi, stazioni abbandonate ed erba che cresce sui binari, come denunciato dall'assessore comunale di Todi Moreno Primieri. Se i treni sono tornati a viaggiare (50 chilometri all'ora!) da Città di Castello a Ponte San Giovanni, tutto è fermo sulla linea Perugia-Terni. Cerca di rassicurare l'assessore regionale Chianella. "La tratta a sud di Perugia (Ponte San Giovanni-Terni) è stata dichiarata di interesse nazionale ed abbiamo chiesto al Ministero dei trasporti oltre 200 milioni di euro in 5 anni per l'ammodernamento e la messa in sicurezza". Le voragini che "tornano" sul viadotto Genna - Pochi autobus, pochi treni ed allora serve l'auto ma le strade sono sempre più intasate. Cantieri che vanno e vengono. Sul raccordo autostradale attorno a Perugia ormai il caos e quasi quotidiano. Così come sulla superstrada E45 dove si lavora per migliorare l'asfalto ma le buche sono sempre tante. Cantieri che serviranno? Sul raccordo autostradale di Perugia c'è il viadotto Genna dove in circa due anni si è dovuto intervenire per 6 volte per richiudere le voragini che continuano ad aprirsi sull'asfalto. Forse è solo un caso ma una delle aziende che si erano aggiudicati gli appalti è stata colpita da una "interdittiva antimafia". Ed è recente la notizia del rinvio a giudizio di 10 persone per frode in fornitura pubblica e attentato alla sicurezza dei trasporti pubblici per avere "risparmiato" sul cemento nella costruzione di una delle gallerie (ora messa in sicurezza) della superstrada Foligno-Civitanova Merche.

La superstrada Perugia-Ancona eterna incompiuta

Cantieri che aprono e chiudono, fallimenti e 60 milioni di debiti. Conte e Toninelli: ad aprile 2020 lavori finiti L' Umbria è in Italia dove i lavori per le opere pubbliche non si sa mai quando finiscono. Il completamento della Terni - Civitavecchia è stato bloccato da un ricorso al Tar del Lazio su questioni ambientali. Sulla superstrada "fantasama" E78, che dovrebbe collegare Tirreno ed Adriatico, al confine tra Umbria e Marche c'è una galleria di 6 chilometri costata miliardi delle vecchie lire, con lavori conclusi nel 2004 e mai collegata ad altre strade tanto che nel 2012 era stata utilizzata abusivamente per ospitare una segheria. C'è anche la superstrada Terni-Rieti dove i lavori sono cominciati da 40 anni ma l'opera è ancora incompiuta. Situazione simile per la Perugia-Ancona, con tante solenni cerimonie per inaugurare una nuova galleria o qualche chilometro di superstrada, ma ancora oggi da completare. Con cantieri che aprono e chiudono per ricorsi sulle procedure degli appalti o perchè le aziende che si aggiudicano i lavori sono in difficoltà economiche, non pagano i fornitori e imprese in subappalto e ricorrono al concordato o addirittura falliscono. Con questo meccanismo del concordato o del fallimento solo negli ultimi anni nei lavori di questa superstrada si sono avvicendate 3 grandi imprese, l'ultima delle quali, la Astaldi, ha chiesto la procedura del concordato, lasciando i cantieri incompiuti e un debito di 60 milioni di euro. Tra i creditori ci sono una trentina di imprese umbre e marchigiane con 1500 dipendenti che hanno compiuto lavori non pagati per 40 milioni di euro. Alcune di queste rischiano la chiusura e non riescono a pagare fornitori e dipendenti. Nell'aprile scorso a Fabriano erano arrivati anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ed il ministro Danilo Toninelli promettendo la ripresa dei lavori da concludere entro aprile prossimo ed il pagamento del 70 per cento dei crediti dovuti alle aziende impegnate nei cantieri. Nel luglio scorso, intervenendo alla assemblea dell'Ance, l'associazione costruttori edili di Confindustria umbra, il ministro Toninelli ha riferito della costituzione di un "fondo salva cantieri" per coprire il 70 per cento di questi debiti. Bene, ha detto il presidente dell'Ance, ma adesso serve "il regolamento attuativo". Perchè le parole diventino fatti.]]>
POLITICA. Chi dovrebbe dare risposte, evita accuratamente di darle https://www.lavoce.it/politica-risposte/ https://www.lavoce.it/politica-risposte/#comments Sat, 03 Aug 2019 11:34:18 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55061 voto suppletivo

di Daris Giancarlini

Desolante, deprimente, a tratti disgustoso: lo spettacolo che stanno dando i protagonisti dell’attuale scenario politico italiano oscilla costantemente tra la commedia e la farsa. Ma quello che rischiano il Paese e gli italiani è il dramma.

Per colpa di un personale politico - maggioranza o opposizione, non fa differenza che ha scambiato o svenduto il perseguimento dell’interesse collettivo con la ricerca spasmodica e incessante del consenso.

Chi per conseguire qualcosa d’altro dalla democrazia come l’abbiamo conosciuta fino a oggi (quanto fascino esercitala suggestione putiniana della ‘democrazia illiberale’...), chi per restare abbarbicato a un potere conquistato promettendo ciò che si sapeva già non avrebbe potuto mantenere, facendo così passare la vulgata di un ‘popolo bue’ che si può irridere e gabbare a piacimento, e a costo zero, avvolgendolo in una lattiginosa coltre di perenne propaganda.

L’anti-politica tanto di moda di questi tempi ci è stata spacciata come ‘cambiamento’... In realtà si sta rivelando soltanto uno stratagemma per mascherare la mancanza di capacità, o di volontà, di fare la politica, quella vera e seria, che ogni democrazia che si rispetti pretende si faccia. Per non snaturarne il profilo con pericolosi maquillage a uso e consumo del potente di turno.

Tornare alla seduta del Senato del caldo pomeriggio romano del 24 luglio scorso serve a riflettere sulla pochezza, ma anche sulla drammaticità, del passaggio epocale che la democrazia italiana sta attraversando. C’è un Presidente del Consiglio, l’autonominatosi ‘avvocato del popolo’ Giuseppe Conte, che decide di andare in aula (assente Salvini, quello che il premier intende difendere) per riferire su quanto palazzo Chigi (che tutto dovrebbe conoscere dell’attività dei vari ministri) è in grado di spiegare sulla vicenda dei presunti legami Lega-Russia.

Conte - che poi spiegherà poco o niente di più rispetto a quanto i giornali non avessero già pubblicato - entra in aula, comincia a parlare, e immediatamente i senatori cinquestelle si alzano e se ne vanno. E Conte era stato indicato come premier proprio dai grillini! I quali, su richiesta - angosciata - dello stesso Conte, spiegano diaver abbandonato l’aula “perché doveva essere il capo della Lega a venire in aula a dare spiegazioni”. Fosse anche così, sempre al ‘loro’ premier avrebbero fatto lo sgarbo.

Ma altri commentatori osservano che il gesto è diretto proprio a Conte per il suo ‘via libera’ alla Tav (una delle tante promesse, quella di stopparla, che i grillini sapevano benissimo di non poter mantenere, e che invece il pragmatismo del premier valuta come opera da realizzare).

Tutta la vicenda fornisce la misura della crisi profonda e della confusione che regna nel Movimento, con il suo co-fondatore Beppe Grillo che, dopo il sì all’Alta velocità ferroviaria, quasi ripudia le sue ‘creature’, e un Luigi Di Maio sempre più in difficoltà dopo le batoste elettorali che hanno dimezzato il consenso ai grillini, a tutto favore della Lega.

Il cui leader, vice premier e ministro dell’Interno, in quell’aula di palazzo Madama ha scelto di non andare proprio. Per dare invece la sua versione dei fatti, senza contraddittorio, in una diretta Facebook: scelta simbolica di quanto poco rientri nell’ottica salviniana la centralità del Parlamento, e di quanto invece sia fondamentale, per lui e per il suo potente apparato massmediatico, coltivare prima e sopra a tutto gli umori che gran parte del suo elettorato esprime in Rete, sollecitato e indirizzato dal ‘team’ dello stesso vice premier.

La seduta del 24 luglio poteva essere l’apoteosi per la principale forza di opposizione, il Pd. Che invece - dilaniato dalle mai sopite contrapposizioni interne - ha scelto, anche in questo caso, di farsi del male da solo. L’ex premier ed ex segretario del partito, Matteo Renzi, prima annuncia di voler parlare in aula sul ‘Russiagate’ e poi viene stoppato dalla segreteria Zingaretti, e allora sceglie anche lui - come Salvini - di affidare alla Rete il proprio intervento.

Nomi che girano e si contrappongono, carriere che ballano, poltrone che non si vogliono abbandonare: il mondo politico segue le sue logiche, mentre il Paese reale va per conto suo. Dove? Lo dovrebbe dire la politica. Ma di questi tempi non ce n’é traccia.

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voto suppletivo

di Daris Giancarlini

Desolante, deprimente, a tratti disgustoso: lo spettacolo che stanno dando i protagonisti dell’attuale scenario politico italiano oscilla costantemente tra la commedia e la farsa. Ma quello che rischiano il Paese e gli italiani è il dramma.

Per colpa di un personale politico - maggioranza o opposizione, non fa differenza che ha scambiato o svenduto il perseguimento dell’interesse collettivo con la ricerca spasmodica e incessante del consenso.

Chi per conseguire qualcosa d’altro dalla democrazia come l’abbiamo conosciuta fino a oggi (quanto fascino esercitala suggestione putiniana della ‘democrazia illiberale’...), chi per restare abbarbicato a un potere conquistato promettendo ciò che si sapeva già non avrebbe potuto mantenere, facendo così passare la vulgata di un ‘popolo bue’ che si può irridere e gabbare a piacimento, e a costo zero, avvolgendolo in una lattiginosa coltre di perenne propaganda.

L’anti-politica tanto di moda di questi tempi ci è stata spacciata come ‘cambiamento’... In realtà si sta rivelando soltanto uno stratagemma per mascherare la mancanza di capacità, o di volontà, di fare la politica, quella vera e seria, che ogni democrazia che si rispetti pretende si faccia. Per non snaturarne il profilo con pericolosi maquillage a uso e consumo del potente di turno.

Tornare alla seduta del Senato del caldo pomeriggio romano del 24 luglio scorso serve a riflettere sulla pochezza, ma anche sulla drammaticità, del passaggio epocale che la democrazia italiana sta attraversando. C’è un Presidente del Consiglio, l’autonominatosi ‘avvocato del popolo’ Giuseppe Conte, che decide di andare in aula (assente Salvini, quello che il premier intende difendere) per riferire su quanto palazzo Chigi (che tutto dovrebbe conoscere dell’attività dei vari ministri) è in grado di spiegare sulla vicenda dei presunti legami Lega-Russia.

Conte - che poi spiegherà poco o niente di più rispetto a quanto i giornali non avessero già pubblicato - entra in aula, comincia a parlare, e immediatamente i senatori cinquestelle si alzano e se ne vanno. E Conte era stato indicato come premier proprio dai grillini! I quali, su richiesta - angosciata - dello stesso Conte, spiegano diaver abbandonato l’aula “perché doveva essere il capo della Lega a venire in aula a dare spiegazioni”. Fosse anche così, sempre al ‘loro’ premier avrebbero fatto lo sgarbo.

Ma altri commentatori osservano che il gesto è diretto proprio a Conte per il suo ‘via libera’ alla Tav (una delle tante promesse, quella di stopparla, che i grillini sapevano benissimo di non poter mantenere, e che invece il pragmatismo del premier valuta come opera da realizzare).

Tutta la vicenda fornisce la misura della crisi profonda e della confusione che regna nel Movimento, con il suo co-fondatore Beppe Grillo che, dopo il sì all’Alta velocità ferroviaria, quasi ripudia le sue ‘creature’, e un Luigi Di Maio sempre più in difficoltà dopo le batoste elettorali che hanno dimezzato il consenso ai grillini, a tutto favore della Lega.

Il cui leader, vice premier e ministro dell’Interno, in quell’aula di palazzo Madama ha scelto di non andare proprio. Per dare invece la sua versione dei fatti, senza contraddittorio, in una diretta Facebook: scelta simbolica di quanto poco rientri nell’ottica salviniana la centralità del Parlamento, e di quanto invece sia fondamentale, per lui e per il suo potente apparato massmediatico, coltivare prima e sopra a tutto gli umori che gran parte del suo elettorato esprime in Rete, sollecitato e indirizzato dal ‘team’ dello stesso vice premier.

La seduta del 24 luglio poteva essere l’apoteosi per la principale forza di opposizione, il Pd. Che invece - dilaniato dalle mai sopite contrapposizioni interne - ha scelto, anche in questo caso, di farsi del male da solo. L’ex premier ed ex segretario del partito, Matteo Renzi, prima annuncia di voler parlare in aula sul ‘Russiagate’ e poi viene stoppato dalla segreteria Zingaretti, e allora sceglie anche lui - come Salvini - di affidare alla Rete il proprio intervento.

Nomi che girano e si contrappongono, carriere che ballano, poltrone che non si vogliono abbandonare: il mondo politico segue le sue logiche, mentre il Paese reale va per conto suo. Dove? Lo dovrebbe dire la politica. Ma di questi tempi non ce n’é traccia.

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https://www.lavoce.it/politica-risposte/feed/ 1
Autonomia regionale. Stop sulla scuola https://www.lavoce.it/autonomia-regionale-stop-scuola/ Fri, 26 Jul 2019 09:40:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55008

di Alberto Campoleoni

“Il modello della scuola è fondamentale e non può essere frammentato, i governatori non avranno tutto quello che hanno chiesto”. Parole del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, al termine del Consiglio dei ministri di venerdì scorso. Per il capo del governo l’autonomia si farà, ma senza coinvolgere l’istruzione.

In realtà l’autonomia non è ancora passata ed è ancora Conte a spiegare: “Il disegno si sta realizzando con le garanzie che ho sempre richiesto, ci saranno incontri anche la prossima settimana”.

Intanto però il primo importante paletto è stato messo, ed è quello sulla scuola: “Non possiamo pensare che l’Autonomia differenziata significhi frammentare questo modello. Probabilmente i governatori interessati non avranno tutto quello che hanno chiesto ma ci sta, è un negoziato tra Stato e Regioni”.

L’ipotesi dell’autonomia regionale applicata al sistema scolastico non faceva dormire sonni tranquilli anzitutto ai sindacati, che già immaginavano uno scenario del tipo scuola a due velocità, nord-sud, con anche differenze salariali a vantaggio del personale nordista.

Dal punto di vista politico è il Movimento 5 Stelle a battere le mani, poiché da tempo combatteva la linea leghista dell’autonomia, sostenuta peraltro dal ministro Bussetti: “dopo mesi – ha dichiarato il sottosegretario M5S all’Istruzione Salvatore Giuliano – abbiamo garantito l’unità del sistema di istruzione: non abbiamo ceduto cose che avrebbero potuto compromettere l’unità del Paese”.

In sostanza, dall’intesa sull’autonomia è stato abolito l’articolo che prevedeva la chiamata regionale dei docenti e che in effetti aveva procurato non pochi pensieri al mondo della scuola.

A dire la verità, a proposito di scuola a due velocità ci sarebbe molto altro da aggiungere rispetto ai timori dei sindacati, visto che comunque la divisione della scuola italiana considerando le prestazioni degli studenti a partire dai test invalsi, ad esempio è già una realtà. Certo la regionalizzazione della chiamata dei docenti sarebbe probabilmente andata a complicare il quadro.

Intanto, sempre a proposito di insegnanti, in Senato è arrivato il primo via libera al ddl che abolisce l’istituto della chiamata per competenze dei docenti, la cosiddetta chiamata diretta. Il provvedimento ha ottenuto 146 sì, 66 no e 9 astenuti. Il testo ora passa alla Camera.

La cosiddetta chiamata diretta era stata introdotta dalla Buona Scuola di Renzi e l’obiettivo era quello di cercare di assegnare i docenti alle scuole incrociando curriculum degli insegnanti ed esigenze dei dirigenti, per cui i professori senza una cattedra fissa potevano trovare una collocazione adatta.

In realtà il provvedimento si era dimostrato inefficace con problemi legati a trasferimenti, malattie e di fatto si era verificato uno stallo in molte situazioni scolastiche: già un anno dopo i sindacati si erano detti contrari al provvedimento renziano. Adesso è in arrivo una legge che lo sopprime del tutto.

Fa caldo e siamo a metà luglio, molti già al mare o in montagna. Ma evidentemente il mondo della scuola non è ancora pronto per andare in vacanza.

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Se Di Maio non dorme tranquillo, neppure per Salvini son rose e fiori https://www.lavoce.it/di-maio-tranquillo-salvini/ Fri, 28 Jun 2019 09:01:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54781 maio

di Daris Giancarlini

Torrida per Di Maio, calda con punte di solleone per Salvini: l’estate 2019 dei due vice presidenti del Consiglio si presenta con il barometro verso il rosso intenso. Questo, per il clima che più preelettorale non si potrebbe, per le continue e martellanti polemiche tra i due, e per le divisioni interne all’Esecutivo e ai due stessi partiti di appartenenza.

Chi dei due sta messo politicamente peggio è il capo politico dei cinquestelle: in un anno al timone del movimento di Grillo e Casaleggio, ha collezionato sconfitte sonore praticamente in ogni tornata elettorale, perdendo a favore della Lega un terzo dei consensi. Botte da stendere un toro, ma che sulla tenuta dell’esecutivo a guida (?!) Giuseppe Conte hanno inciso finora in misura ridotta, essendo il totale dei voti a disposizione dei giallo-verdi rimasto intorno al 50 per cento.

Ed essendo la stessa componente grillina abituata dal primo giorno di coabitazione con l’alleato leghista a fronteggiare le esondazioni politiche di Salvini. Ridotto il proprio peso al governo dopo il disastroso esito delle elezioni europee, i cinquestelle - o meglio, la componente governista che fa capo a Di Maio - pur di restare a palazzo Chigi sta inghiottendo bocconi amari uno dietro l’altro...

se non vere e proprie polpette avvelenate, come quelle della ‘tassa piatta’ (con Salvini che dice “i soldi per farla ci sono” e Di Maio che lo sollecita a spiegare di che soldi parla) e dei cosiddetti ‘mini-bot’ (titoli senza scadenza e costo, di piccolo taglio, per pagare i debiti della pubblica amministrazione, da molti interpretati come primo passo verso l’uscita dell’Italia dall’Unione europea).

A molti grillini - a cominciare dal ‘barricadero’ Di Battista -risulta vieppiù indigesto l’atteggiamento del vicepremier M5s a difesa della tenuta dell’esecutivo, di fronte al prurito leghista per un’eventuale rottura che porti al voto a settembre. Così Di Maio è preso tra due fuochi, quello leghista e quello interno dell’ala più movimentista dei grillini. Dietro a tutto, il regolamento interno che impedisce ai cinquestelle di candidarsi per più di due volte (per Di Maio e molti suoi colleghi sarebbe lo stop definitivo alla carriera politica).

Non sta fresco, da molti punti di vista, neanche Salvini. Perché va bene il piglio decisionista e l’attitudine a travalicare i limiti delle proprie competenze di governo (chi ha mai sentito, dal dopoguerra a oggi, un ministro dell’Interno che annuncia di voler convocare a breve i sindacati per parlare di lavoro e occupazione?), ma anche il leader leghista ex padano non dorme sonni propriamente tranquilli.

Per chiedersi: “Chi me lo fa fare di restare al governo con questo Governo, se ormai la Lega è ben oltre il 30 per cento e i grillini sono al 17? Perché devo essere io a mettere la firma su una manovra d’autunno che sarà lacrime e sangue? E alle imprese e ai cittadini del Nord Italia, da sempre il mio zoccolo elettorale duro, cosa porto in cambio del consenso, se di infrastrutture nuove ancora non si vede l’abbrivio e di riduzione delle tasse non si parla?”.

Notti calde e insonni, quelle di Salvini, anche perché l’ala interna del ‘così non si può andare avanti’ sta aumentando la sua pressione sul capo leghista. Tutto questo, mentre si dovrebbe lavorare uniti per evitare la procedura d’infrazione dell’Ue e per una manovra economica che non riduca l’Italia ai minimi termini. Il fresco d’autunno è lontano.

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maio

di Daris Giancarlini

Torrida per Di Maio, calda con punte di solleone per Salvini: l’estate 2019 dei due vice presidenti del Consiglio si presenta con il barometro verso il rosso intenso. Questo, per il clima che più preelettorale non si potrebbe, per le continue e martellanti polemiche tra i due, e per le divisioni interne all’Esecutivo e ai due stessi partiti di appartenenza.

Chi dei due sta messo politicamente peggio è il capo politico dei cinquestelle: in un anno al timone del movimento di Grillo e Casaleggio, ha collezionato sconfitte sonore praticamente in ogni tornata elettorale, perdendo a favore della Lega un terzo dei consensi. Botte da stendere un toro, ma che sulla tenuta dell’esecutivo a guida (?!) Giuseppe Conte hanno inciso finora in misura ridotta, essendo il totale dei voti a disposizione dei giallo-verdi rimasto intorno al 50 per cento.

Ed essendo la stessa componente grillina abituata dal primo giorno di coabitazione con l’alleato leghista a fronteggiare le esondazioni politiche di Salvini. Ridotto il proprio peso al governo dopo il disastroso esito delle elezioni europee, i cinquestelle - o meglio, la componente governista che fa capo a Di Maio - pur di restare a palazzo Chigi sta inghiottendo bocconi amari uno dietro l’altro...

se non vere e proprie polpette avvelenate, come quelle della ‘tassa piatta’ (con Salvini che dice “i soldi per farla ci sono” e Di Maio che lo sollecita a spiegare di che soldi parla) e dei cosiddetti ‘mini-bot’ (titoli senza scadenza e costo, di piccolo taglio, per pagare i debiti della pubblica amministrazione, da molti interpretati come primo passo verso l’uscita dell’Italia dall’Unione europea).

A molti grillini - a cominciare dal ‘barricadero’ Di Battista -risulta vieppiù indigesto l’atteggiamento del vicepremier M5s a difesa della tenuta dell’esecutivo, di fronte al prurito leghista per un’eventuale rottura che porti al voto a settembre. Così Di Maio è preso tra due fuochi, quello leghista e quello interno dell’ala più movimentista dei grillini. Dietro a tutto, il regolamento interno che impedisce ai cinquestelle di candidarsi per più di due volte (per Di Maio e molti suoi colleghi sarebbe lo stop definitivo alla carriera politica).

Non sta fresco, da molti punti di vista, neanche Salvini. Perché va bene il piglio decisionista e l’attitudine a travalicare i limiti delle proprie competenze di governo (chi ha mai sentito, dal dopoguerra a oggi, un ministro dell’Interno che annuncia di voler convocare a breve i sindacati per parlare di lavoro e occupazione?), ma anche il leader leghista ex padano non dorme sonni propriamente tranquilli.

Per chiedersi: “Chi me lo fa fare di restare al governo con questo Governo, se ormai la Lega è ben oltre il 30 per cento e i grillini sono al 17? Perché devo essere io a mettere la firma su una manovra d’autunno che sarà lacrime e sangue? E alle imprese e ai cittadini del Nord Italia, da sempre il mio zoccolo elettorale duro, cosa porto in cambio del consenso, se di infrastrutture nuove ancora non si vede l’abbrivio e di riduzione delle tasse non si parla?”.

Notti calde e insonni, quelle di Salvini, anche perché l’ala interna del ‘così non si può andare avanti’ sta aumentando la sua pressione sul capo leghista. Tutto questo, mentre si dovrebbe lavorare uniti per evitare la procedura d’infrazione dell’Ue e per una manovra economica che non riduca l’Italia ai minimi termini. Il fresco d’autunno è lontano.

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POLITICA. Perché a Salvini fa comodo non mollare https://www.lavoce.it/politica-salvini-non-mollare/ Fri, 14 Jun 2019 10:56:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54712 salvini

di Daris Giancarlini

Si era auto-proclamato “avvocato del popolo”, nella sua prima dichiarazione pubblica, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte; quello che Papa Francesco, nella conferenza stampa in aereo di ritorno dal suo ultimo viaggio all’estero, ha definito, con intento positivo, “professore”.

Ha trascorso i primi mesi a palazzo Chigi, il premier chiamato su quella poltrona dal Movimento 5 stelle, a cercare di dare spessore al proprio ruolo (un imitatore lo rappresentava in tv senza volto...).

Poi si sono susseguiti diversi appuntamenti elettorali in cui, specialmente con le europee e le amministrative, si è materializzato un perfetto ribaltamento delle proporzioni di consenso delle due forze di maggioranza, a tutto vantaggio della Lega. Così quello stesso premier che doveva bilanciare in un primo momento il cammino di governo evitando scivolamenti verso i grillini, si è trovato con una Lega e soprattutto un Matteo Salvini debordante, spesso nelle vesti di vero premier ‘in pectore’.

Mutate le proporzioni di consenso, Conte si è trovato rivoluzionata l’agenda di governo, con temi connotati più dal colore verde leghista che da quello giallo dei grillini. Da lì la sua poltrona si è fatta scomoda; ma nel contempo la sua figura, insieme a quella del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, è diventata il punto di riferimento del Quirinale e del presidente della Bce, Mario Draghi, per calmierare le esuberanze soprattutto anti-Ue della coppia Salvini-Di Maio.

I due vice premier (ai quali Conte aveva pubblicamente fatto pervenire una sorta di ultimatum, non di grande effetto finora) dopo le scaramucce pre-voto, sembrano aver ritrovato un’intesa su alcune problematiche, dal decreto sicurezza bis al salario minimo: una rinnovata ‘liason’ che sembra avere come bersaglio proprio Conte, inaspettatamente europeista e uomo delle istituzioni. “Per proteggere i risparmi degli italiani”, dice il ‘nuovo’ premier: come programma di governo, non è questione da poco.

Il suo riferimento è soprattutto alla questione dei “minibot”, questo strumento finanziario per pagare i debiti della pubblica amministrazione proposto dalla Lega (e votato distrattamente da tutto il Parlamento, opposizioni comprese), che Conte (con Tria e Draghi) adesso avversa, ma che aveva ben presente, avendo letto questa proposta in quel contratto di governo che lui stesso si era impegnato a realizzare “punto per punto”.

Dunque, dopo il Governo ‘dei due governi’ dei mesi scorsi, adesso ne abbiamo tre, contando anche quello del premier? È probabile: il punto vero è quanto potrà andare avanti questa situazione, in una maggioranza in cui Di Maio, dopo lo scivolamento a sinistra a tutto uso elettoralistico, ha compiuto un’inversione completa a U, tanto che i cinquestelle sono in procinto di costituire un gruppo al Parlamento europeo con il partito della Brexit di Farage.

Ma soprattutto, i tempi di durata saranno determinati da un Salvini che, pur avendo tutte carte vincenti in mano, al momento non ha alcuna intenzione di strappare. Anche per non mettere il proprio timbro sulla gestione dei conti pubblici italiani. Quindi, paradosso dopo paradosso, Conte resterà premier grazie proprio a quel Salvini restio a stravincere. Per quanto ancora, non si sa.

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salvini

di Daris Giancarlini

Si era auto-proclamato “avvocato del popolo”, nella sua prima dichiarazione pubblica, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte; quello che Papa Francesco, nella conferenza stampa in aereo di ritorno dal suo ultimo viaggio all’estero, ha definito, con intento positivo, “professore”.

Ha trascorso i primi mesi a palazzo Chigi, il premier chiamato su quella poltrona dal Movimento 5 stelle, a cercare di dare spessore al proprio ruolo (un imitatore lo rappresentava in tv senza volto...).

Poi si sono susseguiti diversi appuntamenti elettorali in cui, specialmente con le europee e le amministrative, si è materializzato un perfetto ribaltamento delle proporzioni di consenso delle due forze di maggioranza, a tutto vantaggio della Lega. Così quello stesso premier che doveva bilanciare in un primo momento il cammino di governo evitando scivolamenti verso i grillini, si è trovato con una Lega e soprattutto un Matteo Salvini debordante, spesso nelle vesti di vero premier ‘in pectore’.

Mutate le proporzioni di consenso, Conte si è trovato rivoluzionata l’agenda di governo, con temi connotati più dal colore verde leghista che da quello giallo dei grillini. Da lì la sua poltrona si è fatta scomoda; ma nel contempo la sua figura, insieme a quella del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, è diventata il punto di riferimento del Quirinale e del presidente della Bce, Mario Draghi, per calmierare le esuberanze soprattutto anti-Ue della coppia Salvini-Di Maio.

I due vice premier (ai quali Conte aveva pubblicamente fatto pervenire una sorta di ultimatum, non di grande effetto finora) dopo le scaramucce pre-voto, sembrano aver ritrovato un’intesa su alcune problematiche, dal decreto sicurezza bis al salario minimo: una rinnovata ‘liason’ che sembra avere come bersaglio proprio Conte, inaspettatamente europeista e uomo delle istituzioni. “Per proteggere i risparmi degli italiani”, dice il ‘nuovo’ premier: come programma di governo, non è questione da poco.

Il suo riferimento è soprattutto alla questione dei “minibot”, questo strumento finanziario per pagare i debiti della pubblica amministrazione proposto dalla Lega (e votato distrattamente da tutto il Parlamento, opposizioni comprese), che Conte (con Tria e Draghi) adesso avversa, ma che aveva ben presente, avendo letto questa proposta in quel contratto di governo che lui stesso si era impegnato a realizzare “punto per punto”.

Dunque, dopo il Governo ‘dei due governi’ dei mesi scorsi, adesso ne abbiamo tre, contando anche quello del premier? È probabile: il punto vero è quanto potrà andare avanti questa situazione, in una maggioranza in cui Di Maio, dopo lo scivolamento a sinistra a tutto uso elettoralistico, ha compiuto un’inversione completa a U, tanto che i cinquestelle sono in procinto di costituire un gruppo al Parlamento europeo con il partito della Brexit di Farage.

Ma soprattutto, i tempi di durata saranno determinati da un Salvini che, pur avendo tutte carte vincenti in mano, al momento non ha alcuna intenzione di strappare. Anche per non mettere il proprio timbro sulla gestione dei conti pubblici italiani. Quindi, paradosso dopo paradosso, Conte resterà premier grazie proprio a quel Salvini restio a stravincere. Per quanto ancora, non si sa.

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Tagli al fondo per il pluralismo dell’informazione. Condividiamo l’appello Fisc https://www.lavoce.it/tagli-pluralismo-fisc-appello/ Fri, 21 Dec 2018 15:34:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53731 tagli

Con rammarico dobbiamo constatare che il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non ha ritenuto di prendere in considerazione il nostro appello di un ripensamento sui tagli indiscriminati al Fondo per il Pluralismo e l’innovazione tecnologica.
Riteniamo che il Governo e lo Stato debbano essere parte attiva e vigile per la promozione e  la tutela del fondamentale diritto ad un informazione plurale, in coerenza con l’art.21 della Costituzione, e non mortificare il pluralismo con tagli pesanti e repentini.
Chiediamo dunque che a breve  sia avviato un Tavolo di confronto con tutte le categorie impegnate nella filiera editoriale dell’informazione per ricercare, a partire dalla Legislazione attuale, ogni possibile miglioramento sul terreno del rigore, della trasparenza e dell’innovazione.
FISC- Federazione Italiana Settimanali cattolica
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tagli

Con rammarico dobbiamo constatare che il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non ha ritenuto di prendere in considerazione il nostro appello di un ripensamento sui tagli indiscriminati al Fondo per il Pluralismo e l’innovazione tecnologica.
Riteniamo che il Governo e lo Stato debbano essere parte attiva e vigile per la promozione e  la tutela del fondamentale diritto ad un informazione plurale, in coerenza con l’art.21 della Costituzione, e non mortificare il pluralismo con tagli pesanti e repentini.
Chiediamo dunque che a breve  sia avviato un Tavolo di confronto con tutte le categorie impegnate nella filiera editoriale dell’informazione per ricercare, a partire dalla Legislazione attuale, ogni possibile miglioramento sul terreno del rigore, della trasparenza e dell’innovazione.
FISC- Federazione Italiana Settimanali cattolica
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La rimonta di Giuseppe Conte https://www.lavoce.it/rimonta-giuseppe-conte/ Thu, 20 Dec 2018 13:00:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53679 salvini

di Daris Giancarlini

Conte da zero a 100? Partito come un “signor Nessuno” rispetto agli stra-votati capi politici dei due partiti che hanno dato vita al “governo della convenienza reciproca”, Giuseppe (e non Antonio, come molti continuano a chiamarlo, essendo l’omonimo allenatore di calcio molto più noto del conterraneo docente di Diritto) Conte, in questi primi sei mesi sulla poltrona di palazzo Chigi è riuscito a uscire da quell’anonimato che era stato uno dei motivi per cui era stato scelto, e a ritagliarsi un proprio ruolo politico.

Avrà letto e riletto, il premier gialloverde in quota grillina, l’articolo 95 della Costituzione italiana, nel quale si afferma che “il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile”.

Un ruolo, dunque, non impalpabile o secondario, ma di primus inter pares, che all’inizio della parabola contiana si mostrava con i caratteri dell’evanescenza. Quasi un annuncio, il premier “vaso di coccio tra i due vasi di ferro” (Salvini e Di Maio), di quello schema di sistema politico in cui la cosiddetta “democrazia diretta” travolge tutte le figure di rappresentanza, magari tramite un click su un qualche sito internet dove “il popolo” (?) decide i propri destini.

E si racconta che, alle prime riunioni importanti a livello nazionale e internazionale, Conte autodefinitosi, alla prima uscita pubblica, come “avvocato del popolo” - passasse la maggior parte del tempo, prima di intervenire, a consultare telefonicamente i propri referenti politici, i due vicepremier con deleghe a tutto e il suo contrario (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

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salvini

di Daris Giancarlini

Conte da zero a 100? Partito come un “signor Nessuno” rispetto agli stra-votati capi politici dei due partiti che hanno dato vita al “governo della convenienza reciproca”, Giuseppe (e non Antonio, come molti continuano a chiamarlo, essendo l’omonimo allenatore di calcio molto più noto del conterraneo docente di Diritto) Conte, in questi primi sei mesi sulla poltrona di palazzo Chigi è riuscito a uscire da quell’anonimato che era stato uno dei motivi per cui era stato scelto, e a ritagliarsi un proprio ruolo politico.

Avrà letto e riletto, il premier gialloverde in quota grillina, l’articolo 95 della Costituzione italiana, nel quale si afferma che “il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile”.

Un ruolo, dunque, non impalpabile o secondario, ma di primus inter pares, che all’inizio della parabola contiana si mostrava con i caratteri dell’evanescenza. Quasi un annuncio, il premier “vaso di coccio tra i due vasi di ferro” (Salvini e Di Maio), di quello schema di sistema politico in cui la cosiddetta “democrazia diretta” travolge tutte le figure di rappresentanza, magari tramite un click su un qualche sito internet dove “il popolo” (?) decide i propri destini.

E si racconta che, alle prime riunioni importanti a livello nazionale e internazionale, Conte autodefinitosi, alla prima uscita pubblica, come “avvocato del popolo” - passasse la maggior parte del tempo, prima di intervenire, a consultare telefonicamente i propri referenti politici, i due vicepremier con deleghe a tutto e il suo contrario (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

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