Giorgio Napolitano Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/giorgio-napolitano/ Settimanale di informazione regionale Thu, 28 Sep 2023 14:58:28 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Giorgio Napolitano Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/giorgio-napolitano/ 32 32 Lo Stato e l’Antistato https://www.lavoce.it/lo-stato-e-lantistato/ https://www.lavoce.it/lo-stato-e-lantistato/#respond Thu, 28 Sep 2023 14:56:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73463

Stato e Antistato: due morti iconiche, parallele, quasi simultanee. Non sono morti né lo Stato (per fortuna), né l’Antistato (purtroppo): sono morti due uomini che in vita avevano avuto in sorte di rappresentare e quasi incarnare, rispettivamente, l’una e l’altra di quelle entità ideali. Giorgio Napolitano, vertice e simbolo dello Stato; Matteo Messina Denaro, vertice e simbolo dell’Antistato.

Che cosa è lo Stato? In alcune visioni filosofiche è stato idolatrato come la realtà suprema, fonte non solo del diritto inteso come legge ma anche dei valori etici; in altre è stato dannato come una creazione diabolica. Più equilibratamente oggi possiamo dire che lo Stato, ogni Stato, adempie quanto meno una funzione primordiale: mantenere l’ordine e la pace interna della comunità. Lo fa sostituendo la sua giustizia alle vendette private, dettando regole e sorvegliando che siano rispettate, risolvendo le liti fra privati. Questo accadeva già quando Romolo, secondo la leggenda, fondava la città di Roma.

Lo Stato moderno continua a svolgere questi compiti, e se ne è dati altri: organizzare e gestire i servizi pubblici essenziali come la scuola, la sanità, i trasporti, le comunicazioni; infine garantire (quando ci riesce) il benessere collettivo in modo tale da rispondere ai bisogni essenziali anche dei meno fortunati.

È questo lo Stato al quale, per diversi anni, Giorgio Napolitano ha prestato il suo volto; degnamente, lasciatemelo dire. Matteo Messina Denaro ha sempre disconosciuto questo Stato e se ne è sentito estraneo e nemico, disprezzando i suoi rappresentanti e i suoi servitori. Lo ha fatto capire perfino quando rispondeva agli interrogatori, una volta arrestato dopo decenni di latitanza durante i quali aveva continuato a dirigere l’Antistato. Così come ha fatto capire che non si considerava sconfitto, che lo avevano preso perché lui lo aveva voluto, e lo aveva voluto perché stava per morire.

Ma, intanto, a quello Stato che disconosceva e disprezzava aveva chiesto – sotto falso nome – e chiedeva ancora quelle cure che esso, per essere fedele ai suoi princìpi, garantisce a tutti, buoni e cattivi. Senza rendersi conto che, così facendo, dava la migliore testimonianza dell’utilità e della moralità dello Stato. Una testimonianza che, paradossalmente, vale tanto quanto quella che ha dato Papa Francesco, raccolto in silenziosa e segreta preghiera davanti al feretro di Giorgio Napolitano.

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Stato e Antistato: due morti iconiche, parallele, quasi simultanee. Non sono morti né lo Stato (per fortuna), né l’Antistato (purtroppo): sono morti due uomini che in vita avevano avuto in sorte di rappresentare e quasi incarnare, rispettivamente, l’una e l’altra di quelle entità ideali. Giorgio Napolitano, vertice e simbolo dello Stato; Matteo Messina Denaro, vertice e simbolo dell’Antistato.

Che cosa è lo Stato? In alcune visioni filosofiche è stato idolatrato come la realtà suprema, fonte non solo del diritto inteso come legge ma anche dei valori etici; in altre è stato dannato come una creazione diabolica. Più equilibratamente oggi possiamo dire che lo Stato, ogni Stato, adempie quanto meno una funzione primordiale: mantenere l’ordine e la pace interna della comunità. Lo fa sostituendo la sua giustizia alle vendette private, dettando regole e sorvegliando che siano rispettate, risolvendo le liti fra privati. Questo accadeva già quando Romolo, secondo la leggenda, fondava la città di Roma.

Lo Stato moderno continua a svolgere questi compiti, e se ne è dati altri: organizzare e gestire i servizi pubblici essenziali come la scuola, la sanità, i trasporti, le comunicazioni; infine garantire (quando ci riesce) il benessere collettivo in modo tale da rispondere ai bisogni essenziali anche dei meno fortunati.

È questo lo Stato al quale, per diversi anni, Giorgio Napolitano ha prestato il suo volto; degnamente, lasciatemelo dire. Matteo Messina Denaro ha sempre disconosciuto questo Stato e se ne è sentito estraneo e nemico, disprezzando i suoi rappresentanti e i suoi servitori. Lo ha fatto capire perfino quando rispondeva agli interrogatori, una volta arrestato dopo decenni di latitanza durante i quali aveva continuato a dirigere l’Antistato. Così come ha fatto capire che non si considerava sconfitto, che lo avevano preso perché lui lo aveva voluto, e lo aveva voluto perché stava per morire.

Ma, intanto, a quello Stato che disconosceva e disprezzava aveva chiesto – sotto falso nome – e chiedeva ancora quelle cure che esso, per essere fedele ai suoi princìpi, garantisce a tutti, buoni e cattivi. Senza rendersi conto che, così facendo, dava la migliore testimonianza dell’utilità e della moralità dello Stato. Una testimonianza che, paradossalmente, vale tanto quanto quella che ha dato Papa Francesco, raccolto in silenziosa e segreta preghiera davanti al feretro di Giorgio Napolitano.

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Dal basso, oseremmo suggerire… https://www.lavoce.it/dal-basso-oseremmo-suggerire/ Thu, 20 Feb 2014 14:16:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22501 Matteo Renzi riceve l’incarico a formare il Governo dal presidente Napolitano
Matteo Renzi riceve l’incarico a formare il Governo dal presidente Napolitano

Quella che sino a pochi giorni fa sembrava una legislatura nata morta per mancanza di vincitore certo, si sta palesando come una legislatura di lungo, se non lunghissimo corso. Tutto merito di Matteo Renzi e di Giorgio Napolitano? Difficile dirlo. Di sicuro, noi cittadini elettori stiamo assistendo a un fatto politico nuovo, del quale dobbiamo decifrare ancora tutte le conseguenze. Non ci aiutano di certo le analisi che stanno accompagnando la nascita del nuovo Governo. Il non-detto sembra prevalere sull’affermato pubblicamente, le ombre delle stanze di decisione sembrano avere la meglio sulla luce delle pratiche pubbliche, le battaglie private concluse sembrano avere il sopravvento sulla tregua pubblica sottoscritta. Difficile sottrarsi, al netto delle speculazioni di parte del Movimento 5 stelle e della Lega, alla sensazione sgradevole di qualche interferenza sulla scena pubblica italiana.

Perché prevale tanto ottimismo? Da dove emerge tutta la voglia di andare in soccorso del vincitore? Dove era nascosta tanta maturità della classe politica italiana? Dov’è maturata tutta la consapevolezza di queste ore che fa convergere pensosi consensi e garanzie di “opposizione responsabile”? Non vivessimo in Italia, dove, fino a qualche giorno fa, sembrava dovessimo tutti noi (cittadini e istituzioni) portare i libri in tribunale, verrebbe da gridare “al miracolo”. Forse, ma è solo un’illazione, in tanti hanno capito di essere arrivati a lambire l’orlo del baratro. E prima di precipitare – ancora “forse” – in molti, nelle stanze che contano, hanno fatto due conti e hanno deciso di scommettere su Renzi e Napolitano. Una scommessa fatta addirittura a occhi chiusi e dita incrociate. Comunque, una scommessa da “la va o la spacca”. Magari annusando l’aria di una vaga ripresa economica accompagnata dalla speranza che in Europa accada qualcosa. Che la paura dei populismi arrembanti in ogni angolo del Continente spinga i potenti d’Europa (Merkel in primis) a guardare all’Italia come un fratellino da aiutare, piuttosto che come uno scolaro indisciplinato da relegare dietro la lavagna. Fuor di metafora, meglio rivedere il vincolo del 3% sul rapporto deficit-Pil che venire travolti dalla “vandea” populista. Non possiamo dire quanto contino tutte queste motivazioni, in ogni caso ci prepariamo a una stagione politica nuova che si annuncia interessante. Almeno per chi deve decifrarla e raccontarla.

Altre invece saranno le valutazioni sul piano della fisiologia dello scontro democratico, sulla necessità di intervenire vigorosamente sull’architettura dello Stato, sull’opportunità (fino a ieri, un mantra) di mettere mano alle riforme costituzionali e alla definizione di una nuova legge elettorale, sull’urgenza di snellire tutte le procedure pubbliche che frenano la libera iniziativa economica e rendono impossibile la vita delle famiglie e delle imprese, sulla revisione dei livelli di tassazione che ormai tolgono fiato agli onesti e ai produttori. L’elenco potrebbe continuare, ma ci fermiamo qui. Sommessamente esponiamo solo le nostre di urgenze. Di noi semplici cittadini elettori. Siamo ben consapevoli che contano poco o niente, e non abbiamo la pretesa di rappresentare nessuno, anche perché – come dice Papa Francesco – non bisogna avere “l’assurda pretesa di trasformarsi in ‘voce’ dei popoli, pensando forse che essi non ce l’abbiano. Tutti i popoli ce l’hanno, magari ridotta a volte a un sussurro a causa dell’oppressione. Bisogna aguzzare l’udito e ascoltarla, ma non voler parlare noi al loro posto”. Dunque, nella consapevolezza di non interpretare e di non rappresentare nessuno, se non noi stessi, ci permettiamo di suggerire al nuovo Governo di tenere a cuore i poveri, il lavoro, le famiglie e la scuola. E facciamo ai governanti un semplice augurio: ascoltate il sussurro del vostro popolo. In quel sussurro c’è tutta la sua sovranità.

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La felice convivenza tra i due Colli https://www.lavoce.it/la-felice-convivenza-tra-i-due-colli/ Thu, 13 Jun 2013 10:55:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=17324 Papa Francesco incontra il presidente Giorgio Napolitano
Papa Francesco incontra il presidente Giorgio Napolitano

Hanno mirato all’essenziale, in un incontro sobrio, vivo e toccante. Nei discorsi di Papa Francesco e del presidente Napolitano ci sono tutti i temi delle relazioni tra l’Italia e la Santa Sede, ma ci sono anche i temi caldi della vita quotidiana. E quel che più conta, c’è un reciproco mettersi a disposizione, cioè ci sono le radici di un dialogo che continua e che è radicato nell’identità stessa dell’Italia. A partire da Roma, dove i due Colli si “guardano con simpatia”: parola di Papa Francesco, ribadita dal Presidente della Repubblica che ha parlato di “fattiva concordia” e di “limpida collaborazione”.

Per questo entrambi hanno sottolineato l’importanza della libertà religiosa, da promuovere in tutto il mondo, e hanno fatto cenno ai valori della democrazia: “La distanza tra la lettera e lo spirito degli ordinamenti e delle istituzioni democratiche è sempre da riconoscere, e occorre l’impegno di tutti i soggetti coinvolti per colmarla ogni volta di nuovo”, ha detto il Papa.

È proprio l’esercizio cui siamo chiamati negli anni di questa crisi, che sembra consumare non solo le risorse economiche, ma anche la nostra psicologia collettiva e le nostre risorse morali. Proprio qui c’è da investire. Così il Papa chiama all’impegno politico, ma soprattutto impegna alla conversione. “Noi cattolici – ha detto – abbiamo il dovere di impegnarci sempre di più in un serio cammino di conversione spirituale, affinché ci avviciniamo al Vangelo”, che poi è la grande risorsa da mettere a disposizione di tutti.

Il resto, suggerisce, viene di conseguenza. È così chiaramente definito il contributo sostanziale che accompagna l’identità italiana. E lo stesso presidente Napolitano ha ricordato che oggi serve una nuova capacità e mentalità, oltre che solidarietà e giustizia: serve qualcosa di nuovo per sostenere e superare una crisi che un ministro, nei giorni scorsi, ha ribadito essere inedita e più rilevante di quella del 1929.

Di qui il particolare ruolo dell’Italia, che Papa Bergoglio ha ribadito, e che poggia proprio su questo cristianesimo vivo e popolare, su una identità aperta, perfettamente coerente con una democrazia da sviluppare nel senso di fare sempre ritornare alla sua radice.

Il presidente Napolitano ha ricordato che è una tradizione che il Capo dello Stato italiano si affretti a visitare il nuovo Pontefice. È una bella tradizione, che non ha nulla di formale, ma è sempre più sostanza.

Perché oggi serve prospettiva, serve slancio. Servono riferimenti, quei sobri, essenziali e chiarissimi riferimenti che i Capi dei due Stati che convivono felicemente a Roma, hanno saputo richiamare. Due discorsi che si sono intrecciati, segno di un rapporto che fa l’identità, l’originalità e la risorsa di un’Italia che può ritrovare slancio. Ma deve convertirsi, come non stanca di ripetere il Papa, con “grande partecipazione di popolo”.

Così, questo tempo di “riflessione e di crisi” – sono ancora parole di Giorgio Napolitano – può essere colto in positivo, guardando avanti con serenità. Anche se bisogna camminare ancora molto, e con passo svelto.

 

 

I punti critici

 

“Il momento storico che stiamo vivendo – ha detto il Papa a Napolitano – è segnato da una crisi globale profonda e persistente, che accentua i problemi economici e sociali, gravando soprattutto sulla parte più debole della società. Preoccupanti appaiono soprattutto i fenomeni quali l’indebolimento della famiglia e dei legami sociali, la decrescita demografica, la prevalenza di logiche che privilegiano il profitto rispetto al lavoro, l’insufficiente attenzione alle generazioni più giovani e alla loro formazione, in vista anche di un futuro sereno e sicuro”. È quindi fondamentale “sviluppare l’impianto complessivo delle istituzioni democratiche, alle quali hanno contribuito in modo determinante, leale e creativo, i cattolici italiani”.

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Pino Puglisi: un vero “padre” contro i “padrini” https://www.lavoce.it/pino-puglisi-un-vero-padre-contro-i-padrini/ Thu, 30 May 2013 14:22:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=17074 La cerimonia di beatificazione di don Pino Puglisi
La cerimonia di beatificazione di don Pino Puglisi

Una folla composta e festosa ha assistito il 25 maggio alla cerimonia di beatificazione di padre Pino Puglisi, il sacerdote ucciso dalla mafia nel 1993. Quasi 100 mila fedeli hanno accompagnato al Foro italico di Palermo il rito condotto dal card. Salvatore De Giorgi, delegato di Papa Francesco, che ha dato lettura della lettera apostolica con cui don Puglisi è stato iscritto nel novero dei beati. Un boato di gioia ha accompagnato lo svelamento della foto del martire palermitano. È stato mons. Bertolone, arcivescovo di Catanzaro e postulatore della causa di beatificazione, a illustrare la vita di don Pino.

L’arcivescovo di Palermo, card. Paolo Romeo, che ha officiato la celebrazione eucaristica, ne ha tracciato un ritratto nella sua omelia, descrivendolo come “un padre discreto e accogliente, che sapeva di umano e di sovrannaturale insieme”. Un padre “che si lasciò interpellare dai bisogni del territorio e della gente affidata alle sue cure, soprattutto i piccoli e i poveri”. Fu soprattutto a Brancaccio che il beato Puglisi “trovò bambini e giovani esposti alla ‘paternità’ falsa e meschina della mafia del quartiere, che rubava dignità e dava morte in cambio di protezione”. Ad essa don Pino “sottrasse consenso e manovalanza con la sua azione di evangelizzazione e promozione umana”.

Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha fatto pervenire la sua “personale vicinanza alla figura di un sacerdote il cui martirio costituisce una grande testimonianza di fede cristiana, di profonda generosità e di altissimo coraggio civile”.

In mezzo alla folla di fedeli, moltissimi i giovani che hanno voluto testimoniare la propria ammirazione verso questo sacerdote che mise i ragazzi al centro del proprio percorso pastorale. Tra loro un gruppo di scout messinesi: “In questi mesi – dicono – ci siamo confrontanti più volte sulla figura di padre Puglisi, e oggi ci è sembrato giusto essere qui per proseguire un percorso di legalità orgogliosamente intrapreso da siciliani”. Ad un passo da loro gli scout di Penne (Pescara), che definiscono don Puglisi “un esempio da seguire, un uomo che ha portato avanti la sua missione senza paura, pur consapevole dei rischi che correva”.

Alla beatificazione del sabato mattina, la Chiesa di Palermo si è preparata per settimane, con una serie di appuntamenti culminati nella serata del venerdì con la veglia di preghiera organizzata a Brancaccio, sul terreno dove presto sorgerà una chiesa intitolata a padre Puglisi.

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Italiani in sofferenza ma vedono positivo https://www.lavoce.it/italiani-in-sofferenza-ma-vedono-positivo/ Thu, 23 May 2013 14:36:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=16925 poveriNel 2012 il Pil nazionale ha segnato una diminuzione del 2,4%, e il potere d’acquisto delle famiglie è calato del 4,8%. Il 14,3% di queste ultime soffre di grave disagio economico. Due milioni 250 mila giovani tra i 15 e i 29 anni, quasi uno su quattro, non lavorano e non studiano. E’ la fotografia di un’Italia in forte recessione quella scattata dall’Istat (www.istat.it) nel suo Rapporto annuale 2013 – La situazione del Paese, presentato questa mattina a Roma, presso la Camera dei deputati. “Il Rapporto – ha affermato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in un telegramma – può fornire ai decisori politici un importante supporto conoscitivo”. Per Marina Sereni, vicepresidente della Camera, “non c’è vera ripresa senza equità e senza un ripensamento del nostro paradigma di sviluppo”.

Famiglie sempre più povere. Concorda con il capo dello Stato, il direttore generale dell’Istituto, Maria Carone, che ha illustrato il Rapporto: “La conoscenza puntuale e approfondita del presente è la base su cui costruire il Paese che verrà”. Di qui l’annuncio che l’Istat “sta lavorando a modelli di simulazione e strumenti per valutare gli effetti delle politiche pubbliche nel Paese”. “Analizzare le fragilità e le potenzialità del sistema economico è importante”, ma occorre anche “rendere visibili gli invisibili”, ha aggiunto. Per questo “l’Istat ha creato un portale statistico sulla coesione sociale, oltre a quello sulla Pa”. Nel definire “di intensità eccezionale” la caduta del potere d’acquisto delle famiglie, cui hanno contribuito “soprattutto la forte riduzione del reddito da attività imprenditoriale e l’inasprimento del prelievo fiscale”, Carone fa notare che esse hanno ridotto dell’1,6% la spesa corrente per consumi, mentre “è diminuita la propensione al risparmio”. Allarmanti i livelli di deprivazione materiale e disagio economico. Sono infatti il 14,3% del totale (oltre 8 milioni di persone) le famiglie toccate da almeno quattro dei nove “segnali di deprivazione” indicati dall’Istituto; la presenza di tre di questi segnali riguarda invece il 24,8%, pari a circa 15 milioni di persone. In continua crescita il divario fra Mezzogiorno – dove la deprivazione interessa il 40,1% della popolazione – e resto del Paese.

Penalizzati donne e giovani. Male anche il mercato del lavoro: “il tasso di disoccupazione, al 9,6% a gennaio 2012, ha toccato l’11,5% a marzo 2013 – spiega Carone -. Quello giovanile sale al 35,3%”. Particolarmente consistente il calo dell’occupazione nel settore delle costruzioni (-5%). La quota di donne occupate in Italia rimane di gran lunga inferiore a quella dell’Ue (47,1% contro il 58,6%). Il nostro Paese detiene inoltre la quota più alta d’Europa di 15-29enni che non lavorano né frequentano corsi di istruzione o formazione (i cosiddetti Neet, Not in Education, Employment or Training): due milioni 250mila.

Imprese poco competitive. “Oltre il 70% delle imprese italiane – prosegue il direttore Istat – è a conduzione familiare”, mentre “le strategie adottate” negli ultimi anni sono prevalentemente “di tipo difensivo”. Solo il 14% delle microimprese mostra un elevato dinamismo strategico. Per un terzo delle imprese sono “fattori limitativi” la mancanza di risorse finanziarie legata alla difficoltà di accesso al credito (problema che tocca il 40% delle imprese con meno di 50 addetti), gli oneri amministrativi e burocratici, la mancanza/scarsità della domanda e il contesto socio-ambientale. Negli ultimi anni “la domanda estera ha svolto un ruolo fondamentale per sostenere l’attività produttiva”.

Bilancio di vita positivo. Eppure, ha sottolineato Carone, nonostante la recessione i cittadini continuano a tracciare “un bilancio prevalentemente positivo” della propria qualità di vita. In aumento la soddisfazione per le relazioni familiari ed amicali e per la salute. Guardando al futuro, il 24,6% degli italiani pensa che la propria situazione personale migliorerà nei prossimi cinque anni, percentuale di ottimismo che sale al 45% negli under 34. Fiducia nei vigili del fuoco e nelle forze dell’ordine; sfiducia diffusa, invece, verso politica e istituzioni pubbliche. Per quanto riguarda gli immigrati, il 61,4% dei cittadini italiani si dichiara d’accordo con l’affermazione che essi “sono necessari per fare il lavoro che gli italiani non vogliono fare”.

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Napolitano: garante della Costituzione fino all’ultimo. E dopo https://www.lavoce.it/napolitano-garante-della-costituzione-fino-allultimo-e-dopo/ Tue, 23 Apr 2013 12:26:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=16369 Giorgio Napolitano dopo la comunicazione del rinnovo del mandato
Giorgio Napolitano dopo la comunicazione del rinnovo del mandato

È la prima volta che avviene la rielezione di un Presidente della Repubblica, per di più anziano e stanco, tanto da aver ripetutamente dichiarato, conti degli anni alla mano, di non volersi ricandidare nonostante i pressanti inviti di molti cittadini e politici. La rielezione di Giorgio Napolitano, pertanto, pur votato da 738 parlamentari (erano sufficienti 504 voti, ricevuti da tutti i partiti tranne 5 stelle e Sel di Vendola) è un triste segnale di grave malattia o agonia della nostra democrazia. Napolitano assume tutte le caratteristiche di salvatore della patria in pericolo. A proposito, oggi, mentre scriviamo, è la festa di san Giorgio: auguri al Presidente ed anche al “Papa George”. Questa elezione segna un momento di sosta – momento breve? – della conflittualità tra i partiti, una pausa che dovrebbe portare consiglio e suggerire scelte opportune ed efficaci. La gente sta male e non guarda ai cavilli, ma alla sostanza delle iniziative del Governo prossimo futuro che tutti attendono. C’è ancora chi agita la piazza e propone impossibili e imperdonabili “marce su Roma”. È duro, certamente, vedere e sapere che i grandi storici nemici si sono dovuti piegare alla necessità del momento critico, ed ha fatto bene Napolitano ad accettare la fatica e la responsabilità anche a costo di essere insultato da politicanti senza dignità. Gli italiani, a partire dagli auguri del Papa e dall’incoraggiamento venuto dalla Cei gli esprimono gratitudine e prendono sul serio il suo messaggio di spranza, e soprattutto il richiamo alla responsabilità di ognuno a fare la propria parte costruttiva per il bene dell’Italia. Nel lungo e appassionato discorso, il nuovo/vecchio Presidente ha ringraziato chi lo ha votato esprimendo ancora una volta fiducia in lui. Ha poi spiegato le ragioni per cui alla fine si è sentito in dovere di accettare la candidatura, avendo percepito un “allarme per il rischio ormai incombente di un avvitarsi del Parlamento in seduta comune nell’inconcludenza, nella impotenza ad adempiere al supremo compito costituzionale dell’elezione del Capo dello Stato”, considerando che nei giorni passati vi era stata “lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità”, di cui elenca una sintesi, considerando soprattutto “imperdonabile” la mancata riforma della legge elettorale del 2005. Un discorso pieno di contenuti da programma governativo, che getta uno sguardo attento e intenso sulla situazione sociale, la vita dei cittadini e le cose concrete che le istituzioni pubbliche devono affrontare. Ed ha così concluso: “Mi accingo al mio secondo mandato senza illusioni e tanto meno pretese di amplificazione ‘salvifica’ delle mie funzioni; eserciterò piuttosto con accresciuto senso del limite, oltre che con immutata imparzialità, quelle che la Costituzione mi attribuisce. E lo farò fino a quando la situazione del Paese e delle istituzioni me lo suggerirà, e comunque le forze me lo consentiranno. Inizia oggi per me questo non previsto ulteriore impegno pubblico in una fase di vita già molto avanzata; inizia per voi un lungo cammino da percorrere, con passione, con rigore, con umiltà. Non vi mancherà il mio incitamento e il mio augurio. Viva il Parlamento! Viva la Repubblica! Viva l’Italia!”.

Gli auguri del Papa e della Cei

“Grande disponibilità e spirito di sacrificio”: così scrive Papa Francesco nel telegramma inviato a Giorgio Napolitano nel momento in cui “ha accettato nuovamente la suprema magistratura dello Stato italiano quale Presidente della Repubblica”. Nel benedire il Presidente e la nazione, il Papa aggiunge: “Auspico che ella possa continuare la sua azione illuminata e saggia, sostenuto dalla responsabile cooperazione di tutti”.

Anche la Presidenza Cei ha fatto pervenire un proprio messaggio: “Le esprimiamo di cuore le nostre felicitazioni nel momento in cui lei, avendo dato la sua esemplare disponibilità da molti richiesta, è stato confermato Capo dello Stato”. E annota: “Sono molteplici gli elementi che sembrano oggi indebolire il riconoscimento del senso della comune appartenenza. La gente e le famiglie vivono la crisi economica che, a sua volta, rimanda a una crisi più profonda e generale; essa tocca le radici stesse dell’uomo. È crisi sociale ed è crisi politica, che emerge in contrapposizioni radicali, nella scarsa partecipazione, e nella fatica a raggiungere consenso. Tutto ciò fa di questo un tempo di scelte impegnative, che richiedono la consapevolezza e la capacità di cogliere le risorse e le reali opportunità per sviluppare una rapida e incisiva ripresa… La risposta migliore alla stanchezza e alla disillusione passa dal rispetto della democrazia e, quindi, dalla fedeltà ai principi della Costituzione, che ha il suo cardine nella centralità della persona e impegna a garantire a tutti lavoro, speranza e dignità”.

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Un’irruzione di normalità https://www.lavoce.it/unirruzione-di-normalita/ Fri, 12 Apr 2013 10:02:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=16071 napolitanoIl 18 aprile le Camere si riuniranno per eleggere il 12° Presidente della Repubblica italiana. Il 24 e 25 febbraio gli italiani hanno votato, ma l’Italia è ancora senza Governo. Nel frattempo il Paese ha assistito al balletto estenuante ed estenuato dei “no”, ripetuti fino alla noia. Poi, all’improvviso, alcune parole hanno dato una scossa ai palazzi della politica italiana. Poche parole affidate alle colonne del Corriere della Sera sembrano aver chiuso una pagina sgualcita per aprirne una tutta nuova. Da Paese normale, direbbe qualcuno. Da Paese rinsavito, direbbe qualcun altro. Forse semplicemente da Paese dotato di sano realismo, che nulla ha a che fare con il cinismo che si vorrebbe indicare come il marchio distintivo della politica. Forse, per una volta, varrebbe la pena prendere sul serio questa piccola svolta. Cioè prendere per buone le parole di Dario Franceschini, ex segretario del Pd, che in poche righe ha riaperto il dialogo fra le due maggiori forze politiche del Paese: “È arrivato il momento di dialogare con il Pdl”. E ancora: “Ci piaccia o no, gli italiani hanno stabilito che il capo della destra, una destra che ha preso praticamente i nostri stessi voti, è ancora Berlusconi. È con lui che bisogna dialogare. La sua sconfitta deve avvenire per vie politiche. Non per vie giudiziarie o legislative”. E per chiudere con i tic del passato, eccolo affermare: “Dobbiamo toglierci di dosso questo insopportabile complesso di superiorità, per cui se l’avversario ti piace ci parli, altrimenti non ci parli nemmeno”.

Ecco, parlarsi è già un buon inizio. Non è la soluzione dei problemi, ma rappresenta l’irruzione della normalità in uno scenario politico per molti versi impazzito, nel quale troppi inseguivano sogni irrealizzabili e intese improbabili. Mentre la dura realtà avrebbe già dovuto dettare loro la necessità di cercare una via praticabile per garantire al Paese una fase di relativa pace sociale, così da favorire una lenta, forse lentissima ripresa economica. E con essa il necessario alleggerimento delle tensioni sociali che serpeggiano nel profondo della società italiana, con il suo milione di licenziati nel 2012, con i suoi giovani disoccupati o sottoccupati, con i suoi suicidi per disperazione, con i suoi milioni di nuovi poveri che sono il vero shock che tutti noi facciamo fatica ad assorbire. Ecco perché parole che sembrano chiudere una lunga stagione di bipolarismo impazzito e violento suonano come unguento sulle ferite. Certo, siamo lontanissimi da un accordo tanto per l’elezione del Presidente della Repubblica, quanto di un Governo “minimo” dagli orizzonti brevi. Eppure quelle parole di Franceschini, sicuramente maturate nelle stanze più importanti del Pd, forse ci possono aiutare a capire, una volta per tutte, che ci sono due condizioni necessariamente concatenate per una sana democrazia dell’alternanza: la stabilità dei Governi e la legittimazione del proprio avversario politico. Due condizioni che il nostro bipolarismo infantile e imperfetto hanno praticamente tradito con un’ostinazione insopportabile. Quanto tempo è stato sprecato nel combattersi senza tregua nella demonizzazione dell’avversario. “Comunista” o “Caimano”, a seconda degli interessi del proprio schieramento. Tutto questo mentre il Paese perdeva colpi e si consegnava, imbelle, alle gelide regole di Bruxelles. E mentre nell’opinione pubblica montava una feroce quanto motivata ondata antipolitica che ha trasformato il nostro sistema, da un bipolarismo impazzito e inconcludente, in un tripolarismo paralizzante e cinico. I pochi giorni che mancano all’elezione del Presidente della Repubblica ci diranno se davvero la politica italiana avrà cambiato marcia, se la reciproca legittimazione diventerà costume politico, se ci verrà restituita una dialettica politica da democrazia occidentale, se potremo tornare a sperare in un futuro per il nostro Paese. L’alternativa sarebbe un avvitamento nella crisi istituzionale, con inevitabili gravissime ripercussioni economiche e sociali. Con un costo umano insopportabile per i nostri poveri, per i nostri ceti popolari, per le nostre famiglie, per le nostre comunità.

P.S. Il “coraggio” della Dc e del Pci nel lontano 1976 nel dare vita a un governo di “larghe intese”, evocato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha sostanzialmente dettato l’agenda dell’incontro fra Bersani e Berlusconi. La domanda è questa: avranno lo stesso coraggio di Aldo Moro e di Enrico Berlinguer?

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Basta al sovraffollamento delle carceri, serve una prevenzione seria https://www.lavoce.it/basta-al-sovraffollamento-delle-carceri-serve-una-prevenzione-seria/ Thu, 14 Feb 2013 14:30:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=15064 carcere-san-vittoreTrentasette uomini girano in cerchio all’interno di un angusto cortile, con la testa bassa e il passo della solitudine. È La ronda dei carcerati di Vincent Van Gogh, che nel 1890 imprimeva su tela la disperazione della reclusione nel manicomio di Saint-Rémy. Un quadro sofferto e ossessivo che racconta l’emergenza sociale del sistema penitenziario italiano. A fronte di 47 mila posti regolamentari, i detenuti rinchiusi nelle carceri nostrane sfiorano quota 66 mila, con un tasso di affollamento al primo posto in Europa. Numeri che mostrano una realtà penitenziaria ormai insostenibile, come ha ricordato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in visita alla casa circondariale di San Vittore, richiamando la responsabilità del Paese: “Sono in gioco il prestigio e l’onore dell’Italia”. Per riflettere sulle condizioni in cui versa il nostro sistema carcerario abbiamo intervistato Luciano Eusebi, ordinario di Diritto penale all’Università Cattolica di Milano.

Per il presidente Napolitano, nessuno può “negare la gravità dell’attuale realtà carceraria nel nostro Paese”.

“È una considerazione assolutamente condivisibile, evidenziata da anni anche in ambito cattolico. Si tratta di una situazione che deve essere affrontata. Il tema della criminalità non può costituire un terreno di affermazioni demagogiche, finalizzate ad acquisire consenso tanto più in un momento elettorale. Bisogna invece recuperare la capacità di attuare una prevenzione seria, che non passa per la sofferenza in carcere ma per la differenziazione seria degli strumenti sanzionatori”.

Dunque l’amnistia non è una soluzione al problema?

“L’amnistia può essere considerata soltanto un passaggio, se indispensabile, per far fronte all’emergenza. È ora di porre mano a una riforma reale dell’apparato sanzionatorio penale. Abbiamo tutti gli elementi a nostra disposizione. Un sistema incentrato sulla pena detentiva non è in grado di incidere, ad esempio, sulla criminalità mossa da ragioni economiche. Paradossalmente, paralizza l’apparato penale che non può gestire milioni di processi e, in una certa misura, corrisponde a certi interessi che possono soggiacere all’inefficienza del sistema. Interessi che trovano beneficio nel presentare all’opinione pubblica soltanto i fatti eclatanti di criminalità, soprattutto omicidi all’interno della famiglia, per alimentare la domanda di pena detentiva”.

Sono maturi i tempi per una riforma organica dell’apparato sanzionatorio?

“Le conoscenze necessarie per una riforma di questo tipo sono disponibili da molti anni. La centralità della pena detentiva, lungi dal costituire un mezzo per una prevenzione più efficace, fa sì che non vengano adottati strumenti che sono maggiormente in grado d’incidere sugli interessi materiali che quasi sempre stanno a monte della criminalità. Si dovrebbe pensare, invece, a percorsi che tengano conto della situazione esistenziale effettiva. La gran parte della popolazione carceraria, infatti, è composta da persone che provengono da situazioni di grave disagio sociale. La pena detentiva mantiene un suo ruolo in circostanze particolari, come la ripetizione di gravi reati o la necessità di recidere i legami di appartenenza con organizzazioni criminose”.

Il rispetto della legge deve essere letto come una scelta o un’imposizione?

“La visione tradizionale ha sempre proposto all’opinione pubblica la prevenzione come effetto dell’intimidazione. Più crudele è la conseguenza del reato, meno saranno i reati. In realtà la tenuta di un sistema sociale non dipende dall’intimidazione. Nel momento in cui il rispetto delle norme dipende esclusivamente dal calcolo e dal timore di essere scoperti, non ci sarà l’adesione alla norma appena il controllo viene meno. La prevenzione dipende dalla capacità di tenere elevata, anche attraverso i sistemi sanzionatori, l’approvazione delle norme per scelta. È per questo che una persona recuperata fa prevenzione sul territorio, mostrando che la legge è capace di convincere”.

Ha ancora senso, in questa prospettiva, parlare di ergastolo ostativo?

“Abbiamo una normativa sull’ergastolo mitigata dall’ordinamento penitenziario che concede, nei tempi lunghi, il fine pena. Sono state create, però, delle categorie di detenuti che hanno limitazioni all’accesso dei benefici: possono accedervi solo se collaborano con la giustizia. Qui non si tratta di una collaborazione in corso di processo ma riferita a fatti accaduti talvolta decenni addietro. Si crea così una situazione che ha dell’incredibile: è come se lo Stato non dicesse: ‘Se collabori, avrai un premio’ ma: ‘Se non collabori, ti privo di diritti’. La conseguenza è che l’ergastolano, non potendo avere benefici, non potrà uscire mai dal carcere. Un simile regime trasforma la logica che attribuisce effetti premiali alla collaborazione nella logica opposta di natura costrittiva rappresentata dalla privazione, per il non collaborante, del regime sanzionatorio ordinario, privando di rilievo qualsiasi percorso rieducativo e la stessa constatazione di un sicuro ravvedimento”.

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Un Natale da “sapere” https://www.lavoce.it/un-natale-da-sapere/ Thu, 13 Dec 2012 12:51:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=14213
L’accensione dell’albero di Natale a Gubbio da parte del presidente Napolitano

Il Natale è già iniziato a Gubbio, con l’accensione dell’Albero più grande del mondo – la sera del 7, come tradizione – da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Molti sono gli appuntamenti che accompagneranno il periodo di Avvento fino alla Natività di Gesù, ed altri fino all’Epifania; diversi saranno all’insegna della solidarietà.

Lodevole l’iniziativa “Questa notte voi saprete”, un percorso curato dalla diocesi e dalla Biblioteca comunale Sperelliana che condurrà alla riscoperta dei luoghi cittadini di storia ed arte in cui sono custodite le icone più significative sulla Natività, fruibile fino al 6 gennaio 2013 (informazioni: Iat, via della Repubblica, tel. 075 9220693). Inoltre il 15 gennaio (alle 21) e il 16 (alle 17) al Teatro comunale sarà presentato lo spettacolo della scuola Danz’Art Mestieri a regola d’arte, il cui incasso sarà devoluto ad Associazione diabetici eugubini. Ancora si terrà il 26 dicembre dalle 16 alle 19 a San Pietro – la cui piazzetta è illuminata dalla Cometa gigante – la tradizionale tombolata di beneficenza organizzata dall’associazione Quartiere di San Pietro nella sala della comunità.

Novità straordinaria i mercatini “Ora et assapora” con prodotti e dolci provenienti dai monasteri locali allestiti dal 27 al 31 dicembre negli arconi in via Baldassini ed aperti dalle 14 alle 20.

Concerti e canti: si inizia il 16 dicembre con il coro degli Angels che con le loro emozionanti voci animeranno la cattedrale (ore 21). Importante ritorno del Concerto sotto l’Albero, quest’anno spalmato in quattro date: dopo la prima serata del 9 con la tromba della talentuosa Tine Thing Helseth e l’Orchestra Filarmonica Italiana accompagnate dal coro Piccoli musici di Casazza (nell’intervallo l’a.d. della Colacem Carlo Colaiacovo, come consuetudine, ha consegnato contributi all’Aelc ed all’Avis di Gubbio, per sostenere il loro impegno al fianco dei più deboli), altri eventi unici in calendario sono il 18 dicembre alle 21 alla chiesa di San Pietro con i gospel Shannon Rivers and the High Prise e poi il 23 alle 21.30 nella chiesa di San Francesco il coro gospel “Spirit of New Orleans”.

Il coro dei Cantores Beati Ubaldi diretto dal m° Renzo Menichetti dedicherà la serata del 29 dicembre alle 21 nella chiesa di San Domenico a canti della tradizione del Natale, con la soprano Sabrina Morena e con coreografie dirette da Marina Tofi e Francesco Mariottini di UmbriaBallet. Momenti dedicati a nonni e nipoti saranno la Tombolissima del 19 dicembre a partire dalle 16.30 presso la ludoteca in piazza Bosone, ed ogni fine settimana la “Fattoria di Natale” presso il chiostro di San Pietro.

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Il caso Sallusti e la democrazia https://www.lavoce.it/il-caso-sallusti-e-la-democrazia/ Thu, 04 Oct 2012 12:46:11 +0000 https://www.lavoce.it/?p=13198 Libertà di stampa e democrazia sono in pericolo in un Paese in cui un giornalista può finire in galera per le cose che scrive e dice. Libertà di stampa e democrazia sono però in pericolo anche in quel Paese dove i giornalisti, per scarsa professionalità, o peggio ancora in malafede, offendono le persone e ne infangano la dignità scrivendo o affermando il falso. Sono alcune delle riflessioni suggerite dal caso della condanna dell’ex direttore del Giornale Alessandro Sallusti e delle reazioni e polemiche che l’hanno accompagnata.

Sallusti è stato condannato con sentenza definitiva dalla corte di Cassazione a 14 mesi di carcere, senza la sospensione condizionale della pena, per diffamazione a mezzo stampa. Il 18 febbraio 2007 il quotidiano Libero, del quale era direttore, aveva pubblicato la notizia falsa di un giudice che avrebbe ordinato l’“aborto coattivo” per una tredicenne. Una vicenda della quale si era occupato un altro quotidiano nei giorni precedenti, ma che era stata smentita dalle agenzie di stampa prima ancora dell’uscita dell’articolo su Libero. Il giudice in realtà si era limitato ad autorizzare il ricorso all’aborto richiesto dalla madre con il consenso della ragazza.

Le reazioni di giornalisti e politici sono state unanimi: una sentenza grave che mette in pericolo libertà di stampa e democrazia. “Una condanna sconvolgente, in questo momento siamo tutti Sallusti” ha dichiarato Franco Siddi, segretario nazionale della Fnsi, il sindacato dei giornalisti, che ha anche invitato i direttori dei quotidiani a fare uscire i loro giornali con uno spazio bianco come segno visibile della protesta. Indicazione seguita anche da alcuni giornali umbri. “Una intimidazione a mezzo sentenza” ha commentato Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti. Solidarietà a Sallusti è stata espressa dai direttori di tutti i quotidiani, anche quelli notoriamente schierati contro le posizioni espresse dal Giornale e da Libero, così come dai leader di tutti i partiti. Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha assicurato il suo interessamento.

Una domanda ai politici: perché si indignano ora e non hanno mai pensato a cambiare le norme applicate dai giudici, norme che oggettivamente non sono da Paese democratico e civile?

Mentre divampavano le polemiche, un deputato del Pdl, Renato Farina, ha preso la parola alla Camera per annunciare che l’autore dell’articolo incriminato era lui. Articolo firmato con lo pseudonimo Dreyfus. Farina infatti, prima di finire in Parlamento, era un giornalista che però era stato radiato dall’Ordine poiché si era scoperto che collaborava con i servizi segreti italiani con il nome di copertura di “agente Betulla”.

Una vicenda dunque complessa e con tanti risvolti. È normale che un giornalista radiato dall’Ordine venga ugualmente utilizzato firmando con uno pseudonimo? Ed ancora: il giudice diffamato ha dichiarato in questi giorni alla stampa che Libero non ha mai pubblicato “un trafiletto in cui si diceva che la notizia era infondata, uno sbaglio per cui chiedere scusa ai lettori”.

Il caso Sallusti deve quindi essere una occasione, facendo seguire i fatti alle parole, per modificare norme sbagliate. Ma deve essere anche una occasione per i giornalisti per interrogarsi non solo sui loro diritti ma anche sui loro doveri. Prima di tutto quello di informare correttamente, e dopo le necessarie verifiche che la professionalità richiede. Verifiche ancora più approfondite quando riguardano notizie delicate che, come in questo caso, ledono la dignità delle persone. E poi in caso di errore, sempre possibile, correggerle. Perché le notizie ed i fatti sono cosa diversa dalle opinioni. Queste considerazioni sui doveri della professione sono un po’ mancate nelle reazioni a senso unico per la condanna di Sallusti. Forse perché i direttori dei grandi giornali ed i massimi rappresentanti dell’Ordine e del sindacato dei giornalisti le ritengono scontate e superflue. Eppure, per il bene della nostra democrazia, dei giornalisti e di chi li legge ed ascolta, è giusto ricordare anche i doveri che sono alla base di una vera libertà di stampa.

L’affare Boffo

“Trent’anni di carriera vissuti temerariamente” titola Avvenire a proposito del caso Sallusti, e non a caso. Tra l’altro, Sallusti aveva lavorato alla redazione di Avvenire nella seconda metà degli anni Ottanta. Era “già infaticabile, lucido, intraprendente – ricordano ad Avvenire. – E in cerca di sfide inedite… È condirettore del Giornale assieme a Feltri da appena una settimana, nell’ultimo scampolo dell’agosto 2009, quando collabora alla campagna diffamatoria contro Boffo. Tre mesi dopo Feltri chiede scusa a Boffo, di fatto addossando a Sallusti la responsabilità di aver accreditato come atto giudiziario una banale e vile lettera anonima. Feltri viene sanzionato dall’Ordine dei giornalisti e Sallusti rimane da solo alla guida del Giornale, facendone una cannoniera al servizio del centrodestra”.

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Dio ignoto? Parliamone https://www.lavoce.it/dio-ignoto-parliamone/ Thu, 20 Sep 2012 14:46:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=12869
Domenico Ghirlandaio “La prova del fuoco”, Cappella Sassetti

Se fossero ancora in vita san Francesco e il sultano d’Egitto, stavolta potrebbero incontrarsi comodamente in “cortile” ad Assisi. Quest’anno infatti la festa del Poverello si arricchisce dell’iniziativa “Dio, questo Sconosciuto”, organizzata il 5 e 6 ottobre dai Francescani e dalla diocesi assisiati, dal Pontificio consiglio della cultura e dall’associazione culturale Oicos. L’evento rientra in quel progetto vaticano denominato “Il Cortile dei Gentili” che mira a creare contatti e ponti di dialogo tra i credenti in Cristo e i “lontani”.

Quindi il 5 ottobre, alle ore 17 nella piazza inferiore di Assisi, si svolgerà un dialogo, o anzi quasi un piccolo summit ai massimi livelli, tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontifico consiglio della cultura cui Papa Benedetto XVI ha appunto affidato l’organizzazione degli eventi legati al Cortile dei Gentili.

Alle ore 21 in cattedrale di San Rufino, dibattito su “Lavoro, impresa e responsabilità” con Franco Bernabè, amministratore delegato Telecom, e il segretario nazionale della Cgil Susanna Camusso.

Tanti gli appuntamenti del 6 ottobre. Alle ore 10 al Sacro Convento “Contemplazione e meditazione” con il priore di Bose Enzo Bianchi, John Borelli, Giulio Giorello, padre Giuseppe Piemontese. Alle 11.30 in piazza inferiore “Il dialogo interculturale e interreligioso per la pace”; tra i relatori, l’attore Moni Ovadia. Alla stessa ora è possibile invece scegliere l’incontro su “I giovani tra fede e nichilismo” alla Cittadella. Alle ore 15 presso il Sacro Convento “Il grido della Terra”, incontro moderato dalla giornalista Monica Maggioni; tra gli ospiti, il professor Umberto Veronesi; oppure in contemporanea “Arte e fede” in basilica superiore, con lo scrittore Vincenzo Cerami, l’architetto Massimiliano Fuksas, il regista Ermanno Olmi. Alle ore 16 in piazza inferiore “Il grido dei poveri. Crisi economica globale, sviluppo sostenibile”, con – tra gli altri – la giornalista Lucia Annunziata e padre Alex Zanotelli.

Sono stati pensati anche alcuni momenti collaterali, come “Il cortile della narrazione”, workshop di scrittura creativa, al Sacro Convento dale ore 10 alle 16 del 5 ottobre. Nonché “Il cortile dei bambini”, dalle ore 10 alle 16 nella piazza superiore. L’evento conclusivo è previsto alle ore 17 del 6 ottobre in basilica superiore, con il dialogo tra il card. Ravasi e il ministro Corrado Passera.

Per informazioni e prenotazioni: cell. 339 5449531 (Roberto Pacilio), sito www.sanfrancesco.org.

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Non è stata una pura “fatalità” https://www.lavoce.it/non-e-stata-una-pura-fatalita/ Thu, 22 Dec 2011 09:24:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=155 Diciassette i morti sul lavoro quest’anno in Umbria. Una contabilità che potrebbe essere ancora provvisoria, e che registra sette vittime soltanto negli ultimi due mesi. Vite che non sono state spezzate da “inevitabili tragiche fatalità”. Lo ha scritto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in un messaggio inviato al sindaco di Campello sul Clitunno Paolo Pacifici in occasione del quinto anniversario del rogo della Umbria Olii, nel quale il 25 novembre 2006 morirono quattro operai. “Al di là – ha scritto Napolitano – della drammatica complessità dei fatti e delle conseguenti difficoltà nell’accertamento, essenziale perché possa esservi giustizia, delle responsabilità che simili eventi spesso presentano, va in ogni caso rifiutata l’idea che si tratti comunque di inevitabili tragiche fatalità. Né alcun cedimento è ammissibile per ciò che deve essere l’impegno di tutti, istituzioni pubbliche, anche locali, mondo delle imprese, pubblica opinione, insieme con la vigile consapevolezza degli operatori, affinché la sicurezza e la dignità del lavoro abbiano quella valenza primaria che la Costituzione pone a fondamento della Repubblica”. Campello sul Clitunno ha ricordato con una serie di iniziative quel 25 novembre 2006 che ha sconvolto la vita del piccolo centro e la coscienza di tante persone. Le vittime (Maurizio Manili, 45 anni, titolare di una piccola ditta di carpenteria di Narni, ed i suoi operai, Tullio Mottini e Giuseppe Coletti, entrambi di 48, e l’albanese Vladimir Todhe, di 44, tutti residenti in provincia di Terni) stavano installando una passerella alla sommità di due grandi cisterne della Umbria Olii quando ci fu una esplosione seguita da un violento incendio. Con loro c’era anche un gruista che riuscì a salvarsi. I parenti delle vittime, a cinque anni dall’incidente, stanno ancora aspettando la conclusione del processo di primo grado al tribunale di Spoleto, nel quale l’allora amministratore delegato della Umbria Olii Giorgio Del Papa è imputato di omicidio colposo plurimo, omissione dolosa delle cautele sul lavoro ed incendio. Per lui il pm Gianfranco Riggio ha chiesto la condanna a 12 anni di reclusione. La sentenza del giudice unico Alberto Avenoso è prevista per il 13 dicembre prossimo. Nel corso del procedimento la Umbria Olii aveva chiesto un risarcimento di 35 milioni di euro ai familiari dei quattro operai morti e all’unico sopravvissuto, sostenendo che l’incidente era stato provocato da una saldatrice da loro usata impropriamente. Una richiesta che aveva suscitato tante polemiche e che il giudice ha respinto.

In occasione del quinto anniversario a Campello è stato presentato il volume Tornare a casa dal lavoro, che raccoglie articoli e foto sulla vicenda Umbria Olii. Sono stati anche premiati i vincitori di un premio giornalistico (patrocinato da Ordine dei giornalisti dell’Umbria, Regione, Associazione stampa umbra, Università di Perugia e Scuola di giornalismo radio-televisivo di Perugia) per promuovere una corretta informazione in materia di diritti dei lavoratori e di salute e sicurezza sul lavoro. Alla cerimonia sono intervenuti l’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti, l’assessore regionale Silvano Rometti, l’ex presidente della Regione Maria Rita Lorenzetti e Beppe Giulietti di “Articolo 21”, il quale ha proposto che Campello sul Clitunno diventi una sorta di capitale italiana per tutte le iniziative di promozione della sicurezza sul lavoro. Rometti ha detto che la Regione Umbria fa molto in questo campo, ma che non si deve “abbassare la guardia”. In una nota il segretario generale della Cgil Umbria Mario Bravi sottolinea che “purtroppo” in Umbria questo fenomeno “sta vivendo una preoccupante fase di recrudescenza” perché in un “momento di crisi produttiva ed occupazionale” si assiste ad un “imbarbarimento delle condizioni di lavoro, ad una compressione dei diritti, ad una competizione fatta sulle pelle delle persone”. Mentre a Campello venerdì scorso si ricordavano le vittime del rogo, le cronache registravano altri tre morti sul lavoro in Italia: un operaio di 50 anni in una cartiera in provincia di Bergamo, un operaio edile di 53 anni a Roma ed una commessa di 36 anni ad Oristano. Poi sabato 26 novembre ancora in Umbria un’altra vittima, un giovane romeno travolto da una ruspa a Collazzone proprio nel giorno del suo 23° compleanno. Altri quattro incidenti mortali che, come ha scritto Napolitano, non possono essere solo “inevitabili tragiche fatalità”.

]]> Non è stata una pura “fatalità” https://www.lavoce.it/non-e-stata-una-pura-fatalita-2/ Thu, 01 Dec 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9813 Diciassette i morti sul lavoro quest’anno in Umbria. Una contabilità che potrebbe essere ancora provvisoria, e che registra sette vittime soltanto negli ultimi due mesi. Vite che non sono state spezzate da “inevitabili tragiche fatalità”. Lo ha scritto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in un messaggio inviato al sindaco di Campello sul Clitunno Paolo Pacifici in occasione del quinto anniversario del rogo della Umbria Olii, nel quale il 25 novembre 2006 morirono quattro operai. “Al di là – ha scritto Napolitano – della drammatica complessità dei fatti e delle conseguenti difficoltà nell’accertamento, essenziale perché possa esservi giustizia, delle responsabilità che simili eventi spesso presentano, va in ogni caso rifiutata l’idea che si tratti comunque di inevitabili tragiche fatalità. Né alcun cedimento è ammissibile per ciò che deve essere l’impegno di tutti, istituzioni pubbliche, anche locali, mondo delle imprese, pubblica opinione, insieme con la vigile consapevolezza degli operatori, affinché la sicurezza e la dignità del lavoro abbiano quella valenza primaria che la Costituzione pone a fondamento della Repubblica”. Campello sul Clitunno ha ricordato con una serie di iniziative quel 25 novembre 2006 che ha sconvolto la vita del piccolo centro e la coscienza di tante persone. Le vittime (Maurizio Manili, 45 anni, titolare di una piccola ditta di carpenteria di Narni, ed i suoi operai, Tullio Mottini e Giuseppe Coletti, entrambi di 48, e l’albanese Vladimir Todhe, di 44, tutti residenti in provincia di Terni) stavano installando una passerella alla sommità di due grandi cisterne della Umbria Olii quando ci fu una esplosione seguita da un violento incendio. Con loro c’era anche un gruista che riuscì a salvarsi. I parenti delle vittime, a cinque anni dall’incidente, stanno ancora aspettando la conclusione del processo di primo grado al tribunale di Spoleto, nel quale l’allora amministratore delegato della Umbria Olii Giorgio Del Papa è imputato di omicidio colposo plurimo, omissione dolosa delle cautele sul lavoro ed incendio. Per lui il pm Gianfranco Riggio ha chiesto la condanna a 12 anni di reclusione. La sentenza del giudice unico Alberto Avenoso è prevista per il 13 dicembre prossimo. Nel corso del procedimento la Umbria Olii aveva chiesto un risarcimento di 35 milioni di euro ai familiari dei quattro operai morti e all’unico sopravvissuto, sostenendo che l’incidente era stato provocato da una saldatrice da loro usata impropriamente. Una richiesta che aveva suscitato tante polemiche e che il giudice ha respinto. In occasione del quinto anniversario a Campello è stato presentato il volume Tornare a casa dal lavoro, che raccoglie articoli e foto sulla vicenda Umbria Olii. Sono stati anche premiati i vincitori di un premio giornalistico (patrocinato da Ordine dei giornalisti dell’Umbria, Regione, Associazione stampa umbra, Università di Perugia e Scuola di giornalismo radio-televisivo di Perugia) per promuovere una corretta informazione in materia di diritti dei lavoratori e di salute e sicurezza sul lavoro. Alla cerimonia sono intervenuti l’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti, l’assessore regionale Silvano Rometti, l’ex presidente della Regione Maria Rita Lorenzetti e Beppe Giulietti di “Articolo 21”, il quale ha proposto che Campello sul Clitunno diventi una sorta di capitale italiana per tutte le iniziative di promozione della sicurezza sul lavoro. Rometti ha detto che la Regione Umbria fa molto in questo campo, ma che non si deve “abbassare la guardia”. In una nota il segretario generale della Cgil Umbria Mario Bravi sottolinea che “purtroppo” in Umbria questo fenomeno “sta vivendo una preoccupante fase di recrudescenza” perché in un “momento di crisi produttiva ed occupazionale” si assiste ad un “imbarbarimento delle condizioni di lavoro, ad una compressione dei diritti, ad una competizione fatta sulle pelle delle persone”. Mentre a Campello venerdì scorso si ricordavano le vittime del rogo, le cronache registravano altri tre morti sul lavoro in Italia: un operaio di 50 anni in una cartiera in provincia di Bergamo, un operaio edile di 53 anni a Roma ed una commessa di 36 anni ad Oristano. Poi sabato 26 novembre ancora in Umbria un’altra vittima, un giovane romeno travolto da una ruspa a Collazzone proprio nel giorno del suo 23° compleanno. Altri quattro incidenti mortali che, come ha scritto Napolitano, non possono essere solo “inevitabili tragiche fatalità”.

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Ho querelato Giorgio https://www.lavoce.it/ho-querelato-giorgio/ Thu, 08 Jul 2010 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8592 Ho querelato Giorgio. E chi è Giorgio? L’ho fatto oggi, 7 luglio 2010, all’alba. L’ho fatto spedendo al legale della mia Comunità, l’avv. Manna, questa e-mail: “Caro Simone, ti prego di dare corso all’azione legale della quale parliamo da mesi, e di farlo nella forma che riterrai più opportuna, dalla semplice querela alla richiesta di impeachment”. A questo punto tutti capiscono che il de quo non è Giorgio Armani, l’austero profeta delle futilità, ma Giorgio Napolitano; io lo vedrei volentieri, il benamato Presidente della nostra benamata Repubblica, una tantum, per poche ore, in catene; magari in catene di marzapane, onde non ne soffra la sua salute preziosa di 85enne impegnato a badare, nei pascoli tra il Colle, palazzo Madama e piazza Montecitorio, un gigantesco gregge di porci. Dico “porci” senza ombra di offesa, il riferimento è al poeta latino Orazio, che sapeva di non declassarsi affatto quando si proclamava Epicuri de grege porcus. Ce ne sono tanti davvero, di porci, nel gregge di Napolitano: dai lattonzi che dove passano lasciano una piccola scia di liquame appena maleodorante (500 euro di tangente per concedere la licenza all’arrrotino), ai verri maestosi, che hanno a lungo allenato i muscoli delle mandibole e oggi sono pronti ad azzannare e divorare parti intere di questo nostro Stato, sul cui frontale c’è scritto, a caratteri cubitali: “Per favore, rubate!”. Veramente ha molto da fare il nostro Presidente, nell’attuale contingenza storica, ma questo non può fargli dimenticare il primissimo dei suoi compiti: la difesa dei deboli, crocifissi su questa legge o su quell’altra omissione. Io gli ho scritto la prima volta il 26 marzo u.s., per segnalargli il pericolo che otto dei “ragazzi” ricoverati nella mia Comunità dovessero venire rimandati a casa, perché le Asl di provenienza (Lazio, Abruzzo, Campania e Calabria) non pagavano le rette per il loro ricovero, troncando così un loro percorso di recupero che dura da anni e respingendoli in una situazione subumana, prigionieri della propria recuperata insignificanza all’interno di una casa/prigione in cui attendere la morte. Ohibò! A questo punto il cittadino avvertito dirà “ohibò!”. Che peso possono avere otto soggetti in difficoltà nel contesto di 800.000 persone che hanno perso il lavoro? Ohibò! Di speciale hanno solo il fatto che sono l’ultimo anello della catena. E all’ultimo anello della catena la Costituzione assegna il primo posto nelle preoccupazioni del Presidente.(1 – Continua…)

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Il carisma dell’unione (europea) https://www.lavoce.it/il-carisma-dellunione-europea/ Fri, 25 Sep 2009 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7857 Si è svolto a Loppiano (Fi), il 19 e 20 settembre, il primo appuntamento italiano di “Insieme per l’Europa” che ha visto riuniti oltre 1.400 partecipanti in rappresentanza di decine di movimenti ecclesiali, aggregazioni e nuove comunità della Penisola. Il raduno, che si pone in continuità con i due incontri svoltisi a Stoccarda nel 2004 e 2007 e con altre analoghe manifestazioni in svolgimento in questo 2009 in varie città europee, è stato organizzato dai Focolari, dall’associazione Giovanni XXIII, dal Rinnovamento nello Spirito santo e dalla Comunità di Sant’Egidio.

La manifestazione ha avuto l’apprezzamento della Conferenza episcopale italiana e del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano. Quest’ultimo, in un telegramma, ha ribadito “la particolare rilevanza” dell’impegno “di quanti contribuiscono a promuovere un forte spirito di solidarietà e di coesione sociale”. La centralità della Parola di Dio, e del suo ruolo nella costruzione europea, è stata ricordata, nel corso dei lavori, da Maria Voce Emmaus, responsabile nazionale dei Focolari, che ha ripercorso alcuni momenti della vita di Chiara Lubich, fondatrice del movimento. “È, infatti, la vita del Vangelo – ha detto – fiorita in ogni movimento, con le peculiari caratteristiche dei diversi carismi, di cui Dio è stato munifico donatore, che ha spinto quanti hanno iniziato questo cammino di comunione. E la condivisione dei frutti di questa vita ci ha portati a condividere anche sogni e speranze e ad unificare strategie e forze, alla ricerca di uno spirito nuovo per ridare vitalità alle radici cristiane dell’Europa”.

“L’Europa è in difficoltà” ha riconosciuto Marco Impagliazzo della Comunità di Sant’Egidio, riferendosi alla disaffezione degli elettori alle ultime elezioni europee, alle tendenze al separatismo e alla divisione in Gran Bretagna, Belgio, Grecia, Italia, Olanda, Austria, alla crescita di formazioni xenofobe e localiste, all’antigitanismo, alle leggi vessatorie contro gli stranieri e ad un progressivo allontanamento dall’Africa. “La missione dell’Europa – per Impagliazzo – va ripensata nel quadro di un mondo globalizzato, contradditorio e confuso. In esso esiste ancora un bisogno di Europa, ma i cittadini europei sembrano non accorgersene. Gli europei sono diventati disincantati e paurosi”. All’Europa ripiegata in se stessa Impagliazzo chiede di “divenire forza unificante, capace di generare dialogo tra popoli divisi dalla storia, senza cancellarne le identità. Questo è il carisma dell’Europa, che ha una missione ed una vocazione all’unità e alla pace. Gli europei hanno valori umani preziosi per il futuro del mondo e non possono disperderli”.

Ecco allora che i movimenti e le aggregazioni laicali cristiane del Continente “devono tenere aperto il cantiere europeo. Il cristianesimo può forzare le porte della paura e della chiusura e far nascere un nuovo umanesimo”. “Passiamo tra le trame perverse del male di questo nostro Continente – ha detto Salvatore Martinez, presidente del Rinnovamento nello Spirito -: all’Europa manca Dio. Il nostro non sia un passaggio inosservato, inoperoso. Se vogliamo costruire un’unità di popoli cosciente dei propri valori spirituali, delle proprie radici spirituali, dobbiamo, insieme, rifarci alle Scritture sacre che rappresentano la parte più nobile della storia dei popoli europei. Non vogliamo permettere che altri portino alla deriva il cristianesimo”. “Il Vangelo – ha concluso – non è cambiato e l’Europa in Cristo mai invecchierà. Gli uomini e le donne della preghiera sono la più grande riserva di speranza per questo mondo”.

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Incontri con il Vescovo, il Papa e il Presidente della Repubblica https://www.lavoce.it/incontri-con-il-vescovo-il-papa-e-il-presidente-della-repubblica/ Thu, 09 Apr 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7452 Provengono da 65 nazioni, in numero di circa 1.800 in rappresentanza dei 35.000 confratelli sparsi per il mondo (194 le Province presenti, 32 i ministri e i definitori generali, 119 i ministri provinciali e i custodi). Sono i francescani del Primo ordine (Cappuccini, Conventuali, Minori) e del Tor (Terz’ordine regolare), gli attuali discepoli di san Francesco che si riuniscono, dal 15 al 18 aprile, per il Capitolo internazionale delle Stuoie nello stesso luogo dove si tenne il primo capitolo francescano: accanto alla Porziuncola. Per accoglierli tutti sul piazzale di Santa Maria degli Angeli verrà eretta la ‘tenda del Capitolo’ dove si terrano le celebrazioni. 15 aprile, inizio ore 16. Dopo i saluti di accoglienza, fra’ Raniero Cantalamessa, ofmcap, terrà una relazione ai suoi fratelli: Osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo promesso al Signore (FF. est. 127). Alle ore 19 mons. Domenico Sorrentino presiederà la celebrazione eucaristica, alla quale l’intera diocesi è invitata ad essere. Nell’occasione il Vescovo consegnerà ai presenti un suo messaggio, un fascicolo dal titolo Complici dello Spirito. Il giovane Francesco e il vescovo Guido. 16 aprile. Giorno caratterizzato dalla sottolineatura del tema della testimonianza. Dopo la preghiera, tavola rotonda sul tema La Regola e la vita dei Frati minori è questa: osservare’, coordinata dal giornalista di Rai Uno Francesco Giorgino. Alle ore 12 i cantori delle Famiglie francescane canteranno le lodi di Dio. Nel pomeriggio una serie di video testimonianze, Testimoni di speranza. I Francescani si raccontano, per illustrare la presenza e le attività dei Francescani nel mondo (interverranno tre ex ministri generali). 17 aprile, venerdì. Giorno dedicato alla penitenza e al digiuno. Il frutto del digiuno sarà devoluto per un’opera umanitaria. La giornata capitolare si aprirà con la celebrazione delle lodi, alle ore 8.45, nella basilica di Santa Chiara. Suor Angela Scandella, clarissa, parlerà ai presenti sul tema: Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza’ (FF. 1.110). Quindi ogni frate sceglierà un luogo significativo di Assisi per dedicarsi al silenzio e al deserto. Si ritroveranno di nuovo, tutti insieme, per dare inizio alle ore 15 alla processione penitenziale che da Santa Maria li porterà alla tomba di san Francesco. Momento forte e solenne: sulla tomba del Poverello i ministri generali ri-consegneranno la Regola ai frati. 18 Aprile. Sveglia all’alba per essere a Castelgandolfo alle ore 10 dove la concelebrazione eucaristica chiuderà il Capitolo. Alle ore 12, nel cortile del palazzo apostolico, i frati incontreranno il santo padre Benedetto XVI. Nel pomeriggio una delegazione di frati, guidata dai ministri generali, farà visita al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano nella tenuta di Castel Porziano. Quindi, i frati riprenderanno il loro cammino per il mondo, accompagnati dall’esortazione di Francesco: ‘Incominciamo, fratelli, a servire il Signore”.

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Mirabile esempio https://www.lavoce.it/mirabile-esempio/ Thu, 31 Jan 2008 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=6425 Giovedì 24 gennaio, poco prima di mezzogiorno, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito la Medaglia d’oro al merito civile al nostro benemerito concittadino mons. Beniamino Schivo, assieme ad altri quattro personaggi italiani. In questo modo i rappresentanti dello Stato hanno voluto inaugurare le celebrazioni per il Giorno della memoria (27 gennaio) richiamando l’attenzione sui ‘giusti d’Italia’, cioè sulle innumerevoli persone che, talvolta anche in modo eroico, si sono prodigate durante l’ultimo conflitto mondiale a favore degli ebrei perseguitati. La cerimonia si è svolta in forma solenne nella stupenda sala dei Corazzieri gremita di eminenti personalità e centinaia di studenti che in questi ultimi tempi hanno condotto accurate ricerche sui ‘giusti’ delle loro regioni. Oltre al Capo dello Stato, che ha fatto un importante discorso, erano presenti e hanno parlato anche il vice-premier Francesco Rutelli, i ministri Amato, Fioroni, Melandri, Ferrero, Pecoraro Scanio e il presidente dell’Ucei, Renzo Gattegna. Attraverso i telegiornali della sera è stato commovente seguire mons. Schivo, che era seduto in prima fila, specialmente quando si è alzato e si è diretto verso il presidente Napolitano per ricevere l’onorificenza. Il suo viso di intrepido novantasettenne, investito dai fari della ripresa tv, era divenuto luminoso, quasi trasfigurato, rivelando peraltro i segni di un’intensa commozione. In quei momenti era presente e gioiva tutta Città di Castello, rappresentata dal sindaco Fernanda Cecchini. Nella celebre sala sono risuonate queste parole: ‘Monsignore Beniamino Schivo, sacerdote di elevate qualità umane e civili, nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, in atto le persecuzioni razziali, con eroico coraggio ed encomiabile abnegazione, aiutava una famiglia tedesca di origine ebrea a fuggire da Città di Castello, dove era stata internata, procurandole successivamente nascondigli, cibo e capi di vestiario. Mirabile esempio di coerenza e di rigore morale fondato sui più alti valori cristiani e di solidarietà umana’. Il conferimento della Medaglia d’oro è stato comunque molto più eloquente della motivazione sopra riportata: mons. Schivo infatti si è prodigato sistematicamente per salvare la vita di tutti quei perseguitati, come gli ebrei, che ricorrevano a lui, nascondendoli come poteva, con la rischiosa collaborazione delle Oblate Salesiane e delle Piccole Ancelle del Sacro Cuore. Giustamente pertanto lo Stato d’Israele gli ha concesso la cittadinanza onoraria (29.10.1991), dopo averlo invitato a Gerusalemme (settembre 1986) e aver messo a dimora, nel viale dei Giusti, una pianta con il suo nome. Mons. Schivo è stato poi invitato anche negli Stati Uniti (New York, 1991 e Washington, 1999) per importanti riconoscimenti. La Chiesa di Città di Castello si stringe attorno a questo esimio sacerdote, nato a Gallio (28 giugno 1910), di mente tuttora lucidissima e di straordinaria memoria, equilibrato e pacificatore, aperto alle innovazioni del mondo moderno e al dialogo costruttivo soprattutto con i tanti sacerdoti dal lui formati nel Seminario diocesano, di cui è stato rettore per circa 35 anni. È meritevole di medaglia anche per la sua pastoralità, essendo stato parroco di Belvedere, assistente diocesano per la gioventù femminile di Ac, vicario generale con il vescovo Cicuttini, direttore spirituale delle novizie e tuttora cappellano delle Piccole Ancelle del Sacro Cuore, del cui fondatore ‘ il beato vescovo Carlo Liviero ‘ è stato il massimo studioso, oltre che il postulatore nella causa di beatificazione e il propagatore di notizie con una biografia di straordinario successo.

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Pace: un dovere esigente https://www.lavoce.it/pace-un-dovere-esigente/ Thu, 11 Oct 2007 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=6189 Tante istanze hanno marciato da Perugia ad Assisi, sulle gambe di 200 mila persone. Al centro la richiesta di diritti umani per tutti, con i cattolici che hanno levato alta la loro voce. Mentre san Francesco – era scritto su uno striscione – veniva richiesto come ministro della Difesa e santa Chiara come quella della Famiglia. Il pontefice Benedetto XVI, nel messaggio inviato ai marciatori, ha ricordato che ‘la pace è dono prezioso di Dio e un esigente dovere di ciascuno’, oltre a rinnovare l’appello ‘per una pacifica soluzione dei conflitti delle varie regioni del mondo’. Il Papa ha poi auspicato che ‘l’esempio evangelico di san Francesco susciti nei credenti rinnovata coscienza della preziosa realtà della pace, quale dono di Dio ed esigente dovere di ciascuno’. Si è marciato allora per i diritti dei monaci e del popolo della ex Birmania, per la legalità invocata dai familiari delle vittime della mafia, per un’informazione libera nel nome della giornalista Anna Politkovskaya (c’era anche una delegazione russsa), per aumentare la quota del Pil che il Governo italiano destina alla cooperazione internazionale (tutt’oggi fermo a circa lo 0,2 per cento invece dello 0,7 fissato da oltre un decennio come obbiettivo irrinunciabile) e per la difesa dell’ambiente. In 200 mila – secondo le stime degli organizzatori – hanno marciato domenica da Perugia ad Assisi per chiedere ‘Tutti i diritti umani per tutti’. La Marcia della pace del 7 ottobre ha visto sfilare quest’anno meno bandiere di partiti e di sindacati, meno ‘segni’ di parte, così come era nelle intenzioni del suo ideatore, Aldo Capitini. È stata la marcia degli scout, oltre 7 mila giunti da tutta Italia secondo quanto ha affermato la Tavola della pace, accanto a don Ciotti e ai parenti di alcune vittime della mafia e a 250 volontari della Federazione degli organismi di volontariato cristiano internazionale (Focsiv). Volantini contro lo sfruttamento di un corso d’acqua in Umbria da parte di una multinazionale sono stati distribuiti dal comitato ‘Rio Fergia’. ‘Marciare quest’anno ha avuto un valore eccezionale – ha dichiarato il presidente delle Acli, Andrea Oliviero – perché la testimonianza tragica e insieme luminosa del popolo e dei monaci birmani ci invita a riscoprire una radicalità spirituale che non è intimismo, né rifiuto dell’impegno politico: è anzi la forza di affrontare ogni rischio per la pace’. Per il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, la Marcia della pace è stato ‘un appuntamento di rilievo per tutti coloro che dedicano il proprio impegno all’obiettivo di costruire un futuro di pace e solidarietà’. Scrivendo ai coordinatori della Tavola della pace, Flavio Lotti e Grazia Bellini, Napolitano ha ribadito che il rispetto di ogni persona, senza distinzioni di sesso, razza, religione o opinioni politiche è fra i principi ai quali si ispira l’azione internazionale dell’Italia, ‘conformemente al dettato costituzionale ed alle più nobili tradizioni civili e giuridiche del nostro Paese’. (pa .gio.)Alla veglia, anche don Milani e il TibetSabato sera, nonostante la pioggia, la cattedrale di San Lorenzo era gremita di persone – per lo più scout – venute per partecipare alla veglia ‘Sotto lo stesso cielo’, promossa da Conferenza episcopale umbra, Agesci, Libera International, Pax Christi. Un momento di preghiera, riflessione ed impegno sulla pace e i diritti umani, insieme a letture, profeti e testimoni che illuminano il cammino. La veglia, guidata da don Fabio Corazzina (Pax Christi) e Sabrina De Cianni (Agesci), è stata accompagnata da un coro di scout, ed è stata contraddistinta da gesti, segni e testimonianze. Dopo l’apertura, affidata a un brano della Populorum progressio, mons. Giuseppe Chiaretti, arcivescovo di Perugia e Città della Pieve, nel dare un saluto di benvenuto, ha ricordato la figura di Franco Rasetti, scienziato umbro che rifiutò di lavorare per la costruzione della bomba atomica. Mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi, ha portato il saluto di san Francesco e del Santo Padre, invitando a camminare non solo per le vie del mondo ma anche nel profondo del cuore. Cecilia Dall’Oglio (Focsiv) ha espresso l’attualità della Populorum progessio nel quarantesimo anniversario; Maresco Ballini, uno dei primi allievi di don Milani, ha ricordato l’impegno del priore di Barbiana per garantire a tutti il diritto all’istruzione. Il lama Lobsang Lungrig, monaco tibetano, e Dekyi Dolkar, dell’Associazione donne tibetane, hanno ricordato il dramma della Birmania e del Tibet. Max Bressan e Barbara Cartella, incaricati del settore pace – nonviolenza – solidarietà dell’Agesci, hanno fatto memoria dell’impegno scout della pace e della figura di Robert Baden-Powell. L’invito ad essere responsabili costruttori di pace e custodi dei diritti è stato segnato dallo ‘stand up’ (un gesto di impegno contro la povertà, legato alla campagna degli obiettivi del millenno) e dalla Fiamma dello spirito scout, segno di fraternità e di pace, che è stata accesa in Kenya il 22 febbraio scorso in ricordo del centenario dello scautismo, è giunta in Inghilterra il 31 luglio e infine a Perugia; e infine da un macigno, simbolo dell’oppressione dei diritti, via via frantumato dall’accettazione personale della fatica di questo percorso di liberazione e di pace, segno speranza per le generazioni future. Fra i presenti ricordiamo ancora don Tonio Dell’Olio (Libera International), padre Alex Zanotelli, padre Kizito Sesana, Luisa Morgantini (vicepresidente Parlamento europeo), Dina Tufano (capo guida Agesci), Chiara Sapigni (presidente della Federazione Italiana dello scoutismo), Paola Stroppiana (presidente Agesci).

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Presidente di tutti https://www.lavoce.it/presidente-di-tutti/ Thu, 11 May 2006 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=5141 Il neo presidente della Repubblica, si dice, è tale solo per metà, perché una metà dei votanti sta dalla parte che non l’ha votato. Si dice anche che lui è persona così ricca di esperienza istituzionale, di senso dello Stato e di esperienza politica che sarà certamente il rappresentante di tutti e arbitro imparziale al di sopra delle parti e di ciò saprà convincere i dubbiosi. Intanto si va facendo strada nelle conversazioni, che si protrarranno in questi giorni in tutti gli organi d’informazione, l’idea che la scelta, pur essendo fatta da una parte politica soltanto, è una scelta opportuna trattandosi di un personaggio che gode la stima anche degli oppositori politici (Bondi). Si potrebbe concludere, per mettere il punto e andare a capo, che il metodo nella ricerca di un candidato condiviso è stato sbagliato dal centro sinistra perché ha presentato un solo nome, ma almeno che la persona scelta non è sbagliata a detta di quasi tutti. Sarebbe stato logico ed opportuno che le delegazioni dell’una e dell’altra parte si fossero incontrate in tempo ed avessero concordato la scelta di un personaggio o di una rosa di personaggi da proporre alla votazione di tutti i grandi elettori. Naturalmente molti cattolici avrebbero preferito un diverso personaggio, preferibilmente di fede cattolica e Marco Tarquinio, giornalista umbro che ha percorso i primi passi della professione nella nostra redazione de La Voce, ha lanciato su Avvenire la candidatura di Mario Monti, un economista di grande levatura politica e morale e di prestigio internazionale. Purtroppo, però, la politica è l’arte del possibile e non del perfetto. Ci si deve rassegnare a uomini imperfetti, i quali tuttavia, se sono in buona fede, potranno migliorare anche se stessi a contatto con i problemi e le necessità del Paese di cui sono chiamati ad aver cura, soprattutto coinvolgendosi nelle sofferenze e i lutti della della popolazione. A quanti funerali in questi giorni ha dovuto partecipare il presidente Ciampi! E che spirito di solidarietà e umanità ha dovuto esprimere! Anche la gente, al contatto diretto con il Presidente, ed anche con le altre cariche dello Stato, si affeziona e supera le barriere ideologiche reagendo con simpatia. D’altra parte sul Colle nessuno arriva senza esperienze di partito, tranne alcuni tecnici prestati alla politica, che in certi casi poi divengono più politici dei politici di professione. Sandro Pertini, socialista, è risultato molto popolare al di là del partito di riferimento. Talvolta, come nel caso di Cossiga, il partito di riferimento, la Dc, è divenuto l’oggetto privilegiato delle ‘picconate’. Insomma Presidente di tutti non si nasce, si diventa, si può diventare, se c’è quella stoffa umana che induce a immedesimarsi con il popolo, la sua vita, i suoi problemi. Rimane il fatto che Giorgio Napolitano viene dal Partito comunista, quel partito in cui si sono identificati milioni di italiani e contemporaneamente ha marcato di segni indelebili il pensiero e la vita dei suoi più numerosi oppositori che gli hanno impedito di conquistare il potere. Ora, si dice, i tempi sono cambiati, ma le storie sono ancora confuse e intrecciate. Non è bastato fare mutazioni nominali per rendere chiare le posizioni e le scelte. Per il momento sarà utile tenere salde le istituzioni con i rappresentanti che i percorsi politici di questi anni hanno disegnato per l’Italia e lavorare per la concordia e l’unità nazionale.

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