genitori Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/genitori/ Settimanale di informazione regionale Thu, 22 Apr 2021 11:42:40 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg genitori Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/genitori/ 32 32 Questa settimana su La Voce: la Giornata per la vita, Covid in Umbria, affido https://www.lavoce.it/questa-settimana-su-la-voce-la-giornata-per-la-vita-covid-in-umbria-affido/ Wed, 03 Feb 2021 18:52:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59082

Questo e tanto altro nel numero di questa settimana. Leggilo in edizione digitale.

l'editoriale

Vita e libertà: di che cosa stiamo parlando

di Assuntina Morresi Il messaggio dei vescovi italiani per la Giornata nazionale per la vita di quest’anno affronta il tema della libertà legato alla vita: “La libertà può distruggere se stessa: si può perdere! Una cultura pervasa di diritti individuali assolutizzati rende ciechi e deforma la percezione della realtà, genera egoismi e derive abortive ed eutanasiche, interventi indiscriminati sul corpo umano, sui rapporti sociali e sull’ambiente. Del resto, la libertà del singolo che si ripiega su di sé diventa chiusura e violenza nei confronti dell’altro. …

Focus

Spegnere la tv, aprire la Bibbia

di Vittorio Peri “Spegnete tv e cellulari e aprite la Bibbia”. Questo forte invito è stato fatto nei giorni scorsi da Papa Francesco. Le sue concise parole formano un dittico letterario: spegnere e aprire. Spegnere, per non farci travolgere... (pagina 9)

La riscoperta della famiglia

di Maria Rita Castellani La vera novità di questo nuovo millennio è, e sarà, la scoperta della famiglia naturale, contro ogni fraintendimento e demagogia. Il ritorno di mamma e papà come i soli e veri protagonisti della storia e del benessere delle future generazioni. Temuti più... (pagina 5)

Nel giornale

Libera la vita!

Quest’anno il tema scelto dai Vescovi italiani per la Giornata della vita - il 7 febbraio - è doppiamente impegnativo, chiamando in causa non solo la tutela dell’esistenza nelle sue fasi più deboli, ma anche il senso della libertà. Il che non significa minimamente aprire un dibattito astratto, come dimostrano gli interventi che abbiamo raccolto nelle pagine del giornale: dalla testimonianza di una volontaria del Cav di Perugia a quella di una coppia che si prende cura di bambini nelle situazioni di salute più difficili. Con una riflessione, oltre a quella di Assuntina Morresi qui in prima pagina, di suor Roberta Vinerba, docente di Teologia morale all’Ita-Issra di Assisi. Per i liberi e forti amanti della Vita.

Chiesa e pandemia

Lo sguardo alla vita cristiana e a quella sociale di oggi e di domani, nel documento conclusivo del Consiglio permanente Cei. In difesa delle caregorie più deboli; tra loro anche i giovani, a cui bisogna tornare a dare “spazi”.

Tratta

8 febbraio, Giornata mondiale contro la tratta di esseri umani. Parla suor Carla, la “suora antiracket”

Affido

Presentata alla Camera una proposta di legge-delega sull’affido. Dopo lo “scandalo di Bibbiano” è il mo- mento di fare chiarezza

Covid e scuola

È durato poco, in Umbria, il rientro in classe per le scuole superiori... Colpa di una pandemia che, qui da noi, colpisce più duto che nella maggior parte delle aree d’Italia. Ma chiudere le aule è la soluzione? L’appello di alcune associazioni di genitori alla Regione  ]]>

Questo e tanto altro nel numero di questa settimana. Leggilo in edizione digitale.

l'editoriale

Vita e libertà: di che cosa stiamo parlando

di Assuntina Morresi Il messaggio dei vescovi italiani per la Giornata nazionale per la vita di quest’anno affronta il tema della libertà legato alla vita: “La libertà può distruggere se stessa: si può perdere! Una cultura pervasa di diritti individuali assolutizzati rende ciechi e deforma la percezione della realtà, genera egoismi e derive abortive ed eutanasiche, interventi indiscriminati sul corpo umano, sui rapporti sociali e sull’ambiente. Del resto, la libertà del singolo che si ripiega su di sé diventa chiusura e violenza nei confronti dell’altro. …

Focus

Spegnere la tv, aprire la Bibbia

di Vittorio Peri “Spegnete tv e cellulari e aprite la Bibbia”. Questo forte invito è stato fatto nei giorni scorsi da Papa Francesco. Le sue concise parole formano un dittico letterario: spegnere e aprire. Spegnere, per non farci travolgere... (pagina 9)

La riscoperta della famiglia

di Maria Rita Castellani La vera novità di questo nuovo millennio è, e sarà, la scoperta della famiglia naturale, contro ogni fraintendimento e demagogia. Il ritorno di mamma e papà come i soli e veri protagonisti della storia e del benessere delle future generazioni. Temuti più... (pagina 5)

Nel giornale

Libera la vita!

Quest’anno il tema scelto dai Vescovi italiani per la Giornata della vita - il 7 febbraio - è doppiamente impegnativo, chiamando in causa non solo la tutela dell’esistenza nelle sue fasi più deboli, ma anche il senso della libertà. Il che non significa minimamente aprire un dibattito astratto, come dimostrano gli interventi che abbiamo raccolto nelle pagine del giornale: dalla testimonianza di una volontaria del Cav di Perugia a quella di una coppia che si prende cura di bambini nelle situazioni di salute più difficili. Con una riflessione, oltre a quella di Assuntina Morresi qui in prima pagina, di suor Roberta Vinerba, docente di Teologia morale all’Ita-Issra di Assisi. Per i liberi e forti amanti della Vita.

Chiesa e pandemia

Lo sguardo alla vita cristiana e a quella sociale di oggi e di domani, nel documento conclusivo del Consiglio permanente Cei. In difesa delle caregorie più deboli; tra loro anche i giovani, a cui bisogna tornare a dare “spazi”.

Tratta

8 febbraio, Giornata mondiale contro la tratta di esseri umani. Parla suor Carla, la “suora antiracket”

Affido

Presentata alla Camera una proposta di legge-delega sull’affido. Dopo lo “scandalo di Bibbiano” è il mo- mento di fare chiarezza

Covid e scuola

È durato poco, in Umbria, il rientro in classe per le scuole superiori... Colpa di una pandemia che, qui da noi, colpisce più duto che nella maggior parte delle aree d’Italia. Ma chiudere le aule è la soluzione? L’appello di alcune associazioni di genitori alla Regione  ]]>
Covid19 Fase2. I genitori tornano al lavoro. Ma i figli? https://www.lavoce.it/covid19-fase2-i-genitori-tornano-al-lavoro-ma-i-figli/ Tue, 12 May 2020 07:20:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57073

Le famiglie in allarme per le scuole chiuse La fase due della crisi legata al coronavirus è iniziata e sta mettendo in difficoltà tantissime famiglie con bambini. Con asili e scuole chiuse fino a settembre, senza centri estivi e senza poter contare sul supporto dei nonni, cresce la preoccupazione dei genitori che tornano a lavorare fuori casa. Dal 4 maggio, secondo i dati dell’indagine di Yoopies, nel 53% dei nuclei familiari intervistati, entrambi i genitori sono tornati al lavoro.

Come si sono organizzate le famiglie umbre in quarantena e come gestiranno questa fase due?

La storia di Diego, papà di Noemi

“Finché i bambini vanno al nido si è abituati alle influenze stagionali che ti costringono a cambiare i piani - spiega Diego papà di Noemi (1 anno) -, però in questo periodo la difficoltà maggiore è stata la durata del lockdown. All’inizio è stato quasi impossibile lavorare, con tutte le conseguenze economiche del caso, ma poi siamo riusciti ad attivare lo smart working, anche se per poche ore al giorno, cercando al contempo di rispettare una routine molto rigida per gli orari della piccola. I nonni sono rimasti dietro lo schermo del telefono. Attendiamo fiduciosi nuove disposizioni del Governo per la fascia 0-6 anni - sottolinea Diego -, sperando di poter organizzare una vera ripartenza per i nostri lavori visto che dobbiamo far fronte ad affitto, spesa e bollette (che sono aumentate stando più tempo in casa)”.

La storia di Martina, mamma di Sara

Martina, impiegata nei servizi essenziali, ha sempre lavorato per tutta l’emergenza anche a ritmi più sostenuti del normale. Suo marito, all’inizio di una nuova attività imprenditoriale, ha dovuto chiudere l’azienda per 3 settimane. “Le difficoltà economiche si sono fatte sentire, anche se per fortuna abbiamo potuto contare sul mio stipendio fisso”, racconta Martina - però la gestione di Sara (3 anni) è stata più difficile del solito. Senza scuola e nonni ci siamo trovati a dover contare sugli zii che vivono accanto a noi, rimasti a casa perché senza lavoro o in smart working. Il problema si pone per la fase due perché anche loro hanno ripreso a lavorare. Con grande preoccupazione siamo costretti a chiedere aiuto ai nonni sapendo che per loro è un grande rischio ma soprattutto un grande sforzo. Con la scuola chiusa da marzo fino a settembre, dobbiamo chiedergli di occuparsi della bambina molto più di quanto avrebbero fatto in una stagione estiva normale. Se il Governo decidesse di riaprire i nidi per l’estate, con tutte le precauzioni del caso - continua Martina -, usufruirei sicuramente del servizio”.

Storia di genitori separati

I problemi sono gli stessi un po’ per tutte le famiglie anche se poi ci sono quelle che vivevano già delle difficoltà, come la separazione dei genitori. “Durante il lockdown - spiega Gabriele - abbiamo mantenuto ciascuno i propri giorni e quindi ho gestito i figli alternativamente 3 o 4 giorni a settimana. Sia io che la madre abbiamo lavorato in smart working e, con i bambini impegnati nelle lezioni a distanza, abbiamo dovuto recuperare o comprare pc e tablet per permettere a tre persone (in entrambe le case) di connettersi contemporaneamente. Lavorare 8 ore e stare dietro a compiti e lezioni dei figli non è stato semplice. Con la fine del lockdown - racconta ancora Gabriele -, abbiamo iniziato a pensare a diverse soluzioni perché organizzarsi per lavorare nei giorni in cui i figli stanno con l’altro genitore non è sufficiente. Ci stiamo attivando per le baby sitter, e chiederemo il bonus per non gravare ulteriormente sulle nostre finanze. Con la retribuzione al 50%, nessuno dei due ha preso in considerazione di chiedere il congedo parentale che per la mamma sarebbe stato anche possibile causa di licenziamento”. Il segretario dell’Onu, Antonio Guterres, è stato il primo a lanciare l’allarme che la crisi economica generata dal coronavirus, avrebbe compromesso soprattutto i lavoro delle donne e mamme. Ma rassicura Gabriele “nel nostro caso non c’è stato il problema della parità di genere: seppur separati, ci siamo divisi nella gestione dei figli al 50%. Fino a maggio, per fortuna, la mamma continuerà a lavorare in smart working mentre io tornerò in ufficio. La nostra situazione - conclude - si complicherà dopo il 18 maggio ma soprattutto da giugno”. Annalisa Marzano]]>

Le famiglie in allarme per le scuole chiuse La fase due della crisi legata al coronavirus è iniziata e sta mettendo in difficoltà tantissime famiglie con bambini. Con asili e scuole chiuse fino a settembre, senza centri estivi e senza poter contare sul supporto dei nonni, cresce la preoccupazione dei genitori che tornano a lavorare fuori casa. Dal 4 maggio, secondo i dati dell’indagine di Yoopies, nel 53% dei nuclei familiari intervistati, entrambi i genitori sono tornati al lavoro.

Come si sono organizzate le famiglie umbre in quarantena e come gestiranno questa fase due?

La storia di Diego, papà di Noemi

“Finché i bambini vanno al nido si è abituati alle influenze stagionali che ti costringono a cambiare i piani - spiega Diego papà di Noemi (1 anno) -, però in questo periodo la difficoltà maggiore è stata la durata del lockdown. All’inizio è stato quasi impossibile lavorare, con tutte le conseguenze economiche del caso, ma poi siamo riusciti ad attivare lo smart working, anche se per poche ore al giorno, cercando al contempo di rispettare una routine molto rigida per gli orari della piccola. I nonni sono rimasti dietro lo schermo del telefono. Attendiamo fiduciosi nuove disposizioni del Governo per la fascia 0-6 anni - sottolinea Diego -, sperando di poter organizzare una vera ripartenza per i nostri lavori visto che dobbiamo far fronte ad affitto, spesa e bollette (che sono aumentate stando più tempo in casa)”.

La storia di Martina, mamma di Sara

Martina, impiegata nei servizi essenziali, ha sempre lavorato per tutta l’emergenza anche a ritmi più sostenuti del normale. Suo marito, all’inizio di una nuova attività imprenditoriale, ha dovuto chiudere l’azienda per 3 settimane. “Le difficoltà economiche si sono fatte sentire, anche se per fortuna abbiamo potuto contare sul mio stipendio fisso”, racconta Martina - però la gestione di Sara (3 anni) è stata più difficile del solito. Senza scuola e nonni ci siamo trovati a dover contare sugli zii che vivono accanto a noi, rimasti a casa perché senza lavoro o in smart working. Il problema si pone per la fase due perché anche loro hanno ripreso a lavorare. Con grande preoccupazione siamo costretti a chiedere aiuto ai nonni sapendo che per loro è un grande rischio ma soprattutto un grande sforzo. Con la scuola chiusa da marzo fino a settembre, dobbiamo chiedergli di occuparsi della bambina molto più di quanto avrebbero fatto in una stagione estiva normale. Se il Governo decidesse di riaprire i nidi per l’estate, con tutte le precauzioni del caso - continua Martina -, usufruirei sicuramente del servizio”.

Storia di genitori separati

I problemi sono gli stessi un po’ per tutte le famiglie anche se poi ci sono quelle che vivevano già delle difficoltà, come la separazione dei genitori. “Durante il lockdown - spiega Gabriele - abbiamo mantenuto ciascuno i propri giorni e quindi ho gestito i figli alternativamente 3 o 4 giorni a settimana. Sia io che la madre abbiamo lavorato in smart working e, con i bambini impegnati nelle lezioni a distanza, abbiamo dovuto recuperare o comprare pc e tablet per permettere a tre persone (in entrambe le case) di connettersi contemporaneamente. Lavorare 8 ore e stare dietro a compiti e lezioni dei figli non è stato semplice. Con la fine del lockdown - racconta ancora Gabriele -, abbiamo iniziato a pensare a diverse soluzioni perché organizzarsi per lavorare nei giorni in cui i figli stanno con l’altro genitore non è sufficiente. Ci stiamo attivando per le baby sitter, e chiederemo il bonus per non gravare ulteriormente sulle nostre finanze. Con la retribuzione al 50%, nessuno dei due ha preso in considerazione di chiedere il congedo parentale che per la mamma sarebbe stato anche possibile causa di licenziamento”. Il segretario dell’Onu, Antonio Guterres, è stato il primo a lanciare l’allarme che la crisi economica generata dal coronavirus, avrebbe compromesso soprattutto i lavoro delle donne e mamme. Ma rassicura Gabriele “nel nostro caso non c’è stato il problema della parità di genere: seppur separati, ci siamo divisi nella gestione dei figli al 50%. Fino a maggio, per fortuna, la mamma continuerà a lavorare in smart working mentre io tornerò in ufficio. La nostra situazione - conclude - si complicherà dopo il 18 maggio ma soprattutto da giugno”. Annalisa Marzano]]>
Anziché responsabilità, scaricabarile e… botte https://www.lavoce.it/responsabilita-scaricabarile/ Fri, 31 Jan 2020 12:44:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56176 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Ci sono parole che non sento più pronunciare. O sento citare a sproposito. Una di queste è “responsabilità”.

Concetto dal sapore quasi arcaico, ormai frantumato, polverizzato, nelle pieghe di una società sempre meno incline ad assumersi pesi e impegni, propensa casomai ad attribuire ad altri la responsabilità di comportamenti o atteggiamenti per i quali si debba pagare un qualunque dazio. Ho fatto questa riflessione dopo aver registrato l’ennesimo fatto di cronaca con protagoniste in negativo maestre che all’asilo avrebbero maltrattato, insultato e addirittura picchiato dei bambini.

Ma succede anche che genitori facciano irruzione a scuola per aggredire maestri o professori che hanno ‘osato’ mettere un brutto voto, o semplicemente richiamare all’ordine i loro figli. La maestra che alza la voce, o le mani, su un bimbo, in pratica rifiuta la fatica e la responsabilità di essere, per il tempo che lo ha in carico, la sua ‘seconda mamma’.

Il padre, o la madre, che insulta un professore perché ha valutato negativamente il proprio figlio, trasferisce su altri la responsabilità di non aver seguito con la necessaria attenzione il percorso scolastico del suo ragazzo. È uno scaricabarile continuo, dettato forse dal narcisismo imperante dei tempi attuali, dove tutti, almeno sui social, si sentono - e vogliono apparire - perfetti e irreprensibili. Ma anche, il più possibile, liberi da gravami e felicemente irresponsabili.

]]>
lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Ci sono parole che non sento più pronunciare. O sento citare a sproposito. Una di queste è “responsabilità”.

Concetto dal sapore quasi arcaico, ormai frantumato, polverizzato, nelle pieghe di una società sempre meno incline ad assumersi pesi e impegni, propensa casomai ad attribuire ad altri la responsabilità di comportamenti o atteggiamenti per i quali si debba pagare un qualunque dazio. Ho fatto questa riflessione dopo aver registrato l’ennesimo fatto di cronaca con protagoniste in negativo maestre che all’asilo avrebbero maltrattato, insultato e addirittura picchiato dei bambini.

Ma succede anche che genitori facciano irruzione a scuola per aggredire maestri o professori che hanno ‘osato’ mettere un brutto voto, o semplicemente richiamare all’ordine i loro figli. La maestra che alza la voce, o le mani, su un bimbo, in pratica rifiuta la fatica e la responsabilità di essere, per il tempo che lo ha in carico, la sua ‘seconda mamma’.

Il padre, o la madre, che insulta un professore perché ha valutato negativamente il proprio figlio, trasferisce su altri la responsabilità di non aver seguito con la necessaria attenzione il percorso scolastico del suo ragazzo. È uno scaricabarile continuo, dettato forse dal narcisismo imperante dei tempi attuali, dove tutti, almeno sui social, si sentono - e vogliono apparire - perfetti e irreprensibili. Ma anche, il più possibile, liberi da gravami e felicemente irresponsabili.

]]>
Il prof. Nembrini a Perugia. Pinocchio, modello del metodo educativo https://www.lavoce.it/nembrini2019/ Thu, 28 Nov 2019 15:10:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55752 nembrini

Sabato 23 novembre, nell'Auditorium della Figc di Perugia, si è svolto un affollatissimo incontro con Franco Nembrini, insegnante, educatore, autore di seguitissime trasmissioni televisive dedicate alla Divina Commedia di Dante, dal 2018 membro del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita. Tema:  “La storia di Pinocchio, modello e paradigma del metodo educativo”.  L’iniziativa è stata introdotta dal saluto di don Calogero Di Leo, direttore dell’Ufficio Catechistico della Diocesi, che l’ha promossa insieme  agli Uffici di Pastorale Familiare e per l’Educazione e la Scuola e in collaborazione con il Centro Culturale Maestà delle Volte.

La passione per la letteratura e come trasmetterla

Nembrini ha raccontato l’origine della sua passione per la letteratura. A undici anni d’estate andò a lavorare lontano da casa: una notte, mentre trasportava le cassette di merci giù per le scale del magazzino e piangeva desolato, gli tornarono in mente i versi che Dante mette in bocca a Cacciaguida come profezia dell’esilio: "Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale" (Paradiso 17, 59-60). “Fui folgorato e piansi di commozione. Tante volte avevo provato  a raccontare a casa il disagio e la fatica, senza trovare mai le parole. Ed ecco che Dante parlava di me! Ho scoperto allora che cos’è l’interesse (‘essere dentro’): Dante parla a me. Quel giorno è cominciato un dialogo con la letteratura che non si è più fermato.”   Da insegnante, inviterà da subito i suoi studenti a questa avventura, leggendo loro ciò che Machiavelli racconta per lettera a Francesco Vettori: dopo una giornata passata in mezzo a cose e compagnie che lo hanno solo svilito, la sera torna a casa, si toglie le vesti piene di fango e, indossati  “panni reali e curiali” (con il cuore in mano, consapevole della grandezza del proprio desiderio), rivolge le sue domande ai grandi (“entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro”). L’insegnante è colui che aiuta gli alunni a chiarire le loro domande e li accompagna  a interloquire con i grandi, come lui stesso ha fatto per sé. 

L'educazione

L’educazione non è un travaso di cose dalla testa dell’adulto nella testa vuota di un ragazzo.  E’ invece un dinamismo assicurato dalla natura stessa. Non bisogna “preoccuparsi  di educare.” La scienza dice che un bambino, se ha vissuto per nove mesi nella pancia di una donna contenta, verrà al mondo con un sentimento della vita bello e grande; se invece la madre è sempre arrabbiata o addirittura ostile, farà più fatica. Compito di adulto dunque è vivere alla grande, perché i figli si auto-educano: alla nascita Dio garantisce a ciascuno l’anima, o (per dirla con Dante) il desiderio, quella tensione inevitabile e indistruttibile al bene, alla felicità, al compimento di sé, che alzando gli occhi e guardando il cielo ci fa domandare: cos’è questa nostalgia davanti alle stelle, al tramonto, alla donna?  chi ha fatto tutto questo per me? Dio fa così ogni mattina e il cuore di ogni uomo è capace di riconoscerlo. L’educazione può solo ripartire da qui. L’educazione è una comunicazione di sé che avviene vivendo. Educhiamo anche se non vogliamo: per il fatto stesso che un adulto vive, trasmette anche un certo sentimento della vita. I figli ci guardano: ma cosa vedono? Cosa fanno davvero, quando mandano tutto e tutti a quel paese? Non sono cattivi, ma ci stanno disperatamente chiedendo: papà, dammi una ragione per cui io possa seguirti! La risposta più bella e vera di un genitore si trova nel Deuteronomio (6, 20-24).  Io e la mamma seguiamo queste norme per essere felici come appunto siamo oggi. Ai figli non interessa che i genitori siano bravi o perfetti, ma che siano veri, lanciati in corsa, entusiasti perché c’è tanto bene da guardare, tanto bene da fare, tanto da perdonare. Si chiama testimonianza, o contagio, o incarnazione. Della felicità non si può parlare: o sei felice tu, o non serve. I figli hanno bisogno di incontrare qualcuno che stia davanti alla vita così.

Pinocchio

Venendo a Pinocchio, Nembrini  ricorda che la sua lettura è nata da uno sviluppo dell’intuizione del libro di Giacomo Biffi Contro maestro Ciliegia. Commento teologico a ‘Le avventura di Pinocchio’ (1977). Collodi, ateo dichiarato, provò a scrivere un libro per bambini. Dovendo trovare una lingua adatta, ripescò quella di sua madre che, religiosissima, gli parlava con un linguaggio cristiano. Così, senza saperlo, senza mai usare parole religiose, ha dipinto la vicenda umana secondo la dottrina della Chiesa. Una storia che comincia con un padre che da un nulla tira fuori un figlio, il quale subito si ribella, se ne va da casa e muore, ma alla fine per l’intervento di una donna compie il suo destino e diventa vero figlio di suo padre: è la storia della salvezza. Qualche esempio. L’inizio della storia corregge il classico incipit delle favole: “C’era una volta… Un re?… No, un pezzo di legno”. Collodi sembra dire: ontologicamente all’inizio c’è Dio, ma cosa accade esistenzialmente? Nascendo, l’uomo non ha il problema di Dio: apre gli occhi ed è proteso alla sazietà, al compimento, alla felicità. All’inizio si tratta del seno della madre, del latte, poi dei biscotti…  Via via tende sempre a un nuovo oggetto, lo afferra e in quell’afferrarlo si accorge che il desiderio è più grande,  e procede  di oggetto in oggetto, fino a capire che l’unico oggetto adeguato al desiderio del cuore è l’infinito, l’eterno, e allora si avventura alla ricerca di Dio. Tutto si decide nel modo in cui stiamo di fronte alla vita. Collodi, prima di introdurre Geppetto, inventa un personaggio che è sconfitto dal suo rapporto con la realtà: Maestro Ciliegia.  Vuole dirci che ci sono due possibili partenze: o con Maestro Ciliegia (che non accetta che quel pezzo di legno non sia niente di più, e allora la paura vince: il razionalismo moderno), oppure con Geppetto il falegname, che guarda le cose con meraviglia  (“voglio un pezzo di legno per farne un burattino meraviglioso!”). E’ quanto dice Dio dell’uomo che trae dalla materia. Ma il burattino non è ancora finito che già manca di rispetto a Geppetto: “Birba di un figliuolo! Ma oramai è tardi, dovevo pensarci prima.” Dio fa l’uomo, che subito lo tradisce: poteva benissimo rifarlo da capo, invece lo ama (“ti amerò di un amore eterno”). E’ la fedeltà di Dio, che piange (come Geppetto) avendo già nella coda dell’occhio il Calvario, poiché questa fedeltà gli costerà il Figlio. Potessimo avere questa coscienza al mattino, davanti a un figlio: è troppo grande quello che ho davanti, non si può tornare indietro. Una fedeltà che sa della croce: sentire i figli degni di sacrificio. Ma oggi i figli non li ama nessuno, non li perdona nessuno: c’è l’orfanezza di cui parla papa Francesco. Pinocchio riesce a liberarsi del padre (“come sarei più libero senza quei rompiscatole  di papà e mamma!”).  Si chiude a casa e dice “Finalmente libero!” E’ il grido della filosofia moderna: siamo finalmente usciti dallo stato di minorità, non dipendiamo più da nessuno. Pinocchio, che pensa di esser più libero perché ha eliminato ogni appartenenza, si ritrova con la natura che diventa cattiva e con una fame tremenda. Non trova nulla da mangiare. Ha gran paura dei tuoni, ma la fame è più grande, e le tenta tutte (non si educa con la paura - perché ai figli non importa nemmeno di morire - ma con una proposta, perché c’è qualcosa di più grande e bello da vedere). Pinocchio esce di casa, ed ecco la descrizione del mondo adulto come lo sentono i giovani. Va in paese, cioè nella comunità, nel mondo degli adulti. Trova tutto buio, deserto:  chiuse le  botteghe (i luoghi che dovrebbero dargli da mangiare, la scuola, la famiglia, forse la chiesa), chiuse le porte delle case. “Pareva il paese dei morti.” Allora torna a casa. Nemica la realtà, nemici  gli altri; alla fine, nemico di se stesso, mette i piedi sul focolare pieno di brace e si addormenta. I nostri ragazzi bruciano e intanto dormono, pensano in sogno di fare chissà ché ma nella realtà si consumano per niente.  Chi li sveglierà?  “Sul far del giorno (all’alba del terzo giorno) si svegliò perché qualcuno aveva bussato alla porta.” E’ Geppetto, un adulto che lo va a cercare. Pinocchio lo riconosce, vorrebbe volare in braccio a suo padre, ma non può perché ha i piedi bruciati. Ecco la situazione di stallo educativo. Apri la porta! Ma la porta non si apre. A chi tocca la prima mossa? A Pinocchio senza piedi? No, all’adulto. Geppetto si arrampica e entra dalla finestra. L’adulto è colui che per ognuno dei figli, o degli alunni, si inventa la strada per raggiungerlo, la finestra per arrivare a lui, e non molla finché non la trova.  Pinocchio alla fine è diventato un asino. Nel circo si rompe una zampa e capisce che morirà (hai davanti  tuo figlio che è diventato una bestia). Al circo tutti applaudiscono (il contesto non aiuta i ragazzi: più ne combinano, più gli si dice che sono bravi). Pinocchio alza ancora una volta il capo e guarda in alto, vede la fatina con il suo ritratto al collo, si mette a chiamarla ma dalla bocca esce solo un raglio. Il figlio ti raglia contro, ma l’educatore non si ferma al raglio: sa, crede,  scommette sul fatto che con quel raglio il figlio stia gridando ‘fatina mia!’. Si chiama misericordia. L’educatore dà la vita per l’altro prima ancora che l’altro cambi. Il perdono non è la gentile concessione dell’adulto, perché a perdonare “settanta volte sette” non ce la fa nessuno, nemmeno la mamma più amorevole: è un perdono che precede, è amore. “Padre, perdona loro che non sanno quello che fanno, ma io so che il loro cuore cerca te.” San Giovanni Bosco andava in giro per le strade con le tasche piene di caramelle, incontrava i ragazzi - corrotti, mafiosi, lussuriosi – e trapassava il loro raglio (“qualcuno mi voglia bene, qualcuno mi perdoni”).

Il finale

Geppetto è il papà. Il pescecane è il male, che prende e imprigiona. Pinocchio in fondo al pesce vede il papà. Si rovesciano i ruoli: si diventa figli dei propri figli (Vergine madre, figlia del tuo figlio). Pinocchio vuole fuggire (si può far della vita una cosa grande). E invece Geppetto: “Illusioni,  ragazzo mio…(pensa a studiare…) Ti pare possibile che un burattino come te… (hai solo 15 anni e vuoi insegnarmi qualcosa?)”. Ma Pinocchio gli risponde: Proviamo e vedrai , vieni dietro a me e non aver paura. Pinocchio fa luce a suo padre, finché arrivano alla bocca del pescecane. Affacciandosi e guardando in alto, Pinocchio scorge un cielo stellato e una splendida luna (Uscimmo fuori a riveder le stelle). Preso in braccio il padre, va verso il mare, l’infinito per cui entrambi sono fatti.  Un augurio ha concluso l’incontro: che i nostro figli, perdonati a sufficienza, divengano nostri maestri, degni del nostro sacrificio. Che diventino così grandi da poterli seguire.

Alessandra Di Pilla

]]>
nembrini

Sabato 23 novembre, nell'Auditorium della Figc di Perugia, si è svolto un affollatissimo incontro con Franco Nembrini, insegnante, educatore, autore di seguitissime trasmissioni televisive dedicate alla Divina Commedia di Dante, dal 2018 membro del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita. Tema:  “La storia di Pinocchio, modello e paradigma del metodo educativo”.  L’iniziativa è stata introdotta dal saluto di don Calogero Di Leo, direttore dell’Ufficio Catechistico della Diocesi, che l’ha promossa insieme  agli Uffici di Pastorale Familiare e per l’Educazione e la Scuola e in collaborazione con il Centro Culturale Maestà delle Volte.

La passione per la letteratura e come trasmetterla

Nembrini ha raccontato l’origine della sua passione per la letteratura. A undici anni d’estate andò a lavorare lontano da casa: una notte, mentre trasportava le cassette di merci giù per le scale del magazzino e piangeva desolato, gli tornarono in mente i versi che Dante mette in bocca a Cacciaguida come profezia dell’esilio: "Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale" (Paradiso 17, 59-60). “Fui folgorato e piansi di commozione. Tante volte avevo provato  a raccontare a casa il disagio e la fatica, senza trovare mai le parole. Ed ecco che Dante parlava di me! Ho scoperto allora che cos’è l’interesse (‘essere dentro’): Dante parla a me. Quel giorno è cominciato un dialogo con la letteratura che non si è più fermato.”   Da insegnante, inviterà da subito i suoi studenti a questa avventura, leggendo loro ciò che Machiavelli racconta per lettera a Francesco Vettori: dopo una giornata passata in mezzo a cose e compagnie che lo hanno solo svilito, la sera torna a casa, si toglie le vesti piene di fango e, indossati  “panni reali e curiali” (con il cuore in mano, consapevole della grandezza del proprio desiderio), rivolge le sue domande ai grandi (“entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro”). L’insegnante è colui che aiuta gli alunni a chiarire le loro domande e li accompagna  a interloquire con i grandi, come lui stesso ha fatto per sé. 

L'educazione

L’educazione non è un travaso di cose dalla testa dell’adulto nella testa vuota di un ragazzo.  E’ invece un dinamismo assicurato dalla natura stessa. Non bisogna “preoccuparsi  di educare.” La scienza dice che un bambino, se ha vissuto per nove mesi nella pancia di una donna contenta, verrà al mondo con un sentimento della vita bello e grande; se invece la madre è sempre arrabbiata o addirittura ostile, farà più fatica. Compito di adulto dunque è vivere alla grande, perché i figli si auto-educano: alla nascita Dio garantisce a ciascuno l’anima, o (per dirla con Dante) il desiderio, quella tensione inevitabile e indistruttibile al bene, alla felicità, al compimento di sé, che alzando gli occhi e guardando il cielo ci fa domandare: cos’è questa nostalgia davanti alle stelle, al tramonto, alla donna?  chi ha fatto tutto questo per me? Dio fa così ogni mattina e il cuore di ogni uomo è capace di riconoscerlo. L’educazione può solo ripartire da qui. L’educazione è una comunicazione di sé che avviene vivendo. Educhiamo anche se non vogliamo: per il fatto stesso che un adulto vive, trasmette anche un certo sentimento della vita. I figli ci guardano: ma cosa vedono? Cosa fanno davvero, quando mandano tutto e tutti a quel paese? Non sono cattivi, ma ci stanno disperatamente chiedendo: papà, dammi una ragione per cui io possa seguirti! La risposta più bella e vera di un genitore si trova nel Deuteronomio (6, 20-24).  Io e la mamma seguiamo queste norme per essere felici come appunto siamo oggi. Ai figli non interessa che i genitori siano bravi o perfetti, ma che siano veri, lanciati in corsa, entusiasti perché c’è tanto bene da guardare, tanto bene da fare, tanto da perdonare. Si chiama testimonianza, o contagio, o incarnazione. Della felicità non si può parlare: o sei felice tu, o non serve. I figli hanno bisogno di incontrare qualcuno che stia davanti alla vita così.

Pinocchio

Venendo a Pinocchio, Nembrini  ricorda che la sua lettura è nata da uno sviluppo dell’intuizione del libro di Giacomo Biffi Contro maestro Ciliegia. Commento teologico a ‘Le avventura di Pinocchio’ (1977). Collodi, ateo dichiarato, provò a scrivere un libro per bambini. Dovendo trovare una lingua adatta, ripescò quella di sua madre che, religiosissima, gli parlava con un linguaggio cristiano. Così, senza saperlo, senza mai usare parole religiose, ha dipinto la vicenda umana secondo la dottrina della Chiesa. Una storia che comincia con un padre che da un nulla tira fuori un figlio, il quale subito si ribella, se ne va da casa e muore, ma alla fine per l’intervento di una donna compie il suo destino e diventa vero figlio di suo padre: è la storia della salvezza. Qualche esempio. L’inizio della storia corregge il classico incipit delle favole: “C’era una volta… Un re?… No, un pezzo di legno”. Collodi sembra dire: ontologicamente all’inizio c’è Dio, ma cosa accade esistenzialmente? Nascendo, l’uomo non ha il problema di Dio: apre gli occhi ed è proteso alla sazietà, al compimento, alla felicità. All’inizio si tratta del seno della madre, del latte, poi dei biscotti…  Via via tende sempre a un nuovo oggetto, lo afferra e in quell’afferrarlo si accorge che il desiderio è più grande,  e procede  di oggetto in oggetto, fino a capire che l’unico oggetto adeguato al desiderio del cuore è l’infinito, l’eterno, e allora si avventura alla ricerca di Dio. Tutto si decide nel modo in cui stiamo di fronte alla vita. Collodi, prima di introdurre Geppetto, inventa un personaggio che è sconfitto dal suo rapporto con la realtà: Maestro Ciliegia.  Vuole dirci che ci sono due possibili partenze: o con Maestro Ciliegia (che non accetta che quel pezzo di legno non sia niente di più, e allora la paura vince: il razionalismo moderno), oppure con Geppetto il falegname, che guarda le cose con meraviglia  (“voglio un pezzo di legno per farne un burattino meraviglioso!”). E’ quanto dice Dio dell’uomo che trae dalla materia. Ma il burattino non è ancora finito che già manca di rispetto a Geppetto: “Birba di un figliuolo! Ma oramai è tardi, dovevo pensarci prima.” Dio fa l’uomo, che subito lo tradisce: poteva benissimo rifarlo da capo, invece lo ama (“ti amerò di un amore eterno”). E’ la fedeltà di Dio, che piange (come Geppetto) avendo già nella coda dell’occhio il Calvario, poiché questa fedeltà gli costerà il Figlio. Potessimo avere questa coscienza al mattino, davanti a un figlio: è troppo grande quello che ho davanti, non si può tornare indietro. Una fedeltà che sa della croce: sentire i figli degni di sacrificio. Ma oggi i figli non li ama nessuno, non li perdona nessuno: c’è l’orfanezza di cui parla papa Francesco. Pinocchio riesce a liberarsi del padre (“come sarei più libero senza quei rompiscatole  di papà e mamma!”).  Si chiude a casa e dice “Finalmente libero!” E’ il grido della filosofia moderna: siamo finalmente usciti dallo stato di minorità, non dipendiamo più da nessuno. Pinocchio, che pensa di esser più libero perché ha eliminato ogni appartenenza, si ritrova con la natura che diventa cattiva e con una fame tremenda. Non trova nulla da mangiare. Ha gran paura dei tuoni, ma la fame è più grande, e le tenta tutte (non si educa con la paura - perché ai figli non importa nemmeno di morire - ma con una proposta, perché c’è qualcosa di più grande e bello da vedere). Pinocchio esce di casa, ed ecco la descrizione del mondo adulto come lo sentono i giovani. Va in paese, cioè nella comunità, nel mondo degli adulti. Trova tutto buio, deserto:  chiuse le  botteghe (i luoghi che dovrebbero dargli da mangiare, la scuola, la famiglia, forse la chiesa), chiuse le porte delle case. “Pareva il paese dei morti.” Allora torna a casa. Nemica la realtà, nemici  gli altri; alla fine, nemico di se stesso, mette i piedi sul focolare pieno di brace e si addormenta. I nostri ragazzi bruciano e intanto dormono, pensano in sogno di fare chissà ché ma nella realtà si consumano per niente.  Chi li sveglierà?  “Sul far del giorno (all’alba del terzo giorno) si svegliò perché qualcuno aveva bussato alla porta.” E’ Geppetto, un adulto che lo va a cercare. Pinocchio lo riconosce, vorrebbe volare in braccio a suo padre, ma non può perché ha i piedi bruciati. Ecco la situazione di stallo educativo. Apri la porta! Ma la porta non si apre. A chi tocca la prima mossa? A Pinocchio senza piedi? No, all’adulto. Geppetto si arrampica e entra dalla finestra. L’adulto è colui che per ognuno dei figli, o degli alunni, si inventa la strada per raggiungerlo, la finestra per arrivare a lui, e non molla finché non la trova.  Pinocchio alla fine è diventato un asino. Nel circo si rompe una zampa e capisce che morirà (hai davanti  tuo figlio che è diventato una bestia). Al circo tutti applaudiscono (il contesto non aiuta i ragazzi: più ne combinano, più gli si dice che sono bravi). Pinocchio alza ancora una volta il capo e guarda in alto, vede la fatina con il suo ritratto al collo, si mette a chiamarla ma dalla bocca esce solo un raglio. Il figlio ti raglia contro, ma l’educatore non si ferma al raglio: sa, crede,  scommette sul fatto che con quel raglio il figlio stia gridando ‘fatina mia!’. Si chiama misericordia. L’educatore dà la vita per l’altro prima ancora che l’altro cambi. Il perdono non è la gentile concessione dell’adulto, perché a perdonare “settanta volte sette” non ce la fa nessuno, nemmeno la mamma più amorevole: è un perdono che precede, è amore. “Padre, perdona loro che non sanno quello che fanno, ma io so che il loro cuore cerca te.” San Giovanni Bosco andava in giro per le strade con le tasche piene di caramelle, incontrava i ragazzi - corrotti, mafiosi, lussuriosi – e trapassava il loro raglio (“qualcuno mi voglia bene, qualcuno mi perdoni”).

Il finale

Geppetto è il papà. Il pescecane è il male, che prende e imprigiona. Pinocchio in fondo al pesce vede il papà. Si rovesciano i ruoli: si diventa figli dei propri figli (Vergine madre, figlia del tuo figlio). Pinocchio vuole fuggire (si può far della vita una cosa grande). E invece Geppetto: “Illusioni,  ragazzo mio…(pensa a studiare…) Ti pare possibile che un burattino come te… (hai solo 15 anni e vuoi insegnarmi qualcosa?)”. Ma Pinocchio gli risponde: Proviamo e vedrai , vieni dietro a me e non aver paura. Pinocchio fa luce a suo padre, finché arrivano alla bocca del pescecane. Affacciandosi e guardando in alto, Pinocchio scorge un cielo stellato e una splendida luna (Uscimmo fuori a riveder le stelle). Preso in braccio il padre, va verso il mare, l’infinito per cui entrambi sono fatti.  Un augurio ha concluso l’incontro: che i nostro figli, perdonati a sufficienza, divengano nostri maestri, degni del nostro sacrificio. Che diventino così grandi da poterli seguire.

Alessandra Di Pilla

]]>
La scuola vera, quella che aiuta a vivere e a crescere https://www.lavoce.it/scuola-vera-aiuta-crescere/ Fri, 22 Nov 2019 10:34:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55823 scuola

In questo periodo molte famiglie iniziano a vivere un momento importante, spesso accompagnato da incertezze e preoccupazioni: la scelta della scuola secondaria di primo e secondo grado. A riguardo ci è sembrato opportuno condividere un’esperienza che racconta il nostro territorio, ma che dice molto anche del nostro Paese.

La nostra famiglia si è trasferita anni fa (era il 2005) e quasi per caso a Ponte San Giovanni, uno dei quartieri più popolosi di Perugia. Avevamo allora due bambini, che iniziarono uno dopo l’altro a frequentare prima un asilo nido davvero funzionale, e poi un’altrettanto valida scuola per l’infanzia.

Anche la scuola primaria fu per entrambi una bella esperienza.

Al momento del passaggio del primo figlio alla scuola secondaria, ci trovammo però di fronte a una situazione imprevista, che pure avevamo già iniziato a percepire: molti dei suoi compagni di classe non sarebbero stati iscritti a Ponte San Giovanni, bensì in altri istituti del centro storico.

Senza dilungarci sui motivi degli altri genitori, decidemmo di non rinunciare all’esperienza della scuola del territorio dove vivevamo: pesarono certamente sia il nostro punto di vista sul mondo per come stava cambiando, sia alcune valutazioni su come sarebbe quello che avrebbero abitato le future generazioni.

Avendo i nostri primi due figli tre anni di differenza, ci siamo trovati così dentro un percorso di sei anni, terminato lo scorso giugno, che ci sembra doveroso testimoniare. La scuola “Volumnio” ha permesso ai nostri figli l’esperienza, oggi imprescindibile, del confronto con la diversità che diventa ricchezza, ma soprattutto competenza ineludibile per cogliere le opportunità del mondo presente.

Ci ha fatto toccare con mano la capacità e il valore di mettere in circolo sinergie positive sul territorio, come testimoniato dal rapporto virtuoso dell’istituto con l’oratorio e il suo doposcuola.

Ma soprattutto, ha permesso ai nostri figli di crescere accompagnati da docenti che ci hanno impressionato per passione, competenza, capacità di presa in carico anche nei momenti di difficoltà che qualsiasi classe, che sia del centro o della periferia, si troverà sempre (vivaddio) ad affrontare. Eh sì, perché poi alla fine, per quanto sia necessario e vitale tutto quello che ruota attorno alla vita scolastica, sono proprio gli insegnanti a esserne anima e spina dorsale.

Insegnanti che alla Volumnio hanno nomi e cognomi, volti divenuti punti di riferimento in anni spesi per scelta convinta proprio in quell’istituto; e che da tempo, al riparo dalle tante “narrazioni” nefaste sulla scuola italiana che si vorrebbero legittimare, considerano vivo, degno, importante il futuro dei figli di questo territorio, guidando i ragazzi forti, sostenendo i deboli, valorizzando i talenti e le eccellenze, mettendo in comunicazione le culture.

A questi docenti va tutta la nostra riconoscenza di genitori che per sei anni hanno accompagnato (fermandosi idealmente sulla soglia e curandosi di mai oltrepassarla) i propri figli alla Volumnio. E un appello alle istituzioni preposte a decidere le sorti delle nostre scuole: che sappiano rendere reale il diritto all’istruzione per tutti, ma anche, ogni tanto, riconoscere il giusto tributo a tutti gli insegnanti che ogni giorno continuano, con i fatti, a permetterlo.

Roberto Contu, Flavia Marcacci

]]>
scuola

In questo periodo molte famiglie iniziano a vivere un momento importante, spesso accompagnato da incertezze e preoccupazioni: la scelta della scuola secondaria di primo e secondo grado. A riguardo ci è sembrato opportuno condividere un’esperienza che racconta il nostro territorio, ma che dice molto anche del nostro Paese.

La nostra famiglia si è trasferita anni fa (era il 2005) e quasi per caso a Ponte San Giovanni, uno dei quartieri più popolosi di Perugia. Avevamo allora due bambini, che iniziarono uno dopo l’altro a frequentare prima un asilo nido davvero funzionale, e poi un’altrettanto valida scuola per l’infanzia.

Anche la scuola primaria fu per entrambi una bella esperienza.

Al momento del passaggio del primo figlio alla scuola secondaria, ci trovammo però di fronte a una situazione imprevista, che pure avevamo già iniziato a percepire: molti dei suoi compagni di classe non sarebbero stati iscritti a Ponte San Giovanni, bensì in altri istituti del centro storico.

Senza dilungarci sui motivi degli altri genitori, decidemmo di non rinunciare all’esperienza della scuola del territorio dove vivevamo: pesarono certamente sia il nostro punto di vista sul mondo per come stava cambiando, sia alcune valutazioni su come sarebbe quello che avrebbero abitato le future generazioni.

Avendo i nostri primi due figli tre anni di differenza, ci siamo trovati così dentro un percorso di sei anni, terminato lo scorso giugno, che ci sembra doveroso testimoniare. La scuola “Volumnio” ha permesso ai nostri figli l’esperienza, oggi imprescindibile, del confronto con la diversità che diventa ricchezza, ma soprattutto competenza ineludibile per cogliere le opportunità del mondo presente.

Ci ha fatto toccare con mano la capacità e il valore di mettere in circolo sinergie positive sul territorio, come testimoniato dal rapporto virtuoso dell’istituto con l’oratorio e il suo doposcuola.

Ma soprattutto, ha permesso ai nostri figli di crescere accompagnati da docenti che ci hanno impressionato per passione, competenza, capacità di presa in carico anche nei momenti di difficoltà che qualsiasi classe, che sia del centro o della periferia, si troverà sempre (vivaddio) ad affrontare. Eh sì, perché poi alla fine, per quanto sia necessario e vitale tutto quello che ruota attorno alla vita scolastica, sono proprio gli insegnanti a esserne anima e spina dorsale.

Insegnanti che alla Volumnio hanno nomi e cognomi, volti divenuti punti di riferimento in anni spesi per scelta convinta proprio in quell’istituto; e che da tempo, al riparo dalle tante “narrazioni” nefaste sulla scuola italiana che si vorrebbero legittimare, considerano vivo, degno, importante il futuro dei figli di questo territorio, guidando i ragazzi forti, sostenendo i deboli, valorizzando i talenti e le eccellenze, mettendo in comunicazione le culture.

A questi docenti va tutta la nostra riconoscenza di genitori che per sei anni hanno accompagnato (fermandosi idealmente sulla soglia e curandosi di mai oltrepassarla) i propri figli alla Volumnio. E un appello alle istituzioni preposte a decidere le sorti delle nostre scuole: che sappiano rendere reale il diritto all’istruzione per tutti, ma anche, ogni tanto, riconoscere il giusto tributo a tutti gli insegnanti che ogni giorno continuano, con i fatti, a permetterlo.

Roberto Contu, Flavia Marcacci

]]>
FAMIGLIA. Da “Professione mamma 2019”: Uomo, donna e nuovi equilibri familiari https://www.lavoce.it/professione-mamma-equilibri-familiari/ Thu, 03 Oct 2019 12:24:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55335

“Cose da femmine” e “cose da maschi”, “compiti da mamma” e “compiti da papà”. Nella società odierna gli equilibri e i ritmi delle famiglie sono molto cambiati rispetto al passato, ciononostante al ruolo di madre e padre si tendono ancora ad associare attività tipiche del maschile o del femminile. Come mai?

Lo abbiamo chiesto, nell’ambito dell’evento “Professione mamma”, tenutosi a Perugia lo scorso fine settimana, alla consulente familiare Angela Passetti, che lavora nel Consultorio di Palazzo di Assisi e in quello diocesano di Terni. “La maggior parte delle famiglie di oggi - spiega - corrisponde ancora a uno stereotipo. La mamma è quella più portata per la relazione, mentre il papà per attività d’azione”.

[gallery columns="4" ids="55355,55356,55357,55358,55359,55360,55361"]

Può però accadere che la madre sia più impegnata del padre nelle attività fuori casa, e che quindi i ruoli si invertano. “È vero aggiunge Passetti - che il padre è tendenzialmente una figura più d’azione, ma, quando le madri lavorano, anche i padri sono chiamati a relazionarsi con i figli. Se i ruoli arrivano a rovesciarsi, qualche coppia non regge ed è motivo di frattura”.

“I problemi - continua - arrivano solitamente per il fatto che i papà, nel doversi relazionare con i figli, rimangono un po’ ‘Peter Pan’ e non riescono ad assumersi la responsabilità che il ruolo comporta”. Quando però anche gli uomini riescono a sviluppare con successo la parte relazionale, “vengono a crearsi nuovi modelli e nuovi equilibri, e si scoprono delle risorse che le famiglie hanno e che prima non si rendevano conto di avere”.

Se una volta il genitore aveva delle carenze o dei problemi relazionali, vi sopperivano nonni, zii e parenti. “Oggi invece le famiglie sono nuclei a sé stanti, e questo rende i pesi più faticosi da portare”. C’è una soluzione però: “Va meglio per quelle famiglie che fanno parte di gruppi, movimenti o associazioni, in cui ritrovano confronto e supporto”.

Un altro problema frequentemente riscontrato dalla consulente familiare nel suo lavoro riguarda la coppia in quanto tale, non in senso strettamente geni- toriale. “Se guardiamo - dice agli episodi di cronaca nera come i femminicidi, capiamo che la maggior parte dei casi sono legati a figure di uomini narcisisti. Il narcisista sviluppa un senso di possesso sulla compagna perché crede che questa debba vivere solo in sua funzione”.

“Essere uomini e donne, papà e mamme consapevoli delle proprie diversità, specificità e talenti è un dono per i figli, pur nella fantasia che ogni coppia porta con sé” affermano Vincenzo e Sarah Aquino, coordinatori per l’Umbria dell’Associazione nazionale famiglie numerose e organizzatori di “Professione mamma e professione papà”.

La manifestazione, giunta alla quinta edizione e svoltasi quest’anno nell’ambito del Festival della famiglia promosso dal Comune di Perugia, è organizzata come una fiera in cui i genitori mettono in comune le proprie esperienze e si scambiano “trucchi del mestiere”. Fra gli stand delle mamme, erano presenti attività come l’organizzazione feste o i massaggi al proprio bimbo, i saponi fatti in casa o insegnare filastrocche. Ai papà invece la pesca, la falegnameria, i fumetti o lo sport.

“La suddivisione degli stand risponde sicuramente al classico stereotipo delle attività ‘da mamma’ e ‘da papà’ - sottolinea Sarah - , ma in un certo senso fa parte della naturalità delle cose, e non esclude comunque che una mamma possa andare a imparare dallo stand del papà falegname”.

“Questa diversità - aggiunge Vincenzo - ci dà originalità in quello che siamo. Essere maschi e fare cose ‘da maschi’ o essere femmine e fare cose ‘da femmine’ fa sì che nell’insieme si sia completi”. La coppia, che ha undici figli tra maschi e femmine, spiega che, nella loro esperienza, le differenze spesso vengono fuori fin dall’infanzia.

 

“I nostri figli hanno avuto sempre a disposizione giochi sia femminili che maschili, e a volte se li sono anche scambiati, ma abbiamo notato che, chi più chi meno, alla fine si sono diretti verso le attività ‘tipiche’ del loro genere”.

Valentina Russo

]]>

“Cose da femmine” e “cose da maschi”, “compiti da mamma” e “compiti da papà”. Nella società odierna gli equilibri e i ritmi delle famiglie sono molto cambiati rispetto al passato, ciononostante al ruolo di madre e padre si tendono ancora ad associare attività tipiche del maschile o del femminile. Come mai?

Lo abbiamo chiesto, nell’ambito dell’evento “Professione mamma”, tenutosi a Perugia lo scorso fine settimana, alla consulente familiare Angela Passetti, che lavora nel Consultorio di Palazzo di Assisi e in quello diocesano di Terni. “La maggior parte delle famiglie di oggi - spiega - corrisponde ancora a uno stereotipo. La mamma è quella più portata per la relazione, mentre il papà per attività d’azione”.

[gallery columns="4" ids="55355,55356,55357,55358,55359,55360,55361"]

Può però accadere che la madre sia più impegnata del padre nelle attività fuori casa, e che quindi i ruoli si invertano. “È vero aggiunge Passetti - che il padre è tendenzialmente una figura più d’azione, ma, quando le madri lavorano, anche i padri sono chiamati a relazionarsi con i figli. Se i ruoli arrivano a rovesciarsi, qualche coppia non regge ed è motivo di frattura”.

“I problemi - continua - arrivano solitamente per il fatto che i papà, nel doversi relazionare con i figli, rimangono un po’ ‘Peter Pan’ e non riescono ad assumersi la responsabilità che il ruolo comporta”. Quando però anche gli uomini riescono a sviluppare con successo la parte relazionale, “vengono a crearsi nuovi modelli e nuovi equilibri, e si scoprono delle risorse che le famiglie hanno e che prima non si rendevano conto di avere”.

Se una volta il genitore aveva delle carenze o dei problemi relazionali, vi sopperivano nonni, zii e parenti. “Oggi invece le famiglie sono nuclei a sé stanti, e questo rende i pesi più faticosi da portare”. C’è una soluzione però: “Va meglio per quelle famiglie che fanno parte di gruppi, movimenti o associazioni, in cui ritrovano confronto e supporto”.

Un altro problema frequentemente riscontrato dalla consulente familiare nel suo lavoro riguarda la coppia in quanto tale, non in senso strettamente geni- toriale. “Se guardiamo - dice agli episodi di cronaca nera come i femminicidi, capiamo che la maggior parte dei casi sono legati a figure di uomini narcisisti. Il narcisista sviluppa un senso di possesso sulla compagna perché crede che questa debba vivere solo in sua funzione”.

“Essere uomini e donne, papà e mamme consapevoli delle proprie diversità, specificità e talenti è un dono per i figli, pur nella fantasia che ogni coppia porta con sé” affermano Vincenzo e Sarah Aquino, coordinatori per l’Umbria dell’Associazione nazionale famiglie numerose e organizzatori di “Professione mamma e professione papà”.

La manifestazione, giunta alla quinta edizione e svoltasi quest’anno nell’ambito del Festival della famiglia promosso dal Comune di Perugia, è organizzata come una fiera in cui i genitori mettono in comune le proprie esperienze e si scambiano “trucchi del mestiere”. Fra gli stand delle mamme, erano presenti attività come l’organizzazione feste o i massaggi al proprio bimbo, i saponi fatti in casa o insegnare filastrocche. Ai papà invece la pesca, la falegnameria, i fumetti o lo sport.

“La suddivisione degli stand risponde sicuramente al classico stereotipo delle attività ‘da mamma’ e ‘da papà’ - sottolinea Sarah - , ma in un certo senso fa parte della naturalità delle cose, e non esclude comunque che una mamma possa andare a imparare dallo stand del papà falegname”.

“Questa diversità - aggiunge Vincenzo - ci dà originalità in quello che siamo. Essere maschi e fare cose ‘da maschi’ o essere femmine e fare cose ‘da femmine’ fa sì che nell’insieme si sia completi”. La coppia, che ha undici figli tra maschi e femmine, spiega che, nella loro esperienza, le differenze spesso vengono fuori fin dall’infanzia.

 

“I nostri figli hanno avuto sempre a disposizione giochi sia femminili che maschili, e a volte se li sono anche scambiati, ma abbiamo notato che, chi più chi meno, alla fine si sono diretti verso le attività ‘tipiche’ del loro genere”.

Valentina Russo

]]>
Terni. L’annuale festa diocesana della famiglia https://www.lavoce.it/terni-festa-famiglia/ Sun, 17 Mar 2019 11:39:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54219 famiglia

“In Gesù la famiglia ha un cuore giovane… che la sogna, la realizza, la vive” è il tema della Festa della famiglia diocesana, in programma domenica 17 marzo a partire dalle 16 nella cattedrale di Terni.

La festa è un appuntamento annuale che le famiglie cristiane vivono tra di loro e con il Vescovo per condividere e celebrare la fede nel Signore insieme. Un evento che si colloca all’interno del cammino quaresimale e delle iniziative pensate per la festa di san Valentino e che vuole offrire alle famiglie cristiane della diocesi l’occasione di conoscersi e vivere un momento di riflessione e preghiera in un clima di festa.

L’incontro, promosso dalla Commissione di pastorale familiare della diocesi, è stato pensato e realizzato con la collaborazione di tanti, convinti che la famiglia sia il motore delle comunità cristiane, della comunicazione della fede e dell’accompagnamento della vita in tutte le sue stagioni.

Le testimonianze

“Quest’anno – spiega il direttore dell’ufficio di Pastorale familiare diocesano, don Stefano Mazzoli – , in linea con l’attenzione ai giovani della Chiesa universale e della Chiesa diocesana, si è voluto guardare alla famiglia attraverso gli occhi dei giovani. Tre saranno le testimonianze che animeranno le festa: due giovani fidanzati che sognano e progettano la famiglia; una giovane coppia che ha realizzato da poco il sogno della famiglia anche con l’accoglienza di una nuova vita; due giovani che vivono la famiglia dalla prospettiva dei figli.

Infine l’importanza di vivere un cammino di Chiesa, che in fondo racchiude anche gli altri elementi. Inseriti in una comunità, in comunione, ci si sente una famiglia grande, quella dei figli di Dio”.

Due gli invitati speciali: padre Stefano Nava, frate minore che insieme ad una famiglia parlerà di come sia ancora oggi possibile amarsi e realizzare la famiglia in Dio, e Vittorio Gabassi che, insieme ad alcuni giovani, testimonierà con il canto la bellezza della fede e dell’amore.

Il gruppo dei ragazzi della parrocchia di Valenza, che hanno vinto il concorso giovani “Fatti sentire” nell’ambito musicale, organizzato in occasione delle iniziative per la festa di san Valentino, cureranno l’accoglienza e l’animazione dei figli più piccoli delle famiglie che parteciperanno alla festa.

Programma

Il pomeriggio vivrà il suo culmine con la celebrazione della messa presieduta dal Vescovo alle 18.30 come la stazione quaresimale. Alle famiglie partecipanti verrà consegnato un piccolo dono in ricordo della festa.

E. L.

]]>
famiglia

“In Gesù la famiglia ha un cuore giovane… che la sogna, la realizza, la vive” è il tema della Festa della famiglia diocesana, in programma domenica 17 marzo a partire dalle 16 nella cattedrale di Terni.

La festa è un appuntamento annuale che le famiglie cristiane vivono tra di loro e con il Vescovo per condividere e celebrare la fede nel Signore insieme. Un evento che si colloca all’interno del cammino quaresimale e delle iniziative pensate per la festa di san Valentino e che vuole offrire alle famiglie cristiane della diocesi l’occasione di conoscersi e vivere un momento di riflessione e preghiera in un clima di festa.

L’incontro, promosso dalla Commissione di pastorale familiare della diocesi, è stato pensato e realizzato con la collaborazione di tanti, convinti che la famiglia sia il motore delle comunità cristiane, della comunicazione della fede e dell’accompagnamento della vita in tutte le sue stagioni.

Le testimonianze

“Quest’anno – spiega il direttore dell’ufficio di Pastorale familiare diocesano, don Stefano Mazzoli – , in linea con l’attenzione ai giovani della Chiesa universale e della Chiesa diocesana, si è voluto guardare alla famiglia attraverso gli occhi dei giovani. Tre saranno le testimonianze che animeranno le festa: due giovani fidanzati che sognano e progettano la famiglia; una giovane coppia che ha realizzato da poco il sogno della famiglia anche con l’accoglienza di una nuova vita; due giovani che vivono la famiglia dalla prospettiva dei figli.

Infine l’importanza di vivere un cammino di Chiesa, che in fondo racchiude anche gli altri elementi. Inseriti in una comunità, in comunione, ci si sente una famiglia grande, quella dei figli di Dio”.

Due gli invitati speciali: padre Stefano Nava, frate minore che insieme ad una famiglia parlerà di come sia ancora oggi possibile amarsi e realizzare la famiglia in Dio, e Vittorio Gabassi che, insieme ad alcuni giovani, testimonierà con il canto la bellezza della fede e dell’amore.

Il gruppo dei ragazzi della parrocchia di Valenza, che hanno vinto il concorso giovani “Fatti sentire” nell’ambito musicale, organizzato in occasione delle iniziative per la festa di san Valentino, cureranno l’accoglienza e l’animazione dei figli più piccoli delle famiglie che parteciperanno alla festa.

Programma

Il pomeriggio vivrà il suo culmine con la celebrazione della messa presieduta dal Vescovo alle 18.30 come la stazione quaresimale. Alle famiglie partecipanti verrà consegnato un piccolo dono in ricordo della festa.

E. L.

]]>
Spazio ai papà https://www.lavoce.it/spazio-papa/ Wed, 27 Feb 2019 13:00:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54092 di Andrea Casavecchia

Quando viene chiesto ai giovani di indicare quali siano per loro i valori più importanti, i risultati mostrano costantemente tra i primi posti famiglia e lavoro. Ma conciliare la famiglia e il lavoro diventa una chimera e molti finiscono per rimandare a tempi migliori. Questo è uno dei temi che più hanno inciso e incidono sempre di più sul crollo della natalità.

Certo i dati sulle possibilità di bilanciare la vita familiare con quella lavorativa non sono incoraggianti e affermano che la nascita di un figlio carica la responsabilità tutta sulle spalle delle donne. I recenti dati dell’ispettorato sul lavoro rilevano infatti che su oltre 39mila dimissioni volontarie più di 30mila sono di madri lavoratrici che si ritirano dal lavoro.

Come si osserva in un articolo di Elena Barazzetta, pubblicato su “Secondo Welfare”, il 60% dei ritiri coinvolge genitori al primo figlio e un altro 33% al secondo figlio. Oggi di fronte a questi risultati una donna che aspirasse a coltivare la sua legittima crescita professionale si troverebbe a escludere dal suo orizzonte la scelta di fare famiglia.

Se l’Italia volesse invertire la rotta dei flussi di natalità dovrebbe dare più spazio ai papà. In Svezia la rotta l’hanno invertita con una serie di politiche che hanno portato entrambi i genitori a poter usufruire di un congedo di tre mesi per i figli e questo favorisce l’occupazione femminile, meno colpita dal giudizio negativo sulla maternità.

In questo modo potrebbero essere meglio ripartiti i carichi di cura tra mamme e papà e sarebbe sicuramente un passo in avanti per la conciliazione tra vita e lavoro. Questa consapevolezza, purtroppo, non è entrata negli orizzonti delle scelte politiche, che invece si muovono su una linea differente, come è capitato con la recente legge di bilancio che favorisce la sperimentazione dello smartworking (l’applicazione di un orario flessibile) nelle aziende soprattutto sulle lavoratrici.

Non si comprende invece come il valore famiglia non sia appannaggio esclusivamente femminile e tanto meno il valore lavoro appannaggio maschile. Proseguendo così non solo sarà sempre più lontana la conciliazione tra famiglia e lavoro, ma sarà più ostica la conciliazione nella famiglia.

]]>
I figli “sono di tutti”. Anche Giulio Regeni https://www.lavoce.it/figli-giulio-regeni/ Sat, 23 Feb 2019 08:00:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54075 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Cosa resta dell’umanità e della coesione sociale che caratterizzavano storicamente la nostra Italia, dove le nostre nonne e mamme ripetevano spesso che “i figli sono di tutti”? Me lo sono chiesto la sera di domenica 17 febbraio, mentre Fabio Fazio a Che tempo che fa intervistava i genitori di Giulio Regeni, torturato e assassinato in Egitto tre anni fa circa in circostanze ancora da chiarire.

Me lo sono chiesto quando a fine intervista Claudio Regeni, il padre del giovane, si è alzato in piedi e, guardando dritto la telecamera, si è rivolto al procuratore generale del Cairo. Per chiedere, come gli era stato promesso da quell’alto magistrato egiziano, verità e giustizia piena per il suo ragazzo.

Poi Claudio ha fatto - “da padre a padre” - un’altra, specifica richiesta: “Vorremmo avere indietro i vestiti di Giulio”. Tre anni, e non hanno ancora avuto indietro i vestiti del loro figlio: com’è possibile, se politici di partiti diversi, in questo frattempo, si sono affannati a ribadire che avrebbero fatto di tutto per andare fino in fondo a questa torbida vicenda?

Ragioni politiche ed economiche, probabilmente, lo impediscono: ma come fanno, questi esponenti del potere di ogni colore, a non sentire sulla propria pelle, essendo loro stessi genitori, la ferita bruciante di una vicenda che non riguarda ‘soltanto’ quel giovane ma tutti i nostri giovani e la loro possibilità di andare in giro per il mondo a costruirsi un futuro? Se non basta la politica, almeno subentri l’umanità. E il rispetto di chi è stato ‘condannato’ al dolore perpetuo, come Claudio e Paola Regeni.

]]>
lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Cosa resta dell’umanità e della coesione sociale che caratterizzavano storicamente la nostra Italia, dove le nostre nonne e mamme ripetevano spesso che “i figli sono di tutti”? Me lo sono chiesto la sera di domenica 17 febbraio, mentre Fabio Fazio a Che tempo che fa intervistava i genitori di Giulio Regeni, torturato e assassinato in Egitto tre anni fa circa in circostanze ancora da chiarire.

Me lo sono chiesto quando a fine intervista Claudio Regeni, il padre del giovane, si è alzato in piedi e, guardando dritto la telecamera, si è rivolto al procuratore generale del Cairo. Per chiedere, come gli era stato promesso da quell’alto magistrato egiziano, verità e giustizia piena per il suo ragazzo.

Poi Claudio ha fatto - “da padre a padre” - un’altra, specifica richiesta: “Vorremmo avere indietro i vestiti di Giulio”. Tre anni, e non hanno ancora avuto indietro i vestiti del loro figlio: com’è possibile, se politici di partiti diversi, in questo frattempo, si sono affannati a ribadire che avrebbero fatto di tutto per andare fino in fondo a questa torbida vicenda?

Ragioni politiche ed economiche, probabilmente, lo impediscono: ma come fanno, questi esponenti del potere di ogni colore, a non sentire sulla propria pelle, essendo loro stessi genitori, la ferita bruciante di una vicenda che non riguarda ‘soltanto’ quel giovane ma tutti i nostri giovani e la loro possibilità di andare in giro per il mondo a costruirsi un futuro? Se non basta la politica, almeno subentri l’umanità. E il rispetto di chi è stato ‘condannato’ al dolore perpetuo, come Claudio e Paola Regeni.

]]>
Social media: potenzialità e rischi. Cosa possono fare genitori e insegnanti? https://www.lavoce.it/social-media-rischi-genitori-insegnanti/ Thu, 01 Nov 2018 12:00:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53275 rischi

Facebook, Instagram, Whatsapp, Twitter, Messenger, Telegram: sono i social network, il mezzo che sta cambiando le relazioni umane, in particolare tra le nuove generazioni su cui hanno maggiore presa. Questi nuovi strumenti sono interamente da condannare? E che ruolo devono assumere gli educatori in questo cambiamento? A queste domande ha risposto, nell’ambito delle attività del Laboratorio permanente dell’Azione cattolica diocesana di Terni lo scorso 26 ottobre, il dott. Pierluigi Brustenghi, medico e psicoterapeuta.

Quali sono le criticità dei social?

“Bisogna vedere l’età della persona che usa i social. Anche l’adulto deve stare attento nel loro utilizzo, ma da grandi si hanno già dei meccanismi di difesa. I bambini e gli adolescenti invece sono più a rischio, anche perché purtroppo si sta verificando un uso sbagliato del mezzo. Molti ragazzi passano troppe ore al computer o davanti allo smartphone e questo li porta un po’ ad uscire dalla realtà, a creare una realtà virtuale dentro la quale poi trovano un mondo che non corrisponde a quello che vivono a scuola o insieme agli amici”.

Ci sono rischi anche per la salute?

“C’è il rischio che il cervello dei giovani possa subire delle modificazioni poiché le immagini che si vedono al computer sono uno strumento che modifica la plasticità sinaptica e sviluppa più circuiti eccitatori. Tutto ciò può comportare un agire in maniera compulsiva, cioè fare azioni che là per là non si riescono a controllare ma che si capiscono solo ex post. Il sonno degli adolescenti poi è profondamente destrutturato. I giovani oggi dormono circa due ore e mezzo in meno per notte, e questo ha forti ripercussioni a livello caratteriale, comportamentale e di apprendimento. La scuola si trova spesso ad avere adolescenti che hanno difficoltà di concentrazione e di memorizzazione proprio perché stanno troppo collegati in Rete”.

Alcuni fatti di cronaca ci ricordano che i ragazzi che navigano da soli possono imbattersi in molti pericoli. Cosa possono fare i genitori?

“L’uso della Rete deve essere estremamente controllato dai genitori, sia per quanto riguarda i siti, che per le persone che frequentano online . La cronaca ci sta sempre più abituando a conoscere fatti veramente sgradevoli, dove si capisce che l’adulto ha commesso un peccato di omesso controllo. I giovani richiedono molta più attenzione oggi, e il loro comportamento dipende anche dalla nostra capacità di controllarli - che non significa ‘stargli sopra’ e limitare i loro spazi creativi e di libertà, ma certamente dare linee di comportamento, sapere con chi parlano: dietro un nickname ci può essere anche un mostro, quindi bisogna stare molto attenti e metterli in guardia”.

Quali sono gli aspetti positivi della diffusione dei social sia per gli adulti che per gli adolescenti?

“I social hanno una grande utilità, sono un canale che ci permette di unirci al mondo. Per esempio, i malati cronici che non riescono ad uscire di casa possono comunicare attraverso i social. Per loro è una valvola importantissima. Poi ci sono i social group tematici, importanti anche dal punto di vista culturale, scientifico, artistico, musicale. Il progresso ha portato tanti vantaggi, ma contemporaneamente anche degli svantaggi che, riferendosi ai giovani, devono essere ben monitorati. Oggi il mondo vuol comunicare tutto subito. La velocità è il problema poichè occorre capire se siamo capaci di fare un multi-tasking ovvero di fare più cose contemporaneamente.

(Continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce, basta registrarsi)

Elisabetta Lomoro, Valentina Russo

]]>
rischi

Facebook, Instagram, Whatsapp, Twitter, Messenger, Telegram: sono i social network, il mezzo che sta cambiando le relazioni umane, in particolare tra le nuove generazioni su cui hanno maggiore presa. Questi nuovi strumenti sono interamente da condannare? E che ruolo devono assumere gli educatori in questo cambiamento? A queste domande ha risposto, nell’ambito delle attività del Laboratorio permanente dell’Azione cattolica diocesana di Terni lo scorso 26 ottobre, il dott. Pierluigi Brustenghi, medico e psicoterapeuta.

Quali sono le criticità dei social?

“Bisogna vedere l’età della persona che usa i social. Anche l’adulto deve stare attento nel loro utilizzo, ma da grandi si hanno già dei meccanismi di difesa. I bambini e gli adolescenti invece sono più a rischio, anche perché purtroppo si sta verificando un uso sbagliato del mezzo. Molti ragazzi passano troppe ore al computer o davanti allo smartphone e questo li porta un po’ ad uscire dalla realtà, a creare una realtà virtuale dentro la quale poi trovano un mondo che non corrisponde a quello che vivono a scuola o insieme agli amici”.

Ci sono rischi anche per la salute?

“C’è il rischio che il cervello dei giovani possa subire delle modificazioni poiché le immagini che si vedono al computer sono uno strumento che modifica la plasticità sinaptica e sviluppa più circuiti eccitatori. Tutto ciò può comportare un agire in maniera compulsiva, cioè fare azioni che là per là non si riescono a controllare ma che si capiscono solo ex post. Il sonno degli adolescenti poi è profondamente destrutturato. I giovani oggi dormono circa due ore e mezzo in meno per notte, e questo ha forti ripercussioni a livello caratteriale, comportamentale e di apprendimento. La scuola si trova spesso ad avere adolescenti che hanno difficoltà di concentrazione e di memorizzazione proprio perché stanno troppo collegati in Rete”.

Alcuni fatti di cronaca ci ricordano che i ragazzi che navigano da soli possono imbattersi in molti pericoli. Cosa possono fare i genitori?

“L’uso della Rete deve essere estremamente controllato dai genitori, sia per quanto riguarda i siti, che per le persone che frequentano online . La cronaca ci sta sempre più abituando a conoscere fatti veramente sgradevoli, dove si capisce che l’adulto ha commesso un peccato di omesso controllo. I giovani richiedono molta più attenzione oggi, e il loro comportamento dipende anche dalla nostra capacità di controllarli - che non significa ‘stargli sopra’ e limitare i loro spazi creativi e di libertà, ma certamente dare linee di comportamento, sapere con chi parlano: dietro un nickname ci può essere anche un mostro, quindi bisogna stare molto attenti e metterli in guardia”.

Quali sono gli aspetti positivi della diffusione dei social sia per gli adulti che per gli adolescenti?

“I social hanno una grande utilità, sono un canale che ci permette di unirci al mondo. Per esempio, i malati cronici che non riescono ad uscire di casa possono comunicare attraverso i social. Per loro è una valvola importantissima. Poi ci sono i social group tematici, importanti anche dal punto di vista culturale, scientifico, artistico, musicale. Il progresso ha portato tanti vantaggi, ma contemporaneamente anche degli svantaggi che, riferendosi ai giovani, devono essere ben monitorati. Oggi il mondo vuol comunicare tutto subito. La velocità è il problema poichè occorre capire se siamo capaci di fare un multi-tasking ovvero di fare più cose contemporaneamente.

(Continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce, basta registrarsi)

Elisabetta Lomoro, Valentina Russo

]]>
Un Vademecum per regolare i gruppi WhatsApp scolastici dei genitori https://www.lavoce.it/vademecum-gruppi-whatsapp-genitori/ Wed, 17 Oct 2018 12:34:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53149 whatsapp

WhatsApp è forse il sistema di messaggistica più diffuso ed efficace, però… Già, c’è un però e riguarda un particolare di non poco conto: i messaggi possono “invadere” telefonino e vita delle persone, soprattutto se si fa parte di gruppi allargati. Non solo: attraverso i messaggi si possono innescare dinamiche non proprio semplici da gestire, non mediate dalle sfumature che invece si potrebbero cogliere nella comunicazione “dal vivo” tra le persone. E magari si arriva a veri e propri scontri.

L'iniziativa del Comune di Ravenna per i gruppi WhatsApp scolastici dei genitori

I gruppi di WhatsApp sono molto diffusi nelle scuole, tra genitori e studenti. Nemmeno ci si fa più caso. Curiosa – e provocante – è allora l’iniziativa del Comune di Ravenna che, proprio a partire dalla considerazione che “i gruppi WhatsApp tra genitori delle scuole materne sono nati in modo spontaneo e sono molto diffusi”, per valorizzare lo strumento ed evitare alcune “criticità”, ha deciso di suggerire a tutti i genitori alcune regole per il buon uso della messaggistica “di classe” (Vademecum - Whatsapp per leggerlo in versione integrale).

Così, in queste settimane, “durante le assemblee delle scuole dell’infanzia comunali – spiega il Comune – sarà presentato ai genitori dei bambini un piccolo vademecum per promuovere un uso utile e corretto delle chat dei genitori”.

Come è nato il Vademecum

Si tratta di un testo elaborato nei mesi scorsi a partire dalla somministrazione di un questionario cui hanno risposto – spiega il Comune – 140 genitori e 30 insegnanti e dal quale è nato il processo che ha portato, con l’aiuto di pedagogisti, insegnanti e genitori, all’elaborazione del Vademecum.

I consigli per un buon uso del gruppo

“Usa il gruppo come una ‘bacheca virtuale’, pubblicando solo avvisi, informazioni e iniziative che riguardano la sezione”: questo il primo consiglio, che va nella direzione di voler evitare il proliferare di ogni tipo di “pettegolezzo virtuale”.

Consiglio peraltro ripetuto nel Vademecum, con la raccomandazione di limitare “l’uso del gruppo per questioni generali della sezione”. Chi ha esperienza, come genitore e non solo, di gruppi del genere, sa bene come spesso si trasformino in contenitori di ogni tipo di informazioni e commenti, con il risultato, talvolta, di vanificare l’eventuale utilità dello strumento, se non addirittura di innescare conflitti e veri e propri scontri (magari per un malinteso).

Lo sa bene anche il Comune di Ravenna, che insieme al suggerimento di coinvolgere tutti i genitori, senza discriminazioni, oltre all’invito al rispetto reciproco e ad evitare “giudizi o commenti sui bambini e sulle insegnanti”, aggiunge come “in caso di polemiche o conflitti sul gruppo” sia meglio “incontrarsi di persona organizzando una riunione con le maestre per tutti i genitori”.

La figura del moderatore

Ma il Vademecum suggerisce un’altra cosa importante: ci sia sempre un moderatore/moderatrice, scelto all’inizio, capace di collaborare con gli insegnanti e gli altri genitori. Un figura “di servizio”, appositamente scelta in modo condiviso e per la quale si preveda anche una certa formazione. E non è poco: di fronte agli strumenti digitali vige normalmente il “fai da te”, come se tutti fossero in grado e abilitati a fare tutto, senza pensarci più di tanto.

La proposta, in questo caso, di una persona che si assume ed esercita un compito invita a riflettere tutti – non solo nelle scuole di Ravenna – su come agire con senso di responsabilità. Anche di fronte a una cosa “abituale” come una chat tra genitori. Verrebbe da dire, sorridendo: tornino a scuola anche loro.

Alberto Campoleoni

]]>
whatsapp

WhatsApp è forse il sistema di messaggistica più diffuso ed efficace, però… Già, c’è un però e riguarda un particolare di non poco conto: i messaggi possono “invadere” telefonino e vita delle persone, soprattutto se si fa parte di gruppi allargati. Non solo: attraverso i messaggi si possono innescare dinamiche non proprio semplici da gestire, non mediate dalle sfumature che invece si potrebbero cogliere nella comunicazione “dal vivo” tra le persone. E magari si arriva a veri e propri scontri.

L'iniziativa del Comune di Ravenna per i gruppi WhatsApp scolastici dei genitori

I gruppi di WhatsApp sono molto diffusi nelle scuole, tra genitori e studenti. Nemmeno ci si fa più caso. Curiosa – e provocante – è allora l’iniziativa del Comune di Ravenna che, proprio a partire dalla considerazione che “i gruppi WhatsApp tra genitori delle scuole materne sono nati in modo spontaneo e sono molto diffusi”, per valorizzare lo strumento ed evitare alcune “criticità”, ha deciso di suggerire a tutti i genitori alcune regole per il buon uso della messaggistica “di classe” (Vademecum - Whatsapp per leggerlo in versione integrale).

Così, in queste settimane, “durante le assemblee delle scuole dell’infanzia comunali – spiega il Comune – sarà presentato ai genitori dei bambini un piccolo vademecum per promuovere un uso utile e corretto delle chat dei genitori”.

Come è nato il Vademecum

Si tratta di un testo elaborato nei mesi scorsi a partire dalla somministrazione di un questionario cui hanno risposto – spiega il Comune – 140 genitori e 30 insegnanti e dal quale è nato il processo che ha portato, con l’aiuto di pedagogisti, insegnanti e genitori, all’elaborazione del Vademecum.

I consigli per un buon uso del gruppo

“Usa il gruppo come una ‘bacheca virtuale’, pubblicando solo avvisi, informazioni e iniziative che riguardano la sezione”: questo il primo consiglio, che va nella direzione di voler evitare il proliferare di ogni tipo di “pettegolezzo virtuale”.

Consiglio peraltro ripetuto nel Vademecum, con la raccomandazione di limitare “l’uso del gruppo per questioni generali della sezione”. Chi ha esperienza, come genitore e non solo, di gruppi del genere, sa bene come spesso si trasformino in contenitori di ogni tipo di informazioni e commenti, con il risultato, talvolta, di vanificare l’eventuale utilità dello strumento, se non addirittura di innescare conflitti e veri e propri scontri (magari per un malinteso).

Lo sa bene anche il Comune di Ravenna, che insieme al suggerimento di coinvolgere tutti i genitori, senza discriminazioni, oltre all’invito al rispetto reciproco e ad evitare “giudizi o commenti sui bambini e sulle insegnanti”, aggiunge come “in caso di polemiche o conflitti sul gruppo” sia meglio “incontrarsi di persona organizzando una riunione con le maestre per tutti i genitori”.

La figura del moderatore

Ma il Vademecum suggerisce un’altra cosa importante: ci sia sempre un moderatore/moderatrice, scelto all’inizio, capace di collaborare con gli insegnanti e gli altri genitori. Un figura “di servizio”, appositamente scelta in modo condiviso e per la quale si preveda anche una certa formazione. E non è poco: di fronte agli strumenti digitali vige normalmente il “fai da te”, come se tutti fossero in grado e abilitati a fare tutto, senza pensarci più di tanto.

La proposta, in questo caso, di una persona che si assume ed esercita un compito invita a riflettere tutti – non solo nelle scuole di Ravenna – su come agire con senso di responsabilità. Anche di fronte a una cosa “abituale” come una chat tra genitori. Verrebbe da dire, sorridendo: tornino a scuola anche loro.

Alberto Campoleoni

]]>
Quella dei nonni è una festa… perenne https://www.lavoce.it/nonni-festa/ Sat, 06 Oct 2018 08:00:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53074 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

È stata la Festa dei nonni, il 2 ottobre. Non so quanti avranno realmente festeggiato le persone che svolgono questo ruolo - perché quello del nonno non è un dato semplicemente anagrafico ma un vero e proprio ruolo sociale - e quanti invece, ignari della ricorrenza, avranno ‘dato per scontato’ che i propri genitori, anche in quella giornata, si occupassero dei nipoti, contribuissero alla spesa per pranzo e cena, o portassero a spasso il cane.

Al di là di ogni attività tipicamente ‘da nonno’, che va essenzialmente a sostegno e a conforto del nucleo familiare di appartenenza (e si sa quanto siano importanti, spesso decisivi, i contributi dei nonni per assicurarsi un livello di vita decoroso in questi anni difficili), la vera festa da tributare ai nonni è quella di riconoscere il loro contributo di esperienza e di saggezza.

Loro non sono pratici di ‘social’ e di internet, ma conoscono ogni piega della vita reale, sanno dove mettere le mani e i piedi, non alzano mai la voce e sanno dare il consiglio giusto senza intrufolarsi nelle vite di chi amano. Vi pare poco, in questi momenti così confusi e arruffati?

Chiedere consiglio ai nonni non è mai banale né superfluo. Se ne trae sempre giovamento, e per loro quella sì - è la vera festa: sentirsi utili.

]]>
lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

È stata la Festa dei nonni, il 2 ottobre. Non so quanti avranno realmente festeggiato le persone che svolgono questo ruolo - perché quello del nonno non è un dato semplicemente anagrafico ma un vero e proprio ruolo sociale - e quanti invece, ignari della ricorrenza, avranno ‘dato per scontato’ che i propri genitori, anche in quella giornata, si occupassero dei nipoti, contribuissero alla spesa per pranzo e cena, o portassero a spasso il cane.

Al di là di ogni attività tipicamente ‘da nonno’, che va essenzialmente a sostegno e a conforto del nucleo familiare di appartenenza (e si sa quanto siano importanti, spesso decisivi, i contributi dei nonni per assicurarsi un livello di vita decoroso in questi anni difficili), la vera festa da tributare ai nonni è quella di riconoscere il loro contributo di esperienza e di saggezza.

Loro non sono pratici di ‘social’ e di internet, ma conoscono ogni piega della vita reale, sanno dove mettere le mani e i piedi, non alzano mai la voce e sanno dare il consiglio giusto senza intrufolarsi nelle vite di chi amano. Vi pare poco, in questi momenti così confusi e arruffati?

Chiedere consiglio ai nonni non è mai banale né superfluo. Se ne trae sempre giovamento, e per loro quella sì - è la vera festa: sentirsi utili.

]]>
Parlare, ascoltare, per salvare altri Igor https://www.lavoce.it/per-salvare-altri-igor/ Wed, 19 Sep 2018 08:00:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52863 di Alberto Campoleoni

Igor Maj era un adolescente come tanti altri. Esuberante, pieno di vita, coraggioso. Uno scalatore, un climber, uno che affrontava la roccia – e il pericolo connesso – dopo essersi preparato. Di lui ricordano gli amici di famiglia: “Lo abbiamo visto crescere in falesia insieme ai genitori, e lo abbiamo visto diventare un giovane uomo che strizzava le prese come noi, e così lo vogliamo ricordare”.

Già, ricordare. Perché Igor Maj è morto nella sua stanza, soffocato da una di quelle corde che normalmente gli serviva per dare fiato alla sua passione, la roccia, e che invece gli ha tolto l’ultimo respiro. Suicidio, hanno detto all’inizio gli investigatori. Ma poi, piano piano, si è palesata una realtà ancora più inquietante: Igor sarebbe morto facendo un “gioco”, visto in Rete, coinvolto da una sfida online,Blackout”, che spinge a un’assurda gara tra chi resiste più a lungo in mancanza di ossigeno.

I genitori, infatti, hanno trovato un video, tra le ultime pagine web visitate, che autorizza a pensare come Igor sia rimasto intrappolato da un inganno in Rete. Viene da chiedersi come sia possibile una cosa del genere. Eppure il meccanismo della sfida, del mettersi alla prova fino al limite, dell’emulazione e della ricerca di approvazione da parte degli altri è cosa facile da trovare proprio negli adolescenti. In Rete, come nella realtà off-line. Lo raccontano gli psicologi, lo testimoniano tanti fatti di cronaca, magari finiti, fortunatamente, in maniera meno tragica di quello che ha coinvolto Igor.

Quanti ragazzi si spingono, ad esempio, a bere sempre di più, per vedere chi resiste? Magari fino al coma alcolico.

Il papà e la mamma di Igor hanno diffuso un appello a tutti i genitori: “Fate il più possibile per far capire hai vostri figli che possono sempre parlare con voi, qualunque stronzata gli venga in mente di fare devono saper trovare in voi una sponda, una guida che li aiuti a capire se e quali rischi non hanno valutato. Noi pensiamo di averlo sempre fatto con Igor, eppure non è bastato. Quindi cercate di fare ancora di più, perché tutti i ragazzi nella loro adolescenza saranno accompagnati dal senso di onnipotenza che se da una parte gli permette di affrontare il mondo, dall’altra può essere fatale”.

I ragazzi hanno bisogno di una sponda, di una corda – per tornare all’immagine dell’arrampicata tanto cara a Igor – che salvi la vita invece di toglierla. I genitori, certo, possono essere il primo riferimento, ma il più delle volte non basta.

Occorre una comunità intera che si faccia carico dell’accompagnamento educativo. Una comunità che comprende necessariamente la scuola, dove tra l’altro l’aspetto della formazione e dell’informazione può avere uno spazio decisivo. Soprattutto in rapporto a quella “vita digitale” di fronte alla quale tante famiglie sono o si sentono del tutto spiazzate.

Proprio la scuola può aiutare svelare i meccanismi del Web, decodificare la complessità del mondo virtuale che comprende un’infinità di contenuti buoni e terribili. Offrire delle competenze oggi più che mai necessarie. Una scommessa per la comunità scolastica – ed è una sfida più che mai attuale – è mettersi in gioco anche su questo terreno.

]]>
L’Associazione genitori in udienza da Papa Francesco per il 50° di fondazione https://www.lavoce.it/associazione-genitori-udienza-papa-francesco/ Wed, 12 Sep 2018 12:11:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52805 associazione genitori Papa

Compie mezzo secolo di vita l’Age (Associazione italiana genitori), che il 7 settembre è andata in udienza dal Papa. “Age - si legge sul sito dell’associazione - da 50 anni opera con i genitori e per i genitori; attraverso le Age locali, presenti in tutta Italia, vive e sostiene la genitorialità in tutti i suoi aspetti. Innanzi tutto sostenendo e formando i genitori nell’accoglienza come dono d’amore dei propri figli, nella promozione della loro dignità di persone, nel rispetto e valorizzazione delle loro differenze; quindi con la responsabilità della loro educazione alla vita e alla piena espressione delle loro potenzialità”.

Age concluderà ufficialmente i festeggiamenti con il convegno che si terrà nel marzo 2019. “Un bel traguardo! - ha commentato Papa Francesco. - E un’occasione preziosa per confermare le motivazioni del vostro impegno a favore della famiglia e dell’educazione: un impegno che portate avanti secondo i princìpi dell’etica cristiana, affinché la famiglia sia un soggetto sempre più riconosciuto e protagonista nella vita sociale. Molte delle vostre energie sono dedicate ad affiancare e sostenere i genitori nel loro compito educativo, specialmente in riferimento alla scuola, che da sempre costituisce il principale partner della famiglia nell’educazione dei figli.

COS’È L’AGE

L’ Age – Associazione italiana genitori – è nata nel 1968 per decisione di genitori, coordinati da Ennio Rosini, animati da un forte senso civico e da una grande passione a favore della famiglia, della scuola, dell’educazione. Oggi è una federazione di oltre 200 associazioni locali di genitori, rappresentative di tutte le Regioni italiane.

Le associazioni Age raccolgono gruppi di genitori che si ispirano all’etica cristiana e inoltre ai valori contenuti nella Costituzione italiana, e nelle Dichiarazioni internazionali dei diritti dell’uomo e del fanciullo.

L’associazione opera prevalentemente nella formazione dei genitori, negli organismi di partecipazione scolastica, nelle politiche della famiglia, dei media, dell’educazione, con il fine principale di promuovere quanto è necessario per il bene dei figli sotto il profilo sociale, culturale, etico, fisico e psicologico e di affiancare e sostenere i genitori nel loro difficile compito educativo.

Ciò che fate in questo campo è davvero meritorio. Oggi, infatti, quando si parla di alleanza educativa tra scuola e famiglia, se ne parla soprattutto per denunciare il suo venir meno: il patto educativo è in calo. La famiglia non apprezza più come un tempo il lavoro degli insegnanti, spesso mal pagati, e questi avvertono come una fastidiosa invadenza la presenza dei genitori nelle scuole, finendo per tenerli ai margini o considerarli avversari.

Per cambiare questa situazione, occorre che qualcuno faccia il primo passo, vincendo il timore dell’altro e tendendo la mano con generosità. Per questo vi invito a coltivare e alimentare sempre la fiducia nei confronti della scuola e degli insegnanti: senza di loro, rischiate di rimanere soli nella vostra azione educativa, e di essere sempre meno in grado di fronteggiare le nuove sfide educative che vengono dalla cultura contemporanea, dalla società, dai mass media, dalle nuove tecnologie”.

Ha quindi soggiunto: “Contribuire a eliminare la solitudine educativa delle famiglie è compito anche della Chiesa, che vi invito a sentire sempre al vostro fianco nella missione di educare i vostri figli e di rendere tutta la società un luogo a misura di famiglia, affinché ogni persona sia accolta, accompagnata, orientata verso i veri valori e messa in grado di dare il meglio di sé per la crescita comune. Avete dunque una doppia forza: quella che vi deriva dall’essere associazione, ossia persone che si uniscono non contro qualcuno ma per il bene di tutti, e la forza che ricevete dal vostro legame con la comunità cristiana, in cui trovate ispirazione, fiducia, sostegno”.

E ha concluso: “Cari genitori, i figli sono il dono più prezioso che avete ricevuto. Sappiatelo custodire con impegno e generosità, lasciando a essi la libertà necessaria per crescere e maturare come persone a loro volta capaci, un giorno, di aprirsi al dono della vita. Insegnare ai vostri figli il discernimento morale, il discernimento etico: questo è buono, questo non è tanto buono, e questo è cattivo. Che loro sappiano distinguere. Ma questo si impara a casa e si impara a scuola: congiuntamente, tutte e due”.

]]>
associazione genitori Papa

Compie mezzo secolo di vita l’Age (Associazione italiana genitori), che il 7 settembre è andata in udienza dal Papa. “Age - si legge sul sito dell’associazione - da 50 anni opera con i genitori e per i genitori; attraverso le Age locali, presenti in tutta Italia, vive e sostiene la genitorialità in tutti i suoi aspetti. Innanzi tutto sostenendo e formando i genitori nell’accoglienza come dono d’amore dei propri figli, nella promozione della loro dignità di persone, nel rispetto e valorizzazione delle loro differenze; quindi con la responsabilità della loro educazione alla vita e alla piena espressione delle loro potenzialità”.

Age concluderà ufficialmente i festeggiamenti con il convegno che si terrà nel marzo 2019. “Un bel traguardo! - ha commentato Papa Francesco. - E un’occasione preziosa per confermare le motivazioni del vostro impegno a favore della famiglia e dell’educazione: un impegno che portate avanti secondo i princìpi dell’etica cristiana, affinché la famiglia sia un soggetto sempre più riconosciuto e protagonista nella vita sociale. Molte delle vostre energie sono dedicate ad affiancare e sostenere i genitori nel loro compito educativo, specialmente in riferimento alla scuola, che da sempre costituisce il principale partner della famiglia nell’educazione dei figli.

COS’È L’AGE

L’ Age – Associazione italiana genitori – è nata nel 1968 per decisione di genitori, coordinati da Ennio Rosini, animati da un forte senso civico e da una grande passione a favore della famiglia, della scuola, dell’educazione. Oggi è una federazione di oltre 200 associazioni locali di genitori, rappresentative di tutte le Regioni italiane.

Le associazioni Age raccolgono gruppi di genitori che si ispirano all’etica cristiana e inoltre ai valori contenuti nella Costituzione italiana, e nelle Dichiarazioni internazionali dei diritti dell’uomo e del fanciullo.

L’associazione opera prevalentemente nella formazione dei genitori, negli organismi di partecipazione scolastica, nelle politiche della famiglia, dei media, dell’educazione, con il fine principale di promuovere quanto è necessario per il bene dei figli sotto il profilo sociale, culturale, etico, fisico e psicologico e di affiancare e sostenere i genitori nel loro difficile compito educativo.

Ciò che fate in questo campo è davvero meritorio. Oggi, infatti, quando si parla di alleanza educativa tra scuola e famiglia, se ne parla soprattutto per denunciare il suo venir meno: il patto educativo è in calo. La famiglia non apprezza più come un tempo il lavoro degli insegnanti, spesso mal pagati, e questi avvertono come una fastidiosa invadenza la presenza dei genitori nelle scuole, finendo per tenerli ai margini o considerarli avversari.

Per cambiare questa situazione, occorre che qualcuno faccia il primo passo, vincendo il timore dell’altro e tendendo la mano con generosità. Per questo vi invito a coltivare e alimentare sempre la fiducia nei confronti della scuola e degli insegnanti: senza di loro, rischiate di rimanere soli nella vostra azione educativa, e di essere sempre meno in grado di fronteggiare le nuove sfide educative che vengono dalla cultura contemporanea, dalla società, dai mass media, dalle nuove tecnologie”.

Ha quindi soggiunto: “Contribuire a eliminare la solitudine educativa delle famiglie è compito anche della Chiesa, che vi invito a sentire sempre al vostro fianco nella missione di educare i vostri figli e di rendere tutta la società un luogo a misura di famiglia, affinché ogni persona sia accolta, accompagnata, orientata verso i veri valori e messa in grado di dare il meglio di sé per la crescita comune. Avete dunque una doppia forza: quella che vi deriva dall’essere associazione, ossia persone che si uniscono non contro qualcuno ma per il bene di tutti, e la forza che ricevete dal vostro legame con la comunità cristiana, in cui trovate ispirazione, fiducia, sostegno”.

E ha concluso: “Cari genitori, i figli sono il dono più prezioso che avete ricevuto. Sappiatelo custodire con impegno e generosità, lasciando a essi la libertà necessaria per crescere e maturare come persone a loro volta capaci, un giorno, di aprirsi al dono della vita. Insegnare ai vostri figli il discernimento morale, il discernimento etico: questo è buono, questo non è tanto buono, e questo è cattivo. Che loro sappiano distinguere. Ma questo si impara a casa e si impara a scuola: congiuntamente, tutte e due”.

]]>
Torna Professione Mamma: le novità su Umbria Radio https://www.lavoce.it/torna-professione-mamma-le-novita-umbria-radio/ Tue, 05 Jun 2018 11:05:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52029

In internet è un proliferare di blog e siti dedicati alla maternità e alle professionalità delle mamme. Una realtà virtuale che offre informazioni ma che manca di un aspetto fondamentale: l’incontro. Lo sguardo e il contatto fisico sono fondamentali per un giusto scambio e per recuperare la socialità tipica della ‘piazza’, oggi soppiantata dai social network. Questo è l’obiettivo di ‘Professione Mamma’, evento alla sua quarta edizione, organizzato dall’associazione nazionale Famiglie Numerose, in programma nel chiostro della Basilica di San Pietro a Perugia, domenica 17 giugno dalle 10 alle 19. Una ‘fiera’ con una quarantina di stand dedicati ai vari mestieri che una madre si trova ad affrontare nella quotidianità della vita familiare, ma anche spazi gestiti da associazioni che si occupano di coppia e relazione con i figli. Il comitato organizzatore di Professione Mamma sarà ospite del programma radiofonico Il tè delle mamme di Umbria Radio, mercoledì 30 maggio, 6 e 13 giugno alle 17.35 per svelare tutte le novità dell’edizione 2018 come lo spazio dedicato ai papà. Le trasmissioni si possono riascoltare in podcast (www.umbriaradio.it).]]>

In internet è un proliferare di blog e siti dedicati alla maternità e alle professionalità delle mamme. Una realtà virtuale che offre informazioni ma che manca di un aspetto fondamentale: l’incontro. Lo sguardo e il contatto fisico sono fondamentali per un giusto scambio e per recuperare la socialità tipica della ‘piazza’, oggi soppiantata dai social network. Questo è l’obiettivo di ‘Professione Mamma’, evento alla sua quarta edizione, organizzato dall’associazione nazionale Famiglie Numerose, in programma nel chiostro della Basilica di San Pietro a Perugia, domenica 17 giugno dalle 10 alle 19. Una ‘fiera’ con una quarantina di stand dedicati ai vari mestieri che una madre si trova ad affrontare nella quotidianità della vita familiare, ma anche spazi gestiti da associazioni che si occupano di coppia e relazione con i figli. Il comitato organizzatore di Professione Mamma sarà ospite del programma radiofonico Il tè delle mamme di Umbria Radio, mercoledì 30 maggio, 6 e 13 giugno alle 17.35 per svelare tutte le novità dell’edizione 2018 come lo spazio dedicato ai papà. Le trasmissioni si possono riascoltare in podcast (www.umbriaradio.it).]]>
Associazione M’ama. Mamme “matte” per bambini speciali https://www.lavoce.it/associazione-mama-mamme-matte-bambini-speciali/ Thu, 03 May 2018 13:51:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51801

“Difficilmente collocabili”: sono chiamati così dagli addetti ai lavori quei bambini o minori che, per problemi legati alla loro storia, a traumi subiti o a disabilità cognitive e fisiche, trovandosi senza genitori o a seguito di un provvedimento di allontanamento dalla famiglia di origine, non riescono a trovare figure genitoriali disposti ad accoglierli. A tutti questi bimbi da qualche anno pensano le “mamme matte” dell’associazione M’ama – Dalla parte dei bambini. “La frase che ci viene rivolta più di frequente è: ‘voi siete matte, non troverete mai una famiglia per questo bambino’. Così abbiamo pensato che questo appellativo fosse perfetto per noi! Siamo un gruppo di mamme biologiche, adottive e affidatarie impegnate anche professionalmente nel sociale e crediamo fermamente che per ogni bambino ‘speciale’ esista una famiglia pronta ad accoglierlo, pur con la sua disabilità o col suo passato difficile alle spalle. Sembriamo matte perché può essere difficile, ma non è impossibile: nell’ultimo anno abbiamo trovato una famiglia per 45 minori ritenuti difficilmente collocabili” racconta a La Voce la dott.sa Emilia Russo, avvocato e socia fondatrice della M’ama insieme ad altre tre mamme. L’associazione ha la sua sede legale a Roma, ma i suoi associati sono presenti anche in Umbria, Lombardia e Veneto, “siamo però disponibili ad accettare casi provenienti da qualsiasi Comune d’Italia”, spiega Russo. Come operano dunque queste “mamme matte”? “Siamo in contatto con i vari tribunali dei minori e troviamo le famiglie soprattutto tramite appelli in internet, dal nostro sito (www.mammematte.com) o dalla nostra pagina Facebook. Continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce.

Adozione e affido Adozione e affidamento sono due provvedimenti molto diversi sia per presupposti che per obiettivi. Sono regolati dalla legge 184 del 4/05/1983, aggiornata l’ultima volta con la legge 173 del 19/10/2015. Vediamo le principali differenze. Con l’ adozione una coppia può riconoscere come figlio legittimo un soggetto rimasto senza i genitori naturali, o che non sia stato riconosciuto da questi, o che si trovi in stato di abbandono. Gli adottanti devono essere uniti in matrimonio da almeno tre anni o dimostrare di aver convissuto prima del matrimonio per almeno tre anni, devono avere una differenza d’età con l’adottato compresa tra i 18 e i 45 anni, e devono essere stati dichiarati idonei da parte del Tribunale dei minori dopo una verifica del Servizio sociale. Con l’adozione, il minore assume il cognome dei genitori adottivi e cessano tutti i rapporti con i genitori naturali, nel caso esistano. L’ affidamento è un provvedimento temporaneo attraverso il quale un minore in difficoltà viene accolto presso una famiglia in grado di prendersene cura. Possono essere affidatarie coppie sposate o conviventi, ma anche persone singole. Non sono previsti limiti rispetto alla differenza d’età tra minore e affidatari, inoltre i genitori affidatari devono garantire i contatti con la famiglia di origine nei tempi e modi stabiliti dal Tribunale, in accordo con i Servizi sociali.

]]>

“Difficilmente collocabili”: sono chiamati così dagli addetti ai lavori quei bambini o minori che, per problemi legati alla loro storia, a traumi subiti o a disabilità cognitive e fisiche, trovandosi senza genitori o a seguito di un provvedimento di allontanamento dalla famiglia di origine, non riescono a trovare figure genitoriali disposti ad accoglierli. A tutti questi bimbi da qualche anno pensano le “mamme matte” dell’associazione M’ama – Dalla parte dei bambini. “La frase che ci viene rivolta più di frequente è: ‘voi siete matte, non troverete mai una famiglia per questo bambino’. Così abbiamo pensato che questo appellativo fosse perfetto per noi! Siamo un gruppo di mamme biologiche, adottive e affidatarie impegnate anche professionalmente nel sociale e crediamo fermamente che per ogni bambino ‘speciale’ esista una famiglia pronta ad accoglierlo, pur con la sua disabilità o col suo passato difficile alle spalle. Sembriamo matte perché può essere difficile, ma non è impossibile: nell’ultimo anno abbiamo trovato una famiglia per 45 minori ritenuti difficilmente collocabili” racconta a La Voce la dott.sa Emilia Russo, avvocato e socia fondatrice della M’ama insieme ad altre tre mamme. L’associazione ha la sua sede legale a Roma, ma i suoi associati sono presenti anche in Umbria, Lombardia e Veneto, “siamo però disponibili ad accettare casi provenienti da qualsiasi Comune d’Italia”, spiega Russo. Come operano dunque queste “mamme matte”? “Siamo in contatto con i vari tribunali dei minori e troviamo le famiglie soprattutto tramite appelli in internet, dal nostro sito (www.mammematte.com) o dalla nostra pagina Facebook. Continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce.

Adozione e affido Adozione e affidamento sono due provvedimenti molto diversi sia per presupposti che per obiettivi. Sono regolati dalla legge 184 del 4/05/1983, aggiornata l’ultima volta con la legge 173 del 19/10/2015. Vediamo le principali differenze. Con l’ adozione una coppia può riconoscere come figlio legittimo un soggetto rimasto senza i genitori naturali, o che non sia stato riconosciuto da questi, o che si trovi in stato di abbandono. Gli adottanti devono essere uniti in matrimonio da almeno tre anni o dimostrare di aver convissuto prima del matrimonio per almeno tre anni, devono avere una differenza d’età con l’adottato compresa tra i 18 e i 45 anni, e devono essere stati dichiarati idonei da parte del Tribunale dei minori dopo una verifica del Servizio sociale. Con l’adozione, il minore assume il cognome dei genitori adottivi e cessano tutti i rapporti con i genitori naturali, nel caso esistano. L’ affidamento è un provvedimento temporaneo attraverso il quale un minore in difficoltà viene accolto presso una famiglia in grado di prendersene cura. Possono essere affidatarie coppie sposate o conviventi, ma anche persone singole. Non sono previsti limiti rispetto alla differenza d’età tra minore e affidatari, inoltre i genitori affidatari devono garantire i contatti con la famiglia di origine nei tempi e modi stabiliti dal Tribunale, in accordo con i Servizi sociali.

]]>
Figli di due padri o di due madri https://www.lavoce.it/figli-due-padri-due-madri/ https://www.lavoce.it/figli-due-padri-due-madri/#comments Thu, 03 May 2018 07:00:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51796

Tre casi in pochi giorni. Bimbi riconosciuti come figli di due madri, come a Torino, oppure di due padri, come a Roma e a Gabicce (Pesaro). A rendere possibile ciò che non è previsto né dalla natura né dalla legge ci pensano le Anagrafi dei Comuni. Così a Torino un bimbo concepito con fecondazione eterologa in Danimarca e nato in Italia ha due mamme, a Roma una piccola nata in Canada tramite la maternità surrogata ha due padri, in provincia di Pesaro due gemellini nati negli Stati uniti, sempre grazie all’utero in affitto, sono oggi “figli” a tutti gli effetti di una coppia di due uomini uniti civilmente. Secondo il diritto internazionale l'Italia è obbligata a riconoscere ogni atto di stato civile validamente rilasciato da un altro Paese, a condizione che questo documento non sia contrario all'ordine pubblico. Lo scorso febbraio la Corte d’appello di Roma ha confermato che il riconoscimento canadese non lo è, mentre è atteso il pronunciamento della Corte di Cassazione su una analoga precedente sentenza della Corte d’appello di Trento. Non mancano insomma contrasti interpretativi e interrogativi sui rischi di queste procedure. Ne abbiamo parlato con Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale e uno dei più autorevoli giuristi italiani. “L’atto di nascita ‘confezionato’ dall’ufficiale dello stato civile italiano – premette il giurista - non prevede la possibilità che sia dichiarata una doppia paternità o una doppia maternità. L’impostazione del nostro sistema, orientata all’elemento naturale, prevede per l’atto di nascita un padre e una madre, non altre possibilità”. Di qui il tentativo di aggirare l’ostacolo con il ricorso alla trascrizione nei registri dello stato civile italiano di un atto di nascita redatto all’estero che però, avverte Mirabelli, “contrasta con il nostro ordine pubblico” perché “allo stato, il nucleo essenziale delle leggi italiane inderogabili per il nostro ordinamento non prevede, anzi esclude, questo tipo di riconoscimento”. Il giurista ravvisa un “elemento di forzatura della legislazione dal punto di vista giurisprudenziale nel richiamo all'interesse del minore ad avere riconosciuta una situazione di fatto creatasi”. Tuttavia, chiarisce, “anche aderendo a questa impostazione non può essere un atto autonomo dell’amministrazione che è tenuta a rispettare le leggi, né può sollevare questioni di legittimità costituzionale. Può eseguire l’ordine del giudice ma non può compiere autonomamente scelte di questo tipo, né lo possono fare autonomamente i Comuni perché lo stato civile è un'attività di competenza statale delegata ai Comuni che esercitano funzioni statali”. Mirabelli non ha dubbi: “Dal punto di vista formale, attualmente la trascrizione di questi atti urta contro un principio di ordine pubblico; dal punto di vista sostanziale è l’ultimo approdo di una pretesa di genitorialità da parte di coppie dello stesso sesso. Dal punto di vista biologico non esiste una possibilità di nascita da persone dello stesso sesso: si tratta pertanto di una sovrapposizione legal-fittizia alla situazione reale”. Di qui l’interrogativo: “Come si potrebbe soddisfare l’esigenza di protezione del minore quando si è creata una situazione di fatto consolidata? Attribuendo anche all’altro soggetto i doveri di provvedere all’educazione, al mantenimento, alla rappresentanza del bambino attraverso le forme dell’adozione, ma anche questa – osserva - sarebbe una strada rischiosa”. Per il giurista occorre tuttavia andare a monte perché “il vero interrogativo di fondo è: qual è il reale interesse del minore? Dare soddisfazione all’interesse di adulti di avere un bambino da chiamare figlio, oppure nascere da un papà e una mamma che hanno secondo l’esperienza comune diverse sensibilità e sono figure differenti e complementari nelle modalità educative, espressive, affettive?”. “Al di là di una valutazione legislativa per vietare, approvare, regolare questa pratica occorre una profonda riflessione antropologica perché non si verifichi un atto di egoismo, una vittoria del dominio sugli altri”. Il giurista ricorda che la pratica dell’utero in affitto comporta “il rischio di una commercializzazione camuffata sotto la formula indennizzo o rimborso spese e manifesta una forma di dominio del più forte sul più debole”. “La domanda da porsi – insiste - è se tutto questo sia realmente nell’interesse del minore, se lo tuteli realmente oppure se non esprima l’egoismo degli adulti attraverso un presunto e preteso diritto ad avere un bambino a tutti i costi”. “A suo tempo – ricorda - la Corte costituzionale si è pronunciata sulla Legge 40 e sulla fecondazione eterologa. Dal punto di vista penale la maternità surrogata non è ammessa dal nostro ordinamento, ma assistiamo a fenomeni di globalizzazione che diffondono pratiche ovunque e comunque. Uno tra tutte la donazione di organi che diventa commercio, o sottrazione; una vendita camuffata attraverso formule indennitarie, pur essendo una forma di violenza sull’adulto. La maternità surrogata non potrebbe configurarsi anche come una forma di violenza sul nascituro? “Molte – conclude – le domande aperte. Non escludo ci possa essere anche nelle convivenze tra persone dello stesso sesso una capacità di attenzione e responsabilità nei confronti di un minore, di educazione, mantenimento, rappresentanza dei suoi interessi, ma questa 'imitazione' della natura deve essere necessariamente qualificata come genitorialità naturale?”.]]>

Tre casi in pochi giorni. Bimbi riconosciuti come figli di due madri, come a Torino, oppure di due padri, come a Roma e a Gabicce (Pesaro). A rendere possibile ciò che non è previsto né dalla natura né dalla legge ci pensano le Anagrafi dei Comuni. Così a Torino un bimbo concepito con fecondazione eterologa in Danimarca e nato in Italia ha due mamme, a Roma una piccola nata in Canada tramite la maternità surrogata ha due padri, in provincia di Pesaro due gemellini nati negli Stati uniti, sempre grazie all’utero in affitto, sono oggi “figli” a tutti gli effetti di una coppia di due uomini uniti civilmente. Secondo il diritto internazionale l'Italia è obbligata a riconoscere ogni atto di stato civile validamente rilasciato da un altro Paese, a condizione che questo documento non sia contrario all'ordine pubblico. Lo scorso febbraio la Corte d’appello di Roma ha confermato che il riconoscimento canadese non lo è, mentre è atteso il pronunciamento della Corte di Cassazione su una analoga precedente sentenza della Corte d’appello di Trento. Non mancano insomma contrasti interpretativi e interrogativi sui rischi di queste procedure. Ne abbiamo parlato con Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale e uno dei più autorevoli giuristi italiani. “L’atto di nascita ‘confezionato’ dall’ufficiale dello stato civile italiano – premette il giurista - non prevede la possibilità che sia dichiarata una doppia paternità o una doppia maternità. L’impostazione del nostro sistema, orientata all’elemento naturale, prevede per l’atto di nascita un padre e una madre, non altre possibilità”. Di qui il tentativo di aggirare l’ostacolo con il ricorso alla trascrizione nei registri dello stato civile italiano di un atto di nascita redatto all’estero che però, avverte Mirabelli, “contrasta con il nostro ordine pubblico” perché “allo stato, il nucleo essenziale delle leggi italiane inderogabili per il nostro ordinamento non prevede, anzi esclude, questo tipo di riconoscimento”. Il giurista ravvisa un “elemento di forzatura della legislazione dal punto di vista giurisprudenziale nel richiamo all'interesse del minore ad avere riconosciuta una situazione di fatto creatasi”. Tuttavia, chiarisce, “anche aderendo a questa impostazione non può essere un atto autonomo dell’amministrazione che è tenuta a rispettare le leggi, né può sollevare questioni di legittimità costituzionale. Può eseguire l’ordine del giudice ma non può compiere autonomamente scelte di questo tipo, né lo possono fare autonomamente i Comuni perché lo stato civile è un'attività di competenza statale delegata ai Comuni che esercitano funzioni statali”. Mirabelli non ha dubbi: “Dal punto di vista formale, attualmente la trascrizione di questi atti urta contro un principio di ordine pubblico; dal punto di vista sostanziale è l’ultimo approdo di una pretesa di genitorialità da parte di coppie dello stesso sesso. Dal punto di vista biologico non esiste una possibilità di nascita da persone dello stesso sesso: si tratta pertanto di una sovrapposizione legal-fittizia alla situazione reale”. Di qui l’interrogativo: “Come si potrebbe soddisfare l’esigenza di protezione del minore quando si è creata una situazione di fatto consolidata? Attribuendo anche all’altro soggetto i doveri di provvedere all’educazione, al mantenimento, alla rappresentanza del bambino attraverso le forme dell’adozione, ma anche questa – osserva - sarebbe una strada rischiosa”. Per il giurista occorre tuttavia andare a monte perché “il vero interrogativo di fondo è: qual è il reale interesse del minore? Dare soddisfazione all’interesse di adulti di avere un bambino da chiamare figlio, oppure nascere da un papà e una mamma che hanno secondo l’esperienza comune diverse sensibilità e sono figure differenti e complementari nelle modalità educative, espressive, affettive?”. “Al di là di una valutazione legislativa per vietare, approvare, regolare questa pratica occorre una profonda riflessione antropologica perché non si verifichi un atto di egoismo, una vittoria del dominio sugli altri”. Il giurista ricorda che la pratica dell’utero in affitto comporta “il rischio di una commercializzazione camuffata sotto la formula indennizzo o rimborso spese e manifesta una forma di dominio del più forte sul più debole”. “La domanda da porsi – insiste - è se tutto questo sia realmente nell’interesse del minore, se lo tuteli realmente oppure se non esprima l’egoismo degli adulti attraverso un presunto e preteso diritto ad avere un bambino a tutti i costi”. “A suo tempo – ricorda - la Corte costituzionale si è pronunciata sulla Legge 40 e sulla fecondazione eterologa. Dal punto di vista penale la maternità surrogata non è ammessa dal nostro ordinamento, ma assistiamo a fenomeni di globalizzazione che diffondono pratiche ovunque e comunque. Uno tra tutte la donazione di organi che diventa commercio, o sottrazione; una vendita camuffata attraverso formule indennitarie, pur essendo una forma di violenza sull’adulto. La maternità surrogata non potrebbe configurarsi anche come una forma di violenza sul nascituro? “Molte – conclude – le domande aperte. Non escludo ci possa essere anche nelle convivenze tra persone dello stesso sesso una capacità di attenzione e responsabilità nei confronti di un minore, di educazione, mantenimento, rappresentanza dei suoi interessi, ma questa 'imitazione' della natura deve essere necessariamente qualificata come genitorialità naturale?”.]]>
https://www.lavoce.it/figli-due-padri-due-madri/feed/ 1
Padri che allo stadio portano i propri figli…e i propri difetti https://www.lavoce.it/padri-allo-stadio-portano-propri-figli-propri-difetti/ Mon, 16 Apr 2018 08:00:18 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51647 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini “Spaccagli le gambe!”, ha urlato il padre al figlio di 12 anni impegnato in una partita di calcio della categoria Esordienti in un campetto del Piemonte. Sentito lo ‘sportivissimo’ incitamento, l’allenatore della squadra del possibile traumatizzato ha fatto interrompere la gara ed ha portato via i suoi calciatori. Scelta prudente, che fa ritenere notevole la distanza tra la concezione del calcio e dello sport dei due uomini in questione. Diverso l’atteggiamento dell’allenatore dell’altra compagine: “Avremmo dovuto continuare a giocare, e far allontanare i genitori dagli spalti”. Già, i genitori: per carità, da apprezzare il fatto che impegnino il proprio tempo libero per seguire i figli nello sport, magari ritenendolo strumento privilegiato per consentire ai propri pargoli di crescere in disciplina e rispetto del prossimo. Ma sono spesso questi stessi genitori - il caso del Piemonte non è il primo, e non sarà l’ultimo a importare nel mondo dello sport quelle stesse logiche e atteggiamenti da cui dovrebbero tener lontani i propri figli. Logiche e atteggiamenti di prevaricazione, di disprezzo dell’avversario di turno, di furbizia e sottrazione alle regole. Viene da pensare allora che, soprattutto il calcio, nella società che osanna il guadagno consistente conseguito nel minor tempo possibile, possa essere considerato da qualche genitore, che intravede nel proprio figlio una particolare inclinazione a questo sport, come mezzo per riscattarsi lui, il genitore - da una vita non proprio ricca di soddisfazioni. Fosse così. Povero calcio. E poveri figli.  ]]>
lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini “Spaccagli le gambe!”, ha urlato il padre al figlio di 12 anni impegnato in una partita di calcio della categoria Esordienti in un campetto del Piemonte. Sentito lo ‘sportivissimo’ incitamento, l’allenatore della squadra del possibile traumatizzato ha fatto interrompere la gara ed ha portato via i suoi calciatori. Scelta prudente, che fa ritenere notevole la distanza tra la concezione del calcio e dello sport dei due uomini in questione. Diverso l’atteggiamento dell’allenatore dell’altra compagine: “Avremmo dovuto continuare a giocare, e far allontanare i genitori dagli spalti”. Già, i genitori: per carità, da apprezzare il fatto che impegnino il proprio tempo libero per seguire i figli nello sport, magari ritenendolo strumento privilegiato per consentire ai propri pargoli di crescere in disciplina e rispetto del prossimo. Ma sono spesso questi stessi genitori - il caso del Piemonte non è il primo, e non sarà l’ultimo a importare nel mondo dello sport quelle stesse logiche e atteggiamenti da cui dovrebbero tener lontani i propri figli. Logiche e atteggiamenti di prevaricazione, di disprezzo dell’avversario di turno, di furbizia e sottrazione alle regole. Viene da pensare allora che, soprattutto il calcio, nella società che osanna il guadagno consistente conseguito nel minor tempo possibile, possa essere considerato da qualche genitore, che intravede nel proprio figlio una particolare inclinazione a questo sport, come mezzo per riscattarsi lui, il genitore - da una vita non proprio ricca di soddisfazioni. Fosse così. Povero calcio. E poveri figli.  ]]>
Genitori e scuola: pericolosa perdita di credibilità https://www.lavoce.it/genitori-scuola-pericolosa-perdita-credibilita/ Sun, 26 Nov 2017 11:57:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50657 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Mia madre, da piccolina, stava giocando con la sua cuginetta preferita. Questa fa qualcosa di sbagliato e la mamma le dà un ceffone; la cuginetta piange. Arriva mia nonna e, per una sorta di ‘par condicio’ educativa e a prescindere, assesta una sberla anche a mia madre, dicendole: “Piangi anche tu”. Me l’ha raccontata diverse volte, questa storia, quando discutiamo di differenze educative tra i genitori di una volta e quelli di oggi. Quelli che, in quantità rilevante rispetto alla totalità al liceo Virgilio di Roma, hanno difeso strenuamente e senza avanzare un minimo di dubbio il comportamento dei propri figli. Tutto questo dopo filmati - finiti in Rete - di sesso consumato tra i banchi, consumo di sostanze stupefacenti alla luce del sole e persino una bomba carta lanciata in cortile. La preside ha provato, senza successo, a farsi sentire, perfino chiamando i carabinieri: adesso gran parte dei genitori di questo liceo della buona borghesia romana chiede che i propri figli vengano trasferiti in scuole più ‘tranquille’. È una soluzione che non risolve il problema: che è quello, credo, di una condizione genitoriale in crisi d’identità, in parallelo con la perdita di autorità delle istituzioni scolastiche, in una fase storica e sociale in cui i tradizionali punti di riferimento stanno, tutti, pagando un prezzo altissimo sull’altare della messa in discussione di qualsiasi tipo di autorità. La parola chiave, per tutti, sembra essere diventata ‘credibilità’; mentre tutti coloro che vogliono scalare posizioni hanno individuato proprio nella messa in discussione della credibilità altrui il modo per farlo nella maniera più veloce ed efficace. In mezzo a questo pericoloso e autolesionistico scontro, le nuove generazioni rischiano di essere lasciate andare alla deriva. Certo, dall’epoca in cui i maestri elementari diventavano a tutti gli effetti il “terzo genitore” dei ragazzi, tempo ne è passato tanto. E tanti sono stati i ricorsi al Tar dei genitori contro le bocciature.

Fermiamo questa spirale, prima che i nostri ragazzi ne paghino conseguenze troppo pesanti. E con loro, tutti noi.

]]>
lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Mia madre, da piccolina, stava giocando con la sua cuginetta preferita. Questa fa qualcosa di sbagliato e la mamma le dà un ceffone; la cuginetta piange. Arriva mia nonna e, per una sorta di ‘par condicio’ educativa e a prescindere, assesta una sberla anche a mia madre, dicendole: “Piangi anche tu”. Me l’ha raccontata diverse volte, questa storia, quando discutiamo di differenze educative tra i genitori di una volta e quelli di oggi. Quelli che, in quantità rilevante rispetto alla totalità al liceo Virgilio di Roma, hanno difeso strenuamente e senza avanzare un minimo di dubbio il comportamento dei propri figli. Tutto questo dopo filmati - finiti in Rete - di sesso consumato tra i banchi, consumo di sostanze stupefacenti alla luce del sole e persino una bomba carta lanciata in cortile. La preside ha provato, senza successo, a farsi sentire, perfino chiamando i carabinieri: adesso gran parte dei genitori di questo liceo della buona borghesia romana chiede che i propri figli vengano trasferiti in scuole più ‘tranquille’. È una soluzione che non risolve il problema: che è quello, credo, di una condizione genitoriale in crisi d’identità, in parallelo con la perdita di autorità delle istituzioni scolastiche, in una fase storica e sociale in cui i tradizionali punti di riferimento stanno, tutti, pagando un prezzo altissimo sull’altare della messa in discussione di qualsiasi tipo di autorità. La parola chiave, per tutti, sembra essere diventata ‘credibilità’; mentre tutti coloro che vogliono scalare posizioni hanno individuato proprio nella messa in discussione della credibilità altrui il modo per farlo nella maniera più veloce ed efficace. In mezzo a questo pericoloso e autolesionistico scontro, le nuove generazioni rischiano di essere lasciate andare alla deriva. Certo, dall’epoca in cui i maestri elementari diventavano a tutti gli effetti il “terzo genitore” dei ragazzi, tempo ne è passato tanto. E tanti sono stati i ricorsi al Tar dei genitori contro le bocciature.

Fermiamo questa spirale, prima che i nostri ragazzi ne paghino conseguenze troppo pesanti. E con loro, tutti noi.

]]>
Scuola. Il messaggio del cardinale Bassetti all’inizio dell’anno https://www.lavoce.it/scuola-il-messaggio-del-cardinale-bassetti-allinizio-dellanno/ Thu, 14 Sep 2017 15:51:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=49988

Pubblichiamo qui di seguito il messaggio del card. Bassetti a studenti, insegnanti e genitori, per la scuola pubblica e quella paritaria. "Carissimi studenti, docenti e personale della scuola, carissimi genitori, invio questo messaggio augurale dopo aver incontrato tanti di voi nel corso dei quattro anni della visita pastorale recentemente conclusa: abbiamo trascorso del tempo insieme nel dialogo, nella condivisione di esperienze e attese, nella consapevolezza delle difficoltà e delle gioie presenti in ogni scuola. Accompagno il presente messaggio con il documento elaborato alla fine della Settimana della Scuola, che ho giudicato opportuno consegnare in questa significativa circostanza. Conservo nel cuore i vostri volti e per questo ho desiderato inviarvi poche parole di amicizia e di incoraggiamento all’inizio del nuovo anno scolastico, anche perché – a Dio piacendo – ho intenzione di proseguire il cammino iniziato, recandomi prossimamente in quegli istituti che non ho potuto visitare, soprattutto nella città di Perugia. Inoltre, vi do fin d’ora appuntamento alla prossima Settimana della Scuola, che si terrà dal 5 all’11 marzo 2018. L'esempio di don Lorenzo Milani Papa Francesco, parlando da Barbiana, cioè dalla piccola scuola di un grande prete e maestro, don Lorenzo Milani, ha detto che la cosa essenziale da insegnare e da apprendere “è la crescita di una coscienza libera, capace di confrontarsi con la realtà e di orientarsi in essa guidata dall’amore, dalla voglia di compromettersi con gli altri, di farsi carico delle loro fatiche e ferite, di rifuggire da ogni egoismo per servire il bene comune”. Per raggiungere tale obiettivo è certamente necessario applicarsi nella docenza e nello studio delle diverse materie, come anche offrire una buona organizzazione della vita scolastica. Occorre soprattutto, però, coinvolgersi con le persone che condividono il medesimo cammino di crescita, perché la “disciplina” della libertà e dell’impegno solidale si apprende principalmente nelle relazioni che animano la comunità scolastica. Dove tutti sono insegnanti e tutti sono allievi, perché solo insieme è possibile educarsi, pur nella diversità dei ruoli e delle competenze, a crescere come persone mature e responsabili. La capacità di accogliere l’altro e di decidere di fare del proprio meglio per il bene comune ha nella scuola una formidabile palestra, soprattutto in questa stagione, che vede crescere in modo più rilevante proprio nelle nostre classi la percentuale di studenti immigrati di prima, seconda e persino terza generazione. Vivete quindi l’esperienza della scuola come quella di una grande comunità, in cui tutti – senza eccezioni – possono e devono dare il proprio contributo di sapienza e di umanità. Il futuro del nostro Paese, il suo sviluppo armonico e la custodia del suo territorio, come la concordia del corpo sociale, si costruiscono a scuola, grazie all’impegno di tutti. Che non manchi, dunque, l’apporto di alcuno alla grande famiglia della scuola e, anzi, tutti siano incoraggiati a condividere le proprie idee ed esperienze, perché l’apprendimento del sapere risulti significativo per l’esistenza. Saluti e incoraggiamenti Desidero rivolgere un particolare saluto e incoraggiamento ai cari insegnanti di religione cattolica e alle associazioni cattoliche di docenti e di genitori, che nella scuola dello Stato sono fermento di presenza cristiana, affinché possano dare buona testimonianza di come il pensiero religioso e la persona dei credenti siano preziose per l’opera educativa degli istituti in cui operano. Un caloroso augurio, infine, alle scuole paritarie cattoliche, che portano avanti la loro missione tra crescenti difficoltà, con l’auspicio che sia sempre più compresa nella società e nelle istituzioni l’importanza di un’educazione libera e pluralista. La Madonne delle Grazie, così venerata nella città di Perugia e nella Diocesi, accompagni con la sua materna intercessione il cammino dell’anno scolastico 2017-2018. VI saluto con amicizia e di cuore vi benedico". Perugia, 12 settembre 2017 Festa della Madonna delle Grazie    ]]>

Pubblichiamo qui di seguito il messaggio del card. Bassetti a studenti, insegnanti e genitori, per la scuola pubblica e quella paritaria. "Carissimi studenti, docenti e personale della scuola, carissimi genitori, invio questo messaggio augurale dopo aver incontrato tanti di voi nel corso dei quattro anni della visita pastorale recentemente conclusa: abbiamo trascorso del tempo insieme nel dialogo, nella condivisione di esperienze e attese, nella consapevolezza delle difficoltà e delle gioie presenti in ogni scuola. Accompagno il presente messaggio con il documento elaborato alla fine della Settimana della Scuola, che ho giudicato opportuno consegnare in questa significativa circostanza. Conservo nel cuore i vostri volti e per questo ho desiderato inviarvi poche parole di amicizia e di incoraggiamento all’inizio del nuovo anno scolastico, anche perché – a Dio piacendo – ho intenzione di proseguire il cammino iniziato, recandomi prossimamente in quegli istituti che non ho potuto visitare, soprattutto nella città di Perugia. Inoltre, vi do fin d’ora appuntamento alla prossima Settimana della Scuola, che si terrà dal 5 all’11 marzo 2018. L'esempio di don Lorenzo Milani Papa Francesco, parlando da Barbiana, cioè dalla piccola scuola di un grande prete e maestro, don Lorenzo Milani, ha detto che la cosa essenziale da insegnare e da apprendere “è la crescita di una coscienza libera, capace di confrontarsi con la realtà e di orientarsi in essa guidata dall’amore, dalla voglia di compromettersi con gli altri, di farsi carico delle loro fatiche e ferite, di rifuggire da ogni egoismo per servire il bene comune”. Per raggiungere tale obiettivo è certamente necessario applicarsi nella docenza e nello studio delle diverse materie, come anche offrire una buona organizzazione della vita scolastica. Occorre soprattutto, però, coinvolgersi con le persone che condividono il medesimo cammino di crescita, perché la “disciplina” della libertà e dell’impegno solidale si apprende principalmente nelle relazioni che animano la comunità scolastica. Dove tutti sono insegnanti e tutti sono allievi, perché solo insieme è possibile educarsi, pur nella diversità dei ruoli e delle competenze, a crescere come persone mature e responsabili. La capacità di accogliere l’altro e di decidere di fare del proprio meglio per il bene comune ha nella scuola una formidabile palestra, soprattutto in questa stagione, che vede crescere in modo più rilevante proprio nelle nostre classi la percentuale di studenti immigrati di prima, seconda e persino terza generazione. Vivete quindi l’esperienza della scuola come quella di una grande comunità, in cui tutti – senza eccezioni – possono e devono dare il proprio contributo di sapienza e di umanità. Il futuro del nostro Paese, il suo sviluppo armonico e la custodia del suo territorio, come la concordia del corpo sociale, si costruiscono a scuola, grazie all’impegno di tutti. Che non manchi, dunque, l’apporto di alcuno alla grande famiglia della scuola e, anzi, tutti siano incoraggiati a condividere le proprie idee ed esperienze, perché l’apprendimento del sapere risulti significativo per l’esistenza. Saluti e incoraggiamenti Desidero rivolgere un particolare saluto e incoraggiamento ai cari insegnanti di religione cattolica e alle associazioni cattoliche di docenti e di genitori, che nella scuola dello Stato sono fermento di presenza cristiana, affinché possano dare buona testimonianza di come il pensiero religioso e la persona dei credenti siano preziose per l’opera educativa degli istituti in cui operano. Un caloroso augurio, infine, alle scuole paritarie cattoliche, che portano avanti la loro missione tra crescenti difficoltà, con l’auspicio che sia sempre più compresa nella società e nelle istituzioni l’importanza di un’educazione libera e pluralista. La Madonne delle Grazie, così venerata nella città di Perugia e nella Diocesi, accompagni con la sua materna intercessione il cammino dell’anno scolastico 2017-2018. VI saluto con amicizia e di cuore vi benedico". Perugia, 12 settembre 2017 Festa della Madonna delle Grazie    ]]>