Gaza Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/gaza/ Settimanale di informazione regionale Thu, 10 Oct 2024 08:25:27 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Gaza Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/gaza/ 32 32 Sporchi interessi dietro i missili https://www.lavoce.it/sporchi-interessi-dietro-i-missili/ https://www.lavoce.it/sporchi-interessi-dietro-i-missili/#respond Wed, 09 Oct 2024 17:13:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77901

A un anno di distanza, in Medio Oriente la marcia verso la guerra totale subisce nuove accelerazioni. Dal canto suo, Netanyahu recupera dal lessico di George W. Bush la formula della “lotta all’asse del male”. L’operazione “Promessa vera 2” ha rotto gli indugi. Quella del 14 aprile fu lanciata a due settimane dall’attacco alla sede diplomatica a Damasco. Stavolta la rappresaglia pendeva da più tempo: dal 31 luglio, giorno dell’omicidio a Teheran di Haniyeh, leader di Hamas, sospesa in cambio di una tregua a Gaza. Poi la serie di altri colpi, fino all’operazione “Ordine nuovo” sul Libano e le uccisioni di Nasrallah e del generale iraniano Nilforoushan. La goccia della tracimazione si è ingrossata con il discorso rivolto da Netanyahu al popolo iraniano: un misto di minaccia e invito alla sollevazione contro una teocrazia che semina guerre nei cinque Continenti. L’Iran ha voluto riaffermare la deterrenza, quando il temporeggiamento è parso sulla soglia oltre la quale si chiama debolezza. E si è ritenuto che il lungo rinvio della risposta – comunque lanciata previo avviso a Washington – avesse già maturato l’intento di scongiurare la reazione a caldo degli Usa, il cui establishment, in Iran come altrove, viene giudicato impulsivo e di vista corta. Infine Teheran ha voluto marcare le differenze, contrapponendo la risposta calibrata sulla legalità internazionale alle abnormi violazioni di Israele, che aggiorna la sua dottrina del “cane pazzo” nelle mattanze indiscriminate a Gaza, mentre in Libano è già catastrofe umanitaria e si sventra un quartiere per uccidere Nasrallah mentre questi stava dialogando con Francia e Usa. Ma ciò non basta a interrompere i raid sul Libano, che hanno tre “pregi”: non contrariare i sudditi delle petrolmonarchie sunnite, rilanciare i consensi interni a Netanyahu e propiziare altri inneschi per coinvolgere gli Usa. Eventualità perseguita anche tentando l’invasione terrestre, che si scontra con la preparazione dei guerriglieri sciiti di Hezbollah e un’Idf (esercito israeliano) inadatta a guerre lunghe e multifronte. Nel frattempo i caschi blu Unifil, lì dal 1978 per interporsi, passivi schivano i colpi. Mentre pensa a cosa colpire dell’Iran (anche siti nucleari?), il Governo israeliano mette nel mirino anche la Siria. La quale, assieme a Iran, Libano, Iraq, Gaza, Cisgiordania e Yemen, è implicata nel “Nuovo ordine mediorientale” illustrato da Netanyahu all’Assemblea Onu. Osservando bene, si nota che ad accomunare i “benedetti” (democrazie o sultanismi feudali che siano) è la partecipazione al corridoio tra India ed Europa, siglato al G20 di Nuova Delhi un mese prima dell’assalto del 7 ottobre. Il fattore economico concorre a spiegare l’escalation e la proietta nella cornice di contese più ampie. Che non lasciano indifferenti Mosca, dati i nessi geostrategici tra la destabilizzazione siriana e l’atlantizzazione del Mar Nero per interposta Ucraina. L’interruttore per spegnere la miccia sta a Washington. Ma osta l’influenza dei profeti neo-conservatori incistati negli apparati, e trasversali ai due partiti. Ma fin dove spingersi? Fino una guerra totale? Del tipo che l’acribia geopolitica di Papa Francesco paventa all’orizzonte. Parlando in Lussemburgo, il Santo Padre ha sostituito la formula “terza guerra mondiale a pezzi” con quella di “guerra ormai quasi mondiale”: un passo avanti verso il baratro, sospinto da brame interconnesse, coltivate all’ombra di “missioni storiche” nel sopore di molte menti e di troppe coscienze. Giuseppe Casale Pontificia università lateranense]]>

A un anno di distanza, in Medio Oriente la marcia verso la guerra totale subisce nuove accelerazioni. Dal canto suo, Netanyahu recupera dal lessico di George W. Bush la formula della “lotta all’asse del male”. L’operazione “Promessa vera 2” ha rotto gli indugi. Quella del 14 aprile fu lanciata a due settimane dall’attacco alla sede diplomatica a Damasco. Stavolta la rappresaglia pendeva da più tempo: dal 31 luglio, giorno dell’omicidio a Teheran di Haniyeh, leader di Hamas, sospesa in cambio di una tregua a Gaza. Poi la serie di altri colpi, fino all’operazione “Ordine nuovo” sul Libano e le uccisioni di Nasrallah e del generale iraniano Nilforoushan. La goccia della tracimazione si è ingrossata con il discorso rivolto da Netanyahu al popolo iraniano: un misto di minaccia e invito alla sollevazione contro una teocrazia che semina guerre nei cinque Continenti. L’Iran ha voluto riaffermare la deterrenza, quando il temporeggiamento è parso sulla soglia oltre la quale si chiama debolezza. E si è ritenuto che il lungo rinvio della risposta – comunque lanciata previo avviso a Washington – avesse già maturato l’intento di scongiurare la reazione a caldo degli Usa, il cui establishment, in Iran come altrove, viene giudicato impulsivo e di vista corta. Infine Teheran ha voluto marcare le differenze, contrapponendo la risposta calibrata sulla legalità internazionale alle abnormi violazioni di Israele, che aggiorna la sua dottrina del “cane pazzo” nelle mattanze indiscriminate a Gaza, mentre in Libano è già catastrofe umanitaria e si sventra un quartiere per uccidere Nasrallah mentre questi stava dialogando con Francia e Usa. Ma ciò non basta a interrompere i raid sul Libano, che hanno tre “pregi”: non contrariare i sudditi delle petrolmonarchie sunnite, rilanciare i consensi interni a Netanyahu e propiziare altri inneschi per coinvolgere gli Usa. Eventualità perseguita anche tentando l’invasione terrestre, che si scontra con la preparazione dei guerriglieri sciiti di Hezbollah e un’Idf (esercito israeliano) inadatta a guerre lunghe e multifronte. Nel frattempo i caschi blu Unifil, lì dal 1978 per interporsi, passivi schivano i colpi. Mentre pensa a cosa colpire dell’Iran (anche siti nucleari?), il Governo israeliano mette nel mirino anche la Siria. La quale, assieme a Iran, Libano, Iraq, Gaza, Cisgiordania e Yemen, è implicata nel “Nuovo ordine mediorientale” illustrato da Netanyahu all’Assemblea Onu. Osservando bene, si nota che ad accomunare i “benedetti” (democrazie o sultanismi feudali che siano) è la partecipazione al corridoio tra India ed Europa, siglato al G20 di Nuova Delhi un mese prima dell’assalto del 7 ottobre. Il fattore economico concorre a spiegare l’escalation e la proietta nella cornice di contese più ampie. Che non lasciano indifferenti Mosca, dati i nessi geostrategici tra la destabilizzazione siriana e l’atlantizzazione del Mar Nero per interposta Ucraina. L’interruttore per spegnere la miccia sta a Washington. Ma osta l’influenza dei profeti neo-conservatori incistati negli apparati, e trasversali ai due partiti. Ma fin dove spingersi? Fino una guerra totale? Del tipo che l’acribia geopolitica di Papa Francesco paventa all’orizzonte. Parlando in Lussemburgo, il Santo Padre ha sostituito la formula “terza guerra mondiale a pezzi” con quella di “guerra ormai quasi mondiale”: un passo avanti verso il baratro, sospinto da brame interconnesse, coltivate all’ombra di “missioni storiche” nel sopore di molte menti e di troppe coscienze. Giuseppe Casale Pontificia università lateranense]]>
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7 ottobre: un anno dopo. Intervista a p. Patton, Custode di Terra Santa https://www.lavoce.it/7ottobre-intervista-patton/ https://www.lavoce.it/7ottobre-intervista-patton/#respond Wed, 02 Oct 2024 06:01:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77835

Un anno fa, il 7 ottobre 2023, l’attacco di Hamas contro Israele: migliaia di appartenenti a varie fazioni terroristiche palestinesi, provenienti dalla Striscia di Gaza, si sono infiltrati, via terra, via mare e dal cielo, in territorio israeliano uccidendo 1200 ebrei, tra civili e soldati, facendo scempio di uomini, donne, bambini, anziani che abitavano nei kibbutz e nelle città vicine al confine, come Sderot.

Dal 7 ottobre di un anno fa decine di migliaia di vittime

In quello stesso giorno furono prese in ostaggio 250 persone; 101 di queste (al 26 settembre 2024, ndr.), di ben 21 nazionalità, sono ancora nelle mani di Hamas. Un brusco risveglio per lo Stato di Israele che in poche ore ha visto frantumarsi quel mito della sicurezza che lo aveva sempre accompagnato sin dall’inizio della sua storia. La risposta israeliana non si è fatta attendere con l’avvio di una campagna militare dentro Gaza che ad oggi ha provocato, tra i palestinesi, oltre 41.500 morti, più di 96mila feriti e la distruzione di interi quartieri, comprese strade, scuole, ospedali e infrastrutture varie. Una vera e propria emergenza umanitaria e sanitaria che coinvolge tutta la popolazione gazawa praticamente sfollata all’interno della stessa Striscia. Senza esito, finora, i negoziati, mediati da Usa, Qatar ed Egitto, per pervenire ad un cessate il fuoco e al rilascio degli ostaggi. Un anno dopo il 7 ottobre il Sir ha intervistato il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton. La Custodia di Terra Santa il 7 ottobre pregherà per la pace, rispondendo all'invito del Patriarca il cardinale Pierbattista Pizzaballa Che cosa è cambiato in Israele da quel 7 ottobre? “È cambiato completamente il modo di vivere e di convivere. Prima del 7 ottobre c’era, seppur fragile, un equilibrio di convivenza e, in alcuni settori della società civile israeliana, anche di disponibilità e di apertura verso il mondo palestinese e viceversa. Quanto accaduto il 7 ottobre ha riportato le lancette della storia a prima del 1948, anno della nascita di Israele, ma con una diffusione nella cultura e nella comunicazione attuali, di odio, di rabbia, di paura, di polarizzazione e anche di rifiuto di ragionare. È evidente il rifiuto di vedere le conseguenze di quello che si sta facendo in prospettiva futura”. Ma rimettere insieme ‘i pezzi’ di una società come quella israeliana, traumatizzata dai fatti del 7 ottobre, è possibile?  
“Va detto che nella società israeliana vivono differenti anime, religiose e no. Ci sono partiti religiosi che sostengono politicamente il governo. Altri un po’ meno. Ci sono religiosi coi quali è possibile dialogare fruttuosamente e altri no. Ci sono, poi, i coloni fondamentalisti sia dal punto di vista religioso che del nazionalismo politico, questi hanno fatto un cortocircuito che ha prodotto una specie di messianismo nazionalista e fondamentalista. Va detto anche che gli ultraortodossi, noti anche come haredim, sono cosa diversa dai coloni: entrambi hanno posizioni differenti all’interno del Governo. E come dicevo poc’anzi, nella società israeliana esistono anche ambienti più laici e aperti al dialogo con i palestinesi e con gli israeliani di etnia araba. Ora per provare a rimettere insieme i frammenti di questa società servirebbe, a mio parere, un cambio culturale profondo che abbia come presupposto un’apertura di credito verso la controparte e cominciare a pensare che fidarsi, dialogare, convivere e accettarsi reciprocamente sia possibile”.

Rachel: il cambiamento passa per il riconoscimento del dolore dell'altro

Come dare forza a questo cambiamento culturale? “
Lo ha detto Rachel Goldberg-Polin, madre di Hersh, uno degli ostaggi uccisi da Hamas mentre era tenuto a Gaza: il cambiamento passa attraverso il riconoscimento del valore della sofferenza dell’altro. Israeliani e palestinesi devono comprendere la sofferenza gli uni degli altri reciprocamente. Questo significa riconoscere il diritto all’esistenza dell’altro, la sua dignità. È un ostacolo culturale, psicologico, in parte anche religioso, che, se non si supera, renderà difficile, se non impossibile la convivenza. Chi dovrebbe favorire la rimozione di questo ostacolo è la leadership politica e religiosa dei due popoli. Purtroppo, in questo momento sembra prevalere, nei due contendenti, solo il desiderio di eliminazione dell'altro”. I fatti del 7 ottobre 2023 hanno sfatato il mito della sicurezza di Israele… “La paura e l’incertezza c’erano anche prima. Basterebbe vedere quei grandi tabelloni rossi, situati nei pressi dei check point militari, che avvertono gli israeliani di non entrare nei Territori palestinesi per motivi di sicurezza. Questo fa capire che i rapporti con i palestinesi sono stati sempre improntati alla mancanza di fiducia e segnati dalla paura. Parlerei, dunque, di una falsa sicurezza alimentata dal muro che separa Israele dalla Cisgiordania e da Gaza, e dalla convinzione che, al confine con il Libano, Hezbollah possa essere controllato militarmente. Io credo che l’idea di paura appartenga all’inconscio collettivo del popolo ebraico ed ha una giustificazione storica. Anche in questo caso c’è bisogno di quel cambiamento di cui parlavo poco fa e ben delineato dalle parole di Rachel Goldberg-Polin e di altri familiari di ostaggi nelle mani di Hamas. Purtroppo, ho l’impressione che buona parte degli israeliani, in questo momento, appoggi l’azione militare del Governo, forse anche per un desiderio di vendetta e di deterrenza basata sul terrorizzare l’altro, pensando che questo basti a bloccarlo, ma questo in realtà alimenta la rabbia che prima o poi esplode in violenza. Basti vedere cosa sta accadendo nella Striscia di Gaza. Ma una pace indotta dalla paura non è pace”.

7 ottobre: la paura dietro il falso mito della sicurezza

È forse la paura il sentimento che oggi prevale nei due popoli? “Si percepisce la paura da una parte e dall’altra, tra gli ebrei, i musulmani, i cristiani. Questi ultimi si sentono frustrati e ormai schiacciati e inermi davanti ai tanti problemi provocati dalla guerra, come la disoccupazione, e a una crescente criminalità sociale di tipo mafioso interna alla comunità araba e scarsamente combattuta dalla polizia e dalla sicurezza israeliana. Si vive nella paura a Gaza, in Cisgiordania, nel Nord di Israele, in Libano. Nel Paese dei Cedri i frati della Custodia hanno paura di diventare degli obiettivi di Israele perché stanno accogliendo nei nostri conventi sfollati libanesi che hanno perso case e averi. Si vive incatenati dalla paura. C’è poi un’altra cosa…

” Quale? “
Da quando è cresciuto di intensità il conflitto al confine con il Libano, non si parla più di Gaza. Gaza è sparita dalla cronaca con tutto il suo carico di morte, di distruzione, di odio. E lo stesso sta accadendo per la Cisgiordania dove continuano i raid di Israele.

A Gaza e in Cisgiordania si continua a morire anche se i media ora parlano solo del Libano

È un fenomeno tipico della comunicazione del nostro tempo: oggi si parla solo di Libano, domani si vedrà. La stessa informazione è ormai sottomessa alla logica della spettacolarizzazione e l’opinione pubblica guarda alle notizie non per informarsi ma come gli spettatori guardavano i gladiatori ammazzarsi nel Colosseo. Così stiamo perdendo umanità“. Cosa pensa dell’impegno messo in campo dalla comunità internazionale in questo anno per trovare una soluzione al conflitto in corso a Gaza? ”La comunità internazionale si sta dimostrando impotente nel fare pressione sui belligeranti affinché cessi l’azione militare e si arrivi ad un accordo negoziato. Si stanno dimostrando impotenti i paesi occidentali e quelli del mondo arabo, entrambi di fatto stanno continuando ad alimentare e finanziare il conflitto. Se non si taglia il flusso di denaro e se non si blocca il rifornimento di armi – come sottolinea, spesso irriso, Papa Francesco – è molto difficile che si possa arrivare a una conclusione del conflitto. Dal mio punto di vista la comunità internazionale si è dimostrata impotente e priva di una volontà reale ed efficace“. 
Come giudica, invece, quello delle religioni? La Terra Santa, ricordiamolo, è il centro delle tre grandi fedi abramitiche, ebraismo, cristianesimo e islam. “Direi che è stata un’azione dall’efficacia molto limitata soprattutto in merito alla capacità di trasformare la cultura della società. I leader religiosi devono smetterla di giustificare, in termini religiosi, l’uso della violenza.

Occorre reintepretare i testi violenti dei libri sacri alla luce della misericordia

Occorre reinterpretare seriamente i testi violenti presenti nelle scritture sacre di ebrei, cristiani e musulmani alla luce della misericordia che è il nucleo centrale e comune del messaggio religioso dell’Antico e del Nuovo Testamento, così come del Corano. Se non riusciamo a fare questo, continueremo a trovare nei testi sacri giustificazioni per la violenza, come sta accadendo oggi”. 

Come evitare questa deriva pericolosa? “
La strada da percorrere potrebbe essere quella di un nuovo documento di Abu Dhabi, multilaterale, non più firmato da un Papa cattolico e da un imam sunnita, ma sottoscritto anche dai principali capi cristiani, ebrei e musulmani. Ma poi un testo del genere avrebbe bisogno di diventare oggetto di formazione e di catechesi per raggiungere tutti gli strati sociali dei credenti. Attualmente l’unico leader capace di mettere in moto questo processo è Papa Francesco. Come cristiani dobbiamo e dovremo lavorare molto per promuovere la fiducia, la convivenza, il dialogo e l’accoglienza reciproca. Piccoli segni profetici ma dal grande valore. In Medio Oriente c’è un proverbio che dice che chi pianta fragole pensa alla prossima stagione, chi pianta datteri pensa alla prossima generazione: noi dobbiamo pensare alla prossima generazione e accettare di fare un lungo percorso di semina e di coltivazione di una cultura della fiducia reciproca, della riconciliazione e della convivenza se vogliamo che la prossima generazione possa raccogliere i frutti della pace”. 
Daniele Rocchi]]>

Un anno fa, il 7 ottobre 2023, l’attacco di Hamas contro Israele: migliaia di appartenenti a varie fazioni terroristiche palestinesi, provenienti dalla Striscia di Gaza, si sono infiltrati, via terra, via mare e dal cielo, in territorio israeliano uccidendo 1200 ebrei, tra civili e soldati, facendo scempio di uomini, donne, bambini, anziani che abitavano nei kibbutz e nelle città vicine al confine, come Sderot.

Dal 7 ottobre di un anno fa decine di migliaia di vittime

In quello stesso giorno furono prese in ostaggio 250 persone; 101 di queste (al 26 settembre 2024, ndr.), di ben 21 nazionalità, sono ancora nelle mani di Hamas. Un brusco risveglio per lo Stato di Israele che in poche ore ha visto frantumarsi quel mito della sicurezza che lo aveva sempre accompagnato sin dall’inizio della sua storia. La risposta israeliana non si è fatta attendere con l’avvio di una campagna militare dentro Gaza che ad oggi ha provocato, tra i palestinesi, oltre 41.500 morti, più di 96mila feriti e la distruzione di interi quartieri, comprese strade, scuole, ospedali e infrastrutture varie. Una vera e propria emergenza umanitaria e sanitaria che coinvolge tutta la popolazione gazawa praticamente sfollata all’interno della stessa Striscia. Senza esito, finora, i negoziati, mediati da Usa, Qatar ed Egitto, per pervenire ad un cessate il fuoco e al rilascio degli ostaggi. Un anno dopo il 7 ottobre il Sir ha intervistato il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton. La Custodia di Terra Santa il 7 ottobre pregherà per la pace, rispondendo all'invito del Patriarca il cardinale Pierbattista Pizzaballa Che cosa è cambiato in Israele da quel 7 ottobre? “È cambiato completamente il modo di vivere e di convivere. Prima del 7 ottobre c’era, seppur fragile, un equilibrio di convivenza e, in alcuni settori della società civile israeliana, anche di disponibilità e di apertura verso il mondo palestinese e viceversa. Quanto accaduto il 7 ottobre ha riportato le lancette della storia a prima del 1948, anno della nascita di Israele, ma con una diffusione nella cultura e nella comunicazione attuali, di odio, di rabbia, di paura, di polarizzazione e anche di rifiuto di ragionare. È evidente il rifiuto di vedere le conseguenze di quello che si sta facendo in prospettiva futura”. Ma rimettere insieme ‘i pezzi’ di una società come quella israeliana, traumatizzata dai fatti del 7 ottobre, è possibile?  
“Va detto che nella società israeliana vivono differenti anime, religiose e no. Ci sono partiti religiosi che sostengono politicamente il governo. Altri un po’ meno. Ci sono religiosi coi quali è possibile dialogare fruttuosamente e altri no. Ci sono, poi, i coloni fondamentalisti sia dal punto di vista religioso che del nazionalismo politico, questi hanno fatto un cortocircuito che ha prodotto una specie di messianismo nazionalista e fondamentalista. Va detto anche che gli ultraortodossi, noti anche come haredim, sono cosa diversa dai coloni: entrambi hanno posizioni differenti all’interno del Governo. E come dicevo poc’anzi, nella società israeliana esistono anche ambienti più laici e aperti al dialogo con i palestinesi e con gli israeliani di etnia araba. Ora per provare a rimettere insieme i frammenti di questa società servirebbe, a mio parere, un cambio culturale profondo che abbia come presupposto un’apertura di credito verso la controparte e cominciare a pensare che fidarsi, dialogare, convivere e accettarsi reciprocamente sia possibile”.

Rachel: il cambiamento passa per il riconoscimento del dolore dell'altro

Come dare forza a questo cambiamento culturale? “
Lo ha detto Rachel Goldberg-Polin, madre di Hersh, uno degli ostaggi uccisi da Hamas mentre era tenuto a Gaza: il cambiamento passa attraverso il riconoscimento del valore della sofferenza dell’altro. Israeliani e palestinesi devono comprendere la sofferenza gli uni degli altri reciprocamente. Questo significa riconoscere il diritto all’esistenza dell’altro, la sua dignità. È un ostacolo culturale, psicologico, in parte anche religioso, che, se non si supera, renderà difficile, se non impossibile la convivenza. Chi dovrebbe favorire la rimozione di questo ostacolo è la leadership politica e religiosa dei due popoli. Purtroppo, in questo momento sembra prevalere, nei due contendenti, solo il desiderio di eliminazione dell'altro”. I fatti del 7 ottobre 2023 hanno sfatato il mito della sicurezza di Israele… “La paura e l’incertezza c’erano anche prima. Basterebbe vedere quei grandi tabelloni rossi, situati nei pressi dei check point militari, che avvertono gli israeliani di non entrare nei Territori palestinesi per motivi di sicurezza. Questo fa capire che i rapporti con i palestinesi sono stati sempre improntati alla mancanza di fiducia e segnati dalla paura. Parlerei, dunque, di una falsa sicurezza alimentata dal muro che separa Israele dalla Cisgiordania e da Gaza, e dalla convinzione che, al confine con il Libano, Hezbollah possa essere controllato militarmente. Io credo che l’idea di paura appartenga all’inconscio collettivo del popolo ebraico ed ha una giustificazione storica. Anche in questo caso c’è bisogno di quel cambiamento di cui parlavo poco fa e ben delineato dalle parole di Rachel Goldberg-Polin e di altri familiari di ostaggi nelle mani di Hamas. Purtroppo, ho l’impressione che buona parte degli israeliani, in questo momento, appoggi l’azione militare del Governo, forse anche per un desiderio di vendetta e di deterrenza basata sul terrorizzare l’altro, pensando che questo basti a bloccarlo, ma questo in realtà alimenta la rabbia che prima o poi esplode in violenza. Basti vedere cosa sta accadendo nella Striscia di Gaza. Ma una pace indotta dalla paura non è pace”.

7 ottobre: la paura dietro il falso mito della sicurezza

È forse la paura il sentimento che oggi prevale nei due popoli? “Si percepisce la paura da una parte e dall’altra, tra gli ebrei, i musulmani, i cristiani. Questi ultimi si sentono frustrati e ormai schiacciati e inermi davanti ai tanti problemi provocati dalla guerra, come la disoccupazione, e a una crescente criminalità sociale di tipo mafioso interna alla comunità araba e scarsamente combattuta dalla polizia e dalla sicurezza israeliana. Si vive nella paura a Gaza, in Cisgiordania, nel Nord di Israele, in Libano. Nel Paese dei Cedri i frati della Custodia hanno paura di diventare degli obiettivi di Israele perché stanno accogliendo nei nostri conventi sfollati libanesi che hanno perso case e averi. Si vive incatenati dalla paura. C’è poi un’altra cosa…

” Quale? “
Da quando è cresciuto di intensità il conflitto al confine con il Libano, non si parla più di Gaza. Gaza è sparita dalla cronaca con tutto il suo carico di morte, di distruzione, di odio. E lo stesso sta accadendo per la Cisgiordania dove continuano i raid di Israele.

A Gaza e in Cisgiordania si continua a morire anche se i media ora parlano solo del Libano

È un fenomeno tipico della comunicazione del nostro tempo: oggi si parla solo di Libano, domani si vedrà. La stessa informazione è ormai sottomessa alla logica della spettacolarizzazione e l’opinione pubblica guarda alle notizie non per informarsi ma come gli spettatori guardavano i gladiatori ammazzarsi nel Colosseo. Così stiamo perdendo umanità“. Cosa pensa dell’impegno messo in campo dalla comunità internazionale in questo anno per trovare una soluzione al conflitto in corso a Gaza? ”La comunità internazionale si sta dimostrando impotente nel fare pressione sui belligeranti affinché cessi l’azione militare e si arrivi ad un accordo negoziato. Si stanno dimostrando impotenti i paesi occidentali e quelli del mondo arabo, entrambi di fatto stanno continuando ad alimentare e finanziare il conflitto. Se non si taglia il flusso di denaro e se non si blocca il rifornimento di armi – come sottolinea, spesso irriso, Papa Francesco – è molto difficile che si possa arrivare a una conclusione del conflitto. Dal mio punto di vista la comunità internazionale si è dimostrata impotente e priva di una volontà reale ed efficace“. 
Come giudica, invece, quello delle religioni? La Terra Santa, ricordiamolo, è il centro delle tre grandi fedi abramitiche, ebraismo, cristianesimo e islam. “Direi che è stata un’azione dall’efficacia molto limitata soprattutto in merito alla capacità di trasformare la cultura della società. I leader religiosi devono smetterla di giustificare, in termini religiosi, l’uso della violenza.

Occorre reintepretare i testi violenti dei libri sacri alla luce della misericordia

Occorre reinterpretare seriamente i testi violenti presenti nelle scritture sacre di ebrei, cristiani e musulmani alla luce della misericordia che è il nucleo centrale e comune del messaggio religioso dell’Antico e del Nuovo Testamento, così come del Corano. Se non riusciamo a fare questo, continueremo a trovare nei testi sacri giustificazioni per la violenza, come sta accadendo oggi”. 

Come evitare questa deriva pericolosa? “
La strada da percorrere potrebbe essere quella di un nuovo documento di Abu Dhabi, multilaterale, non più firmato da un Papa cattolico e da un imam sunnita, ma sottoscritto anche dai principali capi cristiani, ebrei e musulmani. Ma poi un testo del genere avrebbe bisogno di diventare oggetto di formazione e di catechesi per raggiungere tutti gli strati sociali dei credenti. Attualmente l’unico leader capace di mettere in moto questo processo è Papa Francesco. Come cristiani dobbiamo e dovremo lavorare molto per promuovere la fiducia, la convivenza, il dialogo e l’accoglienza reciproca. Piccoli segni profetici ma dal grande valore. In Medio Oriente c’è un proverbio che dice che chi pianta fragole pensa alla prossima stagione, chi pianta datteri pensa alla prossima generazione: noi dobbiamo pensare alla prossima generazione e accettare di fare un lungo percorso di semina e di coltivazione di una cultura della fiducia reciproca, della riconciliazione e della convivenza se vogliamo che la prossima generazione possa raccogliere i frutti della pace”. 
Daniele Rocchi]]>
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Israele ha cacciato da Gaza gli osservatori inviati dall’Onu https://www.lavoce.it/israele-ha-cacciato-da-gaza-gli-osservatori-inviati-dallonu/ https://www.lavoce.it/israele-ha-cacciato-da-gaza-gli-osservatori-inviati-dallonu/#respond Fri, 27 Sep 2024 09:33:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77752 Il tavolo dei relatori e dietro dei giovani seduti

“A Gerusalemme – racconta a margine della giornata della Pace che si è svolta ad Assisi il 21 settembre Andrea De Domenico, ex direttore dell’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari nei Territori palestinesi occupati (Ocha) – mi occupavo del coordinamento dell’ufficio delle Nazioni Unite per gli aiuti al popolo palestinese: si parla di aiuti umanitari. Sono stato cinque anni in Palestina. Quando entrai dovetti chiedere il visto agli israeliani, e già qui ti rendi conto che è in corso un’occupazione. Non avermi rinnovato il visto non significa tanto prendersela con me direttamente, quanto con le Nazioni Unite”.

Di cosa si occupava e si occupa ancora l’Ocha?

“Come prima cosa, sul campo, facciamo una ‘fotografia’ dei bisogni del Paese, cercando poi di mettere insieme tutti gli attori – governativi e non governativi – che si occupano di fornire delle risposte ai bisogni delle persone. Poi c’è una seconda parte, di tipo istituzionale e internazionale, che consiste nell’intervenire con il nostro portavoce al Consiglio di sicurezza dell’Onu, cercando di scuotere le coscienze degli Stati membri”.

Come vi coordinavate con l’Onu quando eravate sul posto?

“Io rispondo sempre che di fatto le Nazioni Unite… non esistono, nel senso che sono l’espressione e la volontà dei 193 Stati membri che la compongono. Non è che il funzionario decide cosa fare, sono gli Stati membri che dicono cosa possiamo fare, e solo dentro quei limiti possiamo muoverci. Prima del 7 ottobre 2023, data in cui è scoppiato il conflitto israelopalestinese, nessuno ci ascoltava, era un problema parlarne. Dopo quella data, c’è stata molta più attenzione”.

Qual è la situazione attuale?

“Si parla molto di Gaza, e quello che ancora sta accadendo è atroce, ma c’è anche la Cisgiordania: parliamo di 770 morti e 180 bambini solo in quel territorio. Israele dovrebbe mantenere l’ordine pubblico; in verità sono operazioni militari, ma in teoria dovrebbero essere operazioni di polizia, perché non c’è la guerra in Cisgiordania. A Gaza la situazione è ancora peggiore: gli Stati membri ci hanno dato il mandato per esercitare il nostro lavoro, tuttavia ci hanno supportato solo a parole. Prima che io fossi mandato via, dovevamo spostarci in continuazione, senza mai poterci stabilire in una sede fissa per portare avanti il nostro lavoro. L’Onu ha perso potere, ma gli Stati membri dovrebbero esercitare più potere per lasciarci fare il nostro lavoro. Non possiamo lasciare che tutti facciano ciò che vogliono, non solo contro le persone, ma anche per quanto riguarda le loro azioni e decisioni politiche”.

Emanuela Marotta

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Il tavolo dei relatori e dietro dei giovani seduti

“A Gerusalemme – racconta a margine della giornata della Pace che si è svolta ad Assisi il 21 settembre Andrea De Domenico, ex direttore dell’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari nei Territori palestinesi occupati (Ocha) – mi occupavo del coordinamento dell’ufficio delle Nazioni Unite per gli aiuti al popolo palestinese: si parla di aiuti umanitari. Sono stato cinque anni in Palestina. Quando entrai dovetti chiedere il visto agli israeliani, e già qui ti rendi conto che è in corso un’occupazione. Non avermi rinnovato il visto non significa tanto prendersela con me direttamente, quanto con le Nazioni Unite”.

Di cosa si occupava e si occupa ancora l’Ocha?

“Come prima cosa, sul campo, facciamo una ‘fotografia’ dei bisogni del Paese, cercando poi di mettere insieme tutti gli attori – governativi e non governativi – che si occupano di fornire delle risposte ai bisogni delle persone. Poi c’è una seconda parte, di tipo istituzionale e internazionale, che consiste nell’intervenire con il nostro portavoce al Consiglio di sicurezza dell’Onu, cercando di scuotere le coscienze degli Stati membri”.

Come vi coordinavate con l’Onu quando eravate sul posto?

“Io rispondo sempre che di fatto le Nazioni Unite… non esistono, nel senso che sono l’espressione e la volontà dei 193 Stati membri che la compongono. Non è che il funzionario decide cosa fare, sono gli Stati membri che dicono cosa possiamo fare, e solo dentro quei limiti possiamo muoverci. Prima del 7 ottobre 2023, data in cui è scoppiato il conflitto israelopalestinese, nessuno ci ascoltava, era un problema parlarne. Dopo quella data, c’è stata molta più attenzione”.

Qual è la situazione attuale?

“Si parla molto di Gaza, e quello che ancora sta accadendo è atroce, ma c’è anche la Cisgiordania: parliamo di 770 morti e 180 bambini solo in quel territorio. Israele dovrebbe mantenere l’ordine pubblico; in verità sono operazioni militari, ma in teoria dovrebbero essere operazioni di polizia, perché non c’è la guerra in Cisgiordania. A Gaza la situazione è ancora peggiore: gli Stati membri ci hanno dato il mandato per esercitare il nostro lavoro, tuttavia ci hanno supportato solo a parole. Prima che io fossi mandato via, dovevamo spostarci in continuazione, senza mai poterci stabilire in una sede fissa per portare avanti il nostro lavoro. L’Onu ha perso potere, ma gli Stati membri dovrebbero esercitare più potere per lasciarci fare il nostro lavoro. Non possiamo lasciare che tutti facciano ciò che vogliono, non solo contro le persone, ma anche per quanto riguarda le loro azioni e decisioni politiche”.

Emanuela Marotta

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Gaza, Calvario dei cristiani https://www.lavoce.it/gaza-calvario-dei-cristiani/ https://www.lavoce.it/gaza-calvario-dei-cristiani/#respond Wed, 27 Mar 2024 10:12:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75482 Un bambino viene recuperato tra le macerie di un edificio residenziale raso al suolo da un attacco aereo israeliano. Sta in braccio ad un uomo di spalle, tutto introno ci sono altri soccorritori. Striscia di Gaza

Il Calvario di Gaza è pieno di croci. Il “luogo del cranio” è tornato a essere luogo di morte. Il sangue di migliaia di persone che sono cadute in questa guerra continua a insanguinare, ancora una volta, questa terra benedetta. Benedetta perché un giorno ha bevuto il sangue innocente e redentore dell’Agnello immacolato, Gesù Cristo. Benedetta perché quella stessa terra, dalle sue viscere, è stata costretta a restituire quel sangue al corpo glorioso del Signore Gesù risorto.

E così, da quel benedetto Venerdì santo la terra, questa terra, sa che il sangue innocente, come quello dei bambini innocenti degli ebrei uccisi dal crudele Erode, diventa misteriosamente segno e pegno di benedizione e risurrezione.

Ma intanto, sul Calvario di Gaza, le croci continuano a sanguinare, e i martellanti bombardamenti e gli spari continuano a mettere in croce migliaia e migliaia di persone. C’è chi schernisce, c’è chi si volta dall’altra parte per non vedere la sofferenza altrui… Com’è difficile prendersi cura di un malato o di un ferito senza avere il necessario per curarlo! Sì, è difficile essere testimoni della croce degli altri. È difficile, è noioso, è desolante. È difficile pensare alle sofferenze di prigionieri e ostaggi, ai morti, ai feriti, alle violenze di ogni genere. Eppure è proprio ciò che sta accadendo.

Sul Calvario di Gaza arriva anche la carestia. Non c’è mai stata una situazione del genere, i bambini muoiono di fame. Sembra impossibile che il cibo arrivi alle bocche affamate, ma non è impossibile che le bombe e i proiettili raggiungano le case di migliaia e migliaia di civili, la maggior parte delle vittime.

Anche la comunità cristiana è sul Calvario di Gaza. Questa comunità, che contava 1.017 membri all’inizio della guerra (135 cattolici e 882 grecoortodossi), ha perso 31 membri: 18 sono morti in un bombardamento israeliano di fronte alla chiesa ortodossa che ha causato la distruzione di un edificio parrocchiale che ospitava dei rifugiati cristiani che stavano dormendo; due donne, rifugiate cattoliche, sono state assassinate all’interno della parrocchia latina da un cecchino delle Forze di difesa israeliane (come riporta una nota del Patriarcato latino di Gerusalemme del dicembre 2023). E altri 11 cristiani sono morti per mancanza di assistenza ospedaliera. Nella parrocchia cattolica ci sono circa 600 parrocchiani rifugiati, in quella ortodossa 250.

La gente vaga in questa ‘Via crucis’ da una parte all’altra in cerca di tutto: riparo, una coperta, acqua, qualcosa da mangiare, vaga da una parte all’altra cercando di schivare i bombardamenti. Migliaia e migliaia di persone così bisognose! Soprattutto hanno bisogno di essere trattate con un po’ di umanità.

I cristiani che hanno deciso di rimanere “accanto a Gesù in ciò che Gesù ha vissuto” soffrono come il resto della popolazione e chiedono a Dio e a sua Madre la cessazione immediata e permanente delle ostilità, la liberazione dei prigionieri, gli urgentissimi aiuti umanitari in tutta la Striscia (Nord e Sud) e assistenza per migliaia e migliaia di feriti. Gaza vive un Calvario. E sul suo Calvario c’è morte e ci sono ombre di morte. Ma, al tempo stesso, sappiamo che vicino al Calvario c’è la Tomba vuota. La morte non ha l’ultima parola. Preghiamo e lavoriamo per essere testimoni di speranza in mezzo a tanto dolore. Continuiamo a pregare per la pace in Palestina e Israele.

Padre Gabriel Romanelli parroco latino di Gaza  
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Un bambino viene recuperato tra le macerie di un edificio residenziale raso al suolo da un attacco aereo israeliano. Sta in braccio ad un uomo di spalle, tutto introno ci sono altri soccorritori. Striscia di Gaza

Il Calvario di Gaza è pieno di croci. Il “luogo del cranio” è tornato a essere luogo di morte. Il sangue di migliaia di persone che sono cadute in questa guerra continua a insanguinare, ancora una volta, questa terra benedetta. Benedetta perché un giorno ha bevuto il sangue innocente e redentore dell’Agnello immacolato, Gesù Cristo. Benedetta perché quella stessa terra, dalle sue viscere, è stata costretta a restituire quel sangue al corpo glorioso del Signore Gesù risorto.

E così, da quel benedetto Venerdì santo la terra, questa terra, sa che il sangue innocente, come quello dei bambini innocenti degli ebrei uccisi dal crudele Erode, diventa misteriosamente segno e pegno di benedizione e risurrezione.

Ma intanto, sul Calvario di Gaza, le croci continuano a sanguinare, e i martellanti bombardamenti e gli spari continuano a mettere in croce migliaia e migliaia di persone. C’è chi schernisce, c’è chi si volta dall’altra parte per non vedere la sofferenza altrui… Com’è difficile prendersi cura di un malato o di un ferito senza avere il necessario per curarlo! Sì, è difficile essere testimoni della croce degli altri. È difficile, è noioso, è desolante. È difficile pensare alle sofferenze di prigionieri e ostaggi, ai morti, ai feriti, alle violenze di ogni genere. Eppure è proprio ciò che sta accadendo.

Sul Calvario di Gaza arriva anche la carestia. Non c’è mai stata una situazione del genere, i bambini muoiono di fame. Sembra impossibile che il cibo arrivi alle bocche affamate, ma non è impossibile che le bombe e i proiettili raggiungano le case di migliaia e migliaia di civili, la maggior parte delle vittime.

Anche la comunità cristiana è sul Calvario di Gaza. Questa comunità, che contava 1.017 membri all’inizio della guerra (135 cattolici e 882 grecoortodossi), ha perso 31 membri: 18 sono morti in un bombardamento israeliano di fronte alla chiesa ortodossa che ha causato la distruzione di un edificio parrocchiale che ospitava dei rifugiati cristiani che stavano dormendo; due donne, rifugiate cattoliche, sono state assassinate all’interno della parrocchia latina da un cecchino delle Forze di difesa israeliane (come riporta una nota del Patriarcato latino di Gerusalemme del dicembre 2023). E altri 11 cristiani sono morti per mancanza di assistenza ospedaliera. Nella parrocchia cattolica ci sono circa 600 parrocchiani rifugiati, in quella ortodossa 250.

La gente vaga in questa ‘Via crucis’ da una parte all’altra in cerca di tutto: riparo, una coperta, acqua, qualcosa da mangiare, vaga da una parte all’altra cercando di schivare i bombardamenti. Migliaia e migliaia di persone così bisognose! Soprattutto hanno bisogno di essere trattate con un po’ di umanità.

I cristiani che hanno deciso di rimanere “accanto a Gesù in ciò che Gesù ha vissuto” soffrono come il resto della popolazione e chiedono a Dio e a sua Madre la cessazione immediata e permanente delle ostilità, la liberazione dei prigionieri, gli urgentissimi aiuti umanitari in tutta la Striscia (Nord e Sud) e assistenza per migliaia e migliaia di feriti. Gaza vive un Calvario. E sul suo Calvario c’è morte e ci sono ombre di morte. Ma, al tempo stesso, sappiamo che vicino al Calvario c’è la Tomba vuota. La morte non ha l’ultima parola. Preghiamo e lavoriamo per essere testimoni di speranza in mezzo a tanto dolore. Continuiamo a pregare per la pace in Palestina e Israele.

Padre Gabriel Romanelli parroco latino di Gaza  
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Il silenzio dei potenti sulla pace nella Striscia di Gaza https://www.lavoce.it/il-silenzio-dei-potenti-sulla-pace-nella-striscia-di-gaza/ https://www.lavoce.it/il-silenzio-dei-potenti-sulla-pace-nella-striscia-di-gaza/#respond Thu, 26 Oct 2023 09:12:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73806 Una donna reagisce disperataaccanto alle macerie di un edificio in seguito agli attacchi israeliani su Rafah nel sud della Striscia di Gaza

di padre Ibrahim Faltas*

Ancora morti innocenti, ancora sofferenze del corpo e dell’anima, ancora voci inascoltate. Quando si fermeranno le armi? Chi sta usando l’arma del dialogo e della pace? In questi giorni abbiamo visto arrivare e ripartire governanti, leader e personaggi importanti, che analizzano, consigliano, parteggiano… ma purtroppo tacciono e non intervengono per porre fine a questa guerra. È giunto il momento per tutti i potenti, che hanno un ruolo importante, di far cessare il fuoco, di far deporre le armi, di tirare fuori il coraggio di uomini che siano degni dell’importante ruolo che rivestono.

Purtroppo le nostre speranze sono state deluse perché non abbiamo sentito voci che chiedono il rispetto della vita umana, non abbiamo sentito implorare con forza la pace. Solo da Papa Francesco abbiamo udito parole forti, equilibrate e portatrici di verità. Perché i suoi appelli non ricevono ancora una risposta concreta? Perché il suo affermare con forza che la guerra è una sconfitta per l’umanità non spinge a comprendere che bisogna bloccare questa spirale di violenza? Sono certo che, se potesse, Papa Francesco verrebbe di persona a parlare ai cuori dei governanti, verrebbe a fermare le mani armate, verrebbe a portare una carezza ai bambini oltraggiati e indifesi. Noi, uomini di buona volontà, abbiamo solo il potere di parole e di azioni in difesa della vita. Tutti avremo sulla coscienza e dovremo rispondere a Dio e alla Storia di tanti innocenti morti, perché non siamo stati capaci di difendere il bene prezioso di ogni singola vita umana.

Sono arrivati in questi giorni in Terra Santa molti giornalisti e televisioni a documentare la brutalità della guerra. Anche i media possono fare molto in questo momento storico. La comunicazione è fondamentale: vogliamo un’informazione corretta, che non dia notizie non verificate che poi diventano strumenti di incitamento all’odio. Ciò è dannoso e non aiuta a salvare vite umane. L’obiettivo primario per tutti deve essere solo di fermare questa guerra, per il bene dell’umanità intera. La coscienza di ognuno si risvegli per porre fine a questa disumanità che sta colpendo tante vite, e che rischia di coinvolgere il mondo.  Facciamoci tutti strumenti di pace, perché non vogliamo la guerra.

* vicario custodiale della Custodia francescana di Terra Santa

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Una donna reagisce disperataaccanto alle macerie di un edificio in seguito agli attacchi israeliani su Rafah nel sud della Striscia di Gaza

di padre Ibrahim Faltas*

Ancora morti innocenti, ancora sofferenze del corpo e dell’anima, ancora voci inascoltate. Quando si fermeranno le armi? Chi sta usando l’arma del dialogo e della pace? In questi giorni abbiamo visto arrivare e ripartire governanti, leader e personaggi importanti, che analizzano, consigliano, parteggiano… ma purtroppo tacciono e non intervengono per porre fine a questa guerra. È giunto il momento per tutti i potenti, che hanno un ruolo importante, di far cessare il fuoco, di far deporre le armi, di tirare fuori il coraggio di uomini che siano degni dell’importante ruolo che rivestono.

Purtroppo le nostre speranze sono state deluse perché non abbiamo sentito voci che chiedono il rispetto della vita umana, non abbiamo sentito implorare con forza la pace. Solo da Papa Francesco abbiamo udito parole forti, equilibrate e portatrici di verità. Perché i suoi appelli non ricevono ancora una risposta concreta? Perché il suo affermare con forza che la guerra è una sconfitta per l’umanità non spinge a comprendere che bisogna bloccare questa spirale di violenza? Sono certo che, se potesse, Papa Francesco verrebbe di persona a parlare ai cuori dei governanti, verrebbe a fermare le mani armate, verrebbe a portare una carezza ai bambini oltraggiati e indifesi. Noi, uomini di buona volontà, abbiamo solo il potere di parole e di azioni in difesa della vita. Tutti avremo sulla coscienza e dovremo rispondere a Dio e alla Storia di tanti innocenti morti, perché non siamo stati capaci di difendere il bene prezioso di ogni singola vita umana.

Sono arrivati in questi giorni in Terra Santa molti giornalisti e televisioni a documentare la brutalità della guerra. Anche i media possono fare molto in questo momento storico. La comunicazione è fondamentale: vogliamo un’informazione corretta, che non dia notizie non verificate che poi diventano strumenti di incitamento all’odio. Ciò è dannoso e non aiuta a salvare vite umane. L’obiettivo primario per tutti deve essere solo di fermare questa guerra, per il bene dell’umanità intera. La coscienza di ognuno si risvegli per porre fine a questa disumanità che sta colpendo tante vite, e che rischia di coinvolgere il mondo.  Facciamoci tutti strumenti di pace, perché non vogliamo la guerra.

* vicario custodiale della Custodia francescana di Terra Santa

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Ricostruire non basta https://www.lavoce.it/ricostruire-non-basta/ Thu, 23 Jul 2015 09:56:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39932 GazaPreceduta da un pesante lancio di razzi di Hamas dalla Striscia di Gaza e dagli attacchi aerei di risposta da parte dell’Aviazione israeliana, l’8 luglio 2014 Israele dava il via all’operazione “Margine protettivo”.

L’obiettivo era porre fine al lancio di razzi e distruggere i tunnel dei miliziani scavati da Gaza per penetrare in territorio ebraico e colpire i civili.

Cinquantuno giorni di guerra – la terza in sei anni – che provocarono, secondo il rapporto del Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu, la morte di 2.251 palestinesi, di cui 1.462 civili (tra i quali 299 donne e 551 bambini) e 789 combattenti. Diecimila i feriti.

Un anno dopo, le ferite di questo conflitto sono sotto gli occhi del mondo. Visibili come le macerie delle 18 mila strutture distrutte o severamente danneggiate. Poche le case riparate. Fonti locali e organismi internazionali operanti a Gaza stimano che siano almeno 100 mila i gazawi costretti a vivere in alloggi di fortuna e oltre 8 mila i senzatetto, circa il 5% dell’1,8 milioni di abitanti che sovrappopolano i 362 chilometri quadrati della Striscia.

Gaza vive una continua emergenza umanitaria. I finanziamenti (5 miliardi di dollari) promessi dai donatori internazionali durante la conferenza al Cairo dell’ottobre 2014 arrivano lentamente, così come i materiali per la ricostruzione, che Israele permette di far entrare attraverso il valico di Erez. Secondo la Banca mondiale, nella Striscia si registra il più alto tasso di disoccupazione al mondo, pari al 40%, che sale al 60% tra i giovani che sono la maggioranza della popolazione.

La produzione agricola è diminuita del 31% solamente nell’ultimo anno. Con il collasso economico dietro l’angolo, sono sempre di più i giovani che, in cerca di un lavoro rischiano la vita, scavalcando le recinzioni al confine con Israele. In totale sono oltre 300 mila i giovani e i bambini che attualmente hanno bisogno di assistenza psicologica per riuscire a superare i traumi e le sofferenze causate dai conflitti.

Save the Children ha diffuso in questi giorni uno studio sui bambini della regione. L’89% soffre ancora di forti paure; più del 70% dei piccoli teme un altro conflitto; e ancora: 7 bambini su 10 hanno incubi notturni, nelle zone più colpite, percentuale che raggiunge la quasi totalità nelle città di Beit Hanoun (96%) e Khuza (92%).

Stallo anche nel processo politico con Hamas che continua a governare la Striscia ma ora c’è lo Stato islamico (Isis) interessato a insediarsi a Gaza, come testimonierebbero alcuni attentati contro Hamas. Non si registrano sviluppi positivi nemmeno nel dialogo con l’Autorità palestinese (Anp) e con l’Egitto.

“Non è cambiato nulla – dice con amarezza padre Raed Abusahlia, direttore di Caritas Jerusalem – a Gaza si cammina tra le macerie e la delusione della gente è palpabile. Quartieri interi distrutti. Ci vorranno almeno 5 anni per rimettere in sesto quello che è stato distrutto in 51 giorni. Dei 5 miliardi di dollari promessi dai Paesi donatori, non si è visto nulla. E anche la solidarietà della gente comune è finita.

Come se la guerra fosse finita e tutto fosse tornato a posto. Ma non è così. Nessuno qui nutre più speranze per un futuro migliore. La nostra stessa comunità cristiana, circa 1.300 persone di cui poco meno di 200 cattolici, se mai dovessero aprire i valichi di confine, lascerebbe la Striscia subito… Serve aiuto soprattutto ai più piccoli. I bambini di Gaza sono malnutriti. La situazione è davvero difficile, e a questo si aggiunga il caldo, le precarie condizioni igieniche, la mancanza di acqua e di energia elettrica che viene erogata per circa 4 ore al giorno. Dopo un anno, non basta ricostruire Gaza, ma la speranza della sua gente, per evitare conflitti futuri”.

 

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Cristiani, seminatori di speranza https://www.lavoce.it/cristiani-seminatori-di-speranza/ Fri, 07 Nov 2014 13:31:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28906 I cardinali Bassetti e Bagnasco in un momento della visita a Gaza
I cardinali Bassetti e Bagnasco in un momento della visita a Gaza

“Grazie per la vostra testimonianza. Ho visto gente fiera, attaccata alla fede. Nel vostro sguardo leggo dignità e senso di appartenenza. Porteremo con noi, alle nostre Chiese locali, la vostra testimonianza di una fede che si conquista giorno per giorno. Voi avete il compito di tenere accesa la speranza di pace e di giustizia di questa terra per lenirne le ferite. Continuate a coltivare questo sogno di pace”. Così il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha salutato la piccola comunità cattolica di Gaza, che si era riunita all’interno dei locali della parrocchia della Sacra Famiglia, guidata da padre Jorge Hernandez, religioso argentino dell’Istituto del Verbo incarnato.

Quello di lunedì 3 novembre è stato un giorno importante per i cattolici di Gaza, poco meno di 150 fedeli che hanno atteso con ansia l’arrivo della Presidenza della Cei, guidata dal card. Bagnasco accompagnato dal segretario generale, monsignor Nunzio Galantino, e dai tre vice-presidenti, l’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, il cardinale arcivescovo di Perugia Angelo Bassetti, e il vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo. Una visita di solidarietà che ha rotto lo stretto isolamento in cui da giorni versa Gaza, sigillata da Israele dopo il lancio di un razzo. Chiusi i valichi di Erez e di Kerem Shalom e chiuso anche il confine con l’Egitto, a Rafah.

I tamburi degli scout schierati hanno accolto la delegazione mentre il corteo dei pick up blindati delle Nazioni Unite su cui viaggiava faceva il suo ingresso nel cortile della parrocchia. E poi tanti bambini e giovani a correre incontro ai vescovi per salutarli. Un’accoglienza festosa che aveva già avuto un anticipo, la mattina, al valico di Erez quando al posto dei sorrisi dei bambini si erano viste forti strette di mano di uomini segnati dalla sofferenza di tante guerre subite e forse combattute. Per l’occasione avevano indossato i loro abiti migliori, così come padre Jorge che sulla talare nera aveva messo la kefiah palestinese.

Ed è stato un vero pellegrinaggio tra le macerie delle 60mila abitazioni distrutte dallo scambio a fuoco tra Israele e Hamas, scheletri di case ormai svuotate di oggetti e di affetti, divenute pericolosi luoghi di gioco per piccoli e meno piccoli. Un lungo giro su strade a dir poco dissestate per ricordare i 52 giorni di guerra dell’operazione “Margine protettivo” e i 2.139 morti palestinesi. Sui viali, agli angoli delle stradine, grandi poster che celebrano “i martiri” di questa guerra, coloro che sono caduti combattendo per Gaza, ma non si fa in tempo a vederli tutti.

Padre Jorge incalza: “questo era un ospedale, qui c’erano abitazioni da dove sparavano razzi, quello che si vede un po’ più avanti, invece, era una fabbrica di biscotti” e poi “le montagnole da dove sparavano i carri armati e i vicoli da dove sono penetrati a piedi i soldati israeliani, i resti dei tunnel distrutti”.

Un racconto in sequenza che cattura occhi e cuore con la delegazione Cei in piedi ad ascoltare e a fare domande. Intorno nugoli di bambini vocianti, qualcuno mostra le dita a mo’ di “vittoria”, i più giocano intralciando la strada dei pick up che a fatica riprendono il viaggio, sgommando nel fango melmoso. E poi ancora macerie. Un salto all’ospedale giordano, tra i pochissimi presidi ospedalieri della Striscia, per ascoltare quante persone oggi a Gaza portano sul loro corpo ferite, menomazioni e mutilazioni varie e poi alla scuola del Patriarcato Latino, uno dei tre istituti cattolici della Striscia.

Le lezioni sono riprese già da diversi giorni, i lavori di riparazione dei danni provocati dalla guerra sono stati prontamente conclusi. Qui la Cei ha, tra l’altro, finanziato la costruzione di una grande sala didattica. Vivace lo scambio dei vescovi con i giovani delle ultime classi, culminato con “in bocca al lupo per l’esame di fine corso” e la consapevolezza che “i giovani di Gaza sono la vera risorsa di questa terra, il suo futuro. Siamo rimasti colpiti dalla loro voglia di vivere” nonostante tre guerre negli ultimi anni sei anni (da fine 2008). Ma la speranza a Gaza abita anche nell’istituto delle suore di Madre Teresa di Calcutta che assistono oltre trenta bambini orfani, disabili fisici e mentali, “spesso rifiutati dalle loro famiglie e che oggi sono i nostri angeli” dice con orgoglio padre George, mentre i vescovi giocano con loro. “Ne vorremmo prendere molti di più ma non possiamo. Il sogno sarebbe quello di costruire una cattedrale della carità dove accogliere tutti questi piccoli angeli”.

Martedì ultima tappa della visita. Per la Presidenza della Cei è il momento di ascoltare la sofferenza della gente di Sderot, centro israeliano bersaglio dei razzi di Hamas. Poi a Gerusalemme per pregare al santo Sepolcro e il rientro in Italia. La testimonianza della comunità cattolica di Gaza attende di essere raccontata. Anche a Papa Francesco.

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Il buio di Gaza e il muro che circonda la città https://www.lavoce.it/il-buio-di-gaza-e-il-muro-che-circonda-la-citta/ Fri, 07 Nov 2014 13:27:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28904 vescovo-BassettiAbbiamo incontrato il cardinale nostro arcivescovo Gualtiero Bassetti appena rientrato da Gaza con la delegazione della Conferenza episcopale italiana (Vedi articolo). “Ho ancora negli occhi – ci ha detto – il volto immobile ed inespressivo di una bimba, come una statuina di cera, gravemente affetta da epilessia, affidata alle suore di Madre Teresa insieme a tanti altri bambini malati”. La sofferenza è stata la cifra di spiegazione del viaggio da Roma a Gaza. “Quello che mi ha fatto effetto – racconta Bassetti – è aver visto una città che è prigione. Un milione e ottocento mila persone circondate da un muro”. È il muro costruito dagli israeliani per proteggersi dai razzi, obbligando i palestinesi a lunghe ore di attesa, ogni giorno, per attraversarlo dal’unico valico controllato dall’esercito israeliano. “Quello che mi ha colpito di più – aggiunge il cardinale – è il buio di Gaza. Di notte è senza luci, la corrente elettrica c’è solo per sei ore, ed anche l’acqua non c’è”.

Gli è rimasta impressa la vista di “una lunghissima via che attraversa la città, in cui è rimasta in piedi una sola casa, mentre tutto il resto sono macerie, in mezzo alle quali i bambini giocano e gli adulti cercano il ferro da rivendere”. Abbiamo domandato perché la Cei ha deciso di andare a costo di far dispiacere alle autorità israeliane? “Siamo stati invitati dal Patriarca Latino di Gerusalemme Fouad Twal a visitare la parrocchia cattolica di Gaza”, e sono andati portando, con la loro presenza, un segno di vicinanza e di condivisione delle sofferenze degli abitanti di una grande città. Il Cardinale ha apprezzato la vivacità della parrocchia cattolica presente in una popolazione a grandissima maggioranza musulmana. Della visita alla località israeliana di Sderot, vicina ai territori palestinesi, obiettivo dei missili palestinesi, lo ha colpito il bunker antimissile dipinto a colori vivaci come un grande bruco così da rendere come un gioco per i bambini entrarvi ogni volta che suona l’allarme antimissile. Il cardinale ha tanto da raccontare, ma il senso della visita lo riassume nel desiderio che è prima di tutto di papa Francesco, fare gesti concreti ed efficaci di carità, andare nelle periferie del mondo là dove è maggiore la sofferenza e la passione degli uomini, dare messaggi di pace là dove l’odio trionfa.

La convinzione è che “la pace sarà possibile solo se a parlare saranno i moderati di entrambe le parti” e che un accordo di pace potrà esserci se sarà basato su fatti come “il riconoscimento reciproco dello Stato palestinese e dello Stato israeliano”. Dal viaggio ha tratto la convinzione che qualla popolazione pur provata non è sconfitta, né rassegnata, ma cerca contatti e desidera rimanere collegata con il resto del mondo. Bassetti è rimasto anche colpito positivamente dalle due grandi scuole gestite dai cattolici in cui le differenze e le divisioni sono superate, frequentate da 2000 ragazzi e giovani dalla scuola primaria fino alle superiori da musulmani, ortodossi e cattolici. Questi ultimi sono davvero pochi ma si può dire che sono l’anima e il cuore dell’istruzione, mentre la Caritas ha da tempo riversato grande interesse e importanti contributi sia nelle scuole cattoliche, in una delle quali la Cei ha finanziato una bella ampia aula magna, che nelle altre strutture della parrocchia.

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Guerra di Gaza: i precedenti https://www.lavoce.it/guerra-di-gaza-i-precedenti/ https://www.lavoce.it/guerra-di-gaza-i-precedenti/#comments Thu, 07 Aug 2014 12:16:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27456 Abbiamo già fatto qualche commento su quella che si può chiamare la guerra di Gaza, scoppiata (o ri-scoppiata) all’indomani dell’incontro di preghiera in Vaticano tra i Capi di Stato israeliano e palestinese. Cercherò ora di dare qualche coordinata per comprendere le ragioni di questo scontro. All’origine di tutto, si sa, c’è la formazione dello Stato d’Israele, non riconosciuta come legittima dagli Stati arabi circostanti, almeno all’inizio. Poi c’è stata la Guerra dei sei giorni, nel 1967, trionfalmente vinta dagli israeliani contro Egitto, Siria e Giordania. Grazie a quel successo, Israele ha occupato tre aree geografiche: il territorio della Giordania a ovest del fiume Giordano, l’altopiano del Golan, già della Siria, e infine, appunto, la Striscia di Gaza che era tenuta dall’Egitto, più tutta la penisola del Sinai. Dopo lunghe trattative, Israele restituì all’Egitto il Sinai e l’Egitto rinunciò a Gaza, perché facesse parte del futuro Stato palestinese. La Giordania a sua volta rinunciò, alle stesse condizioni, ai suoi territori occidentali. Poi vi sono stati gli accordi che hanno portato alla costituzione dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), di fatto un nuovo Stato che vive in pace – relativamente – con Israele, ma ancora non sono stati sciolti tutti i nodi che impediscono una pace definitiva e piena. Infine c’è la questione di Gaza. Questo territorio fa parte di quelli nominalmente assegnati all’Autorità nazionale palestinese, ma geograficamente è separato da loro, confinando quasi per intero con Israele e per il resto con l’Egitto (che non se ne interessa). Dopo le elezioni politiche dell’Anp del 2006, vi è stata una frattura tra Gaza e gli altri palestinesi: Gaza è amministrata da Hamas come se fosse un piccolo Stato indipendente. Ma Hamas è un’organizzazione terroristica, o comunque estremista, che disconosce gli accordi già fatti tra Israele e Anp, e a maggior ragione si oppone a ulteriori accordi; e si considera in guerra con Israele, che attacca con il lancio di razzi esplosivi. Israele disconosce a sua volta il governo di Hamas e risponde ai razzi con missili. Questo è – molto in breve – lo stato delle cose. Non è affatto facile vedere una via d’uscita.

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MEDIO ORIENTE. Cristiani tra i due fronti https://www.lavoce.it/medio-oriente-cristiani-tra-i-due-fronti/ Fri, 25 Jul 2014 14:23:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27240 Gaza-bnL’inferno di Gaza non ha fine. I dati aggiornati al pomeriggio di mercoledì, secondo l’agenzia di stampa al-Ray, vicina a Hamas, indicherebbero 641 morti e 4.030 feriti tra i palestinesi della “Striscia” colpiti dal fuoco israeliano. All’avanzata di terra dell’esercito israeliano si contrappone la pioggia di razzi di Hamas verso molte città del Centro e del Sud di Israele, tra cui Dimona, Ashqelon, Ashdod, Be’er Sheva. Il suono delle sirene di allarme ha portato centinaia di migliaia di israeliani a trovare riparo nei rifugi. E sono tanti gli israeliani che pregano per la fine delle ostilità. Da Haifa, la comunità cattolica di origini ebraiche ha realizzato videoclip e composto un canto per chiedere la pace. A Be’er Sheva, dice il parroco cattolico, don Gioele Salvaterra: “La gente è addolorata e sconvolta dalle tante vittime sui due fronti. Ieri sera, nella messa, li abbiamo ricordati ed abbiamo pregato per tutti coloro che soffrono. Per quanto riguarda i soldati israeliani c’è una certa preoccupazione: praticamente ognuno in Israele conosce qualcuno che è in servizio nella zona di Gaza (sia militari di leva che riservisti). Quello che possiamo fare è pregare perché cessino le violenze, e anche i soldati possano tornare a casa sani e salvi”. Molte famiglie di Be’er Sheva, inoltre, sono composte da cristiani arabi della Galilea che vivono qui. Molti di loro, dopo la prima settimana di guerra, si sono rifugiati nei villaggi di origine al Nord, mentre mariti e padri sono rimasti in città a lavorare.

Qualcuno ha voglia di raccontare come si vive sotto la minaccia di razzi. Già nei primi giorni di guerra, Salma e Habib, fratelli adolescenti, dicevano: “Non abbiamo voglia di un’altra guerra”, ricordando che i progetti per le vacanze estive appena cominciate erano ben diversi. Per loro è la terza guerra che vivono negli ultimi sei anni nel Sud del Paese, senza considerare i lanci di missili occasionali tra un’operazione militare e l’altra. Anche i loro genitori sono preoccupati per quanto accade, soprattutto quando i figli sono fuori di casa, per strada: con telefonate ed sms si informano sulle loro condizioni. In generale, spiega ancora il parroco, “i ragazzi hanno bisogno di raccontare ciò che vivono tra le emozioni di quella che all’inizio pare un’avventura e la paura: la sirena che suona, la corsa al rifugio, dove si incontrano i vicini di casa, il botto del missile intercettato o quello ancora più forte del missile che cade nelle vicinanze”.

Ai racconti di oggi si uniscono quelli del passato: “Una volta un missile è caduto vicino alla mia scuola” ricorda Katy. Anche i più piccoli risentono della situazione e il suono delle sirene unito all’agitazione dei genitori porta i bambini a scoppi di pianti e urla. “Sono stata alcuni giorni a trovare la mia famiglia in Galilea – racconta Marian – e mia figlia di tre anni raccontava a tutti quello che aveva vissuto nei giorni precedenti”. Nella comunità cattolica di Be’er Sheva ci sono anche diversi immigrati dall’India e dalle Filippine, che lavorano come badanti. In tempo di guerra, il loro lavoro è ancora più duro, dovendo trovare un riparo sicuro per i loro malati. “La signora che assisto – racconta una di loro – ha paura e non vuole che esca di casa per fare la spesa o venire a messa”.

Oltre ai lavoratori stranieri ci sono anche alcuni richiedenti asilo, per i quali questi giorni difficili richiamano alla mente le guerre da cui sono fuggiti in Africa. La comunità continua però a radunarsi per la preghiera, che si tiene in una zona riparata della casa parrocchiale, non in cappella. Al centro della preghiera di tutti è la supplica per la pace, per il bene di tutti. “Le parabole che ascoltiamo in queste domeniche – dice don Salvaterra – invitano tutti a essere speranzosi e fiduciosi che il piccolo seme di pace, piantato nella recente visita del Papa e nella seguente preghiera con i leader dei due popoli, possa portare frutto”.

Un desiderio di pace e di giustizia condiviso: in un incontro di preghiera per la pace organizzato dalla sinagoga del Movimento ebraico conservatore a Be’er Sheva, si sono riuniti, nei giorni scorsi, ebrei, musulmani e un gruppo della comunità cattolica. L’incontro “ha mostrato la gioia di tutti nel conoscersi e confrontarsi, e il sogno comune di pace per questa terra, santa per le tre religioni”.

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Conflitto israelo-palestinese. Solo la giustizia creerà la pace https://www.lavoce.it/conflitto-israelo-palestinese-solo-la-giustizia-creera-la-pace/ Fri, 18 Jul 2014 11:56:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27076 Gaza-lancio-bn
Il fumo dei razzi lanciati da Gaza verso Israele il 15 luglio

Nel momento in cui scriviamo [mercoledì pomeriggio] è salito a 205 morti il bilancio dei raid israeliani su Gaza, al nono giorno di offensiva militare.

“Israele ha ripreso le operazioni nella Striscia di Gaza dopo sei ore di attacchi unilaterali di Hamas che ha sparato 47 razzi”: così un portavoce dell’Esercito israeliano aveva annunciato la ripresa dell’operazione Protection Edge (Confine protettivo). Si è presto richiuso lo spiraglio per una cessazione delle ostilità tra Israele e Hamas…

Si aggrava nel frattempo l’emergenza sanitaria nella Striscia. Servirebbero 60 milioni di dollari per coprire il fabbisogno medico di Gaza, fa sapere l’Organizzazione mondiale della sanità.

Emergenza sanitaria che non esiste certo da oggi. Già a febbraio la Missione pontificia per la Palestina aveva reso noto un Rapporto dettagliato sugli interventi d’emergenza a favore della popolazione della Striscia di Gaza dopo l’operazione israeliana “Colonna di fumo” del novembre 2012. Le medicine e le attrezzature fornite dall’organismo vaticano avevano contribuito all’assistenza sanitaria di più di 17.000 persone, in particolare fornendo alimentazione e servizi alle donne in gravidanza e alla cura delle infezioni intestinali provocate dall’acqua inquinata. Erano inoltre stati attivati programmi di sostegno psico-sociale per quasi 6.000 bambini traumatizzati dai bombardamenti e dall’esperienza di dover lasciare le proprie case.

Di fronte ai nuovi attacchi, la commissione Giustizia e pace degli “Ordinari” (vescovi) cattolici di Terra Santa chiama in causa le responsabilità delle leadership politiche e religiose. Da un lato, il linguaggio violento di chi in Israele chiede vendetta “è alimentato dagli atteggiamenti e dalle espressioni di una leadership che continua a promuovere un discorso discriminatorio, promuovendo i diritti esclusivi di un gruppo e l’occupazione, con tutte le sue conseguenze disastrose. Vengono costruiti nuovi insediamenti, le terre sono confiscate, le famiglie sono separate, le persone care vengono arrestate e perfino uccise”. Sull’altro fronte, il violento ‘linguaggio della strada’ palestinese “è alimentato dagli atteggiamenti e dalle espressioni di coloro che hanno perduto ogni speranza di raggiungere una giusta soluzione per il conflitto attraverso i negoziati”.

A sua volta, Caritas Gerusalemme riafferma “il diritto di Israele a vivere in pace, e degli israeliani a vivere in sicurezza”, uscendo da una condizione segnata dalla paura perenne, ma ribadisce che tale diritto non potrà mai essere garantito “dalla guerra e dall’aggressione contro persone innocenti”. L’unica via per raggiungere la pace e la sicurezza è “la giustizia e la risoluzione del conflitto”, che potrà farsi strada solo riconoscendo al popolo palestinese il diritto a vivere in libertà nella propria terra e consentendo che Gaza si apra al mondo.

Intanto a vari organismi politici italiani, tra cui la Regione Umbria, è giunta una lettera aperta da parte dei “Cittadini contro il genocidio dei palestinesi” in cui si chiede di “fermare l’offensiva contro Gaza, fermare gli attacchi aerei, rispettare i termini dell’accordo di ‘cessate il fuoco’ del 2012, liberare i prigionieri già scarcerati per lo scambio del 2011 [ma] di nuovo catturati, non interferire nel governo unitario dei palestinesi”.

 

 

Luglio 2014. Un bambino di Gaza davanti alla sua casa colpita dalle bombe israeliane
Luglio 2014. Un bambino di Gaza davanti alla sua casa colpita dalle bombe israeliane

Il rinnovato appello del Papa per la pace

Un appello al Papa, perché intervenga per far cessare il conflitto tra Israele e Hamas, è stato lanciato mercoledì al tg di TV2000 da padre Raed Abusahlia, direttore della Caritas di Gerusalemme. “La situazione è molto difficile dal punto di vista umanitario; mancano cibo, acqua, elettricità. Ci sono migliaia di feriti negli ospedali e mancano le medicine”. Da qui l’appello che il direttore della Caritas rivolge al Santo Padre: “Abbiamo bisogno di lui per due cose: la prima è fare pressione, tramite la comunità internazionale, ad ambedue le parti – israeliani e palestinesi – perché pongano fine alle aggressioni. Poi, potrà fare un secondo miracolo: un anno fa ha lanciato una veglia di preghiera contro la guerra in Siria. Ora potrà promuovere una veglia di preghiera anche per la fine di questa guerra”.

Papa Francesco domenica scorsa, all’Angelus aveva rinnovato il suo “accorato appello” per la pace. “Alla luce dei tragici eventi degli ultimi giorni” ha chiesto a tutti di continuare a “pregare con insistenza per la pace in Terra Santa”. Ricordando l’incontro dell’8 giugno con il Patriarca Bartolomeo, il presidente Peres e il presidente Abbas nel quale era stato “invocato il dono della pace e ascoltato la chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza” papa Francesco si è rivolto a chi potrebbe pensare che sia stato inutile. Non lo è stato, ha detto, “perché la preghiera ci aiuta a non lasciarci vincere dal male né rassegnarci a che la violenza e l’odio prendano il sopravvento sul dialogo e la riconciliazione”. Ed ha quindi esortato “le parti interessate e tutti quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale a non risparmiare la preghiera e alcuno sforzo per far cessare ogni ostilità e conseguire la pace desiderata per il bene di tutti. E invito tutti ad unirvi nella preghiera”.

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Un lampo di luce, poi riecco il buio https://www.lavoce.it/un-lampo-di-luce-poi-riecco-il-buio/ Thu, 10 Jul 2014 17:26:28 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25996 Quando il Papa, poche settimane fa, ha riunito in Vaticano il Capo di Stato di Israele e quello dei Territori palestinesi, ho scritto che, al di là delle buone intenzioni, né l’una né l’altra di quelle due degne persone aveva realmente il potere di impegnarsi per la conclusione della pace. Questo perché nelle rispettive nazioni hanno sempre la meglio le correnti votate allo scontro.

Non immaginavo che ne avremmo avuto la conferma così presto e in modo così duro: in pochi giorni si sono consumati brutali assassinii da una parte e dall’altra e poi, martedì 8, un bombardamento israeliano su Gaza con venti, forse trenta morti. Il primo fatto potrebbe sembrare – ma non è – una manifestazione di delinquenza privata; il secondo è, a tutti gli effetti, un atto di guerra. Come usa adesso: con obiettivi militari (dicono) ma con vittime civili.

È vero che Gaza è ormai un piccolo Stato a sé, dominato dai ribelli di Hamas, in rivolta contro le autorità ufficiali palestinesi; ma il movimento di Hamas è presente anche altrove, e lo scontro armato contro gli israeliani gli serve per accrescere il suo prestigio e la sua influenza su tutto il popolo palestinese, e anche negli altri Stati arabi della zona.

I “falchi” israeliani, si capisce, non si tirano indietro. Intanto, fuori della Palestina avvengono fatti gravissimi: anche in Iraq gli estremisti islamici si sono impossessati di un’intera regione e hanno proclamato il ritorno del Califfato; un po’ come se qualcuno in Europa proclamasse il ritorno del Sacro Romano Impero, ma questa sarebbe solo una pagliacciata, mentre il Califfato è una cosa seria, perché risponde alle aspettative e agli istinti del mondo islamico più fanatico e fondamentalista. È l’ultima conseguenza, per ora, della sciagurata guerra di George W. Bush contro l’Iraq. Anche il Papa di allora si era speso disperatamente per evitare quella guerra. Ora, il neo-proclamato califfo di Mosul è cento volte più pericoloso di Saddam Hussein. Scenari molto foschi.

Il gesto profetico di Papa Francesco è stato un lampo di luce nelle tenebre; ma poi sono tornate le tenebre.

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Papa in Terra Santa: incontri politici, ecumenici, interreligiosi https://www.lavoce.it/papa-in-terra-santa-incontri-politici-ecumenici-interreligiosi/ Fri, 16 May 2014 07:47:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25005

[caption id="attachment_25008" align="alignleft" width="400"]Gerusalemme, veduta del quartiere cristiano della città vecchia. In primo piano, a destra, le cupole della Basilica del Santo Sepolcro Gerusalemme, veduta del quartiere cristiano della città vecchia. In primo piano, a destra, le cupole della Basilica del Santo Sepolcro[/caption] Grande attesa per il viaggio di Papa Francesco in Terra Santa il 24-26 maggio. Un viaggio di grande valore simbolico, ecumenico - in memoria dell’incontro tra Paolo VI e il Patriarca di Costantinopoli, Atenagora, nel 1964 - e interreligioso, e in nome della pace, dato che Bergoglio toccherà il suolo di tre nazioni: Giordania, Israele e Territori palestinesi, che peraltro il Vaticano già definisce “Stato di Palestina”. In preparazione all’evento è stata promossa una novena di preghiera dal 14 al 22 maggio: le varie Chiese cristiane di Gerusalemme in tal modo intendono sostenere spiritualmente il pellegrinaggio e l’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo, successore di Atenagora. L’incontro si svolge esattamente 50 anni dopo quello storico, e proprio a Gerusalemme, tra Montini e il Patriarca di Costantinopoli; incontro che ha segnato un nuovo inizio nelle relazioni fra le Chiese cattoliche e ortodosse. La novena consiste di momenti di preghiera nei luoghi santi, sia individuali sia comunitari, con digiuni e liturgie. Incontri di preghiera comunitari si svolgeranno a turno nelle diverse chiese della Città santa; sono invitate a partecipare tutte le diverse comunità cristiane. Si è cominciato mercoledì, 14 maggio, con un giorno di digiuno e una adorazione della Croce nella cappella greco-ortodossa del Golgota. Ieri, giovedì, un tempo di adorazione, e la Via crucis presso il Patriarcato armeno cattolico. Nei giorni seguenti la comunità cristiana, oltre a partecipare ai vari momenti di preghiera, è invitata a fare visita ad amici, familiari o a malati e poveri. Fino al 22 maggio, tutte le Chiese cristiane di Gerusalemme saranno impegnate nell’iniziativa di preparazione. Intanto, già il 24 aprile una delegazione dell’Autorità palestinese si era recata al Patriarcato latino di Gerusalemme per gli auguri pasquali. Durante l’incontro si era parlato della visita di Papa Francesco “sotto un’angolatura più politica”. Era stato esaminato l’accordo di riconciliazione tra l’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) e Hamas, le formazioni politiche palestinesi che governano rispettivamente sui Territori e sulla Striscia di Gaza. L’accordo prevede la formazione di un Governo di unità nazionale. Anche se l’iniziativa è condannata dal Governo israeliano, che rifiuta ogni contatto con Hamas (che, a sua volta, non riconosce Israele), mons. William Shomali, vicario patriarcale per Gerusalemme e la Palestina, ha formulato auguri di successo per la formazione di un futuro Governo, augurandosi che “i cristiani non cessino di cercare l’unità ogni giorno e in ogni momento”. [caption id="attachment_24945" align="alignleft" width="350"]Papa Paolo VI e il patriarca Atenagora a Gerusalemme nel gennaio 1964 Papa Paolo VI e il patriarca Atenagora a Gerusalemme nel gennaio 1964[/caption] Il programma del viaggio papale è intenso. Qui di seguito, le tappe più significative. Sabato 24 maggio: ore 13, arrivo all’aeroporto di Amman in Giordania - a seguire, cerimonia di benevenuto al palazzo reale - ore 16, messa allo stadio di Amman - ore 19, visita al luogo in cui battezzava Giovanni il Battista, quindi incontro con rifugiati e disabili. Domenica 25 maggio: ore 9.20 arrivo all’eliporto di Betlemme, e visita di cortesia al Presidente palestinese - ore 11, messa nella piazza della Mangiatoia - pranzo con famiglie - ore 15, il Papa visita la grotta della Natività, quindi un campo profughi - ore 16.30, benevenuto all’aeroporto “Ben Gurion” di tel Aviv, poi trasferimento in elicottero a Gerusalemme - ore 18.15 incontro con Bartolomeo I e firma di una Dichiarazione congiunta - ore 19, incontro ecumenico nella basilica del Santo Sepolcro. Lunedì 26 maggio: ore 8.15, visita al Gran Muftì di Gerusalemme - ore 9.10, visita al Muro occidentale del Tempio - ore 10, allo Yad Vashem - ore 10.45, visita ai due Gran Rabbini di Israele - ore 11.45, visita al Presidente israeliano - ore 13, udienza privata con il Premier israeliano - ore 16, incontro con sacerdoti e religiosi presso il Getsemani - ore 17.20, messa nel Cenacolo con i Vescovi di Terra Santa - ore 20.15 partenza per Roma.]]>

[caption id="attachment_25008" align="alignleft" width="400"]Gerusalemme, veduta del quartiere cristiano della città vecchia. In primo piano, a destra, le cupole della Basilica del Santo Sepolcro Gerusalemme, veduta del quartiere cristiano della città vecchia. In primo piano, a destra, le cupole della Basilica del Santo Sepolcro[/caption] Grande attesa per il viaggio di Papa Francesco in Terra Santa il 24-26 maggio. Un viaggio di grande valore simbolico, ecumenico - in memoria dell’incontro tra Paolo VI e il Patriarca di Costantinopoli, Atenagora, nel 1964 - e interreligioso, e in nome della pace, dato che Bergoglio toccherà il suolo di tre nazioni: Giordania, Israele e Territori palestinesi, che peraltro il Vaticano già definisce “Stato di Palestina”. In preparazione all’evento è stata promossa una novena di preghiera dal 14 al 22 maggio: le varie Chiese cristiane di Gerusalemme in tal modo intendono sostenere spiritualmente il pellegrinaggio e l’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo, successore di Atenagora. L’incontro si svolge esattamente 50 anni dopo quello storico, e proprio a Gerusalemme, tra Montini e il Patriarca di Costantinopoli; incontro che ha segnato un nuovo inizio nelle relazioni fra le Chiese cattoliche e ortodosse. La novena consiste di momenti di preghiera nei luoghi santi, sia individuali sia comunitari, con digiuni e liturgie. Incontri di preghiera comunitari si svolgeranno a turno nelle diverse chiese della Città santa; sono invitate a partecipare tutte le diverse comunità cristiane. Si è cominciato mercoledì, 14 maggio, con un giorno di digiuno e una adorazione della Croce nella cappella greco-ortodossa del Golgota. Ieri, giovedì, un tempo di adorazione, e la Via crucis presso il Patriarcato armeno cattolico. Nei giorni seguenti la comunità cristiana, oltre a partecipare ai vari momenti di preghiera, è invitata a fare visita ad amici, familiari o a malati e poveri. Fino al 22 maggio, tutte le Chiese cristiane di Gerusalemme saranno impegnate nell’iniziativa di preparazione. Intanto, già il 24 aprile una delegazione dell’Autorità palestinese si era recata al Patriarcato latino di Gerusalemme per gli auguri pasquali. Durante l’incontro si era parlato della visita di Papa Francesco “sotto un’angolatura più politica”. Era stato esaminato l’accordo di riconciliazione tra l’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) e Hamas, le formazioni politiche palestinesi che governano rispettivamente sui Territori e sulla Striscia di Gaza. L’accordo prevede la formazione di un Governo di unità nazionale. Anche se l’iniziativa è condannata dal Governo israeliano, che rifiuta ogni contatto con Hamas (che, a sua volta, non riconosce Israele), mons. William Shomali, vicario patriarcale per Gerusalemme e la Palestina, ha formulato auguri di successo per la formazione di un futuro Governo, augurandosi che “i cristiani non cessino di cercare l’unità ogni giorno e in ogni momento”. [caption id="attachment_24945" align="alignleft" width="350"]Papa Paolo VI e il patriarca Atenagora a Gerusalemme nel gennaio 1964 Papa Paolo VI e il patriarca Atenagora a Gerusalemme nel gennaio 1964[/caption] Il programma del viaggio papale è intenso. Qui di seguito, le tappe più significative. Sabato 24 maggio: ore 13, arrivo all’aeroporto di Amman in Giordania - a seguire, cerimonia di benevenuto al palazzo reale - ore 16, messa allo stadio di Amman - ore 19, visita al luogo in cui battezzava Giovanni il Battista, quindi incontro con rifugiati e disabili. Domenica 25 maggio: ore 9.20 arrivo all’eliporto di Betlemme, e visita di cortesia al Presidente palestinese - ore 11, messa nella piazza della Mangiatoia - pranzo con famiglie - ore 15, il Papa visita la grotta della Natività, quindi un campo profughi - ore 16.30, benevenuto all’aeroporto “Ben Gurion” di tel Aviv, poi trasferimento in elicottero a Gerusalemme - ore 18.15 incontro con Bartolomeo I e firma di una Dichiarazione congiunta - ore 19, incontro ecumenico nella basilica del Santo Sepolcro. Lunedì 26 maggio: ore 8.15, visita al Gran Muftì di Gerusalemme - ore 9.10, visita al Muro occidentale del Tempio - ore 10, allo Yad Vashem - ore 10.45, visita ai due Gran Rabbini di Israele - ore 11.45, visita al Presidente israeliano - ore 13, udienza privata con il Premier israeliano - ore 16, incontro con sacerdoti e religiosi presso il Getsemani - ore 17.20, messa nel Cenacolo con i Vescovi di Terra Santa - ore 20.15 partenza per Roma.]]>
La Palestina di “abuna” Mario Cornioli https://www.lavoce.it/la-palestina-di-abuna-mario-cornioli/ Thu, 10 Oct 2013 12:18:18 +0000 https://www.lavoce.it/?p=19994 Don Mario Cornioli durante il suo intervento
Don Mario Cornioli durante il suo intervento

Avevamo incontrato don Mario Cornioli già nel febbraio del 2012 durante la presentazione del volume fotografico Un muro non basta di Andrea Merli. L’occasione si è ripresentata sabato scorso quando il sacerdote è stato nuovamente a Città di Castello presso la chiesa di Santa Maria Maggiore, invitato dall’associazione Habibi di cui è presidente.

Dopo il saluto di don Tonino Rossi e del vescovo Cancian, Gaetano Zucchini ha presentato l’associazione, nata dalla volontà di persone della Valtiberina che – sulla scia di un pellegrinaggio in Terra Santa – hanno scelto di non tacere, anzi di adoperarsi per la divulgazione della cultura e della storia di questa terra.

Habibi promuove azioni a sostegno della Casa dei bambini “Gesù”, struttura presso la quale don Mario, originario di Sansepolcro, ospita bambini con gravi disabilità, che possono sopravvivere solo grazie al grande cuore di tanti volontari spesso italiani, e ancora più spesso altotiberini.

Abuna Mario, come viene chiamato da palestinesi e israeliani, racconta del suo viaggio lungo le strade della Palestina, dove ha scelto di vivere per sostenere la difficile realtà di convivenza in questa terra dove dal 2002 è iniziata la vergognosa costruzione di un muro che separa Palestina da Palestina, volutamente eretto a zig-zag con la strategia di privare chi resterà oltre il muro delle risorse più importanti: l’acqua, la terra, gli ulivi.

Cornioli ha scelto di vivere a Betlemme, oltre quel muro che sta dividendo in due anche la sua parrocchia. Ha provato tanti ricorsi per fermarne la costruzione, ma oggi la sua unica arma è la preghiera, quella speciale “Intifada” della preghiera che vede lui e la sua gente riunirsi sotto gli ulivi o di fronte al muro e “sparare” Ave Maria “perché la nostra voce, che non è ascoltata orizzontalmente dalle autorità, salga al Signore”. Parla anche di Gaza: “È l’inferno. E se vi racconteranno che lì ci sono i terroristi sappiate che il terrore c’è, è negli occhi dei bambini”.

Come il samaritano che scende da Gerusalemme a Gerico si ferma a soccorrere l’uomo bisognoso a terra, in Palestina oggi a terra c’è tutto un popolo ferito, umiliato, segregato, privato della propria identità. L’aiuto che concretamente è possibile dare è fatto di informazione corretta, di approfondimento della conoscenza di questo popolo e della vera realtà delle cose, per resistere al male alimentando una speranza di pace.

Testimonial d’eccezione dell’iniziativa, l’attore e scrittore Giuseppe Cederna che ha raccontato la sua personale esperienza di speranza vissuta durante il viaggio nel quale ha incontrato don Mario. Anche la corale “Marietta Alboni”, che recentemente ha visitato la Terra Santa, ha voluto offrire un omaggio musicale.

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Basta con questo odio! https://www.lavoce.it/basta-con-questo-odio/ Thu, 22 Nov 2012 13:33:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=13985
Una famiglia al riparo in un rifugio. Nitzan, Israele (Uriel Sinai/Getty Images)

Sarà la volta buona? Mercoledì 21 novembre è stato raggiunto un accordo per il “cessate il fuoco” tra Israele e Hamas nell’area della Striscia di Gaza. La tregua è entrata in vigore alle ore 20 (ora italiana). I punti salienti dell’intesa riguardano lo stop di tutte le ostilità da entrambe le parti, stop agli “omicidi mirati” israeliani e apertura dei varchi della Striscia di Gaza per facilitare il passaggio delle persone. ll premier israeliano Netanyahu ha dichiarato che Israele e Stati Uniti coopereranno nella lotta contro il traffico di armi attraverso il Sinai; armi “che provengono per lo più dall’Iran”. L’Egitto ha confermato il suo sostegno “duraturo alla giusta causa palestinese” e ha fatto appello a tutte le parti perché rispettino l’accordo.

Ma la tensione è stata tanta, e – come purtroppo noto – le tregue spesso non hanno vita lunga in quell’area. Da Gaza sono giunte testimonianze dirette su come i civili abbiano vissuto i giorni, publicate sul sito dell’agenzia Sir (www.agensir.it).

Padre Faysal Hijazen, direttore generale delle scuole del Patriarcato latino di Gerusalemme, nei giorni precedenti la tregua aveva denunciato: “Soffriamo con i nostri bambini di Gaza e i loro genitori privati della libertà, della sicurezza e della dignità. Non dormono più a causa dei bombardamenti”. Tutti gridano ai rispettivi dirigenti: “Fateci vivere la nostra infanzia, vogliamo giocare, studiare e vivere! Liberateci dal vostro odio, rancore, dalla vostra guerra e occupazione!”. Dal direttore, anche un appello al mondo della scuola e degli insegnanti: “Lavoriamo alla realizzazione del rispetto della dignità umana, riconosciamo i valori e i diritti dell’infanzia, educhiamo i bambini alla pace e alla giustizia difendendo i loro diritti e riconoscendo quegli degli altri. Possa ogni bambino in Terra Santa vivere in libertà e giustizia”.

“Per la vostra sicurezza vi invitiamo ad evacuare immediatamente le vostre case e a dirigervi verso il centro della città” era il testo, in arabo, dei volantini lanciati da Israele su Gaza, nei quali si ordinava lo sgombero alla popolazione delle località alla frontiera con Gaza, come Shujaia, Shaikh Ajlin, Bet Lahia, Bet Hanun e Tel Alhawa. A raccontarlo è padre Jorge Hernández, parroco della Striscia, in una testimonianza rilanciata dal Patriarcato latino di Gerusalemme. “La gente – dice – non sa dove andare. Si vedono passare con coperte in mano, qualche borsa, qualcosa da mangiare, con i loro bambini aggrappati al petto, fuggendo disperati. Non c’è un luogo destinato al rifugio dei civili”.

“Quello che mi ha colpito in questi giorni – ha raccontato F.S., italiana che da circa 10 anni vive in un Focolare della Terra Santa, una dei cooperanti rimasti bloccati a Gaza e portati in salvo domenica scorsa – è il fatto che nessuno urla: non ho mai sentito un urlo di paura. Perché la paura è così forte, che ti agghiaccia e non riesci a reagire, a emettere suoni. Dopo un periodo di silenzio, cerchi di riparlare e muoverti normalmente. Ma all’inizio senti dentro il ghiaccio. Dopo il rombo fortissimo della bomba, ti guardi attorno, ti accerti se sei ancora vivo, se è crollato qualcosa. E poi reagisci”.

Nei giorni in cui erano più intensi i bombardamenti e le vittime a Gaza, la Tavola della pace aveva lanciato un appello per chiedere all’Italia e all’Europa di farla finita con i silenzi e l’inerzia. Per la Tavola della pace “è arrivato il momento di andare alla radice del problema: mettere fine all’occupazione militare e risolvere il conflitto tra questi due popoli”.

Mons. Bassetti: la pace non è impossibile

“A sette giorni dal nostro rientro dalla Terra Santa, ci preoccupano le notizie che giungono dai luoghi da noi visitati durante il nostro pellegrinaggio, vissuto con immensa gioia nel percorrere le tappe più significative della vita di Gesù Cristo fino ad arrivare a Gerusalemme, la Città santa per ebrei, cristiani ed musulmani, dove abbiamo potuto cogliere ‘segni” della volontà di molti a voler vivere in pace. La pace in Medio Oriente non è impossibile, perché forte è il sentimento che accomuna tanti cristiani, ebrei e musulmani ad emarginare coloro che fomentano l’odio. Ma l’escalation della violenza di questi ultimi giorni ancora una volta rischia di vanificare il precario processo di pace in corso da anni tra israeliani e palestinesi. La presenza di milioni di pellegrini che giungono ogni anno in Terra Santa contribuisce non poco a questo processo, e noi dall’Umbria, terra di pace, abbiamo voluto portare il nostro contributo, oltre a vivere l’esperienza del pellegrinaggio come occasione per rigenerarsi alle sorgenti della nostra fede cristiana a inizio Anno della fede, che è speranza e carità, quindi giustizia e pace”. A dirlo era stato l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Ceu, mons. Gualtiero Bassetti, nel commentare quanto stava accadendo in Medio Oriente, dove si era recato in pellegrinaggio dal 3 al 10 novembre insieme ad un folto gruppo di pellegrini (circa 200) provenienti un po’ da tutta l’Umbria. “Dalla nostra Umbria, la terra di Francesco d’Assisi che nel 1220 andò pellegrino in Terra Santa per dialogare con il Sultano – aggiunge mons. Bassetti –, vogliamo far giungere il nostro forte appello alla pace e condividere la speranza con chi si prodiga molto a costruire un futuro di pace in una terra così tanto martoriata, le cui vittime sono soprattutto tra la popolazione civile, spesso donne e bambini”.

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Presentato a Perugia un libro fotografico che racconta la tragedia del “muro”. Ne parla chi c’è stato https://www.lavoce.it/presentato-a-perugia-un-libro-fotografico-che-racconta-la-tragedia-del-muro-ne-parla-chi-ce-stato/ Thu, 23 Dec 2010 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9013 Per decidere chi ha ragione e chi ha torto, per tracciare un confine arbitrario, per dettare la legge del più forte, un muro non basta. Il 3 dicembre 2010 si sono svolti a Perugia due incontri di presentazione di un libro fotografico di Andrea Merli Un muro non basta; la scelta della fotografia, come forma di testimonianza di una situazione quale quella della Palestina, è stata caratterizzata dal fatto che una stampa può significare più di mille parole, ferma un attimo che non ci sarà più, segna un ricordo e può far comprendere in maniera più diretta ciò che viene rappresentato all’interno di essa. Questo libro, in 105 immagini, scandisce gli avvenimenti che, tra l’autunno del 2004 e l’estate 2010, hanno segnato la storia della Palestina. La presentazione serale, avvenuta al centro Mater Gratiae, è stata un Evento con la E maiuscola. Andrea Merli, assieme a don Mario Cornioli, ha accompagnato ogni fotografia con una spiegazione, evidenziando dettagli che chi guarda le immagini non sempre può cogliere a prima vista. Quella sera, oltre alle foto del libro, ne sono state mostrate molte altre che, oltre a farci conoscere la “gabbia” che è ormai racchiusa al di là del muro, ci hanno portato nella tanto “temuta” Gaza. Sono stata due volte in Palestina (con il gemellaggio tra scuole, ndr) e ho riconosciuto nelle fotografie: gli insediamenti israeliani, che aumentano ogni giorno di più, le code chilometriche che iniziano a formarsi dalle 6 di mattina, se non prima, davanti ai check-point per riuscire a trovare un lavoro dall’altra parte, le case che non hanno più una vista fuori dalla finestra, perché hanno il muro attorno… ma Gaza, non l’avevo mai vista con gli occhi con i quali ho osservato quelle immagini durante la presentazione. Forse, se cerco di far riaffiorare qualcosa dalla mente, posso ricordarmi di immagini veloci, sgranate, che ci vengono date dai media televisivi. Invece quelle foto, ora, le porto nel cuore e, più di esse, le parole di don Mario: “Il buio di Gaza è diverso; quando lì scende la sera, non si sente alcun rumore… è speciale, ma allo stesso tempo quasi terrificante. Ogni tanto di giorno, quando si vedono degli aerei nel cielo, si pensa: ecco, tra un attimo tutto finisce. Poi, nel momento in cui l’aereo se ne va, si ricomincia tutto come prima. Osservando queste foto scattate al mercato potete notare che ogni bancarella ha un suo generatore, perché lì non c’è corrente: Israele ce l’ha sotto controllo”. Scorrendo ancora le immagini, continuiamo a diventare testimoni indiretti di asili divisi dal muro, pastori che devono fare un percorso molto più lungo rispetto a quello che facevano prima della costruzione del muro per portare al pascolo le pecore, palestinesi che, pur di guadagnare qualche soldo, si costruiscono la gabbia da soli, contribuendo ai lavori del muro e, soprattutto, all’idea diffusa dal Governo israeliano, che il muro abbia puro scopo difensivo. Ora si modifica anche l’estetica delle pareti della gabbia, quelle che vengono costruite adesso non sono più di un cemento armato freddo e grigio, ma iniziano ad essere costruite con più “attenzione all’impatto ambientale”, rendendolo innocuo agli occhi dei visitatori, ma per quelli ce ci vivono dentro non cambia niente. L’immagine che chiude il libro riporta una coppia di sposi ebrei che, su una terrazza di Gerusalemme, guarda il panorama verso est, dalla parte opposta alla quale è stato costruito il muro: questa, forse, la foto più significativa del libro.

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Benedetto XVI in Terra Santa https://www.lavoce.it/benedetto-xvi-in-terra-santa/ Thu, 19 Feb 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7322 Manca ancora l’annuncio della Santa Sede, ma il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa, a maggio, è ufficiale. La conferma è arrivata, nei giorni scorsi, dal premier israeliano Ehud Olmert. ‘Una decisione coraggiosa’ per il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, a causa delle ‘incertezze della situazione politica, delle tensioni continue di una regione percorsa da conflitti’. Ma ‘forse proprio per tutti questi motivi è urgente andarvi’. Era stato lo stesso Benedetto XVI, il 12 febbraio, a dire ai membri della Conferenza dei presidenti delle organizzazioni ebraiche Usa che si ‘stava preparando’ al viaggio in Terra Santa. Ne parliamo con il nunzio apostolico in Israele, mons. Antonio Franco. Sotto quali auspici avrà luogo questo viaggio? ‘La visita del Papa è quella del capo spirituale della comunità cattolica e, quindi, viene a visitare i suoi figli che sono qui, in particolare in Giordania e in Terra Santa, dunque Israele e Territori palestinesi. È una visita pastorale alle comunità cattoliche, con le aperture che sono al cuore di tutta la missione della Chiesa oggi, in continuità con quelle conciliari e nel filone della tradizione della Chiesa’. Benedetto XVI non incontrerà solo le comunità cattoliche? ‘Ci sarà l’incontro con le comunità cattoliche, con quelle cristiane e momenti con i leader delle altre religioni, islam ed ebraismo. La dimensione pastorale non esclude anche incontri con i responsabili dello Stato in Giordania, in Israele e Territori palestinesi dove c’è un’Autorità palestinese’. È allo studio anche una tappa a Gaza o in zone vicine? ‘Non sappiamo ancora se il Papa potrà recarsi o avvicinarsi a Gaza. Non era e non è nel programma, poiché ci sono tante considerazioni, anche di tempo, che vanno tenute presenti. Certamente ci sarà, auspichiamo, una presenza della piccola comunità di Gaza alla messa. In Terra Santa il Papa non avrà una permanenza tale da incontrare tutte le realtà della Chiesa ma ci saranno tre occasioni di grandi raduni con le comunità locali: una a Gerusalemme, una a Betlemme ed una in Galilea. Si spera che ci sarà la possibilità, per tutti coloro che lo vogliono, di avvicinarsi per ascoltare un messaggio di pace e di riconciliazione e di stimolo a costruire un mondo migliore’. Rivedremo immagini come quelle di Giovanni Paolo II al Muro del pianto? ‘Vedremo e rivedremo tante immagini. Alcuni momenti sono tappe obbligate, che non voglio specificare, lasciando la curiosità e l’attesa. Sul programma ci sono molte speculazioni. Ancora un po’ di pazienza e sapremo tutto…’. Questo viaggio sembra porre fine alle polemiche circa la revoca della scomunica ai lefebvriani… ‘Le reazioni sono sempre un po’ emozionali. La linea della Santa Sede, fermandoci solo al dopo Concilio, è di riflessione e di continuità nell’approfondimento. Questo per dire che il Papa ha riproposto in maniera inequivocabile la posizione che è già parte della vita e del patrimonio della Chiesa. Le parole alla Conferenza dei presidenti delle organizzazioni ebraiche sono state chiare, precise, inequivocabili, ferme. E hanno riproposto ‘ ripeto ‘ qualcosa già da lui detto in altre circostanze’.

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“Fermiamo subito quella sanguinosa follia” https://www.lavoce.it/fermiamo-subito-quella-sanguinosa-follia/ Thu, 22 Jan 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7239 Alla manifestazione per la pace in Medio Oriente, tenutasi domenica 18 sulla cittadella di Assisi, hanno partecipato cinquemila persone. ‘Una grande manifestazione – ha commentato Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace, che ha organizzato l’evento -, con l’adesione di oltre 1.200 associazioni e organizzazioni di ogni orientamento culturale, politico e religioso, Comuni, Regioni e forze politiche. Abbiamo ascoltato – aggiunge – molte voci da Gaza, Sderot, Gerusalemme; voci di palestinesi e di israeliani, di cristiani musulmani, ebrei… Abbiamo ascoltato, riflettuto e avanzato numerose idee e proposte’. L’ascolto in diretta telefonica di persone da Israele e dall’area degli scontri è stato infatti uno dei momenti più toccanti della manifestazione. E l’impegno concreto sarà quello di ‘restituire’ la visita: ‘Tutti a Gerusalemme, entro l’anno!’ è la proposta lanciata con forza dallo stesso Lotti. Se non altro, per costringere l’Europa ad ‘accorgersi’ di quel territorio che ha già pagato un immenso tributo di sangue. Tre proproste concreteQuanto alle proposte emerse dalla giornata di domenica, o meglio le ‘cose da fare insieme’, sono state sintetizzate in tre punti. 1: Costituire in ogni città un comitato per la pace in Medio Oriente, in cui enti locali e associazioni che condividono l’appello di Assisi Dobbiamo fare la nostra scelta possano lavorare assieme per coinvolgere e sensibilizzare la popolazione, promuovere una politica e un’informazione di pace e praticare una solidarietà fattiva. 2: Dare un futuro ai bambini di Gaza, partecipando alla campagna di solidarietà con i bambini palestinesi di Gaza. L’obiettivo è raccogliere i fondi necessari per alleviare immediatamente le loro sofferenze, curare i feriti e aiutarli a superare il trauma e tornare a sognare un futuro migliore. Si possono inviare offerte sul c/c postale 19583442 intestato all’Agenzia della Pace, specificando ‘Bambini di Gaza’. 3: Come già accennato, organizzare una ‘spedizione’ a Gerusalemme, in Israele e nei Territori palestinesi occupati. ‘Per mettere definitivamente fine a questa sanguinosa follia’. Ma nella marcia di Assisi qualcosa non andavaSperavo sinceramente, domenica scorsa, di vedere in Assisi una manifestazione per la pace diversa dal solito, dato che nel foglio distribuito partecipanti si dichiarava ormai finito ‘il tempo per la vecchia politica, per la retorica, per gli appelli vuoti e inconcludenti’. Ma il copione, eccettuate soprattutto la presenza e le sagge parole del vescovo di Assisi Sorrentino davanti alla basilica di San Francesco, non mi è sembrato granché diverso dal solito. Il logo, i discorsi dei soliti politici, le interviste, gli striscioni ecc. erano chiaramente sbilanciati contro una delle due parti in conflitto. E già questo mi è apparso un grosso neo, perché con i ‘contro’ non si va molto lontano. Vedendo tanti partecipanti, giustamente indignati contro le violenze e la guerra in Medio Oriente, mi sono chiesto perché mai tanto silenzio nei mesi scorsi, quando dall’India giungevano ogni giorno notizie di feroci massacri contro i cristiani, delle distruzioni di migliaia di case e chiese, della fuga nelle foreste di interi villaggi cristiani; perché mai le tante bandiere inneggianti alla non violenza fossero rimaste nei ripostigli. Pensavo, anche, che non è lecito tacere di fronte al fatto che le violenze contro i cristiani dell’India, rei soltanto di sottrarre i paria allo sfruttamento delle ‘classi superiori’, non abbiano suscitano sdegno e proteste adeguati; che, più in generale, la lunga scia di sangue dei nuovi martiri cristiani (centinaia negli ultimi mesi; milioni nel secolo scorso!) non abbia quasi lasciato traccia nelle coscienze di tanti che pure lodevolmente operano per la pace e i diritti dei popoli. Non sarà che queste vittime sono ritenute politicamente insignificanti? Le manifestazioni per contrastare la violenza vanno sicuramente fatte; ma in qualsiasi caso, con forza e pubblicamente, se si vuole essere credibili. E in tali casi noi cristiani dovremmo essere in prima fila accanto a chi sinceramente opera per la pace e avversa ogni forma di violenza, pur convinti che lo strumento primo e irrinunciabile è la preghiera rivolta a Colui che ‘è la nostra pace’, come hanno opportunamente ricordato, anche in questa circostanza, i Vescovi dell’Umbria.

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“Non possiamo rimanere indifferenti verso Gaza” https://www.lavoce.it/non-possiamo-rimanere-indifferenti-verso-gaza/ Thu, 15 Jan 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7221 Un impegno straordinario di preghiera per la pace in Terra Santa. È quello che possono fare i credenti, ed è quello che si è fatto ad Assisi domenica pomeriggio nella basilica di San Francesco, affollata di religiosi, religiose e fedeli provenienti da tutta la regione. La preghiera sulla tomba del Santo, promossa dai Vescovi dell’Umbria e presieduta dal vescovo di Assisi mons. Domenico Sorrentino, è stata l’icona della preghiera che si è levata da più parti spontaneamente e per la quale i Vescovi chiedono ‘un impegno straordinario’. ‘L’escalation della violenza in Medio Oriente, specie nella Striscia di Gaza, interpella con urgenza la coscienza di tutti gli uomini di buona volontà – ha detto mons. Sorrentino, sottolineando la particolarità del conflitto in Medio Oriente. – A noi cristiani provoca particolare dolore anche per il fatto che questa regione così provata è la terra di Cristo. Non possiamo assistere indifferenti a quanto sta avvenendo. Non accettiamo che l’estremismo di Hamas usi le armi del terrore contro Israele, e intenda cancellarne persino l’esistenza. Non accettiamo che l’autodifesa di Israele avvenga in modo tanto invasivo e con tanto spargimento di sangue. Procedere in questo modo significa alimentare un odio reciproco, foriero di sempre ulteriori violenze’. ‘In sintonia con gli appelli del Santo Padre’ i Vescovi umbri chiedono ‘che la logica rabbiosa dell’odio non prevalga sulla speranza di potersi incontrare per riprendere il dialogo e mettere a punto le condizioni di una pace vera. Ci auguriamo che il ruolo dell’Onu si faccia sentire in modo efficace’. Mons. Sorrentino ha richiamato il discorso delle Beatitudini, ‘saggio, anche sul piano umano’ nel punto in cui Gesù ‘innova’ rispetto alla concezione comune e alla stessa tradizione biblica, proponendo l’ideale dell’amore dei nemici. ‘Discorso esigente – ha commentato il Vescovo – eppure, alla luce della storia, tanto ragionevole. Rileggiamolo. ‘Avete inteso che fu detto: occhio per occhio e dente per dente, ma io vi dico di non opporvi al malvagio, anzi se uno ti percuote sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra’… ‘Ma io vi dico’: un’autentica rivoluzione dell’amore! Non significa certo che occorra essere succubi di ogni violenza e che non sia giusto provvedere anche alla legittima difesa di fronte all’ingiusto aggressore. Ma solo quando il cuore si apre all’amore e al perdono si riaprono anche le speranze di superare storie di violenza, che rischiano di portare non solo alla distruzione dell’altro, ma all’autodistruzione’.

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Bambini di Gaza e altrove https://www.lavoce.it/bambini-di-gaza-e-altrove/ Thu, 15 Jan 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7222 Nei venti giorni di guerra dichiarata e guerreggiata dallo Stato d’Israele contro i miliziani di Hamas nella Striscia di Gaza e nella stessa Gaza City, sono rimaste vittima dei bombardamenti moltissime, troppe, persone civili, di ogni età. Al centro dell’attenzione mondiale vi sono soprattutto i bambini. Non diamo le cifre, che ogni giorno cambiano e si aggiornano nei bollettini di guerra dei telegiornali. Una popolazione raccolta in uno spazio territoriale limitato (40 km per 10 circa) ad alta densità abitativa risulta un bersaglio facile ed eccessivo. Quando c’è guerra e violenza, i primi a soffrirne sono proprio i bambini e i ragazzi, impediti di muoversi per le strade e nelle piazze, esposti più degli adulti per la loro nativa imprudenza e spensieratezza che li rende sprezzanti del pericolo. Ci sono anche i bambini israeliani che insieme alle loro famiglie soffrono di uno stato di guerra che dura da decenni. Alcuni commentatori, riandando alla nascita dello Stato d’Israele, hanno descritto il conflitto in atto come ‘un episodio della Guerra dei cento anni’, computando i sessanta passati e i prossimi quaranta, in base a catastrofiche previsioni.

Una situazione di sofferenza simile, notata da Forbice su un quotidiano di mercoledì scorso, anche se non paragonabile, la vivono anche i bambini israeliani, sempre sotto il terrore di essere colpiti dai razzi di Hamas. Anche a scuola sono costretti a stare dentro rifugi o bunker appositamente attrezzati. Sono consapevole che chi dice queste cose si espone alla critica di mettere sullo stesso piano israeliani e palestinesi, come se fosse cosa ovvia. Non entriamo nella questione che divide il mondo. Se si dice ad esempio, con il card. Martino, che gli abitanti di Gaza sono stretti come in un campo di concentramento senza possibilità di muoversi e di uscire, si è classificati anti-israeliani e magari anche antisemiti. Se si sottolinea, invece, che Hamas spara razzi per colpire indiscriminatamente la popolazione ebraica e che si serve della popolazione come scudo umano per tutelare capi di nuclei armati e depositi di armi, ci si trova ugualmente scomodi ed incompresi.

La posizione giusta è quella indicata da Benedetto XVI che parla, invoca e fa appello alla riconciliazione, alla pace, invita a trattare attorno ad un tavolo, alla ricerca del bene massimo possibile dei due popoli. È anche la posizione delle persone di buon senso, che ritengono per esperienza convalidata nei secoli che le guerre e le violenze portino danni irreversibili per la perdita di vite umane, che è la massima perdita pensabile; e se ottengono qualche risultato, pure scarso e precario, questo si potrebbe ottenere con una seria e realistica trattativa. Il realismo non può venir mai meno rispetto a qualunque ideale possibile. Hamas non potrà pensare di distruggere lo Stato d’Israele, e Israele non potrà pensare di costringere con la forza i palestinesi dentro una riserva circondata da un muro. In un Salmo si dice: “Dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai ricevuto lode” (Sal 8,3). Ora si può aggiungere: “Dalle vittime innocenti e dal loro sangue salga un appello a fermare la strage”. Bambini in sofferenza ci sono anche altrove, moltissimi “altrove”. Di questi, per ora, lasciamo solo il triste pensiero.

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