Gaudium et spes Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/gaudium-et-spes/ Settimanale di informazione regionale Fri, 26 Mar 2021 14:53:36 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Gaudium et spes Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/gaudium-et-spes/ 32 32 GIORNATA DELLA PACE. Vincere l’indifferenza è possibile. E cambia le cose https://www.lavoce.it/giornata-della-pace-vincere-lindifferenza-e-possibile-e-cambia-le-cose/ Mon, 28 Dec 2015 07:27:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44820 siria-guerraIl vero male è l’indifferenza” ripeteva instancabile Madre Teresa in tutti i suoi incontri pubblici. Quasi a sottolineare che, se il male è una presenza con la quale l’umanità è chiamata a confliggere, di fatto è l’indifferenza della maggioranza a permettere al male stesso di sedimentarsi, di diffondersi e di crescere. In questo senso la “globalizzazione dell’indifferenza” – come Papa Francesco ha stigmatizzato il fenomeno esteso che caratterizza ancora di più il nostro tempo – rappresenta essa stessa un male che va contrastato con tutte le forze in campo, se vogliamo “conquistare la pace”. Due termini antitetici, indifferenza e pace, per non restare vittime dell’ambiguità secondo la quale l’inerzia delle mani conserte, l’ignavia, l’inoperosità, l’omissione o il disimpegno non si rendono complici della violenza, dell’ingiustizia e della sofferenza.

Ed è particolarmente interessante che il Papa punti l’attenzione su questo sentimento globale non soltanto nei confronti della guerra e del terrorismo, ma anche di “situazioni di ingiustizia e grave squilibrio sociale, le quali, a loro volta, possono condurre a conflitti o, in ogni caso, generare un clima di insoddisfazione che rischia di sfociare, presto o tardi, in violenze e insicurezza”. Sembra un’eco profonda della definizione di pace che già la Gaudium et spes, esplicitamente richiamata anche nel Messaggio, proponeva al n. 78: “La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita opera della giustizia”.

Molto spesso l’indifferenza – ancorché generata dall’ipertrofia di un certo tipo di informazioni da cui siamo quotidianamente raggiunti e sommersi – è anche il frutto della falsa considerazione secondo la quale ci si trova di fronte a problemi talmente grandi e guidati da poteri tanto forti da sentirsi, a livello individuale, totalmente impotenti e incapaci di apportare alcun contributo alla soluzione. È invece proprio questa mentalità, questo atteggiamento che siamo chiamati a contrastare in maniera determinante.

Era il 1994 quando giunse in Italia Jodie Williams, attivista statunitense che aveva dato origine a una campagna per la messa al bando delle mine antiuomo. Aveva già incontrato rappresentanti di organizzazioni sociali e di movimenti per la pace in altre nazioni, ma volgeva particolarmente la sua attenzione all’Italia perché, purtroppo, tre aziende attive all’epoca nel nostro Paese costruivano ed esportavano mine di ultima generazione che mietevano vittime soprattutto nei Paesi più poveri del pianeta. Ricordo che al suo appello rispondemmo solo in quattro rappresentanti tra organizzazioni di cooperazione internazionale e movimenti di base. C’era chi considerava che non servisse a molto puntare l’indice contro un certo tipo di arma, ma che si dovesse contestare l’intero sistema della guerra e la produzione di materiale bellico. Non mancava chi ci faceva notare che la produzione di quegli ordigni di morte garantiva occupazione e lavoro, oppure coloro che – realisticamente – non vedevano la classe politica abbastanza attenta e vigile da inserire nell’agenda del dibattito un tema non “notiziabile” e impopolare.

Ostinatamente attivammo una campagna che di lì a tre anni (1997) condusse a una legge italiana che definitivamente metteva al bando la produzione, il commercio e l’uso delle mine, e convertiva al civile le aziende senza un solo licenziamento. A livello internazionale, in quello stesso anno si giunse al Trattato di Ottawa che stabiliva una moratoria, e al premio Nobel per la pace.

Le stesse considerazioni si potrebbero fare per la campagna per la cancellazione del debito dei Paesi del Sud del mondo, o per quella contro la privatizzazione dell’acqua. Gli esempi non mancano. Se il torpore delle coscienze dell’indifferenza globale viene vinto dalla volontà della solidarietà, e della solidarietà internazionale, prendiamo consapevolezza di poter concorrere a costruire un mondo migliore secondo il sogno del Dio della pace.

Né va dimenticato che nel nostro Paese l’indifferenza troppo spesso ha assunto i connotati dell’omertà e della “zona grigia” che ha favorito e fatto crescere il predominio delle mafie e dell’illegalità. Anche in questo caso, chi ha saputo vincere l’indifferenza ha proposto leggi più efficaci, ha dato inizio a percorsi di educazione alla legalità democratica, si è fatto prossimo ai familiari delle vittime, ha sostenuto chi denunciava gli estorsori perché malaffare e corruzione non ricevessero alcuna copertura, contiguità e complicità. Anche grazie a quelle scelte la cultura della legalità è cresciuta in Italia e in altre aree del mondo.

Il Messaggio per la Giornata mondiale della pace indica obiettivi, prassi e strumenti che sono praticabili e perseguibili perché essenziali per la pacifica convivenza in senso più profondo e più pieno della semplice assenza di guerra. Si tratta ad esempio dell’impegno per garantire a tutti lavoro, terra e tetto, l’accesso ai farmaci e al diritto alle cure necessarie, condizioni umane per i detenuti, un’accoglienza dignitosa ai migranti… Una pace che richiede “artigiani” creativamente capaci, appassionati e determinati a cooperare al progetto del Dio della pace per l’umanità.

Passo dopo passo, con lo stile feriale e semplice di chi non si è rassegnato all’impermeabilità al dolore del mondo e sa ancora commuoversi (e muoversi) davanti alle lacrime che chiedono pane, dignità e pace.

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A Roccaporena si è tenuto un corso di formazione Csi https://www.lavoce.it/a-roccaporena-si-e-tenuto-un-corso-di-formazione-csi/ Wed, 09 Sep 2015 11:33:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43114 Roccaporena, il luogo che ha ospitato i corsi di formazione
Roccaporena, il luogo che ha ospitato i corsi di formazione

“Credenti e non credenti sono concordi nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo come suo centro e suo vertice” (Gaudium et spes, 12). È con questa profonda convinzione che lo scorso 29 e 30 agosto è stato dato il via ai lavori nell’ambito del Corso di formazione organizzato dal Csi, e in particolare dal Comitato regionale umbro, in collaborazione con i Comitati regionali di Abruzzo, Marche e Lazio.

Per questi due giorni, Roccaporena, paese natale di santa Rita e luogo di forte devozione e preghiera, ha ospitato più di cento persone provenienti da quattro regioni, impegnate in due diversi corsi di formazione, quello per animatori sportivi e quello per dirigenti di comitato.

I lavori sono cominciati nella mattinata di sabato, ma lavorare non basta: prima ancora è necessario sapere per quale scopo si lavora e conoscere il progetto globale di ciò che si sta facendo.

Di questo ne sono pienamente consapevoli i dirigenti dei vari Comitati organizzativi, che hanno fatto sì che l’inizio dei lavori fosse scandito da una profonda riflessione sull’uomo e sulla sua identità.

Fin dal momento della sua fondazione, il Centro sportivo italiano si è dato come obiettivo quello di educare i giovani attraverso lo sport, ma non è possibile educare una persona attraverso lo sport se non si sa chi è la persona nella sua profonda identità. Ecco quindi che l’obiettivo ultimo di qualsiasi azione educativa deve essere l’uomo nella sua piena maturazione personale.

In questo processo educativo, il Csi ha identificato nello sport lo strumento privilegiato di trasmissione di valori, norme e stili di vita che forniscono alla persona, e in particolare ai bambini e ai ragazzi, gli strumenti necessari per una piena maturazione personale e sociale. Tutto questo deve essere svolto nell’ambito di un contesto sportivo che metta in primo piano la persona e la sua dignità.

In gran parte dell’attuale cultura sportiva assistiamo a una netta contrapposizione tra i risultati, le classifiche, le ambizioni ecc., e la dignità di chi gioca. C’è un tipo di cultura che privilegia i guadagni e le ambizioni, ed è quello stesso tipo di cultura che incontriamo in gran parte delle attività sportive frequentate giornalmente da milioni di giovani. Non sono realtà negative, ma troppo spesso si dimenticano dell’uomo e della sua dignità, per cui ciò che conta è solo il risultato e avere la condizione fisica e mentale adatta per poter vincere. Tutto questo porta a una svalutazione dell’uomo, perché si tende a concentrare l’attenzione solo su determinati aspetti, senza guardare la totalità della persona.

Se si valuta solo il risultato, l’uomo diventa una macchina da produzione; se si valuta solo il fisico, l’uomo è solo il corpo che ha; se lo si pone al servizio dei risultati, l’uomo diventa uno strumento. Il rischio principale delle associazioni sportive è dunque quello di svalutare la persona e identificarla con quelle che sono solo caratteristiche propedeutiche allo sport che pratica. Ma lo sport praticato in oratorio ha una finalità ben precisa: quella di aiutare i ragazzi a conoscere se stessi e la loro altissima vocazione di uomini e donne.

Per questo, durante il corso per animatori sportivi, i tecnici incaricati hanno proposto ai ragazzi attività di duplice prospettiva: giochi inerenti alla conoscenza di se stessi, del proprio corpo e delle proprie capacità sia fisiche che cognitive, e giochi di gruppo, nei quali veniva stimolata la capacità di accogliere l’altro nelle differenze che caratterizzano ciascun gruppo di persone e quella di dare un contributo nella squadra. Questa seconda tipologia di giochi è stata seguita da una riflessione che ha messo particolarmente in evidenza l’importanza di proporre, ai bambini e ai ragazzi con i quali lavoriamo, delle attività di squadra che siano volte a sottolineare l’importanza di ciascun membro del team nella propria specificità, per far sì che le differenze vengano esaltate, e viste non come fattori discriminanti ma come ricchezze.

Durante il corso per dirigenti di comitato è stata altresì esaltata la figura del dirigente, visto come colui che guida il gruppo verso un fine più alto che la semplice riuscita della manifestazione sportiva. Dato che il Csi è un’associazione profondamente animata dall’ispirazione cristiana, i dirigenti devono essere guide stabili e mature che, come buoni padri di famiglia, sanno guidare le diverse iniziative e attività verso la meta, sicuri della presenza di Dio nella propria vita.

Le due giornate di corso sono state favorite da un clima di incontro e di dialogo che hanno trovato il loro culmine nella celebrazione della messa, seguita dall’oramai storica Festa delle regioni, nella quale è stato ancora di più valorizzato lo scambio reciproco tra i partecipanti, provenienti da quattro regioni della Penisola. Anche la scelta della località è stata significativa e ci ha permesso di affidare a santa Rita noi stessi e tutti i bambini e i giovani con i quali ci confrontiamo quotidianamente nelle nostre realtà parrocchiali e sportive.

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Umanesimo nuovo se parte dai poveri https://www.lavoce.it/umanesimo-nuovo-se-parte-dai-poveri/ Thu, 18 Jun 2015 09:03:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36173 Un momento della giornata regionale di santificazione sacerdotale
Un momento della giornata regionale di santificazione sacerdotale

Giovedì 11 giugno, la Giornata regionale di santificazione sacerdotale, presenti arcivescovi e vescovi dell’Umbria e circa 200 presbiteri, si è aperta a Collevalenza presso la struttura di accoglienza del santuario dell’Amore Misericordioso con la recita dell’ora media guidata da mons. Benedetto Tuzia, vescovo di Orvieto-Todi.

Subito dopo, il card. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente della Caritas italiana, ha introdotto il tema dell’incontro, “A scuola dei poveri: quale Chiesa?”, osservando che avrebbe guardato al Convegno di Firenze e al nuovo umanesimo da una prospettiva particolare.

“Infatti – ha detto – “interpreto (è solo il mio punto di vista) il termine ‘nuovo’ puntando l’obiettivo sulla dignità e grandezza che è propria di ogni uomo, e perciò anche sulla ‘carne dei poveri’.

Ci sarà un nuovo umanesimo quando finalmente il povero troverà posto alla mensa dei popoli, e anche e soprattutto a quella preparata dal Signore, che non disdegna far entrare nella Sua casa quanti sono per strada e non calcolati da nessuno. Fino a quando questo non avverrà, ho difficoltà a pensare che sarà possibile un nuovo umanesimo.

Rafforzo questa mia idea contemplando l’immagine del Crocifisso, Amore misericordioso che risorge portando addosso i segni della sofferenza. Possiamo parlare di nuovo umanesimo, perciò, se terremo conto e accetteremo tra noi quanti nella società e anche nella Chiesa sono esclusi, mentre sono il seme del nuovo, il perno e la chiave per imboccare la strada di un mondo diverso e più umano.

Questo avverrà – ha sostenuto il card. Montenegro – nella misura in cui anche l’ultimo della fila verrà preso in considerazione e si vedrà riconosciuta la sua dignità di uomo. Parlerò perciò in modo particolare di poveri e di quale Chiesa vogliamo essere, se vogliamo partecipare a realizzare il progetto della costruzione di cieli nuovi e terra nuova”.

Il Cardinale, dopo aver ripreso affermazioni di mons. Romero e di padre Zanotelli, ha richiamato l’inizio della Gaudium et spes , che non solo sintetizza una delle principali acquisizioni del Concilio Vaticano II in merito alla vita e alla missione della Chiesa nel mondo contemporaneo, ma permette di comprendere anche il senso del cammino delle Chiese italiane negli ultimi cinquant’anni e, nello specifico, il senso del “convenire” a Firenze tra qualche mese.

La Chiesa, infatti, con il Concilio insegna che la fedeltà a Dio si misura con la fedeltà all’uomo: fedeltà fatta di ascolto, dialogo e comprensione, e che deve diventare attenzione, preoccupazione e cura. La Chiesa sa pure che non può presentarsi come via per l’uomo se prima e contemporaneamente non assume l’uomo come via per se stessa.

“Il nuovo umanesimo in Gesù Cristo – ha detto il porporato – si configura come un umanesimo incarnato, che non può non andare nelle periferie più lontane dell’esistenza per portare la speranza cristiana là dove non c’è più motivo per sperare. Un umanesimo perciò che si mette in ascolto concreto, plurale e integrale, d’interiorità e trascendenza”.

Dalla riflessione proposta dal card. Montenegro è emersa una Chiesa consapevole di essere al servizio del mondo, come insiste Papa Francesco, che fa dell’amore per l’uomo il suo credo. Chiesa dell’incontro, del dialogo, dalle “porte aperte”, che sta per strada “con dolce e confortante gioia”, che parla con “audacia… anche controcorrente” e che scandalizza con i gesti dell’amore.

“Lungo la strada è cominciata la Chiesa – ha ricordato il Cardinale citando don Mazzolari -, lungo le strade del mondo la Chiesa continua. Non occorre, per entrarvi, né battere alla porta né fare anticamera. Camminate e la troverete. Camminate e vi sarà accanto, camminate e sarete nella Chiesa”.

 

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I cattolici e la Grande guerra https://www.lavoce.it/i-cattolici-e-la-grande-guerra/ Fri, 24 Apr 2015 07:56:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31760 Da sinistra don Bruno Bignami, Alessandro Campi, Giuliano Masciarri
Da sinistra don Bruno Bignami, Alessandro Campi, Giuliano Masciarri

Il 1 agosto 1917 Papa Benedetto XV in una Nota ai capi dei popoli belligeranti definì la “l’inutile strage”. A tre anni dall’inizio del conflitto aveva tentato di esortare i capi dei paesi in guerra a cercare una pace giusta e duratura. È partito da qui, dall’appello del Papa, l’incontro tenuto da don Bruno Bignami, presidente della Fondazione “Don Primo Mazzolari”, docente di teologia e sacerdote della diocesi di Cremona, alla sala delle Colonne della Fondazione Cassa di risparmio di Perugia – il cui tema era “La Chiesa in trincea. I cattolici e la Grande guerra”.

Un incontro, il quinto, che si inserisce nella serie di appuntamenti di approfondimento promossi dalla Fondazione Cariperugia Arte a corredo della mostra in corso a Palazzo Baldeschi a Perugia su “La prima Guerra mondiale e l’Umbria”. Erano presenti il segretario della Fondazione Cassa di risparmio di Perugia Giuliano Masciarri e Alessandro Campi, Università di Perugia.

Sul tema al centro dell’incontro don Bignami ha scritto di recente un volume dal titolo La Chiesa in trincea. I preti nella grande guerra (Salerno editore). “Il rapporto tra i cattolici e la guerra fu molto complesso – ha spiegato don Bignami – e bisogna leggerlo nel contesto di quei tempi, in un momento in cui c’era una Chiesa che combatteva contro la modernità, in un mondo che stava cambiando”. La guerra distrugge, uccide, divide gli uomini tra loro e perfino gli uomini credenti. Si usano armi dalle conseguenze terribili, “ma in molti uomini di fede – ha proseguito don Bignami – s’insinuò l’idea secondo cui per difendere la patria la guerra fosse il giusto mezzo, che fosse giusta a determinate condizioni, per cui la Chiesa si allineò per senso del dovere con lo Stato italiano”.

Ed è in questo contesto che si inserisce la Nota di Benedetto XV, una nota inascoltata, come le precedenti, sia da parte dei Governi belligeranti, che della Chiesa e dei vescovi degli Stati. “Fu un appello che suscitò grande nervosismo e una ‘tempesta d’ire’ – prosegue don Bignami- ‘il Papa si è messo contro di noi’ fu una delle reazioni che si lessero nei giornali”. La guerra stava segnando anche la vita della Chiesa, che in quegli anni stava vivendo un travaglio burrascoso in particolare su due fronti: “il fallimento del teorema della guerra giusta – spiega Bignami – e la crisi di molti ecclesiastici che parteciparono alla guerra mettendo in discussione il rapporto tra la Chiesa e il mondo.

In un contesto di nazionalismo diffuso e di ideologia della patria, tipico della modernità, ogni Chiesa nazionale leggeva la realtà con gli occhi della sua parte, per cui finiva così per giustificare qualsiasi ricorso alle armi per difendere il proprio popolo”. I preti in parrocchia perlopiù erano allineati con Benedetto XV, “perché vedevano la sofferenza delle famiglie, la fame, mentre la presenza dei preti in mezzo all’esercito testimoniavano la fedeltà della Chiesa alla patria”. Partirono per la guerra 24 mila ecclesiastici (tra preti, seminaristi e religiosi), 2500 furono i cappellani militari. Un ruolo, quest’ultimo reintrodotto dal generale Cadorna. Furono perlopiù impiegati nei reparti sanitari o negli ospedali da campo. “Molti di loro erano novizi, chierici o seminaristi che non avevano mai visto il Nord e le Alpi, chiusi all’interno dei loro seminari per cui – ha proseguito – davanti a loro si apriva un mondo del tutto nuovo”.

Don Bignami ha poi fatto una carrellata di sacerdoti che sono partiti per il fronte come don Annibale Carletti, il prete che si distinse per la conquista del passo Buole, don Achille Beltrame, don Piantelli, don Costantini (poi cardinale) e il futuro Papa Roncalli. Anche don Primo Mazzolari (cappellano) passò da un’iniziale idea interventista al pacifismo. Don Bignami ha ricordato anche i tanti che, conclusa la guerra, non ripresero il ministero. Eclatante il caso della città di Messina dove nessun seminarista dopo il conflitto volle continuare gli studi. Molti compresero che erano in atto trasformazioni irreversibili nel rapporto tra la Chiesa e il mondo. Il Concilio Vaticano II farà maturare definitivamente questa riflessione nella celebre costituzione Gaudium et spes.

 

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Con negli occhi il dramma di Garissa https://www.lavoce.it/con-negli-occhi-il-dramma-di-garissa/ Fri, 10 Apr 2015 15:30:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31384 Il segretario della Cei mons. Galantino
Il segretario della Cei mons. Galantino

“Il mondo propone di imporsi a tutti i costi, di competere, di farsi valere… Ma i cristiani, per la grazia di Cristo morto e risorto, sono i germogli di un’altra umanità, nella quale cerchiamo di vivere al servizio gli uni degli altri, di non essere arroganti ma disponibili e rispettosi. Questa non è debolezza, ma vera forza! Chi porta dentro di sé la forza di Dio, il suo amore e la sua giustizia, non ha bisogno di usare violenza, ma parla e agisce con la forza della verità, della bellezza e dell’amore” (Messaggio pasquale, 5 aprile 2015).

All’indomani della Pasqua le parole di Francesco fotografano la condizione di un mondo che ha assistito attonito alla tragedia del campus universitario di Garissa con il martirio di 148 giovani cristiani.

L’appello del Papa non incita allo “scontro di civiltà” e neanche si adegua al mutismo e al linguaggio felpato delle diplomazie internazionali. Chiama per nome le cose senza incitare alla “guerra santa”, magari travestita da inconfessati interessi occidentali. Emerge così quella “differenza” del cristianesimo che è la via migliore di tutte e che probabilmente, a lungo andare, non può lasciare indifferente il nostro mondo, per quanto distratto e annoiato.

Ritrovare in mezzo alla barbarie di questi giorni la consapevolezza e l’orgoglio dell’identità cristiana, vuol dire riprendere l’iniziativa e stare al mondo senza rinunciare al proprio contributo di verità, di amore e di bellezza. Proprio questa è la “pretesa” dell’ormai prossimo Convegno ecclesiale nazionale di Firenze (9-13 novembre 2015) che intende ripresentare a tutti “il nuovo umanesimo in Gesù Cristo”. Non sarà una riflessione asettica su questa nostra condizione storica tormentata da nuovi fondamentalismi religiosi e da antichi fenomeni di ingiustizia, ma un’occasione per rileggere insieme l’ora presente e introdurvi “i germogli di un’altra umanità”.

La presenza del Papa al Convegno prevista per il 10 novembre, che comincerà la sua intensa giornata da Prato per poi giungere a Firenze, offre la cifra interpretativa più giusta: si vuol guardare “dal basso verso l’alto” la condizione umana di oggi, a partire da una città multiculturale e segnata dalla crisi. Lo sguardo rasoterra non significa abbandonare la pretesa di offrire al mondo il contributo della fede, ma sintonizzarsi adeguatamente sul concreto per poi essere aderenti nella proposta. Proprio l’ascolto del mondo contemporaneo, che rimanda all’atteggiamento né subalterno né aristocratico della Gaudium et Spes, è stata la sensibilità fin qui espressa nella preparazione all’appuntamento fiorentino, grazie alla relativa Traccia.

In essa sono state esemplificate cinque vie che intendono descrivere il percorso che attende la Chiesa italiana per essere dentro la società un elemento di sviluppo e di cambiamento dell’esistente. Dire “vie” evoca subito un approccio concreto ed esigente che non si accontenta di analisi sociologiche e si lascia sfidare dall’offrire soluzioni possibili e a portata di mano.

La prima è uscire, cioè decentrare il modo abituale di guardare alla realtà che ci colloca sempre al centro mentre le cose stanno diversamente. Questa via significa imparare a guardare le cose da vicino, senza frapporre i nostri pregiudizi consolidati e lasciandosi misurare dalla realtà che è sempre più stimolante delle nostre idee su di essa. Percorrere questa via vuol dire ritrovare il realismo che non ci consegna ad astratti principi e si lascia stanare dalla complessità di una cultura che annaspa, sotto l’impulso di una tecnica e di una economia che snaturano gli esseri umani.

Poi c’è la via dell’annunciare che indica la missione della Chiesa chiamata a dar voce al Vangelo di cui molti hanno perso il gusto, confondendolo con una delle morali e delle ideologie a disposizione nel mercato del sacro. Camminare su questa via significa riproporre il volto autentico di Dio come è testimoniato dalla vicenda di Gesù di Nazareth consentendo quella conoscenza di prima mano che sempre affascina e convince anche i più lontani. Come annota infatti, l’Evangelii Gaudium: “Tutta la vita di Gesù, il suo modo di trattare i poveri, i suoi gesti, la sua coerenza, la sua generosità quotidiana e semplice, e infine la sua dedizione totale tutto è prezioso e parla alla nostra vita personale. Ogni volta che si torna a scoprirlo, ci si convince che proprio questo è ciò di cui gli altri hanno bisogno…” (265).

Quindi c’è la via dell’abitare che tradisce la scelta di una condivisione non episodica o di facciata, ma una vera adesione alla serie dei problemi sul tappeto con l’impegno a porvi rimedio. Il cattolicesimo italiano si è sempre distinto per il suo carattere popolare, cioè di immersione dentro le fatiche e le sofferenze della gente. Questa strada va percorsa ancora grazie alla capacità della comunità cristiana di essere là dove molti se ne vanno, garantendo presidi di umanità e di socialità laddove anche le istituzioni tendono a battere in ritirata. Non sono solo le parrocchie sempre dislocate nei nuovi quartieri-dormitorio ad essere chiamate in causa, ma anche e ancor prima la capacità di pensare alla città. Ciò sarà possibile solo grazie a persone che facciano dell’impegno politico un’occasione di trasformazione al di là di facili populismi e di abituali conservatorismi.

Ancora la via dell’educare ci si para davanti a ritrovare la strada maestra di concentrarsi sulla formazione delle persone e delle coscienze prima e al di là di altri pur necessari investimenti. La qualità viene sempre prima della quantità e soltanto un’educazione che insegni a pensare criticamente ed offra un percorso di maturazione nei valori abilita ad un esercizio della libertà che resta la meta della vita umana, anche se spesso contraddetta da sempre nuove e sofisticate contraffazioni.

Infine ci si imbatte nella via del trasfigurare che svela una maniera di guardare alle cose che non è prigioniero dei dati di fatto e si lascia ispirare da un’altra percezione che fa vedere oltre le apparenze. Corollario di questa possibilità è un diverso rapporto con il tempo che va sottratto alla presa totalitaria del fare e va ricondotto nell’alveo del contemplare, non senza momenti di pausa e di interruzione del meccanismo della produzione che ci rende poi dei semplici consumatori a nostra volta. Da questo punto di vista la domenica appare come una battaglia di civiltà prima ancora che di spiritualità perché restituisce l’uomo alla sua nativa capacità di vivere per vivere e non semplicemente per lavorare.

Camminando si apre cammino! L’augurio è che incrociando le vie di Firenze sappiamo tornare ad interrogarci su ciò che ci rende più umani e così migliorare non solo noi stessi, ma perfino l’ambiente in cui siamo immersi. Tornando a “riveder le stelle” come suggerito dal poeta che ha immortalato quell’umanesimo concreto del suo tempo. Che spetta a noi oggi reinventare insieme.

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La bufala https://www.lavoce.it/la-bufala-2/ https://www.lavoce.it/la-bufala-2/#comments Fri, 03 Apr 2015 11:32:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31348 Nella penultima abat jour, quella del 20 marzo, avevo scritto: “Quello che la Relatio ad Synodum del card. Kasper dice della famiglia è terrificante”. E avevo aggiunto, con la dovuta supponenza: “terrificante, per noi borghesucci. Ed esaltante, per i pochi cristiani che ancora esistono qua e là”. Scritto e spedito. Come dire “cotto e mangiato”, e l’imboccatura dell’esofago s’arroventa. Non posso dire che m’era scivolata la penna, perché uso il pc. Ma qualcosa del genere era successo. Tanto che nell’ultima abat jour (27 marzo), avevo formulato un atto di contrizione, rapido e vergognosetto: “Il finalino dell’ultima abat jour contiene… una bufala da tre quintali”. E così, in questo squillante numero pasquale del nostro foglio, mentre la Grande Notizia echeggia nei cieli e sulla terra, io mi ritrovo a dover rimediare i guasti di una bufala di 3 quintali 3. Definirci tutti, noi cristiani, come “borghesucci” è un bufala. Così come è ancora una bufala accennare, con brutta nonchalance, ai “pochi cristiani che esistono qua e là”. Questo modo piazzaiolo di parlare sotto Pasqua appare del tutto inadeguato a cogliere la realtà del cristianesimo nel mondo e la realtà del mondo vista alla luce del cristianesimo. “Borghesi”, non “borghesucci”. La borghesia è stata la protagonista di tutte le grandi conquiste del mondo moderno. La nostra Costituzione repubblicana è splendida perché i suoi estensori hanno messo da parte le punte estreme delle loro ideologie (i cattolici l’intransigentismo, i marxisti la lotta di classe, i laici l’esclusivismo del loro primato intellettuale) e da “buoni borghesi” hanno confezionato a mano un prodotto egregio, che, saltando a pie’ pari quelle punte ideologiche estreme, si ispira a quello che, diversamente interpretato, è comune a tutte: il ruolo centrale dell’uomo come persona. Ed è ancora questa ispirazione che oggi permette di abbandonare la mentalità borghese a un numero crescente di borghesi anagrafici. “I pochi cristiani che esistono qua e là”: bubbole. Il cristianesimo, nelle sue varie confessioni, non è stato mai forte come oggi; e in particolare questo vale per il cattolicesimo, che in poco tempo ha saputo riprendersi dalla “sporcizia” (parola di Benedetto XVI) che inquinava i suoi vertici con un formidabile colpo di reni di un atleta chiamato Bergoglio, che all’anagrafe denuncia 79 anni mentre in realtà ne ha 19. E il mondo non è stato mai naturaliter christianus quanto oggi, dopo che la Gaudium et spes al paragrafo (d) del n. 22 ci ha insegnato che il cristiano, associato al Mistero pasquale, come si assimila alla morte di Cristo, così anche andrà incontro alla risurrezione, ma nel successivo paragrafo (e) ha aggiunto: “E ciò non vale solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia di Dio”. È Pasqua. È Pasqua davvero.

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Il più grande augurio: shalom https://www.lavoce.it/il-piu-grande-augurio-shalom/ Fri, 20 Mar 2015 11:58:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30982 Un momento dell’incontro con don Gianni Colasanti alla Scuola Toniolo
Un momento dell’incontro con don Gianni Colasanti alla Scuola Toniolo

Continuano le lezioni alla Scuola politica “Giuseppe Toniolo”. Lo scorso 10 marzo don Gianni Colasanti ha affrontato il tema della pace.

Il docente ha evidenziato come la pace sia la finalità della vita di Cristo: la parola “pace” corrisponde al regno di Dio. In termini biblici, shalom (pace) significa completezza, perfezione della vita, una condizione in cui non manca niente né sul piano soggettivo né su quello relazionale. Shalom, saluto abituale di buon augurio, esprime un concetto di pace che connota uno stato o modo di essere che può essere definito come star-bene, felicità, sicurezza, totalità, condizione di tranquillità, di ordine, pienezza, perfezione, armonia, integrità, totalità, compiutezza e interezza.

“La pace – ha affermato Colasanti – è lo stato di perfetto benessere, è un dono di Dio. Anche il Nuovo Testamento riprende questa convinzione, mostrandoci come gli uomini da soli non riuscirebbero ad avere rapporti di pienezza”.

Don Gianni nel corso della lezione ha citato più volte la Gaudium et spes spiegando l’importanza del Concilio Vaticano II nel superamento del concetto di nazione e di patria, per riscoprire l’appartenenza “all’unica famiglia umana”. Si tratta di una conversione culturale profonda. Il Concilio condanna il concetto di guerra, anche quello tradizionale di “guerra giusta”.

Nella Gaudium et spes si evidenzia come la pace non sia solo l’assenza di guerra, ma anche l’opera della giustizia. La pace non si raggiunge senza la tutela del bene delle persone, per cui deve essere possibile scambiarsi con fiducia, liberamente, le ricchezze del proprio animo e del proprio ingegno. La ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità, e l’assidua pratica della fratellanza umana sono assolutamente necessarie per la costruzione della pace.

La persona vale di più del “cittadino” ed è il valore della persona che ispira il valore della giustizia. La pace come riconoscimento dell’altro e della sua dignità comporta il necessario riconoscimento del prossimo e dei suoi diritti fondamentali.

Tale concetto si ritrova approfondito nell’enciclica Pacem in terris, in cui si sottolinea che – in una convivenza ordinata e feconda – ogni essere umano è persona dotata d’intelligenza e di volontà libera e, quindi, è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili. I diritti umani sono strettamente collegati al concetto di solidarietà.

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SINODO SULLA FAMIGLIA. Gli umbri alla veglia con il Papa https://www.lavoce.it/sinodo-sulla-famiglia-gli-umbri-alla-veglia-con-il-papa/ Fri, 10 Oct 2014 11:56:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28390 Partecipanti umbri alla veglia di preghiera con il Papa per il Sinodo sulla famiglia
Partecipanti umbri alla veglia di preghiera con il Papa per il Sinodo sulla famiglia

L’invito, giunto alle famiglie a raccogliersi in preghiera in San Pietro accanto al Santo Padre per l’inizio del Sinodo, è stato accolto con gioia da tutta Italia. “Accendi una luce in famiglia”, questo il titolo dell’iniziativa, che ha visto una numerosa partecipazione. Tante erano le luci che si sono accese in piazza San Pietro quando è arrivato Papa Francesco, così come tante sono state le luci, sparse in tutta la Terra, alle finestre delle famiglie che non hanno potuto partecipare direttamente a Roma. Anche l’Umbria, così come annunciato dai responsabili dell’Ufficio famiglia regionale, ha aderito con entusiasmo. Dieci gli autobus partiti dalle otto diocesi. Coppie di sposi di ogni età, bimbi festanti e anche fidanzati hanno voluto portare in piazza la gioia e la bellezza di essere famiglia, nonostante tutto. Una grande “famiglia di famiglie” che, in silenzio e in preghiera, ha ascoltato le toccanti testimonianze di tre coppie che si sono alternate sul sagrato; una coppia di fidanzati e due coppie di sposi con storie differenti, eppure ricchissime di spunti su ciò che vuol dire essere famiglia oggi.

I racconti hanno detto la gioia e l’impegno di chi si prepara al matrimonio, e anche la fatica di chi nel corso del proprio cammino sponsale trova delle difficoltà. Nessuna retorica, piuttosto molta concretezza nelle parole di chi testimoniava, proprio com’è nello stile di noi famiglie. Perché tutti siamo consapevoli della fragilità che è insita in ogni coppia di sposi, eppure eravamo in piazza a testimoniare la nostra voglia di famiglia e la preziosità che essa rappresenta per la Chiesa. La piccola Chiesa domestica ha abbracciato spiritualmente i Padri sinodali e Papa Francesco, invocando su di loro lo Spirito santo perché soffi con forza e illumini i lavori del Sinodo, “per ricercare – come ha detto il Pontefice durante la sua riflessione in piazza – ciò che oggi il Signore chiede alla sua Chiesa. Dobbiamo prestare orecchio ai battiti di questo tempo e percepire l’‘odore’ degli uomini d’oggi, fino a restare impregnati delle loro gioie e speranze, delle loro tristezze e angosce (cfr. Gaudium et spes, 1). A quel punto sapremo proporre con credibilità la buona notizia sulla famiglia”. Perché, ha proseguito il Papa, “conosciamo come nel Vangelo ci siano una forza e una tenerezza capaci di vincere ciò che crea infelicità e violenza. Sì, nel Vangelo c’è la salvezza che colma i bisogni più profondi dell’uomo! Di questa salvezza, opera della misericordia di Dio e sua grazia, come Chiesa siamo segno e strumento, sacramento vivo ed efficace (cfr. Evangelii gaudium, 112). Se così non fosse, il nostro edificio resterebbe solo un castello di carte, e i Pastori si ridurrebbero a ‘chierici di stato’, sulle cui labbra il popolo cercherebbe invano la freschezza e il profumo del Vangelo (EG, 39)”.

Il Pontefice ha poi pregato lo Spirito santo perché conceda ai Padri sinodali tre doni essenziali, ossia “il dono dell’ascolto: ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del popolo; ascolto del popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama. Il dono del confronto sincero, aperto e fraterno, che ci porti a farci carico con responsabilità pastorale degli interrogativi che questo cambiamento d’epoca porta con sé. Lasciamo che si riversino nel nostro cuore, senza mai perdere la pace, ma con la serena fiducia che a suo tempo non mancherà il Signore di ricondurre a unità. Lo sguardo è il terzo dono che imploriamo con la nostra preghiera. Perché, se davvero intendiamo verificare il nostro passo sul terreno delle sfide contemporanee, la condizione decisiva è mantenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo, sostare nella contemplazione e nell’adorazione del suo volto”. Proprio come fece Maria, che a Cana disse: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5). Il momento di preghiera, vissuto in silenzio e intensità, rimarrà nel cuore di quanti si sono radunati a Roma e di chi ha voluto seguirlo in televisione da casa.

La gioia per questo momento di grazia cui è chiamata la Chiesa accompagnerà in questi giorni ogni famiglia, come la preghiera incessante per i lavori del Sinodo. I responsabili regionali ringraziano tutti i responsabili diocesani di pastorale familiare dell’Umbria e i loro Vescovi per l’entusiasmo con cui hanno aderito all’iniziativa, e collaborato perché la presenza delle famiglie della nostra regione non mancasse. È stata l’occasione per sperimentare, nel piccolo, quella comunione ecclesiale che veramente ci fa “famiglia di famiglie” al servizio della vigna del Signore.

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Scuola “Toniolo”, custodia del creato nell’era della tecnica: dalla Genesi ai cyborg https://www.lavoce.it/scuola-toniolo-custodia-del-creato-nellera-della-tecnica-dalla-genesi-ai-cyborg/ Fri, 09 May 2014 11:20:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24808 Paolo Benanti durante l’incontro del 29 aprile scorso presso l’Istituto Serafico
Paolo Benanti durante l’incontro del 29 aprile scorso presso l’Istituto Serafico

“Custodia del creato nell’era della tecnica”: questo il tema magistralmente affrontato da padre Paolo Benanti – docente di Teologia morale presso la pontificia università Gregoriana – nell’incontro del 29 aprile presso l’Istituto Serafico. L’iniziativa si colloca nell’ambito del percorso promosso dalla Scuola diocesana di formazione socio-politica “Giuseppe Toniolo”, giunto al quarto appuntamento. L’intervento si è sviluppato in due parti. In un primo momento ci si è interrogati su come costruire una custodia solidale con il creato, attraverso un’analisi attenta degli aspetti che interrogano il nostro oggi, alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana (secondo la metodologia suggerita dalla Gaudium et spes). È stato sottolineato come non ci sia attività umana che non sia, di per sé, politica, dato che ogni azione si pone necessariamente in un contesto relazionale, strutturando necessariamente la con-vivenza. Nella seconda parte della serata è stata presentata la sfida, quanto mai attuale alla luce dei rapidi progressi della tecnica, di come si possa custodire l’umano all’epoca del cyborg (organismo cibernetico). Nel corso dell’incontro, denso di stimoli, si è sottolineata l’intima connessione tra vita di fede del credente e cura dell’agire in tema di solidarietà, ribadendo come una cultura che voglia essere solidale con il creato non possa che prendere forma da quei principi che rappresentano i cardini della dottrina sociale della Chiesa: bene comune, sussidiarietà e solidarietà. Con forza è stato riaffermato come la propria storia personale sia chiamata a essere storia di salvezza. A sostenere l’impegno del singolo vi sono poi, accanto alla luce della fede, la forza dell’associazionismo e l’azione condivisa. La necessità di gestire il progresso orientandolo verso lo sviluppo è apparsa con evidenza nell’affrontare il più che mai attuale tema del cyborg, rivolto al potenziamento cognitivo umano. Attualmente, in larga misura, la ricerca mira al controllo dell’aspetto emotivo, tanto da generare un vero e proprio “mercato del potenziamento umano” diretto in particolare alla gestione dello stato di sonno-veglia e al controllo della memoria, attraverso un potenziamento della stessa o, viceversa, alla rimozione selettiva di alcuni ricordi. L’avanzare della tecnica non può – è evidente – anche in questo caso prescindere da una valutazione etica.

Il convegno

Il ciclo di incontri – previsti sempre dalle ore 19 alle ore 22, con breve pausa per la cena a buffet, presso l’Istituto Serafico – si concluderà con il convegno “Verso un nuovo modello di sviluppo”, organizzato in collaborazione con la Commissione Ceu per il lavoro, la pace e la salvaguardia del creato. Per informazioni, consultare il sito www.diocesiassisi.it o contattare la segreteria della Scuola socio-politica presso il Centro di ascolto della Caritas di Santa Maria degli Angeli in via Protomartiri francescani, o telefonare al 338 1020527.

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L’immagine di Dio https://www.lavoce.it/limmagine-di-dio/ Thu, 03 Apr 2014 16:04:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24117 Scambio-Fedi-sposiPapa Francesco all’udienza generale di mercoledì ha proseguito il ciclo di catechesi sui sacramenti parlando del matrimonio. “Questo sacramento – ha detto – ci conduce nel cuore del disegno di Dio, che è un disegno di alleanza con il Suo popolo, con tutti noi, un disegno di comunione. All’inizio del libro della Genesi, il primo libro della Bibbia, a coronamento del racconto della creazione si dice: ‘Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò… Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne’ (Gen 1,27; 2,24)”.

A braccio ha proseguito: “L’immagine di Dio è la coppia matrimoniale, è l’uomo e la donna, tutti e due. Non soltanto il maschio, l’uomo, non soltanto la donna, no: tutti e due. E questa è l’immagine di Dio; l’amore, l’alleanza di Dio con noi è lì, è rappresentata in quell’alleanza fra l’uomo e la donna. E questo è molto bello, è molto bello! Siamo creati per amare, come riflesso di Dio e del Suo amore. E nell’unione coniugale l’uomo e la donna realizzano questa vocazione nel segno della reciprocità e della comunione di vita piena e definitiva. Quando un uomo, una donna celebrano il sacramento del matrimonio Dio, per così dire, si rispecchia in essi: imprime in loro i propri lineamenti e il carattere indelebile del Suo amore.

Il matrimonio è l’icona dell’amore di Dio con noi. Anche Dio infatti è comunione. Le tre Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito santo vivono da sempre e per sempre in unità perfetta, ed è proprio questo il mistero del matrimonio: Dio fa dei due sposi una sola esistenza.

La Bibbia è forte, dice: ‘Una sola carne’. Così intima è l’unione dell’uomo e la donna nel matrimonio. Ed è proprio questo il mistero del matrimonio: è l’amore di Dio che si rispecchia nel matrimonio, nella coppia che decide di vivere insieme. E per questo l’uomo lascia la sua casa, la casa dei suoi genitori e va a vivere con sua moglie e si unisce tanto fortemente a lei, che diventano, dice la Bibbia, una sola carne. Non sono due”.

“San Paolo nella Lettera agli Efesini – ha proseguito – mette in risalto che negli sposi cristiani si riflette un mistero grande: il rapporto instaurato da Cristo con la Chiesa, un rapporto nuziale (Ef 5,21-33). La Chiesa è la sposa di Cristo. Questo significa che il matrimonio risponde a una vocazione specifica e deve essere considerato come una consacrazione (cfr Gaudium et spes, 48; Familiaris consortio, 56). È una consacrazione. L’uomo e la donna sono consacrati per il loro amore, per amore. Gli sposi infatti, in forza del sacramento, vengono investiti di una vera e propria missione, perché possano rendere visibile, a partire dalle cose semplici, ordinarie, l’amore con cui Cristo ama la sua Chiesa, continuando a donare la vita per lei, nella fedeltà e nel servizio”.

A braccio ha poi aggiunto: “Il vero legame è sempre con il Signore. Quando la famiglia prega, il legame si mantiene. Quando lo sposo prega per la sposa e la sposa prega per lo sposo, quel legame diviene forte. Uno prega con l’altro. È vero che nella vita matrimoniale ci sono tante difficoltà, tante, no? Che il lavoro, che i soldi non bastano, che i bambini hanno problemi… tante difficoltà. E tante volte il marito, la moglie, diventano un po’ nervosi e litigano fra loro. O no? Litigano! Sempre, sempre è così: sempre si litiga nel matrimonio. Anche, alcune volte, volano i piatti.

Voi ridete, ma è la verità! Ma non dobbiamo diventare tristi per questo. La condizione umana è così. Ma il segreto è che l’amore è più forte di quando si litiga. E per questo io consiglio agli sposi, sempre, di non finire la giornata in cui hanno litigato senza fare la pace. Sempre!”.

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DIOCESI. Mons. Pietro Bottaccioli rievoca l’epoca del Concilio, da lui vissuto “in presa diretta” https://www.lavoce.it/diocesi-mons-pietro-bottaccioli-rievoca-lepoca-del-concilio-da-lui-vissuto-in-presa-diretta/ Thu, 28 Nov 2013 13:35:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20833 La biblioteca diocesana Fonti
La biblioteca diocesana Fonti

Il Concilio Vaticano II (1962-1965, il 21° Concilio “ecumenico” cioè universale) è stato un punto di svolta nella storia della Chiesa e della vita spirituale e collettiva della cattolicità. Grazie ai due Papi che ne furono protagonisti, Giovanni XXIII e Paolo VI, la Chiesa ne uscì rafforzata.

Molte furono le riforme, le iniziative, le novità. È stato il vescovo emerito mons. Pietro Bottaccioli – che seguì il Concilio al fianco del vescovo di allora mons. Beniamino Ubaldi – a descriverne la convocazione e riepilogarne lo svolgimento davanti a una numerosa e variegata platea, molto attenta e partecipe, all’interno della sala inferiore della biblioteca diocesana Fonti, di recente aperta al pubblico e in cui è contenuta l’intera biblioteca dell’Emerito, tra cui anche carte e atti che riguardano il periodo conciliare.

Gli interventi e i contributi di mons. Bottaccioli sono stati intercalati da brani musicali eseguite da tre brave violiniste eugubine. In particolare mons. Bottaccioli ha ricordato la Costituzione Gaudium et spes con la quale i Padri conciliari posero l’attenzione sulla necessità di aprire un proficuo confronto con la cultura e con il mondo, opera di Dio e quindi luogo in cui manifesta la Sua presenza. Nuovo compito della Chiesa fu di riallacciare legami con “gli uomini e le donne di buona volontà”. Da parte sua il vescovo Mario Ceccobelli ha ringraziato “don Pietro” e tutti i bibliotecari per l’impegno profuso per richiamare alla memoria della città tale importante evento nella storia della Chiesa.

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Papa Francesco contro la cultura dello scarto https://www.lavoce.it/papa-francesco-contro-la-cultura-dello-scarto/ Wed, 13 Nov 2013 21:16:18 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20616 s.e. rev.ma benedetto tuzia vescovo di orvieto-todiFin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha deciso di puntare su pochi ma significativi concetti da far metabolizzare ai fedeli nell’ascolto del suo messaggio pressoché quotidiano. Parole semplici, ma scelte chiare e forti, provenienti da una riflessione e da una teologia profonda. Non vogliono essere slogan di immediato effetto, ma messaggi facili da mettere in memoria, anche per la loro originalità. Una di queste espressioni è certamente il rifiuto di quella che più volte il Papa ha indicato come “la cultura dello scarto e dello spreco” (ultimo intervento, il discorso rivolto al pellegrinaggio dell’Unitalsi nel 110° anniversario dell’associazione). È quasi un fil rouge che attraversa e lega i vari capitoli di una “enciclica a dosi quotidiane”, un insieme di insegnamenti e fatti di cui il Papa ci fa dono. Questa logica dello scarto – afferma Francesco con preoccupazione – schiavizza i cuori e le intelligenze di tanti. La società del rifiuto che consuma e scarta finisce per farlo con le persone stesse, diventando autodistruttiva: accanto a quelli urbani si producono “rifiuti umani” (soprattutto le persone più deboli e fragili), entrambi assimilati da una presunta inutilità. Quello che comanda oggi non è l’Uomo, il suo valore e la sua dignità: uomini e donne vengono scartati e sacrificati agli idoli del profitto e del consumo. Torna alla mente il midrash ebraico a proposito della costruzione della torre di Babele. Diceva che, se si rompeva un mattone di argilla, tutti facevano un gran pianto; ma se un operaio cadeva dall’impalcatura e moriva, nessuno si preoccupava. Ora questo non è un problema primariamente economico. Per Papa Francesco e per la Chiesa è un problema teologico.

Papa Francesco incontra i partecipanti al pellegrinaggio dell’Unitalsi
Papa Francesco incontra i partecipanti al pellegrinaggio dell’Unitalsi

La Chiesa esiste perché Dio è entrato nella storia umana per debellare la cultura dello scarto. C’era un solo popolo scelto, c’era una sola “gente santa” destinata alla salvezza, grazie all’obbedienza alla Legge. Gli altri erano scartati, erano i pagani, i gentili, gli esuberi, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo (Ef 2,12). Per rovesciare questa idea della salvezza, questa teologia dello scarto, Dio si è fatto uomo e, come afferma la Gaudium et spes, si è unito in qualche modo a ogni uomo, senza scarti né esuberi: una salvezza non più scarsa, da annunciare all’intera umanità. In questi giorni la liturgia ci ha riconsegnato alcune limpide parole di Gesù contenute nel Vangelo di Giovanni, e che non si prestano a equivoci: “Questa è la volontà del Padre mio… la volontà di Colui che mi ha mandato: che io non perda [non scarti, non rifiuti] nulla di quanto Lui mi ha dato”. Parole che noi abbiamo riascoltato con commozione facendo particolare memoria di volti a noi cari. E su quei volti, questa parola sicura: Gesù non li perde, non li scorda, non manda via nessuno. “Dio salva” è il suo Nome, e nulla andrà perduto, non un affetto, non un bicchiere di acqua, neanche il più piccolo filo d’erba. Questa è la volontà del Padre: “Che io non perda nessuno”. Volontà scritta. Scritta per sempre. Volontà di Dio. E dunque sicura, non fragile come le nostre volontà. Di modo che quando preghi: “Padre, sia fatta la tua volontà”, preghi perché Gesù non perda nessuno. È una volontà di vita. Dio lotta per la vita, per sostenere la fragilità della vita e non “sprecare” nulla, non dare nessuno per perduto.

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Nicola Molè ripercorre con nostalgia una bella stagione di Chiesa https://www.lavoce.it/nicola-mole-ripercorre-con-nostalgia-una-bella-stagione-di-chiesa/ Thu, 25 Jul 2013 13:11:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=18398 In primo piano Molè in occasione della visita di Scalfaro alle acciaierie di Terni nel 1998
In primo piano Molè in occasione della visita di Scalfaro alle acciaierie di Terni nel 1998

Al termine di un lungo filato racconto della sua vita disteso in 180 pagine, l’autore Nicola Molè si domanda perché e per chi l’abbia scritto e con disarmante sincerità scrive: “Ne sentivo il bisogno”. Questa è la risposta vera, primaria, intima e profonda. Chi l’ha frequentato Molè ha potuto constatare presente nelle sue “esternazioni” il bisogno di comunicare almeno a sprazzi, la sua vicenda umana e cristiana. A questa risposta si affiancano le altre: perché me l’hanno chiesto gli amici, perché rimanesse una traccia dell’esperienza fatta, e soprattutto per far sapere ai giovani che si può avere una vita piena seguendo Cristo e che questa sequela non mortifica la libertà, la gioia e la possibilità di agire politicamente. Un motivo, in altre parole, non narcisistico e autocelebrativo, ma apologetico e testimoniale. L’autore si sente “uno dei tanti”, ma non di tutti. Non è una vita qualunque quella che viene raccontata, e “i tanti” sono tra loro tutti diversi. Quindi è una storia singolare, individuale, personale specificamente distinta da tutte le altre storie, anche quelle più simili per età, ambiente sociale e credo religioso. Vi sono qua e là spiragli di imprevedibilità e di occasionalità che fanno pensare a una vita non priva di quei segni o segnali che non sono stati gestiti se non dall’alto, da una mano invisibile e sapiente. L’aneddoto del berretto dimenticato che sta all’inizio, e apre – per così dire – tutta la successiva vicenda di formazione spirituale, ed è come la porta d’ingresso di tutta la vicenda personale di Molè; così come le dimissioni da presidente della Giac date al Vescovo e dopo alcuni giorni ritirate, quando però era troppo tardi, in quanto il Vescovo aveva già dichiarato pubblicamente di accettarle… insieme ad altre situazioni impreviste e imprevedibili, stanno a indicare che la vita di Molè non è stata piatta e liscia ma ricca di novità e aperta al soffio dello Spirito.

Che cosa vuol far sapere quindi Molè? A me pare che in fondo vi sia una certa nostalgia per un mondo di cui oggi non si ha traccia, e di una Chiesa che non riesce più a formare personalità cristiane adulte e mature, capaci di prendere responsabilità in ambito sociale e politico con la libertà che lor compete. Il tipo di cristiano maturo, secondo Molè, è quello di chi è consapevole di essere chiamato, per la forza del battesimo, ad essere un testimone e di operare nelle realtà umane considerate nella loro autonomia alla luce del vangelo. Il testo magisteriale che emerge in tutto il libro, e che sembra agli occhi dell’autore giustificare le legittimità delle sue scelte politiche, è il n. 76 della Gaudium et spes, riportato a p. 72, in cui si afferma la distinzione tra sfera religiosa e sfera politica, per cui la Chiesa e la società politica sono ambedue autonome nel loro ambito proprio. Ciò costituisce la base della legittimità di scelte politiche diverse da parte dei cristiani. Il volume, però, non fa trattazioni o discussioni teoriche, quanto narrazione di fatti che si legano insieme a ciò che Molè chiama “militanza religiosa e impegno politico”. La parte più felice e originale mi pare la preparazione formativa della militanza e dell’impegno, quella scuola dell’Azione cattolica che ha dato un’indelebile strutturazione alla ricca e tenace personalità dell’autore, rimasto nel proprio cuore, pur nell’evolversi delle stagioni, sempre quell’aspirante che insegue il sogno di essere “primo in tutto per l’onore di Cristo Re”. La minuziosa ricostruzione dei momenti storici dell’esperienza cristiana e umana di Molè è come una linea guida per la rivisitazione degli snodi della storia ecclesiale e politica del nostro Paese, a partire dal concreto svolgersi dei fatti di un territorio ben definito. In questo modo il libro può essere considerato non solo una memoria, ma anche una profezia, o – se non si vuole usare una parola così impegnativa – un messaggio necessario per il nostro presente e il prossimo futuro: un messaggio né ovvio né comune. Opportunamente Mario Tosti nella Presentazione scrive: “In un’epoca quale quella in cui viviamo, la sua testimonianza disinteressata appare una provocazione, attraente, eloquente, ma soprattutto confortante”.

Nicola Molè, Uno dei tanti. Memorie tra militanza religiosa e impegno politico, editrice Ave, 2013 euro 10

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Ast. Centinaia di persone alla veglia di preghiera per il lavoro https://www.lavoce.it/ast-centinaia-di-persone-alla-veglia-di-preghiera-per-il-lavoro/ Fri, 21 Jun 2013 13:12:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=17587 veglia prreghiera AST“In questo momento di grande trepidazione per la minaccia della perdita di migliaia di posti di lavoro, nella nostra città, la Chiesa di Terni-Narni-Amelia fa proprie le preoccupazioni di tante famiglie e delle Istituzioni civili del nostro territorio”.

Così ha esordito il vescovo amministratore apostolico della diocesi Ernesto Vecchi alla veglia di preghiera per la salvaguardia del lavoro che ha presieduto nel santuario di Sant’Antonio di Terni, alla presenza di centinaia di persone delle diverse parrocchie, membri di movimenti e associazioni ecclesiali e del mondo del lavoro. Una veglia per invocare l’aiuto di Dio per i lavoratori che rischiano il posto di lavoro, per le fabbriche in crisi, perché la città possa rinascere nell’amore, nella solidarietà e nella giustizia.

Una riflessione sulle istanze pressanti del nostro tempo, l’occupazione, una remunerazione adeguata ai bisogni dei singoli e delle famiglie, la dignità e la sicurezza del lavoro, il necessario l’equilibrio tra il progresso tecnologico e la salvaguardia dell’uomo e dell’ambiente, responsabili assunzioni di diritti e doveri.

IL TESTO DELL’OMELIA

 

«In questo momento di grande trepidazione per la minaccia della perdita di migliaia di posti di lavoro, nella nostra città, la Chiesa di Terni-Narni-Amelia fa proprie le preoccupazioni di tante famiglie e delle Istituzioni civili del nostro territorio.

La Chiesa si unisce al cammino di ricerca di soluzioni per la tutela del lavoro nel modo che le è proprio. Anzitutto con la preghiera, che sollecita l’intervento provvidenziale di Dio Creatore e Signore dell’universo, ma anche con la sensibilizzazione delle coscienze e il solidale appoggio a quanti hanno il compito di stimolare le governance nazionali, europee, e internazionali, alla ricerca di soluzioni rispettose dei diritti fondamentali dell’uomo.

I testi biblici ci dicono che Gesù è la Sapienza divina incarnata e operante nel contesto di una famiglia umana, che viveva grazie al lavoro di Giuseppe, il falegname (Cf. Mt 13,55), ma era una famiglia tutta intrisa di “profezia”, riguardante il mistero della salvezza integrale dell’uomo (cf Mt 6, 7-45). San Paolo ci ha detto che le dinamiche sociali, da sole, non bastano. Occorre, invece, la volontà di “rivestirsi della carità”, il collante “perfetto” che unisce ogni buon proposito e ogni potenzialità virtuosa tendente al bene comune.

Oggi il quadro dello sviluppo è policentrico. Le cause del sottosviluppo come quelle dello sviluppo sono molteplici, le colpe e i meriti sono differenziati. Per questo è necessario liberarsi dalle ideologie, che semplificano in modo spesso artificioso la realtà. Occorre, invece, mettere in primo piano lo spessore umano dei problemi.

Pertanto, i grandi di questo mondo, prima di lasciarsi condizionare dalle lobby del politicamente corretto, che portano all’esasperazione certi diritti e finiscono col dimenticare i doveri, debbono capire che il primo capitale da salvaguardare è l’uomo, cioè la persona, nella sua integrità fatta a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen. 1,27). L’uomo, infatti, come dice il Concilio Vaticano II è “l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economica e sociale” (Gaudium et spes, n. 53). Stravolgere l’antropologia umana, dunque, significa porre in fibrillazione tutta la dinamica sociale ed economica.

Dopo il crollo del muro di Berlino e dei sistemi economici e politici connessi ai “blocchi contrapposti”, sarebbe stato necessario un complessivo ripensamento dello sviluppo. Lo propose Giovanni Paolo II, dopo i fatti del 1989. Questo è avvenuto solo in parte e continua ad essere un reale dovere da tradurre in azione politica e sociale. Ignorare – per esempio – che l’uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’economia e dell’azione sociale (Cf. Caritas in veritate n.34).

Questa crisi, dunque, nasce dall’aver posto in primo piano l’esclusivo obiettivo del profitto fine a se stesso, trascurando la persona e il bene comune. Così si rischia di distruggere ricchezza e creare povertà, come sta avvenendo oggi in Europa. L’economia non è indipendente dalla legge morale, ma purtroppo continua a muoversi secondo logiche estranee al bene comune. A lungo andare questa totale autonomia dell’economia ha portato al disorientamento attuale.

Pertanto, il mondo occidentale ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta dei valori di fondo su cui costruire un futuro diverso e migliore. “La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole, a trovare nuove forme di impegno. Solo così la crisi può diventare occasione di discernimento e di nuove progettualità” (Cf. Caritatis in veritate, 21).

Le acciaierie di Terni sono un fiore all’occhiello della nostra cultura industriale. Sono nate nel 1884, agli albori della civiltà industriale, in una terra abitata da gente di “pasta buona”, che porta nel suo DNA la capacità di intraprendere e la voglia di lavorare. Chi ha responsabilità di governo e compiti amministrativi non può lasciare decidere solo ai tecnocrati della Commissione Europea o alle potenti lobby internazionali.

Acciai Speciali Terni -dice chi se ne intende- si qualifica come Gruppo industriale leader per l’impiantistica moderna e per le innovazioni tecnologiche, per il rigoroso controllo della qualità dei propri processi e prodotti, per i risultati della ricerca metallurgica e per l’accurata assistenza tecnica.

I dipendenti dell’A.S.T., con le loro famiglie, ne sono orgogliosi e sperano che le difficoltà in atto vengano presto superate. Il ricordo della visita fatta da Giovanni Paolo II nel 1981, rimane un punto di riferimento fondamentale, che pone il problema della salvaguardia del lavoro nel contesto più ampio di una salvezza integrale dell’uomo. Gesù quando ci ha insegnato a pregare con il “Padre Nostro” ha messo in relazione l’avvento del Regno di Dio con la necessità del pane quotidiano e l’esigenza della riconciliazione con Dio e tra gli uomini.

Dunque, senza Dio non possiamo andare da nessuna parte, perché solo Lui può guarire l’egoismo degli uomini. L’Italia ha bisogno di un governo stabile, per dare sostegno alle aziende e lavoro alle famiglie, soprattutto alle nuove generazioni. I partiti si diano una mossa, seguendo le indicazioni del Presidente della Repubblica. Gli schieramenti, vecchi e nuovi, restituiscano alla politica il suo ruolo di catalizzatore del bene comune. L’avvento sulla Cattedra di Pietro di Papa Francesco è una ulteriore conferma che le cose possono cambiare, purché non ci si dimentichi che non di solo pane vive l’uomo e che Dio ha tanto amato il mondo da sacrificare perfino suo Figlio per la nostra salvezza».

 

 

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La Pasqua è “la” Storia https://www.lavoce.it/la-pasqua-e-la-storia/ Fri, 29 Mar 2013 11:41:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=15949 exodus-1966-chagallNel nostro tempo in cui tutto viene riduttivamente considerato in termini economici, si rischia che anche la Pasqua sia presentata e vissuta secondo criteri commerciali. Molti sarebbero felici di poter coniugare risurrezione con ripresa e trovare nelle uova di Pasqua la sorpresa di nuovi posti di lavoro e crescita economica per tutti. Purtroppo sembra invece che sia in crisi anche il commercio delle colombe e delle uova di cioccolato, e lo scenario politico è più da tempo di Passione che di Risurrezione. Sembra banale tutto ciò. La Pasqua, una delle principali e più antiche feste della tradizione ebraico-cristiana, che tiene desta lungo il corso delle generazioni la memoria dell’Esodo biblico e della vicenda del Cristo morto e risorto, dobbiamo impedire che venga svuotata del suo perenne messaggio.
La prospettiva della storia illuminata dalla luce che si accende nella notte della Veglia pasquale ha impregnato la cultura e segnato indelebilmente tutta la nostra civiltà. “Camminare, costruire, confessare” sono i tre verbi che segnano la vita cristiana, ricordati da Papa Francesco proprio all’inizio del suo ministero di Vescovo di Roma. Sono termini pasquali. Il cammino della liberazione verso il regno annunciando il Cristo risorto, segno di amore e fonte di speranza.
Oltre che dalla banalizzazione, ci si deve distinguere dall’idealizzazione astratta e del folklore tradizionalistico.
Sarà bene ricordare che il Mistero pasquale, culmine della rivelazione e della storia della salvezza, tende ad entrare in relazione con ogni uomo e trasformare la vita del mondo (Gaudium et spes, 38). Non è un rito chiuso in se stesso, neppure la forma popolare del “principio speranza” declinato ideologicamente, né un placebo psicologico o criterio terapeutico per far fronte alla tristezza e alla depressione. La Pasqua è una vicenda concreta definita in parametri geografici e storici, sia per gli ebrei che per i cristiani. In tempi di secolarizzazione e di sincretismi equivoci, si devono tenere le distanze anche da chi interpreta la Pasqua come un rito popolare puramente simbolico evocativo del mito della primavera, come taluni contemporanei neo-gnostici pensano. A questo proposito Guardini indica due affermazioni del Vangelo di Giovanni posti come due pilastri quando afferma “il Verbo si fece carne” e poi che egli “è risorto”. Colui che si fece carne è risorto (Guardini, Il Signore).
Chi fa memoria di questa vicenda concreta del Cristo vi si trova dentro ed è invitato a lasciarsi coinvolgere e ritrovare le proprie esperienze di vita nei personaggi e nelle vicende raccontate dai Vangeli. Nel Giusto ingiustamente colpito, umiliato e ucciso si riversano tutte le tragedie di sofferenza e di morte, e in lui trovano senso e redenzione: senza di lui e senza la sua risurrezione le nostre storie sarebbero vuote, private dalla luce della Pasqua. Possiamo proprio dire che questa non è una storia, ma la Storia. Di tutti e di ciascuno. Non in senso metaforico, perché dobbiamo ritenere che sia data a tutti “la possibilità di venire a contatto, nel modo che solo Dio conosce, con il Mistero pasquale” (GS, 22 e).
Questo messaggio, che supera i fatti contingenti della cronaca, è pur sempre vissuto nel contesto dell’immediatezza, che nel nostro caso – Pasqua 2013 – non può fare a mento di riferirsi alle vicende del Vescovo di Roma Benedetto che lascia e Francesco che inizia. Un fatto unico che ci segna e marca la nostra vita. Sembra la parabola vissuta di due fasi della storia della Chiesa, che si compongono e si integrano a vicenda: Benedetto che segna la fase della costruzione della Chiesa nelle sue strutture e regole, e Francesco che ne è il restauratore e il rinnovatore. Diciamo pure il riformatore. O almeno colui che ha indicato come possa avvenire l’aggiornamento e la riforma della Chiesa senza tradire la continuità del messaggio e senza dividere la comunione ecclesiastica anche gerarchicamente ordinata. Senza forzature, siamo spontaneamente portati a riflettere su due personaggi che incarnano con nomi e carismi diversi lo stesso ministero a servizio del Mistero pasquale.

LA DOPPIA DATA

Tutti i cristiani delle varie confessioni, che nel battesimo sono “morti e risorti in Cristo”, dovrebbero rivolgere al mondo in maniera credibile, e quindi unitaria, l’annuncio pasquale. Sentiamo di esprimere questa esigenza in modo più acuto quest’anno in cui la data della Pasqua dei cattolici e degli ortodossi si pone con due date molto lontane tra loro (31 marzo i cattolici ed evangelici, 5 maggio gli ortodossi). Si deve auspicare un accordo, prendendo ad esempio la datazione degli ebrei che sono i primi detentori della festa di Pasqua e “fratelli maggiori”. La fissazione di una stessa data per la comune celebrazione della festa della Pasqua” (cf Decreto sulle Chiese orientali n. 20) può favorire l’unità dei cristiani e soprattutto l’efficacia del lieto annuncio che Cristo è risorto, veramente risorto!

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La forza della vita https://www.lavoce.it/la-forza-della-vita/ Thu, 31 Jan 2013 13:33:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=14894 b

TUTTI GLI ARTICOLI DI QUESTA SETTIMANA

Sono ormai tanti anni che la Chiesa italiana dedica una Giornata al tema della vita umana fragile e indifesa. Lo fa senza facili moralismi e con ragion veduta: invita a promuovere e difendere la vita umana, tenendo conto via via delle reali difficoltà, ma anche indicando le possibili soluzioni.

In questo senso la Chiesa non si è mai rassegnata all’idea che l’aborto sia una soluzione comprensibile e accettabile, una possibilità senza conseguenze negative per la vita sociale. Già su questo piano c’è da registrare una continua novità e originalità di pensiero, rispetto a coloro che da decenni propongono le stesse tesi a favore della soppressione della vita nel grembo della madre. Sotto questo aspetto la “cultura di morte” – come la definiva il beato Giovanni Paolo II – è chiusa e avviluppata in se stessa, mentre la riflessione a favore della vita offre insieme ragioni di sempre e speranze possibili.

Il motivo di questo successo sta nel fatto che la cultura della vita dà voce a quanto di più naturale è inscritto nel cuore di ciascuno: ad esempio, il valore e il rispetto per ogni vita umana, il desiderio di generare. Lo ricorda bene il Messaggio dei Vescovi italiani per la prossima Giornata nazionale per la vita. Essi scrivono: “La disponibilità a generare, ancora ben presente nella nostra cultura e nei giovani, è tutt’uno con la possibilità di crescita e di sviluppo; non si esce da questa fase critica generando meno figli o peggio ancora soffocando la vita con l’aborto, bensì facendo forza sulla verità della persona umana, sulla logica della gratuità e sul dono grande e unico del trasmettere la vita, proprio in una situazione di crisi”. C’è una disponibilità a generare che nasce direttamente dal cuore dei giovani, perché inscritto nella verità della persona. Chiudersi alla vita in tutte le forme possibili è contro la natura umana ed è una forma di egoismo.

Giova ricordare che da tempo la teologia cristiana invita a superare il concetto filosofico di individuo con quello trinitario di persona. L’uomo non è un essere, seppure razionale, chiuso in se stesso, bensì esiste in quanto è in relazione costitutiva con Dio e con gli altri. Poco importa se questa relazione non sempre è evidente, a motivo della fase precoce in cui si trova o della malattia che ne limita l’esercizio. Nelle condizioni ordinarie ciascuno realizza se stesso nell’apertura all’altro, secondo un dinamismo di dare e ricevere; in questo senso nessuno è tanto povero da non poter dare nulla e nessuno è tanto ricco da non dover ricevere nulla! Ora, “la logica del dono – scrivono i Vescovi italiani – è la strada sulla quale si innesta il desiderio di generare la vita, l’anelito a fare famiglia in una prospettiva feconda, capace di andare all’origine – in contrasto con tendenze fuorvianti e demagogiche – della verità dell’esistere, dell’amare e del generare”.

La logica del dono riflette la verità sull’uomo, “il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso” (Gaudium et spes, 44) e non può “ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé”. Dio, che comunione di Persone, ha creato l’Uomo a sua immagine e somiglianza ponendo in lui la verità della relazione che si completa nel dono, cosicché non è trattenendosi che l’uomo si realizza, ma donandosi con fiducia. Questo significato perenne, riconosciuto dalla ragione e rafforzato dalla fede cristiana, non potrà mai essere disconosciuto o messo da parte, pena la distruzione della stessa verità sulla persona umana. Le parole della Chiesa trovano, pertanto, una naturale accoglienza nella profondità del cuore della persona.

E proprio la verità sulla persona, che coincide con la logica del dono, è l’ambito dove porre i fondamenti per un rinnovato impegno a favore della vita. Questi anni sono caratterizzati da una forte crisi economica, che genera la grave difficoltà nel fare famiglia. “Sono diffuse – si legge nel Messaggio – condizioni di precarietà che influenzano la visione della vita e i rapporti interpersonali suscitano inquietudine e portano a rimandare le scelte definitive e, quindi, la trasmissione della vita all’interno della coppia coniugale e della famiglia”.

Come uscirne? Intanto, occorre che chi governa faccia la sua parte: “Non è né giusto né sufficiente – notano i Vescovi – richiedere ulteriori sacrifici alle famiglie che, al contrario, necessitano di politiche di sostegno, anche nella direzione di un deciso alleggerimento fiscale”. Poi, anche i mezzi di comunicazione devono sentire la responsabilità di diffondere modelli di consumo responsabili e non far apparire il miraggio di un benessere irraggiungibile per i più e, quindi, ingiusto.

Soprattutto, occorre accrescere le relazioni, fare rete fino al punto che – ha detto il Papa al Convegno internazionale svoltosi a Milano nella primavera scorsa – una famiglia si prenda cura di un’altra famiglia. Utopia? No, se si pensa che questo corrisponde alla logica della persona, una logica capace di suggerisce sempre forme nuove di cura e di sostegno.

Quando e perché

A partire dal 1979 per volontà dei vescovi italiani si celebra ogni anno, la prima domenica di febbraio, la Giornata per la vita. Il Consiglio permanente della Cei predispone per questa occasione un breve Messaggio che illustra un aspetto particolare del tema. Il 1979 non è casuale: nel maggio 1978 infatti il Parlamento italiano approvava la legge 194 che regolamentava l’interruzione volontaria della gravidanza (Ivg). La Giornata – per fugare qualche equivoco – è un evento che coinvolge l’intera comunità ecclesiale italiana, non solo il Movimento per la vita. Il quale Mpv (fondato nel 1975) si segnala tuttavia per le sue importanti iniziative. In particolare, dal 1985 ha avviato i Centri di aiuto alla vita (Cav).

mamma-bambino-ospedaleLa Giornata della vita in Umbria

In Umbria saranno molte le iniziative che coincideranno con la festa del 3 febbraio, 35a Giornata per la vita che quest’anno reca il titolo “Generare la vita vince la crisi”. I volontari del Movimento di Perugia e del Centro di aiuto alla vita (sportello di accoglienza per le donne in difficoltà per una gravidanza) saranno presenti domenica al termine delle messe delle principali parrocchie per testimoniare l’attività promossa dal Cav e raccogliere offerte, in particolare per i progetti Gemma. Si tratta di vere e proprie adozioni prenatali a distanza di una mamma in attesa e del suo bambino, che ricevono un piccolo contributo in denaro per diciotto mesi, oltre al sostegno e ad altri generi di necessità da parte dei volontari del Centro. Un altro momento importante del 3 febbraio si terrà presso la parrocchia di Santa Lucia (che nella ex chiesa parrocchiale ospita anche la sede del Movimento per la vita perugino e del Cav): infatti alle 17 si terrà una toccante testimonianza di alcune donne sostenute dal Centro di aiuto alla vita, che grazie all’intervento del presidio di volontariato, sono state sostenute e incoraggiate a non scegliere la via dell’aborto.

Per quanto riguarda le iniziative degli altri Movimenti per la vita umbri, a Terni il 2 febbraio alle 21 si terrà una veglia di preghiera per la vita nella basilica di San Valentino, mentre domenica in diverse parrocchie ci saranno le testimonianze di medici e volontari del Cav di Terni. Altre iniziative si svolgeranno nel capoluogo ternano nel mese di febbraio, sempre per riflettere sulla centralità dell’accoglienza della vita.

A Città di Castello il locale Mpv sarà presente in piazza Matteotti sabato e domenica per la raccolta firme sull’iniziativa europea “Uno di noi”, che si prefigge “la protezione giuridica della dignità, del diritto alla vita e dell’integrità di ogni essere umano fin dal concepimento” in quelle che sono le aree di competenza dell’Ue, in particolare nell’ambito della ricerca, dell’aiuto allo sviluppo e della sanità pubblica.

Anche a Spoleto il Mpv si concentrerà sulla sensibilizzazione pubblica a questa petizione internazionale, mentre fervono i preparativi per il tradizionale Happening Giovani che si svolgerà nel mese di marzo.

Infine, a Foligno, dopo la celebrazione della messa con il Vescovo e la fiaccolata dalle chiese di San Feliciano a San Giacomo, per la prima volta verrà impartita la benedizione dei bambini nel grembo materno. La giornata si concluderà con una cena di solidarietà presso la mensa Caritas folignate.

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Il “realismo” di Dio https://www.lavoce.it/il-realismo-di-dio/ Thu, 10 Jan 2013 13:50:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=14508
Pinturicchio, “Annunciazione”, Spello

All’udienza generale del 9 gennaio in aula Paolo VI in Vaticano (testo integrale su www.vatican.va), Benedetto XVI si è ancora soffermato sul grande mistero di Dio “che è sceso dal suo Cielo per entrare nella nostra carne. In Gesù, Dio si è incarnato, è diventato uomo come noi, e così ci ha aperto la strada verso il suo Cielo, verso la comunione piena con Lui. In questi giorni [natalizi], nelle nostre chiese è risuonato più volte il termine ‘Incarnazione’… Ma che cosa significa?”.

Riprendendo quindi il versetto di Giovanni: “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14), il Papa ha spiegato che la parola “carne” indica “l’uomo nella sua integralità, sotto l’aspetto della sua caducità e temporalità, della sua povertà e contingenza. Questo per dirci che la salvezza portata dal Dio fattosi carne in Gesù di Nazareth tocca l’uomo nella sua realtà concreta e in qualunque situazione si trovi. Dio ha assunto la condizione umana per sanarla da tutto ciò che la separa da Lui, per permetterci di chiamarlo, nel suo Figlio unigenito, con il nome di ’Abbà, Padre’ ed essere veramente figli di Dio”.

“Il Verbo si fece carne” – ha proseguito – “è una di quelle verità a cui ci siamo così abituati che quasi non ci colpisce più la grandezza dell’evento che essa esprime. Ed effettivamente in questo periodo natalizio, in cui tale espressione ritorna spesso nella liturgia, a volte si è più attenti agli aspetti esteriori, ai colori della festa, che al cuore della grande novità cristiana che celebriamo: qualcosa di assolutamente impensabile, che solo Dio poteva operare e in cui possiamo entrare solamente con la fede… Il Concilio ecumenico Vaticano II afferma: ‘Il Figlio di Dio ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato’ (Gaudium et spes, 22). È importante allora recuperare lo stupore di fronte al Mistero, lasciarci avvolgere dalla grandezza di questo evento”.

Benedetto XVI ha quindi aggiunto: “Il fatto dell’Incarnazione, di Dio che si fa uomo come noi, ci mostra l’inaudito realismo dell’amore divino. L’agire di Dio, infatti, non si limita alle parole, anzi potremmo dire che Egli non si accontenta di parlare, ma si immerge nella nostra storia e assume su di sé la fatica e il peso della vita umana… Questo modo di agire di Dio è un forte stimolo ad interrogarci sul realismo della nostra fede, che non deve essere limitata alla sfera del sentimento, delle emozioni, ma deve entrare nel concreto della nostra esistenza, deve toccare cioè la nostra vita di ogni giorno e orientarla anche in modo pratico… La fede ha un aspetto fondamentale che interessa non solo la mente e il cuore, ma tutta la nostra vita”.

La catechesi ha infine proposto un ultimo elemento di riflessione: “San Giovanni afferma che il Verbo, il Logos era fin dal principio presso Dio, e che tutto è stato fatto per mezzo del Verbo e nulla di ciò che esiste è stato fatto senza di Lui (Gv 1,1-3). L’evangelista allude chiaramente al racconto della creazione che si trova nei primi capitoli del libro della Genesi, e lo rilegge alla luce di Cristo. Questo è un criterio fondamentale nella lettura cristiana della Bibbia: l’Antico e il Nuovo Testamento vanno sempre letti insieme, e a partire dal Nuovo si dischiude il senso più profondo anche dell’Antico. Quello stesso Verbo, che esiste da sempre presso Dio, che è Dio egli stesso e per mezzo del quale e in vista del quale tutto è stato creato (cfr Col 1,16-17), si è fatto uomo: il Dio eterno e infinito si è immerso nella finitezza umana, nella sua creatura, per ricondurre l’uomo e l’intera creazione a Lui. Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma: ‘La prima creazione trova il suo senso e il suo vertice nella nuova creazione in Cristo, il cui splendore supera quello della prima’ (n. 349)”.

“Con l’incarnazione del Figlio di Dio – ha concluso Benedetto XVI – avviene una nuova creazione, che dona la risposta completa alla domanda “chi è l’uomo?”. Solo in Gesù si manifesta compiutamente il progetto di Dio sull’essere umano: Egli è l’uomo definitivo secondo Dio”.

Il senso del dono

Le festività appena concluse hanno suggerito a Benedetto XVI qualche riflessione: “Nel santo Natale di solito si scambia qualche dono con le persone più vicine. Talvolta può essere un gesto fatto per convenzione, ma generalmente esprime affetto, è un segno di amore e di stima”. Ebbene, “in quella notte santa Dio, facendosi carne, ha voluto farsi dono per gli uomini, ha dato se stesso per noi; Dio ha assunto la nostra umanità per donarci la sua divinità. Questo è il grande dono… Il mistero dell’Incarnazione sta ad indicare che Dio non ha donato qualcosa, ma ha donato se stesso nel suo Figlio unigenito. E troviamo qui il modello del nostro donare, perché le nostre relazioni, specialmente quelle più importanti, siano guidate dalla gratuità e dall’amore”.

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La quarta enciclica di Papa Benedetto https://www.lavoce.it/la-quarta-enciclica-di-papa-benedetto/ Thu, 08 Nov 2012 11:29:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=13730
Benedetto XVI firma l’Enciclica ”Caritas in Veritate”

Uscirà a gennaio la quarta enciclica di Benedetto XVI, ma terza del ciclo sulle virtù teologali; e infatti, proprio nell’Anno della fede, tratterà della fede. Il trittico delle virtù teologali era iniziato nel 2006 con la Deus caritas est, e proseguito nel 2007 con la Spe salvi. Il Papa vi ha lavorato la scorsa estate, come ha rivelato, un po’ a sorpresa, il card. Tarcisio Bertone i primi di agosto, dicendo che la principale occupazione del Papa a Castel Gandolfo era stata proprio la stesura del testo della nuova enciclica.

Sul nome, ovviamente, non ci sono indiscrezioni, ma non è difficile ipotizzarlo all’interno delle celebrazioni volute dal Papa per i 50 anni dell’apertura del Vaticano II. Con un precedente importante: Giovanni Paolo I negli incontri del mercoledì avrebbe voluto trattare proprio i temi delle virtù teologali, ma la sua prematura morte gli permise di affrontare solo la fede, non la speranza e la carità.

Dopo il Concilio, c’è chi si era posto la domanda: qual è la dottrina del Vaticano II sulla fede, con evidente intento critico. Papa Paolo VI non volle lasciare senza risposta questo interrogativo e, nell’udienza di mercoledì 8 marzo 1967, disse: “Se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla a ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine”.

Per non parlare della Gaudium et spes, che al n. 57 affronta proprio il tema fede e cultura: “I cristiani, in cammino verso la Città celeste, devono ricercare e gustare le cose di lassù; questo tuttavia non diminuisce, anzi aumenta l’importanza del loro dovere di collaborare con tutti gli uomini per la costruzione di un mondo più umano. E in verità il mistero della fede cristiana offre loro eccellenti stimoli e aiuti per assolvere con maggiore impegno questo compito e specialmente per scoprire il pieno significato di quest’attività, mediante la quale la cultura umana acquista un posto importante nella vocazione integrale dell’uomo”.

Benedetto XVI nell’omelia pronunciata in occasione dell’inizio del suo pontificato, parlava della fede come della “santa inquietudine di Cristo” che deve animare il Pastore in un tempo in cui tante persone si trovano a vivere nel deserto: “Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi. Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell’edificazione del giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione. La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza”.

Così nel libro Luce del mondo, rispondendo a una domanda del giornalista Peter Seewald, Benedetto XVI afferma: “Viviamo in un’epoca nella quale è necessaria una nuova evangelizzazione; un’epoca nella quale l’unico Vangelo deve essere annunciato nella sua razionalità grande e perenne, ed insieme in quella sua potenza che supera quella razionalità”.

Già qui possiamo trovare la radice dell’Anno della fede aperto dal Papa non solo per far memoria dei 50 anni del Concilio, ma per renderlo ancora attuale e per accompagnare l’uomo “fuori dal deserto, verso il luogo della vita”.

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L’uomo nuovo secondo il Concilio https://www.lavoce.it/luomo-nuovo-secondo-il-concilio/ Wed, 31 Oct 2012 11:27:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=13614
L’intervento di padre Alessandro Barban priore generale dei monaci camaldolesi

Si è concluso domenica scorsa il ciclo delle “domeniche del Concilio” proposte dalle monache Benedettine di Citerna nel 50° anniversario dall’apertura del Vaticano II. È stato padre Alessandro Barban, priore generale dei monaci camaldolesi a presentare la Gaudium et spes, la Costituzione conciliare sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Nel corso del suo intervento il monaco ha più volte tenuto a precisare di voler fornire solo delle chiavi di lettura per un approccio più consapevole a questo documento. Gaudium et spes è stata giustamente definita una costituzione pastorale.

Padre Barban ha esortato a non confondere l’aggettivo pastorale come opinabile, ossia non importante. Il Vaticano II nelle intenzioni di Giovanni XXIII doveva essere un Concilio pastorale ed ecumenico, e non per questo opinabile!

Un’altra premessa è doverosa: Gaudium et spes è sì un documento pastorale, ma non nel senso che voglia fornire indicazioni pratiche alla Chiesa. Gaudium et spes, l’ultima delle Costituzioni conciliari, porta aria nuova alla Chiesa. Nel senso che rivoluziona il sistema teologico. Lo fa partendo dall’uomo. Fino ad allora l’uomo, carne-ossa-anima, era visto solo come una realtà peccatrice, capace solo di compiere il male; una realtà, insomma, solo negativa. Forse per la prima volta si parla, in un documento ufficiale ed autorevole della Chiesa, del corpo umano come un dono di Dio. Sembra si siano abbandonati i termini pessimistici e negativi che avevano contraddistinto l’antropologia cattolica. Molti anni dopo le neuroscienze avrebbero dato man forte a questa impostazione ricordando che la persona è un corpo complesso, il cui organo più importante è il cervello. Gaudium et spes esprime piena convinzione nella libertà umana. Essa non porta all’allontanamento da Dio. Ma è la capacità positiva dell’uomo: può amare e essere amato.

Gaudium et spes esprime un tono così positivo nei confronti degli uomini (e delle donne) perché si richiama al modello di Cristo: nel mistero dell’incarnazione Cristo – secondo il relatore – diventa il paradigma della nuova umanità. Ma è soprattutto nel mistero pasquale che Cristo mostra la sua potenza salvatrice. Grande merito del Vaticano II è stato quello di aver messo al centro della vita della Chiesa la Pasqua del Signore. Il mistero pasquale – forse ancor oggi sottovalutato – rappresenta il mistero fondamentale elaborato nella vita della Chiesa che le ha dato nuova linfa vitale. Anche noi oggi – ha concluso padre Alessandro Barban – corriamo il rischio che la nostra vita di fede si fermi al venerdì santo. Quando vivremo invece alla luce della Pasqua? La Gaudium et spes ci invita ad essere uomini e donne sorridenti e viventi in Cristo risorto.

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Tempo di crisi, tempo di fede? https://www.lavoce.it/tempo-di-crisi-tempo-di-fede/ Thu, 30 Aug 2012 12:48:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=12542
Mons. Domenico Sorrentino

Si avvicina l’Anno della fede, che Benedetto XVI ha indetto per tutta la Chiesa. Arriva in un momento in cui ci tiene sotto scacco la crisi economica che attanaglia gran parte dell’umanità, e che tocchiamo con mano anche in Italia e nella nostra regione. È ovviamente una coincidenza: è chiaro infatti che il senso della proposta papale non riguarda la crisi economica, semmai ha a che fare con la crisi della fede nella quale l’Europa si dibatte. L’anno prossimo ci farà ricordare quell’anno 313 nel quale Costantino apriva definitivamente le porte dell’Impero romano al cristianesimo, chiudendo l’epoca delle persecuzioni. Oggi siamo nell’epoca in cui i legislatori dei nostri Parlamenti – da quello europeo a quelli nazionali, regionali, fino ai Consigli comunali – prendono spesso decisioni su punti importanti dell’etica e del costume in una linea decisamente non cristiana. La crisi di fede ci interpella. Ma non ci deve abbattere. Mentre sentiamo l’amarezza di un cristianesimo che si contrae, almeno numericamente, siamo invitati a risentire, in qualche modo, l’entusiasmo delle origini, quando da tutti, dagli apostoli ai semplici battezzati, l’annuncio si faceva col passaparola, e veniva sigillato da una testimonianza che non raramente giungeva all’effusione del sangue. L’Anno della fede è anche questo. Si tratta di riprendere il grande slancio di una fede ri-compresa per il nostro tempo, nella continuità con la fede di sempre, ma parlando ai nostri contemporanei: fu, cinquant’anni fa, l’impresa esaltante del Concilio Vaticano II, che il Sommo Pontefice ci invita a riscoprire. Il Papa ci invita anche a “ripassare” – per così dire – la dottrina, per non perderne una sola stilla, con l’aiuto di quel testo denso, autorevole e bello che è il Catechismo della Chiesa cattolica. Tempo di crisi, dunque, tempo di un rinnovato annuncio della fede. Ma la crisi economica non entra in nessun modo in questa iniziativa che ci vedrà coinvolti? Io penso che c’entri, nella misura in cui l’odierna crisi non è soltanto economica. E non lo è, perché – lo sappiamo – è stata generata da un deficit di etica della finanza, che invoca un ritorno a un quadro valoriale nel quale non ci sono compartimenti stagni: l’etica della finanza suppone l’etica tout court. Dove c’è infatti una lacuna nella concezione della vita, al punto da non coglierne più la dimensione trascendente, sarà difficile porre rimedio – con semplici ritocchi legislativi – al tonfo della coscienza morale.

Masolino, predica di San Pietro, Cappella Brancacci

Perché mai, e per chi, gli istinti che spingono a profitti sfrenati e a una finanza malsana dovrebbero placarsi, in coscienze che non hanno più che il godimento immediato come loro criterio? A un livello profondo, la crisi della fede, la crisi delle coscienze, la crisi del costume, si tengono. Sono espressioni di un unico grande travaglio dell’umanità. Vivremo dunque l’Anno della fede prendendo coscienza di questo orizzonte globale. La fede riguarda certamente il cammino interno della Chiesa, ma questa, per sua natura, non sta chiusa dentro i suoi confini. Ha porte sempre aperte, getta ponti, e ripete oggi, con la stessa convinzione di cinquant’anni fa, l’esordio toccante della Gaudium et spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo”. Nella luce di questo “esordio”, l’Anno della fede si fa, per i credenti, stimolo a portarsi in campo aperto, sia per riproporre la fede con un annuncio caldo ed efficace, seppur dialogico e rispettoso, sia per mettere in campo tutte le risorse della carità, che danno alla fede stessa il suo pieno sapore evangelico. Rimane sempre valido il monito della Lettera di Giacomo: “La fede, senza le opere, è morta”. Istanza che un grande teologo del nostro tempo, Hans Urs von Balthasar, esprimeva così, nel titolo di un suo saggio: Solo l’amore è credibile.

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