Fonte Avellana Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/fonte-avellana/ Settimanale di informazione regionale Tue, 30 Aug 2022 13:13:33 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Fonte Avellana Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/fonte-avellana/ 32 32 Partito il Cammino Camaldolese di San Benedetto da Montecorona a Fonte Avellana https://www.lavoce.it/partito-il-cammino-camaldolese-di-san-benedetto-da-montecorona-a-fonte-avellana/ Fri, 26 Aug 2022 11:16:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68083 Cammino Camaldolese di San Benedetto

Arriveranno domani a Fonte Avellana i primi pellegrini che ieri mattina hanno inaugurato il Cammino Camaldolese di San Benedetto che unisce l’Abbazia di Montecorona all'Eremo di Fonte Avellana nelle Marche.

La partenza del "Cammino camaldolese"

Il pellegrinaggio, partito ufficialmente la mattina di giovedì 25 agosto,  è iniziato nella parte superiore dell'Abbazia di Montecorona con il vescovo di Gubbio e di Città di Castello e delegato per i Cammini della Conferenza Episcopale Umbria, monsignor Luciano Paolucci Bedini che ha benedetto e salutato i primi venti partecipanti al pellegrinaggio. Successivamente il sindaco di Umbertide ha consegnato ai pellegrini la credenziali del pellegrinaggio prima di mettersi in cammino insieme a loro per vivere questa importante esperienza. Alla cerimonia hanno preso parte anche il parroco di Montecorona don Renzo Piccioni Pignani e il parroco di Santa Maria della Pietà, padre Marco Freddi. "Oggi nasce un nuovo Cammino -ha affermato monsignor Luciano Paolucci Bedini- Vengono collegate le testimonianze vive e importanti di questo territorio della storia benedettina-camaldolese. I pellegrini portano con loro una tradizione millenaria in cui i pellegrini erano protagonisti di queste strade e dell'accoglienza tipica dell'ordine benedettino e portano anche al desiderio moderno di poter rinverdire questi sentieri e di aprire questi territori a nuove visite e nuove conoscenze. I pellegrini cammineranno per riaprire e offrire a molti altri questo percorso che ha valore storico, culturale e profondamente spirituale". "Questo cammino -ha detto, invece, il sindaco- è una riscoperta da un punto di vista culturale e spirituale attraverso la figura di San Romualdo collegando l'Abbazia di Montecorona con l'Eremo di Fonte Avellana. Abbiamo la fortuna di vivere in luoghi straordinari, pieni di spiritualità e di storia. Si riscoprono radici e significati più profondi. Valorizzando San Romualdo e la sua opera, tutta la storia del monachesimo benedettino l'obiettivo è quello di unire tutte le Abbazie presenti nella zona e di unire in futuro in un nuovo Cammino il Monastero di Camaldoli e l'Eremo di Fonte Avallana passando per l'Abbazia di Montecorona. Un sentito ringraziamento va a tutti coloro che hanno ideato e che si sono impegnati nella realizzazione di questo Cammino".

L'idea e la sua realizzazione

Il Cammino Camaldolese di San Benedetto è stato ideato e più volte percorso da un gruppo di volontari che hanno inteso valorizzare la presenza dei monaci camaldolesi ed in generale benedettini nella zona umbro-marchigiana (Celso Bini, Franca Cecchini, Sergio Clementi, Valentino Palpacelli, Angelo Venturucci); la loro esperienza è stata poi condivisa anche dall’ Associazione Eticamente presieduta da Vincenzo Silvestrelli e dal Comune di Umbertide. In tutto sono circa 80 km suddivisi in quattro tappe da circa 20 km l'una, in una alternanza di paesaggi, piccoli borghi di campagna, parchi naturali, castelli, e monasteri.

Le tappe del Cammino Camaldolese di San Benedetto

Le tappe del cammino sono le seguenti: dall'Abbazia di Montecorona a San Benedetto Vecchio; da San Benedetto Vecchio a Serra di Burano; da Serra di Burano a Chiaserna e infine da Chiaserna a Fonte Avellana. La partecipazione al cammino è libera e totalmente autonoma. È un cammino libero e spontaneo, pronto ad accogliere tutti i pellegrini che potranno organizzarsi autonomamente con i trasferimenti, pranzo al sacco e prenotazioni per il pernottamento. L’idea è quella di dare vita a un’esperienza culturale, ecologica, spirituale, escursionistica, senza porre limiti a chiunque vorrà ritrovarsi in cammino, ma, allo stesso tempo, senza alcun tipo di organizzazione preventiva; la partecipazione è a titolo individuale: ognuno partecipa al pellegrinaggio sotto la propria totale responsabilità.

Lo stemma camaldolese

Lungo il cammino i pellegrini saranno accompagnati dal simbolo blu cielo e dallo Stemma Camaldolese. Quest’ultimo è un calice in campo turchino, al quale bevono due colombe bianche, e sopra di esso vi è una stella codata. Le colombe rappresentano la vita dei monaci eremiti e quella dei monaci cenobiti (che vivono in comunità) che si abbeverano allo stesso calice (il calice rappresenta l’Eucarestia e richiama la Pasqua). La stella simboleggia la stella di Davide, a significare la continuità tra Antico e Nuovo Testamento.

Per informazioni sul Cammino

Per avere informazioni sul tratto del cammino è possibile chiedere ai seguenti numeri: Celso Bini (328 677 53 20), Franca Cecchini (340 666 70 44), Sergio Clementi (331 297 92 38), Valentino Palpacelli (371 31 26 352), Vincenzo Silvestrelli (335 28 12 39), Stefano Tonelli (328 20 37 961), Angelo Venturucci (328 38 25 793). La descrizione del percorso e le possibilità di accoglienza per i pellegrini sono state riportate in un pieghevole, realizzato in formato cartaceo e digitale copia del pieghevole in formato elettronico è disponibile sulla pagina Facebook Cammino Camaldolese di San Benedetto e sul sito www.comune.umbertide.pg.it e sul sito www.camminocamaldolese.org.]]>
Cammino Camaldolese di San Benedetto

Arriveranno domani a Fonte Avellana i primi pellegrini che ieri mattina hanno inaugurato il Cammino Camaldolese di San Benedetto che unisce l’Abbazia di Montecorona all'Eremo di Fonte Avellana nelle Marche.

La partenza del "Cammino camaldolese"

Il pellegrinaggio, partito ufficialmente la mattina di giovedì 25 agosto,  è iniziato nella parte superiore dell'Abbazia di Montecorona con il vescovo di Gubbio e di Città di Castello e delegato per i Cammini della Conferenza Episcopale Umbria, monsignor Luciano Paolucci Bedini che ha benedetto e salutato i primi venti partecipanti al pellegrinaggio. Successivamente il sindaco di Umbertide ha consegnato ai pellegrini la credenziali del pellegrinaggio prima di mettersi in cammino insieme a loro per vivere questa importante esperienza. Alla cerimonia hanno preso parte anche il parroco di Montecorona don Renzo Piccioni Pignani e il parroco di Santa Maria della Pietà, padre Marco Freddi. "Oggi nasce un nuovo Cammino -ha affermato monsignor Luciano Paolucci Bedini- Vengono collegate le testimonianze vive e importanti di questo territorio della storia benedettina-camaldolese. I pellegrini portano con loro una tradizione millenaria in cui i pellegrini erano protagonisti di queste strade e dell'accoglienza tipica dell'ordine benedettino e portano anche al desiderio moderno di poter rinverdire questi sentieri e di aprire questi territori a nuove visite e nuove conoscenze. I pellegrini cammineranno per riaprire e offrire a molti altri questo percorso che ha valore storico, culturale e profondamente spirituale". "Questo cammino -ha detto, invece, il sindaco- è una riscoperta da un punto di vista culturale e spirituale attraverso la figura di San Romualdo collegando l'Abbazia di Montecorona con l'Eremo di Fonte Avellana. Abbiamo la fortuna di vivere in luoghi straordinari, pieni di spiritualità e di storia. Si riscoprono radici e significati più profondi. Valorizzando San Romualdo e la sua opera, tutta la storia del monachesimo benedettino l'obiettivo è quello di unire tutte le Abbazie presenti nella zona e di unire in futuro in un nuovo Cammino il Monastero di Camaldoli e l'Eremo di Fonte Avallana passando per l'Abbazia di Montecorona. Un sentito ringraziamento va a tutti coloro che hanno ideato e che si sono impegnati nella realizzazione di questo Cammino".

L'idea e la sua realizzazione

Il Cammino Camaldolese di San Benedetto è stato ideato e più volte percorso da un gruppo di volontari che hanno inteso valorizzare la presenza dei monaci camaldolesi ed in generale benedettini nella zona umbro-marchigiana (Celso Bini, Franca Cecchini, Sergio Clementi, Valentino Palpacelli, Angelo Venturucci); la loro esperienza è stata poi condivisa anche dall’ Associazione Eticamente presieduta da Vincenzo Silvestrelli e dal Comune di Umbertide. In tutto sono circa 80 km suddivisi in quattro tappe da circa 20 km l'una, in una alternanza di paesaggi, piccoli borghi di campagna, parchi naturali, castelli, e monasteri.

Le tappe del Cammino Camaldolese di San Benedetto

Le tappe del cammino sono le seguenti: dall'Abbazia di Montecorona a San Benedetto Vecchio; da San Benedetto Vecchio a Serra di Burano; da Serra di Burano a Chiaserna e infine da Chiaserna a Fonte Avellana. La partecipazione al cammino è libera e totalmente autonoma. È un cammino libero e spontaneo, pronto ad accogliere tutti i pellegrini che potranno organizzarsi autonomamente con i trasferimenti, pranzo al sacco e prenotazioni per il pernottamento. L’idea è quella di dare vita a un’esperienza culturale, ecologica, spirituale, escursionistica, senza porre limiti a chiunque vorrà ritrovarsi in cammino, ma, allo stesso tempo, senza alcun tipo di organizzazione preventiva; la partecipazione è a titolo individuale: ognuno partecipa al pellegrinaggio sotto la propria totale responsabilità.

Lo stemma camaldolese

Lungo il cammino i pellegrini saranno accompagnati dal simbolo blu cielo e dallo Stemma Camaldolese. Quest’ultimo è un calice in campo turchino, al quale bevono due colombe bianche, e sopra di esso vi è una stella codata. Le colombe rappresentano la vita dei monaci eremiti e quella dei monaci cenobiti (che vivono in comunità) che si abbeverano allo stesso calice (il calice rappresenta l’Eucarestia e richiama la Pasqua). La stella simboleggia la stella di Davide, a significare la continuità tra Antico e Nuovo Testamento.

Per informazioni sul Cammino

Per avere informazioni sul tratto del cammino è possibile chiedere ai seguenti numeri: Celso Bini (328 677 53 20), Franca Cecchini (340 666 70 44), Sergio Clementi (331 297 92 38), Valentino Palpacelli (371 31 26 352), Vincenzo Silvestrelli (335 28 12 39), Stefano Tonelli (328 20 37 961), Angelo Venturucci (328 38 25 793). La descrizione del percorso e le possibilità di accoglienza per i pellegrini sono state riportate in un pieghevole, realizzato in formato cartaceo e digitale copia del pieghevole in formato elettronico è disponibile sulla pagina Facebook Cammino Camaldolese di San Benedetto e sul sito www.comune.umbertide.pg.it e sul sito www.camminocamaldolese.org.]]>
Cammino Camaldolese di San Benedetto: Dall’Abbazia di Montecorona al Monastero di Fonte Avellana https://www.lavoce.it/cammino-camaldolese-di-san-benedetto-dallabbazia-di-montecorona-al-monastero-di-fonte-avellana/ Wed, 17 Aug 2022 13:12:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=67995 Cammino Camaldolese di San Benedetto

E' pronto a partire il Cammino Camaldolese di San Benedetto che unisce l’Abbazia di Montecorona all'Eremo di Fonte Avellana. In tutto sono circa ottanta chilometri suddivisi in quattro tappe da circa venti chilometri l'una, in una alternanza di paesaggi, piccoli borghi di campagna, parchi naturali, castelli, e monasteri.
Il pellegrinaggio che inaugura il Cammino partirà dall’Abbazia di Montecorona giovedì 25 agosto alle ore 8: in questa occasione il vescovo di Gubbio e di Città di Castello, Sua Eccellenza Monsignor Luciano Paolucci Bedini saluterà e benedirà i partecipanti mentre il sindaco di Umbertide consegnerà ai partecipanti la patente del pellegrino.
La descrizione del percorso e le possibilità di accoglienza per i pellegrini sono state riportate in un pieghevole, realizzato in formato cartaceo e digitale copia del pieghevole in formato elettronico è disponibile sulla pagina Facebook Cammino Camaldolese di San Benedetto e sul sito www.comune.umbertide.pg.it e sul sito www.camminocamaldolese.org.

Le tappe del Cammino Camaldolese di San Benedetto

Sinteticamente le tappe del cammino sono le seguenti: dall'Abbazia di Montecorona a San Benedetto Vecchio; da San Benedetto Vecchio a Serra di Burano; da Serra di Burano a Chiaserna e infine da Chiaserna a Fonte Avellana.
La partecipazione al cammino è libera e totalmente autonoma. È un cammino libero e spontaneo, pronto ad accogliere tutti i pellegrini che potranno organizzarsi autonomamente con i trasferimenti, pranzo al sacco e prenotazioni per il pernottamento. L’idea è quella di dare vita a un’esperienza culturale, ecologica, spirituale, escursionistica, senza porre limiti a chiunque vorrà ritrovarsi in cammino, ma, allo stesso tempo, senza alcun tipo di organizzazione preventiva; la partecipazione è a titolo individuale: ognuno partecipa al pellegrinaggio sotto la propria totale responsabilità.
Lungo il cammino i pellegrini saranno accompagnati dal simbolo blu cielo e dallo STEMMA CAMALDOLESE. Quest’ultimo è un calice in campo turchino, al quale bevono due colombe bianche, e sopra di esso vi è una stella codata. Le colombe rappresentano la vita dei monaci eremiti e quella dei monaci cenobiti (che vivono in comunità) che si abbeverano allo stesso calice (il calice rappresenta l’Eucarestia e richiama la Pasqua). La stella simboleggia la stella di Davide, a significare la continuità tra Antico e Nuovo Testamento.
Durante le tappe del cammino i partecipanti saranno salutati anche dal sindaco di Gubbio, a Santa Maria di Burano e dal vicepresidente della Regione Marche a Chiaserna.
Per avere informazioni sul tratto del cammino è possibile chiedere ai seguenti numeri: Celso Bini (328 677 53 20), Franca Cecchini (340 666 70 44), Sergio Clementi (331 297 92 38), Valentino Palpacelli (371 31 26 352 ), Vincenzo Silvestrelli (335 28 12 39), Stefano Tonelli (328 20 37 961), Angelo Venturucci (328 38 25 793).
Il Cammino Camaldolese di San Benedetto è stato ideato e più volte percorso da un gruppo di volontari che hanno inteso valorizzare la presenza dei monaci camaldolesi ed in generale benedettini nella zona umbro-marchigiana (Celso Bini, Franca Cecchini, Sergio Clementi, Valentino Palpacelli, Angelo Venturucci); la loro esperienza è stata poi condivisa anche dall’ Associazione Eticamente e dal Comune di Umbertide.
Questa collaborazione ha promosso un convegno che ha approfondito alcuni aspetti del rapporto fra eremi, monasteri e società e che si è svolto lo scorso 23 giugno presso la sala Beniamino Gigli dell’Abbazia di Montecorona. Il convegno ha invitato i partecipanti a riscoprire come i monaci e le strutture da essi costituite abbiano plasmato il paesaggio umbro marchigiano e anche il modo di vivere dei suoi abitanti.
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Cammino Camaldolese di San Benedetto

E' pronto a partire il Cammino Camaldolese di San Benedetto che unisce l’Abbazia di Montecorona all'Eremo di Fonte Avellana. In tutto sono circa ottanta chilometri suddivisi in quattro tappe da circa venti chilometri l'una, in una alternanza di paesaggi, piccoli borghi di campagna, parchi naturali, castelli, e monasteri.
Il pellegrinaggio che inaugura il Cammino partirà dall’Abbazia di Montecorona giovedì 25 agosto alle ore 8: in questa occasione il vescovo di Gubbio e di Città di Castello, Sua Eccellenza Monsignor Luciano Paolucci Bedini saluterà e benedirà i partecipanti mentre il sindaco di Umbertide consegnerà ai partecipanti la patente del pellegrino.
La descrizione del percorso e le possibilità di accoglienza per i pellegrini sono state riportate in un pieghevole, realizzato in formato cartaceo e digitale copia del pieghevole in formato elettronico è disponibile sulla pagina Facebook Cammino Camaldolese di San Benedetto e sul sito www.comune.umbertide.pg.it e sul sito www.camminocamaldolese.org.

Le tappe del Cammino Camaldolese di San Benedetto

Sinteticamente le tappe del cammino sono le seguenti: dall'Abbazia di Montecorona a San Benedetto Vecchio; da San Benedetto Vecchio a Serra di Burano; da Serra di Burano a Chiaserna e infine da Chiaserna a Fonte Avellana.
La partecipazione al cammino è libera e totalmente autonoma. È un cammino libero e spontaneo, pronto ad accogliere tutti i pellegrini che potranno organizzarsi autonomamente con i trasferimenti, pranzo al sacco e prenotazioni per il pernottamento. L’idea è quella di dare vita a un’esperienza culturale, ecologica, spirituale, escursionistica, senza porre limiti a chiunque vorrà ritrovarsi in cammino, ma, allo stesso tempo, senza alcun tipo di organizzazione preventiva; la partecipazione è a titolo individuale: ognuno partecipa al pellegrinaggio sotto la propria totale responsabilità.
Lungo il cammino i pellegrini saranno accompagnati dal simbolo blu cielo e dallo STEMMA CAMALDOLESE. Quest’ultimo è un calice in campo turchino, al quale bevono due colombe bianche, e sopra di esso vi è una stella codata. Le colombe rappresentano la vita dei monaci eremiti e quella dei monaci cenobiti (che vivono in comunità) che si abbeverano allo stesso calice (il calice rappresenta l’Eucarestia e richiama la Pasqua). La stella simboleggia la stella di Davide, a significare la continuità tra Antico e Nuovo Testamento.
Durante le tappe del cammino i partecipanti saranno salutati anche dal sindaco di Gubbio, a Santa Maria di Burano e dal vicepresidente della Regione Marche a Chiaserna.
Per avere informazioni sul tratto del cammino è possibile chiedere ai seguenti numeri: Celso Bini (328 677 53 20), Franca Cecchini (340 666 70 44), Sergio Clementi (331 297 92 38), Valentino Palpacelli (371 31 26 352 ), Vincenzo Silvestrelli (335 28 12 39), Stefano Tonelli (328 20 37 961), Angelo Venturucci (328 38 25 793).
Il Cammino Camaldolese di San Benedetto è stato ideato e più volte percorso da un gruppo di volontari che hanno inteso valorizzare la presenza dei monaci camaldolesi ed in generale benedettini nella zona umbro-marchigiana (Celso Bini, Franca Cecchini, Sergio Clementi, Valentino Palpacelli, Angelo Venturucci); la loro esperienza è stata poi condivisa anche dall’ Associazione Eticamente e dal Comune di Umbertide.
Questa collaborazione ha promosso un convegno che ha approfondito alcuni aspetti del rapporto fra eremi, monasteri e società e che si è svolto lo scorso 23 giugno presso la sala Beniamino Gigli dell’Abbazia di Montecorona. Il convegno ha invitato i partecipanti a riscoprire come i monaci e le strutture da essi costituite abbiano plasmato il paesaggio umbro marchigiano e anche il modo di vivere dei suoi abitanti.
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Dai laici alla formazione dei preti, i temi dell’intervista al vescovo Paolucci https://www.lavoce.it/dai-laici-alla-formazione-dei-preti-i-temi-dellintervista-al-vescovo-paolucci/ Fri, 01 Dec 2017 15:05:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50730

Una mezz’ora di attesa al Seminario diocesano di Gubbio. I preti della diocesi c’erano tutti, al ritiro al quale ha partecipato anche il nuovo vescovo Luciano Paolucci Bedini insieme al vescovo, ora emerito, mons. Mario Ceccobelli. Nel primo pomeriggio se ne sono andati quasi tutti, e don Luciano sta definendo con don Mirco Orsini i dettagli del 3 dicembre. Dopo una mattinata intensa e un pomeriggio che si presenta altrettanto intenso, “don” Luciano si presenta sorridente, accogliente, sereno. Accoglienza - ci dirà - è quello che ha ricevuto da preti e laici fin dal giorno dell’annuncio della nomina a vescovo di Gubbio. Mons. Paolucci, si può dire che ormai conosce la diocesi. Come si trova in questa che è la più piccola diocesi umbra? “Quando il Papa mi ha chiesto di diventare vescovo di Gubbio, sapevo della bellezza della città medievale, che avevo visitato qualche volta, del fatto che era piccola, anche, e che era ricca di una tradizione religiosa legata non solo a sant’Ubaldo e a san Francesco, ma anche di un pullulare di esperienze religiose intorno alla città di Gubbio, come del resto in tutta l’Umbria. Parlo delle comunità religiose, sia monastiche che di vita attiva, delle abbazie, come Fonte Avellana che per le Marche è ancora un faro e che è stata in diocesi di Gubbio”. Come è stato il primo incontro con i suoi nuovi fedeli? “Quello che mi ha colpito fin dall’inizio è stata la grande accoglienza che ho ricevuto, fin dal giorno dell’annuncio della nomina, quando il vescovo Mario con altri è venuto a trovarmi nel Seminario di Ancona dove stavo. E anche oggi che ho incontrato tutti i sacerdoti, ho visto questa semplicità di relazione, questa immediatezza. Da molti mi sono sentito incoraggiato, ringraziato anche per la disponibilità che ho dato al Papa, e sicuramente questo mi ha aiutato molto a consolare un po’ i miei timori e ad aprire un canale di fiducia immediato con il popolo di questa terra”. Un vescovo sottolineò che per fare un prete ci vogliono anni di Seminario, mentre per fare un vescovo si fa un corso di una settimana, e neppure sulle cose essenziali. Conferma? “Sì, anche se dicono che da quando c’è Papa Francesco il corso è più ricco e molto più concreto. Però è vero. Essendo stato rettore di Se- minario, a maggior ragione capisco e sento quanto la formazione sia un elemento fondamentale. In tutti i passaggi del mio ministero come prete ho sentito il bisogno di formarmi, o di continuare a formarmi. Mi impegno a studiare anche arrivando a Gubbio, perché sui doveri e le responsabilità di un vescovo ci sono molti documenti e dovrò davvero studiarli”. Papa Francesco parla molto di Chiesa popolo di Dio e sinodalità. Da vescovo che inizia il suo percorso, come immagina il cambiamento - iniziato con il Concilio vaticano II - di valorizzazione dei laici? “Conosco tutta la difficoltà che ha incontrato in questi anni, almeno gli ultimi trenta, quella famosa promozione dei laici che era stabilita dal Concilio. E forse ha ricevuto anche un contraccolpo all’indietro, perché non si vedono più le belle figure di laicato preparato, pronto, aperto a lavorare anche nel sociale. Molte esperienze ecclesiali ci hanno aperto i canali della spiritualità, ma ci hanno richiusi, come comunità, rispetto al mondo. Quello che però vedo come molto consolante, per cui penso ci sia una grande possibilità di impegno e di lavoro assiduo e proficuo, è che la promessa e l’ideale del Vaticano II quanto alla Chiesa popolo di Dio, alla Chiesa in cui tutti sono figli e tutti collaborano, è ancora davanti a noi, e ci chiama continuamente. Forse tanti aspetti della crisi della Chiesa: penso alle vocazioni ma anche a realtà come la famiglia... in fondo, tutto nasce da questa debolezza, di una Chiesa che da un punto di vista ha portato avanti l’essenziale, ma dall’altro non ha saputo affrontare le sfide della modernità fino a trovare strade nuove. È chiaro che di questa maturazione il laicato è strategico. Mi chiedo però se in questo momento non abbiamo bisogno di riprendere in mano l’esperienza di popolo di Dio in modo che non crescano ‘solo’ i laici... come se non avessero bisogno di crescere anche i vescovi e i preti. Vivendo nel mondo della formazione, mi sto convincendo di questo: che è finito il tempo in cui i laici si formano da soli, mentre i preti si formano prima e vivono ‘di rendita’ per tutta la vita. Oggi bisogna pensare una stagione nuova in cui tutti ci formiamo insieme”. Da tanto si parla di Chiesa missionaria… “Il laicato sta dentro la storia, dentro il mondo, in maniera concreta, laddove ormai, da un certo punto di vista grazie a Dio, ormai i preti non arrivano più. Penso che i protagonisti dell’evangelizzazione siano i laici, non i preti, perché il primo anuncio oggi si fa al supermercato, al lavoro, al campo di calcio... I preti continueranno a fare il loro mestiere, cioè guidare le comunità, ma il primo annuncio della nuova evangelizzazione non la faranno i preti”. Bisogna ripensare anche la formazione dei preti in questa prospettiva? “Se ne parla da molto tempo, e spero che Papa Francesco arrivi a parlare anche dei Seminari, perché ci sono questioni che sono già sul tavolo. I Seminari nella maggior parte dei casi stanno già lavorando per rinnovare la formazione per quanto possibile, anche inserendo elementi nuovi come tutto il discorso del femminile o delle famiglie. Al Seminario di Ancona da dieci anni ho coinvolto anche le famiglie nel discernimento vocazionale, e ho invitato i seminaristi ad avere una famiglia tutor : scelte pionieristiche che forse oggi la Amoris laetitia ‘sdogana’. Quelli che accettano di avere una famiglia tutor fanno un’esperienza formativa decisamente importante, perché vai in una casa dove hai amici più grandi di te, che vivono la fede come te - perché non sei l’unico che vive la fede! - ma hanno i bambini, lavorano, e alla sera quando ti invitano sono stanchi. Questo ti cambia”. Basterà questo? “Un’altra cosa che salverà il futuro della Chiesa in questo senso è che, accanto alla novità nella formazione, ci sia un discernimento chiaro, netto, perché - come diceva Papa Francesco - se uno ha difficoltà a stare con i compagni di classe, se ne torni a casa: un prete che non ha capacità relazionali fa del male”. Lei è già stato in Conferenza episcopale umbra, nella riunione dell’ottobre scorso, e le sono già stati assegnati dei settori da seguire: il Seminario e la catechesi. La dimensione regionale è molto sentita tra i laici e anche tra i preti delle diocesi umbre, per una lunga storia di collaborazione tra le diocesi che è passata dal Seminario regionale ma anche da progetti pastorali comuni da cui, per esempio, nel 1953 nacque questo settimanale interdiocesano. Lei come vede questa collaborazione regionale? “Ho trovato un clima di apertura e collaborazione in Ceu, e ho avuto segnali, anche da messaggi ricevuti da diverse realtà ecclesiali, che possa crescere. Ho il timore che, proprio perché si esalta la dimensione diocesana [per il Codice di diritto canonico solo nella diocesi, che è Chiesa in un luogo, si ha la pienezza del mistero della Chiesa, ndr ], specie quando è piccola, il rischio sia che le collaborazioni rimangano episodiche o di evento, ci si trovi a ‘fare’ un convegno piuttosto che ‘aprire una strada’, ma questo non serve. Credo che sia all’interno della dimensione diocesana che in quella sovradiocesana dobbiamo cominciare a concepire livelli diversi di coinvolgimento, di impegno e di risposta. È ciò che in altri campi la Chiesa chiama principio di sussidiarietà, di collaborazione, di rispetto dei livelli, di condivisione delle competenze. Questo si può già fare, perché si pone a livello organizzativo e pastorale, non teologico”. Sono molti i temi di attualità che dovrà affrontare. Penso a uno su tutti, il tema dell’immigrazione, sia perché porta divisione anche nelle comunità, sia perché nella sua diocesi c’è una relatà come Umbertide in cui la presenza degli immigrati è molto alta rispetto alla popolazione. “Di recente ho avuto la fortuna di avere in Seminario ad Ancona, per una testimonianza ai seminaristi, il card. Francesco Montenegro che è arcivescovo di Agrigento e quindi di Lampedusa, e presidente della Caritas italiana. Lui diceva, e condivido, che noi cristiani non dobbiamo aiutare gli immigrati perché siamo buoni o perché c’è un’emergenza sociale. Lo facciamo perché crediamo nel Vangelo. Se volete, diceva, il problema è il Vangelo. E ha aggiunto: provate a tagliare tutte le pagine in cui si parla dei poveri nel Vangelo, e vedrete che vi rimarrà solo la copertina. La questione a me sembra sempre quella di una corretta informazione. Noi, nel mondo della libera informazione e della connessione continua, ancora crediamo a bufale spaventose che sono costruite ad arte per creare e muovere specialmente i sentimenti più biechi. Credo che la cura vera sia quella di dire che dobbiamo conoscere la concretezza dei fatti, la realtà dei fatti e a quella rispondere, e rispondere nella maniera più umana possibile”. Tra le critiche c’è quella di chi accusa la Chiesa di aiutare solo gli immigrati a scapito degli italiani… “Sappiamo bene che il problema non sono solo gli immigrati. Gli immigrati presentano una questione che va affrontata, come vanno affrontate anche le tante altre situazioni alle quali dobbiamo aprire il cuore. Inoltre non credo al discorso delle ‘religioni contro’ e tanto meno alla ‘islamizzazione’. Per esperienza personale ho capito che tante posizioni si sciolgono quando uno conosce concretamente qualcuno che vive quelle situazioni”. Ultima domanda: dove andrà ad abitare? “Ho scelto di abitare in episcopio, d’accordo con don Mario, che è contento di questa scelta perché lui è sceso in Seminario soprattutto per assistere don Pietro che ormai faceva fatica. Andrò ad abitare in episcopio con la consapevolezza che quella è la casa del vescovo, ed è giusto che sia la casa dove il vescovo può accogliere tutti, ed è bello che sia in centro città. Per me è molto grande e ne abiterò una piccola parte, ma andare ad abitare lì vuol essere un segno, il segno di una presenza, di una accoglienza”.]]>

Una mezz’ora di attesa al Seminario diocesano di Gubbio. I preti della diocesi c’erano tutti, al ritiro al quale ha partecipato anche il nuovo vescovo Luciano Paolucci Bedini insieme al vescovo, ora emerito, mons. Mario Ceccobelli. Nel primo pomeriggio se ne sono andati quasi tutti, e don Luciano sta definendo con don Mirco Orsini i dettagli del 3 dicembre. Dopo una mattinata intensa e un pomeriggio che si presenta altrettanto intenso, “don” Luciano si presenta sorridente, accogliente, sereno. Accoglienza - ci dirà - è quello che ha ricevuto da preti e laici fin dal giorno dell’annuncio della nomina a vescovo di Gubbio. Mons. Paolucci, si può dire che ormai conosce la diocesi. Come si trova in questa che è la più piccola diocesi umbra? “Quando il Papa mi ha chiesto di diventare vescovo di Gubbio, sapevo della bellezza della città medievale, che avevo visitato qualche volta, del fatto che era piccola, anche, e che era ricca di una tradizione religiosa legata non solo a sant’Ubaldo e a san Francesco, ma anche di un pullulare di esperienze religiose intorno alla città di Gubbio, come del resto in tutta l’Umbria. Parlo delle comunità religiose, sia monastiche che di vita attiva, delle abbazie, come Fonte Avellana che per le Marche è ancora un faro e che è stata in diocesi di Gubbio”. Come è stato il primo incontro con i suoi nuovi fedeli? “Quello che mi ha colpito fin dall’inizio è stata la grande accoglienza che ho ricevuto, fin dal giorno dell’annuncio della nomina, quando il vescovo Mario con altri è venuto a trovarmi nel Seminario di Ancona dove stavo. E anche oggi che ho incontrato tutti i sacerdoti, ho visto questa semplicità di relazione, questa immediatezza. Da molti mi sono sentito incoraggiato, ringraziato anche per la disponibilità che ho dato al Papa, e sicuramente questo mi ha aiutato molto a consolare un po’ i miei timori e ad aprire un canale di fiducia immediato con il popolo di questa terra”. Un vescovo sottolineò che per fare un prete ci vogliono anni di Seminario, mentre per fare un vescovo si fa un corso di una settimana, e neppure sulle cose essenziali. Conferma? “Sì, anche se dicono che da quando c’è Papa Francesco il corso è più ricco e molto più concreto. Però è vero. Essendo stato rettore di Se- minario, a maggior ragione capisco e sento quanto la formazione sia un elemento fondamentale. In tutti i passaggi del mio ministero come prete ho sentito il bisogno di formarmi, o di continuare a formarmi. Mi impegno a studiare anche arrivando a Gubbio, perché sui doveri e le responsabilità di un vescovo ci sono molti documenti e dovrò davvero studiarli”. Papa Francesco parla molto di Chiesa popolo di Dio e sinodalità. Da vescovo che inizia il suo percorso, come immagina il cambiamento - iniziato con il Concilio vaticano II - di valorizzazione dei laici? “Conosco tutta la difficoltà che ha incontrato in questi anni, almeno gli ultimi trenta, quella famosa promozione dei laici che era stabilita dal Concilio. E forse ha ricevuto anche un contraccolpo all’indietro, perché non si vedono più le belle figure di laicato preparato, pronto, aperto a lavorare anche nel sociale. Molte esperienze ecclesiali ci hanno aperto i canali della spiritualità, ma ci hanno richiusi, come comunità, rispetto al mondo. Quello che però vedo come molto consolante, per cui penso ci sia una grande possibilità di impegno e di lavoro assiduo e proficuo, è che la promessa e l’ideale del Vaticano II quanto alla Chiesa popolo di Dio, alla Chiesa in cui tutti sono figli e tutti collaborano, è ancora davanti a noi, e ci chiama continuamente. Forse tanti aspetti della crisi della Chiesa: penso alle vocazioni ma anche a realtà come la famiglia... in fondo, tutto nasce da questa debolezza, di una Chiesa che da un punto di vista ha portato avanti l’essenziale, ma dall’altro non ha saputo affrontare le sfide della modernità fino a trovare strade nuove. È chiaro che di questa maturazione il laicato è strategico. Mi chiedo però se in questo momento non abbiamo bisogno di riprendere in mano l’esperienza di popolo di Dio in modo che non crescano ‘solo’ i laici... come se non avessero bisogno di crescere anche i vescovi e i preti. Vivendo nel mondo della formazione, mi sto convincendo di questo: che è finito il tempo in cui i laici si formano da soli, mentre i preti si formano prima e vivono ‘di rendita’ per tutta la vita. Oggi bisogna pensare una stagione nuova in cui tutti ci formiamo insieme”. Da tanto si parla di Chiesa missionaria… “Il laicato sta dentro la storia, dentro il mondo, in maniera concreta, laddove ormai, da un certo punto di vista grazie a Dio, ormai i preti non arrivano più. Penso che i protagonisti dell’evangelizzazione siano i laici, non i preti, perché il primo anuncio oggi si fa al supermercato, al lavoro, al campo di calcio... I preti continueranno a fare il loro mestiere, cioè guidare le comunità, ma il primo annuncio della nuova evangelizzazione non la faranno i preti”. Bisogna ripensare anche la formazione dei preti in questa prospettiva? “Se ne parla da molto tempo, e spero che Papa Francesco arrivi a parlare anche dei Seminari, perché ci sono questioni che sono già sul tavolo. I Seminari nella maggior parte dei casi stanno già lavorando per rinnovare la formazione per quanto possibile, anche inserendo elementi nuovi come tutto il discorso del femminile o delle famiglie. Al Seminario di Ancona da dieci anni ho coinvolto anche le famiglie nel discernimento vocazionale, e ho invitato i seminaristi ad avere una famiglia tutor : scelte pionieristiche che forse oggi la Amoris laetitia ‘sdogana’. Quelli che accettano di avere una famiglia tutor fanno un’esperienza formativa decisamente importante, perché vai in una casa dove hai amici più grandi di te, che vivono la fede come te - perché non sei l’unico che vive la fede! - ma hanno i bambini, lavorano, e alla sera quando ti invitano sono stanchi. Questo ti cambia”. Basterà questo? “Un’altra cosa che salverà il futuro della Chiesa in questo senso è che, accanto alla novità nella formazione, ci sia un discernimento chiaro, netto, perché - come diceva Papa Francesco - se uno ha difficoltà a stare con i compagni di classe, se ne torni a casa: un prete che non ha capacità relazionali fa del male”. Lei è già stato in Conferenza episcopale umbra, nella riunione dell’ottobre scorso, e le sono già stati assegnati dei settori da seguire: il Seminario e la catechesi. La dimensione regionale è molto sentita tra i laici e anche tra i preti delle diocesi umbre, per una lunga storia di collaborazione tra le diocesi che è passata dal Seminario regionale ma anche da progetti pastorali comuni da cui, per esempio, nel 1953 nacque questo settimanale interdiocesano. Lei come vede questa collaborazione regionale? “Ho trovato un clima di apertura e collaborazione in Ceu, e ho avuto segnali, anche da messaggi ricevuti da diverse realtà ecclesiali, che possa crescere. Ho il timore che, proprio perché si esalta la dimensione diocesana [per il Codice di diritto canonico solo nella diocesi, che è Chiesa in un luogo, si ha la pienezza del mistero della Chiesa, ndr ], specie quando è piccola, il rischio sia che le collaborazioni rimangano episodiche o di evento, ci si trovi a ‘fare’ un convegno piuttosto che ‘aprire una strada’, ma questo non serve. Credo che sia all’interno della dimensione diocesana che in quella sovradiocesana dobbiamo cominciare a concepire livelli diversi di coinvolgimento, di impegno e di risposta. È ciò che in altri campi la Chiesa chiama principio di sussidiarietà, di collaborazione, di rispetto dei livelli, di condivisione delle competenze. Questo si può già fare, perché si pone a livello organizzativo e pastorale, non teologico”. Sono molti i temi di attualità che dovrà affrontare. Penso a uno su tutti, il tema dell’immigrazione, sia perché porta divisione anche nelle comunità, sia perché nella sua diocesi c’è una relatà come Umbertide in cui la presenza degli immigrati è molto alta rispetto alla popolazione. “Di recente ho avuto la fortuna di avere in Seminario ad Ancona, per una testimonianza ai seminaristi, il card. Francesco Montenegro che è arcivescovo di Agrigento e quindi di Lampedusa, e presidente della Caritas italiana. Lui diceva, e condivido, che noi cristiani non dobbiamo aiutare gli immigrati perché siamo buoni o perché c’è un’emergenza sociale. Lo facciamo perché crediamo nel Vangelo. Se volete, diceva, il problema è il Vangelo. E ha aggiunto: provate a tagliare tutte le pagine in cui si parla dei poveri nel Vangelo, e vedrete che vi rimarrà solo la copertina. La questione a me sembra sempre quella di una corretta informazione. Noi, nel mondo della libera informazione e della connessione continua, ancora crediamo a bufale spaventose che sono costruite ad arte per creare e muovere specialmente i sentimenti più biechi. Credo che la cura vera sia quella di dire che dobbiamo conoscere la concretezza dei fatti, la realtà dei fatti e a quella rispondere, e rispondere nella maniera più umana possibile”. Tra le critiche c’è quella di chi accusa la Chiesa di aiutare solo gli immigrati a scapito degli italiani… “Sappiamo bene che il problema non sono solo gli immigrati. Gli immigrati presentano una questione che va affrontata, come vanno affrontate anche le tante altre situazioni alle quali dobbiamo aprire il cuore. Inoltre non credo al discorso delle ‘religioni contro’ e tanto meno alla ‘islamizzazione’. Per esperienza personale ho capito che tante posizioni si sciolgono quando uno conosce concretamente qualcuno che vive quelle situazioni”. Ultima domanda: dove andrà ad abitare? “Ho scelto di abitare in episcopio, d’accordo con don Mario, che è contento di questa scelta perché lui è sceso in Seminario soprattutto per assistere don Pietro che ormai faceva fatica. Andrò ad abitare in episcopio con la consapevolezza che quella è la casa del vescovo, ed è giusto che sia la casa dove il vescovo può accogliere tutti, ed è bello che sia in centro città. Per me è molto grande e ne abiterò una piccola parte, ma andare ad abitare lì vuol essere un segno, il segno di una presenza, di una accoglienza”.]]>
Tre giorni sui passi di san Francesco https://www.lavoce.it/tre-giorni-sui-passi-di-san-francesco/ Thu, 05 Sep 2013 09:29:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=18808

francesco-e-lupoTre giorni sui passi di san Francesco, ripercorrendo a piedi l’itinerario tra Assisi, Valfabbrica e Gubbio compiuto dal Santo nell’inverno tra il 1206 e il 1207, dopo la scelta radicale espressa con la “spogliazione” e la rinuncia all’autorità paterna. L’appuntamento, anche nella quinta edizione di quest’anno, è stato rigorosamente rispettato nei giorni 1-3 settembre, arricchito anzi dalla solenne celebrazione eucaristica presieduta domenica 1° settembre da mons. Sorrentino, vescovo di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino, in concomitanza con l’ottava “Giornata per la custodia del creato”, in calendario il 1° settembre, promossa dalla Conferenza episcopale italiana e dedicata alla famiglia, scuola di umanità anche nell’educazione alla salvaguardia del creato. Il solenne rito celebrativo trasmesso dalla Rai sulla rete nazionale, si è tenuto, per la prima volta quest’anno, nell’antica cattedrale di Assisi, Santa Maria Maggiore, facente parte del complesso architettonico dove, davanti a una folla sorpresa e curiosa, si svolse il famoso processo intentato dal ricco mercante Pietro di Bernardone contro il figlio Francesco, accusato di avergli sottratto del denaro per farne dono ai poveri. Era una rivalsa piena di risentimento per un figlio che l’aveva deluso e umiliato nella scelta di uno stato di vita per lui incomprensibile. Nella manifestazione celebrativa di domenica scorsa, si distingueva la folta presenza dei pellegrini del “Sentiero di Francesco”, guidati dal vescovo di Gubbio mons. Mario Ceccobelli, ideatore del “Cammino”, arricchito dalla bella presenza degli alunni della scuola elementare della Madonna del Ponte (Gubbio), con il loro insegnante Emanuele Catanese, che già in IV elementare li aveva guidati nel Cammino e che adesso, prima di iniziare la scuola media, hanno voluto riviverne l’esperienza. Il sentiero dei tre giorni del Cammino si sviluppa a piedi per circa 40 chilometri da Assisi a Valfabbrica, da Valfabbrica a San Pietro in Vigneto, da San Pietro in Vigneto a Gubbio. Il pellegrinaggio si arricchisce quest’anno di una voce e di una compagnia in più: Papa Francesco, che al Poverello si è ispirato fin nel nome, parlandoci di una Chiesa della povertà e della tenerezza, una Chiesa che prende le distanze dal potere e riscopre il servizio. Con il clamoroso gesto della spogliazione, san Francesco apriva, senza nemmeno accorgersi, una nuova stagione nella Chiesa. Di fronte a una provocazione di tale portata, molte porte si chiusero ermeticamente di fronte a Francesco. Molte altre, invece, si aprirono come per incanto. Di lì a non molto, la città di Assisi assisterà stupita e incredula alle non meno clamorose “spoliazioni” di Bernardo da Quintavalle, Pietro Cattani, Egidio, Chiara… Ma per adesso Francesco è solo un uomo incompreso e rifiutato, ritenuto fors’anche pericoloso. La sua città natale è diventata per lui una terra straniera e ostile, che lo induce, volente o nolente, a esulare lontano, se vuole dare corpo e anima alla sua “divina ispirazione”. L’esito finale del viaggio di san Francesco sfocia all’ingresso di Gubbio, all’altezza dell’ospedale di San Lazzaro, la casa dei lebbrosi, vicino alla Vittorina. È qui, nell’incontro misericordioso con chi rappresentava - in quel contesto di cultura e di società - la presenza più estranea, irrecuperabile e ripugnante, che la minoritas di san Francesco tocca l’apice più alto della conversione e del servizio. Dovette subito rendersene conto il beato Villano, eletto vescovo di Gubbio il 26 novembre 1206, dopo essere stato educato nel celebre monastero di Fonte Avellana, che in san Pier Damiani aveva visto uno dei più fervidi e combattivi protagonisti della reformatio Ecclesiae. Fu il vescovo Villano a ottenere dai Benedettini di San Pietro la piccola e antichissima chiesa suburbana di Santa Maria della Vittoria per san Francesco e i suoi seguaci. Qui i Fioretti di fra’ Ugolino da Montegiorgio, volgarizzati da autore anonimo nell’ultimo quarto del Trecento, situano il prodigioso ammansimento del lupo, il cui aspetto emblematico richiama una delle componenti più caratteristiche e più efficaci della spiritualità francescana, che fa di san Francesco il santo della massima capacità dialogica. In Papa Francesco, che incontreremo in Assisi il 4 ottobre, saremo felici di accogliere non solo il nome ma il medesimo spirito.]]>

francesco-e-lupoTre giorni sui passi di san Francesco, ripercorrendo a piedi l’itinerario tra Assisi, Valfabbrica e Gubbio compiuto dal Santo nell’inverno tra il 1206 e il 1207, dopo la scelta radicale espressa con la “spogliazione” e la rinuncia all’autorità paterna. L’appuntamento, anche nella quinta edizione di quest’anno, è stato rigorosamente rispettato nei giorni 1-3 settembre, arricchito anzi dalla solenne celebrazione eucaristica presieduta domenica 1° settembre da mons. Sorrentino, vescovo di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino, in concomitanza con l’ottava “Giornata per la custodia del creato”, in calendario il 1° settembre, promossa dalla Conferenza episcopale italiana e dedicata alla famiglia, scuola di umanità anche nell’educazione alla salvaguardia del creato. Il solenne rito celebrativo trasmesso dalla Rai sulla rete nazionale, si è tenuto, per la prima volta quest’anno, nell’antica cattedrale di Assisi, Santa Maria Maggiore, facente parte del complesso architettonico dove, davanti a una folla sorpresa e curiosa, si svolse il famoso processo intentato dal ricco mercante Pietro di Bernardone contro il figlio Francesco, accusato di avergli sottratto del denaro per farne dono ai poveri. Era una rivalsa piena di risentimento per un figlio che l’aveva deluso e umiliato nella scelta di uno stato di vita per lui incomprensibile. Nella manifestazione celebrativa di domenica scorsa, si distingueva la folta presenza dei pellegrini del “Sentiero di Francesco”, guidati dal vescovo di Gubbio mons. Mario Ceccobelli, ideatore del “Cammino”, arricchito dalla bella presenza degli alunni della scuola elementare della Madonna del Ponte (Gubbio), con il loro insegnante Emanuele Catanese, che già in IV elementare li aveva guidati nel Cammino e che adesso, prima di iniziare la scuola media, hanno voluto riviverne l’esperienza. Il sentiero dei tre giorni del Cammino si sviluppa a piedi per circa 40 chilometri da Assisi a Valfabbrica, da Valfabbrica a San Pietro in Vigneto, da San Pietro in Vigneto a Gubbio. Il pellegrinaggio si arricchisce quest’anno di una voce e di una compagnia in più: Papa Francesco, che al Poverello si è ispirato fin nel nome, parlandoci di una Chiesa della povertà e della tenerezza, una Chiesa che prende le distanze dal potere e riscopre il servizio. Con il clamoroso gesto della spogliazione, san Francesco apriva, senza nemmeno accorgersi, una nuova stagione nella Chiesa. Di fronte a una provocazione di tale portata, molte porte si chiusero ermeticamente di fronte a Francesco. Molte altre, invece, si aprirono come per incanto. Di lì a non molto, la città di Assisi assisterà stupita e incredula alle non meno clamorose “spoliazioni” di Bernardo da Quintavalle, Pietro Cattani, Egidio, Chiara… Ma per adesso Francesco è solo un uomo incompreso e rifiutato, ritenuto fors’anche pericoloso. La sua città natale è diventata per lui una terra straniera e ostile, che lo induce, volente o nolente, a esulare lontano, se vuole dare corpo e anima alla sua “divina ispirazione”. L’esito finale del viaggio di san Francesco sfocia all’ingresso di Gubbio, all’altezza dell’ospedale di San Lazzaro, la casa dei lebbrosi, vicino alla Vittorina. È qui, nell’incontro misericordioso con chi rappresentava - in quel contesto di cultura e di società - la presenza più estranea, irrecuperabile e ripugnante, che la minoritas di san Francesco tocca l’apice più alto della conversione e del servizio. Dovette subito rendersene conto il beato Villano, eletto vescovo di Gubbio il 26 novembre 1206, dopo essere stato educato nel celebre monastero di Fonte Avellana, che in san Pier Damiani aveva visto uno dei più fervidi e combattivi protagonisti della reformatio Ecclesiae. Fu il vescovo Villano a ottenere dai Benedettini di San Pietro la piccola e antichissima chiesa suburbana di Santa Maria della Vittoria per san Francesco e i suoi seguaci. Qui i Fioretti di fra’ Ugolino da Montegiorgio, volgarizzati da autore anonimo nell’ultimo quarto del Trecento, situano il prodigioso ammansimento del lupo, il cui aspetto emblematico richiama una delle componenti più caratteristiche e più efficaci della spiritualità francescana, che fa di san Francesco il santo della massima capacità dialogica. In Papa Francesco, che incontreremo in Assisi il 4 ottobre, saremo felici di accogliere non solo il nome ma il medesimo spirito.]]>
Affascinante https://www.lavoce.it/affascinante/ Thu, 29 Mar 2012 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=10069 Di recente mi sono avvicinato alla spiritualità di un uomo di Chiesa che mi si è stagliato davanti in tutta la sua straordinaria levatura, dom Benedetto Calati. Affascinante.Ho avuto modo di conoscerlo di persona, anche se molto fugacemente, quando nei primi anni Settanta mons. Pagani, da poco vescovo di Gubbio, volle per i miei ragazzi del Movimento studenti eugubino un ritiro di sette giorni proprio a Camaldoli, dove dom Benedetto era priore generale. Di lui ricordo solo gli occhi profondi, vivacissimi sotto le ciglia folte. E proprio in quegli occhi vede la principale caratteristica di Dom Benedetto il confratello che ne ha tessuta una breve, ma intensissima biografia, una cinquantina di pagine, dom Innocenzo Gargano; si tratta della prefazione al volume che raccoglie vari scritti del Calati, Sapienza monastica. Da ragazzetto, Gigino Galati, studente dai Carmelitani di Mesagne in provincia di Brindisi, s’innamora della vita contemplativa e nel 1930 sale a Camaldoli, perché gli hanno detto che lì, come del resto a Fonte Avellana, quel tipo di vita è vissuta sine glossa, senza accomodamenti. Ed effettivamente Gigino, diventato Benedetto, prese di punta l’esperienza monastica: silenzio e solitudine, vissuti nella massima rigidità possibile, senza compromessi di sorta. Alla maniera di san Pier Damiani, se si dà retta al suo biografo, san Giovanni dal Lodi, vescovo di Gubbio nel 1105 e mentore del giovane Ubaldo Baldassini: il Lodigiano nella sua Vita beati Petri Damiani parla quasi esclusivamente di penitenze durissime e di digiuni continui e rigorosissimi, snobbando il contributo di alto profilo che il Damiani ha dato alla teologia e, da cardinale vescovo di ostia, al Diritto canonico. Cardinale… provvisorio: perché, appena poté, rinunciò al cardinalato. Ma san Romualdo aveva detto ben altro: la sua proposta “garantiva ai monaci la possibilità di vivere con estrema libertà sia all’interno di un cenobio, sia all’interno di una clausura eremitica, fino all’estrema solitudine della reclusione, sia nei più vari contesti di evangelizzazione missionaria”. Quando dom Benedetto ne prese coscienza, iniziò la sua vera conversione, che lo porterà a formulare le “Quattro Regole del Monaco”: attenzione costante alla Parola di Dio; privilegium amoris verso la persona umana, che è il bene supremo del mondo; fedeltà alla preghiera; apertura assoluta alla gente, a tutta la gente, del tutto al di là delle idee che ciascuno professa. Su questa sua evoluzione influirono da una parte, ovviamente, il Concilio, ma dall’altra l’amicizia con gente non credente che, nel periodo in cui egli visse a Roma, a San Gregorio al Celio, prese a frequentarlo assiduamente: Mario Tronti, Rossana Rossanda, Mario Melloni, il mitico “Fortebraccio” della prima pagine dell’Unità. Poi a Camaldoli arrivarono i Professorini, che avrebbero redatto il codice omonimo. Buoni ultimi, più di settanta anni dopo, siamo arrivati noi de Il Gibbo. Cioè. A moment, please!

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San Pietro verrà completato https://www.lavoce.it/san-pietro-verra-completato/ Thu, 29 Dec 2011 09:45:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=199 Per tirarsi fuori dalle sabbie mobili di una situazione resa delicatissima da difficoltà economiche e procedure da rispettare per non perdere il diritto a finanziamenti pubblici, il cosiddetto “Puc di San Pietro” si adatta, cercando soluzioni che gli consentano di arrivare in ogni caso in porto. Non solo posti auto, ma anche esercizi commerciali al piano rialzato che si apre su via Fonte Avellana.
Per portare a termine un’opera che fin dall’avvio ha conosciuto qualche difficoltà il parcheggio pluripiano in fase di costruzione a ridosso del monumentale complesso di San Pietro, previsto su tre livelli, di cui due interrati, a servizio di una delle zone più in difficoltà del centro storico, da realizzare con una sinergia pubblico e privato, è indispensabile una rielaborazione del progetto iniziale senza snaturarne più di tanto le finalità, ma apportando modifiche capaci di ridare gambe e fiato ad una struttura che rischia altrimenti la paralisi, con effetti disastrosi sul piano finanziario ed estetico.
È quanto ha proposto l’assessore alle Grandi opere Raffaello Di Benedetto, sicuro di aver trovato ormai la soluzione giusta dopo essersi confrontato a lungo, oltre che con i tecnici comunali e la ditta appaltante, anche con Regione e Cipe, enti dai quali sono arrivati contributi a fondo perduto per circa quattromilioni di euro rispetto agli undici previsti. “Abbiamo ereditato una situazione difficilissima – premette Di Benedetto – con davanti prospettive preoccupanti. Non completare l’opera significherebbe però andare incontro ad effetti devastanti, sotto molti punti di vista”.
Tutto o quasi è legato ad una impostazione che non ha trovato consensi: le risorse sarebbero dovute arrivare dalla concessione a privati per trent’anni di box e posti macchina: su 120 ne sono stati prenotati però appena 36. Una risposta che ha messo in crisi tutte le prospettive. “La proposta che stiamo elaborando – ha confidato Di Benedetto – muove da una constatazione: il piano rialzato ha un’altezza di oltre quattro metri, tale insomma da poter essere utilizzato per spazi commerciali, sicuramente appetibili. Da qui la proposta di prevedere negozi anziché posti auto, valorizzando come parcheggio pubblico e privato gli spazi degli altri due piani interrati”. Confermate tutte le altre risorse, compresi i collegamenti verticali meccanizzati per agevolare l’accesso da via del Cavarello a via Boncompagni, una perpendicolare di corso Garibaldi.

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Due vescovi per un abate https://www.lavoce.it/due-vescovi-per-un-abate/ Thu, 24 Feb 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9157 Scrivo da Fonte Avellana oggi, 21 febbraio, festa del grande dottore della Chiesa san Pier Damiani (Ravenna 1007 – Faenza 21 febbraio 1072), che fu uno dei protagonisti della storia ecclesiastica medievale e lo scrittore senza dubbio più fecondo del secolo XI. I due vescovi di Gubbio, il vescovo titolare mons. Mario Ceccobelli e il predecessore emerito, lo scrivente, non potevano essere che quassù, dove la diocesi di Gubbio, che era la diocesi dell’eremo fino al 1819, dall’opera di riforma del Damiani ha beneficiato largamente. Il Damiani stesso per un certo tempo resse la diocesi e ne furono vescovi tra i più cari discepoli del Damiani, Rodolfo (1059-1065) e Giovanni da Lodi (1105). Pietro Damiani, già maturo nella fede e vita cristiana e maestro importante di arti liberali a Ravenna, ha legato la sua vocazione monastica e la sua vita di santità a un episodio del 1035, quando ebbe l’occasione di incontrare due eremiti di Fonte Avellana, che lo colpirono per la loro vita semplice e austera. Qui divenne monaco realizzando il desiderio di una vita ascetica perfetta. Fu priore della comunità di Fonte Avellana dal 1043 al 1057. Durante il suo priorato si adoperò per la restaurazione della vita eremitica che era andata in decadenza, rinnovò le strutture dell’eremo ed in particolare lo Scriptorium che si fa tuttora ammirare per la bellezza e la luminosità, funzionale per il lavoro dei monaci amanuensi. Il Damiani, anche se è legato in modo particolare alla Chiesa eugubina, è comunque un uomo della Chiesa universale; nella sua esistenza mostra una felice sintesi fra la vita eremitica e l’attività pastorale, tutta presa dalla riforma gregoriana (Gregorio VII, Dictatus Papae del 1075). La sua teologia è ricerca di un Dio intimo e personale: essa si sviluppa nei monasteri contrapponendosi alla ricerca razionale e intellettiva di Dio. Dal secondo dopoguerra ad oggi gli studi su san Pier Damiani si sono moltiplicati e approfonditi, così da rendere facile nutrirsi della sua testimonianza e della sua dottrina. Il monastero di Fonte Avellana, a 30 chilometri da Gubbio nel Comune di Serra Sant’Abbondio, è per noi umbri un luogo facilmente raggiungibile per ritemprare la nostra spiritualità alle fonti camaldolesi. Oggi, nonostante la minaccia della neve (il monastero sorge nella valle a nord del monte Catria, all’ombra dei suoi 1.700 metri), vi ho trovato tanta gente, sacerdoti, religiosi e laici per la festa del Damiani. Il monastero sembrava piuttosto abbandonato negli anni addietro, ma dagli anni Novanta è iniziata la ripresa. Questo è avvenuto contemporaneamente con l’aprirsi della comunità monastica a nuove fondazioni. Due giovani monaci sono impegnati alla fondazione di un monastero in Brasile, si sta preparando anche una comunità in Africa e si spera di arrivare addirittura in Cina: pare che cinque giovani cinesi siano già disponibili ad iniziare il cammino religioso. Il monastero di Fonte Avellana conta attualmente una decina di monaci. Essi curano un programma di ospitale accoglienza cui sono unite iniziative di ritiri spirituali, di sviluppo della lectio divina, di profondi momenti di preghiera, e anche di necessario riposo. Auguro a tutti di programmare un fruttuoso passaggio per Fonte Avellana. Un bel gruppo di eugubini lo hanno già da tempo programmato per i sabati pomeriggio.

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San Rinaldo dal 1217 al 1977 https://www.lavoce.it/san-rinaldo-dal-1217-al-1977/ Fri, 05 Feb 2010 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8203 Nocera Umbra si accinge a celebrare la ricorrenza del patrono san Rinaldo vescovo, morto il 9 febbraio 1217. Rinaldo era il figlio primogenito dei conti di Nocera; nacque a Postignano, castello del contado Nocerino, nel 1157. Dopo aver rinunciato ad ogni diritto feudale si ritirò sul monte Serrasanta di Gualdo Tadino conducendo una dura vita eremitica. Successivamente fu accolto nell’eremo di Fonte Avellana. Divenne vescovo intorno al 1210; il suo episcopato fu caratterizzato dal fatto che non rinunciò mai ad essere monaco. Spesso il suo giaciglio veniva ritrovato intatto al mattino, perché trascorreva intere notti in penitenze e preghiera, come l’austera vita di monaco imponeva. Il Codice vaticano latino 3.903 documenta molta della storia di san Rinaldo. Racconta che, per dare esempio vivo di amore cristiano, adottò un bambino orfano, tenendolo nel palazzo vescovile e onorandolo ogni giorno a mensa come se fosse Cristo che chiedeva aiuto. Fu amico di Francesco d’Assisi e partecipò alla promulgazione, in Assisi, dell’Indulgenza della Porziuncola. Subito dopo la morte, in segno di rispetto e venerazione, fu imbalsamato. Dopo un breve processo sui miracoli compiuti, venne proclamato santo e, successivamente, patrono protettore di Nocera e della sua diocesi. Il suo corpo fu posto sull’altare maggiore della cattedrale ed esposto al culto dei fedeli in occasione della celebrazione della ricorrenza. Vi è rimasto fino al 1997 quando, a seguito dei gravi eventi sismici, fu solennemente traslato nella struttura provvissoria dove ancora oggi è ospitato. La parrocchia, dopo aver concluso la novena di preparazione presieduta da tutti i parroci della vicaria, celebrerà la festa del patrono con la messa solenne officiata dal vescovo mons. Domenico Sorrentino in concelebrazione con il presbiterio diocesano e animata dalla Corale di S. Cecilia e dalla confraternita di S. Rinaldo. Nell’ambito della celebrazione avverrà la consueta consegna del cero da parte del Sindaco, in rappresentanza della comunità civile. Nel pomeriggio di domenica 7 febbraio, invece, andrà in scena presso l’auditorium Cottoni lo spettacolo teatrale dal titolo E se Rinaldo vivesse oggi?, musical scritto dalla professoressa Anna Frillici (1940-1989) nel 1977, che ripercorre la vita di san Rinaldo calata nella realtà della fine degli anni ’70. L’appuntamento è alle 15.30, con replica alle 21.

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Mille anni intensi https://www.lavoce.it/mille-anni-intensi/ Thu, 25 Jun 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7644 Si sono concluse domenica scorsa, 21 giugno, le celebrazioni per il millenario dell’abbazia di Montecorona. A solennizzare l’evento presso la chiesa di San Salvatore in Montecorona si è svolta una messa concelebrata dai vescovi di Perugia – Città della Pieve e di Gubbio, mons. Giuseppe Chiaretti e mons. Mario Ceccobelli, insieme al vescovo emerito di Gubbio mons. Pietro Bottaccioli e i sacerdoti della zona. Don Renzo Piccioni Pignani, parroco di Badia di Montecorona, promotore del millenario insieme all’associazione culturale ‘Leone XIII’, ha voluto ringraziare tutti per quanto fatto in quest’anno di celebrazioni. Celebrazioni che hanno permesso di ripercorrere, attraverso studi più approfonditi, le origini e la storia dell’antica abbazia, di recente riconosciuta dal Vaticano come basilica minore. Grande soddisfazione è stata espressa soprattutto per i risultati raggiunti dal convegno di studi che si è svolto il 18 e il 19 giugno presso l’abbazia, e che ha visto impegnati storici e studiosi di università perugine e non, di varie discipline. ‘Attraverso la lettura di documenti duecenteschi giunti a noi in copie del ‘600 – spiega Nicolangelo D’Acunto, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, a cui è stata affidata, insiema a Mirko Santanicchia dell’Università di Perugia, la cura dell’intero convegno – abbiamo avuto modo di rimettere in discussione l’origine camaldolese del complesso abbaziale e la tradizione che vuole che sia stato fondato da Romualdo di Ravenna. Un’attribuzione sostenuta senza offrire però alcun appiglio documentario, perché in realtà anche nella documentazione camaldolese questo monastero non c’è mai. Mentre per la data di fondazione sembra attendibile quella proveniente dalla tradizione: il 1008’. È dunque ormai certo che in origine non fosse un complesso camaldolese ma – prosegue – ‘si trattava di una grande abbazia, in particolare di un cenobio di estrema importanza per tutta la storia religiosa dell’Umbria, al pari di quella di Sassovivo di Foligno e San Pietro di Perugia, proprio perché attorno ad essa crescono tutta una serie di dipendenze che si irraggiano sia in questo territorio per arrivare a Todi, al lago Trasimeno fino ad Arezzo. Un monastero autocefalo tra i più importanti, tanto è vero che quando si costituisce il Comune di Perugia, l’imperatore Enrico VI autorizza i perugini ad espandersi nel contado, ma tra le terre dove non possono espandersi inserisce quelle che dipendono dal monastero di San Salvatore di Monte Acuto’. Per quanto attiene alla questione della dipendenza dal monastero di Fonte Avellana, è stato chiarito che non c’è mai stata e che fino ad oggi era stata avvalorata solo dalla visita che Pier Damiani fece, provenendo da Fonte Avellana, al monastero. ‘Ma in realtà Damiani – prosegue D’Acunto – ha avuto rapporti anche con monasteri che non sono legati a Fonte Avellana, a volte per conoscenze di tipo personale’. Tante le questioni chiarite anche sotto l’aspetto storico artistico. Molto ancora ci sarebbe da studiare, tanto da avere materiale per un altro convegno, afferma Mirko Santanicchia. ‘Donatella Scortecci ha finalmente precisato la datazione del ciborio conservato all’interno della chiesa: fine dell’VIII sec. Ha poi approfondito anche la questione degli spostamenti ma soprattutto l’afferenza originale al contesto della chiesa. La presenza di un ciborio si intreccia infatti con la cripta, presente al di sotto della chiesa, realizzata con materiale di riutilizzo romano e altomedievale, tra cui capitelli, che fanno pensare all’esistenza sotto di essa di strutture più antiche’. Recenti indagini con il georadar effettuate sotto la cripta, le cui immagini sono state mostrate nel corso del convegno, darebbero qualche valore a queste supposizioni. Supposizioni e ipotesi che ha avanzato anche il parroco don Renzo. Per saperne di più bisognerebbe scavare. Intanto si pensa alla pubblicazione degli Atti.

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I migliori sogni dell’umanità https://www.lavoce.it/i-migliori-sogni-dellumanita/ Fri, 14 Nov 2008 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7108 È transitato per Gubbio, proveniente da Fonte Avellana il ‘Bastone del cittadino e del pellegrino’. Era partito da Betlemme, dove è destinato a ritornare il prossimo 25 dicembre, dopo aver girato il mondo con lo scopo di risvegliare in tutti i valori di pace, fratellanza, solidarietà. Approdato in Italia il 23 marzo, ha iniziato il viaggio attraverso lo Stivale dalla sede del ‘Museo dei sogni e della memoria di Feltre’ (Belluno). Un’iniziativa piena di fascino, curata nei minimi aspetti per richiamare l’attenzione dei singoli e delle comunità, dando peso ai contenuti che richiama proponendosi lungo le vie del mondo. È ricavato dal ramo di un’acacia prelevato a Nazareth; nei momenti di pausa ha come piedistallo un supporto a forma di mondo costruito con manciate di terra richieste ai vari Capi di Stato, per sottolineare l’universalità e la praticabilità delle proposte che il suo semplice passaggio porta all’attenzione dei popoli. A Gubbio ha fatto tappa in luoghi simbolo: dalla basilica sul monte Ingino che custodisce il corpo del patrono sant’Ubaldo, il vescovo eugubino che in vita ha predicato pace e riconciliazione, al mausoleo dei Quaranta Martiri che ammonisce sulle degenerazioni e sul degrado morale e civile cui la guerra conduce, alla chiesa di Semonte. Da qui è ripartito alla volta di Umbertide: proseguirà poi per Città di Castello per dirigersi verso Marzabotto, altro ‘monumento’ alla barbarie dei conflitti armati, ultima tappa prima del ritorno a Feltre. La singolare iniziativa è stata organizzata dalla comunità ‘Villa San Francesco’ di Facen di Padavena, in provincia di Belluno, una casa famiglia che accoglie minori in difficoltà. Dai suoi ospiti è nata l’idea di far viaggiare attraverso l’Italia il bastone in legno prelevato a Nazareth e condotto poi fino a Betlemme, portato a piedi da giovani e adulti, uomini e donne, persone comuni che credono nella pace e nella solidarietà. È seguito ovunque dal basamento che lo sorregge durante le sue tante soste, costruito con la terra di tutti i 198 Paesi del mondo. Per raccoglierla ci sono voluti ben nove anni. Prima di mettersi in cammino, infatti, la comunità ‘Villa San Francesco’ aveva contattato tutti i Capi di Stato chiedendo la loro collaborazione; ci sono voluti nove anni per avere tutte le risposte. Parte della terra ricevuta sarà utilizzata dai ragazzi della comunità in piccoli mattoni che saranno spediti ad ogni Stato, ‘primo mattone’ del progetto di pace e di speranza che i Governi intendono realizzare per i loro popoli.

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Un Santo eremita che dava delle belle lezioni ai vescovi https://www.lavoce.it/un-santo-eremita-che-dava-delle-belle-lezioni-ai-vescovi/ Thu, 21 Feb 2008 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=6478 La diocesi di Gubbio ha celebrato il millenario della nascita di san Pier Damiani (1007-1072) con un convegno di studio su ‘Pier Damiani e i vescovi’, aperto dal saluto del vescovo di Gubbio mons. Mario Ceccobelli e dal rappresentante del sindaco di Gubbio, consigliere Denis Bartolini, presso il Centro servizi Santo Spirito, sabato 16 febbraio. Maestri del convegno sono stati il prof. Nicolangelo D’Acunto dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, il quale ha aperto il convegno con il dotto commento del XXI canto del Paradiso di Dante, di cui protagonista è il Damiani, declamato poi con vera arte dall’attore e regista Roberto Biselli, cui è seguito, da parte del prof. D’Acunto l’approfondimento del tema del convegno con la lezione magistrale: ‘Pier Damiani e le funzioni episcopali’. Il Damiani, ravennate, discepolo di san Romualdo, eremita e riformatore, proviene dall’eremo di Fonte Avellana, portato da lui a eccezionale riferimento di vita contemplativa. È stato nel contempo uno dei massimi protagonisti della riforma pregregoriana del secolo XI, e uno dei rappresentanti più caratteristici di quel secolo, incarnando nel contempo l’ideale ascetico e monastico e la riforma della Chiesa dai mali che l’affliggevano. La vita di san Pier Damiani fu scritta dal suo discepolo carissimo Giovanni da Lodi, poi vescovo di Gubbio nel 1105, di cui lo scorso anno la nostra diocesi ha celebrato solennemente il IX centenario insieme alla diocesi di Lodi. A Lodi Vecchia nella basilica di San Bassiano fu traslato il corpo del santo vescovo per una decina di giorni ricchi di celebrazioni con grande partecipazione di quella popolazione. Certo, al convegno di studio sul Damiani avremmo aspettato maggiore presenza degli eugubini. Gubbio fino al 1819 è stata la diocesi di Fonte Avellana e il Damiani la ebbe affidata dai Papi come amministratore. Il rapporto del Damiani con Gubbio fu particolarmente intenso: a Gubbio egli mandò come vescovo (1059-1064) Rodolfo Gabrielli, da lui convertito e amato come figlio spirituale. Nel convegno è toccato alla prof. Stefania Zucchini dell’Università di Perugia parlare di ‘San Pier Damiani, Fonte Avellana e i vescovi di Gubbio’ avendone tracciato scientificamente le varie coordinate temporali e offrendo un quadro particolarmente positivo della gestione episcopale della diocesi ad eccezione dell’ultimo titolare, il vescovo Monaco Mainardo. Interessante è stato l’intervento di don Benericetti, dell’Istituto di scienze religiose di Ravenna, che ha parlato della rinuncia del Damiani al cardinalato e all’episcopato, rinuncia che gli era costantemente impedita dall’amico Ildebrando (futuro Gregorio VII) e che di fatto non si è mai realmente attuata perché le missioni ecclesiastiche più impegnative del Damiani furono compiute proprio nel tempo del suo ritorno all’eremo. Hanno integrato il quadro generale le relazioni del prof. Guido Cariboni, dell’Università Cattolica su ‘Vescovi e monasteri nel secolo di Pier Damiani’ e quelle del giovane studioso don Andrea Czortek di Città di Castello su ‘I vescovi dell’attuale Umbria nel secolo di Pier Damiani’. Impedito a venire il prof. Umberto Longo dell’Università di Pisa, che avrebbe affrontato i ‘Modelli episcopali nell’agiografia di san Pier Damiani’; la conferenza è stata letta dal prof. D’Acunto. Il vescovo emerito di Gubbio, mons. Bottaccioli, ha tratto le conclusioni del convegno, sottolineando come l’azione riformatrice partita da Fonte Avellana ha segnato anche oltre il secolo XI la vita spirituale della nostra diocesi.

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Un progetto urbano da 10 milioni di euro https://www.lavoce.it/un-progetto-urbano-da-10-milioni-di-euro/ Fri, 23 Nov 2007 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=6288 Lasciandosi alle spalle una preparazione andata avanti per anni, data la complessità dell’intervento, sono iniziati nei giorni scorsi i lavori relativi al Progetto urbano complesso (Puc) di San Pietro, un investimento di 9.700.000 euro soltanto per le opere previste in progetto, garantito da una sinergia pubblico-privata: 4 milioni provengono da un contributo regionale, la differenza fa carico al consorzio di impresa che esegue l’intervento. Il Puc autorizza notevoli aspettative, anche se al presente richiede la massima collaborazione e disponibilità da parte dei cittadini, e non solo degli abitanti del quartiere. Le esigenze logistiche del cantiere hanno richiesto infatti una robusta modifica del traffico, che coinvolge arterie che svolgono un ruolo primario nella circolazione della zona, con riflessi anche su parte del tessuto cittadino. Il primo impatto, in una giornata caratterizzata da maltempo, è stato positivo grazie alla sensibilizzazione portata avanti nei giorni precedenti dall’Amministrazione comunale ed alla presenza in loco di una decina di vigili urbani dislocati nei punti chiave, che hanno consigliato, spiegato, orientato. Ci vorrà del tempo per ambientarsi, ma la collaborazione è indispensabile in presenza di benefici futuri. L’intervento è di grande impatto. Si tratta, tanto per citare alcuni numeri di questa fase iniziale, di rimuovere oltre 45.000 metri cubi di terreno (saranno presenti incaricati della Soprintendenza per eventuali ritrovamenti archeologici), da trasferire presso una cava nella zona della ‘Contessa’. Poiché ogni automezzo può trasportare 20 mc, saranno necessari qualcosa come 2.250 viaggi! Facile immagine la situazione che andrà a crearsi. Il Puc prevede la realizzazione su tre livelli, di cui due interrati per una profondità di dodici metri, di 160 posti auto (97 pubblici e 63 a disposizione dell’impresa) e 105 box (in vendita); su via Fonte Avellana magazzini (per 480 mq) e negozi (per 439 mq), a disposizione degli acquirenti. Previsti collegamenti pedonali e meccanizzati, con due ascensori, uno dei quali sbuca in via Boncompagni facilitando il percorso tra via del Cavarello (il torrente sarà scavalcato da un ponte) e corso Garibaldi. In progetto la riqualificazione di alcuni locali comunali in via XX Settembre per attività artigianali – commerciali, la ripavimentazione di via Dante, del tratto di corso Garibaldi, fino all’incrocio con via Boncompagni e di via Fonte Avellana, oltre al rinnovo dell’illuminazione e delle reti tecnologiche.

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Cammina animatore cammina! https://www.lavoce.it/cammina-animatore-cammina/ Fri, 20 Oct 2006 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=5461 Il ‘Servizio di pastorale giovanile diocesano’, coordinato da Lorenzo Panfili e don Antonio Zavatarelli, ha presentato le iniziative destinate a caratterizzarlo: dalla formazione alla solidarietà, dallo sport al teatro, dall’associazionismo alla riflessione. La cerimonia è avvenuta presso i ristrutturati locali di San Filippo in via Cairoli, un edificio destinato a svolgere un ruolo importante, sotto il profilo organizzativo, nelle strutture che ruotano intorno alla Chiesa eugubina, presenti gli animatori di gruppi dopo cresima della diocesi ed i responsabili di attività giovanili di ispirazione cattolica. Questo il quadro d’insieme articolato per ‘capitoli’.Cammino per animatori ‘camminanimatore’ Il programma prevede un incontro mensile in cui verrà fatta esperienza della Lectio divina insieme a padre Alessandro Barban, priore di Fonte Avellana. Seguiranno momenti di condivisione e di incontro, ma anche di formazione specifica su strumenti e tecniche di animazione. Le date individuate, anche se in linea di massima, sono le seguenti: 10 dicembre, 14 gennaio, 11 febbraio, 15 aprile. In più sono previste due esperienze di ritiro: dal 23 al 25 novembre con don Leonardo Giannelli e dal 16 al 18 marzo (esercizi spirituali per animatori), oltre a un campo di formazione finale nella prima settimana di giugno. Cantiere raccolta cibo È considerata un’attività valida per la formazione dei ragazzi, in quanto dà loro opportunità di sperimentare la gratuità ed il servizio, di incontrarsi e di costruire qualcosa di bello insieme. Orientativamente, il periodo prescelto è compreso fra i mesi di dicembre e febbraio. L’aspirazione dei responsabili del ‘servizio’ è quella di potersi confrontare con i parroci, i sacerdoti e gli animatori per migliorare e rivalutare una proposta che, nel passato, ha raccolto notevole entusiasmo tra giovani di ambo i sessi. Ritiri ed esercizi spirituali per giovaniLa vita di gruppo è sicuramente il terreno più fertile per la crescita spirituale dei ragazzi. Alle volte, però, i gruppi hanno bisogno di aprirsi agli altri, per prendere aria e ricaricarsi. Proprio per questo Panfili e don Zavatarelli sono intenzionati a proporre anche quest’anno delle giornate particolari di incontro fra i vari gruppi.Csi: tornei variPartendo dal presupposto che lo sport è un aspetto molto importante per la crescita dei ragazzi, non solo dal punto di vista fisico, ma anche valoriale, lo sforzo sarà quello di promuovere e sostenere i vari tornei di calcio, calcetto e pallavolo. Sono occasioni utili per permettere ai ragazzi di misurarsi con altri coetanei e di assaporare la gioia del gioco di squadra. TeatroPer l’undicesimo anno consecutivo, il teatro continuerà a rappresentare un terreno di lavoro e di impegno, un’esperienza decisivamente valida che permette di mettere in gioco le proprie capacità artistiche, misurandosi in qualche maniera con i propri limiti. Spettacolo da definire nel testo, mentre per le date si pensa ai giorni 30 – 31 marzo e 1’aprile, sperando che il Teatro comunale possa essere disponibile.

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Cammino di intenso amore https://www.lavoce.it/cammino-di-intenso-amore/ Fri, 29 Sep 2006 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=5416 ‘Amatevi intensamente’ è la calda raccomandazione del vescovo mons. Mario Ceccobelli che introduce il ‘Programma pastorale 2006-2007’, sintesi della recente assemblea diocesana e finalizzato a consentire a ciascuno di noi di ‘diventare segni di speranza per tutte quelle persone il cui cuore si trova nello smarrimento e nel buio’. Per raggiungere questa meta, ‘ho individuato – scrive il presule – un cammino da compiere insieme, che qui di seguito vi presento’. FormazioneIl primo tema fondamentale individuato dall’assemblea è stato proprio quello della formazione degli operatori pastorali e in particolare dei catechisti. Tra gli strumenti a disposizione si richiama la ‘Scuola di formazione teologica Sant’Ubaldo’, da proporre anche agli animatori, agli operatori pastorali e tutti i fedeli, oltre ad un cammino formativo, portato avanti dall’Ufficio catechistico diocesano, che si svolgerà nelle zone pastorali. Un’équipe si sposterà di zona in zona, e guiderà una serie di incontri per aiutare coloro che sono chiamati a trasmettere la fede a crescere nell’amicizia con Gesù. In programma inoltre cinque incontri aperti a tutti i fedeli, guidati da padre Alessandro Barban, priore di Fonte Avellana, che si terranno a San Secondo, ed avranno la caratteristica della lectio divina. CatecumenatoNell’ambito della catechesi verrà attivato il servizio per il catecumenato, con un’apposita équipe ad accompagnare gli adulti che faranno richiesta di ricevere il sacramento della Confermazione o a percorrere l’intero cammino dell’iniziazione cristiana. Pastorale giovanileIl programma è quello triennale proposto dall’Ufficio di Pastorale giovanile nazionale, cui si aggiunge il servizio di aiuto per la ricerca della propria vocazione e di direzione spirituale, che don Michele e don Gaetano hanno iniziato a svolgere presso la Misericordia, in via Baldassini a Gubbio. PresbiteriAppuntamento mensile, guidato da mons. Francesco Zenna, rettore del seminario della diocesi di Chioggia e professore di liturgia, un progetto organico che si concluderà con una convivenza di qualche giorno. Vita liturgicaL’anno liturgico è il primo momento formativo di tutta la comunità ecclesiale, offre il nutrimento quotidiano per la fede e per poter raggiungere la piena maturità in Cristo. Si richiama l’importanza della preghiera, ricordando la ‘Scuola di preghiera’ che si terrà, come lo scorso anno, presso il Monastero della Trinità in San Girolamo. CaritàIn sintonia con quella italiana e regionale, la Caritas proporrà un rapporto di collaborazione sempre più autentico e fraterno con le parrocchie, formando corsi per operatori parrocchiali, e in sintonia con l’VIII centenario della venuta di san Francesco a Gubbio, l’accoglienza degli immigrati. Agli incontri farà seguito una festa finale.

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Tra fusti ci si capisce https://www.lavoce.it/tra-fusti-ci-si-capisce/ Thu, 07 Sep 2006 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=5365 È successo al mio paese, Scheggia. 1’settembre 2006, sono in arrivo due tipi di fusti, un fusto single di taglio spirituale e una ventina di fusti di taglio fisico: ventenni quest’ultimi, morto 900 anni or sono e rigorosamente single il primo. Lui è Giovanni da Lodi, un fusto maestoso nella vita dello spirito; un fusto che fiorì da queste parti, all’inizio del II millennio, quando civiltà e Chiesa avevano collassato, e i monaci di San Romualdo da Camaldoli a Fonte Avellana, attraverso Arezzo, Città di Castello, Monte Corona, Camporeggiano, Gubbio eressero contro lo sfascio un formidabile argine. Giovanni fu uno di loro: colto e piissimo, macerato dalla prassi della penitenza più rigorosa e affinato da un intensissimo rapporto con il suo Signore, il monaco sceso dall’Oltre/Po dopo oltre trentanni di priorato a Fonte Avellana divenne vescovo di Gubbio, nel 1105, vi morì nel 1106. Pochi mesi, sufficienti però a che l’ex figlioccio di san Pier Damiani conoscesse un ventenne di alto profilo, un certo Ubaldo Baldassini, e lo avviasse alla vita religiosa. Se Dio vuole, gli eugubini si sono ricordati di questo grande servizio che il Lodigiano ha reso alla loro Chiesa: le sue spoglie sono state traslate dall’altare che da allora le custodisce nella cattedrale di Gubbio a Cantiano, a Scheggia, nei paesi che, alle falde del monte Catria, più hanno risentito della sua presenza benefica, per tornare a Gubbio nella prima settimana di settembre. Questo è lui. Loro invece sono giovani fusti convocati in vista del campionato di calcio, III categoria. Aitanti, cresciuti a latte e nutella, sprizzano salute e voglia di vivere e di giocare. L’orario dell’arrivo del Santo nella piazza del paese e quello della prima riunione pre-campionato della società sportiva Scheggia, nella sede dalla Sportiva, coincidono. No, questo non va bene. E così, appena cominciata la riunione, una signora minuta ma vivace, che i venti anni li ha compiuti – diciamo- da tempo, ma non lo dimostra, bussa e si affaccia sulla porta della sala: ‘Scusate, sarebbe possibile, rimandare la riunione? Sapete”, eccetera. L’accolgono benevolmente. Come no?! Stia tranquilla, signora. Lei saluta e si affretta verso la piazza, perché l’urna del Santo sta arrivando. Ma poco dopo la gradita sorpresa: rapidi e silenziosi, alle sue spalle arrivano tutti i ragazzi della squadra, con in testa il loro allenatore, con indosso le loro tute nuove di zecca, e si dispongono intorno all’urna. Come i corazzieri quando arriva il Presidente della Repubblica. Se non fosse buio, si potrebbe cogliere un sorriso sul volto di san Giovanni da Lodi. Tra fusti ci si intende, d’istinto. Sto pensando a quei ragazzi che scortano il nostro Santo. E mi commuovo. Sono nato anche io sotto il Catria, e a Scheggia ho trascorso i primissimi anni della mia vita. E poi quella signora minuta che i venti anni li ha compiuti – diciamo – da tempo è’ mia sorella.

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Esperto in carità e vocazioni https://www.lavoce.it/esperto-in-carita-e-vocazioni/ Thu, 31 Aug 2006 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=5353 Sono entrate nel vivo le celebrazioni volute dalla diocesi per celebrare il nono centenario della morte di san Giovanni da Lodi, deceduto il 7 settembre 1105 a Gubbio, di cui era stato nominato vescovo da pochi mesi (1104). Le sue spoglie sono custodite e venerate nel duomo eugubino, dove sono state trasferite nel 1188, assieme a quelle dei santi Mariano e Giacomo, titolari della cattedrale, dalla vecchia alla nuova chiesa voluta dal vescovo Bentivoglio, in una delle cappelle laterali appositamente rinnovata nel 1648 per iniziativa del vescovo Sperelli. Nato a Lodi Vecchio intorno al 1040, è stato allievo prediletto di san Pier Damiani, che segue nell’esperienza eremitica presso l’eremo di Fonte Avellana, appartenuta fino al 1819 alla diocesi eugubina. Proprio da vescovo di Gubbio incoraggia ed avvia alla vita sacerdotale un giovane conosciuto nella canonica di San Secondo, nel quale intravede subito doti e virtù davvero rare: si tratta di Ubaldo Baldassini, futuro vescovo e patrono della diocesi. Il centenario è stato l’occasione per un pellegrinaggio del sacro corpo nei centri della Diocesi. Dopo Cantiano (18-31 agosto) e Scheggia e Pascelupo (1-3 settembre) e la volta di Gubbio. Questo il programma che avrà luogo nella chiesa di San Francesco. Il 3 settembre, alle ore 17.30, arrivo del corpo del Santo nella chiesa di San Francesco; ore 18, recita del rosario e alle 18.30 la messa. Dal 4 al 9 settembre, settimana di preghiera; nel pomeriggio unica celebrazione eucaristica per la zona cittadina alle ore 18.30 (sono sospese le messe vespertine in tutto il territorio della zona cittadina). Il 4 settembre, alle ore 21, ‘San Giovanni da Lodi e la carità’, catechesi tenuta da don Angelo Fanucci; il 5 settembre, alle ore 21, ‘San Giovanni da Lodi e la vocazione’, catechesi tenuta da don Luca Lepri; il 6 settembre, alle ore 21, liturgia penitenziale in preparazione alla festa di san Giovanni da Lodi. Il 7 settembre, alle ore 18.30, solenne celebrazione eucaristica nel giorno della morte di san Giovanni da Lodi. L’8 settembre, alle ore 21, ‘San Giovanni da Lodi ci richiama alla comunione della Chiesa particolare con i suoi pastori’, catechesi tenuta da mons. Pietro Bottaccioli. Il 10 settembre, alle ore 17, il corpo del Santo tornerà in cattedrale con una solenne processione, alla quale parteciperà l’intera diocesi. Questo il percorso: piazza 40 Martiri, via della Repubblica, corso Garibaldi, via Dante, via XX Settembre, via Federico da Montefeltro. Rientrati in cattedrale, inizierà la celebrazione eucaristica. In questo giorno sono sospese le messe vespertine in tutto il territorio diocesano

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Il corpo è intatto, il suo spirito anche https://www.lavoce.it/il-corpo-e-intatto-il-suo-spirito-anche/ Thu, 03 Aug 2006 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=5336 Il corpo è stato trovato in ottimo stato di conservazione, proprio come nel 1906. A un secolo fa risalgono vesti e paramenti sacri indossati dal santo vescovo. Dalla mitria donata da tale Angelus Marinelli (nome scritto sullo stesso copricapo), alla pianeta e alle vesti confezionate da altri fedeli e devoti concittadini, fino ai calzari, messi a disposizione da don Giuseppe Cellerari, parroco di Nerbisci. Tra gli indumenti, tutti di pregevole fattura e finemente ricamati, anche la lunga veste bianca, tipica prerogativa dei prelati monaci avellaniti. Sono queste le prime notizie dopo la ricognizione delle spoglie di san Giovanni da Lodi, presule di Gubbio dal 1104 al 1105, vissuto a cavallo tra l’XI e il XII secolo, il cui corpo si conserva nella cattedrale eugubina, effettuate nei giorni scorsi (28 luglio) in preparazione delle solenni celebrazioni per il nono centenario della morte del santo monaco e vescovo che per primo scoprì e valorizzò la fede di sant’Ubaldo. Alla presenza dell’attuale vescovo mons. Mario Ceccobelli, e dell’emerito mons. Pietro Bottaccioli, è stata aperta l’urna collocata sotto uno degli altari laterali. Tra gli intervenuti, sacerdoti e diaconi, anche don Antonio Spilli, custode della basilica di San Massiano a Lodi Vecchio, oltre a personale medico e paramedico, addetti alla documentazione dell’evento. Le operazioni sono state coordinate da don Pietro Vispi, direttore del Tribunale ecclesiastico diocesano e delegato del Vescovo. La ricognizione è iniziata con il giuramento e con un momento di preghiera guidato da mons. Ceccobelli. Poi le spoglie del santo sono state trasferite in una delle sale interne della cattedrale per un primo esame esterno; quindi sono state trasportate, con un’ambulanza del comitato eugubino della Croce rossa italiana, presso l’ospedale civile di Gubbio, dove il corpo del santo vescovo è stato sottoposto a esami adiologici, compresa una Tac. Al termine è stato riportato in duomo, dove la ricognizione è continuata. Ora si attende il responso dell’équipe medica che, nei prossimi giorni, fornirà i risultati dei vari esami. Nato a Lodi Vecchio, fu allievo prediletto di san Pier Damiani, che seguì nell’esperienza eremitica presso l’eremo di Fonte Avellana, appartenuta fino al 1819 alla diocesi eugubina. Proprio da vescovo di Gubbio incoraggiò ed avviò alla vita sacerdotale un giovane conosciuto nella canonica di San Secondo, nel quale intravide subito doti e virtù davvero rare: si trattava di Ubaldo Baldassini, futuro vescovo e patrono della diocesi.

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A Fonte Avellana un nuovo modello di vita monastica https://www.lavoce.it/un-nuovo-modello-di-vita-monastica/ Thu, 18 Nov 2004 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=4149 Fonte Avellana

Il Monastero di Fonte Avellana è stato edificato a 700 m alle pendici del massiccio del Catria (1702 m), il più alto della provincia di Pesaro e Urbino, e fino a circa vent'anni fa faceva parte della diocesi di Gubbio. L'eremo di Santa Croce venne fondato intorno all'anno 1000, forse per opera del beato Lodolfo, nobile e vescovo eugubino che si ritirò in questa zona edificando un oratorio in onore di Sant'Andrea. A Fonte Avellana san Pier Damiani sviluppò un nuovo modello di vita monastica, codificò il dettato di san Romualdo sul monachesimo eremitico. Il servizio reso alla Chiesa da Fonte Avellana lungo i suoi mille anni di storia non si esaurisce nell'opera del Damiani; in questo eremo si formarono circa cinquanta vescovi e un folto stuolo di monaci noti per santità e dottrina.

Eremo ricco di storia e spiritualità

E anche Dante Alighieri sentì il fascino dell'eremo del Damiani, forse ne fu ospite, lo cantò nella Divina Commedia (Paradiso, canto XXI). La chiesa odierna fu costruita nel 1171 sopra un edificio più antico, di cui restano tracce nella cripta. Di stile romanico, con accenti gotici, fu rimaneggiata in età barocca e nel 1950. La sala del Capitolo appartiene invece ad epoche successive. Nel 1931 venne aperto a Fonte Avellana un piccolo seminario, che a tutt'oggi è rimasto sede di noviziato. Vale la pena, visitando il monastero, accedere alle sale più antiche, a piano terra, costruite tra la fine del X e la fine del XII secolo. Il primo ambiente che si incontra è lo Scriptorium (sec. XI), voluto da san Pier Damiani e oggi a lui dedicato. È il luogo dove i monaci lavoravano come amanuensi, trascrivendo su carta pergamena antichi testi classici greci e latini realizzando i preziosi codici miniati, alcuni dei quali sono conservati nella Biblioteca Vaticana. Delle due serie di finestre che presenta, quelle originarie sono solo le monofore delle arcate superiori. Sulla parete di fronte all'entrata c'è un dipinto su tavola raffigurante sant'Albertino, priore avellanita morto nel 1294, attribuito ad Antonio Alberti da Ferrara e databile attorno al 1427.

L'ospitalità dei monaci a Fonte avellana

I monaci di Fonte Avellana accettano chiunque voglia essere ospitato. È richiesta una predisposizione al silenzio, alla meditazione e alla riflessione personale. Agli ospiti si propongono incontri di Lectio Divina, giornate di ritiro individuale o di revisione di vita, e possibilità di confronto sui problemi del mondo e della Chiesa. Le giornate sono ritmate dalla preghiera corale della comunità (Ora dell'ascolto, Lodi, Eucaristia e Vespri). L'ospitalità dei singoli o dei gruppi (anche autogestiti) è praticata durante tutto l'anno.]]>
Fonte Avellana

Il Monastero di Fonte Avellana è stato edificato a 700 m alle pendici del massiccio del Catria (1702 m), il più alto della provincia di Pesaro e Urbino, e fino a circa vent'anni fa faceva parte della diocesi di Gubbio. L'eremo di Santa Croce venne fondato intorno all'anno 1000, forse per opera del beato Lodolfo, nobile e vescovo eugubino che si ritirò in questa zona edificando un oratorio in onore di Sant'Andrea. A Fonte Avellana san Pier Damiani sviluppò un nuovo modello di vita monastica, codificò il dettato di san Romualdo sul monachesimo eremitico. Il servizio reso alla Chiesa da Fonte Avellana lungo i suoi mille anni di storia non si esaurisce nell'opera del Damiani; in questo eremo si formarono circa cinquanta vescovi e un folto stuolo di monaci noti per santità e dottrina.

Eremo ricco di storia e spiritualità

E anche Dante Alighieri sentì il fascino dell'eremo del Damiani, forse ne fu ospite, lo cantò nella Divina Commedia (Paradiso, canto XXI). La chiesa odierna fu costruita nel 1171 sopra un edificio più antico, di cui restano tracce nella cripta. Di stile romanico, con accenti gotici, fu rimaneggiata in età barocca e nel 1950. La sala del Capitolo appartiene invece ad epoche successive. Nel 1931 venne aperto a Fonte Avellana un piccolo seminario, che a tutt'oggi è rimasto sede di noviziato. Vale la pena, visitando il monastero, accedere alle sale più antiche, a piano terra, costruite tra la fine del X e la fine del XII secolo. Il primo ambiente che si incontra è lo Scriptorium (sec. XI), voluto da san Pier Damiani e oggi a lui dedicato. È il luogo dove i monaci lavoravano come amanuensi, trascrivendo su carta pergamena antichi testi classici greci e latini realizzando i preziosi codici miniati, alcuni dei quali sono conservati nella Biblioteca Vaticana. Delle due serie di finestre che presenta, quelle originarie sono solo le monofore delle arcate superiori. Sulla parete di fronte all'entrata c'è un dipinto su tavola raffigurante sant'Albertino, priore avellanita morto nel 1294, attribuito ad Antonio Alberti da Ferrara e databile attorno al 1427.

L'ospitalità dei monaci a Fonte avellana

I monaci di Fonte Avellana accettano chiunque voglia essere ospitato. È richiesta una predisposizione al silenzio, alla meditazione e alla riflessione personale. Agli ospiti si propongono incontri di Lectio Divina, giornate di ritiro individuale o di revisione di vita, e possibilità di confronto sui problemi del mondo e della Chiesa. Le giornate sono ritmate dalla preghiera corale della comunità (Ora dell'ascolto, Lodi, Eucaristia e Vespri). L'ospitalità dei singoli o dei gruppi (anche autogestiti) è praticata durante tutto l'anno.]]>
San Pellegrino: iniziano i festeggiamenti per il millennio https://www.lavoce.it/san-pellegrino-iniziano-i-festeggiamenti-per-il-millennio/ Fri, 21 Nov 2003 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=3497 Correva l’anno 1004 quando, secondo quello che è stato tramandato di generazione in generazione, uno sconosciuto pellegrino, uno dei tanti che a quei tempi attraversavano mezza Europa a piedi per raggiungere le grandi mete del cristianesimo, bussò alle porte di quello che era un piccolo villaggio di contadini, poco distante dalla via Flaminia. Chiedeva solamente un posto dove passare la notte, ma la diffidenza era tanta: pochi anni prima le truppe dell’imperatore Ottone III avevano raso al suolo la città di Tadino e la zona era infestata da briganti. Nessuno, allora, accolse quel viandante che fu costretto a ripararsi sotto un ponte, nei pressi di un ruscello. Ma, durante la notte, un improvviso nubifragio fece gonfiare tutti i corsi d’acqua e quel povero viandante fu travolto, ucciso e sepolto da una colata di fango. Il mattino dopo, gli abitanti del villaggio – che si erano nel frattempo pentiti del loro atteggiamento – cercarono il vecchio e lo trovarono, ormai morto; ma il suo bastone era miracolosamente fiorito. Da quel miracolo, nacque il culto per il santo Pellegrino, il cui nome comune divenne proprio e diede poi il nome al piccolo villaggio. A distanza di mille anni, la piccola frazione di San Pellegrino celebra ancora quell’incontro. Lo fa ogni anno in occasione dell’alzata del Maggio, la festa popolare più antica di tutta l’Umbria; lo farà tanto più nel 2004 per festeggiare il millennio. L’occasione è di quelle grandi e, anche se il paese conta oramai solo poco più di un centinaio di abitanti, il programma dei festeggiamenti è davvero ambizioso e ha un budget di oltre 150.000 euro. Tanto, infatti, costerà l’ultimazione dei restauri alla chiesa parrocchiale, il cui interno presenta bellissimi affreschi risalenti al XIV e XV secolo. Parte sono opera di Matteo da Gualdo, come La Madonna in trono, e della sua scuola; parte sono di scuola marchigiana, come il bellissimo trittico di Girolamo di Giovanni da Camerino, e una stupenda Annunciazione, databile attorno al 1330. Alcuni affreschi, come La Madonna del latte, ed alcune altre raffigurazioni della Vergine risultano estremamente interessanti ed innovative. A questo si aggiungano varie preziose tele dipinte fra il XVII e il XVIII secolo. “La chiesa è un vero scrigno di opere d’arte” ci spiega don Luigi Merli, il parroco “poiché la chiesa era dipendente, tramite l’abbazia di Santa Maria di Sitria, dall’eremo camaldolese di Fonte Avellana” “La somma di denaro necessaria al restauro di parte degli affreschi” continua don Merli “deriva da un generoso contributo della Fondazione Cassa di risparmio di Perugia (25.000 euro) e della Curia (9.000 euro), ma anche da una generosa donazione di una coppia di sposi che ha interamente devoluto i regali di nozze (9.000 euro) alla parrocchia per finanziare i lavori. Il Comune di Gualdo Tadino ha offerto la sua cospicua parte, finanziando i lavori del restauro del Trittico con quasi 15.000 euro.” Altri 15.000 euro sono stati impiegati dalla parrocchia per il restauro delle tele. “Per arrivare a 150.000 euro la strada è lunga e rimangono ancora da restaurare molti degli affreschi proprio di Matteo da Gualdo” Il primo atto ufficiale dei festeggiamenti è il grande concerto previsto il prossimo 27 dicembre nella rinnovata chiesa parrocchiale, prima del quale verranno ufficialmente restituiti alla comunità gli affreschi quattrocenteschi oggetto di pazienti lavori restauro negli ultimi otto mesi, da parte della Ditta Coo.be.c di Spoleto. In programma, Le quattro stagioni di Antonio Vivaldi e la celeberrima Eine kleine Nachtmusik di Wolfgang Amadeus Mozart, eseguite da un’orchestra d’archi della Rai appositamente creata per l’occasione dal maestro Angelo Gubbini. Ma le iniziative non finiscono qui: costelleranno tutto il 2004, a sottolineare, oltre al lieto evento del millennio, anche quello, per certi aspetti miracoloso, del risveglio religioso e spirituale che ha segnato la piccola frazione gualdese in quest’ultimo periodo.

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In scena la vita di sant’Ubaldo secondo i giovani di Gubbio https://www.lavoce.it/in-scena-la-vita-di-santubaldo-secondo-i-giovani-di-gubbio/ Fri, 11 Apr 2003 00:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=3070 Applausi e consensi al Teatro Comunale per Ubaldo l’eterno miracolo!, commedia musicale di Carlo Nardelli e don Mirko Orsini, allestita, con il patrocinio del Comune di Gubbio dell’Ufficio di Pastorale Giovanile per il quale ha costituito un importante e significativo momento di impegno e di aggregazione, favorendo in maniera significativa il “lancio” e la penetrazione nel tessuto cittadino dell'”oratorio diocesano” avviato in estate presso il Palazzo Benveduti Massarelli.Tra attori, tecnici, sceneggiatori, musicisti ha coinvolto una infinità di giovani di ambo i sessi. Sono stati loro che hanno curato la stesura dei testi, delle canzoni, dei brani musicali; che hanno studiato, disegnato, realizzato scenografie e costumi, tenendo conto del ruolo decisivo che avrebbero giocato nel risultato complessivo. Mesi di prove e di duro lavoro, occasione preziosa, nel contempo, per conoscere da vicino ed in profondità la vita del Santo protettore. Mai come in questa occasione, sottolineano ancora oggi quanti hanno seguito più da vicino i lavori nel loro complesso, si era visto tanto entusiasmo e partecipazione. Sono state queste le premesse che hanno consentito al musical di registrare il tutto esaurito per ben cinque serate, coinvolgendo ed appassionando un pubblico eterogeneo che ha saputo apprezzare contenuti e “messaggio” dello spettacolo teatrale, sintesi ben riuscita della vita e delle opere del Patrono. Ubaldo è il protagonista assoluto del suo tempo, e non solo: combatte, perdona, aiuta la sua gente, sorride felice, soffre nel silenzio, corre tra le fiamme che bruciano la città, cade tra la polvere per placare gli odi, si rifugia disperato a Fonte Avellana, si inginocchia davanti a Papa Onorio, contempla attonito l’esercito che assedia la città, impugna la croce per il fatidico incontro con il Barbarossa che si apprestava a distruggere la città. Tutto ciò rende grande Ubaldo ed attuale ancora oggi il suo insegnamento.Un tema difficile e delicato trattato con semplicità, proprietà e padronanza. Intelligente la trovata delle “donne eugubine” che con il loro racconto legano i vari “quadri”, emozionante il finale con il corpo di Ubaldo che entra nella “luce”, lasciandosi dietro “tre ceri” ardenti. Un modo suggestivo per ricordare il legame inscindibile tra il Santo Vescovo e la più importante manifestazione folkloristico-tradizionale eugubina. G.B.Marco: sant’Ubaldo per un giornoEra tra i più emozionati e tesi, al momento di andare in scena sul palco del Teatro comunale di Gubbio. Anche perché su di lui si concentravano le attenzioni di tutti gli eugubini. Marco Ceccarelli, 21 anni, ha vestito i panni di Ubaldo Baldassini. Un ruolo inedito e impegnativo quello patrono e protettore della città dei Ceri. “Spesso si dice: ‘Sant’Ubaldo, aiutaci tu!’ – commenta Marco – ma non penso che tutti siano informati sulla vita del Santo, sui segni indelebili che ha lasciato a Gubbio. Noi ragazzi della Pastorale giovanile abbiamo fatto cinque serate di pienone al teatro: segnale molto positivo. Da un lato è il frutto sperato di un’attenta ricerca su chi era il nostro Patrono, che ci ha permesso di conoscerlo a fondo anche nella sua umanità, da un altro lato dimostra come ci sia stato un grande affiatamento tra di noi: è difficile costruire qualcosa di ‘vero’ su un solo palco, badando a 130 ragazzi!”. Come hai vissuto questo lavoro teatrale, molto diverso dagli altri musical allestiti dalla Pastorale giovanile diocesana?”Personalmente sono convinto che è stato un modo di fare catechesi sia agli altri che a noi stessi, nonostante fossi molto preoccupato alla prima, visto anche il poco tempo impiegato per costruire lo spettacolo da zero e rappresentare il tutto. E’ stata una gioia mista a responsabilità vestire i panni di un uomo deciso, forte e di gran fede come sant’Ubaldo”.Molto soddisfatto per i risultati si è dichiarato anche don Mirko Orsini, che insieme a Carlo Nardelli ha scritto e diretto il testo teatrale. “Sono contento sia dell’allestimento finale, sia del comportamento dei ragazzi che ci hanno lavorato – spiega il giovane sacerdote – perché hanno dimostrato grande impegno e forza di volontà. Un lavoro complesso sia per lo spettacolo teatrale in sé, sia per le scenografie, i costumi, le musiche. La vita di Sant’Ubaldo, poi, era una proposta un po’ difficile, come esperienza non sempre felice, ma spesso anche sofferta e travagliata. Ma i ragazzi hanno risposto bene anche al messaggio che veniva proposto”.

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