fede Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/fede/ Settimanale di informazione regionale Mon, 24 Jun 2024 09:29:04 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg fede Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/fede/ 32 32 Dignitas infinita parla alle coscienze e agli Stati https://www.lavoce.it/dignitas-infinita-parla-coscienze-stati/ https://www.lavoce.it/dignitas-infinita-parla-coscienze-stati/#respond Thu, 11 Apr 2024 15:23:11 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75606

La dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della Fede, sulla dignità della persona umana, è un documento denso e complesso, per il numero e per la varietà dei temi trattati; ma anche perché, a seconda dell’argomento, sono diversi (almeno in senso relativo) i destinatari. In linea di principio, tutto il discorso si rivolge alle coscienze individuali, come è naturale quando si toccano problemi morali.

Ma è chiaro che quando si denunciano, come altrettante violazioni della dignità della persona, fenomeni come le condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, le condizioni di lavoro ignominiose, e ancora la guerra, la pena di morte, il travaglio dei migranti, il discorso si rivolge a chi fa le scelte politiche, a chi governa, a chi scrive le leggi, in una parola a chi esercita il potere.

Altri temi, invece, come la violenza sulle donne e gli abusi sessuali, chiamano più direttamente in causa i comportamenti individuali e le coscienze dei singoli, anche se pure questi vanno affrontati a livello di legislazione e di governo, se non altro per proteggere i soggetti più deboli. In un caso e nell’altro il giudizio morale ispirato alla dottrina cristiana e quello dello Stato laico tendono a coincidere. Ma c’è un terzo gruppo di temi, rispetto ai quali – secondo me - la legge dello Stato non sempre può coincidere con il giudizio della morale cristiana.

Certi divieti, come quello di fare ricorso al suicidio assistito, possono essere inderogabili dal punto di vista cristiano, ma non possono essere imposti per legge, salvi i criteri severamente restrittivi dettati dalla Corte costituzionale; lo stesso si può dire a proposito del cambiamento di sesso e della maternità surrogata.

Anche perché in tutti questi casi, leggi permissive (spesso anche troppo) sono già in vigore in gran parte del mondo e quindi i divieti imposti in un singolo Paese possono essere facilmente aggirati creando alla fine ulteriori problemi. Su questa divaricazione (limitata, si capisce, a situazioni particolari) fra la morale della Chiesa e la logica dello Stato laico ho scritto più volte e tornerò a farlo, convinto tuttavia che fra le due visioni non vi sia contrasto, ma solo una necessaria complementarità.

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La dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della Fede, sulla dignità della persona umana, è un documento denso e complesso, per il numero e per la varietà dei temi trattati; ma anche perché, a seconda dell’argomento, sono diversi (almeno in senso relativo) i destinatari. In linea di principio, tutto il discorso si rivolge alle coscienze individuali, come è naturale quando si toccano problemi morali.

Ma è chiaro che quando si denunciano, come altrettante violazioni della dignità della persona, fenomeni come le condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, le condizioni di lavoro ignominiose, e ancora la guerra, la pena di morte, il travaglio dei migranti, il discorso si rivolge a chi fa le scelte politiche, a chi governa, a chi scrive le leggi, in una parola a chi esercita il potere.

Altri temi, invece, come la violenza sulle donne e gli abusi sessuali, chiamano più direttamente in causa i comportamenti individuali e le coscienze dei singoli, anche se pure questi vanno affrontati a livello di legislazione e di governo, se non altro per proteggere i soggetti più deboli. In un caso e nell’altro il giudizio morale ispirato alla dottrina cristiana e quello dello Stato laico tendono a coincidere. Ma c’è un terzo gruppo di temi, rispetto ai quali – secondo me - la legge dello Stato non sempre può coincidere con il giudizio della morale cristiana.

Certi divieti, come quello di fare ricorso al suicidio assistito, possono essere inderogabili dal punto di vista cristiano, ma non possono essere imposti per legge, salvi i criteri severamente restrittivi dettati dalla Corte costituzionale; lo stesso si può dire a proposito del cambiamento di sesso e della maternità surrogata.

Anche perché in tutti questi casi, leggi permissive (spesso anche troppo) sono già in vigore in gran parte del mondo e quindi i divieti imposti in un singolo Paese possono essere facilmente aggirati creando alla fine ulteriori problemi. Su questa divaricazione (limitata, si capisce, a situazioni particolari) fra la morale della Chiesa e la logica dello Stato laico ho scritto più volte e tornerò a farlo, convinto tuttavia che fra le due visioni non vi sia contrasto, ma solo una necessaria complementarità.

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Chiese, segno di una fede che non c’è più https://www.lavoce.it/chiese-segno-di-una-fede-che-non-ce-piu/ https://www.lavoce.it/chiese-segno-di-una-fede-che-non-ce-piu/#respond Fri, 26 Jan 2024 16:37:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=74703

Per una sera, ha riaperto i battenti la ex chiesa di San Francesco al Prato, a Perugia, ora trasformata in sala da concerti (ma pare che non sia ancora pronta del tutto). San Francesco al Prato è stata per secoli, un frequentato luogo di preghiera; san Bernardino da Siena vi teneva le sue prediche, anche all’aperto sul prato, dove poi è stato eretto lo splendido oratorio a lui dedicato.

È stata anche il sacrario delle grandi famiglie perugine, che vi avevano le proprie cappelle gentilizie, come i Baglioni che per la loro chiesero a Raffaello di dipingere la celebre Deposizione, ora al museo Borghese di Roma. Trasformazioni analoghe anche in museo - hanno toccato altre chiese chiuse al culto, in diverse città grandi e piccole dell’Umbria; altre ancora, specie nelle campagne, sono semplicemente abbandonate o in rovina.

Nella mia città natale sono chiuse, o comunque deserte, chiese che da ragazzo vedevo animate dai fedeli ogni giorno dell’anno, e addirittura gremite nelle maggiori festività. Ci si può consolare pensando che qualcuno adesso segue i riti sacri in televisione, ma non ci si deve illudere: la pratica religiosa è costantemente in ribasso, e se è vero che ci sono credenti non praticanti, c’è il sospetto che ci siano anche praticanti non credenti (nel senso di persone che ogni tanto prendono parte a una funzione religiosa, per abitudine o per tradizione, ma in realtà non credono).

Quasi tutti continuano a festeggiare certe ricorrenze, come il Natale e la Pasqua, ma dimenticandone il significato religioso originario. In Italia non esiste una rilevazione statistica ufficiale dei non credenti; ma in altri Paesi sì, come in Germania, Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Svizzera, e in questi la percentuale di quelli che si dichiarano non religiosi/atei varia fra il 40 e il 25%. In Olanda tocca il 57%.

Sono tutti casi di Paesi di antica tradizione cristiana, dove la religiosità tradizionale è in declino e non viene sostituita da alcuna altra religione. Dunque la crisi della religiosità riguarda essenzialmente il Cristianesimo? Il vero nemico della religiosità, nel nostro mondo, è il consumismo; l’illusione che l’abbondanza dei beni materiali (fino a che dura) risponda a tutte le domande e che perciò non vi sia bisogno di cercare altre risposte (quelle vere) nel Trascendente. I nostri occhi non sanno più vedere oltre.

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Per una sera, ha riaperto i battenti la ex chiesa di San Francesco al Prato, a Perugia, ora trasformata in sala da concerti (ma pare che non sia ancora pronta del tutto). San Francesco al Prato è stata per secoli, un frequentato luogo di preghiera; san Bernardino da Siena vi teneva le sue prediche, anche all’aperto sul prato, dove poi è stato eretto lo splendido oratorio a lui dedicato.

È stata anche il sacrario delle grandi famiglie perugine, che vi avevano le proprie cappelle gentilizie, come i Baglioni che per la loro chiesero a Raffaello di dipingere la celebre Deposizione, ora al museo Borghese di Roma. Trasformazioni analoghe anche in museo - hanno toccato altre chiese chiuse al culto, in diverse città grandi e piccole dell’Umbria; altre ancora, specie nelle campagne, sono semplicemente abbandonate o in rovina.

Nella mia città natale sono chiuse, o comunque deserte, chiese che da ragazzo vedevo animate dai fedeli ogni giorno dell’anno, e addirittura gremite nelle maggiori festività. Ci si può consolare pensando che qualcuno adesso segue i riti sacri in televisione, ma non ci si deve illudere: la pratica religiosa è costantemente in ribasso, e se è vero che ci sono credenti non praticanti, c’è il sospetto che ci siano anche praticanti non credenti (nel senso di persone che ogni tanto prendono parte a una funzione religiosa, per abitudine o per tradizione, ma in realtà non credono).

Quasi tutti continuano a festeggiare certe ricorrenze, come il Natale e la Pasqua, ma dimenticandone il significato religioso originario. In Italia non esiste una rilevazione statistica ufficiale dei non credenti; ma in altri Paesi sì, come in Germania, Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Svizzera, e in questi la percentuale di quelli che si dichiarano non religiosi/atei varia fra il 40 e il 25%. In Olanda tocca il 57%.

Sono tutti casi di Paesi di antica tradizione cristiana, dove la religiosità tradizionale è in declino e non viene sostituita da alcuna altra religione. Dunque la crisi della religiosità riguarda essenzialmente il Cristianesimo? Il vero nemico della religiosità, nel nostro mondo, è il consumismo; l’illusione che l’abbondanza dei beni materiali (fino a che dura) risponda a tutte le domande e che perciò non vi sia bisogno di cercare altre risposte (quelle vere) nel Trascendente. I nostri occhi non sanno più vedere oltre.

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L’Umbria vede ancora un calo di praticanti. Che fare? https://www.lavoce.it/lumbria-vede-ancora-un-calo-di-praticanti-che-fare/ Thu, 15 Apr 2021 17:26:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60178

La secolarizzazione e l’indifferentismo religioso non sono realtà nuove nella dimensione di fede occidentale, e a confermarlo ora sono i dati Istat 2019 sulla pratica religiosa in Italia. L’analisi sociologica mostra una nazione che attraversa un processo di secolarizzazione, in linea con tutto l’Occidente; e l’Umbria - terra che nel corso della storia ha donato i natali a diversi santi - si ritrova tra le Regioni connotate dal calo di fedeli. Anche se i dati Istat riguardano le diverse confessioni religiose presenti in Italia, ci si potrebbe comunque chiedere: cosa può fare la Chiesa per invertire il processo?

Chiese sempre più vuote. Che fare?

A tal proposito è interessante la lettura che Pier Giorgio Gawronski offre della Chiesa di Gerusalemme (At 2,42-47), pubblicata sull’Osservatore Romano il 22 febbraio. Per Gawronski la prima comunità cristiana “perseverava in quattro cose: la trasmissione del messaggio di Cristo; l’unione fraterna, stare, mangiare insieme; condividere i beni materiali ‘secondo il bisogno di ciascuno’; l’eucaristia, frequentare insieme il tempio”. Proprio a partire da questi quattro cardini della Chiesa gerosolimitana si possono trovare alcuni antidoti al fenomeno della secolarizzazione.

Trasmettere il messaggio di Cristo…

Anzitutto, afferma Gawronski, “la pratica religiosa delle Chiese moderne è incentrata sulla liturgia domenicale, che privilegia fortemente il primo punto, la trasmissione del messaggio di Cristo.

… coltivare la relazione umana

Ma già quando si passa al secondo, si nota una profonda divaricazione: nella pratica religiosa moderna manca la relazione umana. I membri della prima Chiesa cristiana socializzavano, erano amici, o stavano dentro a un meccanismo che favoriva l’amicizia a priori”. Perciò, il recupero della dimensione amicale tra appartenenti della stessa comunità può essere annoverato tra questi antidoti.

…la condivisione dei beni…

Antidoto, come lo è la condivisione dei beni, terzo cardine della Chiesa di Atti: “Le relazioni umane e spirituali fra i primi cristiani rendevano più naturale la risposta al bisogno anche materiale dell’altro: la condivisione non era un obbligo ma un atto d’amore. E come dice san Paolo, puoi fare qualsiasi cosa, ma se non lo fai per amore non vale niente (e spesso fai bene a non farla). Al contrario, la carità oggi è diventata anch’essa una transazione anonima poco attraente”.

… la preghiera comune …

Infine, si legge nel contributo, in riferimento al quarto punto (pregare insieme) c’è “la sensazione che i fedeli domenicali preghino da soli; che, pur partecipando insieme alla messa, pur recitando le stesse preghiere nello stesso momento, si sentano fondamentalmente soli. Anche l’eucaristia, pur chiamandosi ‘comunione’, è purtroppo spesso vissuta come un accesso individuale alla grazia, con la presenza più o meno casuale di altri che, simultaneamente ma per conto proprio, ricevono il medesimo sacramento”.

…per uscire dall'individualismo

Gawronski allora conclude: “Stando così le cose, la migliore risposta alla secolarizzazione non è né inseguire né respingere la modernità, bensì di reagire all’individualismo, all’atomizzazione, all’evanescenza delle relazioni nelle Chiese. La vita non può essere tenuta al margine della Chiesa, solo commentata, giudicata, o perdonata dal clero. I cristiani hanno bisogno di esplorare, riflettere, e parlare fra loro del loro essere cristiani”.

I DATI - Vent’anni fa andava in chiesa un umbro su tre. Ora, uno su cinque.

I dati Istat 2019 sulla pratica religiosa in Italia, rielaborati nel rapporto “Mediacom043” curato dall’agenzia di Big Data Mediacom diretta da Giuseppe Castellini, mostrano una diminuzione della pratica religiosa in Umbria. Nel 2019 si riscontra un lieve incremento dei fedeli assidui (i dati si riferiscono a tutte le confessioni religiose presenti nel territorio nazionale), dopo che nel 2018 il numero dei non praticanti aveva superato quello dei praticanti. L’agenzia afferma che nel 2019 “il numero delle persone da 6 anni in su che frequentano un luogo di culto almeno una volta a settimana in Italia è cresciuto per la prima volta dal 2001, da quando cioè l’Istat monitora annualmente il fenomeno attraverso l’indagine campionaria, passando dai 14,264 milioni del 2018 a 14,354 milioni del 2019 (+ 90 mila, +0,6%)”. Quindi, si continua a leggere nel rapporto, “la percentuale di persone da 6 anni e più che frequentano un luogo di culto almeno una vola a settimana è passato - sul totale di questa fascia d’età - dal 24,9% del 2018 al 25,1% del 2019”. Al contempo, tuttavia, se gli assidui sono aumentati del +0,6%, anche il numero di coloro che non frequentano mai un luogo di culto cresce: 760 mila persone in più rispetto al 2018, cioè 15,43 milioni di unità (+5,2%) nel 2019. Dato, quest’ultimo, che segue l’andamento già osservato dal 2001 al 2018: “Il numero dei non praticanti è cresciuto da 8,51 ad appunto 15,43 milioni, con un incremento dell’81,4%, pari a oltre 6,9milioni di persone in più” (Mediacom043). Le Regioni interessate dall’aumento dei praticanti assidui sono: Valle d’Aosta, Campania, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Molise e Puglia; mentre nelle restanti Regioni, tra cui la nostra, il numero decresce ulteriormente. L’Umbria, si legge nel rapporto, “continua (insieme ad altre 12 Regioni) anche nel 2019 a mostrare un calo (-5,1% rispetto al 2018, pari a -9 mila persone a fronte del +0,6% dell’Italia), con la flessione 2001-2019 che si allarga a -27,6% (-64mila praticanti assidui), più del -26,3% del dato nazionale”. Questa diminuzione nella nostra Regione segue la direzione del quasi ventennio 2001 - 2019: “Il tasso di praticanti attivi sul totale della popolazione da 6 anni in su in Umbria è sceso dal 29,7% al 20% (-9,7 punti percentuali). In pratica, oggi è praticante assiduo un umbro su cinque, rispetto a quasi uno su tre nel 2001 (il dato nazionale è del 25,1%, mentre l’Umbria è sostanzialmente in linea con il Centro, attestato al 20,4%). Tra le regioni della circoscrizione centrale, è la Toscana a presentare la minore percentuale di praticanti (17%, tre punti sotto l’Umbria), mentre Marche (28,1% di praticanti assidui) e Lazio (20,7%) presentano valori superiori a quello umbro” (Mediacom043).
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La secolarizzazione e l’indifferentismo religioso non sono realtà nuove nella dimensione di fede occidentale, e a confermarlo ora sono i dati Istat 2019 sulla pratica religiosa in Italia. L’analisi sociologica mostra una nazione che attraversa un processo di secolarizzazione, in linea con tutto l’Occidente; e l’Umbria - terra che nel corso della storia ha donato i natali a diversi santi - si ritrova tra le Regioni connotate dal calo di fedeli. Anche se i dati Istat riguardano le diverse confessioni religiose presenti in Italia, ci si potrebbe comunque chiedere: cosa può fare la Chiesa per invertire il processo?

Chiese sempre più vuote. Che fare?

A tal proposito è interessante la lettura che Pier Giorgio Gawronski offre della Chiesa di Gerusalemme (At 2,42-47), pubblicata sull’Osservatore Romano il 22 febbraio. Per Gawronski la prima comunità cristiana “perseverava in quattro cose: la trasmissione del messaggio di Cristo; l’unione fraterna, stare, mangiare insieme; condividere i beni materiali ‘secondo il bisogno di ciascuno’; l’eucaristia, frequentare insieme il tempio”. Proprio a partire da questi quattro cardini della Chiesa gerosolimitana si possono trovare alcuni antidoti al fenomeno della secolarizzazione.

Trasmettere il messaggio di Cristo…

Anzitutto, afferma Gawronski, “la pratica religiosa delle Chiese moderne è incentrata sulla liturgia domenicale, che privilegia fortemente il primo punto, la trasmissione del messaggio di Cristo.

… coltivare la relazione umana

Ma già quando si passa al secondo, si nota una profonda divaricazione: nella pratica religiosa moderna manca la relazione umana. I membri della prima Chiesa cristiana socializzavano, erano amici, o stavano dentro a un meccanismo che favoriva l’amicizia a priori”. Perciò, il recupero della dimensione amicale tra appartenenti della stessa comunità può essere annoverato tra questi antidoti.

…la condivisione dei beni…

Antidoto, come lo è la condivisione dei beni, terzo cardine della Chiesa di Atti: “Le relazioni umane e spirituali fra i primi cristiani rendevano più naturale la risposta al bisogno anche materiale dell’altro: la condivisione non era un obbligo ma un atto d’amore. E come dice san Paolo, puoi fare qualsiasi cosa, ma se non lo fai per amore non vale niente (e spesso fai bene a non farla). Al contrario, la carità oggi è diventata anch’essa una transazione anonima poco attraente”.

… la preghiera comune …

Infine, si legge nel contributo, in riferimento al quarto punto (pregare insieme) c’è “la sensazione che i fedeli domenicali preghino da soli; che, pur partecipando insieme alla messa, pur recitando le stesse preghiere nello stesso momento, si sentano fondamentalmente soli. Anche l’eucaristia, pur chiamandosi ‘comunione’, è purtroppo spesso vissuta come un accesso individuale alla grazia, con la presenza più o meno casuale di altri che, simultaneamente ma per conto proprio, ricevono il medesimo sacramento”.

…per uscire dall'individualismo

Gawronski allora conclude: “Stando così le cose, la migliore risposta alla secolarizzazione non è né inseguire né respingere la modernità, bensì di reagire all’individualismo, all’atomizzazione, all’evanescenza delle relazioni nelle Chiese. La vita non può essere tenuta al margine della Chiesa, solo commentata, giudicata, o perdonata dal clero. I cristiani hanno bisogno di esplorare, riflettere, e parlare fra loro del loro essere cristiani”.

I DATI - Vent’anni fa andava in chiesa un umbro su tre. Ora, uno su cinque.

I dati Istat 2019 sulla pratica religiosa in Italia, rielaborati nel rapporto “Mediacom043” curato dall’agenzia di Big Data Mediacom diretta da Giuseppe Castellini, mostrano una diminuzione della pratica religiosa in Umbria. Nel 2019 si riscontra un lieve incremento dei fedeli assidui (i dati si riferiscono a tutte le confessioni religiose presenti nel territorio nazionale), dopo che nel 2018 il numero dei non praticanti aveva superato quello dei praticanti. L’agenzia afferma che nel 2019 “il numero delle persone da 6 anni in su che frequentano un luogo di culto almeno una volta a settimana in Italia è cresciuto per la prima volta dal 2001, da quando cioè l’Istat monitora annualmente il fenomeno attraverso l’indagine campionaria, passando dai 14,264 milioni del 2018 a 14,354 milioni del 2019 (+ 90 mila, +0,6%)”. Quindi, si continua a leggere nel rapporto, “la percentuale di persone da 6 anni e più che frequentano un luogo di culto almeno una vola a settimana è passato - sul totale di questa fascia d’età - dal 24,9% del 2018 al 25,1% del 2019”. Al contempo, tuttavia, se gli assidui sono aumentati del +0,6%, anche il numero di coloro che non frequentano mai un luogo di culto cresce: 760 mila persone in più rispetto al 2018, cioè 15,43 milioni di unità (+5,2%) nel 2019. Dato, quest’ultimo, che segue l’andamento già osservato dal 2001 al 2018: “Il numero dei non praticanti è cresciuto da 8,51 ad appunto 15,43 milioni, con un incremento dell’81,4%, pari a oltre 6,9milioni di persone in più” (Mediacom043). Le Regioni interessate dall’aumento dei praticanti assidui sono: Valle d’Aosta, Campania, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Molise e Puglia; mentre nelle restanti Regioni, tra cui la nostra, il numero decresce ulteriormente. L’Umbria, si legge nel rapporto, “continua (insieme ad altre 12 Regioni) anche nel 2019 a mostrare un calo (-5,1% rispetto al 2018, pari a -9 mila persone a fronte del +0,6% dell’Italia), con la flessione 2001-2019 che si allarga a -27,6% (-64mila praticanti assidui), più del -26,3% del dato nazionale”. Questa diminuzione nella nostra Regione segue la direzione del quasi ventennio 2001 - 2019: “Il tasso di praticanti attivi sul totale della popolazione da 6 anni in su in Umbria è sceso dal 29,7% al 20% (-9,7 punti percentuali). In pratica, oggi è praticante assiduo un umbro su cinque, rispetto a quasi uno su tre nel 2001 (il dato nazionale è del 25,1%, mentre l’Umbria è sostanzialmente in linea con il Centro, attestato al 20,4%). Tra le regioni della circoscrizione centrale, è la Toscana a presentare la minore percentuale di praticanti (17%, tre punti sotto l’Umbria), mentre Marche (28,1% di praticanti assidui) e Lazio (20,7%) presentano valori superiori a quello umbro” (Mediacom043).
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In questo numero: giovani in primo piano https://www.lavoce.it/in-questo-numero-giovani-in-primo-piano/ Thu, 15 Apr 2021 16:56:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60170

Questa settimana su La Voce (Leggi tutto nell'edizione digitale)

l’editoriale

Adolescenti, quei ragazzi nel limbo del Neet

Li chiamano Neet, un acronimo che sta per Not in Education, Employment or Training. Sono quei giovani che non studiano, non lavorano e non fanno formazione. Una schiera nutrita e in forte crescita, così dicono i dati Istat 2020, soprattutto dopo la brusca frenata che il Covid19 ha inferto all’economia mondiale. Il tasso di disoccupazione giovanile, infatti, nell’ultimo trimestre 2020 ha sfiorato il 30%, posizionando l’Italia tra gli ultimi Paesi in classifica nell’area euro. …

Focus

Fedeli in calo

di Francesco Verzini La secolarizzazione e l’indifferentismo religioso non sono realtà nuove nella dimensione di fede occidentale, e a confermarlo ora sono i dati Istat 2019 sulla pratica religiosa in Italia. L’analisi sociologica mostra una nazione che attraversa un processo di secolarizzazione, e l’Umbria - terra che nel corso della storia ha donato i natali a diversi santi - si ritrova tra le Regioni connotate dal calo di fedeli. …

Inuit insegnano

di Tonio Dell’Olio Nel giorni scorsi gli Inuit che abitano il territorio della Groelandia sono stati chiamati alle urne per scegliere il Governo che guiderà le scelte politiche di quelle terre. Il partito Inuiti Ataqatigiit, che finora aveva avuto un ruolo...

Nel giornale

Gioventù bruciata? Per favore no!

La riapertura delle scuole di ogni grado, sebbene non sempre in presenza al 100%, arriva dopo lunghi mesi di isolamento per le nuove generazioni. Non è solo questione della difficoltà a tenere alto il livello dell’insegnamento con la Didattica a distanza. Ancora di più, la carenza di vita sociale e relazioni sta avendo effetti ormai devastanti a livello comportamentale - se non psichico - su tanti giovani. Lo dimostrano i dati messi a disposizione da osservatori sia nazionali sia regionali. Voci di psicologhe confermano la tendenza in atto, e rilanciano l’allarme, anche perché il disagio non svanirà nel nulla in un istante. Diventa indispensabile la collaborazione tra tutti, scuola e famiglia.

Vaccinazione anti-covid

Prosegue con decisione anche in Umbria la campagna di vaccinazione, con le nuove regole “contro i furbetti”. Restano comunque da risolvere una serie di fattori critici, dalla protesta dei ristoratori ad alcune ambivalenze nell’azione della Regione

Rsa e tariffe

Sotto enorme pressione anche economica, causa pandemia, le residenze per anziani chiedono di ridiscutere i tariffari

Disabilità

Apre a Trevi l’unico sportello Anffas in Umbria dedicato a fornire soluzioni integrate alle famiglie con figli affetti da forme di disabilità. Lo si può contattare da tutto il territorio regionale. Si mettono a disposizione un’assistente sociale, un educatore e uno psicologo
 
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Questa settimana su La Voce (Leggi tutto nell'edizione digitale)

l’editoriale

Adolescenti, quei ragazzi nel limbo del Neet

Li chiamano Neet, un acronimo che sta per Not in Education, Employment or Training. Sono quei giovani che non studiano, non lavorano e non fanno formazione. Una schiera nutrita e in forte crescita, così dicono i dati Istat 2020, soprattutto dopo la brusca frenata che il Covid19 ha inferto all’economia mondiale. Il tasso di disoccupazione giovanile, infatti, nell’ultimo trimestre 2020 ha sfiorato il 30%, posizionando l’Italia tra gli ultimi Paesi in classifica nell’area euro. …

Focus

Fedeli in calo

di Francesco Verzini La secolarizzazione e l’indifferentismo religioso non sono realtà nuove nella dimensione di fede occidentale, e a confermarlo ora sono i dati Istat 2019 sulla pratica religiosa in Italia. L’analisi sociologica mostra una nazione che attraversa un processo di secolarizzazione, e l’Umbria - terra che nel corso della storia ha donato i natali a diversi santi - si ritrova tra le Regioni connotate dal calo di fedeli. …

Inuit insegnano

di Tonio Dell’Olio Nel giorni scorsi gli Inuit che abitano il territorio della Groelandia sono stati chiamati alle urne per scegliere il Governo che guiderà le scelte politiche di quelle terre. Il partito Inuiti Ataqatigiit, che finora aveva avuto un ruolo...

Nel giornale

Gioventù bruciata? Per favore no!

La riapertura delle scuole di ogni grado, sebbene non sempre in presenza al 100%, arriva dopo lunghi mesi di isolamento per le nuove generazioni. Non è solo questione della difficoltà a tenere alto il livello dell’insegnamento con la Didattica a distanza. Ancora di più, la carenza di vita sociale e relazioni sta avendo effetti ormai devastanti a livello comportamentale - se non psichico - su tanti giovani. Lo dimostrano i dati messi a disposizione da osservatori sia nazionali sia regionali. Voci di psicologhe confermano la tendenza in atto, e rilanciano l’allarme, anche perché il disagio non svanirà nel nulla in un istante. Diventa indispensabile la collaborazione tra tutti, scuola e famiglia.

Vaccinazione anti-covid

Prosegue con decisione anche in Umbria la campagna di vaccinazione, con le nuove regole “contro i furbetti”. Restano comunque da risolvere una serie di fattori critici, dalla protesta dei ristoratori ad alcune ambivalenze nell’azione della Regione

Rsa e tariffe

Sotto enorme pressione anche economica, causa pandemia, le residenze per anziani chiedono di ridiscutere i tariffari

Disabilità

Apre a Trevi l’unico sportello Anffas in Umbria dedicato a fornire soluzioni integrate alle famiglie con figli affetti da forme di disabilità. Lo si può contattare da tutto il territorio regionale. Si mettono a disposizione un’assistente sociale, un educatore e uno psicologo
 
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Beatificazione Acutis. Beatrice Fazi conduce la trasmissione del 2 ottobre. La sua vita, la riscoperta della fede https://www.lavoce.it/beatificazione-acutis-beatrice-fazi-conduce-la-trasmissione-del-2-ottobre-la-sua-vita-la-riscoperta-della-fede/ Thu, 01 Oct 2020 16:46:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57838

Beatrice Fazi, attrice, conduttrice, nota al grande pubblico per avere impersonato la Melina della fiction Rai Un medico in famiglia e da anni sugli schermi di Tv2000 con vari programmi, sarà la presentatrice dell’evento Beato te: a scuola di felicità con Carlo Acutis. Credente, sposata e mamma di quattro figli dai 5 ai 18 anni, oltre che fare l’attrice è impegnata a testimoniare la sua esperienza di conversione avvenuta anni fa. L’abbiamo raggiunta al telefono appena rientrata a Roma da Lamezia Terme dove, durante una veglia nella chiesa di San Raffaele, aveva raccontato il suo percorso di rinascita nella fede. Nata da una famiglia cattolica – racconta –, al tempo in cui era appena un’adolescente, i genitori si separano. Un dolore grande, che le fece mettere in discussione il senso del suo essere al mondo. Delusa dai genitori, inizia a cercare altrove quell’amore e quelle attenzioni che non sentiva più rivolte nei suoi confronti.

Attrice di successo, lontana dalla Chiesa

Si allontana dalla Chiesa, tutta rivolta al raggiungimento del suo obiettivo, quello di diventare un’attrice. In breve tempo raggiunge il successo, ma a vent’anni, dopo una relazione con un uomo parecchio più grande di lei, scopre di essere incinta. Lui non ne vuole sapere, lei si sente sola e sceglie di abortire. “Da quel momento si è aperta in me una profonda ferita - ricorda -, un vuoto, una sorta di buco nero che mi inghiottiva, piena di sensi di colpa. Una sera sono entrata in chiesa per caso e davanti all’eucarestia esposta ho iniziato a piangere. Quando ero incinta della mia prima figlia, avuta dal mio compagno, oggi mio marito, fui invitata da un’amica alla catechesi dei dieci comandamenti con don Fabio Rosini, e durante la confessione aprii il mio cuore all’amore di Dio”. Oggi Beatrice, grazie alla fede e alla sua famiglia, è riuscita a perdonarsi. La sua storia è raccolta nel libro Un cuore nuovo, edito da Piemme. Nei giorni scorsi Beatrice Fazi è stata ad Assisi per registrare l’intervista alla mamma di Carlo Acutis, Antonia Salzano, che sarà trasmessa nel corso dell’evento del 2 ottobre.

Ad Assisi per parlare del giovane Carlo Acutis

Perché la scelta di partecipare alla serata? “Conoscevo la storia di Carlo e mi sentivo attratta. Attaccato al mio frigorifero avevo un dépliant, realizzato dall’associazione degli Amici di Carlo Acutis, nel quale si parlava della sua vita, del suo attaccamento all’eucarestia, molto importante anche nella mia conversione, e spesso mi rivolgevo a lui nei momenti di difficoltà. Lo invocavo in aiuto per i miei figli, chiedendo di essere una mamma migliore per loro. Quando Mauro Labellarte, titolare della società Labilia srl che cura la regia dell’evento online, mi ha fatto la proposta, l’ho visto come un dono, mi sono sentita scelta da Carlo per questa avventura. È stata come una carezza per me, un avvicinarsi alla mia vita quasi come un aiuto. Carlo era un ragazzo pieno di vita, allegro, facilmente lo si incontrava in sella alla sua bicicletta per incontrare i vicini del quartiere, aiutava i più bisognosi. Un giovane che ha saputo vivere la sua breve vita intensamente”. Un grande dono, sottolinea, è stato anche conoscere la sua mamma, “una donna normale, ma straordinaria nel riconoscere i suoi limiti nell’essere stata la mamma di Carlo. Ciò che mi ha colpito di più nel racconto della mamma è stato quando ha ricordato come fosse più volte rimasta stupita del figlio che, invece di uscire e andare al parco, voleva andare in chiesa. Già a tre anni chiedeva alla nonna di andare al parco per raccogliere i fiori per la Madonna e portarli in chiesa. Oppure quando ha profetizzato alla mamma una gravidanza dopo la morte di lui: oggi la signora ha due gemelli di dieci anni”.

Lavoro … e fede

Come conciliare il mestiere di attrice, sempre in giro nei teatri d’Italia, con un percorso di fede e di crescita spirituale? “C’è sicuramente una costanza da dover seguire, soprattutto se si sceglie un percorso di catechesi. Riconosco che è difficile aderire completamente al messaggio evangelico se la vita in qualche modo cerca di distrarti con i suoi idoli. Un po’ di combattimento c’è sempre, anche perché sei distratta da quello che il mondo ti propone come felicità immediata, facendoti credere che seguire la Chiesa comporti dei grandi sacrifici. Quando poi fai i tuoi piccoli passi alla sequela di Cristo, ti rendi invece conto che ‘a nulla vale guadagnare il mondo intero, se perdi la tua anima’, come dice la Scrittura. Quello che ti sembra una rinuncia porta tanti frutti di gioia piena, di comunione con le persone, di perdono, di pazienza. È un percorso che ti dicono sia difficile, ma è molto più liberatorio obbedire alla Chiesa piuttosto che pensare di esercitare la propria libertà ribellandoti ai Comandamenti, che sono davvero le istruzioni per una vita felice”.]]>

Beatrice Fazi, attrice, conduttrice, nota al grande pubblico per avere impersonato la Melina della fiction Rai Un medico in famiglia e da anni sugli schermi di Tv2000 con vari programmi, sarà la presentatrice dell’evento Beato te: a scuola di felicità con Carlo Acutis. Credente, sposata e mamma di quattro figli dai 5 ai 18 anni, oltre che fare l’attrice è impegnata a testimoniare la sua esperienza di conversione avvenuta anni fa. L’abbiamo raggiunta al telefono appena rientrata a Roma da Lamezia Terme dove, durante una veglia nella chiesa di San Raffaele, aveva raccontato il suo percorso di rinascita nella fede. Nata da una famiglia cattolica – racconta –, al tempo in cui era appena un’adolescente, i genitori si separano. Un dolore grande, che le fece mettere in discussione il senso del suo essere al mondo. Delusa dai genitori, inizia a cercare altrove quell’amore e quelle attenzioni che non sentiva più rivolte nei suoi confronti.

Attrice di successo, lontana dalla Chiesa

Si allontana dalla Chiesa, tutta rivolta al raggiungimento del suo obiettivo, quello di diventare un’attrice. In breve tempo raggiunge il successo, ma a vent’anni, dopo una relazione con un uomo parecchio più grande di lei, scopre di essere incinta. Lui non ne vuole sapere, lei si sente sola e sceglie di abortire. “Da quel momento si è aperta in me una profonda ferita - ricorda -, un vuoto, una sorta di buco nero che mi inghiottiva, piena di sensi di colpa. Una sera sono entrata in chiesa per caso e davanti all’eucarestia esposta ho iniziato a piangere. Quando ero incinta della mia prima figlia, avuta dal mio compagno, oggi mio marito, fui invitata da un’amica alla catechesi dei dieci comandamenti con don Fabio Rosini, e durante la confessione aprii il mio cuore all’amore di Dio”. Oggi Beatrice, grazie alla fede e alla sua famiglia, è riuscita a perdonarsi. La sua storia è raccolta nel libro Un cuore nuovo, edito da Piemme. Nei giorni scorsi Beatrice Fazi è stata ad Assisi per registrare l’intervista alla mamma di Carlo Acutis, Antonia Salzano, che sarà trasmessa nel corso dell’evento del 2 ottobre.

Ad Assisi per parlare del giovane Carlo Acutis

Perché la scelta di partecipare alla serata? “Conoscevo la storia di Carlo e mi sentivo attratta. Attaccato al mio frigorifero avevo un dépliant, realizzato dall’associazione degli Amici di Carlo Acutis, nel quale si parlava della sua vita, del suo attaccamento all’eucarestia, molto importante anche nella mia conversione, e spesso mi rivolgevo a lui nei momenti di difficoltà. Lo invocavo in aiuto per i miei figli, chiedendo di essere una mamma migliore per loro. Quando Mauro Labellarte, titolare della società Labilia srl che cura la regia dell’evento online, mi ha fatto la proposta, l’ho visto come un dono, mi sono sentita scelta da Carlo per questa avventura. È stata come una carezza per me, un avvicinarsi alla mia vita quasi come un aiuto. Carlo era un ragazzo pieno di vita, allegro, facilmente lo si incontrava in sella alla sua bicicletta per incontrare i vicini del quartiere, aiutava i più bisognosi. Un giovane che ha saputo vivere la sua breve vita intensamente”. Un grande dono, sottolinea, è stato anche conoscere la sua mamma, “una donna normale, ma straordinaria nel riconoscere i suoi limiti nell’essere stata la mamma di Carlo. Ciò che mi ha colpito di più nel racconto della mamma è stato quando ha ricordato come fosse più volte rimasta stupita del figlio che, invece di uscire e andare al parco, voleva andare in chiesa. Già a tre anni chiedeva alla nonna di andare al parco per raccogliere i fiori per la Madonna e portarli in chiesa. Oppure quando ha profetizzato alla mamma una gravidanza dopo la morte di lui: oggi la signora ha due gemelli di dieci anni”.

Lavoro … e fede

Come conciliare il mestiere di attrice, sempre in giro nei teatri d’Italia, con un percorso di fede e di crescita spirituale? “C’è sicuramente una costanza da dover seguire, soprattutto se si sceglie un percorso di catechesi. Riconosco che è difficile aderire completamente al messaggio evangelico se la vita in qualche modo cerca di distrarti con i suoi idoli. Un po’ di combattimento c’è sempre, anche perché sei distratta da quello che il mondo ti propone come felicità immediata, facendoti credere che seguire la Chiesa comporti dei grandi sacrifici. Quando poi fai i tuoi piccoli passi alla sequela di Cristo, ti rendi invece conto che ‘a nulla vale guadagnare il mondo intero, se perdi la tua anima’, come dice la Scrittura. Quello che ti sembra una rinuncia porta tanti frutti di gioia piena, di comunione con le persone, di perdono, di pazienza. È un percorso che ti dicono sia difficile, ma è molto più liberatorio obbedire alla Chiesa piuttosto che pensare di esercitare la propria libertà ribellandoti ai Comandamenti, che sono davvero le istruzioni per una vita felice”.]]>
Nessuno è ateo in trincea https://www.lavoce.it/nessuno-e-ateo-in-trincea/ Thu, 09 Apr 2020 07:54:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56823

Tante volte ci siamo chinati ad ascoltare, sul petto ansante dei nostri fratelli… molte volte mi accadde di dovermi buttare in ginocchio e piangere come un fanciullo non potendo più contenere l’emozione provata della morte semplice e santa di tanti poveri figli del nostro popolo…”. Così scrive Giovanni XXIII il 15 aprile 1962 nel suo “Breviario” ricordando l’esperienza di cappellano militare durante il primo conflitto mondiale. “Nessuno è ateo in trincea” è il titolo di questa pagina. La pandemia che continua a colpire il mondo viene definita “guerra”, guerra contro un nemico sconosciuto, invisibile e crudele. Ricorrono i termini “prima linea”, “trincea”, “campo di battaglia” che sono propri del linguaggio bellico. È una guerra diversa da quelle tradizionali, qualcuno afferma che neppure si può chiamare guerra. Le immagini che arrivano dagli ospedali confermano entrambe le versioni. In ogni caso la “pietas” che l’allora don Angelo Roncalli provava nei confronti delle vittime della “inutile strage” – così Benedetto XV aveva denunciato quella guerra – oggi è un palpito del cuore che, in credenti e non credenti, nasconde una domanda. La fede si lascia interrogare, si lascia provocare, non rifiuta alcun “perché” soprattutto quando attraversa le lacrime. Non importa se le domande vengono da un credente o da un ateo, non sono provocazioni. Sono tracce di una ricerca interiore. A sua volta chi non crede, chi è ateo, si lascia interrogare. La fede risponde nel silenzio, con dolcezza, rispetto e retta coscienza. Nella prima linea, nella trincea di una sala di terapia intensiva avviene il dialogo tra il nulla e l’infinito. Non sembri eccessivo: credenti e non credenti sono insieme in quegli spazi e in quei tempi ristretti. L’immagine riporta alla mente una considerazione tratta da un saggio sul credo dei non credenti: “Che l’uomo sia esigenza di Infinito, che la sua ragione costitutivamente reclami l’Infinito, che l’uomo sia essenzialmente Mistero che trascende la sua finitezza, è un’esperienza umana universale, comune a tutti gli uomini, a qualunque espressione religiosa appartengano, non è certamente monopolio esclusivo dei credenti”. E’ fuori “luogo” pensare che questa ricerca possa avvenire dentro un ospedale, dentro un’ambulanza, dentro una casa? “Nessuno è ateo in trincea”, scriveva don Angelo Roncalli, “nessuno è ateo in trincea” possiamo ripetere oggi guardando a chi soffre e muore, guardando chi rischia la propria vita per salvare quella di altri. La fede è nel palpito del cuore dell’uomo, là dove Dio abita. Paolo Bustaffa]]>

Tante volte ci siamo chinati ad ascoltare, sul petto ansante dei nostri fratelli… molte volte mi accadde di dovermi buttare in ginocchio e piangere come un fanciullo non potendo più contenere l’emozione provata della morte semplice e santa di tanti poveri figli del nostro popolo…”. Così scrive Giovanni XXIII il 15 aprile 1962 nel suo “Breviario” ricordando l’esperienza di cappellano militare durante il primo conflitto mondiale. “Nessuno è ateo in trincea” è il titolo di questa pagina. La pandemia che continua a colpire il mondo viene definita “guerra”, guerra contro un nemico sconosciuto, invisibile e crudele. Ricorrono i termini “prima linea”, “trincea”, “campo di battaglia” che sono propri del linguaggio bellico. È una guerra diversa da quelle tradizionali, qualcuno afferma che neppure si può chiamare guerra. Le immagini che arrivano dagli ospedali confermano entrambe le versioni. In ogni caso la “pietas” che l’allora don Angelo Roncalli provava nei confronti delle vittime della “inutile strage” – così Benedetto XV aveva denunciato quella guerra – oggi è un palpito del cuore che, in credenti e non credenti, nasconde una domanda. La fede si lascia interrogare, si lascia provocare, non rifiuta alcun “perché” soprattutto quando attraversa le lacrime. Non importa se le domande vengono da un credente o da un ateo, non sono provocazioni. Sono tracce di una ricerca interiore. A sua volta chi non crede, chi è ateo, si lascia interrogare. La fede risponde nel silenzio, con dolcezza, rispetto e retta coscienza. Nella prima linea, nella trincea di una sala di terapia intensiva avviene il dialogo tra il nulla e l’infinito. Non sembri eccessivo: credenti e non credenti sono insieme in quegli spazi e in quei tempi ristretti. L’immagine riporta alla mente una considerazione tratta da un saggio sul credo dei non credenti: “Che l’uomo sia esigenza di Infinito, che la sua ragione costitutivamente reclami l’Infinito, che l’uomo sia essenzialmente Mistero che trascende la sua finitezza, è un’esperienza umana universale, comune a tutti gli uomini, a qualunque espressione religiosa appartengano, non è certamente monopolio esclusivo dei credenti”. E’ fuori “luogo” pensare che questa ricerca possa avvenire dentro un ospedale, dentro un’ambulanza, dentro una casa? “Nessuno è ateo in trincea”, scriveva don Angelo Roncalli, “nessuno è ateo in trincea” possiamo ripetere oggi guardando a chi soffre e muore, guardando chi rischia la propria vita per salvare quella di altri. La fede è nel palpito del cuore dell’uomo, là dove Dio abita. Paolo Bustaffa]]>
La trasfigurazione dei creativi https://www.lavoce.it/trasfigurazione-creativi/ Wed, 07 Aug 2019 17:07:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55110 creativi

Oggi, 6 agosto, chiudiamo in redazione questo numero con il quale ci salutiamo per la pausa estiva. La Chiesa celebra la festa liturgica della Trasfigurazione, di quando Pietro, Giacomo e Giovanni, saliti sul monte con Gesù a pregare non ressero alla stanchezza e “quando si svegliarono videro la sua (di Gesù) gloria e due uomini che erano con lui”. Il Vangelo di Luca spiega che “mentre pregava” il volto di Gesù “cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida”, e annota che i discepoli “tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto”.

In quei giorni. Perché poi quella visione non solo l’hanno raccontata ma ha illuminato la comprensione della storia del loro maestro - tanto che è narrata nel Vangelo - e della loro storia. E li ha sorretti nelle prove che hanno dovuto affrontare.

Questo racconto mi riporta alla mente una meditazione udita tanti anni fa da un vecchio frate. Diceva che per riconoscere il peccato era necessario posare lo sguardo non sul peccato ma su Dio, perché solo quando si conosce il suo volto, la sua bellezza, è possibile riconoscere il suo contrario.

È vero non solo per chi crede. Vale anche per la musica, per l’arte, ma anche per il cibo e per la danza e per tutto quanto la creatività dell’uomo può trasformare: se “frequenti” il meglio sai riconoscere ciò che non vale. Lo sa anche quella preside di una scuola in una città del sud Italia che ha voluto dare ai suoi studenti delle aule pulite, ordinate, accoglienti, lottando contro il disinteresse e la burocrazia, perché è importante mostrare che un altro mondo è possibile, un mondo dove non sono l’odio, la malavita e il disinteresse a comandare ma la collaborazione, la solidarietà, l’impegno di ciascuno per il bene di tutti.

L’invito, dunque, è quello di sfruttare queste giornate estive per riportare lo sguardo “oltre” su ciò che conta e fa bene al cuore, ed anche ritrovare uno sguardo “altro”, come gli artisti venuti dall’estero che a Scheggia hanno trasformato un funzionale ma triste tetto piatto coperto di carta catramata in una terrazza aperta sull’ampio orizzonte.

Con una semplice scaletta in legno che porta ad una piccola piattaforma in legno, con una panca e un ombrellone, il tutto rigorosamente bianco, il triste tetto nero non è scomparso ma è stato trasformato da chi ha saputo vedere lì non un problema ma una opportunità.

E quella “terrazza” ha cambiato lo sguardo sull’orizzonte anche di chi in quel posto ci vive da sempre. Ecco, forse ciò che serve alla nostra società - e a noi stessi - è la creatività dell’artista che sa vedere “altro” nella realtà di ogni giorno. Ci piace pensare che coloro che scelgono di impegnarsi con gli altri sono coloro che non temono di essere creativi per cambiare il mondo. In meglio.

Buona estate!

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creativi

Oggi, 6 agosto, chiudiamo in redazione questo numero con il quale ci salutiamo per la pausa estiva. La Chiesa celebra la festa liturgica della Trasfigurazione, di quando Pietro, Giacomo e Giovanni, saliti sul monte con Gesù a pregare non ressero alla stanchezza e “quando si svegliarono videro la sua (di Gesù) gloria e due uomini che erano con lui”. Il Vangelo di Luca spiega che “mentre pregava” il volto di Gesù “cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida”, e annota che i discepoli “tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto”.

In quei giorni. Perché poi quella visione non solo l’hanno raccontata ma ha illuminato la comprensione della storia del loro maestro - tanto che è narrata nel Vangelo - e della loro storia. E li ha sorretti nelle prove che hanno dovuto affrontare.

Questo racconto mi riporta alla mente una meditazione udita tanti anni fa da un vecchio frate. Diceva che per riconoscere il peccato era necessario posare lo sguardo non sul peccato ma su Dio, perché solo quando si conosce il suo volto, la sua bellezza, è possibile riconoscere il suo contrario.

È vero non solo per chi crede. Vale anche per la musica, per l’arte, ma anche per il cibo e per la danza e per tutto quanto la creatività dell’uomo può trasformare: se “frequenti” il meglio sai riconoscere ciò che non vale. Lo sa anche quella preside di una scuola in una città del sud Italia che ha voluto dare ai suoi studenti delle aule pulite, ordinate, accoglienti, lottando contro il disinteresse e la burocrazia, perché è importante mostrare che un altro mondo è possibile, un mondo dove non sono l’odio, la malavita e il disinteresse a comandare ma la collaborazione, la solidarietà, l’impegno di ciascuno per il bene di tutti.

L’invito, dunque, è quello di sfruttare queste giornate estive per riportare lo sguardo “oltre” su ciò che conta e fa bene al cuore, ed anche ritrovare uno sguardo “altro”, come gli artisti venuti dall’estero che a Scheggia hanno trasformato un funzionale ma triste tetto piatto coperto di carta catramata in una terrazza aperta sull’ampio orizzonte.

Con una semplice scaletta in legno che porta ad una piccola piattaforma in legno, con una panca e un ombrellone, il tutto rigorosamente bianco, il triste tetto nero non è scomparso ma è stato trasformato da chi ha saputo vedere lì non un problema ma una opportunità.

E quella “terrazza” ha cambiato lo sguardo sull’orizzonte anche di chi in quel posto ci vive da sempre. Ecco, forse ciò che serve alla nostra società - e a noi stessi - è la creatività dell’artista che sa vedere “altro” nella realtà di ogni giorno. Ci piace pensare che coloro che scelgono di impegnarsi con gli altri sono coloro che non temono di essere creativi per cambiare il mondo. In meglio.

Buona estate!

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Città di Castello. Ravasi: “La fede tra silenzio, Parola e storia” https://www.lavoce.it/ravasi-fede-silenzio-parola-storia/ Sun, 14 Apr 2019 12:54:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54390 fede

Il rinnovato modello organizzativo della Scuola diocesana di formazione teologica, intitolata a Cesare Pagani, prevede a conclusione di ciascuno dei tre moduli di studio un momento di riflessione aperto a tutti, guidato da relatori appositamente individuati dagli organizzatori con l’intenzione di invitare i credenti a prendersi cura della fede.

Lo strumento al centro di questo percorso è l’esortazione apostolica Gaudete et exsultate di Papa Francesco, pubblicata nell’aprile del 2018. Il primo appuntamento di approfondimento, nel mese di dicembre, era stato guidato da suor Maria Gloria Riva, intervenuta sul tema “Solo lo stupore conosce”.

Lo scorso martedì 2 aprile, data in cui è stata pubblicata l’esortazione Christus vivit redatta a conclusione del Sinodo dei giovani, in cattedrale il card. Gianfranco Ravasi ha offerto una riflessione su “La fede tra silenzio, Parola e storia”.

Dopo il saluto del vescovo Cancian e una breve presentazione del direttore della Scuola, don Romano Piccinelli, il Cardinale - che ha una riconosciuta preparazione biblica, teologica e culturale ha tenuto il suo intervento con estrema semplicità fornendo al numeroso pubblico presente un gran numero di spunti di approfondimento.

La fede che ci porta a scoprire Dio

La fede che ci porta a scoprire Dio nella sua manifestazione, nella sua epifania, secondo Ravasi riveste una posizione centrale: come in un polittico, è posta al centro di altri elementi quali la Parola, il silenzio e la storia.

“Dio va incontro agli uomini, anche a quelli che non lo cercano, è in cammino sulle loro strade; un dialogo oltre la quotidianità, una presenza che si insedia in un travolgente rapimento, sempre nel rispetto della piena libertà dell’uomo”. Alla Parola che testimonia la fede e che è luce e alimento per il credente, si deve rispondere con l’apertura del proprio cuore per non restare chiusi nel suo piccolo mondo, da solo.

La fede e la storia

Il secondo elemento della fede è quello della Storia, perché la Parola è inserita nella vita concreta dell’uomo e dell’umanità. “La Bibbia stessa - ha detto il relatore - è ricca di elementi concreti: schiavitù, guerre, patriarchi, ma anche più ampi riferimenti alla sofferenza umana.

Anche il tema della giustizia emerge come elemento storico in cui è radicata la Parola”. I testi sacri fanno riferimento a grandi eventi e a piccoli dettagli concreti della vita quotidiana, miserie e ingiustizie umane. Una quotidianità che molto bene ci riporta il libro dei Proverbi .

Un riferimento spazio-temporale in cui sono uniti e comunicanti il tempio e la piazza, Dio e l’uomo fatto a sua immagine, gli uomini e le donne, “manifesto” della presenza viva di Dio.

Il silenzio

Ravasi infine ha analizzato l’elemento del silenzio: un suono di vento leggero, “una voce silenziosa sottile”, traducendo il testo di 1Re 19,12. “Dio è presente nel silenzio, non nel vuoto, ma anzi nella sintesi di tutte le parole. Il silenzio non rappresenta la fuga dal mondo, dalla realtà ma un incontro intimo tra Dio e l’uomo. “Adorazione, contemplazione, lo stare in silenzio di fronte al Signore è una pienezza che il credente deve sperimentare per alimentare la propria fede”.

Ha concluso rivolgendo ai presenti il suo augurio: “L’ascolto della Parola, insieme alla meditazione, diventi cammino di vita in questo tempo di grazia che è la Quaresima, e ci conduca a una Pasqua luminosa”.

Il 21 maggio l’ultimo approfondimento offerto dalla Scuola di formazione teologica sarà guidato dal prof. Marco Bersanelli, che parlerà di “Stupore e meraviglia di fronte al creato”. Lo stesso card. Ravasi, che conosce personalmente l’astrofisico, ha apprezzato il tema del prossimo incontro che riguarda, ha sintetizzato, la “mirabile architettura dell’universo e del cosmo”.

Sabina Ronconi

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fede

Il rinnovato modello organizzativo della Scuola diocesana di formazione teologica, intitolata a Cesare Pagani, prevede a conclusione di ciascuno dei tre moduli di studio un momento di riflessione aperto a tutti, guidato da relatori appositamente individuati dagli organizzatori con l’intenzione di invitare i credenti a prendersi cura della fede.

Lo strumento al centro di questo percorso è l’esortazione apostolica Gaudete et exsultate di Papa Francesco, pubblicata nell’aprile del 2018. Il primo appuntamento di approfondimento, nel mese di dicembre, era stato guidato da suor Maria Gloria Riva, intervenuta sul tema “Solo lo stupore conosce”.

Lo scorso martedì 2 aprile, data in cui è stata pubblicata l’esortazione Christus vivit redatta a conclusione del Sinodo dei giovani, in cattedrale il card. Gianfranco Ravasi ha offerto una riflessione su “La fede tra silenzio, Parola e storia”.

Dopo il saluto del vescovo Cancian e una breve presentazione del direttore della Scuola, don Romano Piccinelli, il Cardinale - che ha una riconosciuta preparazione biblica, teologica e culturale ha tenuto il suo intervento con estrema semplicità fornendo al numeroso pubblico presente un gran numero di spunti di approfondimento.

La fede che ci porta a scoprire Dio

La fede che ci porta a scoprire Dio nella sua manifestazione, nella sua epifania, secondo Ravasi riveste una posizione centrale: come in un polittico, è posta al centro di altri elementi quali la Parola, il silenzio e la storia.

“Dio va incontro agli uomini, anche a quelli che non lo cercano, è in cammino sulle loro strade; un dialogo oltre la quotidianità, una presenza che si insedia in un travolgente rapimento, sempre nel rispetto della piena libertà dell’uomo”. Alla Parola che testimonia la fede e che è luce e alimento per il credente, si deve rispondere con l’apertura del proprio cuore per non restare chiusi nel suo piccolo mondo, da solo.

La fede e la storia

Il secondo elemento della fede è quello della Storia, perché la Parola è inserita nella vita concreta dell’uomo e dell’umanità. “La Bibbia stessa - ha detto il relatore - è ricca di elementi concreti: schiavitù, guerre, patriarchi, ma anche più ampi riferimenti alla sofferenza umana.

Anche il tema della giustizia emerge come elemento storico in cui è radicata la Parola”. I testi sacri fanno riferimento a grandi eventi e a piccoli dettagli concreti della vita quotidiana, miserie e ingiustizie umane. Una quotidianità che molto bene ci riporta il libro dei Proverbi .

Un riferimento spazio-temporale in cui sono uniti e comunicanti il tempio e la piazza, Dio e l’uomo fatto a sua immagine, gli uomini e le donne, “manifesto” della presenza viva di Dio.

Il silenzio

Ravasi infine ha analizzato l’elemento del silenzio: un suono di vento leggero, “una voce silenziosa sottile”, traducendo il testo di 1Re 19,12. “Dio è presente nel silenzio, non nel vuoto, ma anzi nella sintesi di tutte le parole. Il silenzio non rappresenta la fuga dal mondo, dalla realtà ma un incontro intimo tra Dio e l’uomo. “Adorazione, contemplazione, lo stare in silenzio di fronte al Signore è una pienezza che il credente deve sperimentare per alimentare la propria fede”.

Ha concluso rivolgendo ai presenti il suo augurio: “L’ascolto della Parola, insieme alla meditazione, diventi cammino di vita in questo tempo di grazia che è la Quaresima, e ci conduca a una Pasqua luminosa”.

Il 21 maggio l’ultimo approfondimento offerto dalla Scuola di formazione teologica sarà guidato dal prof. Marco Bersanelli, che parlerà di “Stupore e meraviglia di fronte al creato”. Lo stesso card. Ravasi, che conosce personalmente l’astrofisico, ha apprezzato il tema del prossimo incontro che riguarda, ha sintetizzato, la “mirabile architettura dell’universo e del cosmo”.

Sabina Ronconi

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Cascia. Presentazione del libro “Sono rinata”: la storia di Mariangela, dal buio alla vita https://www.lavoce.it/cascia-mariangela-calcagno/ https://www.lavoce.it/cascia-mariangela-calcagno/#comments Thu, 17 Jan 2019 12:00:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53805 Mariangela

“Se è vero che Dio è amore, perché nel mondo esiste la sofferenza?”. È la domanda che tutti abbiamo dentro, e che Mariangela Calcagno esprime fin dalle prime righe del suo libro-testimonianza Sono rinata (Shalom editrice). Nata col nome “Angela” - diventerà Mariangela dopo il battesimo - e abbandonata dai genitori naturali, trascorre l’infanzia in un orfanotrofio ligure e viene poi adottata all’età di 6 anni.

Quello che sembra un epilogo positivo per un’orfana diventa in realtà la base di una grande sofferenza che Angela si porta dietro fino all’età adulta. Il pensiero “tu non vali niente!” la tormenta, insieme al fallimento per non essere riuscita a farsi amare dai genitori naturali, ad ambientarsi nella famiglia adottiva e a finire gli studi.

Si professa atea, ma il Signore la “corteggia”, pur essendone lei inconsapevole. Durante l’ultimo anno di scuola superiore sente il bisogno di andare via di casa e per allontanarsi dalla sua famiglia adottiva non sceglie una strada qualunque: conosce un sacerdote durante una missione popolare e lo segue nella comunità religiosa da lui fondata. In seguito comincia a lavorare come cuoca e arrivano il successo, il denaro e anche l’amore. Luca, il fidanzato, le fa sperimentare per la prima volta cosa significa amare gratuitamente.

Il giovane ha un unico “difetto”, scrive Mariangela nel libro: è un cattolico autentico. Luca non vuole convertirla, le sta accanto accettando anche il suo essere atea. Così, quando le chiede di sposarlo, organizza un matrimonio misto, civile per lei e religioso per lui. Non fanno però in tempo a sposarsi perché Luca muore quattro giorni prima delle nozze. Angela precipita in un dolore talmente forte da portarla all’autodistruzione. Nel buio delle tenebre cade nelle mani sbagliate e finisce in una setta satanica.

Ancora una volta però il Signore, proprio come un principe, la salva grazie all’aiuto di Chiara Amirante, fondatrice della comunità Nuovi Orizzonti. Da quel momento Angela rinasce, intraprende un nuovo cammino che la porterà a conoscere prima la madre celeste Maria e poi la santa dei casi impossibili, santa Rita.

È proprio a Cascia, nella basilica inferiore, che sarà presentato il suo libro, sabato 19 gennaio alle ore 16. Alla presentazione interverrà anche il card. Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano, che ha scritto un invito alla lettura del libro: “La storia di Mariangela racconta un miracolo: Dio abita anche nel dolore... e con lui il dolore non è più dolore, perché la carezza dell’amore di Dio lo trasforma e lo vince”.

Valentina Russo

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Mariangela

“Se è vero che Dio è amore, perché nel mondo esiste la sofferenza?”. È la domanda che tutti abbiamo dentro, e che Mariangela Calcagno esprime fin dalle prime righe del suo libro-testimonianza Sono rinata (Shalom editrice). Nata col nome “Angela” - diventerà Mariangela dopo il battesimo - e abbandonata dai genitori naturali, trascorre l’infanzia in un orfanotrofio ligure e viene poi adottata all’età di 6 anni.

Quello che sembra un epilogo positivo per un’orfana diventa in realtà la base di una grande sofferenza che Angela si porta dietro fino all’età adulta. Il pensiero “tu non vali niente!” la tormenta, insieme al fallimento per non essere riuscita a farsi amare dai genitori naturali, ad ambientarsi nella famiglia adottiva e a finire gli studi.

Si professa atea, ma il Signore la “corteggia”, pur essendone lei inconsapevole. Durante l’ultimo anno di scuola superiore sente il bisogno di andare via di casa e per allontanarsi dalla sua famiglia adottiva non sceglie una strada qualunque: conosce un sacerdote durante una missione popolare e lo segue nella comunità religiosa da lui fondata. In seguito comincia a lavorare come cuoca e arrivano il successo, il denaro e anche l’amore. Luca, il fidanzato, le fa sperimentare per la prima volta cosa significa amare gratuitamente.

Il giovane ha un unico “difetto”, scrive Mariangela nel libro: è un cattolico autentico. Luca non vuole convertirla, le sta accanto accettando anche il suo essere atea. Così, quando le chiede di sposarlo, organizza un matrimonio misto, civile per lei e religioso per lui. Non fanno però in tempo a sposarsi perché Luca muore quattro giorni prima delle nozze. Angela precipita in un dolore talmente forte da portarla all’autodistruzione. Nel buio delle tenebre cade nelle mani sbagliate e finisce in una setta satanica.

Ancora una volta però il Signore, proprio come un principe, la salva grazie all’aiuto di Chiara Amirante, fondatrice della comunità Nuovi Orizzonti. Da quel momento Angela rinasce, intraprende un nuovo cammino che la porterà a conoscere prima la madre celeste Maria e poi la santa dei casi impossibili, santa Rita.

È proprio a Cascia, nella basilica inferiore, che sarà presentato il suo libro, sabato 19 gennaio alle ore 16. Alla presentazione interverrà anche il card. Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano, che ha scritto un invito alla lettura del libro: “La storia di Mariangela racconta un miracolo: Dio abita anche nel dolore... e con lui il dolore non è più dolore, perché la carezza dell’amore di Dio lo trasforma e lo vince”.

Valentina Russo

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Fede, ma sul serio! https://www.lavoce.it/fede-sul-serio/ Sat, 14 Jul 2018 08:00:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52315 logo abat jour, rubrica settimanale

di Angelo M. Fanucci In chiusura delle mia penultima, pallente abat-jour m’aveva spiazzato la frase rivolta da Gesù alla povera donna cananea (l’ “emorroissa”), letteralmente dissanguata dalla malattia e dai medici che (si fa per dire) la curavano; era riuscita a toccare da dietro il mantello di Gesù (e Marco, così, tanto per farci sapere che dei buoni studi l’ha fatti anche lui, si premura di farci sapere che in Gesù s’era verificata, pensate un po’, un perdita d’energia), e Gesù l’aveva guarita e, sorridendo davanti a quello sguardo pieno d’angoscia, le aveva detto: “La tua fede ti ha salvata”. “Fede”? Io lo so cos’è la fede, o almeno credevo di saperlo: la laurea in Teologia (Colpa e pena in san Tommaso d’Aquino) l’ho scritta tutta, e non l’ho mai discussa, ma la licenza in Teologia l’ho conseguita con il massimo dei voti, in quel lontanissimo 1961 in cui diventavo prete. Ecco dove cade a fagiolo la riflessione teologica di padre Sosa alla quale accennavo. Per capire il Concilio abbiamo bisogno - dice il ‘Papa nero’ - di approfondire la fede. “Altrimenti, testimoniare diventa impossibile. Per questo sento necessario, a monte, anche un grande lavoro intellettuale”. Bene. Lo dicono tutti. Ma quale categoria interpretativa nuova dobbiamo azionare perché faccia da perno a questo “lavoro intellettuale”? Padre Sosa è perentorio: il nostro tempo ci chiama a essere testimoni del Vangelo in contesti diversi da quello al quale siamo abituati. E qual è il nocciolo di questa diversità? Il punto di partenza è riconoscere le differenze come rivelazione di Dio, dice il preposto dei Gesuiti. Ohibò! Da sempre la Chiesa ha saputo di avere davanti a sé un mondo da amare, ma purtroppo, anche su temi fondamentali, un mondo in cui ogni soggetto che vi opera esprime una differente percezione della sostanza della vita. E il compito della Chiesa, così mi hanno insegnato, è quello di riportare a unità queste diversità, perché tutte le coscienze confluiscano nel grande alveo del fiume immenso che da Dio porta a Dio attraverso Cristo. E anch’io mi sono fatto prete per riportare, per quanto mi sarà possibile, magari (data la mia desolante mediocrità) in misura minima, la diversità che colgo negli uomini che incontro all’unità che ci fa sentire tutti figli di Dio e fratelli di Gesù. Ma adesso padre Sosa, o - meglio - quello spirito del Concilio che i Gesuiti sembra abbiano introiettato come nessun altro, mi dice che, prima di essere oggetto di un lavoro per portarla a unità, la diversità va valorizzata per quella che è, proprio nella sua diversità. Perché è un valore. Perché l’adesione alla verità e al bene che esprimono l’emorroissa, o il buon ladrone, o il cieco di Gerico, sono adesioni a Cristo Figlio eterno di Dio, anche se non lo sanno. E meritano che Gesù riveli la loro vera natura: sono fede, vera fede, quanto e più della mia che, inviata la mia settimanale e-mail a La Voce, torno a ciancicare concetti teologici che davanti a Dio non mi fanno crescere di un centimetro.]]>
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di Angelo M. Fanucci In chiusura delle mia penultima, pallente abat-jour m’aveva spiazzato la frase rivolta da Gesù alla povera donna cananea (l’ “emorroissa”), letteralmente dissanguata dalla malattia e dai medici che (si fa per dire) la curavano; era riuscita a toccare da dietro il mantello di Gesù (e Marco, così, tanto per farci sapere che dei buoni studi l’ha fatti anche lui, si premura di farci sapere che in Gesù s’era verificata, pensate un po’, un perdita d’energia), e Gesù l’aveva guarita e, sorridendo davanti a quello sguardo pieno d’angoscia, le aveva detto: “La tua fede ti ha salvata”. “Fede”? Io lo so cos’è la fede, o almeno credevo di saperlo: la laurea in Teologia (Colpa e pena in san Tommaso d’Aquino) l’ho scritta tutta, e non l’ho mai discussa, ma la licenza in Teologia l’ho conseguita con il massimo dei voti, in quel lontanissimo 1961 in cui diventavo prete. Ecco dove cade a fagiolo la riflessione teologica di padre Sosa alla quale accennavo. Per capire il Concilio abbiamo bisogno - dice il ‘Papa nero’ - di approfondire la fede. “Altrimenti, testimoniare diventa impossibile. Per questo sento necessario, a monte, anche un grande lavoro intellettuale”. Bene. Lo dicono tutti. Ma quale categoria interpretativa nuova dobbiamo azionare perché faccia da perno a questo “lavoro intellettuale”? Padre Sosa è perentorio: il nostro tempo ci chiama a essere testimoni del Vangelo in contesti diversi da quello al quale siamo abituati. E qual è il nocciolo di questa diversità? Il punto di partenza è riconoscere le differenze come rivelazione di Dio, dice il preposto dei Gesuiti. Ohibò! Da sempre la Chiesa ha saputo di avere davanti a sé un mondo da amare, ma purtroppo, anche su temi fondamentali, un mondo in cui ogni soggetto che vi opera esprime una differente percezione della sostanza della vita. E il compito della Chiesa, così mi hanno insegnato, è quello di riportare a unità queste diversità, perché tutte le coscienze confluiscano nel grande alveo del fiume immenso che da Dio porta a Dio attraverso Cristo. E anch’io mi sono fatto prete per riportare, per quanto mi sarà possibile, magari (data la mia desolante mediocrità) in misura minima, la diversità che colgo negli uomini che incontro all’unità che ci fa sentire tutti figli di Dio e fratelli di Gesù. Ma adesso padre Sosa, o - meglio - quello spirito del Concilio che i Gesuiti sembra abbiano introiettato come nessun altro, mi dice che, prima di essere oggetto di un lavoro per portarla a unità, la diversità va valorizzata per quella che è, proprio nella sua diversità. Perché è un valore. Perché l’adesione alla verità e al bene che esprimono l’emorroissa, o il buon ladrone, o il cieco di Gerico, sono adesioni a Cristo Figlio eterno di Dio, anche se non lo sanno. E meritano che Gesù riveli la loro vera natura: sono fede, vera fede, quanto e più della mia che, inviata la mia settimanale e-mail a La Voce, torno a ciancicare concetti teologici che davanti a Dio non mi fanno crescere di un centimetro.]]>
La crisi della politica e il sano realismo della fede https://www.lavoce.it/la-crisi-della-politica-sano-realismo-della-fede/ Wed, 27 Jun 2018 15:34:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52180 di Paolo Giulietti

Lo slogan trumpiano America first e il nostrano “Prima gli italiani” vengono presentati dagli autori come strategie (“finalmente!”) libere da buonismo o faciloneria, e ispirate a un sano realismo. Ma è davvero così?

Perché, se è così, noi cristiani non abbiamo più nulla da dire a questa società e ai suoi problemi. Il Vangelo infatti – piaccia o meno – parla di altre logiche, ispirate a condivisione, fiducia, accoglienza, misericordia… in base alle quali il mondo dovrebbe funzionare al meglio (che poi è il succo del concetto di “regno di Dio”).

Se tutto ciò non è realista, cioè non traccia le coordinate di una realtà possibile, ma costituisce un’utopia buona al massimo per i conventi, per sollecitare qualche occasionale elemosina, si deve onestamente concludere che il cristianesimo non è più capace di offrire alcunché di significativo per ciò che attiene alle dinamiche economiche, politiche e sociali che rappresentano una bella fetta della vita delle persone, delle comunità e dei popoli.

Dovremmo quindi accontentarci di una religione tutta privata e spirituale, che si mantenga strettamente nei confini delle sagrestie, degli oratori o dei Centri d’ascolto delle Caritas.

Se però guardiamo dietro la cortina degli slogan, è facile accorgersi che il realismo non sta dove si vuol far credere che sia. È evidente, infatti, che l’irrinunciabile tenore di vita dei popoli “sviluppati” – americani in testa – è incompatibile con la salvaguardia del creato, cioè con la sopravvivenza della specie umana, soprattutto se pensiamo che qualche miliardo di individui desidera acquisirlo (e perché no?). È evidente che un’economia e una politica che non si occupino con decisione di ridurre le diseguaglianze si condannano a investire cifre sempre più rilevanti in armamenti (“sicurezza” la chiamano) e a fomentare incessantemente conflitti regionali, anche su larga scala.

È evidente che una pressione demografica come quella africana, in assenza di un serio progetto di sviluppo e in permanenza degli attuali meccanismi predatori delle risorse di quel Continente, non sarà arginabile a lungo senza esigere un pesantissimo tributo di vite umane. È evidente che la deriva individualista e nichilista delle nostre società – quella italiana in testa – condurrà l’Occidente all’estinzione demografica e alla marginalità economica e culturale. È evidente che le guerre commerciali, alla lunga, produrranno peggiori condizioni di vita generali, col rischio di degenerare in guerre guerreggiate. E l’elenco delle evidenze potrebbe continuare.

Noi cristiani, quindi, abbiamo ancora qualcosina da dire. È infatti più realistico tutto questo o l’invito evangelico a cercare prima “il regno di Dio e la sua giustizia”? Come insegna la dottrina sociale della Chiesa, la pace vera – non quella assai precaria “all’ombra delle baionette” – è l’esito di un giusto ordinamento del mondo, e la condivisione di decisioni e risorse costituisce l’unico modo per assicurare un futuro all’umanità e alla sua “casa comune”.

È più realistica la “globalizzazione dell’indifferenza” o la tensione squisitamente cristiana a riconoscere in ognuno un fratello e a ciascun essere umano un’inviolabile dignità, nella convinzione che le persone non siano un problema, bensì parte della soluzione? È più realistico proporre ai giovani di spendersi per una società come quella attuale, oppure crescerli coltivando in loro la fiducia che “il regno di Dio è vicino”, cioè che il mondo migliore sia a portata di mano di quanti desiderino realizzarlo? Senza illuderli che sia facile o rapido, ma con la certezza che sia una scelta ispirata a sano realismo.

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DEBORA VEZZANI. Ogni storia è “come un prodigio” https://www.lavoce.it/debora-vezzani-storia-un-prodigio/ Fri, 01 Jun 2018 11:00:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52012

“Renditi disponibile e vedrai meraviglie”. È questo il motto che ha guidato la conversione di Debora Vezzani, come da lei stessa raccontato nel corso della presentazione del suo libro tenutasi ad Orvieto nell’ambito del festival “Arte e fede”. Da quattro anni la cantautrice emiliana è costantemente in tour in tutta Italia, fra musica e testimonianze di fede: “È iniziato tutto quando mi sono resa conto che raccontare la mia storia portava frutti nelle vite degli altri. Inoltre è molto utile anche per me, mi aiuta a ricordare tutte le cose belle che Dio ha fatto nella mia vita”. Intervistata dalla giornalista Maria Rita Valli, direttrice de La Voce, Debora Vezzani è partita dal suo primo libro Come un prodigio. Storia di una conversione, per raccontare al pubblico del festival il suo percorso di vita e di fede. Il tutto intervallando la narrazione con alcuni dei suoi brani più famosi come “Inno all’amore”, “Inri (Io non ritorno indietro)” e “Come un prodigio” da cui il titolo del libro. [caption id="attachment_52010" align="aligncenter" width="600"] L'incontro con Debora Vezzani nell'ambito del festival "Arte e fede"[/caption] “Tutto è cominciato un 25 marzo, giorno della mia nascita, ma anche festa mariana dell’Annunciazione. Allora non sapevo che la presenza di Maria mi avrebbe accompagnata per tutta la vita” racconta, e nel corso dell’intervista in modo molto semplice e spontaneo non nasconde nulla di se stessa, neanche i momenti più dolorosi. “Mia madre naturale mi ha abbandonata ed io ho sempre saputo di essere stata adottata. Questo ha generato in me fin dalla più tenera età la sensazione che non avrei dovuto essere al mondo”. Poi i genitori adottivi si separano, la sua relazione sentimentale di quel periodo fallisce e il contratto che aveva con l’etichetta discografica di Ligabue scade. “Un giorno tornando a casa mi prese l’istinto di andare a schiantarmi con l’auto, per fortuna non l’ho fatto”. Le viene chiesto da un’amica in procinto di matrimonio di musicare il salmo 139 in occasione delle nozze. Debora accetta e per comporre la melodia passa giornate intere a rileggere quelle parole: “Sei Tu che mi hai tessuto nel grembo di mia madre e mi hai fatto come un prodigio”. Con grande spontaneità Debora legge gli eventi della sua vita, anche quelli dolorosi, alla luce di un disegno di amore che che si è rivelato nel tempo, pezzo per pezzo, come un mosaico, fino a condurla a trovare la vera felicità in Dio. Oggi Debora, dopo essersi sposata con Yuri, con il quale condivide la fede e la scelta di “fare la volontà di Dio”, vive di Provvidenza e della sua musica, anche grazie al successo di un brano scritto per la vincitrice del talent show “The Voice” suor Cristina. E sul bavaglino del loro piccolo Emmanuele Maria una frase che spesso ripete: “L’amore vincerà. È una certezza”.
FESTIVAL ARTE E FEDE
Il festival Arte e fede anima dal 2005 la città di Orvieto coinvolgendo religiosi e laici, studiosi e artisti, credenti e non, con l’intento di conciliare due mondi apparentemente lontani ma in realtà molto vicini. L’edizione 2018 terminerà il 3 guigno. Tra gli appuntamenti principali l’incontro con lo scrittore Davide Rondoni questa sera alle 18 presso Palazzo dei Sette. Alessandro Lardani, direttore artistico del festival, ha raccontato a La Voce l'essenza di Arte e fede. [embed]https://www.youtube.com/watch?v=j7PxT7hLByg[/embed]    ]]>

“Renditi disponibile e vedrai meraviglie”. È questo il motto che ha guidato la conversione di Debora Vezzani, come da lei stessa raccontato nel corso della presentazione del suo libro tenutasi ad Orvieto nell’ambito del festival “Arte e fede”. Da quattro anni la cantautrice emiliana è costantemente in tour in tutta Italia, fra musica e testimonianze di fede: “È iniziato tutto quando mi sono resa conto che raccontare la mia storia portava frutti nelle vite degli altri. Inoltre è molto utile anche per me, mi aiuta a ricordare tutte le cose belle che Dio ha fatto nella mia vita”. Intervistata dalla giornalista Maria Rita Valli, direttrice de La Voce, Debora Vezzani è partita dal suo primo libro Come un prodigio. Storia di una conversione, per raccontare al pubblico del festival il suo percorso di vita e di fede. Il tutto intervallando la narrazione con alcuni dei suoi brani più famosi come “Inno all’amore”, “Inri (Io non ritorno indietro)” e “Come un prodigio” da cui il titolo del libro. [caption id="attachment_52010" align="aligncenter" width="600"] L'incontro con Debora Vezzani nell'ambito del festival "Arte e fede"[/caption] “Tutto è cominciato un 25 marzo, giorno della mia nascita, ma anche festa mariana dell’Annunciazione. Allora non sapevo che la presenza di Maria mi avrebbe accompagnata per tutta la vita” racconta, e nel corso dell’intervista in modo molto semplice e spontaneo non nasconde nulla di se stessa, neanche i momenti più dolorosi. “Mia madre naturale mi ha abbandonata ed io ho sempre saputo di essere stata adottata. Questo ha generato in me fin dalla più tenera età la sensazione che non avrei dovuto essere al mondo”. Poi i genitori adottivi si separano, la sua relazione sentimentale di quel periodo fallisce e il contratto che aveva con l’etichetta discografica di Ligabue scade. “Un giorno tornando a casa mi prese l’istinto di andare a schiantarmi con l’auto, per fortuna non l’ho fatto”. Le viene chiesto da un’amica in procinto di matrimonio di musicare il salmo 139 in occasione delle nozze. Debora accetta e per comporre la melodia passa giornate intere a rileggere quelle parole: “Sei Tu che mi hai tessuto nel grembo di mia madre e mi hai fatto come un prodigio”. Con grande spontaneità Debora legge gli eventi della sua vita, anche quelli dolorosi, alla luce di un disegno di amore che che si è rivelato nel tempo, pezzo per pezzo, come un mosaico, fino a condurla a trovare la vera felicità in Dio. Oggi Debora, dopo essersi sposata con Yuri, con il quale condivide la fede e la scelta di “fare la volontà di Dio”, vive di Provvidenza e della sua musica, anche grazie al successo di un brano scritto per la vincitrice del talent show “The Voice” suor Cristina. E sul bavaglino del loro piccolo Emmanuele Maria una frase che spesso ripete: “L’amore vincerà. È una certezza”.
FESTIVAL ARTE E FEDE
Il festival Arte e fede anima dal 2005 la città di Orvieto coinvolgendo religiosi e laici, studiosi e artisti, credenti e non, con l’intento di conciliare due mondi apparentemente lontani ma in realtà molto vicini. L’edizione 2018 terminerà il 3 guigno. Tra gli appuntamenti principali l’incontro con lo scrittore Davide Rondoni questa sera alle 18 presso Palazzo dei Sette. Alessandro Lardani, direttore artistico del festival, ha raccontato a La Voce l'essenza di Arte e fede. [embed]https://www.youtube.com/watch?v=j7PxT7hLByg[/embed]    ]]>
Sinodo giovani: una grande occasione che non tornerà più https://www.lavoce.it/sinodo-giovani-una-grande-occasione-che-non-tornera-piu/ Fri, 13 Jan 2017 14:59:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48200 Rio-de-Janeiro,-28-luglio--Santa-Messa-per-la-XXVIII-Giornata-mondiale-della-gioventùInizia. La Lettera del Papa ai giovani e la consegna del Documento preparatorio, in vista del prossimo Sinodo dei vescovi sui giovani, apre un tempo di lavoro e riflessione particolari. Chissà per quali ragioni è questo il tema offerto alla riflessione delle Conferenze episcopali; ma francamente non ci interessa. Lo dico soltanto perché bisogna riconoscere che sono molte le attenzioni possibili sulle quali si potevano accendere i riflettori, alcune forse più drammatiche e urgenti del mondo giovanile.

Ma per chi lavora con i giovani, questa è una grande occasione che probabilmente non tornerà più: perderla sarebbe come sprecare l’opportunità di crescere nel lavoro pastorale; e sarebbe imperdonabile.

Molte sono le fatiche che accompagnano il lavoro educativo: non essendo un lavoro di produzione “a catena”, la cura e l’accompagnamento dei processi di crescita sono sempre da riprendere da capo con la sensazione (talvolta) di essere sempre al punto di partenza. C’è però un’intelligenza della fede che si fida delle persone e della possibilità che Dio parli al loro cuore: difficili – oggi – i sogni notturni; la profezia attraversa le intimità dell’uomo solo attraverso gesti di testimonianza autentica.

Per questo i cristiani non si arrendono alle logiche spietate e inarrestabili della cultura contemporanea. Con la quale accettano di fare i conti, ma nello stesso tempo non rinunciano a esercitare la critica che il Vangelo impone: quella di non accettare nulla meno che fraterno e solidale; meno del rifiuto a giocare la vita su ciò che è suadente all’apparenza, ma in realtà è effimero e inutile al sogno di eternità che accompagna ogni esistenza umana

“La vita è il compimento di un sogno di giovinezza”: lo diceva Giovanni XXIII. È con questo spirito che ci mettiamo in cammino, grati a Papa Francesco che ci offre l’opportunità di una riflessione seria, capace di volgere uno sguardo benevolo sui giovani figli di questo tempo e insieme indagare sulle nostre pratiche pastorali.

Qualcuno mi ha chiesto, in questi giorni: cosa ti aspetti che succeda? Non ho sfere di cristallo in cui guardare, ma mi piacerebbe che senza inutili autoflagellazioni, fossimo capaci di accettare un cammino di discernimento anzitutto su come stiamo accanto e accompagniamo il mondo giovanile. Dal quale giunge più di un richiamo: oggi i giovani rischiano di essere un gruppo di “ospiti” in mezzo a degli adulti che non pensano di doversi un giorno spostare, di dover avviare una operazione di “consegna” del mondo e della storia a chi verrà (fra poco) dopo di loro. In passato ci sono state situazioni forse più difficili di questa: penso al dopoguerra (ovviamente in Italia). Ma la differenza sta nel fatto che allora c’era un mondo di adulti che aveva una “missione”: far sì che i propri figli non provassero certi drammi.

Credo che se perdiamo il desiderio di lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo ricevuto, abbiamo perso una buona dose di umanità e rischiamo parole e gesti sempre più brutali. Se dobbiamo pensarla proprio in grande, questo mette in gioco il modello di sviluppo che abbiamo in testa; nell’immediato si traduce in quello che stiamo trasmettendo ai giovani.

Il Sinodo parlerà della fede: ma il titolo non dice di chi. Se siamo pigri, diremo subito della “loro” fatica; se saremo onesti diremo – prima – della “nostra”.

Nel gioco della consegna e della trasmissione della fede, si inserisce la possibilità di discernimento vocazionale che nessuno può fare da solo: ciascuno di noi è diventato quello che è, perché è stato accompagnato da molti altri; quelli che ricordiamo più volentieri e hanno inciso sulle nostre scelte sono stati coloro che si sono spesi nel nome di Gesù: sapremo fare altrettanto? Ci mettiamo in cammino, perché lo stile sinodale ci aiuti a trovare le risposte di cui abbiamo bisogno.

 

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Africa assetata di Risurrezione https://www.lavoce.it/africa-assetata-di-risurrezione/ Fri, 25 Mar 2016 19:06:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45827 St-John-Korogocho-JuneAfrica assetata di Risurrezione: è la parola giusta! La sete non è un complemento, è una necessità impellente; se non la soddisfi, ti stende. La sete in Africa è a livello fisico, acqua naturale che fa fiorire il deserto, assicura le patate e il granoturco per il cibo, le pasture per gli armenti. Non basta! Sete inestinguibile di relazioni amichevoli che generano solidarietà.

Tanti fuggono dall’Africa perché hanno perduto la speranza sia dell’acqua naturale che delle relazioni costruttive. Vedono instabilità, guerre di religioni e tribali, costantemente risorgenti. Siamo cresciuti tanto in fraternità attraverso il lavoro delle Chiese! Eppure in un Continente con un miliardo e 200 mila persone, di invasati di tribalismo, soprattutto tra i politici, ne trovi a iosa! Si assicurano voti con la promessa di schiacciare “il nemico” più che con l’impegno per scuole, ospedali, acqua potabile.

Sete di Dio, del contatto con il Mistico che respiri nelle foreste, nei deserti, nel cielo stellato che ti avvolge, nelle montagne incappucciate di nuvole, nelle storie delle origini delle tribù. Un Continente traboccante di Dio e di mistero, assetato di liberazione dal male. La Settimana santa ci aiuti a procurarci l’acqua, o meglio le acque di cui abbiamo bisogno…

Acque della Settimana santa

L’acqua naturale: la lunga estate da dicembre a marzo asciuga non solo l’acqua dei ruscelli ma anche il sudore. Con la luna nuova della Settimana santa arriva la desideratissima stagione delle piogge. L’acqua del battesimo del Sabato santo è acqua ‘nuova’.

Domenica delle Palme: l’acqua della sete pubblica di Dio . Noi africani non siamo figli dell’Illuminismo europeo che rinchiude Dio in sacrestia, per le anime in pena e credulone. Qui Dio è al centro della vita personale e pub- blica. Tutti i nostri inni nazionali sono preghiere, e promesse di collaborazione per costruire la nazione. La processione pubblica delle Palme per le vie principali è un formale riconoscimento di Gesù come costruttore e garante della vita sociale. Le palme vengono agitate con entusiasmo come bandiere.

Via crucis: l’acqua delle sofferenza

Spesso nella sofferenza siamo soli, ma non nella Via crucis del Venerdì santo. In ogni angolo del Kenya, dove c’è una comunità cristiana, la Via crucis si snoda solenne e partecipata dalle 9 all’una. Tutti seguono la croce, senza riguardo per la religione, favoriti anche dal giorno non lavorativo. Le stazioni non sono fittizie ma vere. Si sosta dove c’è sofferenza e lacrime: può essere la famiglia con un malato grave, un centro per persone disabili, un dispensario, un ospedale, le carceri, dove è morto qualcuno. La sofferenza è permeata dalla speranza e consolata dalla fraternità.

La notte di Pasqua: l’acqua della fraternità

Tanti battesimi! I nuovi membri vengono gioiosamente accolti dalla comunità cristiana. Almeno per un po’ cadono le barriere tribali e l’ostilità. Si celebra la nuova fraternità basata sulla fede e sull’unico sangue di Cristo. I poveri non vengono dimenticati, si va in chiesa con un dono per loro, consegnato all’offertorio. La mattina di Pasqua c’è profumo di nuova umanità.

 

(Padre Pierli, 73 anni, è stato superiore generale (1985-1991) dei missionari Comboniani. Ha fatto 29 anni di missione in Africa, tra cui 6 in Uganda e 23 in Kenya, dove si trova attualmente. È professore al Tangaza College di Nairobi, Kenya, dove ha fondato l’“Institute for Social Ministry” che forma laici e preti africani ispirandosi alla dottrina sociale della Chiesa.)

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Il rapporto dei giovani con la fede e la religione https://www.lavoce.it/il-rapporto-dei-giovani-con-la-fede-e-la-religione/ Mon, 22 Feb 2016 09:21:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45462 Giovani-rapporto-cmyk“Io credo in Dio perché alla fine metterà tutto a posto”. “Credo in Dio perché è l’unico che ha sempre ragione”. “A me quello che piace del cristianesimo è che dà un senso a tutto”. Sono alcune delle risposte che i ragazzi dai 19 ai 29 anni hanno dato a chi chiedeva del loro rapporto con la fede e con la religione. Le si trova della ricerca “Giovani e fede in Italia”, promossa nell’ambito del Rapporto Giovani, l’indagine nazionale dell’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica.

Il rapporto, confluito nel volume Dio a modo mio (ed. Vita e Pensiero) a cura di Paola Bignardi e Rita Bichi, è stato presentato nei giorni scorsi. Grazie a questa ricerca emerge per la prima volta un quadro completo di che cosa rappresenti oggi la fede per la generazione dei millennials, ossia i nati tra il 1982 e il 2000. L’approfondimento ha coinvolto 150 intervistati, scelti sulla base di criteri scientifici da un team di docenti universitari, distribuiti tra nord, centro e sud Italia, tutti battezzati e appartenenti a due fasce di età: 19-21 anni e 27-29 anni.

Dalle risposte dei ragazzi emerge che tutti amano Papa Francesco, ma fanno fatica a capire il linguaggio della Chiesa, conoscono poco Gesù ma credono in Dio. Non vanno quasi mai a messa, ma ciononostante pregano a modo loro. “Per la prima volta abbiamo un quadro completo sul rapporto fra il mondo giovanile e la fede”, dice mons. Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’università Cattolica di Milano. “Dalle loro risposte viene fuori un dialogo intimo dei nostri ragazzi con Dio, che è molto presente nella loro vita, anche se con una percezione molto personale. Il rapporto dei giovani con la fede fa parte di un universo ancora inesplorato. Se la Chiesa vuole dialogare con le nuove generazioni, deve imparare a percorrere le loro strade, senza paura di ascoltare le loro opinioni”.

Dai percorsi di fede passando dalla Chiesa e i suoi linguaggi, fino al rapporto con le altre religioni: gli intervistati hanno parlato a 360 gradi, rivelando alcune costanti di pensiero. Molti hanno raccontato il percorso di iniziazione cristiana, mettendo in luce soprattutto la sua obbligatorietà. Frequentare il catechismo ha significato infatti l’apprendimento di regole e princìpi, e non è raro trovare chi critica questa attività perché la vede come una banale trasmissione di un sapere (“quello che dicono loro”) e una serie di regole da seguire. Attraverso le risposte dei ragazzi, appare poi fondamentale la figura del sacerdote: questa figura può diventare determinante nella scelta di rimanere nella comunità così come nel decidere di abbandonarla.

Molto interessanti sono anche le opinioni dei giovani sulle religioni. “Se il cristianesimo è considerato un’etica più che una religione (per i valori come l’amore, il rispetto e l’uguaglianza) – commenta la curatrice del rapporto Paola Bignardi – il cattolicesimo è sinonimo di istituzione. Il cattolico è percepito spesso come un praticante che non salta mai una messa, si confessa e fa la comunione seguendo fedelmente le indicazioni della Chiesa. Per molti ragazzi è una figura da cui prendere le distanze perché non autentica”. A dispetto di questo scetticismo, però, c’è anche la fiducia incondizionata verso Papa Francesco: la figura del Pontefice esercita sui millennials un fascino enorme “perché parla il linguaggio della semplicità”. In generale, le nuove generazioni di credenti presentano, a grandi linee, lo stesso “curriculum”. La prima comunione fatta più per obbligo che per scelta, la grande fuga dopo la cresima (“perché non ne potevo più”), nonostante i bei ricordi dell’oratorio. Fino a quando, verso i 25 anni, arriva il “ripensamento”, che il più delle volte conduce al ritorno verso la fede.

 

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Bassetti: “Come fece Costanzo nella sua epoca, così oggi tocca noi, vivere la fede e trasmetterla alle generazioni future” https://www.lavoce.it/bassetti-come-fece-costanzo-nella-sua-epoca-cosi-oggi-tocca-noi-vivere-la-fede-e-trasmetterla-alle-generazioni-future/ Thu, 28 Jan 2016 19:25:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45252 Luminaria-san-Costanzo2016-Belfiore31 Al suono delle chiarine e dei tamburi dei figuranti in costume medievale di Assisi, Città della Pieve e Montefalco e con l’accensione delle torce nel fuoco davanti al Palazzo comunale dei Priori in Perugia, proprio come sette secoli fa, è iniziata la tradizionale e suggestiva processione della “Luminaria” della vigilia della solennità del santo patrono Costanzo, vescovo e martire. Una processione occasione di incontro tra rappresentanti delle Istituzioni civili e religiose per onorare il patrono Costanzo, fondatore della Chiesa perugina martirizzato intorno all’anno 175 d.C. per difendere l’idea di una società fondata sulla centralità dell’uomo. Un folto popolo di fedeli ha accompagnato il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti e il sindaco Andrea Romizi per le vie e le piazze principali della città fino alla basilica in cui sono custodite le reliquie del santo.

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In questo luogo di culto tanto caro ai perugini, il cardinale ha presieduto i Primi Vespri solenni, animati dalla Corale della Polizia municipale, ed è stato rinnovato l’“Omaggio votivo del cero e dei doni al santo patrono” da parte delle autorità civili e religiose. A mettere in risalto la concordia tra comunità civile e religiosa, che si rinnova nel nome di Costanzo, è stato lo stesso cardinale Bassetti nell’omelia. «Nel ricordo del patrono, la comunità civile e quella religiosa si ritrovano insieme per onorare un fedele servitore della causa del Vangelo e per ciò stesso della causa dell’uomo – ha esordito il porporato –. Ogni cristiano, in particolar modo se si tratta di un pastore, non potrà mai scindere la difesa della causa di Dio dalla difesa della causa della persona umana. Il progresso sociale ci ha fatto capire bene che non si devono mai confondere il piano civile e quello religioso, ma questo non vuole dire che essi, nella concordia e nella sincerità, non possano ricordare i valori, anche religiosi, che tengono unità una comunità, e possano collaborare per il bene comune dell’intera città».

«Per la comunità cristiana però è un momento non solo celebrativo ma anche di seria riflessione – ha commentato il cardinale –. Tutti siamo chiamati, nel giorno del patrono, ad interrogarci sulla vita di fede, personale e comunitaria. Nonostante la pervasiva secolarizzazione, grazie a Dio, non mancano nelle nostre comunità – che sto incontrando con un’intensa visita pastorale – segni, anche commoventi, di fede sincera e profondamente vissuta, sia negli anziani che nei giovani. Fede che è fonte di testimonianza concreta e di opere di carità. Ma questo non può lasciarci tranquilli di fronte al dilagare della mentalità relativista e dell’indifferenza. Come fece Costanzo nella sua epoca, così oggi tocca noi, vivere la fede e trasmetterla alle generazioni future».

«Ha osservato il Santo Padre Francesco, in una recente catechesi – ha ricordato il presule –, che “come di generazione in generazione si trasmette la vita”, così “di generazione in generazione, attraverso la rinascita dal fonte battesimale, si trasmette la grazia, e con questa grazia il Popolo cristiano cammina nel tempo”. Inviati da Gesù, i discepoli sono andati a battezzare in ogni parte del mondo; così ha fatto il primo vescovo Costanzo nella nostra terra, e da quel tempo a oggi c’è una catena nella trasmissione della fede mediante il Battesimo. E ognuno di noi è un anello di questa catena. Così, ha osservato poi papa Francesco, il popolo cristiano è “come un fiume che irriga la terra e diffonde nel mondo la benedizione di Dio”. Ecco perché è importante “trasmettere la nostra fede ai figli, trasmettere la fede ai bambini, perché essi, una volta adulti, possano trasmetterla ai loro figli”. Per il Santo Padre in questa ‘catena di trasmissione’ sta anche il senso dell’essere ‘comunità’, dell’essere Chiesa, perché nessuno si salva da solo. “Siamo comunità di credenti, siamo Popolo di Dio e in questa comunità sperimentiamo la bellezza di condividere l’esperienza di un amore che ci precede tutti, ma che nello stesso tempo ci chiede di essere ‘canali’ della grazia gli uni per gli altri, malgrado i nostri limiti e i nostri peccati. La dimensione comunitaria non è solo una ‘cornice’, un ‘contorno’, ma è parte integrante della vita cristiana, della testimonianza e dell’evangelizzazione”».

«È a Costanzo quindi, testimone di Cristo che confermò con il suo sangue l’annunzio del Vangelo – ha concluso il cardinale Bassetti –, che chiediamo stasera di ravvivare la nostra fede. Lui che fu pietra viva e preziosa, | scolpita dallo Spirito | con la croce e il martirio | per la città dei santi. Sia questo anno che si è aperto dinanzi a noi come tempo del Giubileo della misericordia un’occasione propizia per riconoscere i nostri limiti, personali e comunitari, e divenire così strumenti della misericordia del Signore per tutti gli uomini».

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Il Vangelo della domenica. Anziché mormorare, ama! https://www.lavoce.it/anziche-mormorare-ama/ https://www.lavoce.it/anziche-mormorare-ama/#comments Thu, 28 Jan 2016 15:31:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45206 MESSALE metti piccola in commento al vangeloNell’udienza di mercoledì 27, dopo la ‘variante’ del 22 gennaio in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, Papa Francesco ha ripreso la serie di riflessioni di approfondimento sulla misericordia nella Bibbia (testo integrale su w2.vatican.va ). “Nella sacra Scrittura ha esordito – la misericordia di Dio è presente lungo tutta la storia del popolo d’Israele. Con la Sua misericordia, il Signore accompagna il cammino dei Patriarchi, dona loro dei figli malgrado la condizione di sterilità, li conduce per sentieri di grazia e di riconciliazione”.
Dopo aver ricordato la condizione di schiavitù degli israeliti in Egitto, Bergoglio ha aggiunto: “La misericordia [di Dio] non può rimanere indifferente davanti alla sofferenza degli oppressi, al grido di chi è sottoposto a violenza, ridotto in schiavitù, condannato a morte. È una dolorosa realtà che affligge ogni epoca, compresa la nostra, e che fa sentire spesso impotenti, tentati di indurire il cuore, e pensare ad altro”.
Ma “il Dio di misericordia risponde e si prende cura dei poveri, di coloro che gridano la loro disperazione. Dio ascolta e interviene per salvare, suscitando uomini capaci di sentire il gemito della sofferenza e di operare in favore degli oppressi…
È così che comincia la storia di Mosè come mediatore di liberazione per il popolo. Egli affronta il faraone per convincerlo a lasciare partire Israele; e poi guiderà il popolo, attraverso il Mar Rosso e il deserto, verso la libertà”. Ciò che è avvenuto millenni fa, vale ancora oggi: “La misericordia di Dio agisce sempre per salvare. È tutto il contrario dell’opera di quelli che agiscono sempre per uccidere, ad esempio quelli che fanno le guerre. Il Signore, mediante il suo servo Mosè, guida Israele nel deserto come fosse un figlio, lo educa alla fede e fa alleanza con lui, creando un legame d’amore fortissimo, come quello del padre con il figlio e dello sposo con la sposa”.
Ma ha senso – si è chiesto il Papa – parlare di scelta, predilezione, per Dio che è già Signore di tutto e di tutti? “Certo ha risposto -, Dio possiede già tutta la Terra perché l’ha creata, ma il popolo diventa per Lui un possesso diverso, speciale: la sua personale ‘riserva di oro e argento’…
Ebbene, tali noi diventiamo per Dio accogliendo la Sua alleanza e lasciandoci salvare da Lui. La misericordia del Signore rende l’uomo prezioso come una ricchezza personale che Gli appartiene, che Egli custodisce e in cui si compiace”. In conclusione, “sono queste le meraviglie della misericordia divina, che giunge a pieno compimento nel Signore Gesù, in quella nuova ed eterna alleanza consumata nel suo sangue, che con il perdono distrugge il nostro peccato e ci rende definitivamente figli di Dio (cfr. 1Gv 3,1), gioielli preziosi nelle mani del Padre buono e misericordioso”.

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Papa Francesco per la prima volta in visita alla sinagoga di Roma https://www.lavoce.it/papa-francesco-per-la-prima-volta-in-visita-alla-sinagoga-di-roma/ Fri, 22 Jan 2016 11:51:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45114 Papa Francesco con il rabbino capo Riccardo Di Segni in visita alla sinagoga di Roma
Papa Francesco con il rabbino capo Riccardo Di Segni in visita alla sinagoga di Roma

Papa Francesco ha portato il “saluto di pace” agli ebrei, italiani e non solo, nel corso della sua “prima visita” alla sinagoga di Roma il 17 gennaio. Proprio così l’ha definita: “prima visita”, quasi a prometterne un’altra.
Bergoglio è il terzo Pontefice a mettere fisicamente piede nell’edificio, dopo Giovanni Paolo II nel 1986 e Benedetto XVI nel 2010.Entrambi erano però stati preceduti da Giovanni XXIII che benedisse la comunità ebraica all’esterno della sinagoga sul Lungotevere, suscitando scalpore e gioia.
La visita di Wojtyla fu “storica”. Quella di Ratzinger, “controversa” a causa delle voci che circolavano circa la possibile beatificazione di Pio XII. Un giorno probabilmente verrà riconosciuta in via ufficiale l’opera di Papa Pacelli a favore degli ebrei perseguitati, ma è giusto rispettare la sensibilità diffusa, specie su un tema così delicato; tant’è che Papa Francesco ha lasciato cadere il caso Pacelli. Quanto alla sua visita, avviene in un momento di tensioni e stragi causate dal terrorismo islamico.
“Nel dialogo interreligioso – ha detto il Papa – è fondamentale che ci incontriamo come fratelli e sorelle davanti al nostro Creatore e a Lui rendiamo lode; che ci rispettiamo e apprezziamo a vicenda, e cerchiamo di collaborare. Nel dialogo ebraico-cristiano c’è un legame unico e peculiare, in virtù delle radici ebraiche del cristianesimo: ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune (cfr. Nostra aetate , 4), sul quale basarsi e continuare a costruire il futuro”.
Dopo aver richiamato, a questo proposito, il 50° anniversario del Concilio Vaticano II, ha aggiunto: “Insieme con le questioni teologiche, non dobbiamo perdere di vista le grandi sfide che il mondo di oggi si trova ad affrontare. Quella di un’ecologia integrale è ormai prioritaria, e come cristiani ed ebrei possiamo e dobbiamo offrire all’umanità intera il messaggio della Bibbia circa la cura del creato. Conflitti, guerre, violenze e ingiustizie aprono ferite profonde nell’umanità, e ci chiamano a rafforzare l’impegno per la pace e la giustizia.
Ogni essere umano, in quanto creatura di Dio, è nostro fratello, indipendentemente dalla sua origine o dalla sua appartenenza religiosa. Ogni persona va guardata con benevolenza, come fa Dio, che porge la sua mano misericordiosa a tutti, indipendentemente dalla loro fede e dalla loro provenienza, e che si prende cura di quanti hanno più bisogno di Lui: i poveri, i malati, gli emarginati, gli indifesi. Là dove la vita è in pericolo, siamo chiamati ancora di più a proteggerla. Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita. Noi dobbiamo pregarlo con insistenza affinché ci aiuti a praticare in Europa, in Terra Santa, in Medio Oriente, in Africa e in ogni altra parte del mondo la logica della pace, della riconciliazione, del perdono, della vita”.
Il rabbino capo Riccardo Di Segni ha sottolineato che, nella “tradizione giuridica rabbinica, un atto ripetuto tre volte [come le visite papali, ndr ] diventa chazaqà , consuetudine fissa. È decisamente il segno concreto di una nuova Era”.
Quindi ha ricordato il Giubileo nella tradizione ebraica: “Non ci è sfuggito il momento iniziale in cui all’apertura della porta è stata recitata la formula liturgica ‘aprite le porte della giustizia’. Per un ebreo che ascolta è qualche cosa di noto e familiare, è la citazione del verso dei Salmi ” che “citiamo nella nostra liturgia festiva”. Tutti “attendiamo – ha detto ancora Di Segni – un momento chissà quanto lontano nella storia in cui le divisioni si risolveranno… Accogliamo il Papa per ribadire che le differenze religiose, da mantenere e rispettare, non devono però essere giustificazione all’odio e alla violenza, ma ci deve essere invece amicizia e collaborazione; e che le esperienze, i valori, le tradizioni, le grandi idee che ci identificano devono essere messe al servizio della collettività”.
All’evento era anche presente un portavoce della Knesset , il Parlamento dello Stato di Israele, Yuli Edelstein . Il quale ha ringraziato il Papa per i suoi appelli a favore della Terra Santa: questo “aiuta l’economia, sia per ebrei che per gli arabi, e potrebbe favorire la stabilità e la pace” in Medio Oriente.

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Una fede “nonostante” https://www.lavoce.it/una-fede-nonostante/ Wed, 21 Oct 2015 15:24:02 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43968 MESSALE metti piccola in commento al vangeloSiamo di nuovo lungo la strada. Gesù è ancora una volta in cammino: il suo è un eterno movimento, un percorso che fa per incontrare tutti gli uomini, ricchi e potenti, o emarginati e mendicanti, persone sole o malate che, seguendo Cristo, si avvicinano tra loro e creano relazioni forti. Viene in mente la Lettera ai Romani, dove Paolo fa tanti di nomi di gente che ha conosciuto. La Chiesa voluta da Cristo è una famiglia di persone che un giorno decidono di seguirlo. Per commentare questa pagina del Vangelo ricorriamo all’aiuto del biblista padre Ernesto della Corte, amico del nostro vescovo, mons. Mario Ceccobelli, e da lui chiamato per una settimana biblica memorabile tenutasi nella nostra diocesi nel settembre 2014. L’episodio ci presenta una persona, un cieco e mendicante, dunque qualcuno che ‘non contava niente’, tuttavia il Vangelo non solo dice come si chiamava lui, ma anche suo padre! Non può essere un caso; si vuol far capire che è un personaggio ‘importante’ (non dimentichiamo che, del tale ricco che se ne andò triste, il nome non si è mai saputo…). Il cieco è seduto: questo particolare, di nuovo non è casuale, sembra stare lì seduto come uno che non crede possa accadere qualcosa di bello, uno che non si aspetta niente, non cerca più, ripiegato com’è nella propria drammatica condizione. Poi un fatto di nuovo inaspettato: il mendicante “sente” che Gesù sta passando, e lo invoca con un’espressione che ritroveremo durante l’ingresso a Gerusalemme: “figlio di Davide”. Incredibile, ma il cieco sta svelando a tutti il “segreto messianico”, la vera identità di Gesù, ossia ciò che Gesù ha fin qui sempre impedito di rivelare agli altri miracolati. Sembra che, ora che sta per avere luogo la Passione, Gesù lasci pian piano capire che lui è veramente il Messia. Perché? Tra poco sarà evidente a quale “gloria” Gesù sta andando incontro e qual è il suo vero “trono”, la croce. Dunque il pericolo di equivoci non sussiste più. Il cieco grida verso il Signore, ed ecco la folla che lo rimprovera. Persone che si mettono in mezzo – e possiamo essere anche noi, che, pensando di fare bene, rischiamo di far allontanare chi vorremmo avvicinare a Lui. Gesù lo permette e la fede di quell’uomo viene messa alla prova, ma ne esce rafforzata, ché lui grida più forte. Gesù si ferma ma non lo chiama direttamente, lo fa chiamare da… quelli che volevano tappargli la bocca. In questo modo avvicina lui e recupera loro: che stile educativo!

Quante volte ci troviamo di fronte a un figlio che si è comportato male, a un alunno per nulla diligente o con evidenti difficoltà; se facessimo in modo che un fratello, un compagno lo avvicinasse e aiutasse, uno sarebbe risollevato, ma l’altro crescerebbe enormemente! Le persone andrebbero avvicinate, non fatte oggetto di chiacchiere e isolamento. Ora che Gesù lo fa chiamare, Bartimeo, con il suo “balzare in piedi correre e gettare il mantello”, ci dice l’entità della sua fede. Lui sì che lascia tutto quello che ha (il mantello lo salvava dal freddo della notte), ora è il piedi. Facciamo attenzione a questo fatto: Gesù non fa alcun gesto, l’uomo riacquista la vista solo per la sua fede, una fede nonostante l’essere cieco, emarginato, senza oggettive possibilità di salvezza. Da qui l’immagine finale: Bartimeo inizia a seguire Gesù. Questa è la salvezza, un uomo che si rimette in cammino ricomincia a cercare, ad aspettare, a sperare. Ma Gesù sta andando a Gerusalemme per subire la sua Passione, lo attende una nuova più drammatica “batosta”? Al contrario, il cammino dietro a Gesù, se è autentico, passa attraverso il dono della propria vita, fino alla croce, avendo fede nonostante. Si potrebbe fare un “gioco”, provando a continuare la frase: Nonostante i difetti della propria / del proprio sposo/a… nonostante un figlio si sia comportato male… nonostante una persona sia stata scortese… nonostante questo mese abbiamo finito i soldi… nonostante questo dolore/malattia… nonostante questa difficoltà nel lavoro… la fede in Gesù cosa mi porta a fare e dire? Scopriamo che viene fuori sempre qualcosa di inaspettato, paradossale, che ci fa essere migliori a beneficio nostro e degli altri! Queste contrarietà, chiamiamole pure “croci”, unite a quella di Cristo, possono farci scoprire possibilità inaspettate, che non pensavamo, e ci scopriamo non essere più nervosi, arrabbiati per ogni stupidaggine. Questa settimana abbiamo conosciuto l’esperienza di Giacomo “Jack” Sintini, campione di pallavolo che, guarito da un brutto linfoma, è tornato a vivere – e a vincere! – e che ora, grazie a questa esperienza vissuta con la forza della fede e dell’amore della sua famiglia, trascorre la vita – oltre a giocare – a portare a tutti un messaggio di speranza, con la raccomandazione a non sprecare la vita dietro a cose che non valgono niente, ma di amare ogni momento, dedicandosi anche a coloro che la malattia (lui l’ha sperimentato!) costringe all’isolamento, fino al punto di non lottare più, di mettersi seduti. Insomma, una fede nonostante.

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Macro-spunti per piste pastorali https://www.lavoce.it/macro-spunti-per-piste-pastorali/ Wed, 23 Sep 2015 14:12:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43434 assemblea-diocesana-orvieto-1
Un momento dell’assemblea diocesana

Una sala gremita ha partecipato senza batter ciglio all’intervento di mons. Arturo Aiello, vescovo di Teano – Calvi, nell’ambito dell’annuale Assemblea diocesana tenutasi a Collevalenza sabato 19 settembre.

In continuità e sulla scia di quanto scaturito dall’incontro diocesano dello scorso anno, si colloca il tema proposto: “In Cristo camminiamo in novità di vita”.

Con un linguaggio coinvolgente il presule ha offerto macro-spunti per piste pastorali, per la meditazione e per una vita cristiana concreta, facendo subito emergere la necessità di camminare: “Alzati e mettiti in cammino” – era il tema del 2014 – con Cristo, nella storia, verso il regno di Dio. Mons. Aiello ha incentrato il suo argomentare su alcuni punti focali: la Chiesa di Orvieto-Todi in cammino, sì, ma verso dove? – L’icona di Firenze (Mc.1, 21-34) – Uno stile di Chiesa: appunti per un cammino.

Stanchi di “non camminare” e di introversione o di referenzialità, è urgente e buono ascoltare Cristo che bussa alle porte della Chiesa… per uscire! Perché amare è sempre lasciare se stessi per andare verso gli altri. Perché la Chiesa è di per sé estroversa, in quanto ha a cuore il mondo. Perché siamo un popolo in cammino e questa “è – ha sottolineato – l’espressione più bella che il Concilio ci abbia consegnato”, avente fondamento biblico soprattutto nel libro dell’Esodo; preti, suore, consacrati e laici che camminano nella storia.

Camminare sì, ma verso dove? In merito a questo secondo punto, mons. Aiello ha affermato che non si tratta di un semplice far movimento né di girovagare sul motorino, sul telefonino o sul telecomando né semplicemente viaggiare da turisti. “Piuttosto – ha continuato – invochiamo la categoria del pellegrinaggio, che è un viaggio senza ritorno: anche se torno a casa, infatti, sono diverso”.

Siamo chiamati a camminare verso Gesù, con Gesù, che è Via (dimensione itinerante: il cammino di fede è a tappe), Verità (la via necessita di essere illuminata dalla luce della verità: “Lampada per i miei passi è la Tua parola”, come si legge nel Salmo 118) e Vita (dimensione esistenziale: sì, ma io non ce la faccio… Gesù è vita!).

Inoltre, facendo riferimento al Convegno di Firenze, mons. Aiello ha aiutato a riflettere sulle domande: Tu, Chiesa, quale uomo proponi? È possibile un umanesimo senza Dio? “Non c’è – ha detto – un aut (Dio) aut (uomo): in Gesù abbiamo la rivelazione massima di Dio e la rivelazione massima dell’uomo. Ecco l’uomo! L’uomo è Gesù, l’uomo per eccellenza e amico dell’uomo e dell’umano. Se Gesù è amico dell’uomo, può non esserlo la Chiesa? Sembra una domanda retorica, eppure se andiamo a vedere, talvolta manca la benevolenza”.

Siamo ispirati e aiutati dallo stile di Gesù, che, trascorrendo una giornata a Cafàrnao (Mc 1, 21-34), si reca nella sinagoga dove ridona dignità a un uomo indemoniato; nella casa di Simone dove guarisce sua suocera; e alle porte della città al tramonto dove guarisce molti. Siamo stati condotti a osservare tre luoghi geografici importanti, tre ambiti di vita: il luogo dove celebriamo la fede (sinagoga), il luogo delle relazioni primarie, dell’intimità (la casa), il luogo del condividere, della costruzione della città (la piazza, tra la gente). Una triangolazione geografica (sinagoga – casa – piazza) e di vita (credere – amare – condividere) che riguarda profondamente la pastorale.

La Chiesa necessita di questo stile, basato sui seguenti aspetti: la vicinanza, Gesù si è incarnato, la Parola si è sporcata le mani; l’aderenza e l’attenzione ai tempi, alle stagioni della vita, al linguaggio, al dolore; l’umile servizio alla Verità, non solo con concetti freddi; la compagnia, lo stare con chi piange, nella famiglia, sul lavoro, nelle carceri, nelle solitudini.

Mons. Aiello ha poi invitato a riflettere sul fatto che ci salveremo solo insieme; che preti e vescovo, laici e consacrati, tutti ci nutriamo dello stesso Pane e gli organi di partecipazione (Consiglio pastorale, ecc.) sono una scuola di comunione e quindi assolutamente necessari nonostante la fatica, le difficoltà e gli scontri che possono verificarsi.

Ecco, nonostante la difficile e complessa situazione in cui siamo immersi e un po’ sommersi, c’è la gioia di vivere da cristiani, di essere Chiesa in mezzo agli altri e per gli altri. Il nostro compito è quello di stare accanto – senza la presunzione di poter risolvere tutti i problemi – in questo momento. In Gesù e con Gesù. Cristo è sempre novità: è Lui che fa nuove tutte le cose. Gesù sorprende sempre: è fedelmente e sorprendentemente sempre Via, Verità e Vita.

 

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