fede cristiana Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/fede-cristiana/ Settimanale di informazione regionale Sat, 26 Mar 2022 20:08:34 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg fede cristiana Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/fede-cristiana/ 32 32 Non ci sono tralci senza vite https://www.lavoce.it/non-ci-sono-tralci-senza-vite/ Fri, 30 Apr 2021 10:45:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60414

Il Vangelo di questa domenica ci propone l'immagine della vite e dei tralci con la quale Gesù spiega ai discepoli il rapporto tra lui (noi) e il Padre.

L'identità del Signore

“Io sono” (Gv 15,1) è il nome di Dio. Ce lo rivela il libro dell’Esodo. Mosè chiede a Colui che si è rivelato nel roveto ardente (Es 3,1-6) la sua identità. Dio gli risponde: “Io sono” (Es 3,13-15). Il termine non indica affatto un soggettivismo e individualismo estremo. Il Signore si era rivelato a Mosè già come “il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe (v. 6) e aveva definito Israele “suo popolo” (v. 7). Nell’inviare Mosè a liberare il suo popolo, non lo lascerà solo: “Io sarò con te” (v. 11).

Il Signore, mentre definisce la sua identità, dà un’identità anche a chi rimane in Lui, e crea un legame non di possesso, ma di amore liberante: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9). Mentre afferma la sua identità di Pastore Bello (“Io sono il Buon Pastore”, Gv 10,11), Gesù, definisce noi come il suo gregge (v. 14-15), per il quale dà la vita. Ce lo ha ricordato il Vangelo di domenica scorsa (Gv 10, 11-18).

Nel Vangelo che leggiamo in questa domenica, mentre si autodefinisce, “io sono la vite”, dà il nome a ciascuno di noi: “Voi siete i tralci” (Gv 15,5). Non solo definisce la relazione con noi: gregge e tralci, ma ci lega in stretta connessione anche con il Padre, a cui dà il nome di agricoltore (Gv 15,1).

L'immagine della vigna

Dall’immagine legata alla pastorizia, Gesù passa a descrivere le relazione con il Padre e con noi attraverso le immagini contadine legate alla vigna. Essa rappresenta fin dalla tradizione profetica l’immagine del popolo di Israele. Isaia descrive questa rappresentazione nel “canto della vigna” al capitolo 5: “Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna” (5,1).

Una vigna amata di cui il Signore è il custode: “In quel giorno la vigna sarà deliziosa – cantatela! – Io, il Signore, ne sono il guardiano, a ogni istante la irrigo; per timore che la si danneggi ne ho cura notte e giorno” (Is 27,2-3).

La cura della vigna e la cura del Signore per noi

La cura della vigna è una perfetta simbologia della cura che il Signore ha nei confronti del suo popolo e per ciascuno di noi. Se non rimaniamo in Lui, perdiamo la nostra vita; se ci separiamo da Lui, la linfa vitale che ci tiene in vita non ci raggiunge più. Il testo descrive questo legame nel rapporto vite/tralci: i tralci hanno vita e producono i grappoli d’uva solo se rimangono innestati nella vite.

Così i nostri frutti di bene sono possibili solo se in profonda comunione con Lui. Affinché si producano frutti abbondanti, come la vite ha bisogno della potatura, così la nostra vita redenta ha bisogno di continua cura (Gv 15,2-3).

Le prove che sperimentiamo nella nostra vita di credenti accrescono la nostra capacità di amare, amplificando le nostre opere buone.

L’opera dell’agricoltore esprime la cura per la vigna non solo con la potatura, affinché la vite porti più frutto, ma anche con il taglio netto dei rami che sono diventati secchi. Non portano più frutto perché la linfa vitale, che procede dalla vite al tralcio, ha trovato un ostacolo.

Nella vita di fede, se ci lasciamo andare, se non curiamo più il legame vitale con il Signore, siamo come i rami secchi: morti, incapaci di generare nuova vita.

La vita di Paolo frutto della "potatura" del Signore

Nella Parola di questa domenica troviamo uno dei frutti più belli della potatura del Signore: Paolo di Tarso. Si definisce fariseo quanto alla legge, persecutore dei cristiani quanto allo zelo (Fil 3,5-6), e la sua fama era rimasta anche dopo la conversione: “Venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui” (At 9,26).

Ma l’incontro con il Cristo risorto lo rende cieco alla sua pretesa di vedere (At 9,3-9).

Paolo ha iniziato invece a vedere con occhi nuovi, e lo stesso zelo si è trasformato nella passione per il Signore e per l’annuncio del Vangelo. Il legame con Cristo, per Paolo, è divenuto inscindibile dalla sua stessa vita: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).

Gesù ha preso possesso della sua vita, rendendolo veramente libero. Per questo, Paolo può affermare: “Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1). Ma anche Paolo, innamorato di Cristo, tutt’uno con Cristo, ha bisogno della Chiesa per verificare la verità del suo amore per Cristo. Ha bisogno di verificare se il suo insegnamento su Cristo non sia magari sua “invenzione” (Gal 2,2).

Infatti la prima lettura ci dice che Paolo “aveva predicato con coraggio a Damasco” e nello stesso tempo “andava e veniva da Gerusalemme” per stare con gli altri apostoli (At 9,27-28).

Amore per Cristo e amore per la Chiesa

L’amore per Cristo è inscindibile dall’amore per la Chiesa: l’amore per la Chiesa è prova dell’amore per Cristo. Il rimanere in Lui è reso possibile dal rimanere con la Chiesa: solo così si è discepoli di Cristo, e quindi tralci ricolmi di grappoli maturi.

 

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Il Vangelo di questa domenica ci propone l'immagine della vite e dei tralci con la quale Gesù spiega ai discepoli il rapporto tra lui (noi) e il Padre.

L'identità del Signore

“Io sono” (Gv 15,1) è il nome di Dio. Ce lo rivela il libro dell’Esodo. Mosè chiede a Colui che si è rivelato nel roveto ardente (Es 3,1-6) la sua identità. Dio gli risponde: “Io sono” (Es 3,13-15). Il termine non indica affatto un soggettivismo e individualismo estremo. Il Signore si era rivelato a Mosè già come “il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe (v. 6) e aveva definito Israele “suo popolo” (v. 7). Nell’inviare Mosè a liberare il suo popolo, non lo lascerà solo: “Io sarò con te” (v. 11).

Il Signore, mentre definisce la sua identità, dà un’identità anche a chi rimane in Lui, e crea un legame non di possesso, ma di amore liberante: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9). Mentre afferma la sua identità di Pastore Bello (“Io sono il Buon Pastore”, Gv 10,11), Gesù, definisce noi come il suo gregge (v. 14-15), per il quale dà la vita. Ce lo ha ricordato il Vangelo di domenica scorsa (Gv 10, 11-18).

Nel Vangelo che leggiamo in questa domenica, mentre si autodefinisce, “io sono la vite”, dà il nome a ciascuno di noi: “Voi siete i tralci” (Gv 15,5). Non solo definisce la relazione con noi: gregge e tralci, ma ci lega in stretta connessione anche con il Padre, a cui dà il nome di agricoltore (Gv 15,1).

L'immagine della vigna

Dall’immagine legata alla pastorizia, Gesù passa a descrivere le relazione con il Padre e con noi attraverso le immagini contadine legate alla vigna. Essa rappresenta fin dalla tradizione profetica l’immagine del popolo di Israele. Isaia descrive questa rappresentazione nel “canto della vigna” al capitolo 5: “Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna” (5,1).

Una vigna amata di cui il Signore è il custode: “In quel giorno la vigna sarà deliziosa – cantatela! – Io, il Signore, ne sono il guardiano, a ogni istante la irrigo; per timore che la si danneggi ne ho cura notte e giorno” (Is 27,2-3).

La cura della vigna e la cura del Signore per noi

La cura della vigna è una perfetta simbologia della cura che il Signore ha nei confronti del suo popolo e per ciascuno di noi. Se non rimaniamo in Lui, perdiamo la nostra vita; se ci separiamo da Lui, la linfa vitale che ci tiene in vita non ci raggiunge più. Il testo descrive questo legame nel rapporto vite/tralci: i tralci hanno vita e producono i grappoli d’uva solo se rimangono innestati nella vite.

Così i nostri frutti di bene sono possibili solo se in profonda comunione con Lui. Affinché si producano frutti abbondanti, come la vite ha bisogno della potatura, così la nostra vita redenta ha bisogno di continua cura (Gv 15,2-3).

Le prove che sperimentiamo nella nostra vita di credenti accrescono la nostra capacità di amare, amplificando le nostre opere buone.

L’opera dell’agricoltore esprime la cura per la vigna non solo con la potatura, affinché la vite porti più frutto, ma anche con il taglio netto dei rami che sono diventati secchi. Non portano più frutto perché la linfa vitale, che procede dalla vite al tralcio, ha trovato un ostacolo.

Nella vita di fede, se ci lasciamo andare, se non curiamo più il legame vitale con il Signore, siamo come i rami secchi: morti, incapaci di generare nuova vita.

La vita di Paolo frutto della "potatura" del Signore

Nella Parola di questa domenica troviamo uno dei frutti più belli della potatura del Signore: Paolo di Tarso. Si definisce fariseo quanto alla legge, persecutore dei cristiani quanto allo zelo (Fil 3,5-6), e la sua fama era rimasta anche dopo la conversione: “Venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui” (At 9,26).

Ma l’incontro con il Cristo risorto lo rende cieco alla sua pretesa di vedere (At 9,3-9).

Paolo ha iniziato invece a vedere con occhi nuovi, e lo stesso zelo si è trasformato nella passione per il Signore e per l’annuncio del Vangelo. Il legame con Cristo, per Paolo, è divenuto inscindibile dalla sua stessa vita: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).

Gesù ha preso possesso della sua vita, rendendolo veramente libero. Per questo, Paolo può affermare: “Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1). Ma anche Paolo, innamorato di Cristo, tutt’uno con Cristo, ha bisogno della Chiesa per verificare la verità del suo amore per Cristo. Ha bisogno di verificare se il suo insegnamento su Cristo non sia magari sua “invenzione” (Gal 2,2).

Infatti la prima lettura ci dice che Paolo “aveva predicato con coraggio a Damasco” e nello stesso tempo “andava e veniva da Gerusalemme” per stare con gli altri apostoli (At 9,27-28).

Amore per Cristo e amore per la Chiesa

L’amore per Cristo è inscindibile dall’amore per la Chiesa: l’amore per la Chiesa è prova dell’amore per Cristo. Il rimanere in Lui è reso possibile dal rimanere con la Chiesa: solo così si è discepoli di Cristo, e quindi tralci ricolmi di grappoli maturi.

 

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Il tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2019 https://www.lavoce.it/preghiera-unita-cristiani/ Fri, 18 Jan 2019 10:00:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53810 cristiani

“La giustizia è fondamento dell’unità. Non possiamo avere unità se non abbiamo giustizia”. Così il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, commenta il tema “Cercate di essere veramente giusti” (Deuteronomio 16,18-20), che quest’anno accompagnerà le preghiere e le meditazioni della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, dal 18 al 25 gennaio.

Nel 2019 – ricorda inoltre il cardinale – la Settimana si celebra a 20 anni dalla firma della Dichiarazione congiunta sulla giustificazione tra la Federazione luterana mondiale e la Chiesa cattolica.

Quali sono le ingiustizie che più colpiscono e preoccupano le Chiese cristiane?

“L’ingiustizia fondamentale nel cristianesimo sono le divisioni, perché Gesù ha voluto ‘una’ Chiesa (Gv 17,23). In questo senso, come ha detto il Concilio Vaticano II, la divisione è una grande ferita, è contraria alla volontà del Signore, danneggia la Chiesa e danneggia l’annuncio principale del Vangelo. Ritrovare l’unità vuol dire quindi superare anche l’ingiustizia della divisione. Il tema della Settimana viene dall’Indonesia, che è un Paese formato da cittadini di diverse origini, e dove è molto importante trovare l’unità nella diversità e nella giustizia”.

Anche in Europa siamo sollecitati da altre culture che bussano alle nostre porte a causa di guerre e povertà. Il tema della Settimana quest’anno vuole essere un richiamo a essere giusti anche nei confronti di questi uomini e donne?

“Vorrei dire che l’Europa è un Continente che deve ritrovare la sua unità nella pluralità delle culture che esistono al suo interno. L’unità riconciliata. E poi vorrei anche aggiungere che la grande sfida dell’immigrazione è una grande crisi dell’Europa: possiamo risolvere questo problema soltanto con una più grande solidarietà tra i differenti Paesi. E questo manca. In questo senso, la crisi della migrazione è crisi dell’Europa”.

Sono spesso le Chiese a essere in prima linea in progetti di accoglienza e integrazione. Perché lo fanno, e quale messaggio danno all’Europa?

“I cristiani lo fanno perché credono in Dio, e Dio non è soltanto il Dio dei cristiani ma è Dio per tutti gli esseri umani. Come ha detto Gesù nel Vangelo di Matteo al capitolo 25, in tutti coloro che sono malati, che soffrono, che sono bisognosi, Cristo è presente. Aiutare chi è fuggito da Paesi lontani è, per noi cristiani, andare incontro a Cristo. C’è una presenza reale di Gesù Cristo nei poveri, nei bisognosi. Se crediamo che Cristo è presente in questo mondo, dobbiamo vedere la sua presenza in queste persone”.

Se la meta ultima del movimento ecumenico è la piena comunione delle Chiese, a che punto siamo arrivati? In questi anni, ci siamo avvicinati o allontanati da questa meta?

“È difficile da dire. Ed è soprattutto difficile fare un bilancio, perché l’ecumenismo non è un ‘nostro’ compito: il ‘ministro ecumenico’ è lo Spirito santo. Io sono soltanto uno strumento debole. Penso però che siamo riusciti ad avanzare in molte cose, anche se non abbiamo ancora raggiunto la meta, cioè l’unità visibile, soprattutto l’unità nell’eucarestia. Siamo una famiglia, siamo fratelli e sorelle, ma non possiamo partecipare alla stessa tavola. È una grande ferita. Ritrovare questa unità necessita ancora di molto tempo, richiede un lungo cammino. Si tratta, allora, di proseguire con questa visione trinitaria che dice sempre Francesco: camminare insieme, pregare insieme, collaborare insieme”.

M. Chiara Biagioni

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cristiani

“La giustizia è fondamento dell’unità. Non possiamo avere unità se non abbiamo giustizia”. Così il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, commenta il tema “Cercate di essere veramente giusti” (Deuteronomio 16,18-20), che quest’anno accompagnerà le preghiere e le meditazioni della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, dal 18 al 25 gennaio.

Nel 2019 – ricorda inoltre il cardinale – la Settimana si celebra a 20 anni dalla firma della Dichiarazione congiunta sulla giustificazione tra la Federazione luterana mondiale e la Chiesa cattolica.

Quali sono le ingiustizie che più colpiscono e preoccupano le Chiese cristiane?

“L’ingiustizia fondamentale nel cristianesimo sono le divisioni, perché Gesù ha voluto ‘una’ Chiesa (Gv 17,23). In questo senso, come ha detto il Concilio Vaticano II, la divisione è una grande ferita, è contraria alla volontà del Signore, danneggia la Chiesa e danneggia l’annuncio principale del Vangelo. Ritrovare l’unità vuol dire quindi superare anche l’ingiustizia della divisione. Il tema della Settimana viene dall’Indonesia, che è un Paese formato da cittadini di diverse origini, e dove è molto importante trovare l’unità nella diversità e nella giustizia”.

Anche in Europa siamo sollecitati da altre culture che bussano alle nostre porte a causa di guerre e povertà. Il tema della Settimana quest’anno vuole essere un richiamo a essere giusti anche nei confronti di questi uomini e donne?

“Vorrei dire che l’Europa è un Continente che deve ritrovare la sua unità nella pluralità delle culture che esistono al suo interno. L’unità riconciliata. E poi vorrei anche aggiungere che la grande sfida dell’immigrazione è una grande crisi dell’Europa: possiamo risolvere questo problema soltanto con una più grande solidarietà tra i differenti Paesi. E questo manca. In questo senso, la crisi della migrazione è crisi dell’Europa”.

Sono spesso le Chiese a essere in prima linea in progetti di accoglienza e integrazione. Perché lo fanno, e quale messaggio danno all’Europa?

“I cristiani lo fanno perché credono in Dio, e Dio non è soltanto il Dio dei cristiani ma è Dio per tutti gli esseri umani. Come ha detto Gesù nel Vangelo di Matteo al capitolo 25, in tutti coloro che sono malati, che soffrono, che sono bisognosi, Cristo è presente. Aiutare chi è fuggito da Paesi lontani è, per noi cristiani, andare incontro a Cristo. C’è una presenza reale di Gesù Cristo nei poveri, nei bisognosi. Se crediamo che Cristo è presente in questo mondo, dobbiamo vedere la sua presenza in queste persone”.

Se la meta ultima del movimento ecumenico è la piena comunione delle Chiese, a che punto siamo arrivati? In questi anni, ci siamo avvicinati o allontanati da questa meta?

“È difficile da dire. Ed è soprattutto difficile fare un bilancio, perché l’ecumenismo non è un ‘nostro’ compito: il ‘ministro ecumenico’ è lo Spirito santo. Io sono soltanto uno strumento debole. Penso però che siamo riusciti ad avanzare in molte cose, anche se non abbiamo ancora raggiunto la meta, cioè l’unità visibile, soprattutto l’unità nell’eucarestia. Siamo una famiglia, siamo fratelli e sorelle, ma non possiamo partecipare alla stessa tavola. È una grande ferita. Ritrovare questa unità necessita ancora di molto tempo, richiede un lungo cammino. Si tratta, allora, di proseguire con questa visione trinitaria che dice sempre Francesco: camminare insieme, pregare insieme, collaborare insieme”.

M. Chiara Biagioni

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Il presepio dei francescani Cappuccini a Perugia https://www.lavoce.it/il-presepio-dei-francescani-cappuccini-a-perugia/ Wed, 03 Jan 2018 16:44:17 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50898

Anche quest’anno la parrocchia Oasi di Sant'Antonio in via Canali, a Perugia, vicino a Fontivegge, per rievocare la nascita di Gesù nella grotta di Betlemme, accoglie fedeli e visitatori con il presepio artistico realizzato dalla ditta Fontanini di Lucca, ma in una rinnovata ed ampliata scenografia composta dal parroco Padre Ennio Tiacci, con la direzione artistica di Paolo Chiaramonte e le strutture progettate dall’ing. Elena Starnini Sue. Ma è soprattutto un presepio arricchito da una statua del santo di Assisi! Storicamente il presepio è davvero un fatto francescano. L'idea di preparare il presepio come facciamo oggi è attribuita a san Francesco d’Assisi. Tommaso da Celano racconta infatti, che il Santo lo realizzò a Greccio, il giorno di Natale del 1223, dopo essersi accordato con Giovanni Velita, signore di Greccio, per celebrare lì il Natale. E Greccio divenne così come una nuova Betlemme. Si dovettero aspettare circa 70 anni per vedere apparire le prime statue realizzate dal grande artista toscano Arnolfo di Cambio, che si conservano nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. In seguito, la rappresentazione simbolica della nascita di Cristo ebbe un grande successo popolare. I frati Francescani Cappuccini, nel solco di tale eredità, desiderano riconfermare l’importanza del messaggio natalizio attraverso il presepio.  Il presepio dell’Oasi, quest’anno, attraverso un’architettura rustica a tre arcate, sprigiona calore grazie alle figure dipinte a mano pezzo per pezzo, simbolo di bellezza e delicatezza, che si stagliano su un fondale lungo 13 metri. Qui, tra squarci di luce e di speranza, si rinnova lo stupore della piccola città di Betlemme, narrato con grande sensibilità plastica, attraverso l’espressione pensosa di san Giuseppe con le mani poggiate sul bastone. Ma ciò che conferisce al tutto una nota di grazia incomparabile è il volto della Vergine. Nel Vangelo di Luca si racconta che la Madonna, dopo aver partorito, avvolse il piccolo in fasce e lo mise in un “praesaepium”, cioè in una mangiatoia. È la rappresentazione di un evento di duemila anni fa. Una tradizione che valorizza e tiene vivo questo importante messaggio di pace, che ruota attorno alla cultura popolare, essendo nel DNA degli italiani, nonostante la forzata globalizzazione, rappresenta sempre un valore da preservare. Quella dei Fontanini, la ditta di Lucca che ha realizzato le statue, è una storia che affonda le proprie radici nella tradizione di Bagni di Lucca, la cittadina toscana dove vivono tuttora gli ultimi rappresentanti di quella industriosa categoria di figurinai che si tramandavano il mestiere di generazione in generazione. Dal 1908 la Fontanini è specializzata nella creazione di presepi artigianali e di varie figure della tradizione natalizia accuratamente modellate, caratterizzate da una plasticità giocata sull’intensità dei volti, dallo studio delle espressioni e dall’estrema cura del dettaglio. Oltre cento anni di qualità nell'arte del presepio, che si perpetuano da quattro generazioni per continuare l’antica tradizione dei figurinisti lucchesi. Il presepio è il simbolo della festa del Natale. È la rievocazione di un’antica storia che ha cambiato il mondo e che a distanza di secoli attrae e incanta i bambini e aiuta gli adulti a recuperare i buoni sentimenti. Grazie all’arte presepiale, riportiamo il presepio nei nostri cuori al fine di rendere il Natale - quella che san Francesco definiva la “Festa di tutte la feste” - una ricchezza interiore. Francesco Imbimbo]]>

Anche quest’anno la parrocchia Oasi di Sant'Antonio in via Canali, a Perugia, vicino a Fontivegge, per rievocare la nascita di Gesù nella grotta di Betlemme, accoglie fedeli e visitatori con il presepio artistico realizzato dalla ditta Fontanini di Lucca, ma in una rinnovata ed ampliata scenografia composta dal parroco Padre Ennio Tiacci, con la direzione artistica di Paolo Chiaramonte e le strutture progettate dall’ing. Elena Starnini Sue. Ma è soprattutto un presepio arricchito da una statua del santo di Assisi! Storicamente il presepio è davvero un fatto francescano. L'idea di preparare il presepio come facciamo oggi è attribuita a san Francesco d’Assisi. Tommaso da Celano racconta infatti, che il Santo lo realizzò a Greccio, il giorno di Natale del 1223, dopo essersi accordato con Giovanni Velita, signore di Greccio, per celebrare lì il Natale. E Greccio divenne così come una nuova Betlemme. Si dovettero aspettare circa 70 anni per vedere apparire le prime statue realizzate dal grande artista toscano Arnolfo di Cambio, che si conservano nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. In seguito, la rappresentazione simbolica della nascita di Cristo ebbe un grande successo popolare. I frati Francescani Cappuccini, nel solco di tale eredità, desiderano riconfermare l’importanza del messaggio natalizio attraverso il presepio.  Il presepio dell’Oasi, quest’anno, attraverso un’architettura rustica a tre arcate, sprigiona calore grazie alle figure dipinte a mano pezzo per pezzo, simbolo di bellezza e delicatezza, che si stagliano su un fondale lungo 13 metri. Qui, tra squarci di luce e di speranza, si rinnova lo stupore della piccola città di Betlemme, narrato con grande sensibilità plastica, attraverso l’espressione pensosa di san Giuseppe con le mani poggiate sul bastone. Ma ciò che conferisce al tutto una nota di grazia incomparabile è il volto della Vergine. Nel Vangelo di Luca si racconta che la Madonna, dopo aver partorito, avvolse il piccolo in fasce e lo mise in un “praesaepium”, cioè in una mangiatoia. È la rappresentazione di un evento di duemila anni fa. Una tradizione che valorizza e tiene vivo questo importante messaggio di pace, che ruota attorno alla cultura popolare, essendo nel DNA degli italiani, nonostante la forzata globalizzazione, rappresenta sempre un valore da preservare. Quella dei Fontanini, la ditta di Lucca che ha realizzato le statue, è una storia che affonda le proprie radici nella tradizione di Bagni di Lucca, la cittadina toscana dove vivono tuttora gli ultimi rappresentanti di quella industriosa categoria di figurinai che si tramandavano il mestiere di generazione in generazione. Dal 1908 la Fontanini è specializzata nella creazione di presepi artigianali e di varie figure della tradizione natalizia accuratamente modellate, caratterizzate da una plasticità giocata sull’intensità dei volti, dallo studio delle espressioni e dall’estrema cura del dettaglio. Oltre cento anni di qualità nell'arte del presepio, che si perpetuano da quattro generazioni per continuare l’antica tradizione dei figurinisti lucchesi. Il presepio è il simbolo della festa del Natale. È la rievocazione di un’antica storia che ha cambiato il mondo e che a distanza di secoli attrae e incanta i bambini e aiuta gli adulti a recuperare i buoni sentimenti. Grazie all’arte presepiale, riportiamo il presepio nei nostri cuori al fine di rendere il Natale - quella che san Francesco definiva la “Festa di tutte la feste” - una ricchezza interiore. Francesco Imbimbo]]>
Si può vivere senza scienza? Ne discutono scienziati, teologi e filosofi https://www.lavoce.it/si-puo-vivere-senza-scienza-ne-discutono-scienziati-teologi-e-filosofi/ Mon, 27 Feb 2017 15:21:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48674 Logo SEFIR IMMAGINEL’opinione pubblica italiana non ha sempre un atteggiamento amichevole verso la scienza. Da una parte la scienza (spesso confusa con la tecnologia o con la medicina) dovrebbe risolvere ogni problema (con la cura giusta, tramite una macchina innovativa, un algoritmo, una formula, ecc.). Dall’altra si ipotizzano commistioni oscure fra scienza e potere, al punto da immaginare che certe bufale che girano on line siano oro colato e che gli scienziati le contraddicano a vantaggio di imprecisati ‘poteri forti’.

La scienza è al contrario una pianta gracile, difficile da far crescere, alla quale è facile causare un danno grave. Per questo SEFIR – Scienza e Fede sull’Interpretazione del Reale ha ritenuto opportuno proporre ad alcuni relatori di approfondire la domanda cruciale “Si può vivere senza scienza?”, con un convegno che si terrà a Roma il 2, 3 e 4 marzo presso l’Auditorium Antonianum (Viale Manzoni, 1).

Giovedì 2 marzo, nel pomeriggio, il giornalista Luciano Onder con la sua relazione sulle rappresentazioni della scienza nella televisione italiana aiuterà a capire quali siano (e quali siano stati) gli effettivi sentimenti dei cittadini. Il filosofo Sergio Galvan con “La scienza tra ragione forte e pensiero debole”, affronterà l’argomento di come possa prosperare una scienza che desidera fornire contributi di “verità” in un momento storico di pensiero debole. La mattina di venerdì 3 marzo è dedicata a due specifiche ‘minacce’ per la scienza contemporanea. La prima mette a confronto Giovanni Pistone, affermato matematico ed esperto di statistica, con Francesca Dell’Orto, giovane filosofa e proviene dal diffondersi dell’idea che gli algoritmi – con cui si trattano le grandi masse di dati – possano agire ricavando in automatico informazioni utili e sensibili, a prescindere dall’esistenza di un modello scientifico. La seconda ‘minaccia’ – di cui parlerà Giovanni Iacovitti, docente di Ingegneria – proviene dal diffondersi dell’idea che lo sviluppo tecnologico possa sostenersi da solo, senza ricorso alla Scienza. Nel pomeriggio di venerdì 3 marzo, Silvano Tagliagambe, Professore Emerito di filosofia della scienza affronterà le dimensioni umanistiche della scienza. Seguirà un dibattito aperto a tutti per mettere a fuoco il rapporto tra scienza e promozione umana. Sabato 4, al mattino, Andrea Toniolo, della Facoltà Teologica del Triveneto di Padova, sposterà l’attenzione su un concetto di scienza più ampio, che includa anche il sapere della fede cristiana, che non può fare a meno della scienza teologica. Grazie all’aiuto di Irene Kajon si indagherà anche il punto di vista su sapere e scienza di quell’ebraismo nel quale affonda le sue radici il cristianesimo.

Il Sefir dal 2014 tiene a Perugia la settimana di studio interdisciplinare su tematiche di alta specializzazione (vedi articolo).

 

Per informazioni

SEFIR – Scienza e Fede sull’Interpretazione del Reale – Area di ricerca interdisciplinarePiazza S. Giovanni in Laterano, 4 – 00184 Roma Tel. 06.69895537 / 06.698.86298
SEFIRArea@gmail.com
www.ecclesiamater.org (voce Aree di Ricerca)

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Danimarca, dove la Pasqua per molti è solo una festa laica. Ma non per tutti https://www.lavoce.it/danimarca-dove-la-pasqua-per-molti-e-solo-una-festa-laica-ma-non-per-tutti/ Fri, 25 Mar 2016 19:11:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45831 copenhagenLe festività pasquali in Danimarca, e in generale anche nel resto della Scandinavia, sono considerate comunemente solo come un breve periodo libero dal lavoro e dalla scuola o, eventualmente, per passare qualche giorno in Paesi più caldi. È considerato ‘tempo di Pasqua’ il periodo che va dalla domenica delle Palme fino al lunedì di Pasqua compreso (chiamato andendag påsk , secondo giorno di Pasqua). La rilevanza religiosa di questa festività è scarsa. Non sono certo molti quelli che vanno in chiesa!

Le famiglie si incontrano, mangiano insieme, stanno insieme, cosa non molto comune nei Paesi nordici. Il pranzo pasquale viene accompagnato da una speciale “birra di Pasqua” (siamo in un Paese specialista per la birra). Ci sono anche altre usanze e tradizioni. Una è quella di andare alla ricerca delle uova nel giardino, dove il padre di famiglia le ha accuratamente nascoste.

Sono i bambini che ne vanno alla ricerca. Possono essere uova decorate oppure uova di cioccolato, che poi naturalmente i bambini mangiano. Nella vicina Svezia si racconta ai bambini che una lepre ha nascosto le uova nel giardino, e cosí si vanno a cercare sia la lepre che le uova. È anche la “festa delle streghe”, un po’ come la nostra Befana. Alcune bambine si vestono da streghe. C’è anche chi adorna cespugli e alberelli con piume variopinte… Un giovane comico svedese ha fatto recentemente una garbata satira contro queste tradizioni popolari che hanno sostituito il contenuto di quanto la fede cristiana cristiana ha trasmesso e che era divenuto cultura secolare della gente. Che dire riguardo a come si vive questo periodo dal punto di vista religioso? La settimana precedente la Pasqua qui viene chiamata “settimana silenziosa” (stille uge). “Neanche è chiamata santa”, mi son detto tante volte, peccato! Sì, è vero, ma… anche il richiamo al silenzio, alla riflessione è qualcosa. La gente normalmente non va in chiesa a Pasqua.

Quelli che vanno in chiesa una volta all’anno, ci vanno a Natale. Un piccolo segno visibile: a Copenaghen il Venerdì santo ha luogo la cosidetta Københavner Passionen che viene celebrata dalla Folkekirke (la Chiesa luterana danese). Si tratta di una sorta di Via crucis per alcune vie di una zona di Copenaghen. Dopo la processione i partecipanti consumano il pasto insieme.

Forse vi domanderete: ma la risurrezione di nostro Signore Gesù dove si annuncia, dove si celebra e dove si vede? È la domanda giusta, che ci riguarda un po’ tutti, dovunque. Cosa è successo della nostra Pasqua? Di quella che è la festa delle feste? Anzi, che è più che una festa, perché è una persona, è Gesù di Nazaret! “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato” dice san Paolo. Ed è risorto!

Egli è la Risurrezione e la Vita! A Pasqua i nostri fratelli ebrei dicono: ognuno si consideri come se lui stesso fosse uscito oggi dalla schiavitù d’Egitto. E noi, in forza del nostro battesimo, possiamo dire: ognuno si consideri come uscito oggi con Cristo dal sepolcro. Qui la Chiesa cattolica è piccola, ma è una speranza e una luce. Anche qui facciamo la processione delle Palme (con rami d’olivo che alcuni miei fratelli, premurosamente, per il trentesimo anno consecutivo, mi hanno mandato da Perugia).

Anche qui il santo Triduo pasquale. Anche qui adorazione della santa Croce, ricordando che è la nostra gloria e la nostra salvezza, la chiave che ha riaperto il cielo. Anche qui Veglia pasquale l’intera notte per celebrare il più grande e decisivo evento della storia, il vero Big Bang , più grande del primo, perché, come dice un antico inno cristiano: “Cristo è risorto e voi, inferi, siete stati distrutti. Cristo è risorto e i demoni sono caduti. Cristo è risorto e gli angeli si rallegrano. Cristo è risorto e nessun morto resta nel sepolcro!”.

Gioisci e rallegrati, Maria! Alleluia! E rallegriamoci tutti! Buona Pasqua!

 

(Sacerdote “fidei donum” della diocesi di Perugia, don Alviero Buco è stato parroco in missione per 25 anni in Svezia. Dal 2011, dietro suggerimento dei responsabili del Cammino neocatecumenale, è stato richiesto dal vescovo di Danimarca mons. Kozon come rettore del Seminario diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Copenaghen).

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Maestro della vera santità https://www.lavoce.it/maestro-della-vera-santita/ Tue, 27 Oct 2015 17:41:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44069 MESSALE metti piccola in commento al vangeloLe Beatitudini costituiscono il solenne esordio del Discorso della montagna. Attraverso questa parte del suo Vangelo, Matteo sembra voler mettere in guardia verso due rischi sempre in agguato: l’ortodossia sterile, ossia sentirsi “a posto” in quanto appartenenti alla Chiesa, e lo spiritualismo disincarnato, ossia tradurre la fede cristiana in un fatto solo spirituale, interiore e senza concretezza. Tuttavia non si pensi a una raccolta per riunire le linee fondamentali dell’insegnamento di Gesù, o perlomeno non solo. Matteo vuol proporre, mettendolo davanti alla comunità cristiana, l’atteggiamento che sta alla base di tutte le scelte e orienta l’agire del cristiano… perché non basta l’appartenenza alla Chiesa, l’ortodossia. Ecco l’atteggiamento con cui metterci in ascolto di queste parole: sono per noi. Oggi. Il messaggio del Vangelo si potrebbe sintetizzare tutto nell’espressione: vivere da figli di Dio, amando gli altri come noi stessi. Tuttavia è necessario tradurre le parole in azioni. Ecco allora che Gesù scende nel concreto evidenziando gli atteggiamenti da cui si possa vedere e toccare l’agire cristiano, e grazie ai quali vedere e toccare la risposta di Dio. Ma andiamo per ordine. In poche righe introduttive l’evangelista ci permette di entrare nel contesto: ci sono due gruppi di ascoltatori, la folla e i discepoli. A quale dei due gruppi apparteniamo? I discepoli, hanno lasciato tutto, stanno perennemente con Gesù, appena lui accenna a dire o fare qualcosa sono lì, in ascolto, e provano a imitarlo. Non per questo sono già santi, ma desiderano restare sempre con lui: “Signore, dove andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”. Il gruppo della folla è composto da persone che assistono a qualcosa, sentono delle parole, vedono delle cose. Potenzialmente potrebbero diventare discepoli, nella misura in cui si aprono alla Parola e si rendono conto di chi è Gesù per loro… Il monte: immagine dell’origine divina della Parola; Gesù sale per prendersi cura di quelle persone nel modo più prezioso possibile, facendo lui da tramite tra loro e Dio in persona, donando la Parola del Padre. Altre volte Gesù si pone su un monte, e lì conduce i discepoli, (Trasfigurazione, discorso di invio dopo la Resurrezione…).

Il monte è l’immagine di un luogo, o meglio di una dimensione interiore in cui Dio si rivela. Gesù si mette a sedere: sappiamo che questo gesto caratterizzava coloro che insegnavano agli altri, quindi è un segno che qualifica Gesù come Maestro e il suo discorso come un insegnamento. Ci piacerebbe però sottolineare il modo, l’atteggiamento interiore che comporta questo insegnare stando seduti. Quando un figlio chiede la nostra attenzione totale è facile sentirsi dire: “Mettiti seduto, papà, siediti vicino a me, mamma…”. Vuol dire la certezza che in quel momento noi non dobbiamo allontanarci, fare altro: semplicemente il bambino vuole essere sicuro che noi faremo quella cosa (fare i compiti, leggere una storia, montare un gioco complicato, guardare il cartone preferito…) con lui/lei, senza distrazioni, essendo tutti lì, presenti a noi stessi. Quando diciamo “insegnare” è questo che intendiamo, non il semplice trasmettere concetti o informazioni. Gesù insegna in questo modo. La mente va quasi istantaneamente all’immagine descritta nella prima lettura: alle creature, angeliche e terrestri, che sono riunite intorno a Dio seduto in trono. È vero che Dio viene presentato sul trono della sua regalità, ma non ci sembra di dire un’eresia se sottolineiamo quanto debba essere bello essere là in quella situazione dove Dio è “tutto per loro”, seduto, e loro, i santi e gli angeli, sono insieme a Lui, semplicemente godendo della sua presenza e in piena comunione reciproca… bello come solo il paradiso può essere. Del resto, noi siamo stati creati a immagine di una comunione di Persone che godono della reciproca compagnia: è nel nostro Dna. Per usare le parole di mons. Tonino Bello: “Il genere umano è chiamato a vivere sulla terra ciò che le tre Persone divine vivono nel cielo: la convivialità delle differenze”. Questo si traduce concretamente negli atteggiamenti presentati nelle Beatitudini. Santità: è la strada della santità a qualificare una persona come “santa”, non tanto il punto a cui è arrivata. Tante persone che abbiamo conosciuto, e ancor più persone sconosciute, hanno orientato la loro vita in questo modo e hanno ricominciato sempre, dopo ogni caduta, ogni volta che un ostacolo ha tentato di interrompere il loro cammino. Maria, nostra madre, è l’emblema di quanto sia tutta una questione di atteggiamento interiore e di opere di santità, piccole, quotidiane, di cui lei è maestra. O Maria, continua a ricordarci che la santità non è avere o fare qualcosa, ma essere in un certo modo. Conduci i tuoi figli a scommettere ogni giorno tutta la vita nel tentare concretamente di costruire relazioni solide con Dio e con il prossimo, per sperimentare la vera pace.

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Una casa con le porte sempre aperte https://www.lavoce.it/una-casa-con-le-porte-sempre-aperte/ Thu, 10 Sep 2015 09:42:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43157 Le "Nozze di Cana" aperte a tutti; opera del Veronese (Parigi, Louvre)
Le “Nozze di Cana” aperte a tutti; opera del Veronese (Parigi, Louvre)

All’udienza generale di mercoledì in piazza San Pietro, Papa Francesco si è soffermato sul legame tra la famiglia e la comunità cristiana: “I grandi eventi delle potenze mondane – ha esordito – si scrivono nei libri di storia, e lì rimangono. Ma la storia degli affetti umani si scrive direttamente nel cuore di Dio; ed è la storia che rimane in eterno. È questo il luogo della vita e della fede. La famiglia è il luogo della nostra iniziazione, insostituibile, indelebile, a questa storia”.

A braccio ha aggiunto: “… A questa storia di vita piena, che finirà nella contemplazione di Dio per tutta l’eternità nel Cielo, ma incomincia nella famiglia. Per questo è tanto importante la famiglia!”.

E proseguendo: “Il Figlio di Dio imparò la storia umana per questa via, e la percorse fino in fondo. È bello ritornare a contemplare Gesù e i segni di questo legame. Egli nacque in una famiglia e lì ‘imparò il mondo’: una bottega, quattro case, un paesino da niente. Eppure, vivendo per trent’anni questa esperienza, Gesù assimilò la condizione umana, accogliendola nella sua comunione con il Padre e nella sua stessa missione apostolica. Poi, quando lasciò Nazareth e incominciò la vita pubblica, Gesù formò intorno a sé una comunità, un’assemblea, cioè una con-vocazione di persone. Questo è il significato della parola ‘Chiesa’.

Nei Vangeli, l’assemblea di Gesù ha la forma di una famiglia; e di una famiglia ospitale, non di una setta esclusiva, chiusa. Vi troviamo Pietro e Giovanni, ma anche l’affamato e l’assetato, lo straniero e il perseguitato, la peccatrice e il pubblicano, i farisei e le folle. E Gesù non cessa di accogliere e di parlare con tutti, anche con chi non si aspetta più di incontrare Dio nella sua vita. È una lezione forte per la Chiesa! I discepoli stessi sono scelti per prendersi cura di questa assemblea, di questa famiglia degli ospiti di Dio”.

Passando quindi all’attualità: “Perché sia viva nell’oggi questa realtà dell’assemblea di Gesù, è indispensabile ravvivare l’alleanza tra la famiglia e la comunità cristiana. Potremmo dire che la famiglia e la parrocchia sono i due luoghi in cui si realizza quella comunione d’amore che trova la sua fonte ultima in Dio stesso. Una Chiesa davvero secondo il Vangelo non può che avere la forma di una casa accogliente, con le porte aperte, sempre. Le chiese, le parrocchie, le istituzioni, con le porte chiuse non si devono chiamare chiese, si devono chiamare musei!”.

Riprendendo quindi un’affermazione contenuta nel libro Gli insegnamenti di J. M. Bergoglio (Lev, 2104) a cura del Pontificio consiglio per la famiglia: “Contro i centri di potere ideologici, finanziari e politici… riponiamo le nostre speranze in questi centri di potere? No! Centri dell’amore! La nostra speranza è in questi centri dell’amore, centri evangelizzatori, ricchi di calore umano, basati sulla solidarietà e la partecipazione”.

In definitiva, “rafforzare il legame tra famiglia e comunità cristiana è oggi indispensabile e urgente. Certo, c’è bisogno di una fede generosa per ritrovare l’intelligenza e il coraggio per rinnovare questa alleanza. Le famiglie a volte si tirano indietro, dicendo di non essere all’altezza: ‘Padre, siamo una povera famiglia e anche un po’ sgangherata’, ‘Non ne siamo capaci’, ‘Abbiamo già tanti problemi in casa’, ‘Non abbiamo le forze’. Questo è vero. Ma nessuno è degno, nessuno è all’altezza, nessuno ha le forze! Senza la grazia di Dio, non potremmo fare nulla. Tutto ci viene dato, gratuitamente dato. E il Signore non arriva mai in una nuova famiglia senza fare qualche miracolo. Ricordiamoci di quello che fece alle nozze di Cana. Sì, il Signore, se ci mettiamo nelle sue mani, ci fa compiere miracoli! I miracoli di tutti i giorni, quando c’è il Signore, lì, in quella famiglia.

Naturalmente, anche la comunità cristiana deve fare la sua parte. Ad esempio, cercare di superare atteggiamenti troppo direttivi e troppo funzionali, favorire il dialogo interpersonale e la conoscenza e la stima reciproca. Le famiglie prendano l’iniziativa e sentano la responsabilità di portare i loro doni preziosi per la comunità. Tutti dobbiamo essere consapevoli che la fede cristiana si gioca sul campo aperto della vita condivisa con tutti. La famiglia e la parrocchia devono compiere il miracolo di una vita più comunitaria per l’intera società”.

 

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Tutto il bello dell’Umanesimo https://www.lavoce.it/tutto-il-bello-dellumanesimo/ Thu, 02 Jul 2015 09:55:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=37142  L’Angelus di Millet
L’Angelus di Millet

“Non si può capire Firenze se non nel segno di una visione che mette insieme, e non distingue, la dimensione caritativa e quella culturale: una fede cristiana che si fa immagine di bellezza e vita di carità. L’unità di questi due elementi è il contesto in cui vogliamo accogliere il Convegno ecclesiale nazionale di novembre”.

Lo ha affermato l’arcivescovo della città, card. Giuseppe Betori , nel presentare le iniziative culturali che l’arcidiocesi promuove in occasione del Convegno che vedrà la Chiesa italiana riunirsi proprio a Firenze per riflettere sul tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”.

Le iniziative culturali, ha aggiunto Betori, serviranno “a far vedere che l’Umanesimo fiorentino non è stato una voce che distacca l’uomo da Dio, o che pone l’uomo sopra Dio, ma un riscoprire l’uomo alla luce della fede”.

La proposta culturale si articolerà essenzialmente in quattro iniziative. La prima è la mostra “Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana”; si svolgerà a palazzo Strozzi.

Un percorso sul rapporto tra arte e Sacro tra metà Ottocento e metà Novecento. In esposizione opere come la Pietà di Van Gogh in prestito dai Musei Vaticani, la Crocifissione bianca di Chagall, da Chicago, e l’Angelus di Millet dal Musée d’Orsay di Parigi.

Gli spazi sotterranei della basilica di San Lorenzo ospiteranno invece la mostra “Si fece carne. L’arte contemporanea e il Sacro”: dall’ex-voto di Yves Klein ad artisti come Mimmo Paladino e Giuliano Vangi, con una sezione dedicata anche a una selezione delle opera commissionate ad artisti contemporanei in occasione della pubblicazione del Nuovo lezionario Cei .

Le iniziative culturali promosse dall’arcidiocesi di Firenze comprendono inoltre la pubblicazione di un volume, che sarà offerto a tutti i convegnisti, dal titolo Icone dell’uomo. Arte e fede a Firenze nel Rinascimento (ed. Mandragora) in cui quattro tra i massimi esperti di arte sacra – Cristina Acidini, Antonio Natali, Antonio Paolucci, Timothy Verdon – rileggono venti opere d’arte di scuola fiorentina, da Giotto a Michelangelo, alla luce della teologia e della fede del tempo in cui sono nate.

“Nell’arte dell’Umanesimo e del Rinascimento – ha ricordato mons. Verdon – l’iconografia cristiana è dominante: possiamo dire che è nella raffigurazione di Cristo e di Maria che l’arte di quel periodo ha ridefinito l’immagine dell’uomo”.

L’ultima iniziativa sarà dedicata a Dante, nel 750’ anniversario della nascita: un percorso a cura dell’associazione Culter che farà ripercorrere, nel complesso della basilica di Santa Croce, gli ambienti e i personaggi della Divina Commedia attraverso suoni, profumi e colori, secondo lo stile della “lettura popolare” che ha sempre reso accessibile Dante a un vasto pubblico di appassionati, esperti e gente comune.

 

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Martiri cristiani, tutti uguali e tutti diversi https://www.lavoce.it/martiri-cristiani-tutti-uguali-e-tutti-diversi/ Fri, 27 Mar 2015 14:36:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31131 Il discorso del card. Bagnasco al Consiglio permanente della Cei (vedi qui) parla con toni accorati delle vittime della violenza sfrenata e disumana contro i cristiani, ponendo molte domande che rimangono senza risposta, ma comunque “uccisi soltanto perché cristiani” secondo l’affermazione del Papa. Il giorno 24, nella Giornata della memoria dei martiri cristiani, abbiamo ricordato le persone che continuano a versare il sangue per il Vangelo in tante parti del mondo. La giornata, nata per ricordare l’assassinio del vescovo di El Salvador Oscar Romero, mentre stava celebrando la messa, è divenuta un’occasione per meditare e pregare per la Chiesa, per la sua fedeltà, il suo coraggio; perché i cristiani non si tirino indietro per paura e continuino a testimoniare la fede esponendosi di persona anche in situazioni di rischio. Leggo anche sui giornali di due preti arrestati in Cina mentre stavano celebrando la messa, con l’accusa di propaganda religiosa illecita. La “cristianofobia” d’altra parte si sta diffondendo perfino nelle nostre campagne (si veda la vicenda della benedizione della scuola di Sterpete). Riflettendo sulla storia cristiana, spesso raccontata in termini unilateralmente superficiali e negativi, si constata che non si può più cominciare con “l’epoca delle persecuzioni e dei martiri” come in alcuni testi di storia antica, intendendo i primi tre secoli d.C., perché l’epoca di martiri è ininterrotta, con variazioni di quantità e di modi, ma sempre presente come un filo rosso che lega tra loro i secoli.

Uno sguardo sull’oggi ci fa notare che vengono presi di mira dai terroristi interi gruppi di persone che professano la fede cristiana. Ciò avviene in Paesi dove imperversano organizzazioni criminali che agiscono in nome di una religione e di un ideale politico-religioso da imporre con ogni mezzo. A questo genere di martiri che potremmo chiamare “anonimi” o di massa, nel senso che i loro nomi saranno ricordati solo da Dio, ve ne sono altri che sono stati presi di mira singolarmente per la loro fede, ma anche per la loro attività e per l’attrazione che esercitavano sull’ambiente circostante. Si pensi a don Santoro, ai monaci di Tibirine, sempre in Algeria, e a Pierre Claverie, di cui vorrei raccontare in breve la storia a quasi vent’anni dalla sua morte. Era stato consacrato vescovo a 43 anni e nominato per la sede di Orano, città della Algeria. È stato freddato, insieme al suo giovane autista musulmano, da uno o più feroci assassini il 1° agosto 1996. Aveva 58 anni. Era nato e vissuto in Algeria nei primi vent’anni della sua vita, aveva studiato in Francia e scelto la vita di consacrazione a Dio nell’Ordine domenicano. Una persona ben inserita tra la sua gente, non solo i cattolici ma tutte le persone del luogo. Basti dire che al suo funerale una giovane musulmana, Oum El Kheir, rese questa testimonianza: “Amici, devo confidarvi una cosa: il mio padre, fratello e amico Pierre mi ha insegnato ad amare l’islam, mi ha insegnato a essere musulmana amica dei cristiani d’Algeria. Ho imparato con Pierre che l’amicizia è prima di tutto fede in Dio, è amore, è solidarietà umana. Amici miei, oggi sono la vittima del terrorismo, della barbarie della vigliaccheria. Sono la figlia musulmana di Claverie”. Il Vescovo domenicano, a sua volta, aveva scritto un anno prima di morire: “La Chiesa non è al mondo per conquistare, e neppure per salvarsi insieme ai suoi beni. Essa è, con Gesù, legata all’umanità sofferente. Essa compie la sua missione e la sua vocazione quando è presente alle lacerazioni che crocifiggono l’umanità nella carne e nell’unità”. (Per saperne di più: J.J. Pérennès, Vescovo tra i musulmani. Pierre Claverie, martire in Algeria, Città nuova, 2004)

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24 marzo, Giornata della memoria dei missionari martiri https://www.lavoce.it/24-marzo-giornata-della-memoria-dei-missionari-martiri/ Fri, 20 Mar 2015 14:07:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31015 Igor Mitoraj, “Risurrezione”, bronzo (2002), basilica S. M. degli Angeli e dei Martiri, Roma
Igor Mitoraj, “Risurrezione”, bronzo (2002), basilica S. M. degli Angeli e dei Martiri, Roma

Un Cristo risorto dalla bellezza apollinea, ma con gli arti troncati come un’antica statua, e il corpo scavato in profondità da una “trincea” a forma di croce: è l’immagine scelta per l’edizione 2015 della Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, che si celebra il 24 marzo.

La statua è opera di Igor Mitoraj, uno dei massimi scultori del XX secolo, scomparso di recente. La sua arte univa il senso di vuoto e l’angoscia della contemporaneità alla perfezione estetica greca. In qualche modo è ciò che avviene per i martiri, il cui dolore e il cui sangue sono seme della fede e sono degni di eterno onore, tanto che, secondo la dottrina teologia “classica”, i segni delle ferite rimarranno visibili, trasfigurati, anche dopo la risurrezione.

“Come battezzati – scrivono i ragazzi di Missio Giovani – abbiamo ricevuto e accolto il segno della Croce, che ci invita a farci prossimi a tutti quei fratelli e sorelle, missionari e popolazioni, che in molte parti del mondo soffrono a causa della loro testimonianza alla fede cristiana. La Croce ci segna, ci dice appartenenti gli uni agli altri, perché tutti assieme uniti a Cristo. Se con lui siamo sepolti, però, sappiamo anche che con lui saremo risorti (cfr. Romani 6,4).

Ecco intravedersi l’alba della Risurrezione tra le ferite della Croce… La luce della speranza nel cammino della prova: il sacrficio dei martiri non è invano, non rimane infecondo… è anche questa la gioia che vogliamo annunciare! Nel tempo forte della Quaresima, nel segno della Croce, sperimentando le nostre fragilità, alziamo lo sguardo verso l’orizzonte della vita: il Risorto, speranza di tutte le genti”.

In base ai dati raccolti dall’agenzia di informazione Fides, nel 2014 sono stati uccisi nel mondo 26 operatori pastorali (vedi l’elenco in fondo all’articolo), tre in più rispetto al 2013. Per il sesto anno consecutivo, il numero più elevato di operatori pastorali uccisi si registra in America.

Nel 2014 sono morti in modo violento 17 sacerdoti, un religioso, 6 religiose, un seminarista, un laico. Dividendo per Continente, in America sono stati uccisi 14 operatori pastorali; in Africa 7; in Asia 2 e altrettanti in Oceania; e un sacerdote è stato ucciso in Europa, qui in Italia. Nel complesso, negli ultimi dieci anni sono stati uccisi nel mondo 230 operatori pastorali, di cui 3 vescovi.

Non vanno poi dimenticati quanti hanno trovato la morte non perché uccisi da qualche assassino ma dal virus Ebola, che sta mietendo migliaia di vittime in Africa occidentale, dove le strutture cattoliche – non solo quelle sanitarie – si sono mobilitate fin dall’inizio. I Fatebenefratelli, ad esempio, hanno perso in Liberia e Sierra Leone 4 confratelli, una religiosa e 13 collaboratori degli ospedali di Monrovia e Lunsar.

Come avviene ormai da tempo – precisano da Fides – l’elenco approntato per il 24 marzo non riguarda solo i “missionari ad gentes” in senso stretto, ma tutti gli operatori pastorali morti in modo violento. Il termine “martiri” viene usato nel suo significato etimologico di “testimoni”, dato che solo la gerarchia della Chiesa potrà eventualmente decidere di conferire a qualcuna di queste vittime il titolo di “martire” in senso canonico. Operazione non facile, a causa della scarsità di notizie che spesso avvolge la vita e le circostanze della morte di queste persone, magari a scopo di rapina.

Nel 2014 sono stati condannati i mandanti dell’omicidio del vescovo di La Rioja (Argentina) mons. Enrique Angelelli, 38 anni dopo il suo assassinio che fu camuffato da incidente stradale. Sono stati anche condannati i mandanti e gli esecutori dell’assassinio di mons. Luigi Locati, vicario apostolico di Isiolo (Kenya), assassinato nel 2005; e arrestati i responsabili della morte del rettore del Seminario di Bangalore (India), padre Thomas, ucciso nel 2013.

Desta ancora preoccupazione la sorte di padre Paolo Dall’Oglio, rapito in Siria nel 2013; di tre sacerdoti congolesi Agostiniani dell’Assunzione, sequestati nel Nord Kivu nell’ottobre 2012; di padre Alexis Prem Kumar, rapito il 2 giugno scorso a Herat in Afghanistan.

Perché il 24 marzo

“Nel segno della Croce” è il tema della 23a Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, che si celebra il 24 marzo di ogni anno. Il 24 marzo 1980 venne infatti ucciso mons. Oscar A. Romero, vescovo di San Salvador. Sarà beatificato il 23 maggio nel suo Paese natale. La celebrazione della Giornata prende ispirazione da quell’evento sia per fare memoria di quanti hanno immolato la propria vita annunciando il Vangelo fino alle estreme conseguenze, sia per ricordare il valore supremo della vita che è dono per tutti. Fare memoria dei martiri è acquisire una capacità interiore di interpretare la storia oltre la semplice conoscenza. Accanto alle 26 persone di cui si farà speciale memoria martedì, non vanno dimenticati gli oltre 4.000 cristiani (4.344) che nel 2014 sono stati uccisi dai persecutori, soprattutto nell’area musulmana.

I martiri del 2014

Qui di seguito, l’elenco dei missionari o operatori pastorali uccisi nel 2014. Di ognuno si fornisce il nome, la nazionalità, l’istituto di appartenenza, data e luogo della morte.

Don Eric Freed, Stati Uniti d’America, sacerdote diocesano, il 1° gennaio a Eureka

Padre Jesus Erasmus Plaza Salessi, Venezuela, salesiano, il 16 febbraio a Caracas; e insieme a lui fratel Luis Edilberto Sanchez Morantes, Colombia, salesiano

Don Rolando Martinez Lara, Messico, sacerdote diocesano, il 19 febbraio a Canalejas

Don Lazzaro Longobardi, Italia, sacerdote diocesano, il 3 marzo a Sibari

Don Juan Francisco Blandon Meza, Nicaragua, sacerdote diocesano, il 6 aprile a Wiwili

Padre Frans van der Lugt, Olanda, gesuita, il 7 aprile a Homs (Siria)

Don Christ Forman Wilibona, Repubblica Centrafricana, sacerdote diocesano, il 18 aprile a Bossangoa

Samuel Gustavo Gómez Veleta, Messico, seminarista diocesano, il 15 aprile a Chihuahua

Don Gerry Maria Inau, Papua Nuova Guinea, sacerdote diocesano, il 4 maggio a Bereina; e insieme a lui un laico di nome Benedict

Padre Gilbert Dasna, Camerun, dei Sons of Mary Mother of Mercy, il 9 maggio ad Alberta (Canada)

Suor Juliana Lim, Malaysia, della Congregazione del Bambino Gesù, il 21 maggio a Seremban

Don Paul-Emile Nzale, Centrafrica, sacerdote diocesano, il 28 maggio a Bangui

Padre Kenneth Walker, Usa, della Fraternità sacerdotale di San Pietro, l’11 giugno a Phoenix

Suor Mary Paule Tacke, Usa, delle Missionarie del Preziosissimo Sangue, il 20 giugno a Tyara (Sudafrica)

Suor Clecensia Kapuli, Tanzania, delle religiose di Our Lady Queen of Apostles, a Dar es Salaam

Suor Lucia Pulici, Italia, missionaria saveriana, il 7 settembre a Bujumbura (Burundi); e con lei, le consorelle suor Olga Raschietti e suor Bernadetta Bogian

Don José Acuña Asención Osorio, Messico, sacerdote diocesano, il 21 settembre a San Miguel Totolapan

Don Reinaldo Alfonso Herrera Lures, Venezuela, sacerdote diocesano, il 27 settembre a La Guaira

Padre Andrés Duque Echeverry, Colombia, sacerdote diocesano, il 3 ottobre a Medellìn

Padre John Ssenyondo, Uganda, comboniano, a Chilapa (Messico)

Don Gregorio Lopez Grosotieta, Messico, sacerdote diocesano, il 21 dicembre a Ciudad Juarez

Don Alfonso Comina, Perù, sacerdote diocesano, il 24 dicembre a Pisco

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Il tempo giusto per l’annuncio https://www.lavoce.it/il-tempo-giusto-per-lannuncio/ Tue, 27 Jan 2015 17:50:02 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30004 È un sabato speciale a Cafàrnao, città dove avvenivano importanti scambi commerciali tra Siria e Egitto, e che diventa il luogo abituale del ministero pubblico di Gesù in Galilea. Qui il Vangelo di Marco fa iniziare l’attività pubblica di Gesù, che in una sola giornata insegna, compie miracoli e prega. Dapprima insegna: entra nella sinagoga, dove ci si riuniva ogni sabato per pregare e leggere le Scritture. Tra quanti potevano frequentare la sinagoga e prendere parola per esortare o insegnare, c’era anche Gesù. Il quale suscita un certo stupore tra i convenuti: dimostra infatti un’autorità che sembra provenire da fuori, dall’alto, non dalla tradizione.

Sembra avere confidenza e intimità con quelle antiche parole della fede di Israele, più di quanta ne avevano coloro che si appellavano “dottori”: non dice nulla di scorretto, conosce bene quei testi e le abitudini interpretative dei teologi del tempo. Eppure, si avverte nelle sue parole una novità, qualcosa che oltrepassa l’immediata comprensione di chi lo sta ascoltando. Per accogliere questa novità occorre pazientare e preparare il cuore e la mente di chi ascolta: per questo Gesù inizia insegnando, per preparare la mente a comprendere la novità e il mistero dell’Incarnazione che lui stesso testimonia. Insegnando, Gesù deve portare alla luce pensieri impliciti, già insiti nella storia di salvezza contenuta nei testi sacri ma bisognosi di un’ermeneutica genuina e capace di dare conto di un Dio che si fa Uomo.

Il tempo che Gesù passerà a insegnare sarà tutto orientato a questo sforzo pedagogico, colmo della pazienza di chi sa che non è facile, per molti, ammettere la possibilità di un’ulteriore interpretazione. Gesù deve convincere che le interpretazioni possono essere formalmente corrette, ma ciò che conta non è la forma bensì la sostanza di ciò che si insegna: conta aprire nella mente uno spazio per il mistero di un Dio incarnato che si svelerà sulla croce. Soltanto questa sarà la giusta interpretazione. Gesù insegna per dare i criteri con cui rendere più semplice accogliere la sua persona, in continuità con l’antica Alleanza. Spesso anche a noi accade di smarrire la fede dentro il nostro modo di capire la fede stessa: così non comprendiamo la Chiesa, non comprendiamo il Papa, non comprendiamo i fratelli, non comprendiamo il Vangelo.

Non capiamo, non per la debolezza dell’affetto verso tutto questo o per la pochezza della nostra volontà di aderire a Cristo. Non capiamo, piuttosto, per la debolezza dell’intelletto, che vorrebbe chiudere in pensieri ristretti l’ampiezza insondabile della verità di Gesù. Di fronte a questa occorre dapprima ascoltare, accogliere, lasciare che la voce di Gesù lavori in noi: poi è possibile capire. Si apre dunque la seconda scena del Vangelo di Marco: Gesù guarisce l’indemoniato.

È il primo esorcismo con cui Gesù inaugura la sua attività miracolosa. Gli spiriti immondi gli obbediscono: questo mostra la sua autorità, ne è la prova. Ma come è possibile che, prima ancora dei fedeli in sinagoga, siano gli spiriti immondi a riconoscere Gesù? Come è possibile che con la verità abbiano più confidenza gli spiriti immondi che gli esseri umani? Lo spirito del male – immondo non per un’impurità fisica ma per la sua avversione a Dio – dichiara in poche parole tutto ciò che occorreva sapere: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!”. Forse pronunciandone il nome, “Gesù Nazareno”, vuole cacciarlo, poiché sa che Gesù è lì per la rovina del demonio. Gesù è il Santo di Dio, colui che Dio ha mandato come superiore a ogni profeta e a ogni altro uomo. Gesù, però, come tante altre volte accadrà nel corso del suo ministero, gli impone di tacere; come tante altre volte non vuole che si comunichi questa verità, che ancora troppi non potevano capire. Non poteva essere il demonio a svelare la verità, poiché la verità nella bocca del male non può essere compresa.

Gesù sa che la verità va comunicata al momento giusto, al tempo opportuno; il demonio invece vuole che Gesù fallisca, anticipa e grida chi è Gesù perché possa insinuarsi il dubbio e la paura tra i presenti. Ne facciamo esperienza anche noi, ogni volta che non facciamo conoscere Gesù ma ne diamo una descrizione “vera”. Ovvero una descrizione corretta, valida, coerente con la fede cristiana, ma incapace di portare Gesù a quanti non lo hanno ancora conosciuto, a quanti non hanno né il cuore né la mente sufficientemente “irrigati” per poter accogliere questo mistero. Diceva Ruggero Bacone, francescano vissuto nel XIII secolo, che occorre stare molto attenti nel non cadere in questi errori: ne va della fede di coloro che sono lontani o indecisi, e di questa fede mancata potremmo essere noi i responsabili.

Questa dinamica può capitare anche in famiglia: quando qualcuno è più avanti nel cammino di fede, si fa sentire l’altro in errore e non si vive l’amore di Gesù in comunione con l’altro. Gesù impone al demonio di smettere di parlare, e vince, ottenendo immediatamente la liberazione dell’indemoniato. Lo stupore dei presenti è enorme: non tanto per l’esorcismo, ma per l’efficacia del comando di Gesù, che doma la prepotenza del demonio e svela la propria radice divina.

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“Ravviva il Dono e la carità” https://www.lavoce.it/ravviva-il-dono-e-la-carita/ Fri, 23 Jan 2015 11:45:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29899 Un momento del ritiro mensile del clero della diocesi di Orvieto-Todi
Un momento del ritiro mensile del clero della diocesi di Orvieto-Todi

Giovedì 15 gennaio, nella la casa diocesana di Spagliagrano di Todi si è svolto il ritiro spirituale mensile del clero della diocesi.

L’incontro ha avuto inizio, come di consueto, con l’adorazione e la preghiera dell’ora media. Alla lettura breve, il vescovo Benedetto Tuzia ha dettato una riflessione spirituale sulle parole affettuose e impegnative: “Ravviva il dono di Dio che è in te” che san Paolo rivolge a Timoteo, il quale, rispondendo al dono di Dio, compie un servizio ecclesiale.

“In questo servizio – ha detto mons. Tuzia – vogliamo vedere la partecipazione a quel sacerdozio ministeriale di cui il Signore ci ha fatto grazia, e che in Lui ci unisce e ci accomuna. Un dono che può perdere forza e luminosità; ciò può accadere quando non si avverte più quella forza per la fatica delle responsabilità. Si cade nella solitudine per la impossibilità di rivolgersi a chi può dare consigli, e per la negligenza nella pratica spirituale quotidiana”.

Successivamente, in sala convegni, è stato trattato il tema della carità diocesana. Marcello Rinaldi, presidente della Caritas diocesana, e don Marco Gasparri, vicario episcopale per la carità, hanno presentato i dati più rilevanti relativi alle attività dei centri Caritas 2014.

Oggi sul territorio sono aumentati, rispetto al primo Rapporto (del 2013), i punti di rilevazione. Sono presenti infatti sul territorio i Centri di accoglienza di Orvieto, Todi, Acquasparta, Collepepe, Villa San Faustino, mense di Orvieto e Todi, il Centro rifugiati e richiedenti asilo di Todi, il “Progetto tratta” di Todi e il “Progetto carcere” di Orvieto. Questi centri offrono un’immagine articolata e realistica dei bisogni che “gli ultimi della fila” esprimono quando bussano alla porta delle chiese e delle Caritas.

Per i relatori, anche il 2014 è stato un anno assai denso di impegni, orientati secondo una triplice dimensione: la presenza nello spazio civile, nella comunità ecclesiale e, in primo luogo, accanto a chi soffre ed è nel bisogno.

Di seguito, alcuni dati particolarmente significativi registrati nell’anno 2014: 36.001 interventi per beni e servizi materiali; 11.508 pernottamenti; 51.910 micro-interventi, di cui 11.501 per l’accoglienza a lungo termine e 32.428 i pasti erogati. Va osservato che la domanda più alta è rappresentata dalla fascia di età compresa tra 25 e 34 anni, con 15.856 passaggi.

Le opere-segno della Caritas diocesana si prefiggono di animare il territorio e di offrire un percorso e uno spazio di evangelizzazione. Vorrebbero narrare la capacità della fede cristiana di essere accanto all’Uomo contemporaneo e, in particolare, alle sue fragilità.

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Una vita fiduciosa in Dio https://www.lavoce.it/una-vita-fiduciosa-in-dio/ https://www.lavoce.it/una-vita-fiduciosa-in-dio/#comments Fri, 28 Nov 2014 13:00:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29201 Francesco Testaferri e Lucia Marcaccioli con le figlie
Francesco Testaferri e Lucia Marcaccioli con le figlie

Francesco Testaferri e Lucia Marcaccioli sono la coppia che a partire da questo numero – dopo i coniugi Biagini, che ringraziamo – ci accompagnerà nella lettura del Vangelo per il periodo d’Avvento.

Cresciuti nella parrocchia di San Raffaele Arcangelo in Madonna Alta di Perugia, fin da ragazzi hanno partecipato alle numerose attività di formazione giovanile offerte dalla parrocchia, collaborando poi come animatori per i vari gruppi. “È lì – racconta Francesco – che ci siamo conosciuti, pur seguendo attività di gruppi diversi. Prima accompagnando i bambini, poi i ragazzi, fino agli universitari”.

Dopo aver maturato le proprie scelte di vita e di studio, Francesco è diventato docente all’Istituto teologico di Assisi; Lucia è ingegnere. Si sono sposati e vivono attualmente nella parrocchia d’origine, che continuano a frequentare e con la quale collaborano nelle varie iniziative. Lucia fa parte del coro parrocchiale.

Oggi hanno due bambine che accompagnano con semplicità nella loro fede cristiana. “Cerchiamo – dice ancora Francesco – di ritagliare più tempo possibile per stare insieme e per impartire loro, attraverso l’esempio, la testimonianza di una vita senza tante cose, ma abitata dalla fiducia in Dio”.

Francesco, laureato in Filosofia, ha poi compiuto tutto il percorso di studi all’Istituto teologico di Assisi, dove insegna dal 1998; oggi è docente ordinario di Teologia fondamentale. Ha pubblicato vari testi su diversi temi: i più recenti, un manuale di Teologia fondamentale e una pubblicazione sulla questione del Gesù storico.

“Per noi – conclude – è la prima esperienza in questo senso. Mi pare bello che venga chiesto a una coppia di commentare una pagina del Vangelo. È la dimostrazione di come la Parola di Dio animi la vita della Chiesa fino alle espressioni più quotidiane quale è quella della famiglia, non limitandosi alle persone specializzate, agli addetti ai lavori”.

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A Perugia il Convegno nazionale degli scrittori cristiani: “La teologia della poesia” https://www.lavoce.it/a-perugia-il-convegno-nazionale-degli-scrittori-cristiani-la-teologia-della-poesia/ Fri, 07 Nov 2014 12:37:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28883 Il poeta Clemente Rebora
Il poeta Clemente Rebora

Dal 21 al 23 novembre si svolgerà a Perugia il Convegno nazionale di scrittori di ispirazione cristiana.

Questo di Perugia è il quarto convegno dopo i primi tre svoltisi a Firenze che hanno visto dal 2011 al 2013 vari scrittori riflettere, discutere e analizzare tematiche relative al rapporto tra letteratura e fede cristiana.

Il tema dell’assise è “La teologia della poesia”, come la poesia cioè si accosta alla teo-logia, al Discorso su Dio nella evoluzione della vita e della storia dell’uomo. Pur nella varietà dei costumi e delle culture, può suscitare particolare interesse quanto già diceva Boccaccio nella sua Vita di Dante “Dico che la teologia e la poesia quasi una cosa si possono dire, dove uno medesimo sia il suggetto; anzi dico più: che la teologia niuna altra cosa è che una poesia di Dio”: uno stretto rapporto e intreccio tra il Divino e l’umano nelle sue espressione più rette e originali.

Il convegno prevede una relazione introduttiva e generale sulla poesia del secondo Novecento: un periodo storico di grande evoluzione, innovazione, inquietudine; il poeta come si colloca? come si fa portavoce? Nei due giorni successivi si aprono relazioni su singoli poeti di ispirazione cristiana del secondo Novecento come Mario Luzi, Alessandro Parronchi, Clemente Rebora, Carlo Betocchi, Divo Barsotti, Giovanni Testori e una Tavola rotonda su “I diritti della poesia, la poesia di Bartolo Cattafi, la poesia in Bufalino, Pirandello e la ricaduta poetica e artistica nella vita pastorale di un prete-poeta”. È previsto anche un concerto durante il quale verranno declamate poesie dei suddetti poeti.

Si tratta di una tre giorni in cui, in generale, non prevale la spettacolarità, ma la riflessione e l’analisi che sono all’origine della “con-versione poetica ed esistenziale”. Tra i vari relatori (che provengono dalle università di Milano, Urbino, Perugia, Pavia, Bologna) segnaliamo Davide Rondoni, Salvatore Ritrovato, Daniele Piccini, Melo Freni, Paolo Iacuzzi, Paola Severini Melograni, Donatella Bisutti, Gianni Mussini, Luca Nannipieri e altri. L’iniziativa è organizzata in collaborazione con il Progetto culturale della Cei, l’arcidiocesi di Perugia, il Comune di Perugia. La segreteria del convegno è composta da Letizia La Monica, Giorgio Tabanelli, Maurizio Tarantino e don Vincenzo Arnone.

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Papa Francesco va in Corea e incontra i giovani dell’Asia https://www.lavoce.it/giovani-asiatici-svegliatevi/ Thu, 07 Aug 2014 12:50:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27473 Allestimento di un poster della mostra fotografica di Papa Francesco ”Ciao, Papa Francesco!” presso il Centro Culturale Sejong di Seoul, Corea del sud (Foto AP)
Allestimento di un poster della mostra fotografica di Papa Francesco ”Ciao, Papa Francesco!” presso il Centro Culturale Sejong di Seoul, Corea del sud (Foto AP)

Saranno 6.000 i giovani che da tutto il Continente asiatico parteciperanno nella diocesi coreana di Daejeon alla VI Giornata della gioventù asiatica. L’evento si svolgerà dal 13 al 17 agosto e avrà per tema “Asian youth! Wake up! The glory of the martyrs shines on you!” (Giovani dell’Asia, svegliatevi! La gloria dei martiri brilla su di voi). Di questi 6.000, mille saranno i giovani delegati provenienti da 23 Paesi del Continente asiatico.

“Il costo del viaggio – spiega padre Woo Suk Jeong, responsabile della Pastorale vocazionale della diocesi di Daejeon – e la difficoltà dei giovani spesso provenienti da Paesi estremamente poveri dell’Asia hanno impedito una partecipazione più numerosa”. Si presume invece che saranno 5.000 i giovani cattolici coreani che parteciperanno alla Giornata della gioventù.

Due gli appuntamenti speciali che i giovani tutti insieme vivranno con Papa Francesco: l’incontro di venerdì 15 agosto presso il santuario di Solmoe e domenica 17 per la celebrazione conclusiva della VI Giornata della gioventù asiatica al castello di Haemi. Altro appuntamento molto atteso è il “tradizionale” pranzo che un gruppo di giovani avrà con il Santo Padre. Si terrà al Seminario maggiore di Daejeon; ad avere la fortuna di pranzare con il Papa saranno 23 rappresentanti di altrettanti Paesi del Continente asiatico.

L’incontro dei giovani a Daejeon si svolgerà in maniera molto dinamica. Non sono molti infatti i programmi “in sala”. I giovani si muoveranno in pellegrinaggio da un santuario all’altro visitando i luoghi della persecuzione e andando alla radice su cui questa diocesi, oggi estremamente vitale, affonda la sua storia, cioè sul martirio del santo Andrea Kim Dae Gon, originario proprio di quella zona, al quale è dedicato il santuario di Salmoe.

Ma il sangue dei martiri cristiani irrora questa terra: nel XVIII e XIX secolo, questa regione fu teatro di una violentissima persecuzione che costò la vita a 10 mila fedeli. Ufficialmente ci sono nella diocesi 19 santuari a loro dedicati, ma sono molti altri i luoghi in cui le ossa dei martiri sono sepolte, e nessuno sa dove esattamente, per cui l’intera diocesi di Daejeon può essere chiamata un luogo sacro. “È importante – dice padre Woo Suk Jeong – che i giovani si mettano alla scuola dei martiri e dei santi, conoscano la loro storia di fede per imparare a guardare con speranza anche alla loro vita, in cui ci saranno sempre dolori e momenti di bui”.

Una Corea altamente sviluppata accoglierà Papa Francesco. È la patria della tecnologia; sede storica della Samsung, azienda che oggi conta filiali in 58 Paesi e che è stata fondata nel 1938 da Lee Byung-chul a Taegu, nell’attuale Corea del Sud. Ma dalle parole di padre Woo Suk Jeong si capisce che tutto, anche la straordinaria crescita economica del Paese, ha un prezzo. Intanto in termini esistenziali: “I giovani soprattutto – spiega – vivono sotto la pressione di uno stress fortissimo, perché sono figli di una cultura fortemente competitiva. C’è stress per entrare all’Università, stress per entrare nel mondo del lavoro, stress per rimanerci. E non è un caso che la Corea sia uno dei Paesi che conta tra i più alti tassi di suicidio nel Continente”.

Nel 2005, quasi la metà della popolazione sudcoreana non ha espresso alcuna preferenza religiosa. Anche “la famiglia sta crollando”: il tasso di natalità è bassissimo (1,2 figli per coppia), perché “i figli costano. Tanti giovani – aggiunge il sacerdote – si sono allontanati dalla fede, e Dio sembra per molti essere scomparso dalla loro vita. Proporre allora in questo contesto la Parola di Dio e la fede cristiana significa indicare che è possibile vivere un’altra vita, sicuramente più libera, più vera”.

Il programma

14 agosto – Incontro a Seul con le autorità.

Incontro con i Vescovi cattolici

15 agosto – Messa nella solennità dell’Assunzione presso il World Cup Stadium di Daejeon.

Incontro con i giovani dell’Asia presso il santuario di Solmoe

16 agosto – Messa di beatificazione di Paul Yun Ji-Chung e 123 compagni martiri, a Seul.

Incontro con le comunità religiose in Corea a Kkottongnae; segue incontro con i leader dell’Apostolato laico

17 agosto – Incontro con i Vescovi dell’Asia nel santuario di Haemi

Messa conclusiva della 6a Giornata della gioventù asiatica, presso il castello di Haemi

18 agosto – Messa per la pace e la riconciliazione nella cattedrale di Myeong-dong

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La diocesi di Orvieto dopo il boom del cristianesimo https://www.lavoce.it/la-diocesi-di-orvieto-dopo-il-boom-del-cristianesimo/ Thu, 10 Jul 2014 18:04:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=26015 Carsulae-cmyk
Il sito di Carsulae lungo la via Flaminia completamente abbandonato dopo l’arrivo dei barbari

Non ci può essere identificazione tra “Chiesa” e “struttura”. Una tale impostazione porterebbe la Chiesa a diventare una realtà più sociologica che un’ispirazione vivente, anche se le strutture sono una mediazione necessaria perché il Vangelo possa inserirsi nel tessuto umano. La Chiesa ha dovuto rispondere a diverse esigenze pastorali e darsi continuamente nuovi modi di presenza nel territorio.

Con l’imperatore Teodosio (380 d.C.), molti si convertono anche nei vici, e nei pagi (villaggi) si creano gruppi di credenti. I vescovi iniziano a inviare, a questo embrione di quello che saranno le parrocchie, dei “presbiteri visitatori”, come si comprende da una lettera di papa Innocenzo (anno 400) a Decenzio, vescovo di Gubbio.

Non tutto funziona perfettamente, non sempre si trovano presbiteri sufficienti e adatti a questo genere di ministero che richiedeva spostamenti difficili e sottraeva il tempo al lavoro (i presbiteri spesso avevano famiglia e si mantenevano con le proprie mani). Comunque è un periodo in cui le Chiese si espandono anche nelle campagne ed emergono figure di vescovi molto attivi e presenti, come Cresconio di Todi.

L’ingresso di molti nella Chiesa e il conseguente calo della qualità, con il pericolo della mondanità, ora che lo Stato protegge e favorisce la fede cristiana, fa nascere in alcuni il desiderio di una vita più elevata, di una fede più pura: è l’inizio del monachesimo. Le sante Degna e Romana, che hanno il loro sepolcro a Todi, sono le antesignane di un movimento che svilupperà nel futuro. Nel VI secolo quelle strade che erano state percorse dai primi cristiani divennero le vie percorse dai barbari; la guerra greco-gotica fa scomparire le diocesi nate lungo la strade consolari, oggetto di facile conquista. Scompare il Vicus ad Martis lungo la Flaminia, e con l’invasione prima dei Visigoti e poi dei Longobardi termina anche la diocesi di Bolsena.

La romana Volsinii, posta lungo la via Cassia, aveva una comunità cristiana formatasi con molte conversioni anche di persone ragguardevoli, come ci testimoniano le inscrizioni delle catacombe sorte intorno al sepolcro della martire Cristina. Il vescovo Candido trasferisce la sede episcopale a Orvieto, luogo munito di difese naturali. A Todi durante la guerra gotica il vescovo san Fortunato è l’autorità di riferimento per le popolazioni stremate e decimate. Oltre le guerre ci sono anche problemi ecclesiali: mancanza di vocazioni, dissidi interni e lunghe “vacanze” delle sedi vescovili. Le diocesi in crisi sono affidate ai vescovi “viciniori” come visitatori; il fenomeno, iniziato nel sec. VI, termina definitivamente tra il sec. VIII e IX con il completo inglobamento di queste diocesi in altre realtà diocesane.

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Uno sguardo al passato e all’oggi https://www.lavoce.it/uno-sguardo-al-passato-e-alloggi/ Thu, 26 Jun 2014 16:40:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25874 catacomba di Santa Cristina -Bolsena
catacomba di Santa Cristina -Bolsena

Si parla spesso di passaggio cruciale che la Chiesa nel suo insieme sta vivendo. Qualcuno fa notare, giustamente, che la Chiesa non ha mai smesso di passare da una situazione all’altra.

La Chiesa sta dentro la storia e ne subisce i contraccolpi. È un fatto chiaro che tutta la “struttura” attuale non è possibile gestirla come sempre abbiamo fatto. Vivendo in un’epoca di passaggio, ci troviamo di fronte a tante problematiche pastorali, strutturali e organizzative. Non navighiamo nel buio, perché il Signore ci invia dei segni che dobbiamo saper interpretare per percorrere nuove vie.

Una diocesi, pur nella pienezza del suo essere Chiesa, non è una monade ma vive nella Chiesa universale, ed è inserita nella dimensione regionale e nazionale, dove le problematiche sono simili ad altre Chiese. Gesù nel Vangelo di Matteo ci dice che “ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e antiche”.

Dobbiamo saper attingere, da questo grande tesoro, quanto è necessario per la causa di Cristo per il tempo di oggi. Facile a dirsi, difficile da realizzare. Sicuramente, con la lamentela che i tempi sono cattivi e il passato era tutto rose e fiori, non andiamo da nessuna parte.

L’inizio del cristianesimo nel nostro territorio avvenne tra grandi tribolazioni. Ignoriamo i successi pastorali del vescovo san Terenziano quando il 1° settembre di un anno sconosciuto del II secolo fu trascinato fuori dalle mura della pagana Tuder e decapitato. Sicuramente i pochi credenti avranno pensato alla fine di tutto, della loro esperienza di fede, della loro vita comunitaria…

Oppure a Volsinii – l’attuale Bolsena – centro dell’antico culto della dea Norzia, divinità della fortuna e del destino, che speranza poteva avere la comunità cristiana quando Urbano, l’orgoglioso e snaturato padre di santa Cristina, fece uccidere la figlia perché cristiana? Gli inizi furono tragici, occorre sfrondare il mito nato dopo questi eventi e rapportarsi alla realtà dei fatti. Guardare alle origini del fatto cristiano, ma non per celebrare un’età dell’oro che mai è esistita (nella Chiesa delle origini si celebrano i martiri, ma sappiamo che vi furono molti lapsi che crearono seri problemi riguardo alla loro riammissione nella comunità, terminata l’ondata persecutoria).

All’inizio, il contatto con la città di Roma, reso agevole dal sistema viario che attraversava la nostra regione, ha permesso ad alcuni di incontrare la fede cristiana: prima è nata la fede in Gesù e poi sono seguite le strutture. Ci sono voluti i secoli per penetrare nel mondo pagano.

Nei primi decenni del IV secolo il noto “rescritto di Spello” ci evidenzia come sussistesse un forte legame con il paganesimo, nonostante la politica filo-cristiana dell’imperatore Costantino.

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Visita del Vescovo Giuseppe Piemontese all’Ospedale di Terni https://www.lavoce.it/visita-del-vescovo-giuseppe-piemontese-allospedale-di-terni/ Tue, 24 Jun 2014 15:26:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25749 piemontese-in-visita-all'ospedale-1Padre Giuseppe Piemontese, neo vescovo di Terni Narni Amelia, ha voluto iniziare il suo ministero episcopale incontrando i malati e i sofferenti, visitando, ieri lunedì 23, i vari reparti di degenza dell’ospedale “Santa Maria” di Terni, salutando i malati, familiari e operatori sanitari ad uno ad uno, rivolgendo loro parole di vicinanza e speranza e benedicendo i bambini. Nella visita è stato accompagnato da direttore sanitario dott. Leonardo Bartolucci, dal direttore responsabile del Presidio Ospedaliero  dott. Sandro Vendetti, dal coordinatore Personale Dipartimento Maternità/infanzia dott.ssa Maria Antonietta Bianco, dal primario del Reparto Geriatria dott.ssa Maria Grazia Proietti, che hanno illustrato al vescovo le varie strutture e l’organizzazione del presidio ospedaliero di Terni.

È seguita la celebrazione della messa nella solennità del Corpus Domini nella cappella dell’ospedale, presieduta dal Vescovo Piemontese e concelebrata dai cappellani padre Ceslao e padre Mario dell’ordine dei fari minori cappuccini e dal moderatore della Curia don Franco Fontana, alla presenza dei volontari dell’Unitalsi che hanno accompagnato i malati, del personale infermieristico e medico, dei malati e familiari e delle missionarie Identes che svolgono attività di volontario per i ricoverati in ospedale.

A loro il vescovo ha rivolto parole di saluto e ringraziamento per l’accoglienza e partecipazione, ricordando che: “In questo luogo è particolarmente presente Gesù, il vero buon samaritano, che abbraccia ognuno come ha abbracciato e curato nell’anima e nel corpo, tanti malati quando era in terra, e una schiera infinita di uomini e donne che nella storia a Lui si sono rivolti. Nella festa di oggi adoriamo Gesù come Eucarestia, lo incontriamo vivo e vero, in corpo sangue, anima e divinità. A lui possiamo rivolgere con fede il nostro grido interiore:”Signore, se vuoi puoi guarirmi!” Rinnoviamo la nostra fede, offriamo la nostra collaborazione e accostiamoci a Lui, che ha preso su di sé i nostri dolori e ha voluto essere pane di vita, farmaco che guarisce tutte le malattie dell’anima e del corpo e dona la vita per sempre. Ricordiamo che servire un fratello, specie se piccolo, malato, significa servire Cristo”.

Facendo quindi riferimento alla malattia e alla sofferenza di chi è ricoverato in ospedale ha ricordato quale sia il ruolo e l’impegno di coloro che vivono accanto ai malati: “Di fronte alla sofferenza, anzi a persone sofferenti, possiamo fare tanto: prestare le cure del caso, cercare nuovi farmaci e nuove cure, alleviare il disagio e a volte l’umiliazione di chi ha bisogno di tutto e si affida agli altri. E’ la Mission della vostra struttura, assunta da tutti gli operatori che prestano il loro servizio, in qualunque modo, in questo luogo.

Ma di fronte a persone sofferenti oltre che nel corpo anche nell’animo, i farmaci non bastano. Occorre l’attenzione e la cura dettate dall’amore. L’amore per i propri simili, uomini, donne, bambini che vengono guariti dal combinato di farmaci e tanto rispetto, attenzioni e affetto. Vi sono inoltre, persone inferme, che sperimentano sulla propria persona l’insulto e la prova di una malattia e di un decadimento che non hanno prospettive di ripresa. E’ un mondo che più degli altri pone interrogativi umanamente senza risposta, ma che tuttavia necessitano di attenzione medica, umana e spirituale, di speranza. Di fronte a tutta questa umanità sofferente, in questo luogo tanti buoni samaritani si chinano per curare col balsamo del lenimento e della misericordia”.

“Certamente tra di voi alcuni non ispirano la loro vita ai principi della fede cristiana – ha concluso il vescovo -. Ebbene i loro gesti di attenzione sincera e coscienziosa verso ogni uomo e donna sofferente sono ammirevoli, e anche se non ne sono consapevoli, al momento del rendiconto finale, essi saranno riconosciuti meritevoli di encomio e saranno ricompensati alla stessa stregua di chi ha agito per fede. Fratelli e amici, grazie per quello che fate, abbiate traguardi sempre più ambiziosi al servizio dell’uomo per ridare gioia, serenità e salute a uomini e donne, che sono fratelli e sorelle in umanità e in Gesù Cristo. Poniamo sull’altare le sofferenze e l’impegno di tutti perché Gesù ci santifichi e ravvivi la speranza, racchiusa nel cuore di ciascuno”.

Dopo la celebrazione è proseguita la visita nei reparti tra cui pediatria e maternità dove il vescovo si è intrattenuto con i bambini e le neomamme.

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I 60 anni de La Voce e i 30 di Umbria Radio: nel web, ma legati al territorio https://www.lavoce.it/i-60-anni-de-la-voce-e-i-30-di-umbria-radio-nel-web-ma-legati-al-territorio/ Fri, 02 May 2014 13:11:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24640 voce-redazione-bnL’iniziativa che proponiamo all’attenzione degli operatori della comunicazione e di coloro che ne sono interessati, sabato 3 maggio, risponde ad alcune esigenze proprie di questo periodo di vita della Chiesa e della società in generale. Ci troviamo di fronte al problema di come considerare la storia e l’esperienza del nostro recente passato in rapporto al settimanale cattolico regionale La Voce, nel suo 60° anno di vita, e nel 30° di Umbria Radio.

Sappiamo tutti molto bene che oggi il passato non solo non è di moda, ma non conta, ed è anzi motivo di disturbo. Credo tuttavia che non si debba correre il rischio di cadere nella perdita della memoria, prima di tutto la memoria delle persone. Troppo spesso, con disinvolta facilità, vengono archiviati in contenitori abbandonati nei ‘sottoscala’ i ricordi di persone che hanno speso una vita per una causa giusta e un progetto culturale e pastorale. Questa memoria, che non può attualizzarsi nell’ordinario svolgersi del lavoro quotidiano, deve trovare spazio almeno in quelle svolte della storia che sono, o almeno possono essere, gli anniversari. Senza rimanere inchiodati al passato, coltivare una memoria vigile e disincantata, riconciliata e purificata dal tempo, non può che essere una ricchezza come scoperta di radici che nutrono i rami traendo linfa vitale da un terreno profondo, fertile e ben coltivato.

Ma il confronto più immediatamente vivo e inevitabile per l’evidenza e l’immediatezza del presente in fugace cambiamento è con le sfide delle nuove tecnologie e della nuova mentalità. Ci troviamo di fronte a un tale cambiamento di mezzi, soggetti e fini, che ci sentiamo spesso travolti e sorpassati, incapaci di fare il punto. Il punto di dove siamo, che cosa facciamo, che cosa sta succedendo. Siamo in cerca della sintonia, della connessione, dell’integrazione nel pannello della comunicazione globale, un posto fermo nel flusso delle informazioni a valanga.

Abbiamo accettato la sfida della comunicazione 2.0, della Rete, con i social network e con le conseguenze che ciò comporta. Abbiamo superato la fase della problematizzazione, e siamo entrati con coraggio nella fase dell’operatività, ritenendo il nuovo – innestato nel profondo e nella libertà della fruizione – come un’opportunità.

Tutto ciò, rimanendo fedeli al territorio. Molti lo “saltano”, preferendo i paradisi facili dell’“evasione”, sia pure devota, evitando il morso del terreno che frana sotto i piedi e della miseria materiale e morale che ci circonda. I media legati al territorio oggi sono messi di fronte al rischio di scomparire. Lo sforzo che si deve compiere è rinnovarsi per poter tenere fermo il punto attorno a cui si attivano percorsi culturali e sociali di educazione all’identità e alla appartenenza, di democrazia, e di rispetto del pluralismo.

La nuova “cultura dell’incontro” proposta con segni eclatanti da Papa Francesco sta a indicare che solo rimanendo nella periferia in cui siamo possiamo svolgere un servizio che metta al centro la persona nel suo “essere a”, nella sua essenziale apertura ad essere per l’altro, a diventare un “noi” sempre più ampio, fino a essere universale. Quest’iniziativa, con l’esecuzione della Messa in Si minore di J. S. Bach, vuole anche comunicare che siamo dentro una storia – come si accennava sopra – che non perde nulla di quanto le è stato affidato, sapendo che molte sono le vie della comunicazione, e quella della musica religiosa appartiene alla più nobile e ricca storia della cristianità.

Alle lotte e alle violenze di un tempo conflittuale, un genio musicale e religioso insieme ha trovato l’ispirazione giusta per condurre le persone alla contemplazione di un mondo riconciliato e pacificato che non cessa di invocare con le note di Bach: dona nobis pacem, l’ultimo dei 27 pezzi che compongono la straordinaria Grande Messa. La Messa in Si minore di Bach è la musica religiosa più bella, alta e profonda che sia mai stata scritta da uomo.

La Chiesa in Umbria, e coloro che svolgono il compito di comunicatori, operano in questo orizzonte del Bello, del Sacro, di ciò che eleva l’anima e può suggerire pensieri di bontà e di pace a ogni persona, travalicando i confini della fede cristiana. Valori radicati nel territorio, così come lo sono il coro e l’orchestra, realtà nostre, della nostra Umbria finalmente, una volta tanto, protagonista.

Il programma

SABATO 3 MAGGIO

Ore 18 – Perugia, sala del Dottorato (presso le logge della cattedrale)

“Protagonisti in Umbria”, dibattito per i 60 anni de La Voce e i 30 anni di Umbria Radio. Intervengono Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, Paolo Bustaffa, coordinatore di Eurocom, Antonio Preziosi, già direttore di Radio Uno, mons. Elio Bromuri, direttore del nostro settimanale, e mons. Paolo Giulietti, direttore di Umbria Radio.

Ore 21 – Perugia, cattedrale

Saluto del card. Gualtiero Bassetti.

Messa in Si minore – BWV 232 di Johann Sebastian Bach, eseguita dal coro dell’Accademia degli Unisoni e dall’Orchestra da camera di Perugia, diretti dal m° Leonardo Lollini.

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Giornata dei missionari martiri: storie di bassifondi e di salvezza https://www.lavoce.it/giornata-dei-missionari-martiri-storie-di-bassifondi-e-di-salvezza/ Fri, 21 Mar 2014 14:27:11 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23818 Carcasse di auto bruciate e devastazione dopo lo scoppio di una bomba durante la Messa in una chiesa in Nigeria
Carcasse di auto bruciate e devastazione dopo lo scoppio di una bomba durante la Messa in una chiesa in Nigeria

La fede non è qualcosa di accessorio o marginale nel contesto della vita cristiana. Anzi, è l’essenza di una umanità autentica, rinnovata dall’esperienza della croce, di cui missionari e missionarie martiri sono stati testimoni. Ed è proprio a loro che va il nostro plauso, ogni anno, il 24 marzo, in occasione della Giornata dei missionari martiri. Si tratta di un’iniziativa promossa dal Movimento giovanile missionario (Missio giovani), con l’intento di fare memoria di coloro che hanno dato la vita per la causa del Regno, nelle periferie del mondo. La data è quella della tragica uccisione dell’arcivescovo di San Salvador, mons. Óscar Arnulfo Romero y Galdámez, nell’ormai lontano 1980.

Una giornata di preghiera e digiuno, nel cuore del tempo quaresimale, per ricordare con il cuore e con la mente quei vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici stroncati nel compimento della loro missione. Da questo punto di vista, è davvero illuminante la testimonianza di mons. Romero, che costituisce una sorta di paradigma per cogliere il significato del martirio. Le cronache del tempo ci rammentano che aveva da poco concluso la sua omelia durante la messa vespertina nella cappella dell’ospedale della “Divina Provvidenza” di San Salvador. Proprio nel solenne momento dell’elevazione del calice, un sicario gli sparò a sangue freddo.

La vita di mons. Romero e di tanti apostoli che hanno condiviso la passione di Nostro Signore ci induce a una sorta di discernimento sulla nostra quotidianità, sperimentando innanzitutto e soprattutto il turbamento e l’inquietudine di fronte al Mistero. Sì, per tutte le vicissitudini e angherie che avvengono nei bassifondi della Storia, nella consapevolezza però che la loro – come anche la nostra – è storia di salvezza.

Infatti, ricordando i missionari martiri è possibile comprendere che l’amore non è un’astrazione filosofica o un banale sentimento dell’anima, ma la prova fattiva che i veri cambiamenti sono resi possibili solo attraverso il dono della propria vita. Non è un caso se Tertulliano scriveva che “il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”, evocando la nascita della Chiesa dalla croce di Cristo.

Storie avvincenti, quelle dei nostri missionari, che toccano il cuore perché riescono ancora oggi a ricomporre il legame inscindibile tra il Vangelo e la vita quotidiana. Stiamo parlando di persone in carne e ossa, la cui identità non si è mai fondata sul disprezzo e sulla prevaricazione nei confronti del prossimo, ma sulla – talvolta scomoda e comunque radicale – conformazione a Cristo. Viene naturalmente spontaneo chiedersi come mai, per poter conoscere qualche frammento dell’attualità africana o del Sud del mondo più in generale, si debba per forza aspettare che qualcosa di doloroso debba investire la loro esistenza. La domanda forse andrebbe rivolta ai gestori dell’informazione, soprattutto in Italia, i quali, forse per disattenzione o negligenza, dimenticano che il diritto di cittadinanza nel “villaggio globale” esige una conoscenza dell’alterità, indipendentemente dalla collocazione geografica di questo o quel popolo.

Allora il modo migliore e più efficace per rendere il giusto tributo a queste “sentinelle della carità”, di cui oggi rimangono forse solo gli stretti parenti e amici a ricordarne i nomi, sta proprio nel “dare voce a chi non ha voce”, alla gente che hanno servito risolutamente, con grande abnegazione.

La loro testimonianza pertanto non solo rappresenta una forte provocazione, considerando il nostro malessere determinato dalla congiuntura in cui versa l’economia mondiale, ma dovrebbe indurci a un deciso cambiamento di rotta. A pensarci bene, ci salveremo da un futuro pervaso da peccaminosi egoismi e fondamentalismi solo se sapremo metterci alla loro scuola, quella della gratuità, dell’accoglienza nei confronti dei poveri e degli “attardati”.

Una visione spirituale dell’esistenza umana, tanto cara a Papa Francesco, ma non sempre condivisa nella nostra società dove l’interesse particolare prende troppe volte il sopravvento sul bene comune. Dimenticando l’universalità dell’amore missionario, che è senza confini.

Le cifre relative al 2013

Stando al recente computo pubblicato dall’agenzia missionaria Fides, complessivamente 22 persone legate alle attività pastorali sono state uccise nel 2013, quasi il doppio rispetto all’anno precedente: 19 sacerdoti, una religiosa e due laici. In America Latina sono stati uccisi 15 sacerdoti, di cui ben 7 in Colombia, inoltre 4 in Messico, e uno rispettivamente in Brasile, Haiti, Panama, Venezuela. In Africa hanno perso la vita un sacerdote in Tanzania, una religiosa in Madagascar e una laica in Nigeria. In Asia, un martire in India, uno in Siria, uno nelle Filippine. In Italia, don Michele Di Stefano è stato ucciso a bastonate. La loro testimonianza di vita rappresenta il valore aggiunto della fede cristiana che, peraltro, si evince dal tema scelto quest’anno per celebrare questa giornata: Martyrìa. Chi è infatti il martire se non il testimone pronto a dare tutto incondizionatamente?

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