Eugenio Scalfari Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/eugenio-scalfari/ Settimanale di informazione regionale Wed, 05 Aug 2015 13:50:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Eugenio Scalfari Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/eugenio-scalfari/ 32 32 Lo invidia https://www.lavoce.it/lo-invidia/ Wed, 13 May 2015 09:55:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=33283 Come possiamo noi cattolici contribuire al bene comune? Ieri c’era la Dc. È andata bene, all’inizio, e anche abbastanza a lungo. Poi nei suoi sotterranei hanno prolificato le pantecane. Ma oggi? Ne sto parlando, nel corso di una cena di “quelle di una volta”, con un amico che di politica ne sa molto più di me. Nostalgia, nostalgia canaglia. “Bianco Padre, che da Roma // ci sei meta, luce e guida… // siamo arditi della fede, // siamo araldi della croce…”. C’era dell’integrismo in quelle note baldanzose, caspita se c’era!, ma c’era anche la voglia irruente di costruire quella giustizia che poi abbiamo costruito solo in alcune sue parti periferiche, non insignificanti, peraltro.

Ricordi. E subito si disegna nella memoria il profilo di De Gasperi. Di come resistette con la stessa forza al radicalismo di Dossetti e alla volontà di Pio XII di un’alleanza dei cattolici con i fascisti, “purché Roma non cadesse in mano della sinistra”. E il mio ricordo va subito a quella giornata di fine agosto 1954 quando, per partecipare ai funerali del grande statista, alle 9 di mattina nella basilica romana di Santa Maria degli Angeli alle Terme, partimmo da Gubbio in pullman… a mezzanotte e percorremmo tutta la Flaminia, dentro e fuori mille paesi e cento città, alla velocità di un ciclista zoppo.

Ma oggi? Silenzio. Stiamo aspettando un porceddu dalla Sardegna, dovrebbe arrivare bell’e cotto, ma evidentemente il servizio traghetti ha difficoltà con i porceddu cotti. “Dimmi un po’, ma quel Graziano del Rio…”. Già, quello che al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti ha sbarellato i veri padroni dell’Italia, i direttori generali dei vari Ministeri. E qui mi accorgo che il mio amico di Del Rio sa tutto. Della sua numerosissima famiglia, del suo impegno come medico e come ricercatore universitario, della sua fedeltà al ministero di diacono (o forse solo di ministro straordinario dell’eucaristia).

“Per di più, in una Roma pesante, bloccata dalla massoneria culturale dell’anti-cattolicesimo, quella che impedisce a Eugenio Scalfari di saltare il fosso e convertirsi a quel Cristo del quale parla come nessun altro esponente del suo mondo, e anche, in parte, del nostro mondo cattolico”. Silenzio. “Ma come fai a sapere tutto di un uomo politico di una generazione diversa dalla nostra?”. Silenzio. Mi guarda. E mi gela: “Perché lo invidio!”. L’ennesima riproposta di un motto sacro, antico e sempre nuovo: “Siate sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in voi”.

 

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Il Papa non arriva “da solo” https://www.lavoce.it/il-papa-non-arriva-da-solo/ Thu, 03 Oct 2013 14:34:54 +0000 https://www.lavoce.it/?p=19515 A Papa Francesco che viene da noi abbiamo dedicato uno “speciale” in cui abbiamo tentato di rappresentare la voce dell’Umbria, di tutta la gente umbra, quella che offre l’olio per la lampada votiva che arde sulla tomba di san Francesco. Tutta l’Umbria, infatti, dalle otto diocesi, da parrocchie, città e Comuni si mette in cammino, come un unico popolo, incontro a Papa Francesco. Un pellegrinaggio religioso e laico insieme, e insieme evento religioso e sociale. Un Papa che si è voluto chiamare Francesco e ha assunto come propria la sua personalità spirituale, ora va a visitare il suo modello e ispiratore Francesco d’Assisi, nella sua città e nei luoghi della sua vita. Abbiamo raccolto e messo insieme, nello “speciale” abbinato a questo numero de La Voce, i saluti di benvenuto, i ringraziamenti, le valutazioni, piene di ammirazione ed entusiasmo, insomma le voci delle personalità collettive, quelle che rappresentano non solo se stesse quali individui, con i loro personali sentimenti, ma anche il sentire comune delle comunità che rappresentano. E ancora, in modo particolarmente rilevante, la voce del Vescovo di Assisi e del Sindaco di quella città, la voce e le riflessioni dei Vescovi umbri e del loro presidente, dei Custodi delle due grandi basiliche francescane di Santa Maria degli Angeli e San Francesco, insieme a rappresentanti della società civile, quella della produzione e del commercio. Papa Francesco a sua volta non viene, per così dire, unico e solo. Questo Papa è divenuto “folla”. Viene insieme ai cardinali che lo aiutano alla piccola riforma della Curia vaticana e alla grande riforma della Chiesa, viene insieme alle folle che lo cercano, lo seguono e lo ascoltano. In un altro senso, possiamo dire che la sua presenza fisica evoca una folla di pensieri, quelli delle udienze, quelli quotidiani di Santa Marta. Ci porta anche il suo articolato pensiero espresso a largo raggio nell’intervista rilasciata al suo confratello gesuita Antonio Spadaro pubblicata sul n. 3918 di La Civiltà cattolica rilanciata da tutti i media del mondo. Potremmo persino dire che viene tra noi a braccetto con Eugenio Scalfari, con cui ha stretto una calorosa amicizia, insieme allo staff di Repubblica, un quotidiano non molto amato in ambito cattolico. Prepariamoci a riceverlo con devozione, affetto ed entusiastica accoglienza. Ma stiamo attenti a quanto dirà, perché non è uomo di convenevoli né di fervorini edificanti. Già dalla scelta che ha ha fatto dei luoghi da visitare possiamo scorgere la tessitura del suo messaggio, che, come un filo di Arianna, ci potrebbe portare fuori dal labirinto in cui molte volte ci ritroviamo. Nella situazione confusa della politica, nel dibattito culturale e persino nella programmazione pastorale e organizzazione delle nostre Chiese particolari, diocesi, parrocchie, religiosi, associazioni, movimenti, gruppi e gruppuscoli vari attendiamo un filo di luce. Il Francesco papa, come quello di ottocento anni fa, non è un santino oleografico di maniera, ma mira diritto a incontrare le persone, tocca il cuore e le ferite dell’anima e del corpo. Indica una via. Scuote il vecchio albero per lasciare che le foglie secche cadano, in vista di una nuova fioritura.

 

Clicca qui per scaricare il numero speciale de La Voce dedicato alla visita di Papa Francesco ad Assisi il 4 ottobre 2013

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Lettera a chi non crede https://www.lavoce.it/lettera-scalfari-papa-francesco/ Thu, 19 Sep 2013 14:01:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=19038 Eugenio Scalfari
Eugenio Scalfari
Papa Francesco
Papa Francesco

Pregiatissimo Dottor Scalfari,

è con viva cordialità che, sia pure solo a grandi linee, vorrei cercare con questa mia di rispondere alla lettera che mi ha voluto indirizzare. La ringrazio, innanzi tutto, per l’attenzione con cui ha voluto leggere l’enciclica Lumen fidei. (…)

Mi pare sia senz’altro positivo, non solo per noi singolarmente ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù.

Penso vi siano, in particolare, due circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo. Esso, del resto, costituisce, come è noto, uno degli obiettivi principali del Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII, e del ministero dei Papi che, ciascuno con la sua sensibilità e il suo apporto, da allora sino ad oggi hanno camminato nel solco tracciato dal Concilio.

La prima circostanza deriva dal fatto che, lungo i secoli della modernità, si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell’uomo sin dall’inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d’ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d’impronta illuminista, dall’altra, si è giunti all’incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro.

La seconda circostanza, per chi cerca di essere fedele al dono di seguire Gesù nella luce della fede, deriva dal fatto che questo dialogo non è un accessorio secondario dell’esistenza del credente: ne è invece un’espressione intima e indispensabile. Mi permetta di citarle in proposito un’affermazione a mio avviso molto importante dell’enciclica: poiché la verità testimoniata dalla fede è quella dell’amore — vi si sottolinea — “risulta chiaro che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti” (n. 34). È questo lo spirito che anima le parole che le scrivo.

La fede, per me, è nata dall’incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto e grazie a cui ho trovato l’accesso all’intelligenza della sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, immagine vera del Signore.

Senza la Chiesa — mi creda — non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell’immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra umanità. (…)

L’incarnazione, cioè il fatto che il Figlio di Dio sia venuto nella nostra carne e abbia condiviso gioie e dolori, vittorie e sconfitte della nostra esistenza, sino al grido della croce, vivendo ogni cosa nell’amore e nella fedeltà all’Abbà, testimonia l’incredibile amore che Dio ha per ogni uomo, il valore inestimabile che gli riconosce.

Ognuno di noi, per questo, è chiamato a far suo lo sguardo e la scelta di amore di Gesù, a entrare nel suo modo di essere, di pensare e di agire. Questa è la fede, con tutte le espressioni che sono descritte puntualmente nell’enciclica.

Nell’editoriale del 7 luglio, lei mi chiede inoltre come capire l’originalità della fede cristiana in quanto essa fa perno appunto sull’incarnazione del Figlio di Dio, rispetto ad altre fedi che gravitano invece attorno alla trascendenza assoluta di Dio.

L’originalità, direi, sta proprio nel fatto che la fede ci fa partecipare, in Gesù, al rapporto che egli ha con Dio che è Abbà e, in questa luce, al rapporto che Egli ha con tutti gli altri uomini, compresi i nemici, nel segno dell’amore. In altri termini, la figliolanza di Gesù, come ce la presenta la fede cristiana, non è rivelata per marcare una separazione insormontabile tra Gesù e tutti gli altri; ma per dirci che, in Lui, tutti siamo chiamati a essere figli dell’unico Padre e fratelli tra di noi.

La singolarità di Gesù è per la comunicazione, non per l’esclusione. Certo, da ciò consegue anche — e non è una piccola cosa — quella distinzione tra la sfera religiosa e la sfera politica che è sancita nel “dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare”, affermata con nettezza da Gesù e su cui, faticosamente, si è costruita la storia dell’Occidente. La Chiesa, infatti, è chiamata a seminare il lievito e il sale del Vangelo, e cioè l’amore e la misericordia di Dio che raggiungono tutti gli uomini, additando la meta ultraterrena e definitiva del nostro destino, mentre alla società civile e politica tocca il compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana. (…)

Vengo così alle tre domande che mi pone nell’articolo del 7 agosto. Mi pare che, nelle prime due, ciò che le sta a cuore è capire l’atteggiamento della Chiesa verso chi non condivide la fede in Gesù. Innanzi tutto, mi chiede se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede. Premesso che — ed è la cosa fondamentale — la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a Lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire a essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire.

In secondo luogo, mi chiede se il pensiero secondo il quale non esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato. Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: “Io sono la via, la verità, la vita”? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa.

Dunque, bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione… assoluta, reimpostare in profondità la questione. Penso che questo sia oggi assolutamente necessario per intavolare quel dialogo sereno e costruttivo che auspicavo all’inizio di questo mio dire. Nell’ultima domanda mi chiede se, con la scomparsa dell’uomo sulla terra, scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio. Certo, la grandezza dell’uomo sta nel poter pensare Dio. E cioè nel poter vivere un rapporto consapevole e responsabile con Lui. Ma il rapporto è tra due realtà. Dio – questo è il mio pensiero e questa la mia esperienza, ma quanti, ieri e oggi, li condividono! – non è un’idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell’uomo. Dio è Realtà con la “R” maiuscola. Gesù ce lo rivela – e vive il rapporto con Lui – come un Padre di bontà e misericordia infinita. Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero. Del resto, anche quando venisse a finire la vita dell’uomo sulla terra (e per la fede cristiana, in ogni caso, questo mondo così come lo conosciamo è destinato a venir meno), l’uomo non terminerà di esistere e, in un modo che non sappiamo, anche l’universo creato con lui. La Scrittura parla di “cieli nuovi e terra nuova” e afferma che, alla fine, nel dove e nel quando che è al di là di noi, ma verso il quale, nella fede, tendiamo con desiderio e attesa, Dio sarà “tutto in tutti”.

Concludo così queste mie riflessioni, suscitate da quanto ha voluto comunicarmi e chiedermi. Le accolga come la risposta tentativa e provvisoria, ma sincera e fiduciosa, all’invito che vi ho scorto di fare un tratto di strada insieme. La Chiesa, mi creda, nonostante tutte le lentezze, le infedeltà, gli errori e i peccati che può aver commesso e può ancora commettere in coloro che la compongono, non ha altro senso e fine se non quello di vivere e testimoniare Gesù: Lui che è stato mandato dall’Abbà «a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Luca, 4, 18-19).

Con fraterna vicinanza

Francesco

 

Clicca sui link qui sotto per i testi in versione integrale

A questo link trovate la Lettera di Papa Francesco al giornalista Eugenio Scalfari, 11 settembre 2013

Lettera di Papa Francesco

 

 

A questi link trovate i due testi di Scalfari cui Papa Francesco fa riferimento

articolo del 7 luglio

articolo del 7 agosto

 

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Scalfari “da pari a pari” col Papa https://www.lavoce.it/scalfari-da-pari-a-pari-col-papa/ Thu, 12 Sep 2013 09:28:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=18948 Eugenio Scalfari è un uomo che ha un alto concetto di sé, e si considera un intenditore, oltre che di tantissime altre cose, anche di teologia. La controprova è che qualche anno fa ha scritto un libro intitolato Io e Dio, caso – credo – unico nella storia. Un’altra controprova è che qualche settimana fa ha scritto sulla Repubblica (il giornale da lui fondato) un articolo per commentare e discutere l’enciclica Lumen fidei, ponendo anche una serie di quesiti al Papa. Si è rivolto al Papa da pari a pari nelle questioni teologiche; ed è già buon segno, perché in genere si mette da pari a pari con Dio. Ma, sorpresa, il Papa gli ha risposto; da pari a pari anche lui, e con una lunga lettera (pubblicata mercoledì 11) nella quale approfondisce il tema dell’uomo – credente o non credente – di fronte alla fede.

È un testo di straordinaria importanza, e non solo perché inviato a un giornale in risposta a un articolo: lo è perché riprende e rilancia quei messaggi del Concilio Vaticano II che sembravano da qualche tempo un po’ appannati (ma per giustizia si deve ricordare che l’enciclica Lumen fidei è per la maggior parte opera di Benedetto XVI). Dice, tra l’altro, che c’è salvezza anche per l’uomo non credente, se ascolta la voce della sua coscienza che lo invita a scegliere il bene invece del male. Dove il bene e il male non si devono intendere in senso egoistico (il bene è ciò che mi piace e mi conviene) ma come termini di un giudizio basato su valori superiori e universali (la giustizia, la verità, l’amore). Chi non conosce (ancora) Dio, ma riconosce che quei valori esistono e si sforza di realizzarli vincendo il proprio egoismo e il proprio interesse, è già sulla strada della trascendenza e della spiritualità; e dunque è, in qualche modo, un credente. Crede in qualche cosa che è superiore all’uomo e lo guida. Non è ancora la fede in senso teologico. Ma, dice Francesco, non siamo noi a possedere la fede, è la fede che possiede noi; e anche il credente è in cammino verso la pienezza della fede. Supererà Francesco l’esame di Scalfari?

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I paladini del risentimento https://www.lavoce.it/i-paladini-del-risentimento/ Thu, 05 Nov 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7968 Un giovane frate francescano ci ha raccontato l’esperienza di una missione sulla strada svolta insieme a una sessantina di “missionari” la settimana scorsa in una famosa città del Nordest. La sensazione che ne ha riportato è di una grande resistenza al messaggio cristiano: obiezioni di tutti i tipi, frutto non solo di equivoche interpretazioni di fatti, personaggi e scelte della Chiesa, ma anche di pregiudizi consolidati nella mentalità diffusa e riproposti con continuità dalle agenzie laiciste. Naturalmente vi sono stati anche incontri positivi in cui si è manifestata la presenza della grazia di Dio. E’ rimasto però nel giovane frate, pieno di entusiasmo, il senso dell’ampiezza e durezza del rifiuto, non solo di accogliere, ma anche di ascoltare. Per un cristiano non c’è da meravigliarsene. Lungo tutta la sua storia millenaria la Chiesa, oltre al rifiuto, ha sperimentato ogni forma di persecuzione. Ma, prima di rifugiarsi in una specie di scappatoia martirologica, ci si deve domandare se vi siano ragioni più contingenti e occasionali, legate al modo di vivere e comunicare assunto dalla Chiesa nel tempo presente. Sembra talvolta di dover constatare l’inadeguatezza delle persone e del linguaggio rispetto al contenuto del messaggio, secondo quanto ha ricordato recentemente Benedetto XVI, quando ha affermato che i cristiani devono essere credibili, oltre che credenti. Ora la questione del crocifisso, con tutte le reazioni a favore e contro, è un allarmante segnale di confusione e di inganni. Ai difensori per autentiche ragioni di fede, si accompagnano difensori per calcolo, per favorire i voti dei cattolici. Ad essi del Crocifisso, per quello che rappresenta, non gliene importa niente. A chi lo rifiuta per rispetto della laicità, falsamente intesa, come assenza di tutti i simboli di fede, si aggiunge chi non vuole tra i piedi nessun richiamo di ordine religioso, perché è e vuol essere “beatamente ateo”, come gli illuminati membri dell’Unione degli atei razionalisti. In tutto ciò dobbiamo mettere nel conto, oltre alla presenza di idee diverse, che sarebbe bello poter confrontare, la presenza di sentimenti / risentimenti contro tutto quello che in qualche modo fa ricordare la religione, Dio, la Chiesa. In certe critiche si nota un livore sordo, sarcasmo, ironia. In un articolo recente di Scalfari contro il card. Bagnasco. non troviamo solo posizioni culturali legittimamente diverse e contrarie, ma distanza psicologica che inclina al disprezzo. Una simile sensazione si ha in certi settori della politica dove si pronunciano parole ufficiali di rispetto, ma si avverte che la stima, la simpatia e un minimo di vicinanza psicologica sono assenti. Ai cristiani si ripropone sempre la questione di come porsi di fronte alla mentalità emergente nel mondo. Le ultime battaglie per la vita e per la famiglia hanno acuito la sensazione della distanza. La Chiesa, a sua volta, si deve chiedere come comunica. Non può adulterare il contenuto di fede, ma può rivedere atteggiamenti e linguaggi. Nel difendere un principio, non si deve rischiare di entrare in un corto circuito con l’essenza della fede, come quando alcuni difendono il crocifisso dichiarandosi crociati, pronti alla crociata.

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Indilazionabile https://www.lavoce.it/indilazionabile/ Thu, 25 Jun 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7650 L’intervista che il 18 u.s. il card. Martini ha concesso ad Eugenio Scalfari mi ha coinvolto. Per Barbeugenio ho sempre avuto molto rispetto e poca simpatia: m’è sempre sembrato troppo solenne, troppo apodittico, troppo’ barba. Per il card. Martini invece nutro sentimenti filiali fortissimi. Nel 1979, Giovanni Paolo II lo nominò arcivescovo di Milano. P. Carlo, gesuita e rettore dell’Istituto Biblico (quello che conferisce le lauree più difficili del mondo), pensò bene di prepararsi all’evento non con la classica settimana di ritiro spirituale, ma con una settimana di campo di lavoro a Capodarco di Fermo, in incognito. E quando alla metà di settembre del 1982 inaugurammo la nostra Comunità di Capodarco dell’Umbria, che fino al 1997 si chiamò Centro Lavoro Cultura, fu lui che al S. Girolamo di Gubbio, senza prosopopea, ci dettò un programma di vita che era un concentrato di fede concreta e operativa. Appena qualche giorno prima aveva assistito sul letto di morte Eugenio Montale. Di quello che ha detto Scalfari mi ha coinvolto il ricordo di un loro precedente incontro sul tema LA PACE È IL NOME DI DIO (Che cosa può unire oggi cattolici e laici): ‘Eravamo d’accordo su tutto, la sua etica era anche la mia, lui la riceveva dall’alto, io dall’autonomia della mia coscienza’. Già. E che altro vuol dire l’affermazione di Pentecoste, che ‘lo Spirito santo permea il mondo’? Riservando alla Sua insindacabile saggezza la modalità di’ permeazione più giusta, la più personalizzata per l’irripetibile situazione di ogni singolo uomo. Permea e parla: con la Parola di Dio garantita dalla Chiesa, o con la coscienza che detta il ritmo della vita a chi non l’ha atrofizzata. Di quello che ha detto Martini mi ha coinvolto un’affermazione: che è ormai indilazionabile la necessità di ridisegnare il percorso penitenziale tipico della vita cristiana. Vede, la confessione è un sacramento estremamente importante ma ormai esangue. Da praticare intensamente finché esiste in questa forma, ma questa è una forma esangue. Sono sempre meno le persone che lo praticano, anche perché il suo esercizio è diventato quasi meccanico: si confessa qualche peccato, si ottiene il perdono, si recita qualche preghiera e tutto finisce così. Nel nulla o poco più. Bisogna ridare alla confessione una sostanza che sia veramente sacramentale, un percorso di pentimento e un programma di vita. Anche recuperando la figura del direttore spirituale. Ripensare questo sacramento: se n’è accennato altre volte, poi non s’è mosso nulla. Anche l’amico Nicola Molè me lo ricordava in una lettera di qualche tempo fa. Non se n’è fatto nulla. E sullo sfondo rimane, minacciosa al di là della sua connaturata superficialità, la barzelletta di don Romano. Confessione standard. Al ‘Tribunale della penitenza’ si comincia con il saluto. Poi i prodromi (Da quanto tempo’? E come mai’? E cosa ricordate’?)Poi, una voce tesa, drammatica: ‘Ho ucciso il babbo e la mamma’. Silenzio. Poi ancora un voce, ma stavolta venata di sonno: ‘Quante volte?’.

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La mitria e il papillon https://www.lavoce.it/la-mitria-e-il-papillon/ Thu, 20 Dec 2007 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=6350 Lunedì 17. Stasera, a ‘Otto e mezzo’ su La 7, si fronteggiano Scalfari e Ferrara. Scalfari: lo vedi e subito ti domandi: ‘Ma perché anche stavolta la mitria l’ha lasciata a casa?’. Perché una mitria il Barbeugenio ce l’ha, da qualche parte; non in similseta ma in acciaio brunito; ce l’ha e se l’è meritata in tanti anni di laicissimo pontificato. E Ferrara? Stasera s’è messo il papillon’ Ma il bavaglietto con la scritta ‘Non baciatemi’, perché stasera non l’indossa? A lode della sua precocissima intelligenza glielo regalò Palmiro Togliatti, sulle cui ginocchia crebbe Giuliano. ‘Crebbe’: oddio, in misura diversa da come sarebbe cresciuto poi.Oggetto del contendere: la presunta lettera che mons. Betori avrebbe inviato alla sen. Binetti per dirle come doveva votare quel certo giorno su quel certo emendamento di quella certa legge. Sarà. Scalfari mette a nudo il presunto ‘vulnus’ che la presunta, improvvida attività del nostro don Peppino, epistolografo improvvisato, avrebbe arrecato al Concordato fra la Santa Sede e il Governo italiano, e slabbra i contorni della ferita, paziente, con le pinze chirurgiche che ha sempre con sé. Fra parentesi: ‘don Peppino’: posso, Diretto’? L’ho avuto a scuola, al Regionale. Io avevo adottato come testo di studio Commodiano, poeta (?!) cristiano; poi di comune accordo, i vari Peppini ed io, lo lasciammo’ sul comodino. C’era nell’aria il profumo del Concilio, avevamo ben altri sogni da sognare, noi, ben altri voli da volare’Certo, lui era Dedalo, e le ali del suo volo aderivano al corpo con l’attack di una conoscenza della Bibbia che già da allora era profonda e tenace. Io ero Icaro, e disponevo di rimasugli di cera appena sufficienti a sostenere il volo di un’anatra. L’esito finale dell’impari volo è davanti agli occhi di tutti. Eppure lui sostiene che qualcosa gliel’ho insegnata. Che dire? Càpita. L’altra sera le volute da ginnasta olimpico che Scalfari disegnava nell’aria sono state interrotte da una delle solite impertinenze di Giulianone: ‘Senta, Scalfari, ma quando uno scende in politica, tutto quello in cui ha creduto, per cui ha vissuto, tutto quello che ha dato sostanza al suo pensiero’ uno se lo deve dimenticare? Lo deve chiudere in un cassetto?’. Scalfari ha farfugliato cose’ cose interessanti, ma decisamente collaterali rispetto al cerchietto rosso sul quale s’era appuntato il pungiglione di Giulianone, mentre il papillon nitriva sottovoce. Come risponderemmo noi? Io, per pensarci, ci ho davanti tutte le vacanze di Natale. Ce l’avete anche voi. Non le svaporate con troppi ‘Tu scendi dalle stelle’, non le appesantite con una cofana di cappelletti al giorno. Chissà che un giorno La Voce non voglia aprire un pacato confronto proprio su questo tema? Buon Natale!

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Impegno per il bene comune https://www.lavoce.it/impegno-per-il-bene-comune/ Thu, 30 Aug 2007 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=6074 Dal 18 al 21 ottobre prossimo si aprirà a Pistoia la 45a Settimana sociale dei cattolici italiani. Il tema: Il bene comune. Un impegno che viene da lontano. Sarà un evento importante per la storia del movimento democratico cattolico italiano, per la storia del laicato e della Chiesa italiana in generale, per il fatto che si celebra nel centesimo anniversario dalla prima Settimana sociale che si tenne, appunto, sempre a Pistoia dal 23 al 28 settembre del 1907. Su quest’evento ha svolto un’ampia e documentata relazione il 12 agosto scorso, all’eremo di Monte Serra (appuntamento curato dal circolo Acli di Fossato di Vico) Giancarlo Pellegrini, docente alla facoltà di Scienze politiche dell’Università di Perugia. Prendendo spunto da un articolo apparso sul numero 29 de La Voce a firma di Francesco Rossi che riportava un’intervista del portavoce del Forum del Terzo settore, Edoardo Patriarca, Pellegrini ha passato in rassegna la storia di questi cento anni, mostrando con chiarezza e lucidità i percorsi del processo di sviluppo del pensiero cattolico in campo sociale e politico, nonché i difficili passaggi che portarono alla celebrazione della prima settimana sociale. Punto centrale di riferimento per l’inizio di questa esperienza di impegno cattolico nel sociale fu Giuseppe Toniolo (1845-1918), di cui Pellegrini tratteggia la figura e il pensiero. Di lui, grande studioso e militante cattolico in campo culturale e sociale, Pellegrini riporta una definizione di democrazia di cui il pensiero cattolico si dimostra essere ispiratore in un contesto di pura laicità: ‘La democrazia’, scriveva Toniolo nel 1897,’??nel suo contenuto essenziale può definirsi: quell’ordinamento civile nel quale tutte le forze sociali, giuridiche ed economiche, nella pienezza del loro sviluppo gerarchico, cooperano proporzionalmente al bene comune, rifluendo nell’ultimo risultato a prevalente vantaggio delle classi inferiori’. Oggi troviamo insufficiente tale definizione per il riferimento paternalistico alle classi inferiori e il sottofondo corporativistico che tale concezione comporta, ma importante per lo slancio che determina nella società alla ricerca del bene comune. Su questo argomento sarà incentrata la prossima settimana sociale e Pellegrini bene ha fatto a contestualizzare questo tema riferendosi alla riforma sul welfare, che potrebbe essere considerato il modo aggiornato per parlare di bene comune. Troviamo anche giusto e interessante la conclusiva polemica con Eugenio Scalfari che ha parlato su Repubblica (5 agosto) di un’Italia Paese non normale per la presenza dei cattolici che sarebbero eterodiretti da un potere ‘altro’, incarnato dal Vaticano. Pellegrini ha invece (e giustamente) puntato sull’opera svolta dai cattolici, in campo politico, nell’Italia del dopoguerra. La settimana sociale dei cattolici potrebbe essere un’occasione per riprendere coscienza e consapevolezza di un ruolo da svolgere in modo laicamente e cristianamente costruttivo, a favore del Bene comune, che rimane l’orizzonte dell’impegno sociale e politico autentico.E. B.

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Con la speranza che il dialogo tra laici e credenti possa proseguire https://www.lavoce.it/con-la-speranza-che-il-dialogo-tra-laici-e-credenti-possa-proseguire/ Thu, 07 Mar 2002 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=2263 E’ passato piuttosto in sordina, rispetto all’importanza che ha avuto un incontro che si è svolto nella sala papale del Convento di S.Francesco di Assisi il 28 febbraio scorso. Il motivo è presto detto: un gruppo di uomini appartenenti a religioni diverse si sono incontrati con un gruppo di persone che si dichiarano laici o non credenti. Questo incontro tra mondi diversi è stato promosso dalla fondazione Italianieuropei presieduta da Massimo D’Alema, che ha presieduto l’incontro per tutta la giornata, dalla Casa editrice Einaudi, notoriamente laica, rappresentata dall’amministratore delegato Ferrari e dall’altra parte dai frati francescani del Sacro Convento rappresentati dal custode Vincenzo Coli e soprattutto dal card. Francis Arinze, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, che ha svolto la relazione fondamentale sul tema della riconciliazione e del suo fondamento teologico. Le altre relazioni sono state di Amos Luzzatto, Presidente dell’Unione delle comunità ebraiche, di Khaled Fouad Allam, musulmano docente all’Università di Trieste e Eugenio Scalfari, noto scrittore e giornalista de La Repubblica. E’ stata una giornata piena di interventi e discussioni sui temi più attuali della storia contemporanea, che riguardano la convivenza pacifica tra i popoli nel rispetto delle differenze culturali e religiose. Un tema, come si può pensare, svolto in modo diverso dai vari oratori. Alcuni erano ebrei altri cristiani evangelici altri musulmani, altri studiosi del fenomeno religioso, altri dichiaratamente, ma diversificatamente, non credenti. Il vescovo di Terni, Vincenzo Paglia leader della Comunità di S.Egidio ha messo bene in evidenza l’opportunità e la possibile fecondità di tale incontro, per superare il monologo e il vicendevole disconoscimento. Non si può raccontare una giornata intensa di riflessioni ad alta voce e pertanto ci limitiamo a segnalare l’importanza dell’avvenimento. Se dovessimo fare una sintesi estrema la potremmo trovare nella proposta, che è anche una ipotesi e una provocazione, venuta da Gian Arturo Ferrari dell’Einaudi, con due domande: è possibile, ha detto, per i laici interessarsi in modo serio e scientifico, come non è accaduto fino ad oggi, del fenomeno religioso senza ridurlo a qualcosa d’altro, come superstizione, folklore, psicologia o sociologia? E, rivolto ai credenti, ha detto se sia possibile parlare della loro esperienza religiosa ai laici e non credenti senza suscitare il sospetto che si voglia fare opera di conversione? Sulla base di risposte adeguate a queste due domande si può sperare che il dialogo possa proseguire a beneficio della crescita culturale di entrambe le parti collaterali e per porre la base di una convivenza pacifica all’interno della società. La cornice francescana ha favorito il buon clima dell’incontro e gli interventi dei francescani hanno esaltato il messaggio di pace e di riconciliazione di san Francesco. Nel primo pomeriggio, prima di riprendere i lavori, è stata scoperta una lapide in piazza San Francesco in ricordo dell’incontro delle religioni per la pace del 24 gennaio 2002.

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