Elezioni 2022 Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/elezioni-2022/ Settimanale di informazione regionale Wed, 05 Oct 2022 17:04:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Elezioni 2022 Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/elezioni-2022/ 32 32 Dalle elezioni alle riforme. Sistema da migliorare https://www.lavoce.it/dall-riforme-alle-elezioni/ Wed, 05 Oct 2022 16:58:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68850 Logo rubrica Il punto

I risultati hanno messo in evidenza una serie di criticità e di oscurità del sistema elettorale con il quale abbiamo votato. Se è stato subito chiaro chi avesse vinto ottenendo però una maggioranza parlamentare esagerata rispetto alle percentuali di voto - è stato più difficile e incerto scoprire i nomi degli eletti nelle varie circoscrizioni. Segno di un sistema poco trasparente.

Tornano in primo piano anche le perplessità sull’utilità di avere due Camere delle quali l’una è la fotocopia dell’altro. Alle origini del sistema parlamentare, nelle monarchie liberali del secolo XIX, le Camere erano due perché una era di nomina regia e l’altra elettiva, e questa era la sola che con il voto di fiducia (o di sfiducia) avesse il potere di far nascere e cadere i governi.

Nelle democrazie moderne la seconda camera (detta anche camera alta, ma è quella che conta di meno) spesso si distingue come espressione dei territori mentre l’altra - la sola eletta con voto popolare diretto - rispecchia la varietà delle tendenze politiche presenti nel Paese ed ha il monopolio della funzione di indirizzo politico nei confronti del governo.

La riforma costituzionale proposta da Renzi voleva appunto ridisegnare il Senato secondo il modello francese e tedesco; fu bocciata nel referendum con l’argomento (errato e pretestuoso) che togliere l’elezione diretta del Senato sarebbe stata una diminuzione della sovranità popolare. Invece è proprio il bicameralismo perfetto e paritario che abbiamo ora, che contribuisce a rendere pesante e confuso ogni passaggio parlamentare.

Se si vuol fare una riforma costituzionale, bisognerebbe pensare a questo; e anche a ridimensionare l’autonomia delle regioni, malamente ampliata nel 2001 con norme bizantine che ingorgano la Corte costituzionale con cause per conflitto di competenze fra Stato e Regioni.

Per vero, la nuova maggioranza politica dichiara di voler fare una riforma costituzionale ancora più impegnativa, quella verso un sistema presidenziale, dove l’elezione diretta del Capo dello Stato comporti anche la scelta di un indirizzo politico determinato. Però la storia del nostro Paese dimostra piuttosto l’utilità di avere un Capo dello Stato arbitro imparziale con funzioni di garanzia. Non ci rinuncerei tanto facilmente.

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I risultati hanno messo in evidenza una serie di criticità e di oscurità del sistema elettorale con il quale abbiamo votato. Se è stato subito chiaro chi avesse vinto ottenendo però una maggioranza parlamentare esagerata rispetto alle percentuali di voto - è stato più difficile e incerto scoprire i nomi degli eletti nelle varie circoscrizioni. Segno di un sistema poco trasparente.

Tornano in primo piano anche le perplessità sull’utilità di avere due Camere delle quali l’una è la fotocopia dell’altro. Alle origini del sistema parlamentare, nelle monarchie liberali del secolo XIX, le Camere erano due perché una era di nomina regia e l’altra elettiva, e questa era la sola che con il voto di fiducia (o di sfiducia) avesse il potere di far nascere e cadere i governi.

Nelle democrazie moderne la seconda camera (detta anche camera alta, ma è quella che conta di meno) spesso si distingue come espressione dei territori mentre l’altra - la sola eletta con voto popolare diretto - rispecchia la varietà delle tendenze politiche presenti nel Paese ed ha il monopolio della funzione di indirizzo politico nei confronti del governo.

La riforma costituzionale proposta da Renzi voleva appunto ridisegnare il Senato secondo il modello francese e tedesco; fu bocciata nel referendum con l’argomento (errato e pretestuoso) che togliere l’elezione diretta del Senato sarebbe stata una diminuzione della sovranità popolare. Invece è proprio il bicameralismo perfetto e paritario che abbiamo ora, che contribuisce a rendere pesante e confuso ogni passaggio parlamentare.

Se si vuol fare una riforma costituzionale, bisognerebbe pensare a questo; e anche a ridimensionare l’autonomia delle regioni, malamente ampliata nel 2001 con norme bizantine che ingorgano la Corte costituzionale con cause per conflitto di competenze fra Stato e Regioni.

Per vero, la nuova maggioranza politica dichiara di voler fare una riforma costituzionale ancora più impegnativa, quella verso un sistema presidenziale, dove l’elezione diretta del Capo dello Stato comporti anche la scelta di un indirizzo politico determinato. Però la storia del nostro Paese dimostra piuttosto l’utilità di avere un Capo dello Stato arbitro imparziale con funzioni di garanzia. Non ci rinuncerei tanto facilmente.

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Dopo elezioni. I problemi sul tavolo del Governo https://www.lavoce.it/dopo-elezioni-i-problemi-sul-tavolo-del-governo/ Fri, 30 Sep 2022 10:55:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68818

Per la prima volta dopo la crisi del 2011 (che comportò la fine dell’ultimo governo Berlusconi e il subentro del governo “tecnico” di Monti) avremo ora un governo basato su una solida maggioranza parlamentare, a sua volta uscita da un univoco risultato elettorale. E questo promette stabilità.

Tuttavia, si può ricordare che la maggioranza vincente di questi giorni è molto simile a quella che vinse nel 1994, salvo che per una diversa distribuzione di forze al suo interno; ma a sorpresa durò pochissimo, perché una delle sue componenti (la Lega allora guidata da Bossi) se ne tirò fuori. Infortunio che da allora si è riprodotto parecchie volte a danno dei vari governi che si sono succeduti nel tempo: tutti caduti perché sabotati dall’interno.

Per ora, comunque, diamo per certa la stabilità del governo che sarà presto nominato. Che politica farà? Nell’immediato, dovrà trovare rimedio a una serie di problemi tanto gravi, che molti suggeriscono, maliziosamente, che Letta abbia fatto apposta a perdere. Prima di tutto, la imminente carestia energetica, che oltre ai disagi per la popolazione potrebbe fermare le fabbriche e con esse l’intera economia. E poi, i venti di guerra che continuano a spirare e che rendono sinistramente realistiche le minacce di Putin. E ancora i cambiamenti climatici che devastano i territori.

La soluzione di questi problemi ammesso che esista - non è nelle mani di un governo solo, per quanto volitivo come la sua presumibile capa: dovrà essere trovata, per forza, su scala continentale o anzi planetaria. Mai come ora (ma lo avevamo già visto con la pandemia) vediamo che è impossibile lo “splendido isolamento” di una nazione fiera della sua sovranità. Di fronte a problemi spietatamente transnazionali la ricetta del sovranismo è impotente. Peggio ancora se i paesi sovranisti sono parecchi: volendo rafforzarsi si indeboliscono a vicenda.

Del resto molti pensano, non del tutto a torto, che anche all’interno del nostro Paese le autonomie regionali, spinte oltre certi limiti, hanno prodotto più danni che vantaggi. Bisogna ragionare sempre più in termini di “umanità” più che di nazione o di campanile.

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Per la prima volta dopo la crisi del 2011 (che comportò la fine dell’ultimo governo Berlusconi e il subentro del governo “tecnico” di Monti) avremo ora un governo basato su una solida maggioranza parlamentare, a sua volta uscita da un univoco risultato elettorale. E questo promette stabilità.

Tuttavia, si può ricordare che la maggioranza vincente di questi giorni è molto simile a quella che vinse nel 1994, salvo che per una diversa distribuzione di forze al suo interno; ma a sorpresa durò pochissimo, perché una delle sue componenti (la Lega allora guidata da Bossi) se ne tirò fuori. Infortunio che da allora si è riprodotto parecchie volte a danno dei vari governi che si sono succeduti nel tempo: tutti caduti perché sabotati dall’interno.

Per ora, comunque, diamo per certa la stabilità del governo che sarà presto nominato. Che politica farà? Nell’immediato, dovrà trovare rimedio a una serie di problemi tanto gravi, che molti suggeriscono, maliziosamente, che Letta abbia fatto apposta a perdere. Prima di tutto, la imminente carestia energetica, che oltre ai disagi per la popolazione potrebbe fermare le fabbriche e con esse l’intera economia. E poi, i venti di guerra che continuano a spirare e che rendono sinistramente realistiche le minacce di Putin. E ancora i cambiamenti climatici che devastano i territori.

La soluzione di questi problemi ammesso che esista - non è nelle mani di un governo solo, per quanto volitivo come la sua presumibile capa: dovrà essere trovata, per forza, su scala continentale o anzi planetaria. Mai come ora (ma lo avevamo già visto con la pandemia) vediamo che è impossibile lo “splendido isolamento” di una nazione fiera della sua sovranità. Di fronte a problemi spietatamente transnazionali la ricetta del sovranismo è impotente. Peggio ancora se i paesi sovranisti sono parecchi: volendo rafforzarsi si indeboliscono a vicenda.

Del resto molti pensano, non del tutto a torto, che anche all’interno del nostro Paese le autonomie regionali, spinte oltre certi limiti, hanno prodotto più danni che vantaggi. Bisogna ragionare sempre più in termini di “umanità” più che di nazione o di campanile.

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Record negativo https://www.lavoce.it/record-negativo/ Thu, 29 Sep 2022 10:03:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68804

di Stefano De Martis

I risultati delle elezioni del 25 settembre, insieme alla vittoria inequivocabile di Giorgia Meloni, consegnano un dato sulla partecipazione al voto che rappresenta un record negativo assoluto: l’astensionismo è aumentato di ben 9 punti percentuali rispetto al 2018.

Un’affluenza alle urne pari al 63,91% vuol dire che un elettore su tre non ha votato. E mentre i dati relativi ai leader e ai partiti confermano quell’estrema volatilità delle scelte degli elettori che si verifica almeno da una decina d’anni, l’astensionismo crescente non conosce battute d’arresto, anzi. Nella precedente tornata, il calo della partecipazione era stato inferiore ai timori della vigilia, forse mitigato dalla capacità di nuovi soggetti politici di mobilitare nuovi elettori.

Stavolta il tonfo è stato pesante e senza ammortizzatori. In alcune aree del Sud l’astensionismo è arrivato al 50%. Un tempo l’Italia si caratterizzava, rispetto ad altri Paesi occidentali, per una partecipazione particolarmente elevata. Non è più così. Le cause di questo fenomeno sono tante e complesse; non ultima, una legge elettorale effettivamente scoraggiante. Ma ai primi posti c’è una crisi grave del sistema dei partiti. Una crisi strutturale che l’emergere discontinuo e provvisorio di leader di vario spessore non è in grado di contenere.

C’è di che allarmarsi: una democrazia parlamentare come la nostra ha un bisogno vitale di partiti autentici e radicati nei territori, soggetti in cui i cittadini si associano per determinare con metodo democratico la politica nazionale, come recita la Costituzione. L’esperienza del governo Draghi poteva essere un’occasione per rigenerarsi all’ombra di una maggioranza di eccezionale ampiezza.

Occasione persa, purtroppo, e lo dimostra ulteriormente il fatto solo apparentemente paradossale - di un Presidente del Consiglio dimissionario che ha conservato una popolarità assai larga e maggioritaria, e di un’elezione che registra la vittoria netta dell’unico partito che non aveva fatto parte della maggioranza del Governo uscente.

Ora la coalizione di centro-destra, o di destra-centro se si preferisce, con il consenso del 44% dei votanti (circa 12 milioni e 300 mila su quasi 51 milioni di elettori potenziali) ha raggiunto la maggioranza assoluta dei seggi nei due rami del Parlamento in virtù dei meccanismi della legge elettorale vigente. Ha quindi i titoli per esprimere un Governo, ferme restando le procedure previste dalla Costituzione. Ma se è vero che ogni Esecutivo ha il dovere di governare anteponendo l’interesse generale a quello dei partiti che lo sostengono, tanto più è vero in questo caso. “È il tempo della responsabilità” ha dichiarato a caldo la leader di Fratelli d’Italia. Su questo possiamo essere tutti d’accordo.

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di Stefano De Martis

I risultati delle elezioni del 25 settembre, insieme alla vittoria inequivocabile di Giorgia Meloni, consegnano un dato sulla partecipazione al voto che rappresenta un record negativo assoluto: l’astensionismo è aumentato di ben 9 punti percentuali rispetto al 2018.

Un’affluenza alle urne pari al 63,91% vuol dire che un elettore su tre non ha votato. E mentre i dati relativi ai leader e ai partiti confermano quell’estrema volatilità delle scelte degli elettori che si verifica almeno da una decina d’anni, l’astensionismo crescente non conosce battute d’arresto, anzi. Nella precedente tornata, il calo della partecipazione era stato inferiore ai timori della vigilia, forse mitigato dalla capacità di nuovi soggetti politici di mobilitare nuovi elettori.

Stavolta il tonfo è stato pesante e senza ammortizzatori. In alcune aree del Sud l’astensionismo è arrivato al 50%. Un tempo l’Italia si caratterizzava, rispetto ad altri Paesi occidentali, per una partecipazione particolarmente elevata. Non è più così. Le cause di questo fenomeno sono tante e complesse; non ultima, una legge elettorale effettivamente scoraggiante. Ma ai primi posti c’è una crisi grave del sistema dei partiti. Una crisi strutturale che l’emergere discontinuo e provvisorio di leader di vario spessore non è in grado di contenere.

C’è di che allarmarsi: una democrazia parlamentare come la nostra ha un bisogno vitale di partiti autentici e radicati nei territori, soggetti in cui i cittadini si associano per determinare con metodo democratico la politica nazionale, come recita la Costituzione. L’esperienza del governo Draghi poteva essere un’occasione per rigenerarsi all’ombra di una maggioranza di eccezionale ampiezza.

Occasione persa, purtroppo, e lo dimostra ulteriormente il fatto solo apparentemente paradossale - di un Presidente del Consiglio dimissionario che ha conservato una popolarità assai larga e maggioritaria, e di un’elezione che registra la vittoria netta dell’unico partito che non aveva fatto parte della maggioranza del Governo uscente.

Ora la coalizione di centro-destra, o di destra-centro se si preferisce, con il consenso del 44% dei votanti (circa 12 milioni e 300 mila su quasi 51 milioni di elettori potenziali) ha raggiunto la maggioranza assoluta dei seggi nei due rami del Parlamento in virtù dei meccanismi della legge elettorale vigente. Ha quindi i titoli per esprimere un Governo, ferme restando le procedure previste dalla Costituzione. Ma se è vero che ogni Esecutivo ha il dovere di governare anteponendo l’interesse generale a quello dei partiti che lo sostengono, tanto più è vero in questo caso. “È il tempo della responsabilità” ha dichiarato a caldo la leader di Fratelli d’Italia. Su questo possiamo essere tutti d’accordo.

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Elezioni. Appello dei Vescovi ai giovani, ai disillusi e agli eletti: dipende da noi, impegnamoci!” https://www.lavoce.it/elezioni-appello-dei-vescovi-ai-giovani-ai-disillusi-e-agli-eletti-dipende-da-noi-impegnamoci/ Thu, 22 Sep 2022 17:29:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68747 giovani elezioni

Elezioni: i Vescovi invitano a partecipare. Pubblichiamo di seguito il testo “Osare la speranza: appello alle donne e agli uomini del nostro Paese” approvato dal Consiglio Episcopale Permanente che si è tenuto il 21 settembre a Matera, in occasione del Congresso eucaristico nazionale. _______ Dipende da noi: impegniamoci. È questo il messaggio che sentiamo di rivolgere a noi stessi, alle nostre comunità, a tutte le donne e gli uomini d’Italia. Stiamo attraversando una fase particolarmente delicata e complicata della storia: le nostre parole non sono un incoraggiamento ad andare avanti nonostante tutto, ma un invito a osare con speranza. Non semplice ottimismo, ma speranza e realismo cristiano. La guerra, la pandemia, la crisi ambientale e quella delle imprese, l’aumento generalizzato dei costi, il caro bollette… sono tutte questioni che ci addolorano terribilmente e ci preoccupano. Non possiamo mai abituarci a vedere la vita calpestata. Il nostro appello è motivato prima di tutto dalla nostra fede e dalla certezza che il Vangelo di Gesù continua ad essere una Buona Notizia per tutti. Ci sta a cuore il futuro di ogni persona umana. “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Siamo fratelli e sorelle. “Impegniamoci”, tutti insieme, per non cedere al pessimismo e alla rabbia. Vogliamo essere spettatori o protagonisti del futuro? L’Italia ha bisogno dell’impegno di ciascuno, di responsabilità e di partecipazione. Vicini e solidali con chi soffre ed è in cerca di risposte ai tanti problemi quotidiani, rivolgiamo un appello agli elettori, ai giovani, a chi ha perso fiducia nelle Istituzioni e agli stessi rappresentanti che saranno eletti al Parlamento.

Agli elettori

Il voto è un diritto e un dovere da esercitare con consapevolezza. Siamo chiamati a fare discernimento fra le diverse proposte politiche alla luce del bene comune, liberi da qualsiasi tornaconto personale e attenti solo alla costruzione di una società più giusta, che riparte dagli “ultimi” e, per questo, possibile per tutti, e ospitale. Solo così può entrare il futuro! C’è un bisogno diffuso di comunità, da costruire e ricostruire sui territori in Italia e in Europa, con lo sguardo aperto al mondo, senza lasciare indietro nessuno. C’è urgenza di visioni ampie; di uno slancio culturale che sappia aprire orizzonti nuovi e nutrire un’educazione al bello, al vero e al giusto. Il voto è una espressione qualificata della vita democratica di un Paese, ma è opportuno continuare a sentirsene partecipi attraverso tutti gli strumenti che la società civile ha a disposizione.

Ai giovani

Ai giovani, che per la prima volta si recano a un seggio elettorale, diciamo di avere fiducia! Con il vostro voto lanciate a tutta l’Italia un forte messaggio di partecipazione alla costruzione del bene comune, nel rispetto della persona, di tutte le persone in ogni fase della vita. Questo è il vero criterio per orientarsi nelle scelte. Il vostro impegno per la cura del Creato è un esempio per tutti. Vedere che i giovani si pongono dalla parte di chi vuole affrontare e risolvere i problemi è un segno che fa ben sperare. E impegna, allo stesso tempo, noi adulti a non tradire i vostri sogni.

Ai disillusi

A chi, dopo molti anni, è tentato di pensare che nulla cambierà anche stavolta, ricordiamo che il contributo di tutti è molto prezioso. Comprendiamo la vostra preoccupazione: sarà possibile mettere da parte le divisioni e guardare al bene del Paese? Vi invitiamo, però, a non far prevalere la delusione: impegniamoci! La partecipazione democratica è amore per il nostro Paese. Invitiamo chi si trova ad affrontare gravi problemi e si sente ai margini della società a non scoraggiarsi e a dare il proprio irrinunciabile contributo.

Agli eletti

Chiediamo ai futuri eletti di non dimenticare mai l’alta responsabilità di cui sono investiti. Il loro servizio è per tutti, in particolare per chi è più fragile e per chi non ha modo di far sentire la sua voce. L’agenda dei problemi del nostro Paese è fitta: le povertà in aumento costante e preoccupante, l’inverno demografico, la protezione degli anziani, i divari tra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica, la difesa dei posti di lavoro, soprattutto per i giovani, l’accoglienza, la tutela, la promozione e l’integrazione dei migranti, il superamento delle lungaggini burocratiche, le riforme dell’espressione democratica dello Stato e della legge elettorale… È il tempo di scelte coraggiose e organiche. Non opportunismi, ma visioni. Vi invitiamo a vivere la responsabilità politica come “la forma più alta di carità”.

Elezioni. Prospettive

Ripartiamo dai luoghi di vita: qui abbiamo ritrovato il senso della prossimità durante la pandemia. Il Cammino sinodale che le Chiese in Italia stanno vivendo può costituire davvero un’opportunità per far progredire processi di corresponsabilità. È sempre nei luoghi di vita che abbiamo appreso l’arte del dialogo e dell’ascolto, ingredienti indispensabili per ricostruire le condizioni della partecipazione e del confronto. Riscopriamo e riproponiamo i principi della dottrina sociale della Chiesa: dignità delle persone, bene comune, solidarietà e sussidiarietà. Amiamo il nostro Paese. La Chiesa ricorderà sempre questo a tutti e continuerà a indicare, con severità se occorre, il bene comune e non l’interesse personale, la difesa dei diritti inviolabili della persona e della comunità. Matera, 21 settembre 2022 Festa di san Matteo, Apostolo ed Evangelista]]>
giovani elezioni

Elezioni: i Vescovi invitano a partecipare. Pubblichiamo di seguito il testo “Osare la speranza: appello alle donne e agli uomini del nostro Paese” approvato dal Consiglio Episcopale Permanente che si è tenuto il 21 settembre a Matera, in occasione del Congresso eucaristico nazionale. _______ Dipende da noi: impegniamoci. È questo il messaggio che sentiamo di rivolgere a noi stessi, alle nostre comunità, a tutte le donne e gli uomini d’Italia. Stiamo attraversando una fase particolarmente delicata e complicata della storia: le nostre parole non sono un incoraggiamento ad andare avanti nonostante tutto, ma un invito a osare con speranza. Non semplice ottimismo, ma speranza e realismo cristiano. La guerra, la pandemia, la crisi ambientale e quella delle imprese, l’aumento generalizzato dei costi, il caro bollette… sono tutte questioni che ci addolorano terribilmente e ci preoccupano. Non possiamo mai abituarci a vedere la vita calpestata. Il nostro appello è motivato prima di tutto dalla nostra fede e dalla certezza che il Vangelo di Gesù continua ad essere una Buona Notizia per tutti. Ci sta a cuore il futuro di ogni persona umana. “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Siamo fratelli e sorelle. “Impegniamoci”, tutti insieme, per non cedere al pessimismo e alla rabbia. Vogliamo essere spettatori o protagonisti del futuro? L’Italia ha bisogno dell’impegno di ciascuno, di responsabilità e di partecipazione. Vicini e solidali con chi soffre ed è in cerca di risposte ai tanti problemi quotidiani, rivolgiamo un appello agli elettori, ai giovani, a chi ha perso fiducia nelle Istituzioni e agli stessi rappresentanti che saranno eletti al Parlamento.

Agli elettori

Il voto è un diritto e un dovere da esercitare con consapevolezza. Siamo chiamati a fare discernimento fra le diverse proposte politiche alla luce del bene comune, liberi da qualsiasi tornaconto personale e attenti solo alla costruzione di una società più giusta, che riparte dagli “ultimi” e, per questo, possibile per tutti, e ospitale. Solo così può entrare il futuro! C’è un bisogno diffuso di comunità, da costruire e ricostruire sui territori in Italia e in Europa, con lo sguardo aperto al mondo, senza lasciare indietro nessuno. C’è urgenza di visioni ampie; di uno slancio culturale che sappia aprire orizzonti nuovi e nutrire un’educazione al bello, al vero e al giusto. Il voto è una espressione qualificata della vita democratica di un Paese, ma è opportuno continuare a sentirsene partecipi attraverso tutti gli strumenti che la società civile ha a disposizione.

Ai giovani

Ai giovani, che per la prima volta si recano a un seggio elettorale, diciamo di avere fiducia! Con il vostro voto lanciate a tutta l’Italia un forte messaggio di partecipazione alla costruzione del bene comune, nel rispetto della persona, di tutte le persone in ogni fase della vita. Questo è il vero criterio per orientarsi nelle scelte. Il vostro impegno per la cura del Creato è un esempio per tutti. Vedere che i giovani si pongono dalla parte di chi vuole affrontare e risolvere i problemi è un segno che fa ben sperare. E impegna, allo stesso tempo, noi adulti a non tradire i vostri sogni.

Ai disillusi

A chi, dopo molti anni, è tentato di pensare che nulla cambierà anche stavolta, ricordiamo che il contributo di tutti è molto prezioso. Comprendiamo la vostra preoccupazione: sarà possibile mettere da parte le divisioni e guardare al bene del Paese? Vi invitiamo, però, a non far prevalere la delusione: impegniamoci! La partecipazione democratica è amore per il nostro Paese. Invitiamo chi si trova ad affrontare gravi problemi e si sente ai margini della società a non scoraggiarsi e a dare il proprio irrinunciabile contributo.

Agli eletti

Chiediamo ai futuri eletti di non dimenticare mai l’alta responsabilità di cui sono investiti. Il loro servizio è per tutti, in particolare per chi è più fragile e per chi non ha modo di far sentire la sua voce. L’agenda dei problemi del nostro Paese è fitta: le povertà in aumento costante e preoccupante, l’inverno demografico, la protezione degli anziani, i divari tra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica, la difesa dei posti di lavoro, soprattutto per i giovani, l’accoglienza, la tutela, la promozione e l’integrazione dei migranti, il superamento delle lungaggini burocratiche, le riforme dell’espressione democratica dello Stato e della legge elettorale… È il tempo di scelte coraggiose e organiche. Non opportunismi, ma visioni. Vi invitiamo a vivere la responsabilità politica come “la forma più alta di carità”.

Elezioni. Prospettive

Ripartiamo dai luoghi di vita: qui abbiamo ritrovato il senso della prossimità durante la pandemia. Il Cammino sinodale che le Chiese in Italia stanno vivendo può costituire davvero un’opportunità per far progredire processi di corresponsabilità. È sempre nei luoghi di vita che abbiamo appreso l’arte del dialogo e dell’ascolto, ingredienti indispensabili per ricostruire le condizioni della partecipazione e del confronto. Riscopriamo e riproponiamo i principi della dottrina sociale della Chiesa: dignità delle persone, bene comune, solidarietà e sussidiarietà. Amiamo il nostro Paese. La Chiesa ricorderà sempre questo a tutti e continuerà a indicare, con severità se occorre, il bene comune e non l’interesse personale, la difesa dei diritti inviolabili della persona e della comunità. Matera, 21 settembre 2022 Festa di san Matteo, Apostolo ed Evangelista]]>
Promesse elettorali irresponsabili https://www.lavoce.it/promesse-elettorali-irresponsabili/ https://www.lavoce.it/promesse-elettorali-irresponsabili/#comments Thu, 22 Sep 2022 10:45:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68724 Logo rubrica Il punto

Perdonateci se noi di una certa età ricordiamo con nostalgia il passato. La campagna elettorale di questi giorni mi fa pensare a quella che 62 anni fa faceva, in America, John Fitzgerald Kennedy per le elezioni presidenziali; le vinse; non giunse vivo alle successive.

Attirava l’interesse anche in Italia perché era giovane, brillante, e cattolico; anche se poi si capì che nella sua vita personale non era un santo. Ma aveva due frasi di culto.

Una fu adottata anche da don Lorenzo Milani (che invece era davvero un santo): “ I care ” che potremmo tradurre liberamente così: se vedo che c’è un problema, che qualcuno è in difficoltà, ebbene, io me ne faccio carico. L’altra era una esortazione ai giovani: non chiedete che cosa il vostro Paese può fare per voi, chiedete che cosa voi potete fare per il vostro Paese. L’una e l’altra di queste frasi spingevano ad assumersi impegno e responsabilità per il bene collettivo. A dare, prima che a prendere.

Mi chiedo se nella campagna elettorale di oggi ce ne è qualche eco, ma mi sembra di no. Tutti - sia pure in forme diverse - promettono benefici che comporteranno maggiori spese per lo Stato; nessuno parla di tagli di spesa o peggio ancora di aumenti di tasse. Quindi il nostro Stato, che già ha un debito stratosferico, chiunque vinca si troverebbe a spendere ancora di più, e quindi ad avere un debito ancora maggiore.

Non è un invito alla responsabilità, ma alla irresponsabilità. Un pensiero inquietante è che quando JFK lanciava quelle parole d'ordine, lo faceva perché così pensava (almeno crediamo), ma anche perché si aspettava che gli portassero voti. Se oggi i politici non fanno appelli di quel genere, forse non credono che ci guadagnerebbero voti.

Quindi la perdita di senso civico è generale. Ora, è vero che lo Stato è al servizio dell’individuo, e non viceversa; però è anche vero che - come dice l’articolo 2 della nostra Costituzione - lo Stato non solo garantisce i diritti inviolabili della persona, ma esige anche l’adempimento, da parte dei singoli, dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Ecco: è la solidarietà il valore fondante di una comunità, e quindi di uno Stato. Mi sembra tenuto alquanto in ribasso.

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Perdonateci se noi di una certa età ricordiamo con nostalgia il passato. La campagna elettorale di questi giorni mi fa pensare a quella che 62 anni fa faceva, in America, John Fitzgerald Kennedy per le elezioni presidenziali; le vinse; non giunse vivo alle successive.

Attirava l’interesse anche in Italia perché era giovane, brillante, e cattolico; anche se poi si capì che nella sua vita personale non era un santo. Ma aveva due frasi di culto.

Una fu adottata anche da don Lorenzo Milani (che invece era davvero un santo): “ I care ” che potremmo tradurre liberamente così: se vedo che c’è un problema, che qualcuno è in difficoltà, ebbene, io me ne faccio carico. L’altra era una esortazione ai giovani: non chiedete che cosa il vostro Paese può fare per voi, chiedete che cosa voi potete fare per il vostro Paese. L’una e l’altra di queste frasi spingevano ad assumersi impegno e responsabilità per il bene collettivo. A dare, prima che a prendere.

Mi chiedo se nella campagna elettorale di oggi ce ne è qualche eco, ma mi sembra di no. Tutti - sia pure in forme diverse - promettono benefici che comporteranno maggiori spese per lo Stato; nessuno parla di tagli di spesa o peggio ancora di aumenti di tasse. Quindi il nostro Stato, che già ha un debito stratosferico, chiunque vinca si troverebbe a spendere ancora di più, e quindi ad avere un debito ancora maggiore.

Non è un invito alla responsabilità, ma alla irresponsabilità. Un pensiero inquietante è che quando JFK lanciava quelle parole d'ordine, lo faceva perché così pensava (almeno crediamo), ma anche perché si aspettava che gli portassero voti. Se oggi i politici non fanno appelli di quel genere, forse non credono che ci guadagnerebbero voti.

Quindi la perdita di senso civico è generale. Ora, è vero che lo Stato è al servizio dell’individuo, e non viceversa; però è anche vero che - come dice l’articolo 2 della nostra Costituzione - lo Stato non solo garantisce i diritti inviolabili della persona, ma esige anche l’adempimento, da parte dei singoli, dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Ecco: è la solidarietà il valore fondante di una comunità, e quindi di uno Stato. Mi sembra tenuto alquanto in ribasso.

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Meglio non scordare https://www.lavoce.it/meglio-non-scordare/ Thu, 22 Sep 2022 09:42:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68721

di Paolo Bustaffa

Alla vigilia del voto la parola “memoria” è tra quelle assenti nel vocabolario di una convulsa campagna elettorale. Dimenticata o cancellata? Non c’è molta differenza. La rimozione della parola non è comunque sfuggita a quei cittadini che, per quanto possibile, hanno letto i programmi elettorali e hanno ascoltato i leader dei partiti.

C’è un passato, vicino e lontano, che viene velocemente rimosso dalla politica, ed è una rimozione che tocca importanti valori umani e sociali: la dignità della persona, la dignità del lavoro, la lotta alle diseguaglianze, le misure restrittive nel tempo della pandemia, la tutela dell’ambiente, l’impegno per la pace e la giustizia. La memoria mette alla prova l’onestà intellettuale e diventa un esame di coscienza irrinunciabile per giungere a una visione del mondo e della società dove ogni uomo e ogni donna si sentano accolti e valorizzati, dove la felicità sia un’esperienza accessibile a tutti.

La questione della memoria è diventata una posta in gioco assai importante nella società pluralistica dove convivono e si sovrappongono memorie differenti, a volte in contraddizione, anche in opposizione tra di loro. Una politica senza memoria, o che cerca di cancellarla perché ostile agli interessi di parte, si pone su una strada a fondo cieco. In Paesi che hanno una storia ricca e complessa, la memoria è una compagna di strada che consente ai cittadini di capire il passato, vivere responsabilmente il presente e costruire l’avvenire. Se il filo si spezza, il frammento - come sta avvenendo - prevale sull’insieme, e nessuna grande visione può nascere.

C’è un’altra memoria che si affaccia alla viglia del voto, ed è quella che mette a nudo le incoerenze o le coerenze con l’errore. Si tratta di una memoria che infastidisce e che si tenta di rimuovere.

Non tutti i cittadini però dimenticano. Non dimenticano chi e perché ha fatto cadere un Governo che stava lavorando in un momento difficile, chi ha seminato la paura dell’altro, chi si è accodato al rifiuto di misure e vaccini per fermare il contagio, chi ha continuato a sostituire il “prima noi” al “prima la persona”, chi ha illuso che bastasse salvare la propria casa mentre tutto attorno divampava l’incendio, chi ha incollato il futuro al presente rubando i sogni dei giovani.

Questa memoria non porta rancore, non punta il dito contro qualcuno, ma come una maestra saggia raccomanda di scrivere una storia nuova dopo aver appreso l’amara lezione delle menzogne, degli errori, delle superficialità. Un insegnamento che qualcuno ha tentato e tenta di cancellare con una battuta o cambiando continuamente registro, augurandosi che la memoria si dissolva.

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di Paolo Bustaffa

Alla vigilia del voto la parola “memoria” è tra quelle assenti nel vocabolario di una convulsa campagna elettorale. Dimenticata o cancellata? Non c’è molta differenza. La rimozione della parola non è comunque sfuggita a quei cittadini che, per quanto possibile, hanno letto i programmi elettorali e hanno ascoltato i leader dei partiti.

C’è un passato, vicino e lontano, che viene velocemente rimosso dalla politica, ed è una rimozione che tocca importanti valori umani e sociali: la dignità della persona, la dignità del lavoro, la lotta alle diseguaglianze, le misure restrittive nel tempo della pandemia, la tutela dell’ambiente, l’impegno per la pace e la giustizia. La memoria mette alla prova l’onestà intellettuale e diventa un esame di coscienza irrinunciabile per giungere a una visione del mondo e della società dove ogni uomo e ogni donna si sentano accolti e valorizzati, dove la felicità sia un’esperienza accessibile a tutti.

La questione della memoria è diventata una posta in gioco assai importante nella società pluralistica dove convivono e si sovrappongono memorie differenti, a volte in contraddizione, anche in opposizione tra di loro. Una politica senza memoria, o che cerca di cancellarla perché ostile agli interessi di parte, si pone su una strada a fondo cieco. In Paesi che hanno una storia ricca e complessa, la memoria è una compagna di strada che consente ai cittadini di capire il passato, vivere responsabilmente il presente e costruire l’avvenire. Se il filo si spezza, il frammento - come sta avvenendo - prevale sull’insieme, e nessuna grande visione può nascere.

C’è un’altra memoria che si affaccia alla viglia del voto, ed è quella che mette a nudo le incoerenze o le coerenze con l’errore. Si tratta di una memoria che infastidisce e che si tenta di rimuovere.

Non tutti i cittadini però dimenticano. Non dimenticano chi e perché ha fatto cadere un Governo che stava lavorando in un momento difficile, chi ha seminato la paura dell’altro, chi si è accodato al rifiuto di misure e vaccini per fermare il contagio, chi ha continuato a sostituire il “prima noi” al “prima la persona”, chi ha illuso che bastasse salvare la propria casa mentre tutto attorno divampava l’incendio, chi ha incollato il futuro al presente rubando i sogni dei giovani.

Questa memoria non porta rancore, non punta il dito contro qualcuno, ma come una maestra saggia raccomanda di scrivere una storia nuova dopo aver appreso l’amara lezione delle menzogne, degli errori, delle superficialità. Un insegnamento che qualcuno ha tentato e tenta di cancellare con una battuta o cambiando continuamente registro, augurandosi che la memoria si dissolva.

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Quei partiti senza una base https://www.lavoce.it/quei-partiti-senza-una-base/ Thu, 15 Sep 2022 14:01:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68580

di Stefano De Martis

In Danimarca un collettivo di artisti ha pubblicamente annunciato di voler partecipare alle elezioni – che in quel Paese si terranno nel 2023 – con un “partito sintetico” il cui programma è stato scritto attraverso un sistema di intelligenza artificiale, attingendo a tutte le proposte presentate dagli altri partiti dal 1970 in poi. Non si sa se il gruppo sarà in grado di raccogliere le firme necessarie per concorrere a un seggio nel Folketinget.

Resta il fatto di una provocazione politicoculturale che tocca un nervo estremamente sensibile in quasi tutte le democrazie occidentali, ben compresa la nostra, come dimostra anche la campagna elettorale prossima alla conclusione. Che ne è dei partiti delineati dalla Costituzione? All’articolo 49 si legge che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Ma oggi sulla scena si vedono soltanto leader impegnati in singolar tenzone contro altri leader, e molti elettori – bisogna riconoscerlo – hanno ormai profondamente introiettato questo schema.

La personalizzazione della competizione politica non è certo un fenomeno nuovo, se è vero che la crisi dei partiti di massa solitamente viene datata agli anni Ottanta del secolo scorso (“Tangentopoli” esplode subito all’inizio del decennio successivo, anni Novanta). Il fenomeno però si è estremizzato in tempi più recenti, nel solco di quella dinamica epocale che va sotto il nome di “disintermediazione”.

Riconducibile in larga misura alla rivoluzione digitale, questa dinamica ha messo fortemente in discussione tutti i corpi sociali che si definiscono appunto “intermedi”. Se alcuni ambiti hanno saputo esprimere una notevole tenuta e capacità di rigenerazione, basti pensare alle realtà del terzo settore, nel campo specificamente politico il processo ha avuto esiti destabilizzanti, come dimostrano la caotica volatilità delle scelte elettorali e le parossistiche oscillazioni del consenso. In assenza di partiti con un effettivo radicamento popolare, da almeno una decina d’anni (e forse si potrebbe anche risalire più indietro) i leader temporaneamente vincenti vengono bruciati uno dopo l’altro in rapida successione, dopo aver catalizzato attese “messianiche” regolarmente smentite dai fatti. Un andamento in cui le responsabilità personali contano, certamente, ma la questione ha assunto un carattere di sistema.

Il punto è che per far fronte all’immensa complessità dei problemi in cui siamo immersi non bastano leadership autorevoli e credibili, che pure sono evidentemente indispensabili. Occorre infatti essere consapevoli che, senza una mobilitazione di tutte le energie del Paese, senza un’onesta convergenza d’intenti – pur nella varietà delle posizioni politiche e delle istanze dei territori –, non è realistico immaginare soluzioni efficaci e durature.

Come si verifica ogni giorno di più anche a livello internazionale, la solidarietà è una risorsa di cui non si può fare a meno. Chi sostiene di potersela cavare da solo, o è un illuso che inganna i suoi tifosi, oppure è un giocatore d’azzardo che scommette in una partita pericolosa. Dentro e fuori il suo Paese.

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di Stefano De Martis

In Danimarca un collettivo di artisti ha pubblicamente annunciato di voler partecipare alle elezioni – che in quel Paese si terranno nel 2023 – con un “partito sintetico” il cui programma è stato scritto attraverso un sistema di intelligenza artificiale, attingendo a tutte le proposte presentate dagli altri partiti dal 1970 in poi. Non si sa se il gruppo sarà in grado di raccogliere le firme necessarie per concorrere a un seggio nel Folketinget.

Resta il fatto di una provocazione politicoculturale che tocca un nervo estremamente sensibile in quasi tutte le democrazie occidentali, ben compresa la nostra, come dimostra anche la campagna elettorale prossima alla conclusione. Che ne è dei partiti delineati dalla Costituzione? All’articolo 49 si legge che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Ma oggi sulla scena si vedono soltanto leader impegnati in singolar tenzone contro altri leader, e molti elettori – bisogna riconoscerlo – hanno ormai profondamente introiettato questo schema.

La personalizzazione della competizione politica non è certo un fenomeno nuovo, se è vero che la crisi dei partiti di massa solitamente viene datata agli anni Ottanta del secolo scorso (“Tangentopoli” esplode subito all’inizio del decennio successivo, anni Novanta). Il fenomeno però si è estremizzato in tempi più recenti, nel solco di quella dinamica epocale che va sotto il nome di “disintermediazione”.

Riconducibile in larga misura alla rivoluzione digitale, questa dinamica ha messo fortemente in discussione tutti i corpi sociali che si definiscono appunto “intermedi”. Se alcuni ambiti hanno saputo esprimere una notevole tenuta e capacità di rigenerazione, basti pensare alle realtà del terzo settore, nel campo specificamente politico il processo ha avuto esiti destabilizzanti, come dimostrano la caotica volatilità delle scelte elettorali e le parossistiche oscillazioni del consenso. In assenza di partiti con un effettivo radicamento popolare, da almeno una decina d’anni (e forse si potrebbe anche risalire più indietro) i leader temporaneamente vincenti vengono bruciati uno dopo l’altro in rapida successione, dopo aver catalizzato attese “messianiche” regolarmente smentite dai fatti. Un andamento in cui le responsabilità personali contano, certamente, ma la questione ha assunto un carattere di sistema.

Il punto è che per far fronte all’immensa complessità dei problemi in cui siamo immersi non bastano leadership autorevoli e credibili, che pure sono evidentemente indispensabili. Occorre infatti essere consapevoli che, senza una mobilitazione di tutte le energie del Paese, senza un’onesta convergenza d’intenti – pur nella varietà delle posizioni politiche e delle istanze dei territori –, non è realistico immaginare soluzioni efficaci e durature.

Come si verifica ogni giorno di più anche a livello internazionale, la solidarietà è una risorsa di cui non si può fare a meno. Chi sostiene di potersela cavare da solo, o è un illuso che inganna i suoi tifosi, oppure è un giocatore d’azzardo che scommette in una partita pericolosa. Dentro e fuori il suo Paese.

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Elezioni politiche 2022. Dove sono le idee … e i cattolici? https://www.lavoce.it/elezioni-politiche-2022-dove-sono-le-idee-e-i-cattolici/ Wed, 31 Aug 2022 01:31:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68133 Elezioni 2022

Le liste per le elezioni politiche nazionali del 25 Settembre sono state “chiuse” e la campagna elettorale è entrata nel vivo. Prima che gli animi si accendano troppo e che il frastuono superi il livello di guardia c’è tempo per qualche osservazione. Tuttavia, ancora prima di queste osservazioni, è doveroso ribadire che, per il magistero sociale della Chiesa e non solo, la politica, come ogni ambito pratico, non è oggetto di verità assolute né di sillogismi. Le conoscenze, già in sé precarie, vanno continuamente aggiornate. Le sorprese sono all’ordine del giorno.

Valutare annunci … e scelte compiute

La perfezione e la purezza vanno escluse a priori e dunque ogni argomento difensivo del tipo “ma anche loro …” va bandito per principio. L’unica cosa che si può fare è confrontare le liste di priorità. Valutare per i singoli problemi quali sono i diversi benefici ed i diversi costi delle soluzioni proposte e, soprattutto, valutare il pregresso delle persone e delle organizzazioni. I programmi da prendere in considerazione non sono quelli scritti oggi, ma quelli perseguiti sino a ieri. Si dirà: in tempo di tribalismi (anche) politici tutto questo non è di moda. E quando mai un credente od una persona onesta possono farsi dettare i pensieri e le scelte dalle mode o dagli influencer? Anche se in tonaca. E veniamo a quattro osservazioni.

Pe le elezioni candidati non scelti dagli elettori

Pressoché tutte le liste sono piene di bravissime persone, di persone – come a volte si dice – provenienti dalla “società civile”. Ciò nonostante non bisogna farsi confondere. Basta osservare i posti loro assegnati e conoscere i sondaggi per rendersi conto che sono state collocate in posizioni “inutili”, sono state usate da “abbellimento”. Gruppi dirigenti ristrettissimi e selezionati per cooptazione si sono presi tutti i posti “utili” (ed anche qualcuno in più: “per sicurezza”). Questo fenomeno non è affatto inevitabile. Basta osservare come funzionano le grandi democrazie (ed ormai anche molte delle piccole) per rendersi conto facilmente che le primarie (spesso imposte per legge), o i “primi turni” di sistemi a “doppio turno”, servono esattamente a questo: a far sì che siano gli elettori a scegliere i candidati. Né la attuale legge elettorale avrebbe impedito l’utilizzo dello strumento delle primarie. Anzi, per la verità, lo avrebbe favorito. Il rifiuto delle primarie è particolarmente grave per il Pd che era nato sul solenne impegno statutario di tenere regolarmente primarie aperte e trasparenti. Di quel Pd non c’è più traccia e magari la cosa colpisce un po’ meno in Umbria, dove il Pd – come qualcosa di realmente altro da quello che c’era prima – non è praticamente mai nato. A quest’uso delle “facce nuove”, di routine a destra, non fa eccezione neppure il neonato “Terzo Polo” (Renzi-Calenda), che ha cercato di mettere al sicuro una manciata di ex-Pd nostrani, i quali, del riformismo e dello spirito liberale di cui oggi parlano, non avevano fatto sospettare quando erano interni e spesso al vertice dell’”Umbria rossa”. Veniamo ai programmi. Qui il discorso si fa piuttosto semplice.

I programmi di partiti e coalizioni ci sono?

I 5Stelle di Conte

Difficile dire qualcosa del Movimento 5 Stelle e di Conte. Nel corso della passata legislatura hanno fatto di tutto ed hanno addirittura guidato (con Conte) governi di orientamento perfettamente opposto (record eguagliabile, ma non superabile), nessuno dei quali governi e delle rispettive alleanze minimamente riconducibile alle promesse fatte in campagna elettorale. Anche dal punto di vista del metodo il M5S non ha certo dato compimento alle promesse di democrazia diretta e di trasparenza di cui si era vantato. Se bastava un po’ di storia per sapere che la “democrazia diretta” è un mito che serve solo a coprire l’ennesimo attacco alla democrazia, forse non tutti si aspettavano che alla fine risultasse irrisolto anche il nodo del rapporto tra M5S e aziende private. Ciò detto, e a dimostrazione di quanto detto in premessa, non si può però non ricordare che per iniziativa dei “Cinque Stelle” abbiamo avuto una riforma – il taglio dei parlamentari – che punisce il ceto politico ed aumenta il peso del voto del singolo elettore. Una riforma – come tutte certamente da completare – della quale solo da poco abbiamo cominciato ad apprezzare il valore e la utilità.

Il Pd e gli alleati

Difficile dire qualcosa anche della alleanza cui hanno dato vita: +Europa, il Pd, i dalemiani della “ditta” già fuoriusciti, Fratoianni, Bonelli e Di Maio. La eterogeneità è tale che questa coalizione non ha né un programma, né un leader e forse neppure un nome. Vi sta dentro chi è stato con Draghi e chi lo ha costantemente combattuto, e persino Di Maio il quale, per parlare solo di politica estera, ha avuto momenti di attiva simpatia per Putin, altri di alacre collaborazione con i cinesi e ora, da poco, professa “europeismo” ed “atlantismo”. Il Pd, che aveva cercato in ogni modo il Conte III piuttosto che il governo Draghi, dopo essere stato fedele a quest’ultimo, una volta caduto l’ha immediatamente rimosso, accantonandone l’agenda ed alleandosi con chi lo ha osteggiato. Si dice: colpa delle legge elettorale; ma – a prescindere dal fatto che tale legge non obbliga affatto a fare alleanze, né tanto meno a farne con chi ha idee diverse dalle proprie – si tratta di una legge elettorale che porta il nome dell’allora capogruppo Pd! Se ora il Pd si accorge che si tratta di una legge elettorale fatta male, non dovrebbe accampare scuse, ma chiedere scusa. La scissione di alleanza elettorale e programma è l’ennesima pietra tombale posta dal Pd su se stesso. In questa fase neppure i residui riformisti del Pd hanno dato battaglia a Letta ed alla “ditta”, ma si sono limitati a tentare di farsi cooptare.

Centro destra e Terzo polo Renzi-Calenda

Di programmi invece ha invece senso parlare se si prendono in considerazione Centrodestra e Terzo polo (Renzi-Calenda). Qui la alternativa è chiara: da una parte – il Centrodestra – abbiamo un “no” netto alla “agenda Draghi”, dall’altra – Renzi-Calenda – abbiamo un “sì” altrettanto netto alla “agenda Draghi”. La contrapposizione è resa ancora più chiara dal fatto che la “agenda Draghi” non è una vaga dichiarazione di intenti, ma un programma per larga parte già scritto, già in via di esecuzione e che già ha prodotto risultati in termini di: flussi economici, pubblici e privati, di credito, di collocazione internazionale dell’Italia, di riforme, di risultati già prodotti dalle politiche adottate. Naturalmente la “agenda Draghi” può piacere o non piacere, ma si tratta di una cosa precisa e già operativa. Sicché la alternativa tra Centrodestra e Terzo Polo ha contorni precisi e concreti. (Né si può escludere che un buon risultato di Renzi & Calenda attragga e torni a dare un po’ di coraggio ai riformisti del Pd ed agli eventuali – attualmente scomparsi dai radar – “non sovranisti” e “non populisti” del Centrodestra.) Ciò che il Centrodestra non dice nel suo programma è come (e dunque a quali costi) riuscirebbe a garantire altrimenti i flussi finanziari positivi generati dalla agenda Draghi (dai fondi messi a disposizione dall’UE agli investimenti privati attirati dalla fiducia generata sui mercati da Draghi e dalle sue politiche). Ad esempio, come potrebbe mai essere possibile arginare la escalation dei prezzi dell’energia se non con un fronte UE compatto quale quello cui Draghi ha lavorato sin quasi ad assumerne la leadership? Né il Centrodestra dice come riuscirà a conservare la apertura di credito riguadagnata dall’Italia nelle sedi internazionali, né come eviterà i contraccolpi negativi della cancellazione delle riforme realizzate o messe in cantiere dal governo uscente, né con cosa sostituirà i risultati ottenuti e quelli attesi delle politiche adottate dal governo Draghi. Il Centrodestra afferma di voler stare nella Unione Europea e nella Nato, ma questo non basta perché si può stare in Europa come l’Ungheria di Orban (corteggiatissimo da Meloni) ed il Gruppo di Visegrad (amato da Salvini) oppure come Macron; perché si può stare nella Nato come la Turchia di Erdogan o come la Gran Bretagna. Per non parlare delle simpatie per Putin (e per Trump) assai diffuse nello stesso Centrodestra. Al momento, il “no” alla “agenda Draghi”, che resta legittimo, è pieno di equivoci e di lacune, ed è pieno di incubi per chi desidera che l’Italia resti una “società aperta”, una poliarchia locale dentro una poliarchia globale (per usare i termini della Caritas in veritate di Benedetto XVI). Dal punto di vista programmatico, per quello che è dato vedere oggi, le elezioni del 25 Settembre saranno un referendum sulla “agenda Draghi”: Terzo Polo a favore della “agenda Draghi” e Centrodestra contro la ”agenda Draghi”.

Temi locali nel dibattito nazionale sulle elezioni?

Ha senso attendersi che si parli di questioni locali in elezioni politiche nazionali? No e sì. No, non ha senso perché agli umbri, come a tutti gli altri italiani, è chiesto di scegliere su politiche di livello nazionale, a differenza di quanto avviene nelle consultazioni regionali o comunali. Sì, ha senso, se si riesce a mostrare che una questione “locale” non è una questione di rilievo solo “locale”, bensì anche “nazionale” e “globale”.

La questione “Italia centrale”

Negli ultimi anni, per prima la Azione Cattolica di Terni-Narni-Amelia, tante e varie voci autorevoli della vita sociale, economica ed accademica, istituzioni di ricerca come l’AUR di Perugia, testate nazionali come “il Messaggero”, hanno chiarito oltre ogni ragionevole dubbio che la questione “Italia Centrale” è oggi questione di interesse nazionale e globale e che nei suoi confini prende nuovo vigore la causa umbra e in generale quella della rete di città medie di questa area. Nelle settimane scorse era stato fatto notare anche che la maggior parte dei collegi contendibili è collocata proprio in Italia Centrale e che quindi era interesse dei partiti competere offrendo all’elettorato proposte alternative in materia. Risultato: tutti hanno taciuto. Niente di niente da nessuna delle quattro principali sponde.

La questione cattolici e politica

Anche queste elezioni 2022 sono occasione nella quale si manifesta lo scivolamento in atto nel cattolicesimo italiano, rispetto alla politica e non solo. La offerta politica che abbiamo di fronte mostra come il cattolicesimo italiano sia caratterizzato oggi da un mix di visibilità ed irrilevanza. Meloni, Salvini, Berlusconi, Renzi, Letta e Conte hanno biografie e strategie comunicative in cui certo non si nasconde il riferimento alla religione. Contemporaneamente, non occorre essere teologi per rendersi conto che principi e criteri del magistero sociale della Chiesa, per non parlare dell’eredità del cattolicesimo politico, non hanno gran peso nella selezione delle priorità e delle politiche.

Dibattito elettorale: riferimento inconsistente all'insegnamento della Chiesa

In questo senso non si può non sottolineare la assoluta inconsistenza del riferimento alla dottrina sociale della Chiesa fatto dalla on.le Meloni a Rimini. Senza risalire al Vaticano II ed a Montini, è davvero difficile trovare argomenti a sostegno di una prospettiva “sovranista” e “populista” nel magistero di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI.

Caduta del pensiero cattolico e della formazione dei credenti?

Decenni di desertificazione del tessuto dell’associazionismo laicale cattolico e di sua improvvida sostituzione con le “pastorali” (strutturalmente “clericali”) hanno estirpato le radici che avevano formato generazioni di cattolici alle forme proprie ed alla responsabilità della politica. A questo si è aggiunta una moda ormai dilagante di continuo riposizionamento di cattolici, laici e clero, che non si dà briga di addurre giustificazione alcuna per l’assumere in successione posizioni diversissime sia nella Chiesa che in politica. Se si pensa a quale spazio gli interventi del magistero, a tutti i livelli, davano alle argomentazioni che discutevano, distinguevano o collegavano affermazioni del passato e del presente, ben si comprende quale “sciogliete le righe” produca l’attuale affidarsi non ad argomenti, ma ad emozioni, battute e twitt. Certamente non si aiuta la maturazione nei credenti di una rinnovata coscienza storica, e dunque anche politica, diffondendo lo spontaneismo, premiando l’anti-intellettualismo, abbandonandosi a luoghi comuni. Semmai, il bisogno di disciplina (ascetica ed intellettuale), di formazione e di confronto nel discernimento, il bisogno di apostolato dei laici (e non di “pastorali”), di associazionismo laicale ecclesiale (piuttosto che di uffici di curia e di laici ridotti ad “operatori pastorali”) è oggi più grande di ieri.]]>
Elezioni 2022

Le liste per le elezioni politiche nazionali del 25 Settembre sono state “chiuse” e la campagna elettorale è entrata nel vivo. Prima che gli animi si accendano troppo e che il frastuono superi il livello di guardia c’è tempo per qualche osservazione. Tuttavia, ancora prima di queste osservazioni, è doveroso ribadire che, per il magistero sociale della Chiesa e non solo, la politica, come ogni ambito pratico, non è oggetto di verità assolute né di sillogismi. Le conoscenze, già in sé precarie, vanno continuamente aggiornate. Le sorprese sono all’ordine del giorno.

Valutare annunci … e scelte compiute

La perfezione e la purezza vanno escluse a priori e dunque ogni argomento difensivo del tipo “ma anche loro …” va bandito per principio. L’unica cosa che si può fare è confrontare le liste di priorità. Valutare per i singoli problemi quali sono i diversi benefici ed i diversi costi delle soluzioni proposte e, soprattutto, valutare il pregresso delle persone e delle organizzazioni. I programmi da prendere in considerazione non sono quelli scritti oggi, ma quelli perseguiti sino a ieri. Si dirà: in tempo di tribalismi (anche) politici tutto questo non è di moda. E quando mai un credente od una persona onesta possono farsi dettare i pensieri e le scelte dalle mode o dagli influencer? Anche se in tonaca. E veniamo a quattro osservazioni.

Pe le elezioni candidati non scelti dagli elettori

Pressoché tutte le liste sono piene di bravissime persone, di persone – come a volte si dice – provenienti dalla “società civile”. Ciò nonostante non bisogna farsi confondere. Basta osservare i posti loro assegnati e conoscere i sondaggi per rendersi conto che sono state collocate in posizioni “inutili”, sono state usate da “abbellimento”. Gruppi dirigenti ristrettissimi e selezionati per cooptazione si sono presi tutti i posti “utili” (ed anche qualcuno in più: “per sicurezza”). Questo fenomeno non è affatto inevitabile. Basta osservare come funzionano le grandi democrazie (ed ormai anche molte delle piccole) per rendersi conto facilmente che le primarie (spesso imposte per legge), o i “primi turni” di sistemi a “doppio turno”, servono esattamente a questo: a far sì che siano gli elettori a scegliere i candidati. Né la attuale legge elettorale avrebbe impedito l’utilizzo dello strumento delle primarie. Anzi, per la verità, lo avrebbe favorito. Il rifiuto delle primarie è particolarmente grave per il Pd che era nato sul solenne impegno statutario di tenere regolarmente primarie aperte e trasparenti. Di quel Pd non c’è più traccia e magari la cosa colpisce un po’ meno in Umbria, dove il Pd – come qualcosa di realmente altro da quello che c’era prima – non è praticamente mai nato. A quest’uso delle “facce nuove”, di routine a destra, non fa eccezione neppure il neonato “Terzo Polo” (Renzi-Calenda), che ha cercato di mettere al sicuro una manciata di ex-Pd nostrani, i quali, del riformismo e dello spirito liberale di cui oggi parlano, non avevano fatto sospettare quando erano interni e spesso al vertice dell’”Umbria rossa”. Veniamo ai programmi. Qui il discorso si fa piuttosto semplice.

I programmi di partiti e coalizioni ci sono?

I 5Stelle di Conte

Difficile dire qualcosa del Movimento 5 Stelle e di Conte. Nel corso della passata legislatura hanno fatto di tutto ed hanno addirittura guidato (con Conte) governi di orientamento perfettamente opposto (record eguagliabile, ma non superabile), nessuno dei quali governi e delle rispettive alleanze minimamente riconducibile alle promesse fatte in campagna elettorale. Anche dal punto di vista del metodo il M5S non ha certo dato compimento alle promesse di democrazia diretta e di trasparenza di cui si era vantato. Se bastava un po’ di storia per sapere che la “democrazia diretta” è un mito che serve solo a coprire l’ennesimo attacco alla democrazia, forse non tutti si aspettavano che alla fine risultasse irrisolto anche il nodo del rapporto tra M5S e aziende private. Ciò detto, e a dimostrazione di quanto detto in premessa, non si può però non ricordare che per iniziativa dei “Cinque Stelle” abbiamo avuto una riforma – il taglio dei parlamentari – che punisce il ceto politico ed aumenta il peso del voto del singolo elettore. Una riforma – come tutte certamente da completare – della quale solo da poco abbiamo cominciato ad apprezzare il valore e la utilità.

Il Pd e gli alleati

Difficile dire qualcosa anche della alleanza cui hanno dato vita: +Europa, il Pd, i dalemiani della “ditta” già fuoriusciti, Fratoianni, Bonelli e Di Maio. La eterogeneità è tale che questa coalizione non ha né un programma, né un leader e forse neppure un nome. Vi sta dentro chi è stato con Draghi e chi lo ha costantemente combattuto, e persino Di Maio il quale, per parlare solo di politica estera, ha avuto momenti di attiva simpatia per Putin, altri di alacre collaborazione con i cinesi e ora, da poco, professa “europeismo” ed “atlantismo”. Il Pd, che aveva cercato in ogni modo il Conte III piuttosto che il governo Draghi, dopo essere stato fedele a quest’ultimo, una volta caduto l’ha immediatamente rimosso, accantonandone l’agenda ed alleandosi con chi lo ha osteggiato. Si dice: colpa delle legge elettorale; ma – a prescindere dal fatto che tale legge non obbliga affatto a fare alleanze, né tanto meno a farne con chi ha idee diverse dalle proprie – si tratta di una legge elettorale che porta il nome dell’allora capogruppo Pd! Se ora il Pd si accorge che si tratta di una legge elettorale fatta male, non dovrebbe accampare scuse, ma chiedere scusa. La scissione di alleanza elettorale e programma è l’ennesima pietra tombale posta dal Pd su se stesso. In questa fase neppure i residui riformisti del Pd hanno dato battaglia a Letta ed alla “ditta”, ma si sono limitati a tentare di farsi cooptare.

Centro destra e Terzo polo Renzi-Calenda

Di programmi invece ha invece senso parlare se si prendono in considerazione Centrodestra e Terzo polo (Renzi-Calenda). Qui la alternativa è chiara: da una parte – il Centrodestra – abbiamo un “no” netto alla “agenda Draghi”, dall’altra – Renzi-Calenda – abbiamo un “sì” altrettanto netto alla “agenda Draghi”. La contrapposizione è resa ancora più chiara dal fatto che la “agenda Draghi” non è una vaga dichiarazione di intenti, ma un programma per larga parte già scritto, già in via di esecuzione e che già ha prodotto risultati in termini di: flussi economici, pubblici e privati, di credito, di collocazione internazionale dell’Italia, di riforme, di risultati già prodotti dalle politiche adottate. Naturalmente la “agenda Draghi” può piacere o non piacere, ma si tratta di una cosa precisa e già operativa. Sicché la alternativa tra Centrodestra e Terzo Polo ha contorni precisi e concreti. (Né si può escludere che un buon risultato di Renzi & Calenda attragga e torni a dare un po’ di coraggio ai riformisti del Pd ed agli eventuali – attualmente scomparsi dai radar – “non sovranisti” e “non populisti” del Centrodestra.) Ciò che il Centrodestra non dice nel suo programma è come (e dunque a quali costi) riuscirebbe a garantire altrimenti i flussi finanziari positivi generati dalla agenda Draghi (dai fondi messi a disposizione dall’UE agli investimenti privati attirati dalla fiducia generata sui mercati da Draghi e dalle sue politiche). Ad esempio, come potrebbe mai essere possibile arginare la escalation dei prezzi dell’energia se non con un fronte UE compatto quale quello cui Draghi ha lavorato sin quasi ad assumerne la leadership? Né il Centrodestra dice come riuscirà a conservare la apertura di credito riguadagnata dall’Italia nelle sedi internazionali, né come eviterà i contraccolpi negativi della cancellazione delle riforme realizzate o messe in cantiere dal governo uscente, né con cosa sostituirà i risultati ottenuti e quelli attesi delle politiche adottate dal governo Draghi. Il Centrodestra afferma di voler stare nella Unione Europea e nella Nato, ma questo non basta perché si può stare in Europa come l’Ungheria di Orban (corteggiatissimo da Meloni) ed il Gruppo di Visegrad (amato da Salvini) oppure come Macron; perché si può stare nella Nato come la Turchia di Erdogan o come la Gran Bretagna. Per non parlare delle simpatie per Putin (e per Trump) assai diffuse nello stesso Centrodestra. Al momento, il “no” alla “agenda Draghi”, che resta legittimo, è pieno di equivoci e di lacune, ed è pieno di incubi per chi desidera che l’Italia resti una “società aperta”, una poliarchia locale dentro una poliarchia globale (per usare i termini della Caritas in veritate di Benedetto XVI). Dal punto di vista programmatico, per quello che è dato vedere oggi, le elezioni del 25 Settembre saranno un referendum sulla “agenda Draghi”: Terzo Polo a favore della “agenda Draghi” e Centrodestra contro la ”agenda Draghi”.

Temi locali nel dibattito nazionale sulle elezioni?

Ha senso attendersi che si parli di questioni locali in elezioni politiche nazionali? No e sì. No, non ha senso perché agli umbri, come a tutti gli altri italiani, è chiesto di scegliere su politiche di livello nazionale, a differenza di quanto avviene nelle consultazioni regionali o comunali. Sì, ha senso, se si riesce a mostrare che una questione “locale” non è una questione di rilievo solo “locale”, bensì anche “nazionale” e “globale”.

La questione “Italia centrale”

Negli ultimi anni, per prima la Azione Cattolica di Terni-Narni-Amelia, tante e varie voci autorevoli della vita sociale, economica ed accademica, istituzioni di ricerca come l’AUR di Perugia, testate nazionali come “il Messaggero”, hanno chiarito oltre ogni ragionevole dubbio che la questione “Italia Centrale” è oggi questione di interesse nazionale e globale e che nei suoi confini prende nuovo vigore la causa umbra e in generale quella della rete di città medie di questa area. Nelle settimane scorse era stato fatto notare anche che la maggior parte dei collegi contendibili è collocata proprio in Italia Centrale e che quindi era interesse dei partiti competere offrendo all’elettorato proposte alternative in materia. Risultato: tutti hanno taciuto. Niente di niente da nessuna delle quattro principali sponde.

La questione cattolici e politica

Anche queste elezioni 2022 sono occasione nella quale si manifesta lo scivolamento in atto nel cattolicesimo italiano, rispetto alla politica e non solo. La offerta politica che abbiamo di fronte mostra come il cattolicesimo italiano sia caratterizzato oggi da un mix di visibilità ed irrilevanza. Meloni, Salvini, Berlusconi, Renzi, Letta e Conte hanno biografie e strategie comunicative in cui certo non si nasconde il riferimento alla religione. Contemporaneamente, non occorre essere teologi per rendersi conto che principi e criteri del magistero sociale della Chiesa, per non parlare dell’eredità del cattolicesimo politico, non hanno gran peso nella selezione delle priorità e delle politiche.

Dibattito elettorale: riferimento inconsistente all'insegnamento della Chiesa

In questo senso non si può non sottolineare la assoluta inconsistenza del riferimento alla dottrina sociale della Chiesa fatto dalla on.le Meloni a Rimini. Senza risalire al Vaticano II ed a Montini, è davvero difficile trovare argomenti a sostegno di una prospettiva “sovranista” e “populista” nel magistero di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI.

Caduta del pensiero cattolico e della formazione dei credenti?

Decenni di desertificazione del tessuto dell’associazionismo laicale cattolico e di sua improvvida sostituzione con le “pastorali” (strutturalmente “clericali”) hanno estirpato le radici che avevano formato generazioni di cattolici alle forme proprie ed alla responsabilità della politica. A questo si è aggiunta una moda ormai dilagante di continuo riposizionamento di cattolici, laici e clero, che non si dà briga di addurre giustificazione alcuna per l’assumere in successione posizioni diversissime sia nella Chiesa che in politica. Se si pensa a quale spazio gli interventi del magistero, a tutti i livelli, davano alle argomentazioni che discutevano, distinguevano o collegavano affermazioni del passato e del presente, ben si comprende quale “sciogliete le righe” produca l’attuale affidarsi non ad argomenti, ma ad emozioni, battute e twitt. Certamente non si aiuta la maturazione nei credenti di una rinnovata coscienza storica, e dunque anche politica, diffondendo lo spontaneismo, premiando l’anti-intellettualismo, abbandonandosi a luoghi comuni. Semmai, il bisogno di disciplina (ascetica ed intellettuale), di formazione e di confronto nel discernimento, il bisogno di apostolato dei laici (e non di “pastorali”), di associazionismo laicale ecclesiale (piuttosto che di uffici di curia e di laici ridotti ad “operatori pastorali”) è oggi più grande di ieri.]]>
Politiche 2022: chi vota non sceglie il candidato. Il potere delle Segreterie dei partiti https://www.lavoce.it/politiche-2022-chi-vota-non-sceglie-il-candidato-il-potere-delle-segreterie-dei-partiti/ Fri, 26 Aug 2022 16:44:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68111 ferie

Per chi ha a cuore la democrazia come sistema, è stato uno spettacolo deprimente quello delle segreterie dei maggiori partiti che, nei giorni scorsi, hanno elaborato le rispettive liste di candidati per le elezioni politiche. Colpiva il clima di rissa, di fretta e di concitazione che avvolgeva queste operazioni; e anche la protervia dei parlamentari uscenti che reclamavano il diritto di essere ricandidati, benché tutti sappiano che a partire da quest’anno i seggi disponibili nelle due Camere saranno solo 600 e non più 945. Ma per capire per quale motivo la scelta dei candidati è così drammatica è opportuno ricordare come funziona il sistema elettorale.

Elezioni 2022. La differenza con il sistema della “prima repubblica”

Il fatto è che la legge in vigore consente agli elettori di scegliere fra i partiti, ma non di scegliere fra i candidati. Sia per la Camera che per il Senato, una quota dei seggi è assegnata con il maggioritario uninominale.  Ci sono, cioè, tanti collegi territoriali, ciascuno dei quali elegge un solo parlamentare e quindi ciascun partito ha un candidato solo: o voti per quello o cambi partito; i voti dati ai partiti perdenti sono bruciati, non valgono nulla. La restante quota dei seggi è assegnata con un criterio proporzionale, ma sempre a livello di collegio, e anche lì l’elettore può scegliere solo il partito; ogni partito ha una lista di candidati e ai fini della elezione conta solo il posto che il candidato ha nell’elenco.

Il potere nelle mani delle Segrerie dei partiti

Così chi compila le liste ha, in sostanza il potere di decidere a suo arbitrio chi saranno gli eletti di quel partito. Non mi basterebbe una pagina intera di questo giornale per mostrare quali e quanti inconvenienti produca questo sistema e come svaluti il ruolo degli elettori. Altre pagine ci vorrebbero per spiegare, come funzionava, invece, il sistema della cosiddetta Prima Repubblica (dal 1948 al 1990 circa); e per dire come e perché quel sistema fosse incomparabilmente più rispettoso della volontà degli elettori (accenno solo a quella geniale trovata che era il recupero dei resti, e al voto di preferenza). Mi offro di tenere gratis un seminario di una giornata o due su questi temi, se i lettori lo chiederanno alla direzione della Voce.]]>
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Per chi ha a cuore la democrazia come sistema, è stato uno spettacolo deprimente quello delle segreterie dei maggiori partiti che, nei giorni scorsi, hanno elaborato le rispettive liste di candidati per le elezioni politiche. Colpiva il clima di rissa, di fretta e di concitazione che avvolgeva queste operazioni; e anche la protervia dei parlamentari uscenti che reclamavano il diritto di essere ricandidati, benché tutti sappiano che a partire da quest’anno i seggi disponibili nelle due Camere saranno solo 600 e non più 945. Ma per capire per quale motivo la scelta dei candidati è così drammatica è opportuno ricordare come funziona il sistema elettorale.

Elezioni 2022. La differenza con il sistema della “prima repubblica”

Il fatto è che la legge in vigore consente agli elettori di scegliere fra i partiti, ma non di scegliere fra i candidati. Sia per la Camera che per il Senato, una quota dei seggi è assegnata con il maggioritario uninominale.  Ci sono, cioè, tanti collegi territoriali, ciascuno dei quali elegge un solo parlamentare e quindi ciascun partito ha un candidato solo: o voti per quello o cambi partito; i voti dati ai partiti perdenti sono bruciati, non valgono nulla. La restante quota dei seggi è assegnata con un criterio proporzionale, ma sempre a livello di collegio, e anche lì l’elettore può scegliere solo il partito; ogni partito ha una lista di candidati e ai fini della elezione conta solo il posto che il candidato ha nell’elenco.

Il potere nelle mani delle Segrerie dei partiti

Così chi compila le liste ha, in sostanza il potere di decidere a suo arbitrio chi saranno gli eletti di quel partito. Non mi basterebbe una pagina intera di questo giornale per mostrare quali e quanti inconvenienti produca questo sistema e come svaluti il ruolo degli elettori. Altre pagine ci vorrebbero per spiegare, come funzionava, invece, il sistema della cosiddetta Prima Repubblica (dal 1948 al 1990 circa); e per dire come e perché quel sistema fosse incomparabilmente più rispettoso della volontà degli elettori (accenno solo a quella geniale trovata che era il recupero dei resti, e al voto di preferenza). Mi offro di tenere gratis un seminario di una giornata o due su questi temi, se i lettori lo chiederanno alla direzione della Voce.]]>