Egitto Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/egitto/ Settimanale di informazione regionale Thu, 25 Apr 2024 15:45:35 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Egitto Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/egitto/ 32 32 Per Gihan Kamel la ricerca supera i conflitti. E dice alle donne: non demordete! https://www.lavoce.it/ricerca-supera-conflitti-donne-non-demordete/ https://www.lavoce.it/ricerca-supera-conflitti-donne-non-demordete/#respond Thu, 25 Apr 2024 15:45:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75835 Gihan Kamel a mezzo busto con maglia rosso bordeaux e un hijab a riche di vari colori che le copre la testa

Al mondo ci sono donne e uomini di scienza e donne e uomini di fede che costruiscono la pace: non sono in conflitto tra loro, ammettono che la scienza è ragione e che la fede è rivelazione, ammettono entrambe le spiegazioni – filosofiche o metafisiche – riguardo allo studio dell’universo. Quindi scienza e fede possono andare d’accordo e possono essere complementari grazie alle scoperte dell’umanità e alle domande che si pone, e al continuo rinnovamento dell’essere umano, dove la fede tocca la nostra condizione profonda e la scienza indaga sulle cause.

Gihan Kamel, fisica egiziana ospite al Festival di scienza e filosofia a Foligno

Ma una persona di scienza e credente, come vive la sua identità? Risponde Gihan Kamel, fisica di nazionalità egiziana, nota come esperta di raggi infrarossi nel progetto relativo alla luce di sincrotrone per la scienza sperimentale e le sue applicazioni in Medio Oriente. Ha partecipato a Foligno alla Festa di scienza e filosofia.

“Ho voluto tenere separate le due cose – dice. – Penso che tutti lo dovrebbero fare, sia la scienza che la fede hanno una loro identità, che appartiene a ogni singolo individuo. La scienza supera le credenze e non conosce differenze e divisioni: unisce e porta a una meta comune, a vantaggio di tutta la società”.

Lei è l’unica donna ricercatrice dello staff scientifico di Sesame (Synchrotron-light for Experimental Science and Applications in the Middle East). Di che cosa si tratta, qual è il suo campo?

“Si tratta del primo e potentissimo acceleratore di particelle che viaggiano prossime alla velocità della luce, costrette da un campo magnetico. Ciò ha aperto la strada a nuove applicazioni in molti settori diversi, tra cui l’archeologia, la biologia, la chimica, la fisica e la medicina. Il mio campo si chiama biofisica, a cavallo fra la fisica e la medicina”.

Quando ha deciso di diventare una scienziata?

“Quando ho finito il college, ho scelto di iscrivermi all’università e intraprendere questa strada. Mi sono sempre piaciute le materie scientifiche, ero portata fin da piccola sia per la matematica che per la fisica. Non è stato facile, perché ero l’unica donna in un ambiente prevalentemente maschile. C’era chi mi domandava che ci facessi lì, in quel corso. Ho dovuto lavorare duro, ‘dimostrare’ più degli altri colleghi uomini, ma alla fine ci sono riuscita. Sono voluta andare avanti dritta per la mia strada con convinzione e determinazione”.

Lei è un esempio per le donne del suo Paese, anzi per tutte le donne…

“Voglio dire a tutte le donne di non tacere! Parlate, portate pazienza, studiate. Anche se è difficile e dovete dimostrare sempre di più, non arrendetevi. Portate avanti le vostre idee! Io ho avuto la fortuna di poter studiare, andare anche a specializzarmi all’estero, proprio in Italia, ma sono fiduciosa, le porte per le donne si apriranno. Dovete avere passione, persistenza, combattete contro i pregiudizi, non abbiate paura. Io non mi sono tirata indietro perché anche un piccolo passo aiuta altre donne”.

La scienza unisce i popoli

Nei convegni in giro per il mondo, Gihan Kamel tiene a sottolineare l’importanza di come la scienza unisca i popoli facendo appunto l’esempio di Sesame, realizzato in collaborazione tra Autorità nazionale palestinese, Israele, Cipro, Egitto, Iran, Giordania, Pakistan, Turchia e Italia. Alcuni di questi Paesi sono in conflitto tra loro, ma lei ama pensare che questo potente raggio di luce sia di speranza e di pace. Là non ci sono distinzioni religiose. Così si apre un futuro per le prossime generazioni, sia per le giovani donne che per i giovani uomini di tutto il mondo e di qualsiasi credo.

Emanuela Marotta

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Gihan Kamel a mezzo busto con maglia rosso bordeaux e un hijab a riche di vari colori che le copre la testa

Al mondo ci sono donne e uomini di scienza e donne e uomini di fede che costruiscono la pace: non sono in conflitto tra loro, ammettono che la scienza è ragione e che la fede è rivelazione, ammettono entrambe le spiegazioni – filosofiche o metafisiche – riguardo allo studio dell’universo. Quindi scienza e fede possono andare d’accordo e possono essere complementari grazie alle scoperte dell’umanità e alle domande che si pone, e al continuo rinnovamento dell’essere umano, dove la fede tocca la nostra condizione profonda e la scienza indaga sulle cause.

Gihan Kamel, fisica egiziana ospite al Festival di scienza e filosofia a Foligno

Ma una persona di scienza e credente, come vive la sua identità? Risponde Gihan Kamel, fisica di nazionalità egiziana, nota come esperta di raggi infrarossi nel progetto relativo alla luce di sincrotrone per la scienza sperimentale e le sue applicazioni in Medio Oriente. Ha partecipato a Foligno alla Festa di scienza e filosofia.

“Ho voluto tenere separate le due cose – dice. – Penso che tutti lo dovrebbero fare, sia la scienza che la fede hanno una loro identità, che appartiene a ogni singolo individuo. La scienza supera le credenze e non conosce differenze e divisioni: unisce e porta a una meta comune, a vantaggio di tutta la società”.

Lei è l’unica donna ricercatrice dello staff scientifico di Sesame (Synchrotron-light for Experimental Science and Applications in the Middle East). Di che cosa si tratta, qual è il suo campo?

“Si tratta del primo e potentissimo acceleratore di particelle che viaggiano prossime alla velocità della luce, costrette da un campo magnetico. Ciò ha aperto la strada a nuove applicazioni in molti settori diversi, tra cui l’archeologia, la biologia, la chimica, la fisica e la medicina. Il mio campo si chiama biofisica, a cavallo fra la fisica e la medicina”.

Quando ha deciso di diventare una scienziata?

“Quando ho finito il college, ho scelto di iscrivermi all’università e intraprendere questa strada. Mi sono sempre piaciute le materie scientifiche, ero portata fin da piccola sia per la matematica che per la fisica. Non è stato facile, perché ero l’unica donna in un ambiente prevalentemente maschile. C’era chi mi domandava che ci facessi lì, in quel corso. Ho dovuto lavorare duro, ‘dimostrare’ più degli altri colleghi uomini, ma alla fine ci sono riuscita. Sono voluta andare avanti dritta per la mia strada con convinzione e determinazione”.

Lei è un esempio per le donne del suo Paese, anzi per tutte le donne…

“Voglio dire a tutte le donne di non tacere! Parlate, portate pazienza, studiate. Anche se è difficile e dovete dimostrare sempre di più, non arrendetevi. Portate avanti le vostre idee! Io ho avuto la fortuna di poter studiare, andare anche a specializzarmi all’estero, proprio in Italia, ma sono fiduciosa, le porte per le donne si apriranno. Dovete avere passione, persistenza, combattete contro i pregiudizi, non abbiate paura. Io non mi sono tirata indietro perché anche un piccolo passo aiuta altre donne”.

La scienza unisce i popoli

Nei convegni in giro per il mondo, Gihan Kamel tiene a sottolineare l’importanza di come la scienza unisca i popoli facendo appunto l’esempio di Sesame, realizzato in collaborazione tra Autorità nazionale palestinese, Israele, Cipro, Egitto, Iran, Giordania, Pakistan, Turchia e Italia. Alcuni di questi Paesi sono in conflitto tra loro, ma lei ama pensare che questo potente raggio di luce sia di speranza e di pace. Là non ci sono distinzioni religiose. Così si apre un futuro per le prossime generazioni, sia per le giovani donne che per i giovani uomini di tutto il mondo e di qualsiasi credo.

Emanuela Marotta

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È tempo per noi di “passare a” https://www.lavoce.it/tempo-per-noi-passare-a/ https://www.lavoce.it/tempo-per-noi-passare-a/#respond Wed, 10 Apr 2024 19:58:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75599 Il desereto visto dall'alto con uan persona lontana che cammina

Pasqua: Pésach, passaggio. La Pasqua è una soglia da attraversare, un passaggio da compiere, un cammino da intraprendere. È il passaggio del Signore tra le case di Egitto per liberare Israele, è il passaggio di Israele attraverso il Mar Rosso, è il passaggio di Cristo dalla morte alla vita. Pasqua è l’essere associati a quel mistero che ha sconfitto la morte e ridato a noi la vita, quella che non conosce tramonto.

Ma far Pasqua oggi è camminare in novità di vita nel presente, per il singolo e per l’insieme, per il cristiano e per la comunità. E il passaggio ha a che fare con un prima e un dopo, non solo di ordine cronologico, ma segnato dalla diversità tra quello che era e ciò che è e che sarà. Il tempo pasquale, che abbiamo da poco inaugurato e che ci farà giungere alla solennità di Pentecoste, diventa così momento prezioso nel quale sperimentare il cambio di passo lasciandosi interrogare dal confronto con ciò che abbiamo celebrato e ciò che celebreremo nelle settimane a venire.

Nella madre di tutte le Veglie, da poco tempo vissuta, anche quando non sono stati celebrati dei battesimi non è mancata la liturgia battesimale, ricordo della nostra rinascita e ‘battesimo della comunità’. La comunità, insieme, depone l’uomo vecchio e si riveste del nuovo, assume - o almeno tenta di assumere - gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù per vivere nella novità dell’amore. Ripetutamente nelle celebrazioni della cinquantina pasquale proclameremo e ascolteremo i Vangeli delle apparizioni del Risorto. Dove si nota come il gruppo dei suoi, uomini e donne, si mettano in movimento per annunciare la buona novella; non vivono nell’immobilismo, non stanno con le braccia conserte e le gambe accavallate, ma si muovono verso i fratelli e le sorelle affinché tutti siano raggiunti dal lieto accadimento.

Alla Chiesa è ricordato che la prima missione è l’annuncio, e che il passaggio da compiere è dalla vacuità delle parole alla consistenza della Parola, del Verbo fatto carne che ha sconfitto il peccato e la morte. Ma ancora: le comunità si confronteranno con la vita della Chiesa nascente, che negli Atti degli apostoli è descritta con alcune abitudini: assidua nell’ascolto degli apostoli, nella frequentazione del Tempio, nella preghiera, nello spezzare il pane nelle case, nella condivisione dei beni.

La vita pasquale delle comunità di oggi è messa a confronto con la vita della comunità di ‘ieri’, perché da essa possa trarre esempio e vivere in questo tempo ciò che essa ha vissuto un tempo. Lo spezzare il pane, l’ascolto della Parola, la preghiera, la condivisione dei beni possono dunque essere ancor oggi i pilastri delle comunità cristiane. Anche perché è soprattutto con la vita che si dà testimonianza e si assolve alla missione consegnata alla Chiesa dal Risorto prima di ascendere al cielo: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19). Infatti, proprio al termine della prima descrizione che Atti degli apostoli fa della Chiesa nascente afferma: “Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (At 2,47), come a dire che grazie a come vivevano, non solo godevano del favore del popolo, ma si aggregavano a loro nuovi membri.

La Pasqua ecclesiale, pertanto, potremmo indicarla come passaggio dalla sterilità alla generatività, frutto di una rinnovata vita evangelica tutta da sperimentare nel tempo che viene, unico orizzonte di possibilità per nuove rinascite e anche nuove vocazioni.

Francesco Verzini
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Il desereto visto dall'alto con uan persona lontana che cammina

Pasqua: Pésach, passaggio. La Pasqua è una soglia da attraversare, un passaggio da compiere, un cammino da intraprendere. È il passaggio del Signore tra le case di Egitto per liberare Israele, è il passaggio di Israele attraverso il Mar Rosso, è il passaggio di Cristo dalla morte alla vita. Pasqua è l’essere associati a quel mistero che ha sconfitto la morte e ridato a noi la vita, quella che non conosce tramonto.

Ma far Pasqua oggi è camminare in novità di vita nel presente, per il singolo e per l’insieme, per il cristiano e per la comunità. E il passaggio ha a che fare con un prima e un dopo, non solo di ordine cronologico, ma segnato dalla diversità tra quello che era e ciò che è e che sarà. Il tempo pasquale, che abbiamo da poco inaugurato e che ci farà giungere alla solennità di Pentecoste, diventa così momento prezioso nel quale sperimentare il cambio di passo lasciandosi interrogare dal confronto con ciò che abbiamo celebrato e ciò che celebreremo nelle settimane a venire.

Nella madre di tutte le Veglie, da poco tempo vissuta, anche quando non sono stati celebrati dei battesimi non è mancata la liturgia battesimale, ricordo della nostra rinascita e ‘battesimo della comunità’. La comunità, insieme, depone l’uomo vecchio e si riveste del nuovo, assume - o almeno tenta di assumere - gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù per vivere nella novità dell’amore. Ripetutamente nelle celebrazioni della cinquantina pasquale proclameremo e ascolteremo i Vangeli delle apparizioni del Risorto. Dove si nota come il gruppo dei suoi, uomini e donne, si mettano in movimento per annunciare la buona novella; non vivono nell’immobilismo, non stanno con le braccia conserte e le gambe accavallate, ma si muovono verso i fratelli e le sorelle affinché tutti siano raggiunti dal lieto accadimento.

Alla Chiesa è ricordato che la prima missione è l’annuncio, e che il passaggio da compiere è dalla vacuità delle parole alla consistenza della Parola, del Verbo fatto carne che ha sconfitto il peccato e la morte. Ma ancora: le comunità si confronteranno con la vita della Chiesa nascente, che negli Atti degli apostoli è descritta con alcune abitudini: assidua nell’ascolto degli apostoli, nella frequentazione del Tempio, nella preghiera, nello spezzare il pane nelle case, nella condivisione dei beni.

La vita pasquale delle comunità di oggi è messa a confronto con la vita della comunità di ‘ieri’, perché da essa possa trarre esempio e vivere in questo tempo ciò che essa ha vissuto un tempo. Lo spezzare il pane, l’ascolto della Parola, la preghiera, la condivisione dei beni possono dunque essere ancor oggi i pilastri delle comunità cristiane. Anche perché è soprattutto con la vita che si dà testimonianza e si assolve alla missione consegnata alla Chiesa dal Risorto prima di ascendere al cielo: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19). Infatti, proprio al termine della prima descrizione che Atti degli apostoli fa della Chiesa nascente afferma: “Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (At 2,47), come a dire che grazie a come vivevano, non solo godevano del favore del popolo, ma si aggregavano a loro nuovi membri.

La Pasqua ecclesiale, pertanto, potremmo indicarla come passaggio dalla sterilità alla generatività, frutto di una rinnovata vita evangelica tutta da sperimentare nel tempo che viene, unico orizzonte di possibilità per nuove rinascite e anche nuove vocazioni.

Francesco Verzini
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In difesa di Alaa, ingiustamente incarcerato da mesi in Egitto https://www.lavoce.it/in-difesa-di-alaa-ingiustamente-incarcerato-da-mesi-in-egitto/ Thu, 04 Aug 2022 09:51:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=67874 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Dal 2 aprile scorso, Alaa Abd el-Fattah ha intrapreso uno sciopero della fame nella prigione di Wadi el-Natroun in Egitto. Alaa, condannato a cinque anni di carcere da un “tribunale di emergenza”, protesta contro l’ingiusta condanna che gli è stata comminata, denuncia le condizioni detentive che non rispettano la sua dignità, e vuol far sapere che non gli vengono garantiti i diritti di cittadino con passaporto britannico. Da molto tempo, però, le autorità egiziane non comunicano notizie circa lo stato di salute di Alaa Abd el-Fattah. Non sono consentite visite, né appare in pubblico, né comunica in qualche modo con la sua famiglia. E tutto il resto del mondo tace, o si volta dall’altra parte, per via degli interessi economici e geostrategici legati all’Egitto. Tutti, tranne una catena di attivisti che ha intrapreso da tempo un digiuno solidale a staffetta di 24 ore comunicando attraverso l’indirizzo email info@invisiblearabs.com. Non lasciare Alaa da solo è vitale per lui, ma anche per la vita stessa dei diritti umani che, essendo universali, non possono fermarsi ai confini degli Stati.]]>
colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Dal 2 aprile scorso, Alaa Abd el-Fattah ha intrapreso uno sciopero della fame nella prigione di Wadi el-Natroun in Egitto. Alaa, condannato a cinque anni di carcere da un “tribunale di emergenza”, protesta contro l’ingiusta condanna che gli è stata comminata, denuncia le condizioni detentive che non rispettano la sua dignità, e vuol far sapere che non gli vengono garantiti i diritti di cittadino con passaporto britannico. Da molto tempo, però, le autorità egiziane non comunicano notizie circa lo stato di salute di Alaa Abd el-Fattah. Non sono consentite visite, né appare in pubblico, né comunica in qualche modo con la sua famiglia. E tutto il resto del mondo tace, o si volta dall’altra parte, per via degli interessi economici e geostrategici legati all’Egitto. Tutti, tranne una catena di attivisti che ha intrapreso da tempo un digiuno solidale a staffetta di 24 ore comunicando attraverso l’indirizzo email info@invisiblearabs.com. Non lasciare Alaa da solo è vitale per lui, ma anche per la vita stessa dei diritti umani che, essendo universali, non possono fermarsi ai confini degli Stati.]]>
Caso Regeni, la soluzione sia politica https://www.lavoce.it/caso-regeni-la-soluzione-sia-politica/ Thu, 21 Jul 2022 17:00:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=67754

I giornali italiani hanno dato nuovamente spazio al caso Regeni, criticando anche la giustizia italiana perché non ne viene a capo. Giulio Regeni, giovane studioso di livello postlaurea, è stato rapito, torturato e ucciso in Egitto fra il gennaio e il febbraio del 2016, in circostanze misteriose.

Le complesse indagini condotte dalla magistratura italiana fanno ritenere, con ragionevole certezza, che il delitto sia stato commesso da agenti della polizia politica egiziana, forse perché il giovane era in contatto con gruppi di opposizione. Presso il Tribunale di Roma è stato avviato un processo con imputati quattro agenti egiziani, i cui nomi sono stati indicati da un testimone. Ma il processo non può andare avanti perché dei quattro imputati si sanno solo i nomi (ammesso che siano i loro nomi veri), ma non gli indirizzi, quindi non vi è modo per convocarli alle udienze.

In questi giorni la Cassazione ha confermato che, in queste condizioni, il processo non si può fare. Questa decisione ha suscitato accese proteste contro la magistratura. Ma che possono fare i giudici?

Se c’è una regola procedurale riconosciuta e osservata in tutto il mondo è quella che non si può processare un imputato se non lo si è messo in grado di difendersi. Per molto meno, i francesi (non gli egiziani) hanno tratto il pretesto per dare asilo per decenni a Cesare Battisti e altri che, come lui, erano stati condannati in Italia a pene gravissime per delitti di sangue.

Il caso Regeni deve trovare il suo sbocco sul piano politico, non su quello giudiziario. È sotto gli occhi di tutti che il Governo egiziano protegge gli autori del crimine - non importa che siano quei quattro o altri - , e perciò indirettamente riconosce che essi agivano nell’ambito del loro ufficio. Quindi il Governo egiziano è responsabile, quanto meno moralmente, della morte di Giulio Regeni. Il Governo italiano dovrebbe contestarglielo, non come sospetto, ma come certezza acquisita; e dovrebbe chiederne ragione. Lo sbocco del caso Regeni dovrebbe essere questo, e non il processo a quattro fantasmi senza volto.

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I giornali italiani hanno dato nuovamente spazio al caso Regeni, criticando anche la giustizia italiana perché non ne viene a capo. Giulio Regeni, giovane studioso di livello postlaurea, è stato rapito, torturato e ucciso in Egitto fra il gennaio e il febbraio del 2016, in circostanze misteriose.

Le complesse indagini condotte dalla magistratura italiana fanno ritenere, con ragionevole certezza, che il delitto sia stato commesso da agenti della polizia politica egiziana, forse perché il giovane era in contatto con gruppi di opposizione. Presso il Tribunale di Roma è stato avviato un processo con imputati quattro agenti egiziani, i cui nomi sono stati indicati da un testimone. Ma il processo non può andare avanti perché dei quattro imputati si sanno solo i nomi (ammesso che siano i loro nomi veri), ma non gli indirizzi, quindi non vi è modo per convocarli alle udienze.

In questi giorni la Cassazione ha confermato che, in queste condizioni, il processo non si può fare. Questa decisione ha suscitato accese proteste contro la magistratura. Ma che possono fare i giudici?

Se c’è una regola procedurale riconosciuta e osservata in tutto il mondo è quella che non si può processare un imputato se non lo si è messo in grado di difendersi. Per molto meno, i francesi (non gli egiziani) hanno tratto il pretesto per dare asilo per decenni a Cesare Battisti e altri che, come lui, erano stati condannati in Italia a pene gravissime per delitti di sangue.

Il caso Regeni deve trovare il suo sbocco sul piano politico, non su quello giudiziario. È sotto gli occhi di tutti che il Governo egiziano protegge gli autori del crimine - non importa che siano quei quattro o altri - , e perciò indirettamente riconosce che essi agivano nell’ambito del loro ufficio. Quindi il Governo egiziano è responsabile, quanto meno moralmente, della morte di Giulio Regeni. Il Governo italiano dovrebbe contestarglielo, non come sospetto, ma come certezza acquisita; e dovrebbe chiederne ragione. Lo sbocco del caso Regeni dovrebbe essere questo, e non il processo a quattro fantasmi senza volto.

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Altro che giustizia per Regeni e Zaki! https://www.lavoce.it/altro-che-giustizia-per-regeni-e-zaki/ Thu, 25 Nov 2021 10:21:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=63333 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

Dal 29 novembre al 2 dicembre al Cairo si svolge la Egypt Defence Expo. È una sbornia di esposizione dei sistemi di difesa a cui il Governo egiziano chiama industrie, armerie e affini, da tutto il mondo. Headline sponsor (il maggiore sostenitore straniero della kermesse) è Fincantieri, che è azienda italiana a capitale pubblico. Gli altri sponsor, provenienti da altre nazioni, hanno sborsato di meno. Tra le aziende che espongono, se ne contano ben 13 italiane.

Desiderose di far valere la nostra ‘tradizione’ nella costruzione di macchine belliche, contano evidentemente di dimostrarne l’efficienza assai competitiva in termini di capacità distruttiva.

Con ogni probabilità hanno valutato di portare a casa qualche buona commessa stipulata con l’Egitto o con qualche visitatore che notoriamente proviene dal Continente africano. Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla reale volontà politica di pretendere verità e giustizia su Giulio Regeni e Patrick Zaki, ora ha qualche elemento in più per capire.

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Dal 29 novembre al 2 dicembre al Cairo si svolge la Egypt Defence Expo. È una sbornia di esposizione dei sistemi di difesa a cui il Governo egiziano chiama industrie, armerie e affini, da tutto il mondo. Headline sponsor (il maggiore sostenitore straniero della kermesse) è Fincantieri, che è azienda italiana a capitale pubblico. Gli altri sponsor, provenienti da altre nazioni, hanno sborsato di meno. Tra le aziende che espongono, se ne contano ben 13 italiane.

Desiderose di far valere la nostra ‘tradizione’ nella costruzione di macchine belliche, contano evidentemente di dimostrarne l’efficienza assai competitiva in termini di capacità distruttiva.

Con ogni probabilità hanno valutato di portare a casa qualche buona commessa stipulata con l’Egitto o con qualche visitatore che notoriamente proviene dal Continente africano. Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla reale volontà politica di pretendere verità e giustizia su Giulio Regeni e Patrick Zaki, ora ha qualche elemento in più per capire.

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Gesto inutile per Zaki https://www.lavoce.it/gesto-inutile-per-zaki/ Fri, 23 Apr 2021 13:45:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60279 Logo rubrica Il punto

Patrick Zaki è un giovane egiziano, di famiglia cristiana copta, iscritto all’Università di Bologna per ricerche post-laurea. Da più di un anno (dal 7 febbraio 2020) è incarcerato nel suo Paese con accuse non ancora ben precisate, ma riferibili al suo impegno politico e culturale contrastante con la politica governativa.

Insomma, è perseguito per le sue opinioni e per averle manifestate. Di più non si può dire, perché la pubblica accusa non ha ancora formulato l’imputazione e tanto meno indicato su quali prove si basi. In queste condizioni, in Italia e nel resto dell’Europa nessuno potrebbe essere arrestato.

Per la verità, perfino in Egitto l’arresto non potrebbe prolungarsi più di 45 giorni se l’imputazione non viene formalizzata; ma la Corte suprema può concedere alla pubblica accusa un tempo supplementare. Questo nel caso di Zaki è accaduto più volte, e quindi lui è ancora dentro senza sapere da quale accusa si deve difendere. Quindi anche dal punto di vista procedurale la carcerazione di Zaki è un obbrobrio secondo gli standard europei. In Italia c’è un forte movimento di opinione a sostegno di questo giovane; anche il Governo si è mosso in via diplomatica per difenderlo. Benissimo. Ma ora si sta proponendo di conferirgli ufficialmente la cittadinanza italiana. A costo di non piacere, dico che qui non sono d’accordo.

La cittadinanza italiana non servirebbe nulla al povero Zaki. Ciascuno Stato, in casa sua, può arrestare e processare chi vuole, anche se è cittadino straniero; vedi il caso Knox. Per di più, anche diventando cittadino italiano, dal punto di vista dello Stato egiziano Zaki resterebbe un suo cittadino, e non potrebbe invocare la protezione dell’Italia.

Quindi la concessione della cittadinanza italiana sarebbe un gesto dimostrativo, utile solo a noi per farci sentire buoni e generosi.

Per ottenere qualcosa dagli egiziani si dovrebbe toccarli nei loro interessi - la politica estera si fa così - , ma questo costerebbe qualcosa anche a noi... e dunque non se ne parla. Se è così, fare gesti dimostrativi e sterili non è onesto.

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Logo rubrica Il punto

Patrick Zaki è un giovane egiziano, di famiglia cristiana copta, iscritto all’Università di Bologna per ricerche post-laurea. Da più di un anno (dal 7 febbraio 2020) è incarcerato nel suo Paese con accuse non ancora ben precisate, ma riferibili al suo impegno politico e culturale contrastante con la politica governativa.

Insomma, è perseguito per le sue opinioni e per averle manifestate. Di più non si può dire, perché la pubblica accusa non ha ancora formulato l’imputazione e tanto meno indicato su quali prove si basi. In queste condizioni, in Italia e nel resto dell’Europa nessuno potrebbe essere arrestato.

Per la verità, perfino in Egitto l’arresto non potrebbe prolungarsi più di 45 giorni se l’imputazione non viene formalizzata; ma la Corte suprema può concedere alla pubblica accusa un tempo supplementare. Questo nel caso di Zaki è accaduto più volte, e quindi lui è ancora dentro senza sapere da quale accusa si deve difendere. Quindi anche dal punto di vista procedurale la carcerazione di Zaki è un obbrobrio secondo gli standard europei. In Italia c’è un forte movimento di opinione a sostegno di questo giovane; anche il Governo si è mosso in via diplomatica per difenderlo. Benissimo. Ma ora si sta proponendo di conferirgli ufficialmente la cittadinanza italiana. A costo di non piacere, dico che qui non sono d’accordo.

La cittadinanza italiana non servirebbe nulla al povero Zaki. Ciascuno Stato, in casa sua, può arrestare e processare chi vuole, anche se è cittadino straniero; vedi il caso Knox. Per di più, anche diventando cittadino italiano, dal punto di vista dello Stato egiziano Zaki resterebbe un suo cittadino, e non potrebbe invocare la protezione dell’Italia.

Quindi la concessione della cittadinanza italiana sarebbe un gesto dimostrativo, utile solo a noi per farci sentire buoni e generosi.

Per ottenere qualcosa dagli egiziani si dovrebbe toccarli nei loro interessi - la politica estera si fa così - , ma questo costerebbe qualcosa anche a noi... e dunque non se ne parla. Se è così, fare gesti dimostrativi e sterili non è onesto.

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