dottrina sociale della chiesa Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/dottrina-sociale-della-chiesa/ Settimanale di informazione regionale Wed, 21 Aug 2024 15:53:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg dottrina sociale della chiesa Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/dottrina-sociale-della-chiesa/ 32 32 Elezioni politiche 2022. Dove sono le idee … e i cattolici? https://www.lavoce.it/elezioni-politiche-2022-dove-sono-le-idee-e-i-cattolici/ Wed, 31 Aug 2022 01:31:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68133 Elezioni 2022

Le liste per le elezioni politiche nazionali del 25 Settembre sono state “chiuse” e la campagna elettorale è entrata nel vivo. Prima che gli animi si accendano troppo e che il frastuono superi il livello di guardia c’è tempo per qualche osservazione. Tuttavia, ancora prima di queste osservazioni, è doveroso ribadire che, per il magistero sociale della Chiesa e non solo, la politica, come ogni ambito pratico, non è oggetto di verità assolute né di sillogismi. Le conoscenze, già in sé precarie, vanno continuamente aggiornate. Le sorprese sono all’ordine del giorno.

Valutare annunci … e scelte compiute

La perfezione e la purezza vanno escluse a priori e dunque ogni argomento difensivo del tipo “ma anche loro …” va bandito per principio. L’unica cosa che si può fare è confrontare le liste di priorità. Valutare per i singoli problemi quali sono i diversi benefici ed i diversi costi delle soluzioni proposte e, soprattutto, valutare il pregresso delle persone e delle organizzazioni. I programmi da prendere in considerazione non sono quelli scritti oggi, ma quelli perseguiti sino a ieri. Si dirà: in tempo di tribalismi (anche) politici tutto questo non è di moda. E quando mai un credente od una persona onesta possono farsi dettare i pensieri e le scelte dalle mode o dagli influencer? Anche se in tonaca. E veniamo a quattro osservazioni.

Pe le elezioni candidati non scelti dagli elettori

Pressoché tutte le liste sono piene di bravissime persone, di persone – come a volte si dice – provenienti dalla “società civile”. Ciò nonostante non bisogna farsi confondere. Basta osservare i posti loro assegnati e conoscere i sondaggi per rendersi conto che sono state collocate in posizioni “inutili”, sono state usate da “abbellimento”. Gruppi dirigenti ristrettissimi e selezionati per cooptazione si sono presi tutti i posti “utili” (ed anche qualcuno in più: “per sicurezza”). Questo fenomeno non è affatto inevitabile. Basta osservare come funzionano le grandi democrazie (ed ormai anche molte delle piccole) per rendersi conto facilmente che le primarie (spesso imposte per legge), o i “primi turni” di sistemi a “doppio turno”, servono esattamente a questo: a far sì che siano gli elettori a scegliere i candidati. Né la attuale legge elettorale avrebbe impedito l’utilizzo dello strumento delle primarie. Anzi, per la verità, lo avrebbe favorito. Il rifiuto delle primarie è particolarmente grave per il Pd che era nato sul solenne impegno statutario di tenere regolarmente primarie aperte e trasparenti. Di quel Pd non c’è più traccia e magari la cosa colpisce un po’ meno in Umbria, dove il Pd – come qualcosa di realmente altro da quello che c’era prima – non è praticamente mai nato. A quest’uso delle “facce nuove”, di routine a destra, non fa eccezione neppure il neonato “Terzo Polo” (Renzi-Calenda), che ha cercato di mettere al sicuro una manciata di ex-Pd nostrani, i quali, del riformismo e dello spirito liberale di cui oggi parlano, non avevano fatto sospettare quando erano interni e spesso al vertice dell’”Umbria rossa”. Veniamo ai programmi. Qui il discorso si fa piuttosto semplice.

I programmi di partiti e coalizioni ci sono?

I 5Stelle di Conte

Difficile dire qualcosa del Movimento 5 Stelle e di Conte. Nel corso della passata legislatura hanno fatto di tutto ed hanno addirittura guidato (con Conte) governi di orientamento perfettamente opposto (record eguagliabile, ma non superabile), nessuno dei quali governi e delle rispettive alleanze minimamente riconducibile alle promesse fatte in campagna elettorale. Anche dal punto di vista del metodo il M5S non ha certo dato compimento alle promesse di democrazia diretta e di trasparenza di cui si era vantato. Se bastava un po’ di storia per sapere che la “democrazia diretta” è un mito che serve solo a coprire l’ennesimo attacco alla democrazia, forse non tutti si aspettavano che alla fine risultasse irrisolto anche il nodo del rapporto tra M5S e aziende private. Ciò detto, e a dimostrazione di quanto detto in premessa, non si può però non ricordare che per iniziativa dei “Cinque Stelle” abbiamo avuto una riforma – il taglio dei parlamentari – che punisce il ceto politico ed aumenta il peso del voto del singolo elettore. Una riforma – come tutte certamente da completare – della quale solo da poco abbiamo cominciato ad apprezzare il valore e la utilità.

Il Pd e gli alleati

Difficile dire qualcosa anche della alleanza cui hanno dato vita: +Europa, il Pd, i dalemiani della “ditta” già fuoriusciti, Fratoianni, Bonelli e Di Maio. La eterogeneità è tale che questa coalizione non ha né un programma, né un leader e forse neppure un nome. Vi sta dentro chi è stato con Draghi e chi lo ha costantemente combattuto, e persino Di Maio il quale, per parlare solo di politica estera, ha avuto momenti di attiva simpatia per Putin, altri di alacre collaborazione con i cinesi e ora, da poco, professa “europeismo” ed “atlantismo”. Il Pd, che aveva cercato in ogni modo il Conte III piuttosto che il governo Draghi, dopo essere stato fedele a quest’ultimo, una volta caduto l’ha immediatamente rimosso, accantonandone l’agenda ed alleandosi con chi lo ha osteggiato. Si dice: colpa delle legge elettorale; ma – a prescindere dal fatto che tale legge non obbliga affatto a fare alleanze, né tanto meno a farne con chi ha idee diverse dalle proprie – si tratta di una legge elettorale che porta il nome dell’allora capogruppo Pd! Se ora il Pd si accorge che si tratta di una legge elettorale fatta male, non dovrebbe accampare scuse, ma chiedere scusa. La scissione di alleanza elettorale e programma è l’ennesima pietra tombale posta dal Pd su se stesso. In questa fase neppure i residui riformisti del Pd hanno dato battaglia a Letta ed alla “ditta”, ma si sono limitati a tentare di farsi cooptare.

Centro destra e Terzo polo Renzi-Calenda

Di programmi invece ha invece senso parlare se si prendono in considerazione Centrodestra e Terzo polo (Renzi-Calenda). Qui la alternativa è chiara: da una parte – il Centrodestra – abbiamo un “no” netto alla “agenda Draghi”, dall’altra – Renzi-Calenda – abbiamo un “sì” altrettanto netto alla “agenda Draghi”. La contrapposizione è resa ancora più chiara dal fatto che la “agenda Draghi” non è una vaga dichiarazione di intenti, ma un programma per larga parte già scritto, già in via di esecuzione e che già ha prodotto risultati in termini di: flussi economici, pubblici e privati, di credito, di collocazione internazionale dell’Italia, di riforme, di risultati già prodotti dalle politiche adottate. Naturalmente la “agenda Draghi” può piacere o non piacere, ma si tratta di una cosa precisa e già operativa. Sicché la alternativa tra Centrodestra e Terzo Polo ha contorni precisi e concreti. (Né si può escludere che un buon risultato di Renzi & Calenda attragga e torni a dare un po’ di coraggio ai riformisti del Pd ed agli eventuali – attualmente scomparsi dai radar – “non sovranisti” e “non populisti” del Centrodestra.) Ciò che il Centrodestra non dice nel suo programma è come (e dunque a quali costi) riuscirebbe a garantire altrimenti i flussi finanziari positivi generati dalla agenda Draghi (dai fondi messi a disposizione dall’UE agli investimenti privati attirati dalla fiducia generata sui mercati da Draghi e dalle sue politiche). Ad esempio, come potrebbe mai essere possibile arginare la escalation dei prezzi dell’energia se non con un fronte UE compatto quale quello cui Draghi ha lavorato sin quasi ad assumerne la leadership? Né il Centrodestra dice come riuscirà a conservare la apertura di credito riguadagnata dall’Italia nelle sedi internazionali, né come eviterà i contraccolpi negativi della cancellazione delle riforme realizzate o messe in cantiere dal governo uscente, né con cosa sostituirà i risultati ottenuti e quelli attesi delle politiche adottate dal governo Draghi. Il Centrodestra afferma di voler stare nella Unione Europea e nella Nato, ma questo non basta perché si può stare in Europa come l’Ungheria di Orban (corteggiatissimo da Meloni) ed il Gruppo di Visegrad (amato da Salvini) oppure come Macron; perché si può stare nella Nato come la Turchia di Erdogan o come la Gran Bretagna. Per non parlare delle simpatie per Putin (e per Trump) assai diffuse nello stesso Centrodestra. Al momento, il “no” alla “agenda Draghi”, che resta legittimo, è pieno di equivoci e di lacune, ed è pieno di incubi per chi desidera che l’Italia resti una “società aperta”, una poliarchia locale dentro una poliarchia globale (per usare i termini della Caritas in veritate di Benedetto XVI). Dal punto di vista programmatico, per quello che è dato vedere oggi, le elezioni del 25 Settembre saranno un referendum sulla “agenda Draghi”: Terzo Polo a favore della “agenda Draghi” e Centrodestra contro la ”agenda Draghi”.

Temi locali nel dibattito nazionale sulle elezioni?

Ha senso attendersi che si parli di questioni locali in elezioni politiche nazionali? No e sì. No, non ha senso perché agli umbri, come a tutti gli altri italiani, è chiesto di scegliere su politiche di livello nazionale, a differenza di quanto avviene nelle consultazioni regionali o comunali. Sì, ha senso, se si riesce a mostrare che una questione “locale” non è una questione di rilievo solo “locale”, bensì anche “nazionale” e “globale”.

La questione “Italia centrale”

Negli ultimi anni, per prima la Azione Cattolica di Terni-Narni-Amelia, tante e varie voci autorevoli della vita sociale, economica ed accademica, istituzioni di ricerca come l’AUR di Perugia, testate nazionali come “il Messaggero”, hanno chiarito oltre ogni ragionevole dubbio che la questione “Italia Centrale” è oggi questione di interesse nazionale e globale e che nei suoi confini prende nuovo vigore la causa umbra e in generale quella della rete di città medie di questa area. Nelle settimane scorse era stato fatto notare anche che la maggior parte dei collegi contendibili è collocata proprio in Italia Centrale e che quindi era interesse dei partiti competere offrendo all’elettorato proposte alternative in materia. Risultato: tutti hanno taciuto. Niente di niente da nessuna delle quattro principali sponde.

La questione cattolici e politica

Anche queste elezioni 2022 sono occasione nella quale si manifesta lo scivolamento in atto nel cattolicesimo italiano, rispetto alla politica e non solo. La offerta politica che abbiamo di fronte mostra come il cattolicesimo italiano sia caratterizzato oggi da un mix di visibilità ed irrilevanza. Meloni, Salvini, Berlusconi, Renzi, Letta e Conte hanno biografie e strategie comunicative in cui certo non si nasconde il riferimento alla religione. Contemporaneamente, non occorre essere teologi per rendersi conto che principi e criteri del magistero sociale della Chiesa, per non parlare dell’eredità del cattolicesimo politico, non hanno gran peso nella selezione delle priorità e delle politiche.

Dibattito elettorale: riferimento inconsistente all'insegnamento della Chiesa

In questo senso non si può non sottolineare la assoluta inconsistenza del riferimento alla dottrina sociale della Chiesa fatto dalla on.le Meloni a Rimini. Senza risalire al Vaticano II ed a Montini, è davvero difficile trovare argomenti a sostegno di una prospettiva “sovranista” e “populista” nel magistero di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI.

Caduta del pensiero cattolico e della formazione dei credenti?

Decenni di desertificazione del tessuto dell’associazionismo laicale cattolico e di sua improvvida sostituzione con le “pastorali” (strutturalmente “clericali”) hanno estirpato le radici che avevano formato generazioni di cattolici alle forme proprie ed alla responsabilità della politica. A questo si è aggiunta una moda ormai dilagante di continuo riposizionamento di cattolici, laici e clero, che non si dà briga di addurre giustificazione alcuna per l’assumere in successione posizioni diversissime sia nella Chiesa che in politica. Se si pensa a quale spazio gli interventi del magistero, a tutti i livelli, davano alle argomentazioni che discutevano, distinguevano o collegavano affermazioni del passato e del presente, ben si comprende quale “sciogliete le righe” produca l’attuale affidarsi non ad argomenti, ma ad emozioni, battute e twitt. Certamente non si aiuta la maturazione nei credenti di una rinnovata coscienza storica, e dunque anche politica, diffondendo lo spontaneismo, premiando l’anti-intellettualismo, abbandonandosi a luoghi comuni. Semmai, il bisogno di disciplina (ascetica ed intellettuale), di formazione e di confronto nel discernimento, il bisogno di apostolato dei laici (e non di “pastorali”), di associazionismo laicale ecclesiale (piuttosto che di uffici di curia e di laici ridotti ad “operatori pastorali”) è oggi più grande di ieri.]]>
Elezioni 2022

Le liste per le elezioni politiche nazionali del 25 Settembre sono state “chiuse” e la campagna elettorale è entrata nel vivo. Prima che gli animi si accendano troppo e che il frastuono superi il livello di guardia c’è tempo per qualche osservazione. Tuttavia, ancora prima di queste osservazioni, è doveroso ribadire che, per il magistero sociale della Chiesa e non solo, la politica, come ogni ambito pratico, non è oggetto di verità assolute né di sillogismi. Le conoscenze, già in sé precarie, vanno continuamente aggiornate. Le sorprese sono all’ordine del giorno.

Valutare annunci … e scelte compiute

La perfezione e la purezza vanno escluse a priori e dunque ogni argomento difensivo del tipo “ma anche loro …” va bandito per principio. L’unica cosa che si può fare è confrontare le liste di priorità. Valutare per i singoli problemi quali sono i diversi benefici ed i diversi costi delle soluzioni proposte e, soprattutto, valutare il pregresso delle persone e delle organizzazioni. I programmi da prendere in considerazione non sono quelli scritti oggi, ma quelli perseguiti sino a ieri. Si dirà: in tempo di tribalismi (anche) politici tutto questo non è di moda. E quando mai un credente od una persona onesta possono farsi dettare i pensieri e le scelte dalle mode o dagli influencer? Anche se in tonaca. E veniamo a quattro osservazioni.

Pe le elezioni candidati non scelti dagli elettori

Pressoché tutte le liste sono piene di bravissime persone, di persone – come a volte si dice – provenienti dalla “società civile”. Ciò nonostante non bisogna farsi confondere. Basta osservare i posti loro assegnati e conoscere i sondaggi per rendersi conto che sono state collocate in posizioni “inutili”, sono state usate da “abbellimento”. Gruppi dirigenti ristrettissimi e selezionati per cooptazione si sono presi tutti i posti “utili” (ed anche qualcuno in più: “per sicurezza”). Questo fenomeno non è affatto inevitabile. Basta osservare come funzionano le grandi democrazie (ed ormai anche molte delle piccole) per rendersi conto facilmente che le primarie (spesso imposte per legge), o i “primi turni” di sistemi a “doppio turno”, servono esattamente a questo: a far sì che siano gli elettori a scegliere i candidati. Né la attuale legge elettorale avrebbe impedito l’utilizzo dello strumento delle primarie. Anzi, per la verità, lo avrebbe favorito. Il rifiuto delle primarie è particolarmente grave per il Pd che era nato sul solenne impegno statutario di tenere regolarmente primarie aperte e trasparenti. Di quel Pd non c’è più traccia e magari la cosa colpisce un po’ meno in Umbria, dove il Pd – come qualcosa di realmente altro da quello che c’era prima – non è praticamente mai nato. A quest’uso delle “facce nuove”, di routine a destra, non fa eccezione neppure il neonato “Terzo Polo” (Renzi-Calenda), che ha cercato di mettere al sicuro una manciata di ex-Pd nostrani, i quali, del riformismo e dello spirito liberale di cui oggi parlano, non avevano fatto sospettare quando erano interni e spesso al vertice dell’”Umbria rossa”. Veniamo ai programmi. Qui il discorso si fa piuttosto semplice.

I programmi di partiti e coalizioni ci sono?

I 5Stelle di Conte

Difficile dire qualcosa del Movimento 5 Stelle e di Conte. Nel corso della passata legislatura hanno fatto di tutto ed hanno addirittura guidato (con Conte) governi di orientamento perfettamente opposto (record eguagliabile, ma non superabile), nessuno dei quali governi e delle rispettive alleanze minimamente riconducibile alle promesse fatte in campagna elettorale. Anche dal punto di vista del metodo il M5S non ha certo dato compimento alle promesse di democrazia diretta e di trasparenza di cui si era vantato. Se bastava un po’ di storia per sapere che la “democrazia diretta” è un mito che serve solo a coprire l’ennesimo attacco alla democrazia, forse non tutti si aspettavano che alla fine risultasse irrisolto anche il nodo del rapporto tra M5S e aziende private. Ciò detto, e a dimostrazione di quanto detto in premessa, non si può però non ricordare che per iniziativa dei “Cinque Stelle” abbiamo avuto una riforma – il taglio dei parlamentari – che punisce il ceto politico ed aumenta il peso del voto del singolo elettore. Una riforma – come tutte certamente da completare – della quale solo da poco abbiamo cominciato ad apprezzare il valore e la utilità.

Il Pd e gli alleati

Difficile dire qualcosa anche della alleanza cui hanno dato vita: +Europa, il Pd, i dalemiani della “ditta” già fuoriusciti, Fratoianni, Bonelli e Di Maio. La eterogeneità è tale che questa coalizione non ha né un programma, né un leader e forse neppure un nome. Vi sta dentro chi è stato con Draghi e chi lo ha costantemente combattuto, e persino Di Maio il quale, per parlare solo di politica estera, ha avuto momenti di attiva simpatia per Putin, altri di alacre collaborazione con i cinesi e ora, da poco, professa “europeismo” ed “atlantismo”. Il Pd, che aveva cercato in ogni modo il Conte III piuttosto che il governo Draghi, dopo essere stato fedele a quest’ultimo, una volta caduto l’ha immediatamente rimosso, accantonandone l’agenda ed alleandosi con chi lo ha osteggiato. Si dice: colpa delle legge elettorale; ma – a prescindere dal fatto che tale legge non obbliga affatto a fare alleanze, né tanto meno a farne con chi ha idee diverse dalle proprie – si tratta di una legge elettorale che porta il nome dell’allora capogruppo Pd! Se ora il Pd si accorge che si tratta di una legge elettorale fatta male, non dovrebbe accampare scuse, ma chiedere scusa. La scissione di alleanza elettorale e programma è l’ennesima pietra tombale posta dal Pd su se stesso. In questa fase neppure i residui riformisti del Pd hanno dato battaglia a Letta ed alla “ditta”, ma si sono limitati a tentare di farsi cooptare.

Centro destra e Terzo polo Renzi-Calenda

Di programmi invece ha invece senso parlare se si prendono in considerazione Centrodestra e Terzo polo (Renzi-Calenda). Qui la alternativa è chiara: da una parte – il Centrodestra – abbiamo un “no” netto alla “agenda Draghi”, dall’altra – Renzi-Calenda – abbiamo un “sì” altrettanto netto alla “agenda Draghi”. La contrapposizione è resa ancora più chiara dal fatto che la “agenda Draghi” non è una vaga dichiarazione di intenti, ma un programma per larga parte già scritto, già in via di esecuzione e che già ha prodotto risultati in termini di: flussi economici, pubblici e privati, di credito, di collocazione internazionale dell’Italia, di riforme, di risultati già prodotti dalle politiche adottate. Naturalmente la “agenda Draghi” può piacere o non piacere, ma si tratta di una cosa precisa e già operativa. Sicché la alternativa tra Centrodestra e Terzo Polo ha contorni precisi e concreti. (Né si può escludere che un buon risultato di Renzi & Calenda attragga e torni a dare un po’ di coraggio ai riformisti del Pd ed agli eventuali – attualmente scomparsi dai radar – “non sovranisti” e “non populisti” del Centrodestra.) Ciò che il Centrodestra non dice nel suo programma è come (e dunque a quali costi) riuscirebbe a garantire altrimenti i flussi finanziari positivi generati dalla agenda Draghi (dai fondi messi a disposizione dall’UE agli investimenti privati attirati dalla fiducia generata sui mercati da Draghi e dalle sue politiche). Ad esempio, come potrebbe mai essere possibile arginare la escalation dei prezzi dell’energia se non con un fronte UE compatto quale quello cui Draghi ha lavorato sin quasi ad assumerne la leadership? Né il Centrodestra dice come riuscirà a conservare la apertura di credito riguadagnata dall’Italia nelle sedi internazionali, né come eviterà i contraccolpi negativi della cancellazione delle riforme realizzate o messe in cantiere dal governo uscente, né con cosa sostituirà i risultati ottenuti e quelli attesi delle politiche adottate dal governo Draghi. Il Centrodestra afferma di voler stare nella Unione Europea e nella Nato, ma questo non basta perché si può stare in Europa come l’Ungheria di Orban (corteggiatissimo da Meloni) ed il Gruppo di Visegrad (amato da Salvini) oppure come Macron; perché si può stare nella Nato come la Turchia di Erdogan o come la Gran Bretagna. Per non parlare delle simpatie per Putin (e per Trump) assai diffuse nello stesso Centrodestra. Al momento, il “no” alla “agenda Draghi”, che resta legittimo, è pieno di equivoci e di lacune, ed è pieno di incubi per chi desidera che l’Italia resti una “società aperta”, una poliarchia locale dentro una poliarchia globale (per usare i termini della Caritas in veritate di Benedetto XVI). Dal punto di vista programmatico, per quello che è dato vedere oggi, le elezioni del 25 Settembre saranno un referendum sulla “agenda Draghi”: Terzo Polo a favore della “agenda Draghi” e Centrodestra contro la ”agenda Draghi”.

Temi locali nel dibattito nazionale sulle elezioni?

Ha senso attendersi che si parli di questioni locali in elezioni politiche nazionali? No e sì. No, non ha senso perché agli umbri, come a tutti gli altri italiani, è chiesto di scegliere su politiche di livello nazionale, a differenza di quanto avviene nelle consultazioni regionali o comunali. Sì, ha senso, se si riesce a mostrare che una questione “locale” non è una questione di rilievo solo “locale”, bensì anche “nazionale” e “globale”.

La questione “Italia centrale”

Negli ultimi anni, per prima la Azione Cattolica di Terni-Narni-Amelia, tante e varie voci autorevoli della vita sociale, economica ed accademica, istituzioni di ricerca come l’AUR di Perugia, testate nazionali come “il Messaggero”, hanno chiarito oltre ogni ragionevole dubbio che la questione “Italia Centrale” è oggi questione di interesse nazionale e globale e che nei suoi confini prende nuovo vigore la causa umbra e in generale quella della rete di città medie di questa area. Nelle settimane scorse era stato fatto notare anche che la maggior parte dei collegi contendibili è collocata proprio in Italia Centrale e che quindi era interesse dei partiti competere offrendo all’elettorato proposte alternative in materia. Risultato: tutti hanno taciuto. Niente di niente da nessuna delle quattro principali sponde.

La questione cattolici e politica

Anche queste elezioni 2022 sono occasione nella quale si manifesta lo scivolamento in atto nel cattolicesimo italiano, rispetto alla politica e non solo. La offerta politica che abbiamo di fronte mostra come il cattolicesimo italiano sia caratterizzato oggi da un mix di visibilità ed irrilevanza. Meloni, Salvini, Berlusconi, Renzi, Letta e Conte hanno biografie e strategie comunicative in cui certo non si nasconde il riferimento alla religione. Contemporaneamente, non occorre essere teologi per rendersi conto che principi e criteri del magistero sociale della Chiesa, per non parlare dell’eredità del cattolicesimo politico, non hanno gran peso nella selezione delle priorità e delle politiche.

Dibattito elettorale: riferimento inconsistente all'insegnamento della Chiesa

In questo senso non si può non sottolineare la assoluta inconsistenza del riferimento alla dottrina sociale della Chiesa fatto dalla on.le Meloni a Rimini. Senza risalire al Vaticano II ed a Montini, è davvero difficile trovare argomenti a sostegno di una prospettiva “sovranista” e “populista” nel magistero di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI.

Caduta del pensiero cattolico e della formazione dei credenti?

Decenni di desertificazione del tessuto dell’associazionismo laicale cattolico e di sua improvvida sostituzione con le “pastorali” (strutturalmente “clericali”) hanno estirpato le radici che avevano formato generazioni di cattolici alle forme proprie ed alla responsabilità della politica. A questo si è aggiunta una moda ormai dilagante di continuo riposizionamento di cattolici, laici e clero, che non si dà briga di addurre giustificazione alcuna per l’assumere in successione posizioni diversissime sia nella Chiesa che in politica. Se si pensa a quale spazio gli interventi del magistero, a tutti i livelli, davano alle argomentazioni che discutevano, distinguevano o collegavano affermazioni del passato e del presente, ben si comprende quale “sciogliete le righe” produca l’attuale affidarsi non ad argomenti, ma ad emozioni, battute e twitt. Certamente non si aiuta la maturazione nei credenti di una rinnovata coscienza storica, e dunque anche politica, diffondendo lo spontaneismo, premiando l’anti-intellettualismo, abbandonandosi a luoghi comuni. Semmai, il bisogno di disciplina (ascetica ed intellettuale), di formazione e di confronto nel discernimento, il bisogno di apostolato dei laici (e non di “pastorali”), di associazionismo laicale ecclesiale (piuttosto che di uffici di curia e di laici ridotti ad “operatori pastorali”) è oggi più grande di ieri.]]>
La pace e la bontà sono contagiose https://www.lavoce.it/pace-bonta-contagiose/ Wed, 11 Dec 2019 16:32:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55843

“I cambiamenti che il mondo sta attraversando e affrontando creano disorientamento, provocano anche paure. E le paure generano chiusure e contrapposizioni pericolose. Le paure sono anche contagiose. Ma anche la pace è contagiosa, anche la bontà è contagiosa. E metterla in pratica, chiamando altri a praticarla, moltiplicando e diffondendo questo impegno, è fortemente contagioso e importante”.

Mattarella al Sermig

Sono le parole che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha detto intervenendo all’Arsenale della pace di Torino in occasione della visita al Sermig (Servizio missionari giovani) nel 55° anniversario della fondazione. Parlava ai giovani di oggi e di ieri che insieme al fondatore Ernesto Olivero si impegnano ogni giorno per la pace contagiando e coinvolgendo altri.

Parlando di ciò che avviene al Sermig, il Presidente ha sottolineato l’importanza “di incontrarsi con le persone, di aprirsi all’incontro con gli altri, di far uscire, emergere quel che c’è di potenzialmente buono in tutti e di procedere insieme in quella direzione”.

Le paure degli italiani

In questi stessi giorni altra notizia, altro scenario. L’ultima rilevazione eseguita da Swg su un campione di 1.000 maggiorenni italiani, i cui esiti sono pubblicati nello speciale “Paure per l’oggi e futuro dei figli” di “PoliticApp”, descrive una società che vede il futuro a tinte fosche.

Chiamati ad esprimersi su ciò che li preoccupa di più rispetto al futuro dei figli, nella rilevazione eseguita tra il 27 e il 29 novembre, il 72% degli intervistati indica quella“che non riescano ad avere uno standard di vita decente”, e a seguire: “che debbano emigrare”, “che debbano lavorare troppo”, “che non riescano a costruirsi una famiglia”, “che non abbiano successo nella vita”, fino a temere che i figli vivranno in un Paese con grandi ingiustizie sociali (37%) e altro ancora.

Insomma paure e insicurezze che (secondo i dati del Censis di cui scriviamo a pag. 3) si traducono in mancanza di fiducia nell’altro (75%) e nel desiderio di avere un “uomo forte al potere” (48%) al quale affidare la soluzione di tutti i mali.

Democrazia è meglio di “uomo forte”

Tentazione pericolosa, quella dell’“uomo forte”. E destinata al fallimento, come ha dimostrato la storia dei regimi totalitari. Non a caso san Giovanni Paolo II nel 1991, a cento anni dall’enciclica sociale Rerum Novarum e due anni dopo la caduta del muro di Berlino, nell’Enciclica Centesimus Annus (al n. 46) scriveva che “La Chiesa apprezza il sistema della democrazia”.

E più avanti dava una indicazione di metodo: “La Chiesa, pertanto, riaffermando costantemente la trascendente dignità della persona, ha come suo metodo il rispetto della libertà”. Un testo da rileggere per ricomprendere con sano realismo il valore del nostro forte e allo stesso tempo fragile sistema democratico di cui ogni giorno dobbiamo prenderci cura esercitando la nostra libertà.

Papa Francesco, che oggi si appresta a festeggiare il 50° dell’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 13 dicembre 1969 ricorda che “la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione” perché, aggiungiamo noi, la bontà è contagiosa. E alla fine vince.

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Economia sì, ma di salvezza https://www.lavoce.it/economia-si-ma-di-salvezza/ Thu, 29 Oct 2015 17:38:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44074 solidarietà-aiuto-famigliaLa ripresa economica è alle porte, ma non per le famiglie che hanno perso il lavoro. È notizia dello scorso fine settimana che a guidare la classifica della crescita del Pil della zona euro nel 2016 (secondo le previsioni di “Prometeia”) saranno i Paesi del Mediterraneo (eccetto la Grecia), mentre quelli del Nord Europa (inclusa la Germania) subiranno una frenata, al punto che gli esperti parlano di una “rivincita economica dell’Europa mediterranea”. Ritorna l’ottimismo e si auspica più benessere e ricchezza. Quest’ultima, se solidale, ridistribuita, non è peccato e può contribuire a non generare crisi. È l’accumulo delle ricchezze tra pochi che diventa peccato e provoca gravi conflitti sociali.

Questo avviene non solo nei sistemi “macro economici” ma anche in quelli “micro”. Basti pensare agli imprenditori che producono reddito senza investirlo neppure in parte nel miglioramento dell’azienda, ad esempio mettendola in sicurezza o rendendo stabile il lavoro dei precari. Per non parlare del lavoro nero, a vantaggio sempre dell’accumulo di denaro del datore, che non permette al lavoratore, ad esempio, di contrarre un mutuo. Questo incide negativamente sui consumi. Manca la mentalità della condivisione-solidarietà, in particolare nei momenti di crisi, quando chi possiede qualcosa la tiene tutta per sé per timore di perderla.

A prevalere è la mentalità individualista ed egoista e per questo la crisi avrà lunghi strascichi per i più deboli. Riflettendo su quanto scritto di recente da padre Giulio Albanese nella rubrica “Gli esclusi” sul Messaggero di sant’Antonio, come non essere “per un’‘economia di salvezza’”?
Nel soffermarsi su alcuni testi sul controverso rapporto tra “ricchezza e povertà” di san Basilio Magno, padre Albanese parla “di considerazioni che ci possono aiutare a comprendere la centralità di questo tema nel contesto generale della cosiddetta ‘economia di salvezza’. Inoltre, dimostrano come Papa Bergoglio sia in perfetta sintonia con l’insegnamento dei Padri della Chiesa”. San Basilio diceva, ricorda padre Albanese: “Chi accumula ricchezza in forma egoistica e non solidale è un ‘ladro’ e ‘manca di carità’, cioè dell’amore misericordioso di Dio. Una denuncia coraggiosa, che Papa Francesco rilancia quando afferma che “il nostro sistema si mantiene con la cultura dello scarto, così crescono disparità e povertà, dice quella verità che molti non vogliono sentirsi dire”.

La nostra Umbria, dove è atteso il nuovo Piano sociale regionale, è una terra solidale in cui si rivela fondamentale il contributo della Chiesa e del privato-sociale al Welfare State. In sei anni (2009-2015) comunità parrocchiali e religiose, Fondazioni bancarie, realtà imprenditoriali e istituzioni hanno alimentato il Fondo di solidarietà delle Chiese umbre per le famiglie in difficoltà a causa della perdita del lavoro con 3 milioni e 533.682 mila euro, distribuiti a 2.653 nuclei familiari (dati al 26/10/2015).

Una somma, purtroppo, irrilevante se si pensa a quanto ha scritto Enzo Ferrini nel n. 39 de La Voce in merito al fenomeno del gioco d’azzardo, per il quale nella nostra regione si spendono quasi 3 milioni di euro al giorno. Nel 2014, secondo il Rapporto dell’Agenzia dei monopòli, gli umbri hanno speso 1 miliardo e 36 milioni di euro, per l’esattezza 2 milioni e 838 mila euro in media al giorno, in slot machine, Gratta e vinci, Bingo, scommesse sportive, Lotto, Superenalotto e lotterie varie.

Occorre una maggiore mentalità solidaristica, anziché bruciare denaro al gioco. Spesso si fa per disperazione, impoverendosi ancor più, e contribuendo a non far entrare risorse “nel circuito virtuoso dell’economia del territorio”.

Ne è convinta la direttrice della Caritas diocesana di Perugia, Daniela Monni, imprenditrice, nel sostenere che “nel 2015 tende ad arrestarsi l’emorragia della perdita di lavoro, ma ancora sono troppi i padri di famiglia senza lavoro. Una sfida grande ci attende: farci carico dei poveri vicini e lontani”, anche con la ricchezza che non va accumulata. Ad insegnarlo è anche la dottrina sociale della Chiesa.

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Formazione socio-politica: “un cantiere aperto” https://www.lavoce.it/formazione-socio-politica-un-cantiere-aperto/ Tue, 26 May 2015 13:56:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34035 Mons. Domenico Sorrentino
Mons. Domenico Sorrentino

Ormai quasi ogni anno il popolo italiano è chiamato ad una consultazione elettorale. Anche questo fattore, minimale rispetto alle ragioni più profonde dell’antipolitica, contribuisce al fenomeno di un astensionismo massiccio. Cosa accadrà in Umbria? E nella nostra diocesi? Il vescovo Sorrentino, in virtù della sua attività pastorale, ci ha fornito qualche spunto di riflessione.

Quali conclusioni sono emerse dall’ultimo anno della scuola di formazione socio-politica da lei ideata? “La scuola è un cantiere aperto. Pertanto non ha conclusioni. Cònstato che la dottrina sociale della Chiesa sta interessando molto. Purtroppo è poco conosciuta. È anche vero che la politica è prassi e si apprende sul campo. Alla scuola hanno partecipato diversi amministratori e si è visto quanto sia importante valutare la prassi. Per quanto riguarda i cattolici, in questo tempo di pluralismo politico, essi devono incontrarsi di più per essere sostenuti in merito alla loro azione nella coerenza con il Vangelo. Stimolante anche confrontarsi con politici di diversa matrice, ma nella fedeltà alla propria identità”.

Fu considerata come una “svolta” la riunione da lei indetta nella sala della Spoliazione con invito a tutte le forze politiche e movimenti… “Certamente servì a far capire che per la Chiesa la “polis” e la “politica” non sono cose marginali. La coerenza con il messaggio evangelico impone di occuparsene e di farlo con competenza e coerenza. In particolare è dovere dei laici. La Chiesa come tale non può e non vuole essere di parte”.

Nel corso di un quinquennio amministrativo, a livello di regione, ha notato cambiamenti in seno alla nostra diocesi? “Non ho dati sufficienti. Rilevo che i problemi sul versante del lavoro non vedono ancora uno spiraglio di soluzione. La crisi della Merloni e di altre aziende è ancora lì. Mi arrivano poi lamentele sulle cose che non vanno. Ma bisognerebbe ascoltare anche la replica dei politici. Al di là poi dei problemi più concreti, guardo ai temi fondamentali della famiglia e della vita, sui quali la legislazione nazionale si esprime in termini discutibili. Mi piacerebbe che la nostra regione non si omologasse e anzi si distinguesse sul versante del rispetto dell’essere umano fin dalle prime fasi della vita e per una legislazione di sostegno all’istituto familiare”.

Nel corso del suo mandato episcopale, quanti politici hanno bussato alla sua porta? “All’inizio qualcuno ci ha provato. Poi è stato chiaro per tutti che la mia linea è quella di dare grande importanza alla formazione politica, senza interferire nelle dinamiche elettorali. E allora nessuno ci ha più provato”.

 

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La fecondità di un incontro. Le origini della presenza di Comunione e Liberazione in Umbria https://www.lavoce.it/la-fecondita-di-un-incontro-le-origini-della-presenza-di-comunione-e-liberazione-in-umbria/ https://www.lavoce.it/la-fecondita-di-un-incontro-le-origini-della-presenza-di-comunione-e-liberazione-in-umbria/#comments Fri, 13 Mar 2015 12:35:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30904 Incontro di Cl con gli studenti iraniani (Perugia, 1981)
Incontro di Cl con gli studenti iraniani (Perugia, 1981)

Nell’udienza di sabato 7 marzo, concessa a Comunione e Liberazione in occasione dei sessant’anni dell’inizio del movimento e del decennale della morte di don Luigi Giussani, Papa Francesco ha descritto il cristianesimo con la parola ‘incontro’, tanto cara a Giussani. Dall’incontro di don Giussani con Cristo è nata una storia che da tempo ha raggiunto anche l’Umbria: vorremmo ricordarne qui i primissimi passi.

La prima comunità umbra di CL nasce a Perugia nel 1967/1968, da alcuni studenti che si iscrivono all’università, provenienti da Sansepolcro (Egisto Mercati) e da Fermo (Giancarlo Petrini, ora vescovo di Camaçari in Brasile, e Vando Valentini, ordinato sacerdote nel 1983 e ora in Brasile). Da Sansepolcro, li visitava settimanalmente don Valerio Valeri. Gli universitari condividono vita e casa: un appartamento di ragazze (tra cui Cristina Tarducci, di Sansepolcro) e, tra i ragazzi, un gruppetto tutto di Sansepolcro. I primi ‘adulti’ sono gli sposi Francesco Cerami e Maria Alvisi, Carlo Alberto Paolucci e Lucia Maggiorana. Due luoghi acquistano per tutti particolare significato: la casa della famiglia Cernetti e, dal 1973, quella della famiglia Secchi, giunta a Perugia da Reggio Emilia (Riccardo, il figlio maggiore, che già conosceva Gioventù Studentesca, si iscrive all’Accademia di Belle Arti). L’arcivescovo Ferdinando Lambruschini concede la prima sede, in via Ritorta. Talora, in assenza di un sacerdote stabile, celebrava la Messa padre Ilarino da Milano, professore di Storia del Cristianesimo al Magistero. Periodicamente arrivava da Catania, per completare la laurea in filosofia, don Francesco Ventorino: la sua amicizia coinvolse i coniugi Alfonsina e Corrado Secchi. Gli anni ’70 furono densi di eventi, vissuti nel clima ideologico che dominava la società e l’università italiana. gli universitari di Perugia (CLU: Comunione e Liberazione Universitari) parteciparono al primo grande convegno pubblico organizzato da CL, al Palalido Milano (“Nelle università italiane per la liberazione”, 1973). Resta poi nella memoria il 1974, con l’impegno per il Sì al referendum sul divorzio, le intimidazioni per le prime elezioni studentesche e, all’indomani della strage di Piazza della Loggia, il primo striscione in Piazza IV novembre: ‘Solo in Cristo è la liberazione’.

Nello stesso anno, la nascita del Centro Culturale Il Sicomoro e della Redazione culturale, e le prime vacanze estive, al Gargano. Nel 1975 inizia in città l’esperienza di GS, quando Cristina Tarducci cominciò a insegnare religione nelle scuole medie. Attorno a Cristina si forma anche la prima casa delle Memores Domini, situata all’interno del vescovado. Nel 1976 arrivò stabilmente da Sansepolcro don Valerio Valeri, che andò a insegnare religione al liceo scientifico. Per l’amicizia con don Carlo Alberti, direttore dell’Archivio diocesano (che stimava il movimento, allora comunemente ritenuto integralista e politicizzato), venne a don Valerio la canonica di Santa Elisabetta: nominato parroco, vi si trasferì insieme a Pierangelo Crippa (originario di Lissone ma poi trasferitosi per lavoro vicino a Gubbio) con cui aveva condiviso una prima casa in via Sdrucciola. Una volta ristrutturata assieme alla piccola chiesa annessa, Santa Elisabetta ospitò anche la nuova sede della comunità e, dopo pochi anni, la prima casa maschile dei Memores Domini. Il respiro di universalità caratteristico della proposta di don Giussani apriva intanto nuovi orizzonti. Nel 1977 i perugini parteciparono alla seconda edizione del pellegrinaggio a piedi alla Madonna Nera di Cz?stochowa, nato dal rapporto che legava don Giussani e don Francesco Ricci con la chiesa polacca; in quell’occasione, incontrarono l’allora arcivescovo di Cracovia, cardinale Karol Woiti?a. Acquistarono via via spessore nomi e vicende prima ignoti o lontanissimi: i dissidenti russi che, come Sinjavskij, pagavano di persona la difesa della fede e della dignità dell’uomo; gli scrittori dell’editoria clandestina del samizdat; Vaclav Havel e i cecoslovacchi firmatari di “Charta 77”. Grazie al polmone di “Russia cristiana”, si respirava la bellezza della teologia orientale, lo splendore delle icone. L’esperienza cristiana divenne amicizia con le realtà più diverse: nel 1981 la comunità sostenne gli studenti iraniani dell’Università per Stranieri, in sciopero della fame perché fosse loro riconosciuto il valore del titolo di studio. Dai primi anni Ottanta, il CLU di Perugia si accrebbe a più riprese di ragazzi che avevavo già conosciuto GS alle superiori, a Perugia o altrove: tra loro, Giuseppe Capaccioni, Mariella Carlotti, Francesca Secchi, Sergio Fratarcangeli, Maurizio Brizioli, Riccardo Cascioli, Giovanni Mosciatti, Angelo Frascarelli, Assuntina Morresi, Fabio Ferrucci, Tiziana Ciampetti, Alessandra e Emanuela Massi. E altri via via se ne aggiunsero, incontrando il movimento in Università tramite loro. Particolarmente numeroso e vivace, il gruppo di studenti proveniente da Guglionesi (CB). Per seguire più da vicino il cammino del CLU, Giussani inviò a Perugia Enzo Piccinini, giovane chirurgo di Bologna, che lì già da tempo seguiva gli universitari. La passione e la paternità di Enzo (grande educatore del CLU, sino alla morte improvvisa nel 1999) portarono frutto: fu la stagione dei Cattolici Popolari, che animarono la vita e la politica universitaria; della cooperativa libraria CUSL gestita dagli studenti stessi; di tante iniziative del Centro Culturale Il Sicomoro. Si consolidarono nuove vocazioni alla verginità, con l’ingresso nei Memores Domini di Mariella Carlotti e Francesca Secchi (1985) e di Maurizio Brizioli (1986); Giovanni Mosciatti nel 1986 divenne sacerdote. Anno cruciale il 1984, quando nell’udienza per il Trentennale di CL Giovanni Paolo II lasciò questa consegna: Andate in tutto il mondo a portare la verità, la bellezza e la pace che si incontrano in Cristo redentore! Alla fine del 1985, don Valeri partì per il Kenya, e Giussani inviò a Perugia un nuovo sacerdote, don Agostino Graziani, che insegnando nei licei farà conoscere GS a tanti suoi alunni, accompagnerà il CLU e i giovani che si inoltravano nel mondo del lavoro, benedirà nel tempo tanti matrimoni. Della vita della comunità perugina dagli anni ’90 in poi, ci piace qui ricordare almeno un aspetto, presente sin dalle origini e mai venuto meno: la disponibilità alla missione (partenze recenti e recentissime per la Lituania, il Kenya, il Kazakhstan).

Poco dopo Perugia, il movimento nasce a Terni-Orvieto, tra il 1969 e il 1971. Segue Todi, i cui primi passi datano al 1975, quando arriva da Milano a Perugia Almerina Bonvecchi che, nei fine-settimana, su invito di un sacerdote che aveva scritto a Giussani, anima degli incontri con i giovani a Collevalenza. Nel 1976/77 il vescovo di Todi mons. Decio Lucio Grandoni le assegna l’insegnamento della religione al liceo Bramante. Una prima riunione con 10 ragazzi sul ‘problema umano’; la sfida di una candidatura alle elezioni scolastiche raccolta da uno di loro, Maurizio Brizioli: così la comunità prese avvio, anche grazie al rapporto con gli studenti di Roma. Gli incontri si tenevano nella cucina della nonna di uno dei ragazzi, poi venne la sede di San Nicolò. Di quei primi studenti alcuni (Simonetta Bernardini, Maurizio Brizioli) si iscrissero all’Università di Perugia. Anche per Todi fu fondamentale l’udienza con Giovanni Paolo II nel 1984: nel giro di un anno, la comunità rifiorì e crebbe per numero e vivacità, attorno a giovani come Cristiano Castrichini, Roberto Rosati, Massimiliano Menna, Andrea Baccarelli. Tra il 1986 e il 1996, corsi sulla dottrina sociale della Chiesa, rappresentazioni teatrali, cicli di lezioni per i maturandi, feste popolari (Happenings). Una presenza alla quale la città reagisce in modo intenso e spesso conflittuale: nel 1998, la negazione a GS di un’aula scolastica per la recita dell’ Angelus prima delle lezioni diviene un caso di risonanza nazionale. Agli anni Ottanta risalgono le origini di CL a Gualdo Tadino (Mariella Carlotti, Franco Ronca, Giuseppe Ascani). Nel 1985, Gubbio: su richiesta del vescovo mons. Ennio Antonelli (amico fraterno della famiglia Baccarelli di Todi e colpito dal cambiamento di uno dei figli, Andrea), don Giussani invia a Gubbio come insegnante Mariella Carlotti, attorno alla quale nascerà anche una casa di Memores Domini. In Umbria, comunità di CL sono presenti da anni anche ad Assisi, Città di Castello, Castiglione del Lago, Foligno.

 

 

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Mattarella. Per un’Italia unita e solidale https://www.lavoce.it/mattarella-per-unitalia-unita-e-solidale/ Fri, 06 Feb 2015 13:54:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30216 Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con la Presidente della Camera, Laura Boldrini, e la Presidente Vicaria del Senato, Valeria Fedeli in occasione della cerimonia di giuramento
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con la Presidente della Camera, Laura Boldrini, e la Presidente Vicaria del Senato, Valeria Fedeli in occasione della cerimonia di giuramento

“È stato un discorso ricco di contenuti, dove l’orizzonte del bene comune è molto forte”. Questo il primo aspetto che emerge dal discorso tenuto martedì al Parlamento dal nuovo Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a giudizio di Giuseppe Savagnone, docente di Dottrina sociale della Chiesa presso la Lumsa di Palermo e direttore del locale ufficio diocesano per la Pastorale della cultura.

Professore, dal discorso di Mattarella emerge un messaggio di responsabilità e speranza, e un invito a sentirsi parte di una comunità.

“Uno dei punti cardine del discorso è l’appello a un’unità che non sia solo formale, ma coinvolga il popolo intorno alla prospettiva del bene comune, per riconciliare le istituzioni e il popolo, che per ora sono distanti, intorno a una prospettiva futura. Così ha sottolineato l’importanza della partecipazione”.

La politica come servizio al bene comune: parole che ricordano quelle della Cei.

“C’è sullo sfondo una visione cristiana della società quale si esprime nella dottrina sociale della Chiesa. Basti pensare alla sottolineatura del bene comune e della partecipazione attraverso i corpi sociali. Questa è una tipica sottolineatura della tradizione sociale dei cristiani: l’importanza dei corpi sociali come momento di mediazione tra l’individuo e lo Stato. Oggi noi assistiamo purtroppo a una separazione tra cittadini e Stato: da un lato, c’è l’individualismo dei primi; dall’altro, le istituzioni non riescono a interpretare le esigenze delle persone”.

Grande attenzione anche ai giovani.

“Le parole di Mattarella sottolineano la prospettiva della speranza e del futuro, puntando sui giovani, ma non in modo retorico. Infatti, il Presidente mostra quali sono le condizioni per le quali questo futuro sia realisticamente perseguibile. Non è un discorso di ottimismo, ma di chiamata alla responsabilità. Il futuro si realizza se noi siamo capaci di ridiventare un popolo unito intorno alle istituzioni, in un cammino da percorrere insieme”.

Spiegando cosa significhi garantire la Costituzione, il Presidente ha parlato del sostegno alla famiglia.

“Mattarella ha fatto una serie di richiami molto precisi che vanno nella direzione del superamento del formalismo. Ha detto, infatti, che la garanzia più forte della nostra Costituzione consiste nella sua applicazione, cioè nel viverla giorno per giorno. Non ci possiamo trincerare dietro formule: per questo la famiglia resta centrale. L’elenco di attenzioni, molto ampio – tra cui si citano quelle a donne, disabili, malati – mostra l’impegno del Presidente verso la realtà effettiva della nostra società. Non è solo un discorso di garanzia del suo ruolo di arbitro super partes: Mattarella ha chiesto l’aiuto di tutti per applicare veramente la Costituzione. In più punti del discorso appare, dunque, la preoccupazione per lo scollamento tra istituzioni e cittadini. Il Presidente ha sottolineato la necessità che ci sia un’unità, oltre a quella territoriale, costituita dall’insieme delle attese e delle aspirazioni dei nostri concittadini. Ma questa unità rischia di essere fragile sia per il dualismo tra istituzioni e cittadini sia per la crisi che ha aumentato le ingiustizie, le povertà, la mancanza di lavoro. C’è anche il pericolo che la crisi economica intacchi principi e valori. Questo è un richiamo a un aspetto importante: c’è chi si avvale della crisi per sacrificare i diritti della gente e i servizi sociali fondamentali. Dobbiamo scongiurare il rischio che la crisi economica intacchi il rispetto di principi e valori su cui si fonda il patto sociale alla base della nostra Costituzione”.

Mattarella ha anche citato la necessità di combattere mafia e corruzione.

“La corruzione è il simbolo di una fortissima crisi etica. Il nostro Paese non è soltanto indietro per il basso livello del Pil o per l’enorme debito pubblico, ma ha conosciuto negli ultimi venti anni una crisi etica senza precedenti. Oggi ci troviamo a dover rivendicare il primato dell’etica per salvare l’economia. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha fatto notare che una parte consistente dei mancati investimenti in Italia è dovuta alla corruzione. Mattarella ha molto insistito sui danni della corruzione, e non a caso qui ha citato il Papa, perché la crisi è etica, e la dimensione religiosa – che il Papa rappresenta – è importante per potervi rispondere”.

Nell’ultima parte del suo intervento, il Presidente ha mostrato una Repubblica dal volto umano, che non dimentica nessuno.

“Sì, quello di Mattarella è stato un discorso di volti. Anche qui c’è un richiamo alla migliore tradizione della visione cristiana della società, secondo la quale la società non coincide, anzitutto, con le sue strutture. La società, secondo la visione cristiana, è rappresentata dalle persone che ne fanno parte: sono volti, che il Presidente ha citato uno a uno, dei bambini, giovani, anziani. Storie di volti che Mattarella ha voluto fossero presenti all’inizio del suo mandato”.

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Papa Francesco vittima della cultura “fai da te” https://www.lavoce.it/papa-francesco-vittima-della-cultura-fai-da-te/ https://www.lavoce.it/papa-francesco-vittima-della-cultura-fai-da-te/#comments Fri, 19 Dec 2014 14:48:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29536 Mons. Domenico Sorrentino
Mons. Domenico Sorrentino

Siamo in piena “post-modernità”. Alle nostre spalle, i grandi sistemi. Nelle vetrine del mercato globale, opinioni infinite, ma solo opinioni. È il tempo del “fai da te”. Capita anche alla religione. L’ultima declinazione di questa psicologia riguarda il Papa. Sì, proprio Papa Francesco. Se non sul banco degli imputati, anche lui è finito sulla bancarella degli opinionisti. Gli danno pagelle, e non tutte positive. Era da aspettarselo, dopo il primo bagno di folla e di consensi. Sorvolo sul fatto che, fin dalle prime battute del pontificato, a sentirlo perorare in toni vibrati la causa dei poveri – in realtà nel solco della più classica dottrina sociale della Chiesa – si sono levate lobbies della finanza mondiale a storcere il naso, e… i giornali. Con tutto il rispetto, una tale reazione finisce per essere quasi una garanzia della bontà evangelica del prodotto. Non sorprende poi – avrebbe sorpreso il contrario – che alcuni gruppi cattolici oltranzisti, militanti dell’anti-Vaticano II, abbiano subito collocato Papa Francesco nella bolgia dei Papi eretici. Anzi dei “non Papi”, in ottima compagnia peraltro di Papi che ormai veneriamo beati, e uno, Giovanni Paolo II, santo! Con buona pace di tutti. L’ultima novità viene, a sorpresa, da giornalisti cattolici, alcuni dei quali benemeriti di testimonianza cristiana, che si sentono in dovere di prendere le distanze da Papa Francesco. Ne fanno questione di coscienza, e questa – si sa – è sempre rispettabile; ma non per questo è la verità. Essi continuano a fare professione di fede anche accogliendo il Concilio e i Papi del post-Concilio. Ma fino a Benedetto XVI. Francesco – argomentano – con le sue mezze parole e le (presunte) strategie quasi subliminali di rinnovamento (vedi Sinodo sulla famiglia, ecc.) starebbe gettando la Chiesa nella confusione. Sarebbe ora dunque di dar fiato alla profezia per denunciare questo pericolo. E viene propagato addirittura il sospetto, con malcelata voglia di scoop, che Francesco non sia il vero Papa.

Papa-Francesco-giovaniPapa Benedetto XVI sarebbe ancora al timone della Chiesa, benché in “stand-by”. E ciò sulla base del titolo da lui conservato di “Papa emerito” e un sospetto di svolgimento “irregolare” del Conclave che ha eletto Bergoglio. Quanto una tesi così destabilizzante sia priva di fondamento non è stato difficile a qualche buon canonista di provarlo. Oltre tutto, per ciò che riguarda l’elezione, il sospetto è tutto sospeso in aria, frutto di illazioni giornalistiche su un fatto, il Conclave, sul quale le norme severissime di segretezza impediscono di fare riscontri. La tesi – o l’ipotesi insinuata come verosimile – è esposta con l’arte del giornalismo consumato, e con un certo pathos da eroi della verità nuda e pura, con l’evidente intento di suscitare il rigetto di Papa Francesco (o almeno la perplessità sul suo conto). Tutto ciò motivato anche con i presunti limiti del magistero dell’attuale Pontefice messi a confronto con i pregi del Papa emerito. I due – si dice – sarebbero in contraddizione. Noi che li amiamo entrambi, di contraddizioni, nella sostanza, non vediamo traccia (gli stili, è vero, non potrebbero essere più diversi). Chi segue attentamente, non a spezzoni, il magistero di Papa Francesco, e ne ha minimamente conosciuto la tempra evangelica, trova davvero incredibile che lo si accusi di farsi una platea di fans dicendo cose che tutti vogliono sentire. È esattamente il contrario. Ricordo le ‘sberle’ salutari che ci diede nella visita ad Assisi: ci disse non cose che volevamo sentire, ma cose che mettono in crisi! Semmai si fa accogliere per la semplicità e l’amabilità con cui le dice, anche le più difficili da credere e da praticare. Adotta, sì, espressioni accattivanti, che si concentrano nell’annuncio della misericordia di Dio. Ma è Vangelo puro. Stando all’insieme del magistero finora prodotto, nulla è dimenticato di ciò che costituisce la verità che non muta e i doveri irrinunciabili di una buona coscienza. Che se poi, nel mercato della religione “fai da te”, c’è chi prende solo ciò che gli interessa, si può e si deve deplorare. Difficile però che abbia titolo a farlo chi, in nome della profezia, pratica il “fai da te” persino scegliendosi il Papa.

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Fiordelli, energico e intelligente precursore https://www.lavoce.it/fiordelli-energico-e-intelligente-precursore/ Fri, 12 Dec 2014 12:45:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29486 Mons. Pietro Fiordelli con Papa Giovanni Paolo II
Mons. Pietro Fiordelli con Papa Giovanni Paolo II

Il 23 dicembre cadrà il 10° anniversario di morte di mons. Pietro Fiordelli (1916-2004), il primo vescovo residenziale di Prato, sacerdote umbro di nascita e di antiche origini familiari nella nostra regione.

Le origini

Questa straordinaria figura di ecclesiastico nasce il 9 gennaio 1916 a Città di Castello, quarto di cinque fratelli, da padre tifernate e madre originaria della vicina Sansepolcro. A 6 anni Fiordelli è avviato agli studi primari nella stessa città, frequentando la scuola elementare fondata dal vescovo Carlo Liviero (1866-1932). Il 4 ottobre 1927 fa ingresso nel Seminario di Città di Castello e, 5 anni dopo, nell’ottobre 1932, è inviato da mons. Liviero a Roma, come promettente alunno del Pontificio seminario romano maggiore. A soli 22 anni è quindi ordinato sacerdote a Roma e, dopo aver concluso gli studi filosofici e teologici nel Laterano, è incardinato nella diocesi di Città di Castello, allora guidata da mons. Filippo Maria Cipriani (1878-1956).

Dal suo vescovo don Fiordelli è incaricato di numerose mansioni, tra cui quella di insegnante di Religione al liceo classico di Città di Castello, di assistente della locale sezione di Azione cattolica, di padre spirituale nel Seminario diocesano e, infine, di altri svariati compiti pastorali negli ambiti – a lui congeniali – della pastorale della famiglia, della gioventù e della cultura.

Fonda “La Voce”

In particolare, per quanto riguarda quest’ultimo settore, nei difficili anni dell’immediato dopoguerra il giovane sacerdote s’impegnò a puntellare la comunità politica locale sull’urgenza di un ritorno, a tutti i livelli, al pieno rispetto delle leggi morali e civili, fondando ad esempio La Voce cattolica, il cui primo numero esce appunto nella primavera del 1945, a guerra non ancora terminata. In breve tempo il nostro giornale, grazie al dinamismo e all’intraprendenza di Fiordelli, raggiunse la tiratura – eccezionale, per il tempo – di oltre 24 mila copie, divenendo uno dei più importanti settimanali regionali (tanto per farsi un’idea, il maggiore quotidiano nazionale, il Corriere della sera, in quello stesso periodo raggiungeva una tiratura di 400 mila copie).

Nel 1953 La Voce, per espresso volere di tutti i Vescovi umbri, diventa, grazie anche a Fiordelli, il settimanale cattolico di tutta la regione. Dalle sue colonne, fino alla nomina a vescovo di Prato, egli firmò articoli e riflessioni di acuta analisi culturale e politica: originali e, diremmo, inconsueti per le testate diocesane del tempo.

Dopo 16 anni di un così attivo ministero presbiterale nella diocesi di Città di Castello, Fiordelli viene nominato dal servo di Dio papa Pio XII (1939-1958), il 7 luglio 1954, vescovo di Prato, ricevendo la consacrazione episcopale il 3 ottobre 1954, cioè a soli 38 anni (fu il più giovane vescovo d’Italia), dalle mani di mons. Cipriani. Ricoprì il suo incarico a Prato fino al 7 dicembre 1991, giorno nel quale rassegnò le dimissioni, come canonicamente prescritto per raggiunti limiti d’età.

Esce la sua biografia

La sua vicenda umana ed ecclesiale è ora ricostruita nel libro di Giuseppe Brienza, La difesa sociale della famiglia. Diritto naturale e dottrina cristiana nella pastorale di Pietro Fiordelli, vescovo di Prato (editrice Leonardo da Vinci, Roma 2014, pp. 161, euro15), che rievoca episodi interessanti della vita della Chiesa e del movimento cattolico italiano in difesa della famiglia e della vita negli anni 1950-70.

Brienza, giornalista e saggista che non è nuovo a ben documentate ricostruzioni biografiche di protagonisti della Chiesa in Italia, ricorda ad esempio l’impegno di mons. Fiordelli durante il Concilio Vaticano II e, in particolare, la sua “primogenitura” nella definizione, accolta nel testo della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (21 novembre 1964), della comunione coniugale sacramentale come Chiesa domestica, piccola Chiesa.

Non manca l’attenzione al contributo teologico di Fiordelli in campo ecclesiologico, di dottrina sociale della Chiesa e di spiritualità, laicale e familiare in particolare, che ne fa parlare come il “padre” della pastorale familiare in Italia.

Fiordelli si spese fin dall’inizio del suo episcopato per diffondere su larga scala corsi di preparazione al matrimonio che sviluppassero – soprattutto verso i più giovani – una rinnovata consapevolezza dell’importanza del vincolo sacramentale e della chiamata “alta” al matrimonio. Ancora, sempre su sua proposta la Cei costituì il Comitato episcopale per la famiglia (oggi Commissione episcopale per la famiglia e la vita), del quale Fiordelli fu eletto presidente per più mandati consecutivi.

Profeta anti-abortista

La lettura delle pagine di un breve saggio del vescovo Fiordelli, L’aborto e la coscienza (1975), intelligentemente riproposto come appendice nel volume di Brienza, è quanto mai importante per comprendere il passato socio-politico di cui viviamo gli esiti e la natura delle sfide etico-giuridiche che oggi ci interpellano. Lo scritto raccoglie una serie di conferenze sul tema, “profeticamente” tenute dal vescovo di Prato ben tre anni prima dell’approvazione della legge 194/1978, che ha introdotto l’Ivg nel nostro ordinamento.

Per questa sua opera, come ha riconosciuto l’arcivescovo di Ferrara, mons. Luigi Negri, nel suo Invito alla lettura, mons. Fiordelli va ricordato per la sua preziosa e coraggiosa difesa della famiglia, “spendendosi in un’intensa, profonda, intelligente ed equilibrata pastorale che assunse, in più di un’occasione, un carattere obiettivamente profetico. Capì e fece capire – certamente alla sua diocesi, ma non solo – che la battaglia per la difesa della sacralità della vita, della famiglia, della paternità, della maternità, dell’educazione dei figli, è stata ed è la grande battaglia della Chiesa e del popolo del nostro Paese, e che la si poteva fare non soltanto con la chiarezza dei princìpi, che mons. Fiordelli sapeva evocare da par suo, ma anche con una vera esperienza di famiglia cristiana” (p. 11).

Né va dimenticato, in tema di difesa della famiglia cristiana, che mons. Fiordelli era già stato al centro di una polemica a livello nazionale per aver dichiarato che, dal punto di vista della Chiesa, erano da considerare pubblici peccatori e concubini coloro che erano sposati civilmente. In tale polemica si inserì Aldo Capitini, che decise di farsi cancellare dal registro del battesimo, e quindi di rinunciare anche formalmente all’appartenenza alla Chiesa cattolica; fu il primo caso di “sbattezzo”. Fiordelli finì sotto processo, con sentenza di condanna in primo grado (28 febbraio 1958), ma venne poi assolto in appello (25 ottobre 1958).

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Che fine ha fatto l’impegno sociale dei cattolici? https://www.lavoce.it/che-fine-ha-fatto-limpegno-sociale-dei-cattolici/ Tue, 28 Oct 2014 18:24:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28697 Mons. Giuseppe Chiaretti
Mons. Giuseppe Chiaretti

A rileggere i quattro fortissimi “no” o i sei “dà fastidio che si parli…” di Papa Francesco nella sua prima esortazione programmatica Evangelii gaudium (nn. 53-60 e n. 203), e a riascoltare quella sua decisa denuncia del diffuso “cancro sociale, che è la corruzione, profondamente radicato nei governi, nell’imprenditoria, nelle istituzioni, qualunque sia l’ideologia politica dei governanti” (n. 60), si rimane sorpresi, addirittura scioccati; ma rimane implicita una forte perorazione a “darsi una mossa”.

Torna alla mente la grande tradizione cristiana della dottrina sociale elaborata da Papi – a cominciare da Leone XIII fino a san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – e da laici – il Toniolo e i grandi politici del primo dopoguerra, da Alcide De Gasperi a tutti i suoi amici dell’Azione cattolica -, i quali ultimi, forti di ben radicati valori umani e cristiani, hanno recuperato un’Italia distrutta e disonorata e l’hanno fatta grande. E oggi? Intimoriti dalle interessate e stupide accuse comuniste e laico-massoniche alla Chiesa “che fa politica”, ci siamo ritirati nelle nostre canoniche a dire rosari, ed è gradatamente venuta meno la formazione culturale e sociale di un laicato che sappia impegnarsi oggi, in maniera incisiva e competente, nel settore sociale e politico, quasi lasciando che i problemi si ‘risolvessero automaticamente’. Perfino i movimenti ecclesiali, che si sono intanto aggiunti all’Ac, sono rimasti a guardare, come se la fede avesse poco da dire sul piano sociale. Tornano invece alla mente figure di laici cristiani di oggi che hanno operato da credenti come meglio hanno saputo fare, sia nell’uno come nell’altro versante.

Alcide-De-GasperiMi sia consentito rievocare brevemente la figura di un moderno capitano d’industria, recentemente scomparso, l’ing. Valter Baldaccini di Cannara, patròn della Umbria Cuscinetti di Foligno (principale fornitrice della Boeing tedesca), che ha preso in mano un’azienda sulla via del fallimento e l’ha portata a livelli di eccellenza, procurando lavoro a molti operai e pane a tante famiglie. Nella sua esperienza ha seguito le motivazioni che gli venivano dalla spiritualità focolarina con le iniziative sociali proprie di una “economia di comunione”, cui si ispira la scuola sociale di quel movimento promossa dai prof. Zamagni e Bruni.

Certi momenti di crisi, ad esempio, sono stati superati allargando agli operai lo spazio della responsabilità nella guida dell’azienda. Con la salvaguardia e lo sviluppo del lavoro c’è stata anche l’apertura alle necessità dei poveri, aiutando sistematicamente non solo istituzioni italiane, ma anche iniziative in nazioni in via di sviluppo. A Baldaccini capitò magari in Africa di essere ospitato per una notte in un pollaio (era l’unico ambiente ‘decente’!) mentre andava a portare aiuti a orfanotrofi e ad altre situazioni di bisogno. Non c’è poi da meravigliarsi se, alla sua morte, vi sia stata una sorta di “canonizzazione laica”, con il ricordo del suo valore di intelligente e onesto capitano di industria aperto al futuro, ma anche delle sue iniziative a favore dei più bisognosi. Il riconoscimento dei suoi meriti professionali e delle motivazioni di fede che lo sostenevano è giunto anche dal partner laico, il vice presidente della società tedesca associata, la Boeing. Valga questo ricordo a stimolare ulteriormente l’impegno coerente e forte dei cristiani nel mondo sociale e politico, soprattutto in questo nostro tempo in cui lobby ben note si sono scatenate senza più alcun ritegno in ogni ambito del vivere sociale – si pensi alle tematiche della vita e della famiglia.

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Le Giornate sociali delle Chiese europee: l’Europa riparte da Madrid https://www.lavoce.it/le-giornate-sociali-delle-chiese-europee-leuropa-riparte-da-madrid/ Thu, 18 Sep 2014 14:40:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28065 Bandiere europa fuori da palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea a Bruxelles
Bandiere europa fuori da palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea a Bruxelles

L’obiettivo fondamentale della seconda edizione delle Giornate sociali cattoliche per l’Europa, che si tengono a Madrid dal 18 al 21 settembre, è di riflettere sul futuro dell’Europa, come il titolo dell’incontro suggerisce, nell’ottica della nostra fede cristiana. Attraverso il prisma della dottrina sociale della Chiesa, i cristiani cercano una comprensione più profonda della crisi socio-economica che continua a colpire il nostro Continente e vogliono approfondire insieme, come Chiesa che è una vera famiglia, il cammino verso una società plasmata da valori autentici.

Il Continente europeo sta vivendo un momento difficile a tanti livelli. La crisi attuale chiama in causa i singoli cittadini, le nostre famiglie, i governi e – per quanto riguarda specificamente l’Unione europea – le istituzioni dell’Ue. Siamo preoccupati perché la difficile situazione di molte persone nella nostra società viene sottovalutata, soprattutto quella delle persone più vulnerabili e di coloro che si ritrovano emarginati, che stanno sopportando grandi sofferenze: i poveri e i malati, i disoccupati, i rifugiati e i migranti, coloro che attraversano una crisi nella propria famiglia, quelli che vivono da soli, senza speranza, e disperano di poter dare un senso alla propria vita.

Il danno collaterale del collasso bancario e del conseguente sconvolgimento economico ha profondamente ferito il nostro tessuto sociale. Ha sollevato profondi interrogativi sul nostro modo di vivere insieme. La crisi economica ha portato a licenziamenti diffusi, ha costretto molte piccole e medie imprese a cessare l’attività, ha causato livelli inaccettabilmente elevati di disoccupazione giovanile e, nel caso di alcuni Paesi, ha condotto a severe misure di austerità. Queste stesse misure che sono seguite all’intervento del Fondo monetario internazionale hanno esposto un enorme numero di individui e di famiglie a estreme difficoltà. All’interno della famiglia europea, hanno sollevato importanti interrogativi sui valori fondamentali dell’Unione, uno dei quali è la solidarietà, una pietra angolare della dottrina sociale cattolica.

La Chiesa si preoccupa della società. Ha a cuore ogni uomo e ogni donna allo stesso modo. Ha a cuore la famiglia come pilastro portante di una società stabile. Si preoccupa anche a fondo delle modalità complesse che abbiamo elaborato per vivere insieme in pace e per promuovere il bene comune. Salda nella sua fede che Gesù è presente nel cuore del nostro mondo, la Chiesa offre un messaggio di speranza, anche quando i tempi sono bui e i nostri problemi sembrano insormontabili. Le discussioni e le riflessioni a Madrid durante le Giornate sociali sono animate dalla stessa speranza.

A Madrid intendiamo prendere atto dell’attuale situazione sociale e politica in Europa. I partecipanti alle Giornate sociali, provenienti da tutto il Continente, avranno molte opportunità di dialogo fra loro, di analizzare le loro esperienze, di riflettere sulle grandi questioni del nostro tempo e, con il Vangelo come luce dei nostri passi e la dottrina sociale della Chiesa come vademecum, potranno assumere alcune iniziative per affrontare le sfide della nostra epoca.

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Scuola “Toniolo”, custodia del creato nell’era della tecnica: dalla Genesi ai cyborg https://www.lavoce.it/scuola-toniolo-custodia-del-creato-nellera-della-tecnica-dalla-genesi-ai-cyborg/ Fri, 09 May 2014 11:20:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24808 Paolo Benanti durante l’incontro del 29 aprile scorso presso l’Istituto Serafico
Paolo Benanti durante l’incontro del 29 aprile scorso presso l’Istituto Serafico

“Custodia del creato nell’era della tecnica”: questo il tema magistralmente affrontato da padre Paolo Benanti – docente di Teologia morale presso la pontificia università Gregoriana – nell’incontro del 29 aprile presso l’Istituto Serafico. L’iniziativa si colloca nell’ambito del percorso promosso dalla Scuola diocesana di formazione socio-politica “Giuseppe Toniolo”, giunto al quarto appuntamento. L’intervento si è sviluppato in due parti. In un primo momento ci si è interrogati su come costruire una custodia solidale con il creato, attraverso un’analisi attenta degli aspetti che interrogano il nostro oggi, alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana (secondo la metodologia suggerita dalla Gaudium et spes). È stato sottolineato come non ci sia attività umana che non sia, di per sé, politica, dato che ogni azione si pone necessariamente in un contesto relazionale, strutturando necessariamente la con-vivenza. Nella seconda parte della serata è stata presentata la sfida, quanto mai attuale alla luce dei rapidi progressi della tecnica, di come si possa custodire l’umano all’epoca del cyborg (organismo cibernetico). Nel corso dell’incontro, denso di stimoli, si è sottolineata l’intima connessione tra vita di fede del credente e cura dell’agire in tema di solidarietà, ribadendo come una cultura che voglia essere solidale con il creato non possa che prendere forma da quei principi che rappresentano i cardini della dottrina sociale della Chiesa: bene comune, sussidiarietà e solidarietà. Con forza è stato riaffermato come la propria storia personale sia chiamata a essere storia di salvezza. A sostenere l’impegno del singolo vi sono poi, accanto alla luce della fede, la forza dell’associazionismo e l’azione condivisa. La necessità di gestire il progresso orientandolo verso lo sviluppo è apparsa con evidenza nell’affrontare il più che mai attuale tema del cyborg, rivolto al potenziamento cognitivo umano. Attualmente, in larga misura, la ricerca mira al controllo dell’aspetto emotivo, tanto da generare un vero e proprio “mercato del potenziamento umano” diretto in particolare alla gestione dello stato di sonno-veglia e al controllo della memoria, attraverso un potenziamento della stessa o, viceversa, alla rimozione selettiva di alcuni ricordi. L’avanzare della tecnica non può – è evidente – anche in questo caso prescindere da una valutazione etica.

Il convegno

Il ciclo di incontri – previsti sempre dalle ore 19 alle ore 22, con breve pausa per la cena a buffet, presso l’Istituto Serafico – si concluderà con il convegno “Verso un nuovo modello di sviluppo”, organizzato in collaborazione con la Commissione Ceu per il lavoro, la pace e la salvaguardia del creato. Per informazioni, consultare il sito www.diocesiassisi.it o contattare la segreteria della Scuola socio-politica presso il Centro di ascolto della Caritas di Santa Maria degli Angeli in via Protomartiri francescani, o telefonare al 338 1020527.

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Per un cattolicesimo attivo sulle nuove frontiere di oggi https://www.lavoce.it/per-un-cattolicesimo-attivo-sulle-nuove-frontiere-di-oggi/ Fri, 02 May 2014 12:11:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24615 Un momento dell’intervanto dell’on. Paola Binetti
Un momento dell’intervanto dell’on. Paola Binetti

Il 22 aprile si è tenuto il terzo incontro della scuola diocesana di formazione socio-politica “Giuseppe Toniolo”. Relatrice dell’incontro, che si è svolto come sempre all’istituto Serafico di Assisi, era l’on. Paola Binetti, docente di Bioetica e storia della medicina, che si è soffermata sul tema “La riflessione bioetica, nuova frontiera della politica: questioni aperte”.

La Binetti è entrata nel vivo della questione cercando di sviscerare tutti gli aspetti relativi alla bioetica nell’attuale orizzonte politico. Dopo i primi due incontri tenuti rispettivamente dal vescovo di Assisi mons. Domenico Sorrentino e da suor Alessandra Smerilli, si è entrati dunque nel vivo dell’approfondimento formativo della scuola organizzata dalla commissione diocesana per i Problemi sociali e il lavoro, giustizia e pace, e salvaguardia del creato.

“La nostra scuola di politica, intitolata al beato Giuseppe Toniolo – ha commentato il vescovo mons. Domenico Sorrentino – poggia sulla convinzione che una politica che non sia all’altezza della sua vocazione costringe la società, e soprattutto le generazioni future, a pagare un prezzo troppo alto. Ma non possiamo nasconderci dietro un lamento sterile. Ai cristiani, come a tutti gli uomini di buona volontà, compete reagire con uno scatto etico, preparando le condizioni di una politica rinnovata attraverso la formazione delle coscienze”.

E se Papa Francesco, nella Evangelii gaudium, ha rilanciato il ruolo della politica come “una vocazione altissima, una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune”, la diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, in collaborazione con il progetto Policoro, l’Istituto Serafico e la Commissione per il lavoro, la pace, la custodia del creato, è ripartita con la seconda edizione della scuola con un ciclo di sei incontri che entrano nel merito e nel concreto della dottrina sociale della Chiesa. Ci si rivolge a quanti vogliono impegnarsi a contribuire al “risveglio delle coscienze” e a testimoniare anche nella vita pubblica i valori cristiani.

Contro il relativismo imperante che impedisce di dire la verità o di affermarla, di parlare di principi etici validi e comuni a tutti gli uomini, di difendere i fondamentali diritti umani non negoziabili, occorre un sussulto di consapevolezza e di partecipazione. I cristiani, come tutti gli uomini di buona volontà, devono reagire: non possono mostrare indifferenza per il bene comune.

Dopo un primo anno di Scuola dedicato ai principi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa, questa edizione propone un percorso di approfondimento su varie tematiche con lo scopo di offrire degli strumenti di discernimento sul senso autentico della persona, della vita, della famiglia, della società, dell’ambiente e dell’economia.

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Quell’impareggiabile Papa “di transizione” https://www.lavoce.it/quellimpareggiabile-papa-di-transizione/ Thu, 17 Apr 2014 12:49:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24532 Giovanni XXIII saluta i fedeli dal finestrino del treno durante il viaggio a Loreto, 4 ottobre 1962
Giovanni XXIII saluta i fedeli dal finestrino del treno durante il viaggio a Loreto, 4 ottobre 1962

Che Papa Giovanni sia stato “buono” lo dice innanzitutto la bonomia del suo tratto e dei suoi rapporti con tutti, sempre sorridente, pronto a vedere il lato migliore di persone e di avvenimenti, senza furbizie ma anche senza ingenuità. Fu chiamato a succedere al grande Papa Pacelli, Pio XII, all’apparenza inflessibile e rigoroso, il Papa degli anni terribili della guerra e di violenze inaudite. È in questo scenario che Dio fece piovere il Suo segno di misericordia donando non solo alla Chiesa ma all’umanità intera un Papa mite e buono, che dice e fa con semplicità cose grandiose, a cominciare dalla ricercata pace sociale e politica. Tale si rivelò fin da subito Papa Giovanni, assumendo a ragione proprio quel nome, usato ben 22 volte dai predecessori e – se si vuole – piuttosto logoro. Il nuovo “inquilino” lo fece però rivivere in pienezza di significato, riproponendo nei comportamenti l’apostolo prediletto da Gesù, quello che, come il Maestro, diceva cose che sapevano di amore.

Già nella sua prima scelta, Papa Giovanni, figlio e fratello di contadini d’una terra italiana che sa coniugare bene lavoro e serietà di vita con l’amore di Dio, fece capire di che stoffa fosse fatta la sua personalità. Per muoversi a Venezia, sua prima diocesi, usava inevitabilmente barche e motoscafi; ma per visitare luoghi significativi della sua Chiesa, italiana e universale, scelse il treno, fosse pure bianco come la sua veste di Pastore. E in treno, atteso a ogni fermata da un subisso di gente plaudente, fece il suo primo viaggio in Umbria, ad Assisi, il 4 ottobre 1962, per rendere omaggio al Patrono d’Italia e al più santo degli italiani, Francesco d’Assisi, e affidargli la protezione del Concilio. Era la prima volta che il Papa usciva dalla “prigione dorata” del Vaticano per tuffarsi familiarmente tra la gente, prigioniero solo del suo amore.

Dopo quel viaggio, il rapporto tra Papa e popolo italiano non è stato più lo stesso: è nata una confidenza e una immediatezza che è andata sempre più crescendo, per poi a rinnovarsi con Papa Francesco.

Papa “di transizione”

Quando Angelo Giuseppe Roncalli fu eletto Papa, tutti dissero che sarebbe stato un Papa di transizione perché era anziano. Lui stesso ne era convinto e lo scrisse nel suo diario (il “giornale dell’anima” cominciato a scrivere a 14 anni), dicendo che era stato scelto come Papa di “provvisoria transizione”. Ma in quella “provvisoria transizione” fece a tempo a fare parecchie cose e a provocare un ribaltone quasi incredibile con il Concilio Vaticano II, da lui promosso nel 1962 e condotto a termine dal suo successore Paolo VI nel 1965: quattro anni di riflessioni e di decisioni dei Vescovi di tutto il mondo, che dettero a santa Madre Chiesa un volto del tutto nuovo con l’avvio d’una pastorale evangelizzatrice, missionaria, integrata.

Scriveva da nunzio apostolico, nel suo Giornale dell’anima (paragrafo 824):”Il mio temperamento e l’educazione ricevuta mi aiutano nell’esercizio dell’amabilità con tutti, della indulgenza, del garbo, della pazienza. Non recederò da questa vita: san Francesco di Sales è il mio grande maestro. Oh!, lo rassomigliassi davvero e in tutto!… Io lascio a tutti la sovrabbondanza della furberia e della cosiddetta destrezza diplomatica, e continuo ad accontentarmi della mia bonomia e semplicità di sentimenti, di parola, di tutto. Le somme, infine, tornano sempre a vantaggio di chi resta fedele alla dottrina e agli esempi del Signore!”. Questi erano i sentimenti del card. Angelo Giuseppe Roncalli, e questi furono i comportamenti di Giovanni XXIII, che oggi proclamiamo gioiosamente santo per solenne definizione di Papa Francesco, che molto gli assomiglia.

La “Mater et Magistra”

Nel suo prolungato servizio di nunziatura ebbe sempre cura della verità e della carità, nel linguaggio e nei gesti, dall’aiuto agli ebrei ai soccorsi per gli ortodossi, a Sofia in Bulgaria come a Istanbul in Turchia, o nella Parigi del generale De Gaulle, il quale non voleva persone compromesse con il regime di Pétain, e per questo rifiutò malamente il nunzio Valerio Valeri. Anche la Chiesa cattolica aveva i suoi problemi disciplinari e dottrinali, muovendosi tra i postumi del dopoguerra e le violenze del mondo comunista, con l’urgenza ormai improrogabile di una nuova evangelizzazione.

Papa Giovanni, turbato dalle rovine fisiche, morali, sociali prodotte dall’ingiustizia, che faceva da moltiplicatore delle rovine non ancora recuperate del lungo dopoguerra, cogliendo l’occasione del 70° anniversario della Rerum novarum di Leone XIII, offrì il 20 maggio 1961 agli operatori pastorali il supporto d’un rilancio aggiornato della dottrina sociale cristiana con l’enciclica Mater et Magistra “sui recenti sviluppi della questione sociale”, ribadendo che “la dottrina sociale cristiana è parte integrante della concezione cristiana della vita” (n. 206), particolarmente necessaria in questa nostra epoca, “percorsa da errori radicali, straziata e sconvolta da disordini profondi” (n. 238) che hanno provocato notevoli squilibri. L’enciclica, com’è noto, suscitò vasta eco nella stampa mondiale. Scrisse il quotidiano francese Le Monde: “È rivolta verso l’azione e l’attualità. È adatta all’epoca, conforme all’esigenza delle giovani generazioni, che non vogliono discorsi accademici e non apprezzano le astrazioni dottrinali”. L’enciclica riscosse favorevoli consensi anche nell’opinione pubblica dei Paesi in via di sviluppo, in particolare India e Paesi arabi.

Il Concilio

Venne finalmente l’ora del nuovo Concilio, dai più non creduto possibile, da molti temuto, dai “profeti” atteso come segno di un nuovo impulso per l’evangelizzazione. Papa Giovanni stesso ne dette l’annuncio con il mirabile radiomessaggio dell’11 settembre 1962 ai fedeli di tutto il mondo. Lo qualificò subito come “una primavera della Chiesa”, paragonandolo alla valenza liturgica del Cero pasquale, che è lumen Christi, lumen ecclesiae, lumen gentium: una “vera letizia per la Chiesa universale, Chiesa di tutti, particolarmente Chiesa dei poveri”.

All’annuncio seguì la solenne apertura del Concilio l’11 ottobre 1962, con un discorso particolarmente energico per “dissentire dai profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo”. La Chiesa, invece, “guarda con realismo al presente”, e anzi “non ha assistito indifferente al mirabile progresso delle scoperte dell’umano ingegno, e non ha lasciato mancare la giusta estimazione”. In ogni caso, dinanzi ai tanti errori che si fanno, la Chiesa “preferisce oggi la medicina della misericordia”.

La gente di Roma corse ad ascoltare e ad applaudire il Papa in piazza San Pietro, e ad essa egli parlò con giovialità “a braccio”, ammirando la bella luna che splendeva sulla città, quasi a mostrare la gioia anche del Cielo. E terminò quel suo saluto con la celebre “carezza” da portare a tutti i bambini.

La “Pacem in terris”

Altro fatto da ricordare si ebbe con la pubblicazione dell’altra sua mirabile enciclica, Pacem in terris, l’11 aprile 1963, che fu il suo testamento sociale e religioso. Fu definita come la “Nona Sinfonia della pace”, paragonando alle cinque parti dell’opera di Beethoven (i quattro movimenti più il coro finale) i cinque temi portanti dell’enciclica: la pace universale fondata sui diritti e i doveri della persona umana; lo Stato di diritto come garanzia di pace all’interno d’ogni comunità politica; una pace duratura basata sui quattro pilastri della verità, della giustizia, della solidarietà, della libertà; una garanzia di vera pace in un efficace governo mondiale della grande famiglia umana; un dialogo sincero e fecondo tra tutti come radice e salvaguardia della pace, distinguendo sempre tra errore ed errante, e facendo leva su ciò che unisce, non su ciò che divide.

Ricordiamo tutti il tragico contesto in cui l’enciclica nacque: era in atto una vera guerra fredda, cioè la crisi per i missili russi a Cuba. Nel marzo 1963 Papa Giovanni aveva concesso un’udienza ad A. Ajubej, genero di Kruschëv, che valse anche ad ammorbidire i rapporti tra Chiesa cattolica perseguitata e dittatura comunista (quanti credenti e quanti sacerdoti e vescovi, martiri dell’età moderna, languivano nelle carceri della Russia e dei Paesi satelliti!). Questo fatto creò le premesse per un forte rilancio del tema della pace, parlando sia dei diritti che dei doveri delle singole persone, e delle comunità politiche anche a livello mondiale, secondo il principio di sussidiarietà. In quel contesto Giovanni XXIII ebbe parole di compiacimento anche per l’Organizzazione delle Nazioni Unite e la Dichiarazione universale dei diritti umani (del 10 dicembre 1948).

L’eredità spirituale

Era ormai vicina la conclusione della sua vita terrena. Il Papa di transizione, che aveva 82 anni, fu aggredito da un tumore maligno che provocò una lunga agonia, vissuta momento per momento dalla gente che seguiva direttamente l’evolversi della situazione in piazza San Pietro attraverso i mass media. Il “Papa buono” morì il 3 giugno 1963 con grande rimpianto di tutti, credenti e non credenti, cattolici e di altre confessioni religiose.

Aveva scritto nel suo Giornale dell’anima: “La senescenza, che è pure grande dono del Signore, deve essere per me motivo di silenziosa gioia interiore e di quotidiano abbandono nel Signore stesso, al quale mi tengo rivolto come un bambino verso le braccia aperte del padre. La mia umile e ormai lunga vita si è sviluppata come un gomitolo nel segno della semplicità e della purezza. Nulla mi costa il riconoscere e il ripetere che io sono e non valgo un bel niente! Il Signore mi ha fatto nascere da povera gente e ha pensato a tutto: io l’ho lasciato fare. Da giovane sacerdote mi ha colpito l’oboedientia et pax del padre Cesare Baronio, con la testa chinata al bacio sul piede della statua di san Pietro. E ho lasciato fare, e mi sono lasciato condurre, in perfetta conformità alle disposizioni della Provvidenza” (par. 897-898).

Ora per volontà di Papa Francesco sarà proclamato santo insieme a Giovanni Paolo II: due fiaccole d’amore nell’attuale “inequità”, come la chiama Papa Francesco, qualificandola come “la radice dei mali sociali” (Evangelii gaudium, n. 202). E anzi, “finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, come l’ha chiamata anche Papa Benedetto XVI, non si risolveranno i problemi del mondo, e in definitiva non si risolverà nessun problema”.

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Le dodici visite in Umbria di Giovanni Paolo II https://www.lavoce.it/le-dodici-visite-in-umbria/ Thu, 17 Apr 2014 12:31:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24529 papa-assisi-1986Quando Benedetto XVI, nell’aprile 2011, dopo la formula ufficiale di beatificazione di Giovanni Paolo II, ha gridato all’immensa folla di piazza San Pietro: “È beato!”, c’è stata una risposta entusiasta e commossa. Era la domenica della Divina Misericordia, e nelle chiese cattoliche di tutto il mondo si è pregato e ringraziato Dio per il dono di un uomo che ha arricchito la Chiesa e l’umanità con la testimonianza della vita e del suo coraggioso magistero.

Tutti quelli (e sono moltissimi nel mondo) che hanno avuto un contatto personale con lui, hanno sentito ancora più forte l’emozione di quel momento.

In questo senso possiamo dire che gli umbri si sono sentiti coinvolti nella vicenda di questo Papa che ha avuto per la nostra regione un’attenzione particolare, avendola visitata più di altre, ben 12 volte. Una pubblicazione che riporta testi e immagini di tutte le visite è Giovanni Paolo II in Umbria, un bellissimo e pregiato volume curato da Amilcare Conti. In breve sintesi qui ricordiamo alcuni passaggi di Giovanni Paolo II tra noi. La riproposizione dei messaggi può concorrere a maturare la coscienza cristiana e l’apertura convinta ai valori della nostra cultura che anche in Umbria attendono di essere pienamente riconosciuti, senza peraltro voler riaprire la querelle regionale sui santi Francesco e Benedetto. Le visite fatte nei vari luoghi della regione e per occasioni diverse hanno avuto una rilevanza universale, ponendo l’Umbria al centro dell’attenzione mondiale. Questo è avvenuto con singolare risalto nelle visite dedicate alla pace. Assisi, per la scelta di Giovanni Paolo II, è divenuta la cittadella della pace, la capitale della preghiera mondiale delle religioni, del dialogo interreligioso, l’icona di una speranza nuova per l’umanità. Con tale iniziativa, trasmessa da tutti i media del mondo, ha debellato lo spettro dello scontro di civiltà, espungendo dallo scenario religioso la guerra dei popoli combattuta in nome di Dio.

Ad Assisi Giovanni Paolo II è venuto subito, il 5 novembre 1978, a meno di un mese dall’elezione papale. Essendo e sentendosi straniero, “venuto di lontano”, ha voluto iniziare la sua missione di vescovo di Roma facendo un bagno di italianità, una specie di battesimo, presso la tomba del patrono d’Italia, san Francesco, “il più santo degli italiani e il più italiano dei santi”. Da quel momento Assisi è stata un centro di attrazione e di attenzione per Giovanni Paolo II, che l’ha considerata l’unico luogo al mondo adatto per annunciare la pace in modo efficace e credibile. L’incontro di preghiera per la pace, cui invitò i rappresentanti delle grandi religioni del mondo, il 27 ottobre 1986, rimarrà negli annali della storia e nonostante le critiche, ha vinto ogni sfida e interna resistenza per la decisione di Benedetto XVI di ripetere, sia pure in forme nuove, l’evento nel 25° anniversario. Quella Giornata ha avuto un seguito con altri due incontri interreligiosi per la pace: nel gennaio 1993, a seguito della guerra in Bosnia Erzegovina, e nel gennaio 2002, dopo l’attacco alle Torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001.

Le altre visite importanti e suggestive svolte in Umbria si sono concentrate su temi specifici. Si pensi alla visita a Terni il 19 marzo 1981, alle Acciaierie, con il Papa tra gli operai, con il casco di lavoro in testa e il pranzo nella mensa con gli operai, dove ha affermato la dignità del lavoro, i diritti dei lavoratori, il rispetto della loro incolumità e dignità di persone, nel solco della dottrina sociale della Chiesa che in Umbria ha avuto la sua origine nel pensiero di Gioacchino Pecci / Leone XIII, per 33 anni vescovo di Perugia.

Vi sono poi le visite tra i terremotati a Norcia, dopo il sisma del 19 settembre 1979. Il 23 marzo del 1980, ricorrendo anche il quindicesimo centenario della nascita di san Benedetto e santa Scolastica Giovanni Paolo II volle recarsi in visita a Norcia e alle zone colpite dal sisma. Tornò tra i terremotati in una fredda giornata, il 3 gennaio 1998 dopo il sisma del 1997. Fu accolto calorosamente dalla popolazione di Annifo e di Assisi, e la foto che lo ritrae mentre prende un caffè nel container di una coppia di anziani, è una delle immagini simbolo di quel viaggio.

A Perugia dedicò una intera giornata il 26 ottobre 1986, il giorno prima dell’incontro di preghiera per la pace, e nella sua secolare Università, svolse un insegnamento di alto valore teologico. Giovanni Paolo II visitò Orvieto il 17 giugno 1990, per celebrare l’eucaristia nella festa del Corpus Domini; a Todi e Collevalenza, il 22 novembre 1981 appena dopo l’attentato che subì in piazza San Pietro e che lo portò in fin di vita in ospedale; a Foligno il 20 giugno 1993 per onorare la beata Angela, maestra dei mistici e dei teologi per la quale aveva una sua personale e profonda devozione. A Collevalenza, il 22 settembre 1981, affermò: “Ritrovandomi in questa terra nell’anno centenario della nascita di san Francesco, desidero elevare anche a lui il mio pensiero devoto, nel ricordo del sublime insegnamento che egli ci ha lasciato proprio a riguardo della misericordia divina. Nel suo Cantico delle creature egli ha detto, fra l’altro: ‘Laudato sie, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore, et sostengono infirmitate et tribulatione… che da te, Altissimo, saranno incoronati’. Francesco, maestro dell’amore e del perdono, si appella alla misericordia generosa di Dio”. Agli umbri la consegna della memoria.

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“Sussidia” per il bene comune https://www.lavoce.it/sussidia-per-il-bene-comune/ Fri, 11 Apr 2014 09:42:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24324 Tanti i progetti nei quali Sussidia è impegnata in favore delle famiglie e degli immigrati
Tanti i progetti nei quali Sussidia è impegnata in favore delle famiglie e degli immigrati

Su iniziativa dell’Azione cattolica diocesana di Perugia, insieme alle Acli provinciali di Perugia e al Centro sportivo italiano – Comitato regionale è stata costituita l’associazione Sussidia (www.sussidia.eu). Sussidia si ispira ai principi della dottrina sociale della Chiesa e si pone come scopo quello di “dare le gambe” al bene comune, perché non resti un principio ispiratore generale, ma diventi una prassi consolidata da promuovere e realizzare all’interno del nostro tessuto comunitario e territoriale. Pensiamo che essere concreti oggi significhi informare, comunicare, condividere, contribuire a nuove forme di progettualità sociale e lavorativa. Pensiamo che significhi soprattutto partecipare con l’altro le proprie risorse per metterle a disposizione del bene di tutti. Quel bene, che è di tutti e di ciascuno, va individuato a partire dalla lettura della realtà e delle sue urgenze, che mutano al mutare del contesto. In questo primo anno il nostro impegno si è rivolto al mondo del lavoro, con una particolare attenzione alla condizione giovanile; si è rivolto alla famiglia e alla persona, con particolare riferimento a quelle più fragili. Una campagna di comunicazione continua attraverso il nostro profilo Facebook: ha veicolato, settimana dopo settimana, opportunità di lavoro e di formazione, messo a conoscenza famiglie e giovani coppie circa contributi, sgravi fiscali e agevolazioni e altre possibilità offerte da parte di Regione e Comuni. Sussidia si è impegnata a collaborare alla stesura di progetti rivolti ai giovani con il progetto “Coworking & start up”, alla stesura di progetti per le famiglie e cittadini migranti con “Family Village”, ha prospettato interventi anche a favore di anziani con “I colori della sicurezza” e con “Terzo tempo”, così come e sul tema della fruizione culturale con “Maratona della cultura”. Nella prospettiva di impegno che abbiamo delineato, superando i particolarismi di ogni singola associazione, con Sussidia viene posposta una raccolta fondi attraverso un unico codice fiscale (C. F. 94146010544) con l’obiettivo di realizzare un Fondo unico per erogare finanziamenti e contributi alle buone idee di bene comune. Abbiamo voluto superare la visione classica del 5xmille, rendendolo uno strumento di redistribuzione di risorse non a uno specifico target, né tantomeno ad uso esclusivo delle associazioni affiliate, ma in favore di buona occupabilità, progettualità sostenibili per definire una nuova mappa del bene comune. Siamo ancora in attesa di conoscere l’entità del contributo dell’anno 2013, ma sappiamo che l’88% di esso andrà a beneficio di molti, secondo criteri di trasparenza e di merito. Invitiamo fin da ora ogni singolo e le altre associazioni laicali a contribuire a questo progetto, consapevoli che, se ognuno sosterrà il bene di tutti, questo si trasformerà in bene comune.

Alessandro Moretti

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Famiglia, Stato e società https://www.lavoce.it/famiglia-stato-e-societa/ Thu, 03 Apr 2014 14:51:56 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24096 L’intervento di mons. Domenico Sorrentino
L’intervento di mons. Domenico Sorrentino

Si è tenuto il 25 marzo presso l’Istituto Serafico di Assisi il primo incontro della Scuola diocesana di formazione socio-politica “Giuseppe Toniolo”, che si svilupperà fino al prossimo maggio. A inaugurare il ciclo di conferenze è stato l’intervento di mons. Domenico Sorrentino sul tema “Famiglia, Stato e società nel pensiero di Giuseppe Toniolo”.

Il Vescovo – già postulatore della causa di beatificazione dell’economista e sociologo italiano vissuto tra il 1845 e il 1918 – ha sottolineato come nel pensiero di Toniolo, inquadrato nell’orientamento della dottrina sociale della Chiesa, sia lucidamente delineata quella “patologia sociale” che nasce da un forte accentramento del potere statale a fronte di una vera e propria atomizzazione e parcellizzazione della struttura sociale.

Alle radici di tale situazione, un triplice processo: di tipo spirituale, laddove il relativismo valoriale ha portato al soggettivismo radicale; sociale, dato che all’imperante individualismo si accompagna la frantumazione delle relazioni; e storico-economico, fenomeno già iniziato con la Rivoluzione industriale, che predilige la gestione del singolo, in un’ottica prettamente economica.

Unico fulcro qualitativo dell’architettura sociale non può che essere, già per Toniolo, la persona umana, la cui dignità resta inviolabile. Essere in relazione – con la famiglia, la comunità, il territorio -, la persona rappresenta l’unico ente di riferimento per qualsivoglia azione volta alla realizzazione del bene comune. L’organizzazione politica non può, pertanto, che riconoscere la propria natura di servizio e di sussidiarietà alla persona tout court.

I prossimi incontri si terranno dalle ore 19 alle ore 22 presso il Serafico. Sarà la prof.ssa Alessandra Smerilli a parlare di famiglia e di società nell’intervento dell’8 aprile. A seguire, l’on. Paola Binetti condurrà una riflessione bioetica (22 aprile); il prof. Paolo Benanti si occuperà di custodia del creato nell’Era della tecnica (29 aprile); il prof. Fabio Raspadori incentrerà il proprio intervento sui valori comuni dell’Unione europea (6 maggio) e il prof. Massimo Borghesi parlerà di fede e politica nella società liquida.

La quota di partecipazione agli incontri è di 30 euro. Per quanti intendano usufruire della cena a buffet è previsto un contributo di 5 euro.

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Il senso dell’impegno sociale e politico https://www.lavoce.it/il-senso-dellimpegno-sociale-e-politico/ Thu, 27 Mar 2014 13:30:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23908 La parrocchia di San Marco a Sant’Eraclio
La parrocchia di San Marco a Sant’Eraclio

“Dottrina sociale ed impegno dei laici” è il titolo del seminario di formazione che si svolgerà lunedì 31 marzo, alle ore 21, presso la parrocchia San Marco di Sant’Eraclio (Foligno). Interverrà il prof. Pierluigi Grasselli, docente di Politica economica presso l’Università degli studi di Perugia.

L’opera formativa della Chiesa non intende creare dei “professionisti della politica” e le iniziative attivate non sono equiparabili e non vanno confuse con quelle promosse da partiti o sindacati, perché l’obiettivo che perseguono è quello di “motivare”, a partire dalla Sacra Scrittura e dalla Dottrina sociale della Chiesa, il senso di un impegno nel sociale e nel politico, nella convinzione di poter contribuire così al rinnovamento della partecipazione democratica e dell’esperienza istituzionale nel territorio e nel Paese. “Spetta poi ai fedeli laici inserirsi intimamente nel tessuto della società civile e inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Essi operano non a nome della Chiesa, ma con responsabilità propria, nella complessità delle situazioni concrete, sapendo che la fede stessa li obbliga ad assumersi compiti temporali e ad attuarli con coerenza evangelica” (Catechismo degli adulti n° 1093). Con questo spirito che l’Ufficio per i problemi sociali ed il lavoro, giustizia e pace, custodia del creato, propone il terzo incontro per educarci insieme sui temi del bene comune, del lavoro, della cittadinanza attiva in dialogo con il territorio.

Il prof. Pierluigi Grasselli è nato a Perugia il 3 dicembre 1941. Laureato in Economia e Commercio, ha insegnato nelle Università di Trieste e Perugia. È autore di numerosi studi su temi di politica fiscale e monetaria, di economia del turismo, di sviluppo locale, di rapporti tra etica ed economia. Tra le ricerche sviluppate, si segnala in particolare l’analisi delle politiche del lavoro nelle regioni dell’Italia di mezzo, in cui ha esplorato tra l’altro i rapporti tra forme di concertazione locale e relazioni industriali (per introdurre flessibilità) e le ripercussioni sistemiche delle politiche del lavoro. Tale complesso di ricerche è stato incluso nel volume, pubblicato nel 2006 dall’Editore Giappichelli, a cura di G. Cavazzoni. G. Calzoni e P. Grasselli, dedicato a L’Economia umbra e le sfide del mercato – problemi e prospettive all’inizio del XXI secolo.

Nel 2009 ha pubblicato, con Franco Angeli, un volume da lui curato su Idee e metodi per il bene comune. Prossimo incontro lunedì 7 aprile alle ore 18 presso il Centro Giovani di Foligno (corso Cavour) su “La partecipazione femminile nel mercato del lavoro” con la vicepresidente della Camera dei Deputati Marina Sereni, Beatrice Baldaccini di Risorse umane Umbra Group, Maria Zappelli responsabile regionale del coordinamento femminile Coldiretti Umbria, Marta Rossi, presidente dell’associazione “Il Girasole”, Cristiana Mariani, presidente della Confesercenti di Foligno. Per informazioni contattare l’Ufficio per i problemi sociali ed il lavoro, p.zza F. Pulignani, 3 06034 Foligno, tel. 0742342731 email: sociale@diocesidifoligno.it.

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Al via la nuova serie di incontri della Scuola di formazione “Toniolo” https://www.lavoce.it/al-via-la-nuova-serie-di-incontri-della-scuola-di-formazione-toniolo/ Fri, 21 Mar 2014 12:35:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23775 Vedura panoramica dell’Istituto Serafico di Assisi
Vedura panoramica dell’Istituto Serafico di Assisi

Fabio Raspadori, docente di Diritto dell’Unione europea, Massimo Borghesi, professore di Filosofia morale, l’on. Paola Binetti, docente di Bioetica e storia della medicina sono solo alcuni dei relatori della seconda edizione della Scuola di formazione socio-politica “Giuseppe Toniolo” di Assisi che partirà martedì 25 marzo con un primo incontro all’Istituto Serafico, tenuto dal vescovo mons. Domenico Sorrentino.

Se Papa Francesco, nella Evangelii gaudium, ha rilanciato il ruolo della politica come “una vocazione altissima, una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune”, la diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, in collaborazione con il progetto Policoro, l’Istituto Serafico e la Commissione per il lavoro, la pace, la custodia del creato, riparte con la seconda edizione della Scuola con un ciclo di sei incontri che entrano nel merito e nel concreto della dottrina sociale della Chiesa.

“La nostra Scuola di politica – ha commentato mons. Sorrentino -, intitolata al beato Giuseppe Toniolo, economista e leader storico dell’impegno sociale dei cattolici, poggia su questa convinzione [quella sopra espressa dal Papa, ndr]. Una politica che non è all’altezza della sua vocazione costringe la società, e soprattutto le generazioni future, a pagare un prezzo troppo alto. Ma non possiamo nasconderci dietro un lamento sterile. Ai cristiani, come a tutti gli uomini di buona volontà, compete reagire con uno scatto etico, preparando le condizioni di una politica rinnovata attraverso la formazione delle coscienze”.

“Ho voluto – continua – che la sede di questa scuola fosse l’Istituto Serafico perché sono convinto che questo luogo di amore, dove la persona più debole è posta al centro dell’attenzione come una risorsa di valori e di umanità, offra il contesto ideale per riflettere sulle dimensioni di un bene comune da costruire insieme. Qui ci sono ‘piaghe’ che vanno ascoltate, per dirla con Papa Francesco. E, forse, si nasconde in esse la segnaletica per una polis degna dell’uomo”.

L’obiettivo alto di far conoscere aspetti e approfondimenti sulla dottrina sociale della Chiesa si unisce alla praticità di proporre un ciclo di studi con una quota di iscrizione simbolica per gli adulti e di totale gratuità per gli under 30.

La scuola si chiuderà con un convegno sul tema “Un nuovo modello di sviluppo”. Per informazioni e iscrizioni basta consultare il sito diocesano www.diocesiassisi.it.

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Più donne al “governo” anche nella Chiesa https://www.lavoce.it/piu-donne-al-governo-anche-nella-chiesa/ Thu, 13 Mar 2014 13:32:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23570 Donne laiche cattoliche impegnate durante un evento sociale
Donne laiche cattoliche impegnate durante un evento sociale

Urge fare spazio al genio femminile, nell’insegnamento di Papa Francesco. E questo non solo nei ruoli dove già le donne operano brillantemente e generosamente con varie funzioni ministeriali, ma anche nei ruoli di governo e decisionali. È Papa Francesco a dirlo nella sua sovrabbondante esortazione apostolica Evangelii gaudium (nn. 103-105), dove tira le somme e dà gli orientamenti conclusivi del Sinodo dei vescovi sul rilancio di una nuova evangelizzazione. Citando il Compendio della dottrina sociale della Chiesa (n. 295), egli dice che “c’è bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa, perché il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale, e anche nei luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture politiche e sociali”. E questo non in forma simbolica ed occasionale, ma in forma continuativa e partecipata, nel ricordo di quel che il Concilio disse già alle donne nel suo messaggio conclusivo: “È venuta l’ora in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza, l’ora nella quale la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto”. Anche se non ci sono al momento nella Chiesa “rivendicazioni” più o meno polemiche dei legittimi diritti delle donne, “per il fatto che uomini e donne hanno nel popolo di Dio la medesima dignità, esse propongono pur sempre alla Chiesa domande che non si possono superficialmente eludere” (n. 104). La Chiesa, infatti, senza le donne è un corpo mutilato: urge perciò non solo il loro ascolto nelle varie consultazioni, in virtù della loro qualità ecclesiale, ma anche la loro presenza con funzioni direttive e di governo. E questo a tutti i livelli, sia centrali (organismi vaticani), sia diocesani, sia parrocchiali. Sia chiaro però che nella Chiesa le funzioni “non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri”. Di fatto, dice sempre Papa Francesco, “una donna, Maria, è più importante di tutti i Vescovi!” (n. 104). Ovviamente dinanzi a queste “provocazioni” papali è ritornata a galla la questione del sacerdozio ordinato, che è “segno di Cristo sposo che si consegna alla Chiesa sua sposa nell’eucarestia”, cui già il beato Giovanni Paolo II aveva risposto nella Christifideles laici distinguendo la potestas sacramentale del sacerdote ordinato dalla dignità e dalla santità personale del soggetto: dignità e santità che possono essere anche grandissime nelle donne, e spesso lo sono, ma non sostituiscono la potestà sacramentale, che in ogni caso non è mai da confondere con il volgare “potere” politico a qualsiasi livello. È nell’ambito della concreta comunità cristiana locale, quindi, che vanno cercate e identificate più ampie presenze e servizi, anche decisionali e di governo delle donne, le quali peraltro già operano con autonomia e pienezza di potere in vari ambiti ecclesiali, ad esempio nel governo delle loro Congregazioni e degli stessi organismi vaticani che a esse presiedono. Il prossimo Sinodo dei vescovi, già convocato, aiuterà, con la sua riflessione su matrimonio e famiglia, a trovare nella Chiesa spazi ulteriori di servizio responsabile e di governo per i quali promuovere ecclesialmente la donna. Papa Francesco però non ignora le difficoltà esistenziali della donna oggi, e nella sua esortazione apostolica così ne parla: “Doppiamente povere sono oggi le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamenti e violenza, perché spesso si trovano con minori possibilità di difendere i loro diritti. Tuttavia, anche tra di loro troviamo continuamente i più ammirevoli gesti di quotidiano eroismo nella difesa e nella cura della fragilità delle loro famiglie” (n. 212).

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“La risorsa principale è riconoscere i valori reciproci” https://www.lavoce.it/la-risorsa-principale-e-riconoscere-i-valori-reciproci/ Mon, 10 Mar 2014 15:56:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23479 Vaticano,-22-gennaio--udienza-generale-di-Papa-Francesco-Dobbiamo saperci incontrare. Dobbiamo edificare, creare, costruire una cultura dell’incontro. Uscire a incontrarci”. È la richiesta espressa da Papa Francesco in occasione dell’ultima festa di san Gaetano in Argentina. Più di un appello, quello rivolto al popolo in una delle ricorrenze preferite dal Bergoglio arcivescovo di Buenos Aires, per indicare ancora una volta la strada da percorrere: aprire le porte, varcare l’uscio e scendere in strada per incontrare le persone e dialogare con loro. Mettendo al centro, sempre e ovunque, gli ultimi: “Il Papa ama tutti, ricchi e poveri; ma il Papa ha il dovere, in nome di Cristo – scrive nella ‘Evangelii Gaudium’ -, di ricordare al ricco che deve aiutare il povero, rispettarlo, promuoverlo”. Della Chiesa aperta e inclusiva guidata dall’annuncio e dalla testimonianza, che nella “cultura dell’incontro” trova la chiave di volta per costruire un mondo più giusto, abbiamo parlato con lo storico del pensiero politico Giuseppe Vacca, presidente della Fondazione Istituto Gramsci di Roma.

La “scelta per i poveri” non è riflessione astratta ma “promozione di giustizia” che si realizza nell’incontro. Chi sono i poveri di oggi?

“I poveri non sono soltanto quella parte di umanità che porta il dono del riscatto. Sono anche un punto di vista sulla realtà. E questa, per me che ho una formazione e una cultura da non credente, è una scelta che condivido: guardare il mondo dalla parte degli ultimi. È un po’ la prosecuzione dell’idea del Machiavelli: dai bordi si capisce meglio l’insieme. E questa è anche la sostanza del messaggio del Papa. Non sta soltanto affermando valori fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa cattolica o del cristianesimo, sta dicendo anche che se non si è capaci di guardare il mondo con tutte le sue contraddizioni e possibilità non lo si può capire davvero. Da non credente, condivido pienamente”.

Cultura dell’incontro è anche saper accogliere le persone che migrano da Paesi lontani…

“È una questione non soltanto di equità, bontà e carità ma di intelligenza del mondo. Non è concepibile pensare le nazionalità come ce le ha consegnate la storia della modernità europea: unità di lingua, cultura, territorio e sovranità determinata. Stiamo vivendo un passaggio in cui il multi-culturalismo, la multi-etnicità e la multi-religiosità saranno i confini di una nuova definizione in corso d’opera di quello che chiamiamo popolo. E allora come si fa a non vivere questa fase con apertura, certo trepidante e responsabile, guardando a chi questa storia l’ha già vissuta prima come l’America Latina”.

Anche la fede nasce da un “incontro” personale con Cristo. Come può esserci un riconoscimento reciproco di valori tra credenti e non credenti?

“Il percorso è iniziato a partire dal Concilio e da Giovanni XXIII. Ora però ci troviamo alla prova dei fatti perché in ultima analisi, dal punto di vista della possibile e perfezionabile unità del genere umano, ciò che ereditiamo dalla modernità è una progressiva distinzione nel rapporto tra la politica e la religione. E quindi tra credenti e non credenti. Impostare il problema in termini di incontro e collaborazione significa allora partire da una visione positiva della modernità, riconoscendo che il destino non è segnato dal nichilismo. A me, che non sono figlio di una cultura religiosa ma della lezione di Palmiro Togliatti, sembra evidente che la risorsa principale sia riconoscere i valori reciproci”.

Le disuguaglianze sociali sono di fronte agli occhi di tutti. Bisogna avere coraggio per credere di poter modificare le cose…

“I tempi non cambiano mai da soli, siamo noi che possiamo trasformarli in meglio o in peggio. E questo dipende dalle idee e dalla speranza che abbiamo nella testa e nel cuore. La speranza è la categoria che apre all’unità tra credenti e non credenti e all’idea di un tempo aperto al futuro”.

Dialogo e incontro per superare i conflitti e cercare la pace. C’è speranza anche per una società segnata dalla contrapposizione?

“La divisione è più in superficie che nella sostanza. Pensiamo ad un tema sensibile al Papa, come quello del ruolo delle donne. Quando in uno dei momenti di maggiore lacerazione regressiva e depressiva del Paese nasce per iniziativa di un piccolo gruppo di donne un movimento che, lasciando alle spalle il vecchio femminismo, rivendica la dignità della donna e tenta di ricucire l’unità politica, culturale e religiosa della nazione portando in centinaia di piazze italiane un milione di persone, significa che sotto la corteccia di una politica impoverita e ridotta a guerre senza principi… il Paese è vivo e avverte bisogni di altra natura. E anche la Chiesa lo percepisce, basti pensare alla folla che si riversa ogni settimana in piazza San Pietro. Osservo tutto ciò con interesse morale e culturale, lo stesso che mi ha portato la sera in cui è morto Papa Giovanni ad andare in piazza e scoprire che la metà dei presenti erano miei compagni del Pci”.

Quindi cambiando la Chiesa si può cambiare il mondo…

“Non ho alcuna titolarità per chiedere questo alla Chiesa perché non ne faccio parte se non, potremmo dire, come popolo di Dio. Ma non posso che stare a guardare con entusiasmo”.

Riccardo Benotti

 

Biografia: Giuseppe Vacca

Nato a Bari nel 1939, si è laureato in Filosofia del diritto nel 1961 discutendo una tesi sulla filosofia politica e giuridica di Benedetto Croce. Dopo la laurea, ha collaborato per un anno come redattore alla casa editrice Laterza, per dedicarsi in seguito prevalentemente alla ricerca. Fin dagli anni giovanili ha sempre svolto una intensa attività politica e di organizzatore di cultura. Docente in Storia delle dottrine politiche, ha fatto parte del Consiglio di amministrazione della Rai ed è stato deputato nelle liste del Pci nella IX e X legislatura. Nei primi anni di ricerca ha studiato l’idealismo novecentesco e l’hegelismo italiano del secondo Ottocento, con attenzione prevalente alla genesi del marxismo in Italia. Ha rivolto poi i suoi studi alla storia del marxismo contemporaneo. Quindi alla società italiana e in particolare alla cultura e alla politica del Novecento, soprattutto l’età repubblicana. È presidente della Fondazione Istituto Gramsci di Roma e della Commissione scientifica dell’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Fra le sue opere principali: Politica e filosofia in Bertrando Spaventa (Laterza), Scienza, Stato e critica di classe (De Donato), L’informazione negli anni Ottanta (Editori Riuniti), Il marxismo e gli intellettuali (Editori Riuniti), Vent’anni dopo. La sinistra fra mutamenti e revisioni (Einaudi), Gramsci a Roma, Togliatti a Mosca (Einaudi), Il riformismo italiano (Fazi Editore).

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