disabili Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/disabili/ Settimanale di informazione regionale Fri, 21 Jul 2023 10:19:15 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg disabili Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/disabili/ 32 32 “Bottega azzurra” apre nuova sede con i suoi biscotti artigianali https://www.lavoce.it/bottega-azzurra-apre-nuova-sede-con-i-suoi-biscotti-artigianali/ Sat, 31 Jul 2021 15:40:28 +0000 https://www.lavoce.it/?p=61577

La Bottega Azzurra apre una sede nuova grazie ai biscotti fatti a mano da ragazzi e ragazze “speciali”. La cooperativa sociale inclusiva aperta a Gubbio neppure un anno fa, il 2 agosto inaugura la nuova sede in piazza Bernini 6, a Gubbio.

Nuovi spazi e nuove attività

“Eravamo sistemati nei locali del Cva di Mocaiana, ma - spiegano Marisa Radicchi e Riccardo Martinelli, soci della cooperativa - avevamo bisogno di avere spazi nostri, e anche un po’ più grandi, per poter lavorare meglio. Dovevamo iniziare a farci conoscere. Ora che finalmente abbiamo trovato la sede, i ragazzi potranno trascorrere anche momenti ricreativi, l’altro dei nostri obiettivi. Il progetto non è solo di inclusione sociale, ma lavorativa, tanto è vero che tutti prendono anche lo stipendio”. “Sbriciotte”, saracelle, visnetti, e crostarelle, e pasticceria secca dolce e salata, preparata rigorosamente con materie prime locali, sono gli ingredienti del successo, del biscottificio che impegna otto soci volontari e otto ragazzi che si trovano in situazione di disabilità in un percorso di inclusione lavorativa, che conta sul prezioso e costante sostegno di imprenditori che sin dal principio hanno creduto al progetto. Con l’obiettivo di includere, interagire, integrare, attraverso il lavoro con tanto di stipendio, sono diventati un laboratorio capace di creare un indotto economico e una rete anche con le strutture ricettive del territorio. [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="61578,61579,61580,61581,61582,61583"]

Sistemata la sede, sono pronti a farsi conoscere ancora di più.

“Faremo degli eventi – continua a spiegare Marisa – il primo sarà nei giorni 13-14 agosto, al centro storico di Gubbio, insieme all’associazione ‘Gli amici di Cate’, una iniziativa attraverso la quale doneremo loro i proventi della vendita dei biscotti. Nell’ultima settimana di agosto, parteciperemo con un nostro stand al Doc Fest, sempre a Gubbio. Covid permettendo, saremo con uno stand ad Eurochocolate, all’Umbriafiere di Bastia Umbra”.

Cos’altro bolle in pentola?

“Il progetto di inclusione lavorativa prevedeva, in un secondo step, incontri durante il tempo libero, far vivere ai ragazzi esperienze diverse, tipo conoscere le città, iniziative che con il Covid non si sono potute portare avanti. Ma siamo riusciti, comunque, ad andare al ristorante Numero Zero, a Perugia, dove hanno mangiato tutti insieme e si sono potuti confrontare, hanno visto come lavorano quei ragazzi, quindi le emozioni che provano quando si rapportano con i clienti. Abbiamo portato i nostri biscotti a PizzAut, una cooperativa nel milanese, gestita attraverso il lavoro inclusivo, altro punto dove vengono venduti”.

E se qualcuno volesse sostenere il progetto?

“I prodotti, sia dolci che salati, possono essere acquistati sul nostro sito (labottegazzurra.it), e dalla prossima settimana nello spazio aziendale che creeremo nella nuova sede. E poi attraverso il sostegno di tanti imprenditori sensibili, che possono contribuire a darci visibilità. Tipo le attività ricettive, a partire da Gubbio, che hanno deciso di vendere i nostri biscotti offrendoli come presente, come il Park Hotel Ai Cappuccini, o di includerli nei loro menu, sfusi, come al ristorante Picchio Verde e all’agriturismo Borgo Santa Chiara; a Cagli vengono forniti al bar (Apple caffè)”. Da pochissimo ci siamo buttati sulle bomboniere, abbiamo già tanti ordini per settembre e ottobre. Un’idea che è piaciuta molto, anche per le confezioni, che per l’occasione vengono personalizzate”.]]>

La Bottega Azzurra apre una sede nuova grazie ai biscotti fatti a mano da ragazzi e ragazze “speciali”. La cooperativa sociale inclusiva aperta a Gubbio neppure un anno fa, il 2 agosto inaugura la nuova sede in piazza Bernini 6, a Gubbio.

Nuovi spazi e nuove attività

“Eravamo sistemati nei locali del Cva di Mocaiana, ma - spiegano Marisa Radicchi e Riccardo Martinelli, soci della cooperativa - avevamo bisogno di avere spazi nostri, e anche un po’ più grandi, per poter lavorare meglio. Dovevamo iniziare a farci conoscere. Ora che finalmente abbiamo trovato la sede, i ragazzi potranno trascorrere anche momenti ricreativi, l’altro dei nostri obiettivi. Il progetto non è solo di inclusione sociale, ma lavorativa, tanto è vero che tutti prendono anche lo stipendio”. “Sbriciotte”, saracelle, visnetti, e crostarelle, e pasticceria secca dolce e salata, preparata rigorosamente con materie prime locali, sono gli ingredienti del successo, del biscottificio che impegna otto soci volontari e otto ragazzi che si trovano in situazione di disabilità in un percorso di inclusione lavorativa, che conta sul prezioso e costante sostegno di imprenditori che sin dal principio hanno creduto al progetto. Con l’obiettivo di includere, interagire, integrare, attraverso il lavoro con tanto di stipendio, sono diventati un laboratorio capace di creare un indotto economico e una rete anche con le strutture ricettive del territorio. [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="61578,61579,61580,61581,61582,61583"]

Sistemata la sede, sono pronti a farsi conoscere ancora di più.

“Faremo degli eventi – continua a spiegare Marisa – il primo sarà nei giorni 13-14 agosto, al centro storico di Gubbio, insieme all’associazione ‘Gli amici di Cate’, una iniziativa attraverso la quale doneremo loro i proventi della vendita dei biscotti. Nell’ultima settimana di agosto, parteciperemo con un nostro stand al Doc Fest, sempre a Gubbio. Covid permettendo, saremo con uno stand ad Eurochocolate, all’Umbriafiere di Bastia Umbra”.

Cos’altro bolle in pentola?

“Il progetto di inclusione lavorativa prevedeva, in un secondo step, incontri durante il tempo libero, far vivere ai ragazzi esperienze diverse, tipo conoscere le città, iniziative che con il Covid non si sono potute portare avanti. Ma siamo riusciti, comunque, ad andare al ristorante Numero Zero, a Perugia, dove hanno mangiato tutti insieme e si sono potuti confrontare, hanno visto come lavorano quei ragazzi, quindi le emozioni che provano quando si rapportano con i clienti. Abbiamo portato i nostri biscotti a PizzAut, una cooperativa nel milanese, gestita attraverso il lavoro inclusivo, altro punto dove vengono venduti”.

E se qualcuno volesse sostenere il progetto?

“I prodotti, sia dolci che salati, possono essere acquistati sul nostro sito (labottegazzurra.it), e dalla prossima settimana nello spazio aziendale che creeremo nella nuova sede. E poi attraverso il sostegno di tanti imprenditori sensibili, che possono contribuire a darci visibilità. Tipo le attività ricettive, a partire da Gubbio, che hanno deciso di vendere i nostri biscotti offrendoli come presente, come il Park Hotel Ai Cappuccini, o di includerli nei loro menu, sfusi, come al ristorante Picchio Verde e all’agriturismo Borgo Santa Chiara; a Cagli vengono forniti al bar (Apple caffè)”. Da pochissimo ci siamo buttati sulle bomboniere, abbiamo già tanti ordini per settembre e ottobre. Un’idea che è piaciuta molto, anche per le confezioni, che per l’occasione vengono personalizzate”.]]>
‘Casa Emmaus’: l’opera segno della Caritas riapre le porte alle persone disabili https://www.lavoce.it/casa-emmaus-lopera-segno-della-caritas-riapre-le-porte-alle-persone-disabili/ Fri, 30 Apr 2021 09:25:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60409 Casa Emmaus

Casa Emmaus in località Lidarno di Perugia, domenica 2 maggio (ore 17.30), riapre le porte alle persone disabili; l'Opera segno della Caritas diocesana perugino pievese, riprende le attività in sicurezza (sospese a seguito dell’emergenza Covid-19) all’interno del salone comunitario.

I quattro confortevoli appartamenti che la compongono, messi a disposizioni di operatori sanitari e per il progetto Ri-Housing nella fase acuta della pandemia, vengono utilizzati all’occorrenza per persone in difficoltà e per accogliere nei weekend gli ospiti disabili che lo richiedono.

Diventare volontari

Attività che sono state rinnovate nel 2009 con laboratori teatrali e per aspiranti clown, di cucina (durante la settimana) e di percorsi tematici (il sabato con i più giovani e la domenica con gli adulti).

"Non mancano le uscite, le feste, i balli, le partite di calcetto, le serate in pizzeria, soprattutto non manca il desiderio di stare insieme, di trovarsi e raccontarsi, con la certezza che, in fondo, basta il tuo amore".

E’ quanto sottolinea Angela Ciccolella, una delle responsabili di Casa Emmaus nel lanciare un appello, quello di venire a conoscerci e a diventare volontari. Casa Emmaus ha bisogno di nuovi amici volontari per poter proseguire la sua opera, una necessità emersa fin prima della pandemia, affinché la sua peculiarità di sollievo della sofferenza, specie delle persone con disabilità e loro famiglie, precisa Angela, non venga meno nel tempo. La realtà associativa che gestisce la struttura, riconosciuta dalla Caritas diocesana, è iscritta nel Registro regionale del volontariato.

La storia

 Casa Emmaus è sorta nel 1999 come opera segno del IV Congresso eucaristico diocesano in preparazione al Grande Giubileo del 2000, fortemente voluta dall’allora direttore della Caritas perugina e parroco di Sant’Egidio-Lidarno monsignor Giacomo Rossi per ospitare persone con varie necessità spiega sempre Angela, da disabilità a indigenza, ad appoggio per chi era in cura nell'allora policlinico di Monteluce. Nel 2005, ad opera gratuita dei parrocchiani, fu aperto un grande salone adibito a vari usi sia per la parrocchia che per gli incontri mensili del Centro volontari della sofferenza (Cvs) di cui don Giacomo Rossi era assistente spirituale.

Dal 2009 Casa Emmaus si è vivacizzata in modo ancora nuovo con un gruppo di ragazzi con disabilità che hanno iniziato a frequentarla in modo regolare, guidati da alcuni volontari che di volta in volta propongono attività per scoprire la propria bellezza e unicità.

"Chi entra resta attratto dalla gioia che lo avvolge -conclude Angela- inaspettata nell'immaginario collettivo rispetto al disabile".

La disabilità una sfida

"Casa Emmaus -spiega Alessandro, un giovane ospite- ci permette di stare insieme e di confrontarci con le diverse disabilità che caratterizzano ognuno di noi. Questa Casa, infatti, è prima di tutto un luogo di accoglienza per noi ragazzi con disabilità.  A mio avviso la cosa importante, è non focalizzarsi sulle nostre difficoltà fisiche, ma sulla capacità di superare i propri limiti, la voglia di affrontare le difficoltà che ogni giorno si pongono dinanzi a noi. All’interno di “Casa Emmaus” ci alleniamo a fare questo, a non vedere la disabilità come un ostacolo, ma semplicemente come una sfida. Se interpreti un tuo limite come uno ostacolo non riuscirai mai a superarlo e a migliorare, invece se i tuoi limiti li trasformi in sfide da affrontare giornalmente, allora migliorerai te stesso e gli altri".

Sostegno nell’accettare la disabilità

 Luisa, volontaria di Casa Emmaus, racconta il suo primo incontro con questa realtà avvenuto, in modo casuale, nel conoscere una delle responsabili, Angela.

"E' successo -racconta- in un momento difficile della mia vita, quando ho saputo di essere affetta dalla sclerosi multipla e, quindi, dover accettare di esser diventata disabile. Ho sempre visto con un certo distacco la disabilità e quindi non è stato facile accettare quello che mi stava succedendo! Angela mi invitò ad aiutarla nella giornata di inaugurazione. Accettai per amicizia, ma da quel giorno ne seguirono altri, accorgendomi che quei ragazzi stavano diventando essenziali per accettare la mia disabilità con dignità".

La gratitudine del direttore

Un augurio speciale a Casa Emmaus per la ripresa delle sue attività, lo rivolge a ospiti e volontari il direttore della Caritas diocesana don Marco Briziarelli.

"Un'opera segno profetica -tiene a precisare- un faro umile e prezioso che indica la via dell'inclusione e ci ricorda continuamente che la disabilità non è un ostacolo, ma un’occasione di Amore. Ringrazio personalmente Angela e tutti i volontari, ricordando loro il pieno sostegno a quest'opera della tenerezza di Dio. La mia personale gratitudine a Casa Emmaus per aver messo a disposizione, in questo tempo di pandemia e chiusura, gli appartamenti al progetto Ri-Housing permettendo a tre famiglie in grave emergenza abitativa di poter trovare ristoro per un anno. Un esempio importante di Carità nella Carità e di comunione per la nostra Chiesa. Un invito speciale a tutti i giovani a conoscere Casa Emmaus e mettersi a servizio di tanti fratelli e sorelle, che nella loro fragilità, portano in dono a tutti noi un'immagine unica e speciale del volto di Gesù. Grazie davvero".

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Casa Emmaus

Casa Emmaus in località Lidarno di Perugia, domenica 2 maggio (ore 17.30), riapre le porte alle persone disabili; l'Opera segno della Caritas diocesana perugino pievese, riprende le attività in sicurezza (sospese a seguito dell’emergenza Covid-19) all’interno del salone comunitario.

I quattro confortevoli appartamenti che la compongono, messi a disposizioni di operatori sanitari e per il progetto Ri-Housing nella fase acuta della pandemia, vengono utilizzati all’occorrenza per persone in difficoltà e per accogliere nei weekend gli ospiti disabili che lo richiedono.

Diventare volontari

Attività che sono state rinnovate nel 2009 con laboratori teatrali e per aspiranti clown, di cucina (durante la settimana) e di percorsi tematici (il sabato con i più giovani e la domenica con gli adulti).

"Non mancano le uscite, le feste, i balli, le partite di calcetto, le serate in pizzeria, soprattutto non manca il desiderio di stare insieme, di trovarsi e raccontarsi, con la certezza che, in fondo, basta il tuo amore".

E’ quanto sottolinea Angela Ciccolella, una delle responsabili di Casa Emmaus nel lanciare un appello, quello di venire a conoscerci e a diventare volontari. Casa Emmaus ha bisogno di nuovi amici volontari per poter proseguire la sua opera, una necessità emersa fin prima della pandemia, affinché la sua peculiarità di sollievo della sofferenza, specie delle persone con disabilità e loro famiglie, precisa Angela, non venga meno nel tempo. La realtà associativa che gestisce la struttura, riconosciuta dalla Caritas diocesana, è iscritta nel Registro regionale del volontariato.

La storia

 Casa Emmaus è sorta nel 1999 come opera segno del IV Congresso eucaristico diocesano in preparazione al Grande Giubileo del 2000, fortemente voluta dall’allora direttore della Caritas perugina e parroco di Sant’Egidio-Lidarno monsignor Giacomo Rossi per ospitare persone con varie necessità spiega sempre Angela, da disabilità a indigenza, ad appoggio per chi era in cura nell'allora policlinico di Monteluce. Nel 2005, ad opera gratuita dei parrocchiani, fu aperto un grande salone adibito a vari usi sia per la parrocchia che per gli incontri mensili del Centro volontari della sofferenza (Cvs) di cui don Giacomo Rossi era assistente spirituale.

Dal 2009 Casa Emmaus si è vivacizzata in modo ancora nuovo con un gruppo di ragazzi con disabilità che hanno iniziato a frequentarla in modo regolare, guidati da alcuni volontari che di volta in volta propongono attività per scoprire la propria bellezza e unicità.

"Chi entra resta attratto dalla gioia che lo avvolge -conclude Angela- inaspettata nell'immaginario collettivo rispetto al disabile".

La disabilità una sfida

"Casa Emmaus -spiega Alessandro, un giovane ospite- ci permette di stare insieme e di confrontarci con le diverse disabilità che caratterizzano ognuno di noi. Questa Casa, infatti, è prima di tutto un luogo di accoglienza per noi ragazzi con disabilità.  A mio avviso la cosa importante, è non focalizzarsi sulle nostre difficoltà fisiche, ma sulla capacità di superare i propri limiti, la voglia di affrontare le difficoltà che ogni giorno si pongono dinanzi a noi. All’interno di “Casa Emmaus” ci alleniamo a fare questo, a non vedere la disabilità come un ostacolo, ma semplicemente come una sfida. Se interpreti un tuo limite come uno ostacolo non riuscirai mai a superarlo e a migliorare, invece se i tuoi limiti li trasformi in sfide da affrontare giornalmente, allora migliorerai te stesso e gli altri".

Sostegno nell’accettare la disabilità

 Luisa, volontaria di Casa Emmaus, racconta il suo primo incontro con questa realtà avvenuto, in modo casuale, nel conoscere una delle responsabili, Angela.

"E' successo -racconta- in un momento difficile della mia vita, quando ho saputo di essere affetta dalla sclerosi multipla e, quindi, dover accettare di esser diventata disabile. Ho sempre visto con un certo distacco la disabilità e quindi non è stato facile accettare quello che mi stava succedendo! Angela mi invitò ad aiutarla nella giornata di inaugurazione. Accettai per amicizia, ma da quel giorno ne seguirono altri, accorgendomi che quei ragazzi stavano diventando essenziali per accettare la mia disabilità con dignità".

La gratitudine del direttore

Un augurio speciale a Casa Emmaus per la ripresa delle sue attività, lo rivolge a ospiti e volontari il direttore della Caritas diocesana don Marco Briziarelli.

"Un'opera segno profetica -tiene a precisare- un faro umile e prezioso che indica la via dell'inclusione e ci ricorda continuamente che la disabilità non è un ostacolo, ma un’occasione di Amore. Ringrazio personalmente Angela e tutti i volontari, ricordando loro il pieno sostegno a quest'opera della tenerezza di Dio. La mia personale gratitudine a Casa Emmaus per aver messo a disposizione, in questo tempo di pandemia e chiusura, gli appartamenti al progetto Ri-Housing permettendo a tre famiglie in grave emergenza abitativa di poter trovare ristoro per un anno. Un esempio importante di Carità nella Carità e di comunione per la nostra Chiesa. Un invito speciale a tutti i giovani a conoscere Casa Emmaus e mettersi a servizio di tanti fratelli e sorelle, che nella loro fragilità, portano in dono a tutti noi un'immagine unica e speciale del volto di Gesù. Grazie davvero".

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“Assistenti alla persona”. AcliColf chiede un elenco per chi ha seguito corsi di formazione https://www.lavoce.it/badanti-aclicolf-chiede-un-elenco-per-chi-ha-seguito-corsi-di-formazione/ Thu, 18 Feb 2021 16:00:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59180

La pandemia da Covid-19 ha avuto come effetto la carenza di “badanti”, mettendo in difficoltà non poche famiglie. Un certo peso l’ha avuto la paura dei contagi, ma anche le frontiere chiuse che in molti casi hanno impedito il rientro in Italia; aggiunto alla difficoltà di chi, pur potendo rientrare, non aveva un luogo dove poter trascorrere la quarantena. In questi mesi il mondo delle “assistenti familiari” (la legge non conosce più la parola “badante” che pure viene comunemente utilizzata) si è fatto più visibile anche per un altro effetto dei lockdown: il rischio contagio e la necessità di spostamenti ha “convinto” molti datori di lavoro a regolarizzare le persone che magari lavoravano del tutto o in parte in nero. E in questi mesi è emerso anche una altro aspetto del problema: come si fa a trovare una “assistente familiare” (badante, colf o baby sitter che sia) che sia preparata e affidabile? Quello che finora ha dominato è il passaparola, ma da tempo le Acli stanno cercando di dare dignità – e preparazione – alle lavoratrici (sono quasi tutte donne) che entrano nelle nostre case. Ne parliamo con Marta Ginettelli, responsabile di Acli Colf della provincia di Perugia e vice segretaria nazionale Acli Colf. Qual è la proposta della che vorreste fosse accolta anche in Umbria? “Da anni stiamo lavorando per l’attivazione, a livello regionale o provinciale, di un elenco, un Registro nel quale le persone che intendono espletare un servizio di cura sia inserito in quanto qualificato. Per le persone che hanno necessità di un assistente familiare sarebbe più semplice fare una ricerca, una selezione basata sulle esigenze della persona che ha bisogno di cura”. Avete avuto una risposta, un segnale di interesse, da parte delle istituzioni regionali? “Non ancora. Ma continueremo la nostra attività, e abbiamo già in programma altri corsi di formazione, che quest’anno faremo rigorosamente a distanza. Il nostro intento è presentare i nominativi di tutte le persone che hanno seguito i corsi per dire ‘noi ci siamo e vogliamo impegnarci’ sia per favorire il lavoro di queste persone sia per tutelare la famiglia che ha necessità di un’assistenza particolare”. È una proposta che state facendo solo in Umbria? “È un discorso che, come Acli, stiamo portando avanti anche a livello nazionale. Così come stiamo chiedendo che le assistenti familiari siano considerate con priorità nella vaccinazione anticovid. Non sono equiparate agli infermieri o operatori sanitari, ma in effetti sono sempre a contatto con gli anziani, che sappiamo essere più a rischio”. Un elenco certo sarebbe importante, ma il fattore umano in questo tipo di lavoro è particolarmente importante… “Credo che sia la cosa principale che viene valutata, anche se va di pari passo con le competenze. Il lavoro domestico è molto legato all’empatia personale; anche dal punto di vista contrattuale, il fatto che il rapporto si possa interrompere con breve preavviso (dagli 8 ai massimo 30 giorni che tra l’altro possono essere indennizzati) senza che sia richiesta una motivazione particolare, fa capire come sia riconosciuto fondamentale l’elemento dell’intesa umana tra lavoratore e datore di lavoro”.

Un lavoro che richiede formazione

Tornando al lavoro, ci sono “scuole” che insegnano il “mestiere”? “A Perugia con Enaip, che è l’ente di formazione delle Acli, da anni stiamo lavorando in sinergia per organizzare corsi di formazione per colf, assistenti familiari e baby-sitter. Lo facciamo appunto per dare loro una qualifica professionale da poter presentare a una famiglia, mostrando di aver seguito un percorso di formazione e aver acquisito delle competenze”. Che tipo di “materie” sono proposte in questi corsi? “Generalmente i corsi sono suddivisi in tre moduli. C’è un corso base obbligatorio per passare agli altri due, relativo alla gestione della casa, che va dal riporre la biancheria negli armadi alla gestione della dispensa. Poi c’è un modulo dedicato all’assistenza alla persona, con una formazione su aspetti medici di base che consentano, per esempio, di leggere il foglietto illustrativo della medicina, di avere un minimo di cognizione della patologia di cui è affetta la persona da accudire, e di capire quando è il momento di chiamare una persona esterna o un pronto intervento. Il terzo modulo è relativo al lavoro di baby-sitter, quindi legato alla cura dei bambini, soprattuto di quelli al di sotto dei sei anni”.

Come trovare la colf giusta?

Non essendoci ancora un elenco pubblico, come fa una famiglia in cerca di un’assistente familiare a trovare una persona che abbia frequentato i corsi? “Come Acli siamo autorizzati anche a fare incontrare domanda e offerta di lavoro, quindi cerchiamo di far convergere le richieste di lavoro con l’offerta. La proposta dell’Albo fa sicuramente nella direzione di creare un percorso pubblico per cui chi frequenta corsi di formazione, chi ha titolo, entra nell’elenco al quale poi le famiglie possono attingere nella loro ricerca”. Con la crisi economica e la pandemia, sembra sia aumentato il numero degli italiani che si dedicano a questo mestiere. Vi risulta? “Sì, ma più nel lavoro ad ore o comunque diurno, mentre sono pochi a essere disposti a una presenza notte e giorno, per la quale invece è più facile avere la disponibilità di uno straniero, quasi sempre donna, che magari viene per lavorare per un po’ di mesi e poi torna nel proprio Paese”. Maria Rita Valli

Acli Colf: da 75 anni accanto alle famiglie

Le Acli Colf sono l’Associazione delle Acli che organizza le collaboratrici e i collaboratori familiari. Nate nel 1945 le Acli Colf operano come soggetto sociale delle Acli (Asssociazioni cristiane lavoratori italiani) per la promozione e la tutela degli interessi professionali, lavorativi, sindacali, previdenziali e assistenziali delle lavoratrici e lavoratori del settore domestico, di cura ed aiuto alla persona, assicurando loro sostegno ed assistenza. Il 6 aprile 2018 le Acli Colf si sono costituite come associazione professionale delle Acli, passaggio celebrato nel corso dell’Assemblea tenutasi a Roma il 24/25 Novembre 2018, che ha votato la mozione per un impegno sempre più importante nella promozione e tutela del lavoro domestico e di cura.

Un “ossevatorio” nazionale con dati e analisi

“Domina”, l’associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico, realizza un “Rapporto annuale sul lavoro domestico” (quello del 2020 è il secondo) e ha dato vita ad un “Osservatorio” che aggiorna con dati e riflessioni pubblicati on line. L’ultimo rapporto, basato sui dati Istat 2019, apre una finestra anche sul 2020. Il lockdown ha portato un boom di assunzioni di lavoratori d omestici: oltre 50 mila nel mese di Marzo, +58,5% rispetto al 2019. Inoltre, sono state effettuate 1,3 milioni di richieste di bonus baby sitter (per un importo potenziale di 1,7 miliardi).

In Umbria un settore da 146 milioni di Euro

I dati relativi all’Umbria segnalano che nel 2019 i lavoratori domestici regolari erano 18.268, dato in costante calo dal 2012 (-14%). Complessivamente, nel 2019, le famiglie della Regione hanno speso 146 milioni di euro per la retribuzione dei lavoratori domestici; la cifra comprende stipendio, contributi e TFR. Il valore aggiunto si aggira attorno a 300 milioni di euro. Ascolta l'intervista andata in onda su Umbria Radio https://www.umbriaradio.it/podcast/xl-news-badanti-e-colf-il-caso-dellumbria/]]>

La pandemia da Covid-19 ha avuto come effetto la carenza di “badanti”, mettendo in difficoltà non poche famiglie. Un certo peso l’ha avuto la paura dei contagi, ma anche le frontiere chiuse che in molti casi hanno impedito il rientro in Italia; aggiunto alla difficoltà di chi, pur potendo rientrare, non aveva un luogo dove poter trascorrere la quarantena. In questi mesi il mondo delle “assistenti familiari” (la legge non conosce più la parola “badante” che pure viene comunemente utilizzata) si è fatto più visibile anche per un altro effetto dei lockdown: il rischio contagio e la necessità di spostamenti ha “convinto” molti datori di lavoro a regolarizzare le persone che magari lavoravano del tutto o in parte in nero. E in questi mesi è emerso anche una altro aspetto del problema: come si fa a trovare una “assistente familiare” (badante, colf o baby sitter che sia) che sia preparata e affidabile? Quello che finora ha dominato è il passaparola, ma da tempo le Acli stanno cercando di dare dignità – e preparazione – alle lavoratrici (sono quasi tutte donne) che entrano nelle nostre case. Ne parliamo con Marta Ginettelli, responsabile di Acli Colf della provincia di Perugia e vice segretaria nazionale Acli Colf. Qual è la proposta della che vorreste fosse accolta anche in Umbria? “Da anni stiamo lavorando per l’attivazione, a livello regionale o provinciale, di un elenco, un Registro nel quale le persone che intendono espletare un servizio di cura sia inserito in quanto qualificato. Per le persone che hanno necessità di un assistente familiare sarebbe più semplice fare una ricerca, una selezione basata sulle esigenze della persona che ha bisogno di cura”. Avete avuto una risposta, un segnale di interesse, da parte delle istituzioni regionali? “Non ancora. Ma continueremo la nostra attività, e abbiamo già in programma altri corsi di formazione, che quest’anno faremo rigorosamente a distanza. Il nostro intento è presentare i nominativi di tutte le persone che hanno seguito i corsi per dire ‘noi ci siamo e vogliamo impegnarci’ sia per favorire il lavoro di queste persone sia per tutelare la famiglia che ha necessità di un’assistenza particolare”. È una proposta che state facendo solo in Umbria? “È un discorso che, come Acli, stiamo portando avanti anche a livello nazionale. Così come stiamo chiedendo che le assistenti familiari siano considerate con priorità nella vaccinazione anticovid. Non sono equiparate agli infermieri o operatori sanitari, ma in effetti sono sempre a contatto con gli anziani, che sappiamo essere più a rischio”. Un elenco certo sarebbe importante, ma il fattore umano in questo tipo di lavoro è particolarmente importante… “Credo che sia la cosa principale che viene valutata, anche se va di pari passo con le competenze. Il lavoro domestico è molto legato all’empatia personale; anche dal punto di vista contrattuale, il fatto che il rapporto si possa interrompere con breve preavviso (dagli 8 ai massimo 30 giorni che tra l’altro possono essere indennizzati) senza che sia richiesta una motivazione particolare, fa capire come sia riconosciuto fondamentale l’elemento dell’intesa umana tra lavoratore e datore di lavoro”.

Un lavoro che richiede formazione

Tornando al lavoro, ci sono “scuole” che insegnano il “mestiere”? “A Perugia con Enaip, che è l’ente di formazione delle Acli, da anni stiamo lavorando in sinergia per organizzare corsi di formazione per colf, assistenti familiari e baby-sitter. Lo facciamo appunto per dare loro una qualifica professionale da poter presentare a una famiglia, mostrando di aver seguito un percorso di formazione e aver acquisito delle competenze”. Che tipo di “materie” sono proposte in questi corsi? “Generalmente i corsi sono suddivisi in tre moduli. C’è un corso base obbligatorio per passare agli altri due, relativo alla gestione della casa, che va dal riporre la biancheria negli armadi alla gestione della dispensa. Poi c’è un modulo dedicato all’assistenza alla persona, con una formazione su aspetti medici di base che consentano, per esempio, di leggere il foglietto illustrativo della medicina, di avere un minimo di cognizione della patologia di cui è affetta la persona da accudire, e di capire quando è il momento di chiamare una persona esterna o un pronto intervento. Il terzo modulo è relativo al lavoro di baby-sitter, quindi legato alla cura dei bambini, soprattuto di quelli al di sotto dei sei anni”.

Come trovare la colf giusta?

Non essendoci ancora un elenco pubblico, come fa una famiglia in cerca di un’assistente familiare a trovare una persona che abbia frequentato i corsi? “Come Acli siamo autorizzati anche a fare incontrare domanda e offerta di lavoro, quindi cerchiamo di far convergere le richieste di lavoro con l’offerta. La proposta dell’Albo fa sicuramente nella direzione di creare un percorso pubblico per cui chi frequenta corsi di formazione, chi ha titolo, entra nell’elenco al quale poi le famiglie possono attingere nella loro ricerca”. Con la crisi economica e la pandemia, sembra sia aumentato il numero degli italiani che si dedicano a questo mestiere. Vi risulta? “Sì, ma più nel lavoro ad ore o comunque diurno, mentre sono pochi a essere disposti a una presenza notte e giorno, per la quale invece è più facile avere la disponibilità di uno straniero, quasi sempre donna, che magari viene per lavorare per un po’ di mesi e poi torna nel proprio Paese”. Maria Rita Valli

Acli Colf: da 75 anni accanto alle famiglie

Le Acli Colf sono l’Associazione delle Acli che organizza le collaboratrici e i collaboratori familiari. Nate nel 1945 le Acli Colf operano come soggetto sociale delle Acli (Asssociazioni cristiane lavoratori italiani) per la promozione e la tutela degli interessi professionali, lavorativi, sindacali, previdenziali e assistenziali delle lavoratrici e lavoratori del settore domestico, di cura ed aiuto alla persona, assicurando loro sostegno ed assistenza. Il 6 aprile 2018 le Acli Colf si sono costituite come associazione professionale delle Acli, passaggio celebrato nel corso dell’Assemblea tenutasi a Roma il 24/25 Novembre 2018, che ha votato la mozione per un impegno sempre più importante nella promozione e tutela del lavoro domestico e di cura.

Un “ossevatorio” nazionale con dati e analisi

“Domina”, l’associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico, realizza un “Rapporto annuale sul lavoro domestico” (quello del 2020 è il secondo) e ha dato vita ad un “Osservatorio” che aggiorna con dati e riflessioni pubblicati on line. L’ultimo rapporto, basato sui dati Istat 2019, apre una finestra anche sul 2020. Il lockdown ha portato un boom di assunzioni di lavoratori d omestici: oltre 50 mila nel mese di Marzo, +58,5% rispetto al 2019. Inoltre, sono state effettuate 1,3 milioni di richieste di bonus baby sitter (per un importo potenziale di 1,7 miliardi).

In Umbria un settore da 146 milioni di Euro

I dati relativi all’Umbria segnalano che nel 2019 i lavoratori domestici regolari erano 18.268, dato in costante calo dal 2012 (-14%). Complessivamente, nel 2019, le famiglie della Regione hanno speso 146 milioni di euro per la retribuzione dei lavoratori domestici; la cifra comprende stipendio, contributi e TFR. Il valore aggiunto si aggira attorno a 300 milioni di euro. Ascolta l'intervista andata in onda su Umbria Radio https://www.umbriaradio.it/podcast/xl-news-badanti-e-colf-il-caso-dellumbria/]]>
Aver cura dei più deboli fa bene a tutti https://www.lavoce.it/cura-deboli-bene-tutti/ Wed, 11 Sep 2019 08:09:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55229

Il Centro Speranza di Fratta Todina da trent’anni organizza una “Camminata della speranza” pensata non tanto “per” ma “con” i disabili gravi, e le loro famiglie, che ogni giorno frequentano il Centro.

Nella presentazione dell’iniziativa alla stampa la parola che più è echeggiata è stata proprio “speranza”, e non solo perché è il nome del Centro voluto dalla beata Madre Speranza, fondatrice del Santuario dell’Amore misericordioso di Collevalenza.

“Speranza” è, in realtà, quello che si respira nel racconto di chi opera con persone che fin dalla nascita hanno dei limiti fisici e psichici importanti e con il proprio lavoro riesce a far stare meglio il disabile e la sua famiglia.

“Dal Centro nessuno esce guarito, non facciamo miracoli, ma in questo Centro accogliamo e curiamo, e ci piace paragonarlo ad una SPA dove si va per stare meglio”. Il paragone sembra temerario, ma a farlo è madre Maria Grazia Biscotti, la religiosa delle Ancelle dell’Amore Misericordioso fondate da Madre Speranza, responsabile del Centro.

Il disabile, infatti, ripetono, “non è un malato, non ha una malattia da cui può guarire, perché la disabilità è una condizione”. E il disabile lì è una persona accolta e amata per quello che è.

Questo quotidiano accogliere persone che nella società“normale” sono indicate come “ultimi”, se non inutili, è un elemento di speranza per tutti, anche per i “normali” che spesso non si sentono amati per ciò che sono, sono messi sotto pressione per fare, apparire, competere…

E allora l’altra osservazione che dovremmo tenere presente è che una città o paese in cui i disabili possono muoversi in autonomia sulle strade e negli edifici perché non ci sono più barriere architettoniche, è una città sicura e vivibile anche per i “normali”.

Una sanità che mette al centro dei suoi protocolli la persona, con tutte le sue disabilità, è una sanità che mette al centro del sistema la persona e non le sue malattie, con beneficio anche dei “normali”.

E gli esempi potrebbero continuare per dire una cosa semplice, ma non scontata: la società che ha cura dei suoi membri più fragili è una società in cui tutti vivono meglio. Non è questione di soldi, di investimenti (o meglio, non solo) è questione anzitutto di cultura, di organizzazione, di modalità di approccio.

Infine, ma non ultimo, la disabilità che si acquisisce nel corso della vita è una condizione sempre più diffusa perché legata all’invecchiamento, e dunque potrebbe essere la condizione in cui ciascuno di noi potrebbe trovarsi.

Ragione in più per chiedere alla politica di mettere al centro dei programmi le persone, a cominciare dalle più fragili.

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Perché erano lì https://www.lavoce.it/perche-erano-li/ Sun, 29 Apr 2018 08:00:11 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51780 logo abat jour, rubrica settimanale

di Angelo M. Fanucci Ho appena abbozzato una domanda impegnativa (“Può esistere un santo con qualche ramo non potato?”), promettendo di riprendere il filo del discorso, ma mi tocca rimandare. Lo riprenderò la prossima settimana, se il Datore di ogni bene nel frattempo non mi avrà ritirato il patentino di circolazione. È successo infatti qualcosa che devo dirti subito, amato e sconosciuto lettore. È successo che è morto un amicocarissimo, e mi è stato chiesto di presiedere la liturgia di commiato (non “il funerale” né “le esequie”: “la liturgia di commiato”). L’ho fatto con grande sofferenza, ma anche con una speranza vibrante che saliva e si dilatava a mano a mano che la Scrittura srotolava davanti all’Assemblea la verità della vita. Lui era un uomo eccellente, una intelligenza vasta e folgorante, un volontà di bene rigorosa fino alle sue più concrete conseguenze. Ma quello che più mi colpiva era la presenza in chiesa di un gruppetto di disabili venuti da Perugia, dalla “mia” comunità, un gruppetto che solo da pochianni s’è trasferito da strada comunale di Prepo a via Pennetti Pennella 42. Franco, Antonio, Cinzia, Verbena: volti cari e amati, così come il volto dell’altro Antonio, quello che li sostiene nei loro non facili percorsi di vita. La gente sicuramente pensava che quei disabili erano lì per gratitudine nei confronti di colui al quale davamo l’arrivederci. Ed era vero, ma non era tutta la verità. Quei disabili erano lì a testimoniare un fatto straordinario, l’aiuto decisivo che loro avevano dato a quell’uomo buono e grande quando la vita l’aveva colpito nella psiche in maniera apparentemente irrimediabile. Può capitare a tutti, in qualsiasi momento, di perdersi nei meandri della vita. Capita soprattutto alle sensibilità particolarmente penetranti e alle intelligenze straordinariamente lucide. Quando lui toccò il fondo, fu chiesto a me se uno dei piccoli gruppi della “mia” comunità poteva accoglierlo. Dissero di sì, loro, l’allora Gruppo famiglia di Prepo. Dissero di sì, accolsero senza nessuna giustificazione scientifica per farlo; e subito la malattia inguaribile prese a guarire, la vita riprese a scorrere, lui tornò a sorridere. Emarginare i disabili non è solo un’operazione immorale; prima ancora, è un danno fatto alla società dei sani. Lo dico sulla base di una delle conclusioni alle quali è arrivato Todorov, il filosofo che ha indagato a fondo il tema della diversità umana: “Là dove chiede un forte impegno per essere vissuta anche nella sue urgenze più quotidiane, la vita rivela il suo volto più vero ed esprime la sua forza più grande”. Su questa base grandeggia il potenziale contributo del disabile alla vita di tutti.]]>
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di Angelo M. Fanucci Ho appena abbozzato una domanda impegnativa (“Può esistere un santo con qualche ramo non potato?”), promettendo di riprendere il filo del discorso, ma mi tocca rimandare. Lo riprenderò la prossima settimana, se il Datore di ogni bene nel frattempo non mi avrà ritirato il patentino di circolazione. È successo infatti qualcosa che devo dirti subito, amato e sconosciuto lettore. È successo che è morto un amicocarissimo, e mi è stato chiesto di presiedere la liturgia di commiato (non “il funerale” né “le esequie”: “la liturgia di commiato”). L’ho fatto con grande sofferenza, ma anche con una speranza vibrante che saliva e si dilatava a mano a mano che la Scrittura srotolava davanti all’Assemblea la verità della vita. Lui era un uomo eccellente, una intelligenza vasta e folgorante, un volontà di bene rigorosa fino alle sue più concrete conseguenze. Ma quello che più mi colpiva era la presenza in chiesa di un gruppetto di disabili venuti da Perugia, dalla “mia” comunità, un gruppetto che solo da pochianni s’è trasferito da strada comunale di Prepo a via Pennetti Pennella 42. Franco, Antonio, Cinzia, Verbena: volti cari e amati, così come il volto dell’altro Antonio, quello che li sostiene nei loro non facili percorsi di vita. La gente sicuramente pensava che quei disabili erano lì per gratitudine nei confronti di colui al quale davamo l’arrivederci. Ed era vero, ma non era tutta la verità. Quei disabili erano lì a testimoniare un fatto straordinario, l’aiuto decisivo che loro avevano dato a quell’uomo buono e grande quando la vita l’aveva colpito nella psiche in maniera apparentemente irrimediabile. Può capitare a tutti, in qualsiasi momento, di perdersi nei meandri della vita. Capita soprattutto alle sensibilità particolarmente penetranti e alle intelligenze straordinariamente lucide. Quando lui toccò il fondo, fu chiesto a me se uno dei piccoli gruppi della “mia” comunità poteva accoglierlo. Dissero di sì, loro, l’allora Gruppo famiglia di Prepo. Dissero di sì, accolsero senza nessuna giustificazione scientifica per farlo; e subito la malattia inguaribile prese a guarire, la vita riprese a scorrere, lui tornò a sorridere. Emarginare i disabili non è solo un’operazione immorale; prima ancora, è un danno fatto alla società dei sani. Lo dico sulla base di una delle conclusioni alle quali è arrivato Todorov, il filosofo che ha indagato a fondo il tema della diversità umana: “Là dove chiede un forte impegno per essere vissuta anche nella sue urgenze più quotidiane, la vita rivela il suo volto più vero ed esprime la sua forza più grande”. Su questa base grandeggia il potenziale contributo del disabile alla vita di tutti.]]>
Lotta alla povertà, nuova fase https://www.lavoce.it/lotta-alla-poverta-nuova-fase/ Fri, 17 Mar 2017 13:00:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48801 reddito_di_inclusione-CMYKFinalmente il Senato ha approvato in via definitiva la legge-delega volta all’introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà, denominata “reddito di inclusione”. Si tratta di uno strumento universale ma selettivo, condizionato alla situazione economica del beneficiario sulla base dell’indicatore Isee, nonché all’adesione a un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa.

Un passo avanti sostanziale nella lotta contro la povertà in Italia: viene infatti introdotto uno strumento strutturale, permanente, e non una misura di semplice tamponamento contro la povertà assoluta; un passo storico che permette all’Italia, anche se per ultima, di allinearsi a tutti gli altri Paesi europei. L’intento è quello di sostenere le persone in povertà assoluta, che l’Istat calcola in 4,6 milioni, circa 1,6 milioni di famiglie, tra cui un milione di minori. Ma le risorse disponibili per questo anno sono di circa 1,6 miliardi, con cui il Governo conta di raggiungere 500 mila minori e più ampiamente fino a 1,8 milioni di persone in 400 mila famiglie.

Ciò ha richiesto di stabilire una priorità per i nuclei familiari con figli minori o con disabilità gravi o con donne in stato di gravidanza accertata o con persone di età superiore a 55 anni in stato di disoccupazione. Il contributo monetario ha il compito di coprire la differenza tra il reddito disponibile del beneficiato e la soglia di povertà assoluta; in questa fase di avvio, data la scarsità di risorse, il contributo sarà ridotto a non più di 480 euro al mese per nucleo familiare.

Di qui l’importanza (come ha osservato Francesco Riccardi su Avvenire del 10 febbraio), per assicurare l’efficacia del provvedimento, degli stanziamenti effettivi dei prossimi anni, e della parte di essi dedicata ai servizi di inclusione attiva delle persone in condizioni marginali. Per il 2018 occorrerà prevedere un importo di più di 2 miliardi di euro e almeno 1,5 miliardi aggiuntivi per ogni anno successivo fino alla copertura integrale dei poveri assoluti. Occorre poi potenziare i servizi territoriali (ben oltre gli importi attualmente stanziati: 170 milioni di euro, più altri 40 per l’assunzione di 600 operatori dei Centri per l’impiego) di formazione, di accompagnamento al lavoro, di cura sociale e sanitaria: essi infatti sono decisivi per evitare o superare l’esclusione, come è stato sottolineato anche nel primo Rapporto (giugno 2016) dell’Osservatorio sulla povertà della Caritas diocesana perugina.

La Regione Umbria – come noto – ha deciso di estendere e integrare tale misura nazionale ampliando sia la platea dei destinatari (tra cui persone disoccupate di lunga durata, persone maggiormente vulnerabili) che il parametro Isee, destinandovi risorse pari a 12 milioni di euro provenienti dalla programmazione comunitaria del Por Fse 2014-2020. A partire dal settembre 2016 ha operato finora contro la povertà l’estensione del Sia al territorio nazionale (Sostegno all’inclusione attiva, sperimentato in precedenza nelle città metropolitane). Sono attualmente disponibili i primi dati parziali – al dicembre 2016 – sull’efficacia del provvedimento nei primi mesi di avvio della misura.

A livello nazionale, delle domande complessivamente pervenute (200 mila) il 65% sono state respinte (per il 25% perché contenenti dichiarazioni mendaci, per il 75% per un punteggio maggiore del punteggio massimo previsto per l’accesso al beneficio). A livello regionale (al 21/12/16) su 1.993 domande presentate agli Uffici di cittadinanza, e 1.485 trasmesse all’Inps, questo ne ha accolte 332. Davanti a un livello di accoglimento così basso, la stessa Regione Umbria ha proposto al Ministero criteri per la ridefinizione dei criteri di accesso.

In un incontro a febbraio tra funzionari della Regione e operatori di Comuni, Inps, Centri di servizi e Caritas, sono emerse numerose criticità riguardanti l’applicazione del Sia, e precisamente in tema di: informazione insufficiente sul provvedimento, scarsità di domande accettate, revisione dei criteri di accesso, composizione delle équipe multidisciplinari (con particolare riguardo alla figura dell’orientatore), istruzione delle domande presentate e rapporti tra Comuni e Inps, nonché tra Inps e uffici postali, connessioni tra domande su fondi Sia nazionale e fondi Sia regionali, tra Comuni e Centri di servizi (in particolare Centri per l’impiego).

Il nuovo Piano sociale regionale dell’Umbria prevede, con riferimento al Sia, che Comuni e zone sociali siano i titolari della gestione. Le linee guida ministeriali dispongono che i Comuni promuovano accordi di collaborazione anche con i soggetti privati attivi nell’ambito del contrasto alla povertà, con particolare riferimento agli enti non profit, tra cui è compresa anche la Caritas, per la predisposizione e l’attuazione dei progetti di presa in carico, per una più efficace programmazione delle molteplici attività (in termini di accompagnamento e lavoro sociale di tutoraggio, sostegno ai percorsi individuali, attivazione di servizi speciali).

In alcune diocesi italiane già dalla prima metà del 2017 sono operativi tali generi di accordi.

Ci sembra, questo, un punto importante da porre all’attenzione, se teniamo conto delle difficoltà di coinvolgimento e partecipazione effettivi di operatori e cittadini, manifestatesi già nelle precedenti esperienze di pianificazione sociale regionale.

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Piano sociale regionale: intervista all’assessore ai Servizi sociali del Comune di Perugia Edi Cicchi https://www.lavoce.it/le-linee-ci-sono-ma-manca-il-quadro/ Fri, 05 Feb 2016 10:53:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45323

Piano sociale: capitolo secondo. In attesa della fine della fase partecipativa il 15 febbraio prossimo, La Voce prosegue il suo approfondimento su questo importante strumento di programmazione del welfare regionale con l’obiettivo di stimolare il dibattito tra i vari soggetti coinvolti. Se la scorsa settimana abbiamo dato voce al mondo delle cooperative, oggi è la volta dei Comuni, le vere “braccia operanti” in materia di sociale. A rappresentarli è Edi Cicchi, nella duplice veste di assessore ai Servizi sociali del Comune di Perugia e di coordinatore della Consulta welfare dell’Anci.

 Assessore, è stato ribadito più volte dall’assessore regionale alla Coesione sociale e al welfare, Luca Barberini, che in questo nuovo Piano sarà dato un “ruolo potenziato e un rinnovato protagonismo” alle istituzioni, a cominciare dai Comuni. Cosa significa?

“Sinceramente, non lo abbiamo ancora capito. Ad oggi è stato detto nella teoria, ma, in pratica, non è stato ancora specificato. Il Piano descrive la situazione nella quale ci troviamo, il contesto regionale di riferimento, ma non gli strumenti con cui noi Comuni potremmo andare a intervenire concretamente su questo contesto. È come se palazzo Donini avesse dato la cornice esterna, i confini di movimento, ma spetta poi ai Comuni dipingere il quadro dei servizi sociali offerti al cittadino. E senza sapere quanti e quali colori abbiamo a disposizione, è difficile pianificare se il nostro sarà un leggero acquerello o un’intensa tempera”.

Quali sarebbero gli strumenti che chiedono i Comuni?

“Da una parte le tipologie di servizi che si vogliono mettere in campo, dall’altra le risorse a disposizione. In merito al primo punto, chiediamo che sia individuato con chiarezza – e nella ovvia consapevolezza di non poter sopperire a tutte le necessità, dato il periodo di crisi e carenze di risorse - quali sono le nostre priorità di intervento. Quali sono i servizi essenziali che vogliamo dare al cittadino? Quali gli standard? Quali i ruoli da svolgere? E ancora, quali le professionalità da inserire? Le faccio un esempio: nel Piano non si parla del ruolo degli Uffici di cittadinanza, che sono il luogo concreto dove arrivano le richieste, la porta d’accesso alla rete dei servizi sociali e socio-sanitari. Né si fa il punto della situazione sulla loro attività degli ultimi anni. A mio avviso, occorre capire il ‘già fatto’ per pianificare un cambiamento o una continuazione del percorso. Non ci interessano 200 pagine di documento, se tutti questi punti interrogativi non vengono soddisfatti”.

E in merito alle risorse?

“Per le risorse il discorso è analogo al precedente. È vero, nel Piano, si parla di una disponibilità finanziaria [55 milioni di euro, ndr], ma è una cifra complessiva. Non viene specificato quante risorse, ad esempio, andranno all’ambito della famiglia, all’aiuto agli anziani, disabili o minori. Come possiamo noi Comuni perseguire un fine, che è quello di rispondere ai bisogni dei cittadini, se non sappiamo i mezzi a nostra disposizione? Le faccio un esempio: in questi mesi i due Centri anti-violenza della Regione hanno operato con almeno 400 donne e ne hanno accolte 38; a marzo termineranno i fondi a loro destinati, ad oggi non sanno se e quanti ne avranno ancora. In più, nel Piano sociale non se ne fa alcuna menzione. Cosa succederà se questi fondi non arrivano?”.

Anche perché i fondi sono comunque vincolati a progetti che vanno presentati e approvati...

“Sì, la pianificazione è fatta dalle Regioni che presentano progetti per accedere a risorse nazionali o al Fondo sociale europeo. Dopodiché la Regione emana dei bandi per i Comuni. Quindi anche noi siamo vincolati a questi progetti. Qui il rischio è quello di parcellizzare eccessivamente le risorse in troppi settori e sottosettori, con l’unica conseguenza di un aggravio del lavoro burocratico dei Servizi sociali comunali che non corrisponde, però, a interventi realmente incisivi. In passato, ad esempio, il Fondo per la famiglia era stato ‘spezzettato’ in almeno otto interventi diversi. Tanti progetti con poche risorse disponibili per ciascuno equivalgono a tanto lavoro ma pochissima resa. Anche perché i nostri uffici sono già sufficientemente oberati: solo al Tribunale dei minori sono in essere all’incira 1.900 provvedimenti”.

E chi resta fuori da questi progetti?

“In caso di minori, anziani o disabili non si resta mai fuori, in quanto siamo sempre obbligati a intervenire. Nei casi di povertà, invece, abbiamo costruito - a differenza del passato - una buona rete con la Caritas, al fine di cercare di dare a tutti una risposta”.

L’assessore Barberini ha insistito sulla volontà di una co-progettazione tra i vari soggetti coinvolti per la pianificazione sociale e socio-sanitaria, prevedendo anche laboratori di comunità...

“Il nodo della co-progettazione è questo: chi siede intorno al tavolo? Nel senso: i soggetti presenti devono essere stati selezionati sulla base di determinati requisiti, che ad oggi, però, non conosciamo. Solo in questo modo si può fare sistema e mettere insieme le proprie specificità e competenze in maniera costruttiva. Questi anni di crisi ci hanno portato alla consapevolezza che viviamo in una società dove la povertà, sia economica che umana, è reale e quasi sempre accompagnata dalla solitudine. Le persone ci chiedono interventi tempestivi, velocità nelle risposte, anche perché arrivano da noi quando le loro difficoltà sono già ad uno stato molto grave. Dobbiamo essere per loro una ‘tachipirina’, ovvero un palliativo non risolutivo, ma comunque capace di tamponare la situazione nel breve periodo, al fine di avere il tempo di costruire un percorso. Se coordinati, possiamo essere davvero una grande risorse per il territorio. Altrimenti si rischia ancora una volta di perdersi nella burocrazia e nella vacuità di tavoli, sotto-tavoli e laboratori che ingolfano ancora di più il lavoro con una serie di passaggi inutili”. Laura Lana]]>

Piano sociale: capitolo secondo. In attesa della fine della fase partecipativa il 15 febbraio prossimo, La Voce prosegue il suo approfondimento su questo importante strumento di programmazione del welfare regionale con l’obiettivo di stimolare il dibattito tra i vari soggetti coinvolti. Se la scorsa settimana abbiamo dato voce al mondo delle cooperative, oggi è la volta dei Comuni, le vere “braccia operanti” in materia di sociale. A rappresentarli è Edi Cicchi, nella duplice veste di assessore ai Servizi sociali del Comune di Perugia e di coordinatore della Consulta welfare dell’Anci.

 Assessore, è stato ribadito più volte dall’assessore regionale alla Coesione sociale e al welfare, Luca Barberini, che in questo nuovo Piano sarà dato un “ruolo potenziato e un rinnovato protagonismo” alle istituzioni, a cominciare dai Comuni. Cosa significa?

“Sinceramente, non lo abbiamo ancora capito. Ad oggi è stato detto nella teoria, ma, in pratica, non è stato ancora specificato. Il Piano descrive la situazione nella quale ci troviamo, il contesto regionale di riferimento, ma non gli strumenti con cui noi Comuni potremmo andare a intervenire concretamente su questo contesto. È come se palazzo Donini avesse dato la cornice esterna, i confini di movimento, ma spetta poi ai Comuni dipingere il quadro dei servizi sociali offerti al cittadino. E senza sapere quanti e quali colori abbiamo a disposizione, è difficile pianificare se il nostro sarà un leggero acquerello o un’intensa tempera”.

Quali sarebbero gli strumenti che chiedono i Comuni?

“Da una parte le tipologie di servizi che si vogliono mettere in campo, dall’altra le risorse a disposizione. In merito al primo punto, chiediamo che sia individuato con chiarezza – e nella ovvia consapevolezza di non poter sopperire a tutte le necessità, dato il periodo di crisi e carenze di risorse - quali sono le nostre priorità di intervento. Quali sono i servizi essenziali che vogliamo dare al cittadino? Quali gli standard? Quali i ruoli da svolgere? E ancora, quali le professionalità da inserire? Le faccio un esempio: nel Piano non si parla del ruolo degli Uffici di cittadinanza, che sono il luogo concreto dove arrivano le richieste, la porta d’accesso alla rete dei servizi sociali e socio-sanitari. Né si fa il punto della situazione sulla loro attività degli ultimi anni. A mio avviso, occorre capire il ‘già fatto’ per pianificare un cambiamento o una continuazione del percorso. Non ci interessano 200 pagine di documento, se tutti questi punti interrogativi non vengono soddisfatti”.

E in merito alle risorse?

“Per le risorse il discorso è analogo al precedente. È vero, nel Piano, si parla di una disponibilità finanziaria [55 milioni di euro, ndr], ma è una cifra complessiva. Non viene specificato quante risorse, ad esempio, andranno all’ambito della famiglia, all’aiuto agli anziani, disabili o minori. Come possiamo noi Comuni perseguire un fine, che è quello di rispondere ai bisogni dei cittadini, se non sappiamo i mezzi a nostra disposizione? Le faccio un esempio: in questi mesi i due Centri anti-violenza della Regione hanno operato con almeno 400 donne e ne hanno accolte 38; a marzo termineranno i fondi a loro destinati, ad oggi non sanno se e quanti ne avranno ancora. In più, nel Piano sociale non se ne fa alcuna menzione. Cosa succederà se questi fondi non arrivano?”.

Anche perché i fondi sono comunque vincolati a progetti che vanno presentati e approvati...

“Sì, la pianificazione è fatta dalle Regioni che presentano progetti per accedere a risorse nazionali o al Fondo sociale europeo. Dopodiché la Regione emana dei bandi per i Comuni. Quindi anche noi siamo vincolati a questi progetti. Qui il rischio è quello di parcellizzare eccessivamente le risorse in troppi settori e sottosettori, con l’unica conseguenza di un aggravio del lavoro burocratico dei Servizi sociali comunali che non corrisponde, però, a interventi realmente incisivi. In passato, ad esempio, il Fondo per la famiglia era stato ‘spezzettato’ in almeno otto interventi diversi. Tanti progetti con poche risorse disponibili per ciascuno equivalgono a tanto lavoro ma pochissima resa. Anche perché i nostri uffici sono già sufficientemente oberati: solo al Tribunale dei minori sono in essere all’incira 1.900 provvedimenti”.

E chi resta fuori da questi progetti?

“In caso di minori, anziani o disabili non si resta mai fuori, in quanto siamo sempre obbligati a intervenire. Nei casi di povertà, invece, abbiamo costruito - a differenza del passato - una buona rete con la Caritas, al fine di cercare di dare a tutti una risposta”.

L’assessore Barberini ha insistito sulla volontà di una co-progettazione tra i vari soggetti coinvolti per la pianificazione sociale e socio-sanitaria, prevedendo anche laboratori di comunità...

“Il nodo della co-progettazione è questo: chi siede intorno al tavolo? Nel senso: i soggetti presenti devono essere stati selezionati sulla base di determinati requisiti, che ad oggi, però, non conosciamo. Solo in questo modo si può fare sistema e mettere insieme le proprie specificità e competenze in maniera costruttiva. Questi anni di crisi ci hanno portato alla consapevolezza che viviamo in una società dove la povertà, sia economica che umana, è reale e quasi sempre accompagnata dalla solitudine. Le persone ci chiedono interventi tempestivi, velocità nelle risposte, anche perché arrivano da noi quando le loro difficoltà sono già ad uno stato molto grave. Dobbiamo essere per loro una ‘tachipirina’, ovvero un palliativo non risolutivo, ma comunque capace di tamponare la situazione nel breve periodo, al fine di avere il tempo di costruire un percorso. Se coordinati, possiamo essere davvero una grande risorse per il territorio. Altrimenti si rischia ancora una volta di perdersi nella burocrazia e nella vacuità di tavoli, sotto-tavoli e laboratori che ingolfano ancora di più il lavoro con una serie di passaggi inutili”. Laura Lana]]>
Il nuovo Piano sociale regionale. Occasione (persa) di trasparenza dell’azione amministrativa https://www.lavoce.it/il-nuovo-piano-sociale-regionale-occasione-persa-di-trasparenza-dellazione-amministrativa/ Thu, 29 Oct 2015 17:42:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44078 Palazzo Donini sede della Giunta regionale umbra
Palazzo Donini sede della Giunta regionale umbra

Come annunciato nel numero 38 de La Voce, il 30 ottobre sarà presentato il nuovo Piano sociale della Regione Umbria, definito dall’assessore regionale alla Coesione sociale come “sempre più rispondente ai bisogni delle famiglie, degli anziani, dei giovani e delle persone con disabilità”.

Per valutare la fondatezza di questa affermazione di rispondenza, nel Piano devono essere verificate alcune condizioni, che proverò a ricordare. Da un Piano sociale ci si attende che esso fornisca indicazioni riguardanti le politiche che la Regione intende attuare per assicurare protezione sociale adeguata alle fasce più deboli della popolazione, in un’ottica di prevenzione, ma anche di promozione della loro autonomia e possibilità di sviluppo umano integrale, e garantendo equità di intervento nelle varie zone sociali del territorio regionale. Sono appunto questi gli orizzonti del cosiddetto “welfare sociale”.

Tali indicazioni devono consentire a chi legge il Piano di valutare l’opportunità e la presumibile efficacia delle suddette politiche, e la loro importanza relativa, ovvero le priorità attribuite agli obiettivi da esse perseguiti (relativi a bambini, giovani, anziani non autosufficienti, disabili, famiglie in difficoltà…). A tal fine è necessario disporre, nel Piano, di una rappresentazione aggiornata dell’entità, negli ultimi anni, nel territorio regionale, delle categorie sociali sopra ricordate e oggetto di intervento, e della rete dei servizi nel sistema regionale di welfare (servizi domiciliari, residenziali e semiresidenziali, servizi alla prima infanzia…). E sarebbero opportuni anche dati corrispondenti di altre Regioni (ad es. del Centro Italia) per effettuare comparazioni, e valutare la posizione relativa dell’Umbria.
Ma occorre anche prospettare le principali categorie di interventi di politica sociale compiuti in Umbria negli ultimi anni e le strutture impiegate, indicando volumi e valori. E sarebbe fondamentale disporre, il più diffusamente possibile, di qualche stima dell’efficacia degli interventi suddetti.
Tutto ciò presuppone una rappresentazione aggiornata e disaggregata degli impegni finanziari sostenuti per i vari target, integrando i vari livelli di governo (Regione e Comuni).

Insomma, il Piano sociale si può vedere anche come occasione di trasparenza dell’azione amministrativa, e strumento per una valutazione razionale delle politiche sociali effettuate dagli enti locali. Sull’impianto della base conoscitiva indicata si può collocare il cuore del Piano, e cioè un quadro altrettanto organico e articolato degli impegni che la Regione intende sostenere per il futuro, e sul quale i cittadini e gli operatori possono esercitare una loro valutazione razionale, dando vera sostanza agli incontri di partecipazione.

Purtroppo, di tutti gli elementi ricordati poco ho trovato in una bozza di questo Piano che ho avuto occasione di esaminare. Si considerino in particolare le aree tematiche: vi ho letto analisi generali appropriate dei fenomeni presi volta a volta in esame ed elenchi spesso assai lunghi di direttrici di intervento proposte dalla Regione. Ma non ho avuto modo, perlopiù, di comprendere quali siano le effettive priorità a esse attribuite, e l’impegno con cui ci si prefigge di conseguirle. Neppure si ha notizia della portata degli interventi compiuti nel recente passato, e della loro efficacia.

In mancanza di appropriate integrazioni, del tipo indicato, tale bozza di Piano non consente – a mio avviso – una valutazione sufficientemente consapevole delle intenzioni della Regione in tema di welfare sociale.

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Umbria jazz anche per i non udenti https://www.lavoce.it/umbria-jazz-anche-per-i-non-udenti/ Mon, 13 Jul 2015 12:29:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=38529

12/07/2015 – La musica di Umbria Jazz arriva anche ai non udenti. Grazie a delle sfere luminose e vibranti, tutti coloro che hanno problemi di udito potranno gustarsi un concerto. Il debutto questa tecnologia è stato un successo.

Durante il concerto di Stefano Bollani al Santa Giuliana di Perugia, un po’ tutti, tra non udenti e curiosi, si  sono avvicinati per fare delle prove apprezzando sia l’idea che il funzionamento. Queste sfere vengono collegate all’impianto di amplificazione come i comuni altoparlanti.

Il segnale musicale, anziché propagarsi come lo conosciamo, si trasforma in vibrazioni e colori che cambiano a seconda del ritmo e dell’intensità del suono. Non solo. Con un apposita manopola è possibile scegliere anche lo strumento che si vuol ascoltare, escludendo tutti gli altri.

Ogni strumento infatti produce un suono e ad ogni suono corrisponde una certa frequenza. Grazie a questo principio è possibile scegliere su quale strumento concentrarsi.  Il “Toyota Sensitive Concert”, questo il nome del progetto dedicato ai non udenti e realizzato da Toyota Motor Italia (sponsor di Umbria Jazz 2015), in collaborazione con l’Ente Nazionale Sordi, è apprezzato anche dalle istituzioni.

Il Sindaco di Perugia Andrea Romizi sostiene che “Umbria Jazz rappresenta per la città di Perugia un momento di grande aggregazione e di forte richiamo culturale per tutti gli appassionati del Jazz e della musica in generale. Abbiamo deciso di sostenere Toyota – prosegue il Sindaco – per la sua idea di condurre l’innovazione alla portata di tutti, senza escludere nessuno. Sono sicuro – conclude Romizi – che questo  evento sarà in grado di unire la nostra città dal punto di vista culturale e artistico, – rispecchiando sempre di più il valore sociale che si trova alla base della musica e di tutte le manifestazioni artistiche”.

Foto Andrea Coli

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Come Natura insegna https://www.lavoce.it/come-natura-insegna/ Tue, 07 Jul 2015 10:51:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=37668 serafico-expo
Elisei, Ricci, Vignola, Di Maolo

Un mulinello di sensazioni, colori e profumi: l’Istituto Serafico di Assisi, centro di riabilitazione per ragazzi con disabilità plurime, è sbarcato ad Expo 2015 con un’esperienza riabilitativa multisensoriale, aprendo così le porte al mondo con l’obiettivo – per dirla con Papa Francesco – di globalizzare la solidarietà.

Dal 29 giugno fino al 5 luglio il Serafico è stato presente al padiglione Cascina Triulza, col patrocinio di Asl Umbria 1 e Italia Nostra, con la quale l’istituto sta realizzando un progetto europeo sugli orti urbani.

All’Expo il Serafico ha realizzato una serie di attività che hanno avuto il culmine nei giorni dal 3 al 5 luglio con il workshop “Doppio senso”, che ha permesso alle persone portatrici di disabilità di vivere un’esperienza multisensoriale con un percorso tra abilità e disabilità, per scoprire il senso della vita attraverso il contatto con la natura e i cinque sensi. Un percorso sensoriale e riabilitativo attraverso il recupero degli elementi tattili, visivi, olfattivi e sensoriali legata alla vita che emerge da orti e giardini capace di attivare le migliori energie interiori.

Tra gli ospiti Giovanna Vignola, grande amica dell’istituto e attrice del film La Grande Bellezza; e Gianluca Nicoletti, giornalista Rai e autore del libro Alla fine qualcosa ci inventeremo.

Il workshop, guidato da tutor specializzati del Serafico, ha offerto la possibilità a chi ha svolto il percorso di capire i meccanismi di trasmissione sensoriale al cervello e la cooperazione tra i sensi, scoprendo così ciò che accade quando, seppur momentaneamente, il cervello viene privato delle capacità cognitive e percettive. Il cervello umano, infatti, adattandosi all’inibizione, rimodella la propria struttura in risposta agli stimoli esterni, sviluppando nuove connessioni neuronali e potenziando le capacità cognitive residue.

Nella corte della Cascina è stato impiantato un giardino sensoriale terapeutico di 32 metri quadrati che riproduce il parco di 40 mila metri quadrati realizzato ad Assisi per stimolare e riabilitare i sensi, aiutando i ragazzi a scoprire il mondo che li circonda.

Il messaggio del Serafico è il diritto di tutti a vivere una vita piena: dai cinque sensi al senso della vita attraverso la natura, fondendo, all’interno di un contenitore di forte impatto emotivo, una stimolazione dei sensi che aiuta a riscoprire il mondo. È dimostrato scientificamente, infatti, che il contatto con il verde ha un grande potere terapeutico.

 

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La “carne” della Sindone e i grandi Santi sociali https://www.lavoce.it/la-carne-della-sindone-e-i-grandi-santi-sociali/ Thu, 25 Jun 2015 08:30:56 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36579 Papa Francesco accolto dai fedeli in Piazza Vittorio Veneto a Torino
Papa Francesco accolto dai fedeli in Piazza Vittorio Veneto a Torino

Un viaggio per “venerare la Sindone e onorare la memoria di don Bosco”, ma anche per ritrovare le radici di un “nipote di questa terra”, come Bergoglio stesso si è definito.

La terra di nonna Rosa e nonno Giovanni, che si sono sposati nella chiesa di Santa Teresa, mèta di una sosta fuori programma per lasciare una dedica su una pergamena e far risaltare il valore dei nonni, del battesimo, delle famiglie, e pregare in particolare per il prossimo Sinodo.

Nella prima giornata a Torino, il Papa “venuto dalla fine del mondo” è tornato a casa. Ed è stato accolto da circa 200 mila persone che, tra mattina e pomeriggio, hanno gremito fino all’inverosimile piazza Vittorio, il salotto buono della “movida” cittadina, teatro di due momenti culminanti della giornata del 21 giugno: la celebrazione eucaristica iniziale e la “mini-Gmg” nel tardo pomeriggio, dove Francesco ha messo da parte il testo scritto – come aveva già fatto durante l’incontro con la famiglia salesiana nella basilica di S. Maria Ausiliatrice – per dialogare più di un’ora a tutto campo con i giovani, chiedendo loro di “vivere casti” e di “fare controcorrente”, per contrastare la nostra società fatta di “bolle di sapone”.

“Vivete, non vivacchiate”, il suo invito sulla scorta di Piergiorgio Frassati: non si può andare in pensione a vent’anni. Il Papa ha voluto cominciare il viaggio con il discorso rivolto al mondo del lavoro, dove – sulla scorta dell’enciclica appena pubblicata – ha pronunciato un triplice “no” all’“economia dello scarto”, all’idolatria del denaro e alla corruzione, e ha ammonito che “non si può solo aspettare la ripresa”: ci vuole un “patto sociale e generazionale” che parta da Torino, prima Capitale d’Italia: “Coraggio, siate artigiani del futuro!”.

Papa Francesco incontra i malati e i disabili al Cottolengo
Papa Francesco incontra i malati e i disabili al Cottolengo

Molti, durante la giornata, i riferimenti ai tratti peculiari dei piemontesi, “razza libera e testarda”, come i Santi sociali: “Teste quadre, polso fermo e fegato sano, parlano poco ma sanno quel che dicono, anche se camminano adagio, vanno lontano”. È una poesia del piemontese Nino Costa. Nonna Rosa l’ha insegnata a memoria al piccolo Jorge nella versione originale in dialetto, e ora il Papa la custodisce nel suo breviario, insieme al testamento della nonna. La cantavano coloro che dal Piemonte emigravano nelle Americhe, prima di salpare.

“Fa piangere vedere lo spettacolo di questi giorni in cui esseri umani vengono trattati come merce”. È una delle aggiunte a braccio del primo discorso del Papa, pronunciato a Piazzetta reale per l’incontro con il mondo del lavoro.

“La pace che Lui ci dona è per tutti: anche per tanti fratelli e sorelle che fuggono da guerre e persecuzioni in cerca di pace e di libertà”, ha aggiunto nell’omelia della messa in piazza Vittorio. “Non possiamo uscire dalla crisi senza i giovani, i ragazzi, i figli e i nonni”, ha esclamato sempre fuori testo: “I figli e i nonni sono la ricchezza e la promessa di un popolo”.

Dopo il discorso sul lavoro in Piazzetta reale, il Papa ha raggiunto a piedi la cattedrale per la venerazione della Sindone. In duomo, Francesco si è trattenuto un quarto d’ora in preghiera, prima seduto e poi in ginocchio. Solo il Sacro Telo era illuminato, sull’altare disadorno due ceri accesi. Alla fine il Papa si è alzato e a mo’ di congedo ha toccato il vetro che protegge la Sindone.

Uscito dalla cattedrale, è salito sulla “papamobile” che doveva portarlo a piazza Vittorio Veneto, luogo della messa, percorrendo tutta via Po. Pochi minuti dopo, però, quando era ancora in Piazzetta reale, il Papa ha visto un gruppo di malati e di disabili, ha fatto fermare la jeep bianca scoperta ed è sceso a piedi per salutarli, baciarli e accarezzarli uno per uno. Molti di loro erano in carrozzella. Una “mini udienza generale” per toccare, con mano, la “Sindone di carne”.

In arcivescovado il secondo “fuori programma” della giornata: è sceso, anche questa volta, dalla papamobile per salutare alcuni fedeli che lo reclamavano dalle transenne. Francesco ha pranzato con i giovani detenuti del carcere minorile “Ferrante-Aporti”, con alcuni immigrati e senza fissa dimora, e con una famiglia rom.

Papa Francesco davanti alla tomba di Don Bosco
Papa Francesco davanti alla tomba di Don Bosco

Nella basilica di S. Maria Ausiliatrice, il primo atto dell’incontro con la famiglia salesiana è stato la sosta in preghiera davanti alle spoglie di san Giovanni Bosco, collocate sotto l’altare. Poi il Papa ha consegnato il testo che aveva preparato – “è troppo formale” – e ha parlato a braccio, per circa mezz’ora, della sua “esperienza personale” con i Salesiani, dichiarandosi “tanto riconoscente” per quello che “hanno fatto con me e con la mia famiglia”.

Oggi ci vuole una “educazione a misura della crisi”, e “il vostro carisma è di un’attualità grandissima”, ha detto ai figli e alle figlie di don Bosco. In questa regione d’Italia, a fine Ottocento, c’erano “mangiapreti, anticlericali, demoniaci”, eppure “quanti santi sono usciti!”.

Quello di oggi “è un momento di crisi brutta, anti-Chiesa, ma don Bosco non ha avuto paura… Oggi tante cose sono migliorate, c’è il computer, ma la situazione della gioventù è più o meno la stessa”: il 40% dei giovani, dai 25 anni in giù, è senza lavoro. I ragazzi di strada oggi hanno bisogno di “un’educazione d’emergenza, con poco tempo, per un mestiere pratico”.

“Sviluppare degli anticorpi contro questo modo di considerare gli anziani, o le persone con disabilità, quasi fossero vite non più degne di essere vissute” è stato invece l’appello rivolto da Francesco nella chiesa del Cottolengo. Tra le “vittime della cultura dello scarto” ci sono in particolare gli anziani, la cui longevità viene vista “come un peso. Questa mentalità non fa bene alla società. Qui possiamo imparare un altro sguardo sulla vita e sulla persona umana”.

 

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Don Guanella. L’attualità del suo carisma, le urgenze dell’oggi https://www.lavoce.it/don-guanella-lattualita-del-suo-carisma-le-urgenze-delloggi/ Fri, 24 Apr 2015 13:06:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31822 don-guanellaC’erano tanti festoni colorati al centro di riabilitazione “Sereni” dell’Opera Don Guanella di Montebello, che lunedì e martedì scorso ha ospitato l’urna del “santo della carità”.

In un clima di festa, i “ragazzi” (così vengono chiamati gli ospiti dell’istituto, indipendentemente dalla loro età) hanno partecipato sorridenti ai momenti di preghiera davanti alle spoglie di san Luigi Guanella. “Perché – dice a La Voce don Matteo Rinaldi, direttore del Centro Sereni – la nostra è una grande famiglia, e san Luigi è il nostro capofamiglia venuto a trovarci”.

Una “visita” avvenuta per il primo centenario della morte del fondatore dell’Opera Don Guanella, con il pellegrinaggio delle sue spoglie nelle realtà ecclesiali guanelliane del Centro-Sud Italia, in corso dal 16 aprile al 1° giugno.

L’evento – spiega don Matteo – vuole solennizzare questa ricorrenza, ma anche far conoscere, a credenti e non credenti, il carisma del Santo e il valore sociale della sua opera.

“Un carisma – prosegue – che aveva trascinato un gruppo di persone attorno a lui, ma che è ancora vivo e che trascina anche noi, sacerdoti, suore e volontari cooperatori guanelliani, convinti dell’attualità e forza del suo messaggio. La presenza delle sue spoglie ci rende tutti più vivi e forti. Il sentirlo vicino a noi, come il nostro capofamiglia, ravviva la nostra fede in Dio e nella Sua provvidenza”.

Don Matteo ricorda inoltre che ai tempi di don Guanella non c’era lo stato sociale, quindi “lui si prodigava per assistere e aiutare poveri e malati non solo per filantropia ma perché in loro vedeva il volto di Dio. Il suo è un messaggio sempre attuale, anche se con il tempo la società ha preso maggiore coscienza della necessità di non abbandonare chi ha bisogno. Ma c’è sempre tanto da fare per la sussidiarietà nel campo della assistenza. L’epoca tecnologica infatti non ha cancellato i poveri, anzi! Anche Papa Francesco ha denunciato questa mentalità dello scarto per cui chi non produce sottrae risorse, ed è dunque da scartare… come i nostri ‘ragazzi’ con le loro disabilità cognitive gravi”.

Questo pellegrinaggio dell’urna con le spoglie del fondatore dell’Opera Don Guanella, proclamato santo nel 2011, deve servire anche – secondo don Matteo – “a farlo conoscere meglio e renderlo più vicino al nostro territorio. A fare sapere che c’è un’istituzione come la nostra, che ha bisogno dell’aiuto di tutti: non solo dei rappresentanti degli enti locali, venuti in questi giorni a onorare le sue spoglie, ma anche del sostegno della gente comune”.

Nella conversazione con La Voce, il direttore del Centro Sereni lo sottolinea più volte: “Ci sentiamo troppo soli. C’è bisogno di maggiore attenzione alla nostra realtà, ai nostri problemi”.

Un’ultima domanda: come avrebbe affrontato don Guanella, oggi, questi problemi? La risposta di don Matteo: “Con la fede nella Provvidenza, lui ha superato tante difficoltà, seppure con qualche fallimento. Ma anche la Provvidenza ha bisogno di sussidi, risorse, e cammina con la previdenza”.

 

IL CENTRO SERENI DI PERUGIA

Il Centro “Sereni”, che assiste disabili di sesso maschile con disturbi cognitivi, è la sola presenza dell’Opera Don Guanella in Umbria. Una storia che comincia nel 1946 nelle campagne di Marsciano per la generosità dei coniugi Sereni, i quali donarono la loro villa di famiglia e l’ampia tenuta agricola di Sant’Elena. Con il ricavato della vendita di alcuni di questi terreni fu acquistato poi il terreno vicino a Perugia, dove nel 1959 fu inaugurato l’attuale Centro: una struttura socio-riabilitativa ed educativa che oggi accoglie in trattamento residenziale 60 persone, più altre 15 in trattamento semi-residenziale.

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Al via l’ostensione della Sindone a Torino https://www.lavoce.it/al-via-lostensione-della-sindone-a-torino/ Fri, 24 Apr 2015 09:51:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31778

[caption id="attachment_31780" align="alignleft" width="350"]L’ostensione della Sindone L’ostensione della Sindone[/caption] Per i giornalisti è cominciata in duomo, con un percorso a ritroso rispetto agli altri pellegrini, l’ostensione della Sindone. “È il momento più importante del mio servizio episcopale”, ha detto con voce commossa mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino. È la prima ostensione per lui, in veste di “custode” del sacro lino.Intanto da domenica 19 è cominciata l’affluenza dei pellegrini; già ne sono previsti due milioni. Sotto la Sindone viene esposto il Compianto sul Cristo morto del Beato Angelico. Ciò infatti di cui quel lenzuolo è testimonianza - ha detto ancora mons. Nosiglia - è “un amore così grande che non si è lasciato vincere dal male. Anche sulla croce, l’amore di Dio è sempre più forte di ogni avversità. Non è la contemplazione di un morto, ma di una persona, Gesù, che attraverso il dono di sé ci ha dato la vita. Non siamo noi che contempliamo, ma è Lui che ci fa capire che ci sta guardando”, ha commentato, sulla scorta delle parole pronunciate da Papa Francesco durante l’ostensione televisiva del 2013: “Lasciamoci raggiungere da questo sguardo, che non cerca i nostri occhi ma il nostro cuore”. Altra novità è una scultura in alluminio che riproduce la Sindone per i non-vedenti, permettendo loro di “farsi un’idea” della figura del Salvatore. Per tutti gli altri, in una sala che precede la visita vera e propria, un filmato illustra dettaglio per dettaglio le diverse parti della sacra immagine. I pellegrini potranno inoltre visitare tutti i giorni (tranne il 20 e il 21 giugno, in occasione della visita del Papa), dalle 7.30 alle 19.30, i grandi pannelli sui “santi sociali” di Torino, da don Bosco, di cui si celebrano i 200 anni dalla nascita, fino alla beatificazione più recente, quella di Chiara Badano. Particolare attenzione è riservata ai malati e ai disabili, per i quali - per la prima volta a Torino - sono state realizzate due accueil sul modello di Lourdes. Ogni giorno, dei volontari - ce ne saranno 4.600 in tutto - resteranno a disposizione per la corsia prioritaria a loro riservata. Due le “penitenzierie” per le confessioni: una davanti al duomo, in piazza san Giovanni, e l’altra nella chiesa dello Spirito Santo in via Porta Palatina. A fare da guida ai giornalisti presenti alla conferenza stampa è mons. Giuseppe Ghiberti, biblista e presidente onorario della Commissione diocesana per l’ostensione della Sindone. Si percorre insieme la chiesa del Santo Sudario, che prende il nome dall’omonima confraternita fondata nel 1598, una quindicina d’anni dopo l’arrivo del sacro lino a Torino (prima era conservato in Savoia, ad Annecy). È in questa chiesa, alla quale è annesso il Museo della Sindone, che si custodis [caption id="attachment_31779" align="alignleft" width="186"]sindone Il "negativo" del telo mostra una chiara immagine dell'uomo della Sindone[/caption] ce il telo: ora che la reliquia è in duomo per l’ostensione, ne rimane una fedele riproduzione, nella cornice originale offerta dai Savoia. “La Chiesa - dice mons. Ghiberti - non ha la competenza diretta per stabilire l’autenticità della Sindone”, cosa che spetta agli studiosi, come aveva ricordato Giovanni Paolo II. In ogni caso, la Sindone “è un segno: non conta per se stesso, conta per ciò a cui rimanda. E può essere un aiuto a vivere la fede. Avevo un quadro della Sindone in casa, e mia madre me ne raccontava la storia senza problemi”. Poi, con il crescere dell’età e gli studi biblici, “mi sono reso conto che c’era una corrispondenza innegabile con il Vangelo”.   Dati salienti È cominciata domenica 19 aprile, con la messa solenne nel duomo di Torino, presieduta dall’arcivescovo Cesare Nosiglia, l’ostensione della Sindone, che terminerà il 24 giugno. Una delle più lunghe della storia, 67 giorni, con cifre di affluenza che, stando alle stime attuali, si aggireranno intorno ai 2 milioni di presenze. Il 21-22 giugno, Papa Francesco sarà a Torino per venerare la Sindone e rendere onore a san Giovanni Bosco nel secondo centenario della nascita.  ]]>

[caption id="attachment_31780" align="alignleft" width="350"]L’ostensione della Sindone L’ostensione della Sindone[/caption] Per i giornalisti è cominciata in duomo, con un percorso a ritroso rispetto agli altri pellegrini, l’ostensione della Sindone. “È il momento più importante del mio servizio episcopale”, ha detto con voce commossa mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino. È la prima ostensione per lui, in veste di “custode” del sacro lino.Intanto da domenica 19 è cominciata l’affluenza dei pellegrini; già ne sono previsti due milioni. Sotto la Sindone viene esposto il Compianto sul Cristo morto del Beato Angelico. Ciò infatti di cui quel lenzuolo è testimonianza - ha detto ancora mons. Nosiglia - è “un amore così grande che non si è lasciato vincere dal male. Anche sulla croce, l’amore di Dio è sempre più forte di ogni avversità. Non è la contemplazione di un morto, ma di una persona, Gesù, che attraverso il dono di sé ci ha dato la vita. Non siamo noi che contempliamo, ma è Lui che ci fa capire che ci sta guardando”, ha commentato, sulla scorta delle parole pronunciate da Papa Francesco durante l’ostensione televisiva del 2013: “Lasciamoci raggiungere da questo sguardo, che non cerca i nostri occhi ma il nostro cuore”. Altra novità è una scultura in alluminio che riproduce la Sindone per i non-vedenti, permettendo loro di “farsi un’idea” della figura del Salvatore. Per tutti gli altri, in una sala che precede la visita vera e propria, un filmato illustra dettaglio per dettaglio le diverse parti della sacra immagine. I pellegrini potranno inoltre visitare tutti i giorni (tranne il 20 e il 21 giugno, in occasione della visita del Papa), dalle 7.30 alle 19.30, i grandi pannelli sui “santi sociali” di Torino, da don Bosco, di cui si celebrano i 200 anni dalla nascita, fino alla beatificazione più recente, quella di Chiara Badano. Particolare attenzione è riservata ai malati e ai disabili, per i quali - per la prima volta a Torino - sono state realizzate due accueil sul modello di Lourdes. Ogni giorno, dei volontari - ce ne saranno 4.600 in tutto - resteranno a disposizione per la corsia prioritaria a loro riservata. Due le “penitenzierie” per le confessioni: una davanti al duomo, in piazza san Giovanni, e l’altra nella chiesa dello Spirito Santo in via Porta Palatina. A fare da guida ai giornalisti presenti alla conferenza stampa è mons. Giuseppe Ghiberti, biblista e presidente onorario della Commissione diocesana per l’ostensione della Sindone. Si percorre insieme la chiesa del Santo Sudario, che prende il nome dall’omonima confraternita fondata nel 1598, una quindicina d’anni dopo l’arrivo del sacro lino a Torino (prima era conservato in Savoia, ad Annecy). È in questa chiesa, alla quale è annesso il Museo della Sindone, che si custodis [caption id="attachment_31779" align="alignleft" width="186"]sindone Il "negativo" del telo mostra una chiara immagine dell'uomo della Sindone[/caption] ce il telo: ora che la reliquia è in duomo per l’ostensione, ne rimane una fedele riproduzione, nella cornice originale offerta dai Savoia. “La Chiesa - dice mons. Ghiberti - non ha la competenza diretta per stabilire l’autenticità della Sindone”, cosa che spetta agli studiosi, come aveva ricordato Giovanni Paolo II. In ogni caso, la Sindone “è un segno: non conta per se stesso, conta per ciò a cui rimanda. E può essere un aiuto a vivere la fede. Avevo un quadro della Sindone in casa, e mia madre me ne raccontava la storia senza problemi”. Poi, con il crescere dell’età e gli studi biblici, “mi sono reso conto che c’era una corrispondenza innegabile con il Vangelo”.   Dati salienti È cominciata domenica 19 aprile, con la messa solenne nel duomo di Torino, presieduta dall’arcivescovo Cesare Nosiglia, l’ostensione della Sindone, che terminerà il 24 giugno. Una delle più lunghe della storia, 67 giorni, con cifre di affluenza che, stando alle stime attuali, si aggireranno intorno ai 2 milioni di presenze. Il 21-22 giugno, Papa Francesco sarà a Torino per venerare la Sindone e rendere onore a san Giovanni Bosco nel secondo centenario della nascita.  ]]>
Opportunità nella disabilità https://www.lavoce.it/opportunita-nella-disabilita/ Wed, 01 Apr 2015 14:47:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31191 Attività e laboratori per disabili
Attività e laboratori per disabili

Sono otto gli incontri tematici promossi dall’Istituto Serafico di Assisi, rivolti non solo a genitori di figli con disabilità ma anche agli insegnanti e a quanti operano nel settore, nell’ambito dell’iniziativa “Le risorse dei genitori – Opportunità nella disabilità” giunta alla quinta edizione. Al centro è la convinzione che, attraverso il confronto tra partecipanti ed esperti del settore, si possa realizzare una rete di solidarietà interdisciplinare e sociale, a partire dalla famiglia quale nucleo fondante della comunità, chiamata ad affrontare molteplici sfide – e battaglie – nella quotidianità. Il primo intervento è stato, sabato scorso, quello di padre Alfredo M. Avallone, conventuale, cappellano del Serafico stesso, il quale ha affrontato il tema “La formazione cristiana nel disabile grave”. A seguire, il 16 maggio Miranda Crisopulli (neuropsichiatra infantile, responsabile del servizio di Neuropsichiatria e riabilitazione nell’età evolutiva, Asl Umbria 1, distretto del Perugino) offrirà il proprio contributo “Verso una cultura del diversamente normale. Dalla nascita all’età adulta”. Sarà Francesca Piccardi (tiflopedagogista, responsabile del Centro di consulenza tiflodidattica della Federazione italiana prociechi) ad affrontare il 13 giugno il tema “Di che colore è il vento? I libri tattili illustrati e il valore pedagogico della lettura plurisensoriale”. Il 26 settembre il neurologo Pierluigi Brustenghi (responsabile dell’unità Gcla e malattie cerebrovascolari presso l’ospedale San Giovanni Battista di Foligno) tratterrà “Il ruolo delle emozioni degli apprendimenti”. Il 24 ottobre la prof.ssa Laura Arcangeli (docente di Pedagogia e didattica speciale, delegato del Rettore per la disabilità e il Dsa presso l’Università degli studi di Perugia) parlerà del “Progetto educativo individualizzato: parte integrante del Pri”, mentre il 21 novembre spetterà a Paola De Lisio, giudice tutelare presso il Tribunale civile di Perugia, affrontare il tema “Protezione e cura dei soggetti deboli: aspetti amministrativi e gestionali”. Infine il 12 dicembre Rita Antonini (dirigente medico, responsabile Uos Strutture semiresidenziali assistenza anziani e disabili adulti, Asl Umbria 1, distretto del Perugino) concluderà con “La rete dei servizi della disabilità”.

 

Informazioni

Gli incontri seminariali si svolgono tutti di sabato mattina (ore 9.30 – 11.30) presso l’Istituto Serafico, e sono distribuiti tra marzo e dicembre 2015. Le tematiche, debitamente affrontate da esperti professionisti, spaziano dagli aspetti della riabilitazione a quelli giuridici e sociali, al fine di offrire a genitori e operatori un’occasione di confronto e di approfondimento. Per informazioni contattare Maria Grazia Rossi telefonando allo 075 812411 – interno 223, o scrivendo all’indirizzo mariagraziarossi@serafico.it.

 

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ISTITUTO SERAFICO. Delegazione del Governo egiziano in visita ‘di studio’ https://www.lavoce.it/istituto-serafico-delegazione-del-governo-egiziano-in-visita-di-studio/ Tue, 17 Feb 2015 10:34:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30362 La delegazione in visita al Serafico
La delegazione in visita al Serafico

Nei giorni scorsi una delegazione egiziana ha visitato il Serafico. All’incontro hanno preso parte la presidente dell’istituto, Francesca Di Maolo, e il direttore sanitario Sandro Elisei, Hossam Fouda, consigliere del ministero dei Trasporti in Egitto, Fouad Hamed, imprenditore nel settore turistico e referente di un’associazione di disabili in Egitto, Mona Hamed, delegato della municipalità del Cairo, Amani Wahba, delegato del ministero della Sanità. I delegati erano accompagnati da Elaw Gomaa, rappresentante della comunità egiziana in Umbria, e da Maria Luisa Bomba, referente Acsi. “L’Egitto – lo hanno descritto i delegati in visita – è una nazione che desidera iniziare un programma di supporto ai bambini disabili e alle loro famiglie. Attualmente non esistono strutture di riabilitazione per persone con disabilità, pur registrando un 10% di popolazione egiziana affetta da disabilità di vario tipo”. I delegati del Governo egiziano hanno potuto osservare da vicino la mission del Serafico: portare avanti un programma riabilitativo individuale finalizzato al massimo livello di miglioramento, per aumentare la qualità della vita del ragazzo e della sua famiglia. Tale incontro apre un nuovo percorso di comunicazione e scambio tra l’Istituto Serafico di Assisi e il Governo egiziano, nel desiderio di poter sostenere i bambini con disabilità che vivono in Egitto. Il primo passo da compiere è pertanto apprendere i programmi di riabilitazione, con la disponibilità del Serafico.

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L’Associazione cristiana residenze anziani e disabili chiede ascolto alla Regione https://www.lavoce.it/lassociazione-cristiana-residenze-anziani-e-disabili-chiede-ascolto-alla-regione/ Mon, 16 Feb 2015 16:55:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30357 Fontenuovo
Fontenuovo

La grave crisi economica che sta progressivamente riducendo le risorse per le politiche di welfare, sta condizionando pesantemente anche le attività delle istituzioni aderenti alla Acradu l’ Associazione cristiana residenze anziani e disabili. Sono una trentina, con 1300 ospiti tra anziani e disabili, che occupano un migliaio di persone tra infermieri, medici, addetti alla amministrazione ed ai vari servizi, affiancati da centinaia di volontari. Una situazione difficile che potrebbe mettere in discussione la loro preziosa ed insostituibile presenza nel campo socio-assistenziale-sanitario, con ripercussioni ancora più gravi sulle oltre mille famiglie umbre degli assistiti. Per questo l’ Acradu rinnova l’appello alla Regione per un “confronto diretto” sulla programmazione sanitaria in merito alla assistenza agli anziani non autosufficienti ed ai disabili. Lo fa con una intevista a La Voce uno dei componenti del direttivo, don Matteo Rinaldi, che è anche direttore dell’ Opera Don Guanella-Centro Sereni.

“L’ Acradu – spiega – ha compiuto quest’anno i suoi primi 13 anni di attività. Promossa dalla Conferenza episcopale umbra, si è costituita infatti l’8 ottobre 2002 ad Assisi come associazione non profit, su iniziativa della Consulta regionale ‘Problemi sociali e Lavoro, Giustizia e Pace’ e della Consulta regionale Pastorale della Salute. La sede legale è presso il Seminario regionale di Assisi mentre quella operativa si trova all’Istituto Serafico di Assisi. Riunisce trenta istituzioni che svolgono in Umbria attività a favore di anziani e disabili, gestite da diocesi, istituzioni religiose e secolari o da istituzioni laiche che si ispirano ai valori cristiani”.

Quali gli scopi dell’ associazione?

“L’Acradu si prefigge di essere strumento di comunione non solo giuridico ma soprattutto spirituale ed evangelico tra le istituzioni aderenti e promuove lo sviluppo delle istituzioni aderenti, assicurando la necessaria assistenza e consulenza rispetto alla sempre più complessa ed esigente normativa nazionale e regionale. Si collega con le comunità cristiane locali per promuovere in generale la pastorale della sofferenza, la difesa della vita e mantenere viva la scelta preferenziale per i poveri. Sostiene le istituzioni aderenti nell’impegno di formazione etico-religiosa e l’aggiornamento professionale degli operatori dei servizi socio–sanitari. I suoi compiti principali sono quelli di rappresentare unitariamente le istituzioni aderenti presso la Regione e le altre autorità competenti e collaborare con loro per l’esame e la definizione delle problematiche socio–sanitarie a livello regionale e locale”.

Con quali risultati?

“In questi anni di attività l’Acradu ha avuto un ruolo importante nell’opera di accompagnamento e consulenza delle istituzioni aderenti nel percorso di adeguamento strutturale ed organizzativo previsto dalla legge per ottenere il riconoscimento e l’autorizzazione delle autorità pubbliche e per la stipula delle relative convenzioni. Allo stesso tempo l’Acradu, accreditata presso la Regione Umbria quale soggetto rappresentativo, ha partecipato ai Tavoli di consultazione regionale contribuendo alla definizione della legislazione (Piani sanitario e sociale regionali) e della normativa collegata”.

Quindi un ruolo importante il vostro….

“Negli ultimi anni, però, le cose sono cambiate, anche per la cosiddetta ‘crisi della politica’ e per la grave crisi economica che sta progressivamente riducendo le risorse economiche disponibili per le politiche di welfare. In tale quadro le istituzioni politiche e amministrative (Regione e Comuni) stanno dimostrando la loro inadeguatezza a fronteggiare la situazione, si arroccano con la scusa delle minori risorse economiche e, conseguentemente, hanno abbandonato la pratica del confronto e della partecipazione democratica”.

Dunque Regione e Comuni non vi ascoltano?

“In questa fase c’è una difficoltà di interlocuzione costante e incisiva con la Regione. Non riusciamo ad avere un confronto diretto su ciò che già fa parte dell’agenda regionale riguardo la programmazione sanitaria nell’ambito della grave e lieve non autosufficienza degli anziani e nell’ambito della grave pluridisabilità. Tale situazione non fa altro che accrescere le difficoltà e sta condizionando pesantemente l’operato degli associati, sino ad una possibile messa in discussione della loro presenza nel campo socio–assistenziale e sanitario”.

Sta dicendo quindi che alcune delle vostre associazioni potrebbero ridurre o sospendere le loro attività?

“In una realtà sociale, economica e politica che sembra aver perso l’orizzonte del bene comune è importante che l’Acradu qualifichi la sua presenza per una rappresentanza unitaria autorevole nei confronti delle istituzioni, in particolare la Regione, per superare l’inadeguata distinzione tra pubblico e privato che ancora permane in Umbria per motivi culturali e ideologici e per contribuire ad una più giusta normativa di programmazione e gestione delle politiche socio–sanitarie nella nostra regione”.

Quali saranno dunque le vostre iniziative per spingere Regione e Comuni ad avviare quel confronto diretto che negli ultimi tempi vi è stato negato?

“Il 28 febbraio prossimo si terrà l’assemblea dei soci presso l’Istituto Fontenuovo di Perugia. Sarà un importante momento di riflessione che vedrà tutti coinvolti nell’esaminare le problematiche più importanti, allo scopo di proporre ed approntare strategie future di intervento”.

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Accogliere, cioè… https://www.lavoce.it/accogliere-cioe/ Fri, 06 Feb 2015 13:57:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30219 “Accogliere” la persona debole: facile e dirsi, tutt’altro che facile a farsi. Perché occorre mettere a fuoco con quella persona la verità della sua condizione, che ha bloccato certe sue competenze e abilità, ma ha lasciato intatta la sua dignità; e occorre dimostrarle con i fatti che, accanto, ci sono persone disposte a scommettere sulla sua persona e a instaurare relazioni non funzionali né pietistiche, ma di taglio personale.

A chi, in primis, fa capo l’impegno ad accogliere come persona il disabile o l’anziano decrepito? A chi si dedica alla riabilitazione, ma anche alla società nel suo insieme. Il vero recupero consiste nel re-imparare a vivere in ambienti sempre meno specifici, senza ‘reti di protezione’.

Di nuovo: facile a dirsi… È un dato di fatto il “disturbo” che nel cittadino medio provocano il “fuori di testa”, il tossicodipendente, il focomelico, il tetraparetico. E non poteva essere diversamente, perché nella cultura in cui viviamo immersi dominano la bellezza, l’efficienza, la funzionalità, il successo; il denaro, soprattutto. All’eliminazione fisica dei disabili gravi è subentrata l’emarginazione culturale. L’emarginazione viene percepita come una malattia sociale specifica, tale da colpire solo alcuni soggetti. Ma è tutt’altra cosa, è uno dei sintomi più gravi di una malattia che colpisce tutta la società e la sua cultura, un morbo che colpisce tutti i suoi membri.

Incapacità di accogliere il diverso, razzismo strisciante, cultura del più forte. L’handicappato, come tutti coloro che non rientrano nello standard, deve giustificare sine die il fatto di essere al mondo.

E Serenthà, provocatoriamente, si chiede: devo accogliere l’handicappato anche se è diverso da me? Oppure devo accoglierlo come se non fosse diverso da me? Oppure devo accoglierlo proprio perché è diverso da me? L’unica risposta veramente degna dell’uomo è… il rifiuto di rispondere a domande del genere. Se vivessimo in una società veramente accogliente, ad alto contenuto di umanità, dovremmo poter dire: non vedo perché dovrei “motivarmi” ad accogliere l’handicappato.

Il “principio di tolleranza” non di rado ha offerto copertura ideologica sia all’emarginazione per la tangente inferiore (segregato in casa, a non far nulla per tutta la vita, o relegato in un istituto, a dividere per tutta la vita la camera da letto con cinque estranei) sia all’emarginazione per la tangente “superiore” (super-protetto e viziato dai genitori, coccolato dai giovani della parrocchia: “amici” che, se non fosse stato invalido, non si sarebbero mai avvicinati). Nel Nord Europa lo Stato Buono e Puntuale ogni mattina gli fa trovare un biglietto di banca da 100 euro sul comodino, con preghiera di non chiedersi chi ce l’ha messo.

Paradossalmente anche noi cristiani abbiamo in qualche modo contribuito a fare dell’accoglienza (del disabile e del povero in genere) non la regola ma l’eccezione. È successo quando, innalzando fino al cielo gli eroi della carità cristiana, abbiamo insinuato – pressapoco – un ragionamento di questo tipo: noi cristiani medi facciamo altre cose, ma ci sentiamo vicini ai tanti preti e frati e suore e laici che, eroicamente, anche a nome nostro, accolgono i più deboli.

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Ricominciando “ab ovo” https://www.lavoce.it/ricominciando-ab-ovo/ Fri, 16 Jan 2015 12:39:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29820 DON ANGELO fanucciNella seduta del Consiglio direttivo dell’Acradu del 13 gennaio ci siamo riproposti di ripensare a fondo la natura della nostra associazione di secondo livello (associazione di associazioni), e di renderla di nuovo efficiente sul piano di una seria e serena rappresentanza politica di fronte all’autorità regionale, che è e rimane il titolare primo del bene comune nel settore sociale e sanitario.

“Titolare primo” però non vuol dire che la Regione debba fare tutto lei. Fu la tentazione (“Fàso tuto mì”) che prese campo quando la Regione nacque nel 1970; una tentazione condita di presunzione piccante più del peperoncino colto e tritato. Io ne avverti il sapore acre quando, dopo tre anni di vita in comune gioiosamente vissuta con i miei eccellenti disabili, a Fabriano, in via Gentile 26, alla metà degli anni ’70 fui spinto dal calore dei miei eccellenti eugubini ad aprire una nuova comunità a Gubbio. L’assessorato alla Sanità era allora in via San Bonaventura, una traversa di via dei Filosofi, In portineria c’era un certa signorina Pagliari, attempatella, piccolina, giallina, che doveva credere fermamente di essere in credito con la vita, visto come mi trattava: “Faccia la sua anticamera, per favore”, con l’accento tonico su tutt’e tre le sillabe (e io: ma è già passata un’ora e un quarto!). Oppure, secca: “L’Assessore non c’è!” (e io: ma se l’ho visto là in fondo un momento fa!).

Le cose cambiarono quando, poco dopo, aprì i battenti, sul monte Ansciano, nell’ex convento dei Minori francescani, la Comunità di San Girolamo (poi Centro lavoro cultura, poi Comunità di Capodarco dell’Umbria). Venne una volta l’assessore, uno spoletino di cui non ricordo il nome, vennero più volte prima il dr. Rossi, medico provinciale, poi la dr. Losito Baldasserini. Tra la Regione Umbria e noi nacque così un feeling straordinario, che si tradusse, fra l’altro, nel fatto che diverse volte da Perugia furono dirottate a Gubbio alcune delegazioni di Paesi europei calate in Umbria per sapere come funzionava il settore socio-assistenziale nel cuore verde d’Italia.

Intanto noi stavamo lavorando su quale dovesse essere lo specifico della nostra azione a favore dei soggetti deboli; eravamo infatti ancora legati alla ragione sociale (“la formazione umana e cristiana dei disabili”) del Centro comunitario “Gesù Risorto”, ente di diritto ecclesiastico fondato da don Franco Monterubbianesi negli anni ’60 e poi riconosciuto anche dal diritto civile.

Lunghe discussioni nel Consiglio intercomunitario di Capodarco. Chi centrò il bersaglio fu il giovane don Vinicio Albanesi, classe 1953, la cui proposta nel 1984 ebbe il consenso di tutti: “La Comunità di Capodarco persegue lo sviluppo della persona, con particolare attenzione agli emarginati”. L’emarginazione è il mostro da battere. L’emarginazione dei disabili, degli anziani, dei tossicodipendenti, dei fuori di testa, dei barboni, dei vu’ cumprà

Eccolo, il punto da cui ripartire. Ab ovo, cioè dall’epicentro del problema.

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Doppiamente sconosciuta https://www.lavoce.it/doppiamente-sconosciuta/ Fri, 09 Jan 2015 18:26:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29729 Sull’intonso calendario, debitamente appeso per l’ennesima volta al posto che gli compete nel mio studiolo, ufficialmente è passato un anno da quando, nel 2014, prendemmo a disquisire sul presente e sul futuro dell’Acradu, Associazione cristiana delle residenze per anziani e disabili dell’Umbria. In realtà sono passati solo quindici giorni, sufficienti però a rendermi conto di come, nei nostri ambiti ecclesiali, l’Acradu sia praticamente sconosciuta. Doppiamente sconosciuta.

Sconosciuta al livello di rappresentanza delle realtà ecclesiali umbre impegnate nei due settori del suo acronimo; impegnate non in maniera eroico-individualista, ma in doveroso dialogo con le Autorità regionali del settore socio-sanitario, alle quali tocca di diritto non il ruolo di factotum (visto che Stalin è morto nel 1953), ma il compito di autenticare, controllare e coordinare tutte le iniziative che nascono dalla società civile. Il che, fra l’altro, oltre che migliorare decisamente la qualità complessiva del servizio, allevia il carico eccessivo che graverebbe sul Pubblico. Ci fu un tempo in cui i documenti ufficiali della Sanità umbra indicavano come propria dell’Acradu questa funzione di rappresentanza. Oggi non più: quel comma è scomparso, un’anonima forbice ha tagliato il filo d’Arianna. Quale e manovrata da chi sia stata questa forbice, come e perché abbia reciso quel filo… è tutto da scoprire. Credo che potremo rispondere a questi dubbi semi-amletici nelle prossime riunioni dell’Acradu.

Sconosciuta, l’Acradu, a livello di sostanza, di quella qualità che ne caratterizza, o almeno dovrebbe caratterizzarne, l’impegno. Un tema che dovremo mettere a fuoco prioritariamente, per chiarire il profilo di quel nostro impegno anzitutto a noi stessi, poi ai settori socio-sanitari pubblici di riferimento.

La flebile luce di questo minuscolo angolo della cultura umbra che è la nostra Abat-jour cercherà di offrire materiale per rispondere agli interrogativi legati dal chiarimento suddetto, non senza un pizzico di sal sapientiae: solo un pizzico, please!, appena un’insaporita.

Grazie a Dio, quello che sto per proporre ai miei 17 lettori non è fiorito nei logori meandri dei miei circuiti cerebrali, ma l’ho preso di sana pianta da uno studio dal titolo L’handicappato e la comunità cristiana (ma “senza pretesa di completezza”, dice lui), pubblicato nel 1981, su uno dei Quaderni di ricerca e documentazione della Ilep di Milano, da don Luigi Serenthà, rettore del Seminario maggiore: uno degli uomini di fiducia del card. Martini, che dopo appena qualche mese il cancro avrebbe portato via, tra le braccia di quel suo amatissimo Signore che aveva servito nei ruoli più diversi. Un ottimo strumento: quando insegnavo alla Lumsa lo usavo a mitraglia. Vedrete.

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Accogliere disabili per batterne l’emarginazione https://www.lavoce.it/accogliere-disabili-per-batterne-lemarginazione/ Fri, 12 Dec 2014 12:20:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29477 DON ANGELO fanucci“Come va? Non c’è male!”. In genere rispondiamo con questa inconscia litote a quello stereotipato interrogativo di maniera. Litote: invece di affermare una certa cosa, nego il suo contrario. Roba di una routine talmente routinaria che non se ne accorge nessuno.

Potrei ricorrere anch’io a questa consunta figura retorica per esprimere l’impressione che ho avuto dalla partecipazione, il primo dicembre scorso, al consiglio dell’Acradu, Associazione cattolica delle residenze per anziani e disabili dell’Umbria. Ci sono tornato anni dopo, dopo che don Roberto Revelant, che nell’Acradu ha rappresentato a lungo la mia Comunità di Capodarco dell’Umbria, l’ha lasciata per assumere il servizio di direttore della Caritas diocesana di Gubbio.

Due giorni dopo il nuovo (nuovo per me) direttore del Serafico, Giocondo Leonardi, antica e molto apprezzata conoscenza, sempre nel campo del servizio ai più deboli, anche se in altra veste, mi ha inviato lo statuto dell’Acradu, tra i cui firmatari (guarda guarda!) figuravo anch’io. Da quello statuto chiaramente si capisce che questa associazione di secondo livello (Associazione di associazioni) che è l’Acradu da una parte sul piano giuridico si pone come rappresentanza para/sindacale delle Associazioni iscritte (e una volta, in diversi documenti ufficiali della Regione, aveva il riconoscimento esplicito di questo suo ruolo, ora non più), dall’altra sul piano ideale insiste nel presentare lo specifico che caratterizza, o dovrebbe caratterizzare, le nostre realtà d’ispirazione evangelica nei confronti di altre realtà che lavorano nel campo della disabilità con l’intento di svolgere con coscienza un lavoro importante.

Il nostro specifico – dice lo statuto dell’Acradu- è il Primato della persona. Quelli di cui ci facciamo carico, prima di essere dei pazienti, sono persone. Bene. Ma che comporta, nella ferialità concreta di ogni giorno, l’aver collocato questo pilastro (il primato della Persona) al centro di tutta la costruzione? Vivere il primato della persona sulla frontiera della disabilità vuol dire innanzitutto battersi a fondo contro l’emarginazione dell’handicappato. L’handicap è … quello che è. Io ho perso un arto attraversando incautamente un binario; io soffro di distrofia, in quanto il mio apparato muscolare perde progressivamente di tono; io sono nato con un cromosoma per traverso, io (è il caso di mio figlio Franco) una volta che ho ridotto i termosifoni a “faffoni” e ho ribattezzato “Bacoletta” la mia carissima Nicoletta, non torno più indietro: “faffoni” sono e “faffoni” restano, “Bacoletta” è e “Bacoletta” rimane. Beh! Basta tanto poco per concludere che nella vita non c’è un posto per me? Un posto in cui possa fare quello che so fare. Grande o piccolo che sia poco importa. Un posto.

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