diritti Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/diritti/ Settimanale di informazione regionale Thu, 02 Dec 2021 16:41:39 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg diritti Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/diritti/ 32 32 Il diritto alla felicità? https://www.lavoce.it/il-diritto-alla-felicita/ Thu, 04 Mar 2021 11:23:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59451 Logo rubrica Il punto

Nei giorni scorsi, fra tante notizie di primo piano, ne è stata pubblicata una secondaria: un gruppo di opinione propone di inserire nella Costituzione italiana anche il “diritto alla felicità”; come nella Costituzione americana, dicono loro. Può sembrare una stravaganza: in questo mondo nessuno può promettere la felicità garantita per legge.

Ma viviamo in un Paese nel quale due anni fa, dal balcone di Palazzo Chigi, il vicepresidente del Consiglio annunciò che aveva abolito la povertà. Quindi certe proposte vanno prese sul serio. Dunque: non è vero che la Costituzione degli Stati Uniti parli del “diritto alla felicità”. La Dichiarazione di Indipendenza del 4 luglio 1776 dice invece che fra i diritti fondamentali assegnati direttamente dal Creatore a ogni creatura umana, oltre alla vita e alla libertà, c’è anche “la ricerca della felicità”, che è un concetto ben diverso: lo Stato non ha il potere di garantirti la felicità, però ha il dovere di metterti in condizione di ricercarla. È un pensiero bellissimo. Peccato che i degni gentiluomini che nel 1776 lo scrivevano fossero tutti ricchi proprietari di schiavi che lavoravano nelle loro piantagioni; che quelli avessero gli stessi diritti non gli passava nemmeno per l’anticamera del cervello.

Dovettero passare 90 anni perché la schiavitù venisse abolita ufficialmente; ma gli ex schiavi e i loro discendenti continuarono a essere discriminati anche legalmente. Nel 1955, in Alabama, Rosa Parks venne arrestata perché su un autobus pubblico aveva osato occupare un posto a sedere riservato ai bianchi. E non parliamo di quello che nel frattempo era accaduto a coloro che adesso chiamiamo i nativi americani, ma nei film western che mi deliziavano da ragazzino erano gli odiati pellirosse che giustamente facevano una brutta fine. Il Creatore, a quelli, il diritto alla ricerca della felicità non lo aveva dato? Vedete bene che è facile scrivere nelle Costituzioni alti princìpi e nobili parole, ma la realtà della vita non sempre, o quasi mai, vi corrisponde.

In politica si fa a gara a chi fa i proclami migliori, ma bisogna guardare, invece, a che cosa accade nella realtà e specialmente ai più disgraziati.

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Nei giorni scorsi, fra tante notizie di primo piano, ne è stata pubblicata una secondaria: un gruppo di opinione propone di inserire nella Costituzione italiana anche il “diritto alla felicità”; come nella Costituzione americana, dicono loro. Può sembrare una stravaganza: in questo mondo nessuno può promettere la felicità garantita per legge.

Ma viviamo in un Paese nel quale due anni fa, dal balcone di Palazzo Chigi, il vicepresidente del Consiglio annunciò che aveva abolito la povertà. Quindi certe proposte vanno prese sul serio. Dunque: non è vero che la Costituzione degli Stati Uniti parli del “diritto alla felicità”. La Dichiarazione di Indipendenza del 4 luglio 1776 dice invece che fra i diritti fondamentali assegnati direttamente dal Creatore a ogni creatura umana, oltre alla vita e alla libertà, c’è anche “la ricerca della felicità”, che è un concetto ben diverso: lo Stato non ha il potere di garantirti la felicità, però ha il dovere di metterti in condizione di ricercarla. È un pensiero bellissimo. Peccato che i degni gentiluomini che nel 1776 lo scrivevano fossero tutti ricchi proprietari di schiavi che lavoravano nelle loro piantagioni; che quelli avessero gli stessi diritti non gli passava nemmeno per l’anticamera del cervello.

Dovettero passare 90 anni perché la schiavitù venisse abolita ufficialmente; ma gli ex schiavi e i loro discendenti continuarono a essere discriminati anche legalmente. Nel 1955, in Alabama, Rosa Parks venne arrestata perché su un autobus pubblico aveva osato occupare un posto a sedere riservato ai bianchi. E non parliamo di quello che nel frattempo era accaduto a coloro che adesso chiamiamo i nativi americani, ma nei film western che mi deliziavano da ragazzino erano gli odiati pellirosse che giustamente facevano una brutta fine. Il Creatore, a quelli, il diritto alla ricerca della felicità non lo aveva dato? Vedete bene che è facile scrivere nelle Costituzioni alti princìpi e nobili parole, ma la realtà della vita non sempre, o quasi mai, vi corrisponde.

In politica si fa a gara a chi fa i proclami migliori, ma bisogna guardare, invece, a che cosa accade nella realtà e specialmente ai più disgraziati.

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Appello alla Rai: no alla partita in Arabia Saudita https://www.lavoce.it/no-partita-arabia-saudita/ Fri, 20 Dec 2019 12:24:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55958 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

di Tonio Dell’Olio

Il 22 dicembre al King Saud University Stadium di Riyadh si giocherà la partita di Supercoppa italiana Juventus-Lazio. La Lega calcio ufficialmente dichiara che la scelta è stata operata per promuovere il calcio italiano all’estero.

Al netto della mia ignoranza, che non mi consente di comprendere cosa significhi “promuovere il calcio italiano”, lasciatemi il legittimo sospetto che la scelta sia caduta sull’Arabia Saudita perché è disposta a pagare fior di milioni di euro per ospitare l’evento.

L’organo istituzionale del Calcio italiano aggiunge di aver ricevuto ampie rassicurazioni per il superamento della discriminazione di genere, per cui le donne potranno assistere alla partita. Ossia, le autorità saudite hanno dichiarato che un settore dello stadio sarà aperto alle famiglie, che tradotto significa: solo a un numero limitato di donne, accompagnate dai rispettivi mariti.

Il 18 dicembre presso il Comune di Assisi, capofila della richiesta di bandire la vendita delle bombe Rwm costruite in Sardegna ai sauditi che le usano contro la popolazione yemenita, la Federazione nazionale della stampa insieme al sindacato dei giornalisti Rai e alle associazioni “Sardegna pulita” e “Donne ambiente Sardegna”, hanno chiesto alla televisione di Stato di non trasmettere la partita.

E qualcun altro dirà che non si può operare quella scelta perché troppe prove dimostrano la copertura data dai Principi wahabiti (sauditi) al terrorismo. E qualcun altro ancora ci racconterà della continua violazione dei diritti umani in quel Paese, e di un giornalista coraggioso ucciso e fatto a pezzi... E qualcun altro ci ripeterà che l’Arabia Saudita ha tanti soldi.

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di Tonio Dell’Olio

Il 22 dicembre al King Saud University Stadium di Riyadh si giocherà la partita di Supercoppa italiana Juventus-Lazio. La Lega calcio ufficialmente dichiara che la scelta è stata operata per promuovere il calcio italiano all’estero.

Al netto della mia ignoranza, che non mi consente di comprendere cosa significhi “promuovere il calcio italiano”, lasciatemi il legittimo sospetto che la scelta sia caduta sull’Arabia Saudita perché è disposta a pagare fior di milioni di euro per ospitare l’evento.

L’organo istituzionale del Calcio italiano aggiunge di aver ricevuto ampie rassicurazioni per il superamento della discriminazione di genere, per cui le donne potranno assistere alla partita. Ossia, le autorità saudite hanno dichiarato che un settore dello stadio sarà aperto alle famiglie, che tradotto significa: solo a un numero limitato di donne, accompagnate dai rispettivi mariti.

Il 18 dicembre presso il Comune di Assisi, capofila della richiesta di bandire la vendita delle bombe Rwm costruite in Sardegna ai sauditi che le usano contro la popolazione yemenita, la Federazione nazionale della stampa insieme al sindacato dei giornalisti Rai e alle associazioni “Sardegna pulita” e “Donne ambiente Sardegna”, hanno chiesto alla televisione di Stato di non trasmettere la partita.

E qualcun altro dirà che non si può operare quella scelta perché troppe prove dimostrano la copertura data dai Principi wahabiti (sauditi) al terrorismo. E qualcun altro ancora ci racconterà della continua violazione dei diritti umani in quel Paese, e di un giornalista coraggioso ucciso e fatto a pezzi... E qualcun altro ci ripeterà che l’Arabia Saudita ha tanti soldi.

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Il Difensore civico: chi è? A che cosa serve? https://www.lavoce.it/difensore-civico-cosa-serve/ Thu, 20 Jun 2019 10:02:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54737 difensore civico

Dopo 23 anni, il 19 febbraio scorso il Consiglio regionale dell’Umbria ha nominato il Difensore civico votando Marcello Pecorari, unica candidatura presentata. E dopo quattro mesi, il 14 giugno, Pecorari ha presentato un primo bilancio della sua attività alla stampa spiegando anche chi e perché può richiedere il suo intervento.

“Il Difensore civico regionale opera per una pubblica amministrazione imparziale, trasparente, efficace ed efficiente negli ambiti della sanità, dei servizi sociali, della disabilità, di trasporti regionali, dei fondi europei e in ogni materia di competenza regionale” ha detto Pecorari, sottolineando che il difensore civico è chiamato a tutelare i cittadini da eventuali abusi o ritardi della pubblica amministrazione.

“Caratteristiche del difensore civico sono l’imparzialità, il non essere soggetto ad alcuna forma di controllo, la gratuità dei servizi” ha aggiunto Pecorari, annunciando che verrà a breve attivato un sito internet, mentre già sono in funzione un indirizzo di posta elettronica (difensorecivico@alumbria.it) e un numero telefonico (075 5763215) ai quali può essere contattato.

Quanto al bilancio, in questi primi mesi di attività il suo Ufficio ha ricevuto in media tre istanze al giorno di vario tipo, ma le più frequenti riguardano i rapporti con la sanità: il difensore civico è anche garante dei diritti del malato.

INFO UTILI SUL DIFENSORE CIVICO, LEGGE E AMBITI DI INTERVENTO sull'edizione digitale de La Voce.

M. R. V.

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difensore civico

Dopo 23 anni, il 19 febbraio scorso il Consiglio regionale dell’Umbria ha nominato il Difensore civico votando Marcello Pecorari, unica candidatura presentata. E dopo quattro mesi, il 14 giugno, Pecorari ha presentato un primo bilancio della sua attività alla stampa spiegando anche chi e perché può richiedere il suo intervento.

“Il Difensore civico regionale opera per una pubblica amministrazione imparziale, trasparente, efficace ed efficiente negli ambiti della sanità, dei servizi sociali, della disabilità, di trasporti regionali, dei fondi europei e in ogni materia di competenza regionale” ha detto Pecorari, sottolineando che il difensore civico è chiamato a tutelare i cittadini da eventuali abusi o ritardi della pubblica amministrazione.

“Caratteristiche del difensore civico sono l’imparzialità, il non essere soggetto ad alcuna forma di controllo, la gratuità dei servizi” ha aggiunto Pecorari, annunciando che verrà a breve attivato un sito internet, mentre già sono in funzione un indirizzo di posta elettronica (difensorecivico@alumbria.it) e un numero telefonico (075 5763215) ai quali può essere contattato.

Quanto al bilancio, in questi primi mesi di attività il suo Ufficio ha ricevuto in media tre istanze al giorno di vario tipo, ma le più frequenti riguardano i rapporti con la sanità: il difensore civico è anche garante dei diritti del malato.

INFO UTILI SUL DIFENSORE CIVICO, LEGGE E AMBITI DI INTERVENTO sull'edizione digitale de La Voce.

M. R. V.

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SEA WATCH. Doro, una delle persone salvate dalla nave https://www.lavoce.it/sea-watch-doro/ Wed, 30 Jan 2019 13:44:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53905 doro

Doro, che i membri dell’equipaggio della Sea Watch 3 chiamano “gigante gentile”, ha cicatrici ovunque, sul volto, sul corpo.

È stato torturato e picchiato ripetutamente in Libia; tre volte ha tentato di fuggire con un’imbarcazione in mare, e tre volte è stato riportato indietro dalla Guardia costiera libica e reso schiavo.

Lo hanno ferito con un Kalashnikov e, a causa dei postumi, ha perso parte della vista. Gli hanno spento sigarette sulla schiena per estorcergli denaro. La madre ha dovuto vendere casa per riscattarlo. Nelle carceri libiche ha visto morire il suo miglior amico. Doro è tra le 47 persone a bordo della Sea Watch, bloccata nel porto di Siracusa, eppure nonostante gli attacchi sui social – sui quali l’equipaggio li informa – ha ancora la gentilezza e il coraggio di dire: “Non biasimarli. Non hanno mai sofferto così. Non sanno cosa significa”. La sua storia è raccontata su Facebook da Brendan, uno dei soccorritori a bordo della Sea Watch.   [gallery columns="2" size="medium" ids="53906,53907"]

Brendan descrive Doro come una persona “forte” e “umile”, “generosa, gentile e premurosa”, tanto da lavare i piatti per aiutare l’equipaggio. Doro parla sette lingue e vuole raccontare a tutti la sua storia, simile a tante, “perché altri non soffrano come lui”.

La terza volta che ha provato la traversata nel Mediterraneo, ha sentito la voce di qualcuno da una nave che diceva ai naufraghi: “Ora siete in salvo”. “Sapeva che non era la Guardia costiera libica, perché non avrebbero mai detto loro quelle parole”.

Invece oggi, afferma Brendan, “la sua libertà è ancora negata”, perché è “tenuto ostaggio in mare dalle autorità italiane che rifiutano di farlo scendere a terra.

Doro, amico mio - conclude Brendan - , spero che l’Europa ti dia il benvenuto, e che possano lasciarti vivere e amare” come meriti.

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doro

Doro, che i membri dell’equipaggio della Sea Watch 3 chiamano “gigante gentile”, ha cicatrici ovunque, sul volto, sul corpo.

È stato torturato e picchiato ripetutamente in Libia; tre volte ha tentato di fuggire con un’imbarcazione in mare, e tre volte è stato riportato indietro dalla Guardia costiera libica e reso schiavo.

Lo hanno ferito con un Kalashnikov e, a causa dei postumi, ha perso parte della vista. Gli hanno spento sigarette sulla schiena per estorcergli denaro. La madre ha dovuto vendere casa per riscattarlo. Nelle carceri libiche ha visto morire il suo miglior amico. Doro è tra le 47 persone a bordo della Sea Watch, bloccata nel porto di Siracusa, eppure nonostante gli attacchi sui social – sui quali l’equipaggio li informa – ha ancora la gentilezza e il coraggio di dire: “Non biasimarli. Non hanno mai sofferto così. Non sanno cosa significa”. La sua storia è raccontata su Facebook da Brendan, uno dei soccorritori a bordo della Sea Watch.   [gallery columns="2" size="medium" ids="53906,53907"]

Brendan descrive Doro come una persona “forte” e “umile”, “generosa, gentile e premurosa”, tanto da lavare i piatti per aiutare l’equipaggio. Doro parla sette lingue e vuole raccontare a tutti la sua storia, simile a tante, “perché altri non soffrano come lui”.

La terza volta che ha provato la traversata nel Mediterraneo, ha sentito la voce di qualcuno da una nave che diceva ai naufraghi: “Ora siete in salvo”. “Sapeva che non era la Guardia costiera libica, perché non avrebbero mai detto loro quelle parole”.

Invece oggi, afferma Brendan, “la sua libertà è ancora negata”, perché è “tenuto ostaggio in mare dalle autorità italiane che rifiutano di farlo scendere a terra.

Doro, amico mio - conclude Brendan - , spero che l’Europa ti dia il benvenuto, e che possano lasciarti vivere e amare” come meriti.

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I fattorini sono sfruttati. Da chi? https://www.lavoce.it/fattorini-sfruttati/ Thu, 17 Jan 2019 08:05:28 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53800 Logo rubrica Il punto

di Pier Giorgio Lignani

Un piccolo episodio di cronaca giudiziaria di questi giorni. A Milano la corte d’Appello, in una causa civile, ha dato torto a una società multinazionale specializzata come altre nel consegnare a domicilio pasti pronti. I pasti sono ordinati dai clienti via internet a un ristorante scelto da loro, e sono portati – in motorino o in bicicletta – da un fattorino che lavora per conto di quella multinazionale. Presso i clienti la cosa ha successo perché il tutto è semplice e veloce e costa pochissimo.

In effetti il compenso del fattorino – che è compreso nel prezzo che il cliente paga via internet al momento dell’ordinazione, con la sua carta di credito – sono pochi spiccioli per ogni corsa, e nulla più. Un gruppo di fattorini ha fatto causa davanti al Tribunale di Milano per farsi riconoscere i diritti dei lavoratori dipendenti, ma hanno perso la causa perché il giudice ha ritenuto che si tratti di un lavoro “autonomo”. Adesso la corte d’Appello ha ribaltato la decisione; è probabile che ci sia un epilogo in Cassazione.

Sul piano legale la questione è sottile e non scommetterei sull’esito. Ma sul piano pratico è certo che quei fattorini sono sottopagati e sfruttati. Ma chi è che li sfrutta? La multinazionale che organizza i trasporti, i ristoranti che vendono i pasti, o qualcun altro? Secondo me, chi li sfrutta è principalmente il cliente. È lui che si gode il pasto a domicilio pagando una sciocchezza.

Se dovesse pagare il recapito come Dio comanda, forse troverebbe più conveniente alzarsi dalla poltrona e andare a prendersi quello che gli serve dove lo vendono; ma allora la multinazionale chiuderebbe e i fattorini non avrebbero più quel lavoro. Insomma, la multinazionale paga poco i fattorini non perché gli vuole male, ma perché così “vuole il Mercato”.

Chi è dunque il Mercato, questa mitica entità che decide le sorti di tutto? Il Mercato è ciascuno di noi, quando decidiamo se comprare, dove comprare e a che prezzo; e non ci rendiamo conto che anche tutti gli altri decidono nello stesso modo. Ricordiamocene, quando protestiamo contro gli effetti perversi del Mercato e contro le ingiustizie che produce.

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di Pier Giorgio Lignani

Un piccolo episodio di cronaca giudiziaria di questi giorni. A Milano la corte d’Appello, in una causa civile, ha dato torto a una società multinazionale specializzata come altre nel consegnare a domicilio pasti pronti. I pasti sono ordinati dai clienti via internet a un ristorante scelto da loro, e sono portati – in motorino o in bicicletta – da un fattorino che lavora per conto di quella multinazionale. Presso i clienti la cosa ha successo perché il tutto è semplice e veloce e costa pochissimo.

In effetti il compenso del fattorino – che è compreso nel prezzo che il cliente paga via internet al momento dell’ordinazione, con la sua carta di credito – sono pochi spiccioli per ogni corsa, e nulla più. Un gruppo di fattorini ha fatto causa davanti al Tribunale di Milano per farsi riconoscere i diritti dei lavoratori dipendenti, ma hanno perso la causa perché il giudice ha ritenuto che si tratti di un lavoro “autonomo”. Adesso la corte d’Appello ha ribaltato la decisione; è probabile che ci sia un epilogo in Cassazione.

Sul piano legale la questione è sottile e non scommetterei sull’esito. Ma sul piano pratico è certo che quei fattorini sono sottopagati e sfruttati. Ma chi è che li sfrutta? La multinazionale che organizza i trasporti, i ristoranti che vendono i pasti, o qualcun altro? Secondo me, chi li sfrutta è principalmente il cliente. È lui che si gode il pasto a domicilio pagando una sciocchezza.

Se dovesse pagare il recapito come Dio comanda, forse troverebbe più conveniente alzarsi dalla poltrona e andare a prendersi quello che gli serve dove lo vendono; ma allora la multinazionale chiuderebbe e i fattorini non avrebbero più quel lavoro. Insomma, la multinazionale paga poco i fattorini non perché gli vuole male, ma perché così “vuole il Mercato”.

Chi è dunque il Mercato, questa mitica entità che decide le sorti di tutto? Il Mercato è ciascuno di noi, quando decidiamo se comprare, dove comprare e a che prezzo; e non ci rendiamo conto che anche tutti gli altri decidono nello stesso modo. Ricordiamocene, quando protestiamo contro gli effetti perversi del Mercato e contro le ingiustizie che produce.

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Diritti umani. L’invito dei Campanari di Arrone https://www.lavoce.it/diritti-umani-campanari-arrone/ https://www.lavoce.it/diritti-umani-campanari-arrone/#comments Mon, 03 Dec 2018 12:00:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53527 arrone

Il 10 dicembre si celebra la Giornata mondiale dei diritti umani. Per l’occasione il Gruppo Campanari di Arrone, con il sostegno della Federazione nazionale suonatori di campane, promuove l’iniziativa “Suoniamo i Campanili d’Europa per sostenere i diritti umani”.

“Quest’anno, a causa dei lavori di restauro agli affreschi della chiesa di San Giovani Battista di Arrone non potremo suonare le campane – spiega il presidente Tullio Antonelli – ma considerato il successo avuto nelle passate edizioni, con l’adesione anche della Spagna e dell’Inghilterra, torniamo a lanciare nuovamente l’iniziativa auspicando che il trend positivo continui. Inoltre rivolgeremo un pensiero e un augurio di pronta rinascita alle zone colpite dal sisma”.

Il segno per Giornata dei diritti umani

L’iniziativa prevede un’esecuzione da effettuarsi la sera alle ore 20 della durata di dieci minuti. “Abbiamo già ricevuto qualche adesione, per esempio dalla provincia di Imperia, dal Sacro Convento di Assisi e dal comune di Assisi che suonerà la campana delle laudi (sacro bronzo di altissimo valore simbolico che ha già suonato in altre iniziative di pace) e dalla parrocchia di Eggi. Siamo in attesa di risposta dalla Spagna e dall’Inghilterra.

I suonatori di campane di Arrone

Il gruppo di Arrone è composto da sette persone, due delle quali sono donne. “Durante l’anno organizziamo la festa di Sant’Antonio e partecipiamo alla ‘Giornata dei Campanili aperti’, in collaborazione con il Fai – continua - evento che si è tenuto per la prima volta nel 2017. Lo scopo dell’iniziativa è quello di far salire la gente sul campanile per mostrargli l’arte del suono manuale delle campane.

Quest’anno, sempre in collaborazione con la Federazione nazionale suonatori di campane, abbiamo organizzato il 58° Raduno nazionale suonatori di campane, manifestazione itinerante che quest’anno si è svolta a Norcia allo scopo di portare solidarietà alle popolazioni colpite dal terremoto. Per il resto dell’anno suoniamo in occasione delle principali manifestazioni civili e religiose”.

Le associazioni di campanari in Italia

In Italia esistono molte associazioni di campanari. “Per esempio – spiega ancora - nelle cattedrali di Reggio Emilia e Bologna le campane sono completamente manuali, a Ferrara delle 5 campane della cattedrale due si possono suonare manualmente. In Umbria ci sono a Sansepolcro, a Gubbio. Ogni associazione tramanda il sistema di suono tipico della sua regione.

Si tratta di manifestazioni che richiamano sempre tanta gente, molte famiglie con bambini: ricordo qualche anno fa un bambino proveniente dalla Toscana, forse aveva 10 anni, venne da noi con i genitori. Aveva imparato la nostra suonata alle martelline grazie ai nostri video su youtube ed è riuscito a suonare alla perfezione con noi. È stato emozionante!”.

Manuela Acito

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arrone

Il 10 dicembre si celebra la Giornata mondiale dei diritti umani. Per l’occasione il Gruppo Campanari di Arrone, con il sostegno della Federazione nazionale suonatori di campane, promuove l’iniziativa “Suoniamo i Campanili d’Europa per sostenere i diritti umani”.

“Quest’anno, a causa dei lavori di restauro agli affreschi della chiesa di San Giovani Battista di Arrone non potremo suonare le campane – spiega il presidente Tullio Antonelli – ma considerato il successo avuto nelle passate edizioni, con l’adesione anche della Spagna e dell’Inghilterra, torniamo a lanciare nuovamente l’iniziativa auspicando che il trend positivo continui. Inoltre rivolgeremo un pensiero e un augurio di pronta rinascita alle zone colpite dal sisma”.

Il segno per Giornata dei diritti umani

L’iniziativa prevede un’esecuzione da effettuarsi la sera alle ore 20 della durata di dieci minuti. “Abbiamo già ricevuto qualche adesione, per esempio dalla provincia di Imperia, dal Sacro Convento di Assisi e dal comune di Assisi che suonerà la campana delle laudi (sacro bronzo di altissimo valore simbolico che ha già suonato in altre iniziative di pace) e dalla parrocchia di Eggi. Siamo in attesa di risposta dalla Spagna e dall’Inghilterra.

I suonatori di campane di Arrone

Il gruppo di Arrone è composto da sette persone, due delle quali sono donne. “Durante l’anno organizziamo la festa di Sant’Antonio e partecipiamo alla ‘Giornata dei Campanili aperti’, in collaborazione con il Fai – continua - evento che si è tenuto per la prima volta nel 2017. Lo scopo dell’iniziativa è quello di far salire la gente sul campanile per mostrargli l’arte del suono manuale delle campane.

Quest’anno, sempre in collaborazione con la Federazione nazionale suonatori di campane, abbiamo organizzato il 58° Raduno nazionale suonatori di campane, manifestazione itinerante che quest’anno si è svolta a Norcia allo scopo di portare solidarietà alle popolazioni colpite dal terremoto. Per il resto dell’anno suoniamo in occasione delle principali manifestazioni civili e religiose”.

Le associazioni di campanari in Italia

In Italia esistono molte associazioni di campanari. “Per esempio – spiega ancora - nelle cattedrali di Reggio Emilia e Bologna le campane sono completamente manuali, a Ferrara delle 5 campane della cattedrale due si possono suonare manualmente. In Umbria ci sono a Sansepolcro, a Gubbio. Ogni associazione tramanda il sistema di suono tipico della sua regione.

Si tratta di manifestazioni che richiamano sempre tanta gente, molte famiglie con bambini: ricordo qualche anno fa un bambino proveniente dalla Toscana, forse aveva 10 anni, venne da noi con i genitori. Aveva imparato la nostra suonata alle martelline grazie ai nostri video su youtube ed è riuscito a suonare alla perfezione con noi. È stato emozionante!”.

Manuela Acito

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https://www.lavoce.it/diritti-umani-campanari-arrone/feed/ 1
La strada stretta dei diritti umani https://www.lavoce.it/la-strada-stretta-dei-diritti-umani/ Wed, 10 Jan 2018 16:13:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50980 di Francesco Bonini

È una strada stretta, quella dei diritti umani. Una strada maestra, ma ricca di trabocchetti, una strada accidentata. Papa Francesco ha scelto di percorrerla, come sempre, con franchezza e guardando negli occhi i suoi interlocutori, nel tradizionale discorso al Corpo diplomatico. È stato un anno di successi diplomatici per la Santa Sede, il 2017. Ma bisogna guardare avanti, a questo nuovo anno in cui cade l’anniversario tondo della fine della Grande guerra, che in realtà è stata solo il primo atto di quella che si definisce ormai una “guerra dei trent’anni”. La cui fine viene sancita, settant’anni fa, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata nel 1948. E Francesco non manca di sottolineare il grande valore di fondo di quel catalogo, peraltro molto coerente con il messaggio evangelico, ma anche le contraddizioni e le violazioni che ha patito nel corso di questi settant’anni.

Nel discorso c’è tutto delle tensioni e delle speranze che si spalmano sul planisfero. Ci sono i Rohingya, così come tutti i focolai di guerra e le speranze di pace. Emergono tre temi trasversali: la famiglia, il lavoro e, soprattutto, le migrazioni – tema su cui il Papa si diffonde, lanciando un nuovo e pressante appello planetario. La menzione speciale per Italia, Germania e Grecia, in questo senso, assume un particolare significato, quasi a indicare che un approccio insieme inclusivo e sostenibile è concretamente possibile. Al di là tuttavia dell’attualità, che il Papa come sempre affronta direttamente e senza alcuna remora, vale la pena di soffermarsi su due punti strutturali.

Il primo è la libertà di religione, ivi compreso il diritto di cambiare religione.
La religione, ricorda il Papa, fa parte dell’identità della persona umana. E della sua dignità, verrebbe di aggiungere; e non può essere mai strumentalizzata. Il secondo punto è relativo ai “nuovi diritti”, quelli cosiddetti di terza e quarta generazione, che si trovano “non di rado in contrapposizione tra loro”. A questo proposito Francesco denuncia “moderne forme di colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli”, costretti a privarsi della propria identità. Questo vale non solo tra Nord e Sud del mondo, ma anche dentro le nostre società. Infatti, mentre continuano forme di prevaricazione violenta dei diritti, altre più subdole ma non meno gravi avanzano, che tendono a scalzare diritti fondamentali (ad esempio quello alla vita) con altri diritti più “liquidi” e più insinuanti, che di fatto li negano. Per cui risulta oggi più che mai decisivo il criterio evangelico di partire dai deboli, dagli ultimi, dai poveri, come controprova della non mistificazione a proposito dei diritti.

Francesco conclude sui doveri. Proprio qui è il punto. L’affermazione e la rivendicazione dei diritti è vuota retorica se non è fondata sullo scrupoloso adempimento dei doveri. Una lezione da cui ripartire con fermezza e serenità, smascherando ogni ideologismo.

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In piazza a difendere la famiglia. I vescovi umbri “accolgono con favore e sostengono il programma” https://www.lavoce.it/in-piazza-a-difendere-la-famiglia-i-vescovi-umbri-accolgono-con-favore-e-sostengono-il-programma/ Fri, 22 Jan 2016 12:11:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45105 Parlamento-italiano-cmykSabato 30 gennaio a Roma, al Circo Massimo, il comitato “Difendiamo i nostri figli”, come è oramai noto, organizza una manifestazione a difesa della famiglia e del diritto dei bambini ad avere una mamma e un papà. Un vero e proprio Family day dell’associazionismo cattolico per dire un “no” chiaro al disegno di legge “Cirinnà” sulle unioni civili che, al 30 gennaio, potrebbe aver già incassato il placet del Senato.
In sintesi questa proposta, tra l’altro, prevede che due persone dello stesso sesso possono costituire un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni. I matrimoni contratti all’estero e quelli nei quali un coniuge abbia cambiato sesso, potranno essere riconosciuti come unioni civili.
Dal disegno di legge rimangono escluse le adozioni: una coppia omosessuale non può adottare un bambino senza legame con uno dei due partner, come possono fare le coppie eterosessuali, ma si prevede l’estensione per le unioni civili tra persone dello stesso sesso dell’adozione del bambino che è già riconosciuto come figlio di uno solo dei due. Per quanto riguarda il regime giuridico nelle unioni civili tra persone dello stesso sesso, e cioè i rispettivi diritti e doveri, residenza, abusi familiari, interdizione, scioglimento dell’unione, il testo finale giunto in Aula, il cosiddetto Cirinnà bis, prevede che per le unioni civili siano validi gli articoli del codice civile relativi al matrimonio: stessi diritti e stessi doveri. Nei giorni scorsi, però, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi , preoccupato dall’esito del voto segreto del Parlamento, ha detto che il ddl Cirinnà cambierà.
Intanto il dibattito va avanti e ci si prepara all’appuntamento del 30 a Roma.

Senza giri di parole, il card. Angelo Bagnasco , arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, ha definito il ddl Cirinnà “una distrazione grave e irresponsabile…c’è una grande distrazione da parte del Parlamento rispetto ai veri problemi dell’Italia: creare posti di lavoro, dare sicurezza sociale, ristabilire il welfare”. E per il Porporato la manifestazione del 30 gennaio è “un’iniziativa dei laici, condivisibile. L’obiettivo della manifestazione è decisamente buono perché la famiglia è il fondamento di tutta la società. La famiglia – prosegue Bagnasco – non può essere uguagliata da nessun’altra istituzione o situazione. La sua difesa, la sua promozione e l’invocazione di sostegni reali, che fino ad adesso sembra che non ci siano, dovrebbe essere voce unitaria di tutto il Paese, di tutte le famiglie italiane, anche in modo diversificato”. Come è immaginabile, il dibattito nel mondo cattolico si alimenta.

La presidenza nazionale dell’ Azione cattolica in una nota parla di “una legge da riscrivere”, anche se “una legge per regolare le convivenze omosessuali va fatta”. “Tuttavia, prosegue la nota, la legge così com’è non ci piace: in questo modo, le unioni civili finiscono per essere assimilate nei fatti al matrimonio. Questa è una legge che meriterebbe di essere fatta oggetto di uno sforzo maggiore di ponderatezza, precisione ed equilibrio.*Auspichiamo davvero con forza che il Parlamento si dia il tempo e le modalità necessarie per farlo, con il necessario sforzo di ascolto delle istanze del Paese”.
Sulla stessa lunghezza d’onda il Rinnovamento nello Spirito Santo : “Con viva preoccupazione esprimiamo ferma contrarietà” al testo del ddl Cirinnà, “che di fatto svilisce l’istituto della famiglia naturale nella sua unicità spirituale e sociale e altera la visione antropologica secondo natura già nella negazione dei diritti del bambino”. Per il Rns, poi, la manifestazione del 30 gennaio non deve essere ricondotta a sigle e denominazioni perché il sentire della maggioranza del popolo italiano non può, né deve essere ricondotto a classificazioni che limiterebbero “la portata di questo gesto di responsabilità civile.

L’Unione giuristi cattolici italiani chiede lo stralcio dal ddl Cirinnà della stepchild adoption e di tutti i rinvii alla disciplina del matrimonio. I Giuristi auspicano che “la posizione dei minori, ed in particolare l’istituto dell’adozione dei figli del partner, venga stralciato dal ddl Cirinnà”. E intanto in Umbria il vicepresidente nazionale arcigay, il perugino Stefano Bucaioni , ha scritto una lettera aperta al card. Gualtiero Bassetti (pubblicata sul Corriere dell’Umbria del 20 gennaio), chiedendogli di vigilare “affinchè una parte della comunità religiosa non avvelini il clima e il dibattito” su questi temi e si possa “dar vita ad un dibattito più sano e disteso”.

Di seguito la Nota della Conferenza episcopale umbra inerente la manifestazione promossa dal Comitato “Difendiamo i nostri figli”, in programma a Roma il  prossimo 30 gennaio

«Il Comitato “Difendiamo i nostri figli”, che ha organizzato l’appuntamento del 20 giugno 2015, indice ora una nuova manifestazione il 30 gennaio a Roma per dare voce alle famiglie. Sono invitate le realtà ecclesiali ed anche gli uomini e le donne di buona volontà che si sentono di condividere questo gesto: cristiani delle diverse confessioni, appartenenti ad altre religioni e anche non credenti. I Vescovi dell’Umbria accolgono con favore e sostengono il programma espresso dal Comitato: “Andremo a dire che cosa crediamo: la visione della famiglia secondo la Costituzione italiana ed i principi dell’antropologia e dell’etica cristiana”».

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Gay: la legge s’ha da fare https://www.lavoce.it/gay-la-legge-sha-da-fare/ Thu, 21 Jan 2016 10:09:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45060 puntoA sentirli parlare, si direbbe che i sostenitori delle nozze gay siano convinti che il principio per cui il matrimonio è solo quello tra eterosessuali sarebbe stato deciso da “qualcuno” per fare una cattiveria agli omosessuali; e paragonano questa limitazione alle leggi razziste che vietavano il matrimonio tra bianchi e neri. In realtà non è andata così. Da quando esiste la specie umana (diciamo seimila secoli fa), per mettere al mondo un figlio ci vuole l’unione di un uomo e di una donna. Con il progredire dell’umanità, quello che prima poteva essere un rapporto occasionale è divenuto un legame più duraturo, regolamentato, socialmente protetto: e così sono nati i concetti di “matrimonio” e di “famiglia”.

Ma sempre fra un uomo e una donna, perché di quello si trattava. Molto più vicino a noi, le grandi civiltà dell’Europa mediterranea, quella greca e quella romana (che ci hanno lasciato l’eredità della filosofia, del diritto, dell’arte e di altro ancora) accettavano pubblicamente l’omosessualità; ma neanche loro si sarebbero sognati di estendere a una coppia omosessuale il nome e il concetto del matrimonio.

Bisognava arrivare ai nostri anni perché si affacciasse questo tipo di idea. A questo punto, però, bisogna prendere realisticamente atto che non solo le leggi di molti Paesi, ma anche i trattati internazionali obbligano gli Stati a dare un riconoscimento legale alle coppie di omosessuali che lo richiedano: o nella forma del matrimonio propriamente detto, o in una forma simile che potremmo chiamare unione civile. Per quello che conta la mia opinione, sarei contrario all’uso della parola “matrimonio”; ma alla regolamentazione delle unioni civili non vi è più spazio per opporsi, salvo discutere sui dettagli. Però, attenzione: se si vuole evitare il “salto” verso la piena equiparazione al matrimonio (come esiste in Francia, Spagna, Stati Uniti, Irlanda e altrove), la legge sulle unioni civili si deve fare; e anche alla svelta. Altrimenti, la Corte europea dei diritti umani è già pronta a dirci che dobbiamo applicare ai gay la legge sul matrimonio; e la discussione sarà chiusa.

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Festival dei diritti umani https://www.lavoce.it/festival-dei-diritti-umani/ Thu, 05 Nov 2015 12:53:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44220 Lo-sguardo-cmyk
“Lo sguardo”: l’immagine scelta come icona della mostra “Una fotografia, un giorno, un diritto” di Zouhair-Bellahmar

Si è svolta la prima edizione di “Diritti a Todi – Human Rights International Film Festival” (27 ottobre – 1° novembre), coordinato da Antonio Bellia e Francesco Cordio, promosso da Own Air, Teatri di Nina e Demetra produzioni, realizzato in collaborazione con Amnesty International e Fondazione Archivio audiovisivo del movimento operaio, con il contributo e la collaborazione del Comune di Todi e di sponsor. Un particolare contributo è stata l’esposizione di Unu unonell’unico all’interno del suo piccolo spazio archeologico, di sei fotografie del giovane tuderte di origini marocchine Zouhair Bellahmar, dal titolo Una fotografia, un giorno, un diritto.

Zouhair Bellahmar, nato a Todi nel 1989 da padre arabo e madre italiana, si è avvicinato alla fotografia da autodidatta, iniziando come assistente del fotografo umbro Riccardo Toccacieli. Attualmente lavora come freelance per varie aziende.

La mostra, su ideazione di Carlo Primieri, si è articolata per tutta la durata del festival mostrando al pubblico una sola immagine al giorno; il cambio immagine avveniva allo scoccare della mezzanotte. Allestite in maniera originale, le fotografie – scattate da Zouhair nell’ultimo viaggio nel Paese dei suoi avi – hanno mostrato un Marocco visto dagli occhi di un ragazzo cresciuto in Occidente.

Nel comunicato stampa di presentazione dell’evento si legge: “Come è stato nuovamente ribadito dal recente dibattito scatenato dalla pubblicazione delle foto del corpo senza vita di Aylan Kurdi, il bambino siriano di tre anni annegato il 2 settembre con la madre e il fratellino nel tentativo di raggiungere l’isola di Kos dalla Turchia, siamo consapevoli di quanta forza abbia un’immagine. Una fotografia ha la capacità di rompere gli argini, di denunciare una situazione di emergenza, dare coraggio e spirito di decisione. La fotografia è un documento, una testimonianza e un mezzo che col tempo può farti acquisire un diritto. Subissati dal dilagare dell’immagine in ogni sua forma e livello, la fotografia continua comunque a mantenere intatta la sua purezza, potenza e carica espressiva.

Da qui l’idea di questa mostra: Una fotografia, un giorno, un diritto. Come icona di quest’evento è stato scelto il ritratto di una bambina dai grandi occhi col hijab bianco, che richiama alla mente Steve McCurry. La forza dello sguardo ci trasmette la sua determinazione e fiducia nel futuro”. Per questi motivi, tale fotografia è stata data in premio a uno dei vincitori del Film Festival.

Qualche dato

Grande successo a Todi per la prima edizione di “Diritti a Todi – Human Rights International Film Festival”, che è stato oggetto di notevole attenzione mediatica e sociale. Duplice lo scopo del festival, ricco di rassegne e incontri, tutte a ingresso libero: da un lato, promuovere e diffondere il documentario d’autore con particolare riguardo ai temi dei diritti umani; dall’altro, favorire il confronto tra i registi. Incentrato sulle tematiche di diritti umani, guerra, integrazione, diritti civili, si è articolato in quattro sezioni: concorso internazionale documentari, concorso internazionale cortometraggi di fiction e documentari, panoramica internazionale di documentari, e con retrospettive, seminari e tavole rotonde. Da sottolineare il coinvolgimento degli studenti di tutte le fasce d’età della città, che sono stati coinvolti nelle giurie e hanno assistito a molte proiezioni in sala. Per approfondimenti e per conoscere i film vincitori di questa prima edizione del Festival visitare i siti: www.dirittiatodi.it/il-festival-2; www.cinemaitaliano.info/news/32893/i-vincitori-della-prima-edizione-di-diritti.html; www.facebook.com/dirittiatodi.

M. M.

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GIORNATA PER LA VITA. I dati dai Cav dell’Umbria per il 2014 https://www.lavoce.it/giornata-per-la-vita-i-dati-dai-cav-dellumbria-per-il-2014/ Fri, 30 Jan 2015 15:31:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30119 mamma-padre-cmykOgni anno la Giornata nazionale per la vita (1° febbraio) è un’occasione per riflettere su quanto si registra nella nostra regione a proposito della vita nascente.

Il Messaggio della Cei per la Giornata incoraggia all’accoglienza della vita, mettendo in guardia sui rischi della fecondazione extra-corporea (Fivet o Icsi omologa ed eterologa), suggerendo alcune forme di solidarietà per la vita come le adozioni prenatali a distanza di mamme e nascituri, già proposte dal Movimento per la vita (progetto Gemma).

Come sempre, i Centri di aiuto alla vita, braccio operativo del Movimento per la vita, accolgono le donne o le coppie che hanno un dubbio di coscienza prima di avvalersi della legge 194/78, ovvero prima di fare un aborto volontario.

Mentre i numeri riportati dal Cav di Terni sono costanti, con 32 donne e relativi bimbi nati nel 2014 e altri 9 in arrivo quest’anno, i dati registrati nel 2014 nelle due sedi del Cav di Perugia (S. Lucia e Castel del Piano) mostrano una prima triste realtà: solo 20 bambini sono nati l’anno scorso grazie all’intervento dei due presidii per la vita perugini (su oltre 100 donne incontrate e aiutate in vario modo), a fronte dei 33 bimbi venuti alla luce nel 2013 e dei ben 53 nati nel 2012.

Fra le possibili cause di questa diminuzione di richieste di aiuto, oltre all’aggravarsi delle condizioni di povertà, che scoraggia l’arrivo di una nuova vita, c’è molto probabilmente il sempre più diffuso utilizzo di quella che viene chiamata “contraccezione d’emergenza”. Si tratta delle molteplici forme della “pillola del giorno dopo”, che impedisce l’annidamento di un ovulo eventualmente fecondato all’interno dell’utero materno, causandone l’espulsione. Un vero e proprio aborto “precocissimo”.

Come sostiene il presidente della Federazione umbra dei Movimenti per la vita, Angelo Francesco Filardo, “l’aborto non è diminuito: ha cambiato faccia. Si consuma nel privato, non è visibile neanche agli occhi della Sanità pubblica. Siamo intrisi ormai di una mentalità contraccettiva, di chiusura alla vita (anti-life mentality) paurosamente dilagante”.

Sulla scia di queste considerazioni, anche Vincenzo Silvestrelli, presidente del Mpv Perugia, riflettendo sul binomio libertà/verità, afferma: “Senza attenzione alla verità, la libertà di agire può diventare lesiva dei diritti di altri, come è evidente nell’aborto, dove la libertà della donna non può prescindere dai diritti del nascituro, che è persona, e nella fecondazione artificiale, dove i diritti del bambino non possono essere posposti a quelli di chi vuole un figlio.

I casi dell’utero in affitto mostrano come questo conflitto non sia teorico ma reale. Il gemello Down rifiutato dalla coppia che aveva commissionato una fecondazione con utero prestato a una donna thailandese dimostrano verso quali abissi di inumanità ci stia portando il ‘politicamente corretto’ dominante”.

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La pace “artigianale” e le tante vie del dialogo https://www.lavoce.it/la-pace-artigianale-e-le-tante-vie-del-dialogo/ Fri, 09 Jan 2015 17:53:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29709

La pace è un’operazione artigianale”. È una singolare definizione di Papa Francesco nella Evangelii gaudium (n. 244). E la spiega dicendo che “affidarsi all’altro è qualcosa di artigianale”, come fa l’artigiano che prova e riprova prima di conseguire il risultato giusto e di consegnare il suo manufatto. “Dobbiamo sempre ricordare - dice Papa Francesco - che siamo pellegrini e che pellegriniamo insieme. Per questa ragione bisogna affidare il cuore al compagno di strada senza sospetto e senza diffidenza”. Di pace abbiamo bisogno come dell’aria per respirare, perché ci rendiamo conto che non può esserci sviluppo sociale senza dialogo sociale, e quindi senza la pace. Quando siamo tormentati dai conflitti sociali, e non solo dai conflitti espressamente bellici, non c’è sicurezza e tranquillità per nessuno, e non può esserci né convivenza serena e produttiva né sviluppo. “Nel dialogo con lo Stato e con la società, la Chiesa non dispone di soluzioni per tutte le questioni particolari. Tuttavia, insieme con le diverse forze sociali, accompagna le proposte che meglio possono rispondere alla dignità della persona umana e al bene comune. Nel farlo, propone sempre con chiarezza i valori fondamentali dell’esistenza umana, per trasmettere convinzioni che poi possono tradursi in azioni politiche” (n. 241). Per questo, Bergoglio parla con passione del dialogo sociale nei suoi ambiti: dal dialogo con e tra gli altri al dialogo con e nella società, al dialogo con credenti e non credenti, o variamente credenti. Certamente non è facile dialogare con chi non vuole dialogo e si avvale solo del terrorismo per imporre la sua legge. “È più che evidente in questo particolare momento il ricordo dei massacri orrendi di cristiani, perpetrati nella sostanziale indifferenza dell’opinione pubblica e della politica, mentre, violandosi diritti inalienabili di ogni uomo e di ogni donna, occorre una condanna unanime e senza ambiguità di tali crimini, e la denuncia del coinvolgimento della religione per giustificarli”. Altrimenti - possiamo ben dirlo noi spettatori - si stanno continuando, senza rendersene conto, i campi di sterminio hitleriani e i gulag staliniani. Anche in questo contesto di violenza, la Chiesa deve “proclamare il Vangelo della pace e farsi aperta alla collaborazione con tutte le autorità nazionali e internazionali per prendersi cura di questo bene universale tanto grande” (n. 239). “È necessario perciò lavorare per un nuovo patto sociale e culturale, proponendo con chiarezza i valori fondamentali dell’esistenza umana, trasmettendo convinzioni che poi possono tradursi in azioni politiche” (n. 241). In quest’ottica educativa e promozionale acquistano particolare rilievo sia il dialogo tra la fede, la ragione, le scienze (n. 242) - e anzi, “la Chiesa si rallegra e persino gode riconoscendo l’enorme potenziale che Dio ha dato alla mente umana” (n. 243) -; sia il dialogo ecumenico, che è di per sé “un apporto all’unità della famiglia umana”, fidandoci dei compagni di strada “senza sospetti, senza diffidenze” (n. 244); sia il dialogo interreligioso, cercando di superare i vari fondamentalismi con una molteplicità di interventi a vasto raggio (n. 250).]]>

La pace è un’operazione artigianale”. È una singolare definizione di Papa Francesco nella Evangelii gaudium (n. 244). E la spiega dicendo che “affidarsi all’altro è qualcosa di artigianale”, come fa l’artigiano che prova e riprova prima di conseguire il risultato giusto e di consegnare il suo manufatto. “Dobbiamo sempre ricordare - dice Papa Francesco - che siamo pellegrini e che pellegriniamo insieme. Per questa ragione bisogna affidare il cuore al compagno di strada senza sospetto e senza diffidenza”. Di pace abbiamo bisogno come dell’aria per respirare, perché ci rendiamo conto che non può esserci sviluppo sociale senza dialogo sociale, e quindi senza la pace. Quando siamo tormentati dai conflitti sociali, e non solo dai conflitti espressamente bellici, non c’è sicurezza e tranquillità per nessuno, e non può esserci né convivenza serena e produttiva né sviluppo. “Nel dialogo con lo Stato e con la società, la Chiesa non dispone di soluzioni per tutte le questioni particolari. Tuttavia, insieme con le diverse forze sociali, accompagna le proposte che meglio possono rispondere alla dignità della persona umana e al bene comune. Nel farlo, propone sempre con chiarezza i valori fondamentali dell’esistenza umana, per trasmettere convinzioni che poi possono tradursi in azioni politiche” (n. 241). Per questo, Bergoglio parla con passione del dialogo sociale nei suoi ambiti: dal dialogo con e tra gli altri al dialogo con e nella società, al dialogo con credenti e non credenti, o variamente credenti. Certamente non è facile dialogare con chi non vuole dialogo e si avvale solo del terrorismo per imporre la sua legge. “È più che evidente in questo particolare momento il ricordo dei massacri orrendi di cristiani, perpetrati nella sostanziale indifferenza dell’opinione pubblica e della politica, mentre, violandosi diritti inalienabili di ogni uomo e di ogni donna, occorre una condanna unanime e senza ambiguità di tali crimini, e la denuncia del coinvolgimento della religione per giustificarli”. Altrimenti - possiamo ben dirlo noi spettatori - si stanno continuando, senza rendersene conto, i campi di sterminio hitleriani e i gulag staliniani. Anche in questo contesto di violenza, la Chiesa deve “proclamare il Vangelo della pace e farsi aperta alla collaborazione con tutte le autorità nazionali e internazionali per prendersi cura di questo bene universale tanto grande” (n. 239). “È necessario perciò lavorare per un nuovo patto sociale e culturale, proponendo con chiarezza i valori fondamentali dell’esistenza umana, trasmettendo convinzioni che poi possono tradursi in azioni politiche” (n. 241). In quest’ottica educativa e promozionale acquistano particolare rilievo sia il dialogo tra la fede, la ragione, le scienze (n. 242) - e anzi, “la Chiesa si rallegra e persino gode riconoscendo l’enorme potenziale che Dio ha dato alla mente umana” (n. 243) -; sia il dialogo ecumenico, che è di per sé “un apporto all’unità della famiglia umana”, fidandoci dei compagni di strada “senza sospetti, senza diffidenze” (n. 244); sia il dialogo interreligioso, cercando di superare i vari fondamentalismi con una molteplicità di interventi a vasto raggio (n. 250).]]>
Sotto l’alluvione naturale e culturale https://www.lavoce.it/sotto-lalluvione-naturale-e-culturale/ Thu, 13 Nov 2014 18:56:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28972 A fissare gli occhi sul teleschermo mentre si sta a pranzo o a cena si rimane stupiti, sgomenti di fronte alla potenza distruttrice dell’acqua. Quei torrenti e fiumi travolgenti che entrano negli ambienti della vita quotidiana di città e paesi, invadono le strade, travolgono macchine e ogni cosa che vi si trova, irrompono nelle case provocando anche morti come i due coniugi a Chiavari, e nei negozi provocando danni senza numero.

Solo a guardare quelle scene, si prova un senso di paura e impotenza. Sembrano riprodurre e rievocare il Diluvio biblico primordiale, rigettando nel caos la bellissima armonia del cosmo disegnato dall’Artefice divino. La domanda che si pone: è fallito il progetto scritto nel creato e segnato dall’arcobaleno (Genesi 9,12 s)? Per colpa di chi? Sembra una domanda ingenua, non scientifica e non concreta, ma si propone in queste occasioni in un’altra forma: quanto sta accadendo è colpa della Natura “matrigna” o dell’uomo? In altri termini, è troppa l’acqua che si abbatte sulla nostra terra, e con troppa violenza, oppure l’uomo – che conosce la forza e la possibile violenza della natura – non si è preso cura di tutelarsi adeguatamente? Una domanda che si pone anche in rapporto ai terremoti e ai vulcani.

Il custode della terra, l’uomo, posto in essa come in un giardino da contemplare, da conoscere, da utilizzare per la sua vita, da tenere in ordine secondo criteri di prudenza, operosità, cura, preveggenza e previdenza, dopo tante cattive esperienze e tanti insegnamenti, non ha ancora compreso che non è lui il padrone dispotico, con il diritto di comandare alla terra, al mare, ai fiumi e alle correnti d’aria, portatrici di brezze leggere o di tempeste irresistibili.

Non abbiamo ancora compreso che la natura ci trascende, è più forte di tutti, e che le sue leggi e le sue dinamiche sono senza pentimento. E continuiamo a costruire attorno alle bocche dei vulcani, e presso fiumi e torrenti, case che non reggono al minimo urto, presumendo che nulla accadrà e fidando sulla buona sorte. Dopo le tragedie ci si distrae, si dimentica o si scarica la rabbia – più o meno giustamente, secondo i casi – sui sindaci o sui Governi di turno.

So che le prediche non raggiungono il fine per cui sono fatte, se non limitatamente, e tuttavia mi sembra opportuno ripetere, in tutti gli ambiti della società, che non si deve dare la colpa sempre a “qualcun altro”. La diffusa ricerca dei diritti si deve comporre con l’assunzione dei doveri. Al “diritto di avere diritti”, secondo una formula di successo coniata da un docente di larga fama, che denota bene la cultura dominante di oggi, si dovrebbe sostituire un’altra forma di pensiero, meno di successo, che potrebbe suonare: “il dovere di essere responsabili” o in altro modo, “il dovere di sentirsi in dovere”, ognuno per la sua parte, considerando che per tutti, in misura diversa, c’è una parte di dovere verso l’ambiente: non solo quello naturale, ma anche quello umano, a cominciare dalla famiglia.

Non c’è spazio in questa pagina, ma si può almeno accennare che un discorso simile vale a proposito delle “acque minacciose” che invadono le famiglie e le menti attraverso i mass media vecchi e nuovi (web). Ad Assisi, il card. Bagnasco ha detto che si stanno distruggendo principi fondamentali del vivere nella famiglia introducendo, come “cavallo di Troia”, criteri di comportamento contrari a un sano e ragionevole ordinamento delle relazioni sociali e familiari.

Abbattendo le regole della ragione, la virtù della prudenza e il criterio della precauzione è come abbattere dighe e argini e si rischia l’alluvione, anche nell’ambiente umano, cioè il caos sociale, il nichilismo antropologico, il disordine morale, e un’immensa dose di sofferenza per tutti. Non serve, poi, piangere o andare in televisione a lamentarsi e protestare.

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Quel ragazzo di 25 anni fa  https://www.lavoce.it/quel-ragazzo-di-25-anni-fa%e2%80%82/ Thu, 07 Aug 2014 13:08:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27487 DON ANGELO fanucciIn piedi, a piazza Tienanmen, in piedi, a braccia larghe, in camicia, con la giacca in una mano e una busta nell’altra. Solo davanti alla fila di carri armati. Era il 5 giugno 1989, a un tiro di schioppo dalla Città proibita di Pechino. In piedi, inerme, per fermare la repressione dei diritti civili e sociali che le masse reclamavano, e che la Repubblica popolare cinese si apprestava a schiacciare.

È stato ed è il Rivoltoso sconosciuto. Pare il suo nome fosse Wang Weilin, o forse Wang Lianxi. Pare che fosse uno studente. Pare che avesse 19 anni. Pare, ma nessuno ci giurerebbe.

Quella foto è stata inserita, nel 2003, dalla rivista Life nella rubrica “Le 100 foto che hanno cambiato il mondo”. La rivista Time ha inserito il ragazzo tra “Le persone che più hanno pesato sul XX secolo”.

Il pilota del carro armato rifiutò di polverizzarlo, fermò il suo bestione, aprì la torretta e aiutò il ragazzo ad arrampicarsi fin lassù. Parlarono. Cosa si dissero? La versione più accreditata mette in bocca al ragazzo alcuna frasi smozzicate: “Perché siete qui?”, e poi: “La mia città è nel caos per colpa vostra”, e poi: “Arretrate, giratevi e smettetela di uccidere la mia gente”; e poi: “Andatevene!”.

Che fine ha fatto il Rivoltoso sconosciuto? Certamente fu arrestato sul posto per ordine del Governo cinese e portato via. Poi? Un quotidiano britannico ha diffuso la notizia che sia stato giustiziato giorni dopo l’accaduto. Nella cerchia ristretta dei potenti che circondavano Nixon, si diceva che era stato ucciso 14 giorni dopo la manifestazione, o forse giustiziato da un plotone d’esecuzione pochi mesi dopo.

Solo la semiufficiale rivista Red China Blues afferma che è, ancora vivo e risiede in Cina.

Il governo della Repubblica popolare cinese ha dato pochissime informazioni, e tutte insignificanti, a proposito dell’incidente e del ragazzo. Nel 1990 l’allora segretario generale del Partito comunista cinese, Jiang Zemin, alla domanda di una giornalista su cosa fosse successo al ragazzo rispose: “Penso non giustiziato”. Notate bene: “penso”. Non “so”, no: “penso”.

Nel 2009 l’agenzia di stampa Asia News affermò che era stato condannato al carcere duro, ed era stato liberato solo nel 2007, dopo 18 anni di carcere, subito prima delle Olimpiadi di Pechino; sembra che sia stato internato in un ospedale psichiatrico, dove tuttora sopravviverebbe.

Compitino per l’estate (ammesso che l’estate finalmente arrivi): rintracciate e intervistate uno dei ragazzi che prima e dopo il 1968 proclamarono al mondo, senza nemmeno il beneficio d’inventario, che il sole dell’avvenire s’era definitivamente fermato sui cieli della Cina. Oppure fate un salto a Milano, cercate Aldo Brandirali, eletto al Comune prima nelle liste della Dc, poi in quelle di Forza Italia, e chiedetegli se è vero che nel post-Sessantotto presiedeva alla celebrazione di “matrimoni rossi” usando il libretto di Mao al posto del Rituale cattolico.

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I movimenti per la pace fanno Rete https://www.lavoce.it/i-movimenti-per-la-pace-fanno-rete/ Fri, 01 Aug 2014 13:54:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27364 Mamarcia-pace-bnntenere alta l’attenzione sui drammi che vivono popoli anche lontani e costruire una politica di pace sulle orme di Aldo Capitini, nella cultura e nella pratica della nonviolenza. Sono gli obiettivi che si prefigge la “Rete della pace”, composta a livello nazionale da una sessantina di associazioni e costituita nell’aprile scorso a Verona. Tante le associazioni che vi hanno aderito anche in Umbria, tra le quali Acli, Arci, Cgil, Legambiente, Agesci, Udu e Rete degli studenti medi. Scopi, finalità e programmi sono stati illustrati venerdì scorso a Perugia in una conferenza stampa cui hanno partecipato Sergio Bassoli, responsabile nazionale delle politiche globali della Cgil, Maurizio Gubbiotti di Legambiente, Paolo Tamiazzo dell’Arci e il presidente regionale dell’Acli Vincenzo Menna.

La Rete della pace è stata definita “espressione della Tavola della pace, cui si ispira e da cui trae origine” della quale però non fa più parte dal 2011, con l’apertura – ha detto Bassoli – di un confronto “che ci ha portato a mettere in discussione i suoi assetti e le forme organizzative”. Un confronto – ha aggiunto – che “è un segno di vitalità dei movimenti per la pace in Italia e che oggi ci vede impegnati in percorsi paralleli, ma senza polemiche perché gli obiettivi sono comuni. Continuiamo quindi ad auspicare una strada comune per la riorganizzazione e il rilancio della Tavola della pace. Anche se non facciamo parte del comitato organizzatore della prossima Marcia della Pace Perugia-Assisi del 19 ottobre, noi ci saremo”.

La Rete della pace – è stato spiegato – è una esperienza di coordinamento e di confronto tra tutti coloro che nella società civile lavorano in Italia per promuovere la pace, fondata sul rispetto dei diritti umani, su giustizia e equità sociale, sulla solidarietà, l’inclusione e la mondialità, sulla legalità, sulla nonviolenza e sulla cittadinanza attiva. Tra i suoi obiettivi ci sono anche la “promozione di una società aperta e multiculturale, che individui nell’immigrazione e nell’intercultura una risorsa per la comunità”, e la promozione di politiche locali e globali per la salvaguardia dell’ambiente. A questo proposito Maurizio Gubbiotti ha ricordato che dei 6 milioni di profughi all’anno, ormai più della metà sono “profughi ambientali” che fuggono da guerre per l’acqua e altre risorse primarie e da eventi climatici.

Tra gli obiettivi immediati della Rete ci sono la mobilitazione – di questi giorni – per la pace in Palestina, con manifestazioni svoltesi anche in Umbria, e una proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre un “Servizio civile come strumento di cittadinanza attiva, di protezione e di difesa non armata e nonviolenta del Paese”. A questo proposito Bassoli ha annunciato che dal 20 ottobre comincerà la raccolta delle firme necessarie in tutta Italia. Per quanto riguarda la situazione nella striscia di Gaza la Rete della Pace ha avviato una raccolta di farmaci e medicinali ma ha anche rinnovato l’appello al Governo italiano e alle istituzioni internazionali per una immediata soluzione diplomatica della crisi.

Paolo Tamiazzo dell’Arci ha detto che bisogna “lavorare per la pace” anche con progetti nelle scuole, mentre Vincenzo Menna ha auspicato una “voce unitaria dell’Europa per le politiche del Mediterraneo e sul problema dei flussi migratori”. Ha inoltre sottolineato l’impegno delle Acli per favorire il dialogo interreligioso in un mondo dove spesso la religione “è usata come ragione di conflitti e di guerre”.

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L’autogestione di oggi https://www.lavoce.it/lautogestione-di-oggi/ Fri, 16 May 2014 07:34:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24999 DON ANGELO fanucciTempi eroici, quelli di allora. Tempi diversamente eroici quelli di oggi. Perché, se le comunità di accoglienza non vogliono ridursi a comunità terapeutiche, devono sempre e comunque ripensare e rieditare i due loro valori fondanti: l’autogestione e la condivisione.

Autogestione dei processi di liberazione personale e comunitaria. Su questo piano la difficoltà nasce dal fatto che coloro che chiedono, o – meglio – per i quali viene chiesta la vita in comunità, oggi sono prevalentemente o a volte esclusivamente disabili psichici. Questo perché i disabili fisici nella quasi totalità dei casi “si sono sistemati”. Grazie anche alle dovute provvidenze che eroga lo Stato, grazie spesso anche all’impegno del privato-sociale a loro favore, fruiscono di un reddito decoroso, alcuni hanno messo su famiglia, fruiscono dell’abbattimento sempre più consistente della barriere architettoniche e psicologiche. Purtroppo non ha giovato loro la bella pensata di chiamarli “diversabili” invece che “disabili”, oppure (toh, mi voglio rovinare!) “handicappati”. Non ha giovato a nulla, la bella pensata, perché il più delle volte non hanno un ruolo nella società, non lavorano, girano sulla loro carrozzina a motore e chiamano “vita” l’accumulo dei giorni che passano: “vita”, un soprannome.

Ma per coloro che chiedono o – meglio – per i quali viene chiesta la vita in comunità, l’autogestione rimane ancora un valore? Certamente, certissimamente, perché, se la realtà in cui vivono non punta a tutta l’autogestione possibile, decade inesorabilmente. Prima decade da comunità d’accoglienza a comunità terapeutica, poi decade da comunità a gruppo di semplice sopravvivenza, come le riserve allestite per evitare l’estinzione della foca monaca o degli aironi rosa.

Decidere con loro. Un risultato possibile solo in ordine a una minoranza di problemi. E sempre molto faticoso. C’è chi confonde un sindaco con un sindacato, c’è uno che non capisce quella stranezza secondo cui a ogni diritto dovrebbe corrispondere un dovere, c’è poi quello convinto che toccare ogni tanto il fondoschiena delle operatrici sia tra i diritti sanciti dalla Carta dei valori della comunità, oltre che dall’Onu… Mille difficoltà, ma non si può rinunciare a maturare insieme tutto ciò che è possibile maturare insieme: a esigerlo è quella loro altissima dignità di persone che, in parità assoluta, essi condividono con tutti noi “normali”. È quella dignità che ci impegna ad aprire tutte le strade accessibili alle limitate chances della loro personalità.

Capisci allora, colendissimo lettore, che differenza c’è tra proclamare in linea di principio, tre volte al giorno, i diritti non negoziabili della persona, e giocarseli invece nelle concretezza del rapporto quotidiano con uno di loro, un “Song e’ Napule” che di quei princìpi ne ha fatto proprio uno solo: “E ffémmene so’ arrimmene dell’uomm’ne”. Lo donne sono la rovina degli uomini. Bene. Partiamo.

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Tre interventi di Papa Francesco a favore della vita https://www.lavoce.it/tre-interventi-di-papa-francesco-a-favore-della-vita/ Thu, 17 Apr 2014 11:43:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24519 papa-bambina-abbraccio“È un incontro importante, ma è anche un gesto: un gesto della Chiesa, un gesto delle persone di buona volontà, che vuole gridare: basta!”. Così Papa Francesco ha accolto il 10 aprile i partecipanti alla 2a conferenza internazionale “Combating Human Trafficking” (Lotta al traffico di esseri umani). Questa frase però potrebbe essere presa come sintesi di tutte e tre le udienze che il Vescovo di Roma ha tenuto, quel giorno e il successivo, con organismi che si battono a favore della vita. “La tratta di esseri umani – ha aggiunto il 10 aprile – è una piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, una piaga nella carne di Cristo. È un delitto contro l’umanità. Il fatto di trovarci qui, per unire i nostri sforzi, significa che vogliamo che le strategie e le competenze siano accompagnate e rafforzate dalla compassione evangelica, dalla prossimità agli uomini e alle donne che sono vittime di questo crimine”.

Il Movimento per la vita italiano è stato ricevuto da Francesco il giorno dopo, 11 aprile. “Grazie – ha detto all’on. Carlo Casini e agli esponenti del Mpv – per la testimonianza che date promuovendo e difendendo la vita umana fin dal suo concepimento! Noi lo sappiamo, la vita umana è sacra e inviolabile. Ogni diritto civile poggia sul riconoscimento del primo e fondamentale diritto, quello alla vita, che non è subordinato ad alcuna condizione, né qualitativa né economica né tantomeno ideologica”. E ha precisato: “Uno dei rischi più gravi ai quali è esposta questa nostra epoca è il divorzio tra economia e morale, tra le possibilità offerte da un mercato provvisto di ogni novità tecnologica e le norme etiche elementari della natura umana, sempre più trascurata. Occorre pertanto ribadire la più ferma opposizione a ogni diretto attentato alla vita, specialmente innocente e indifesa – e il nascituro nel seno materno è l’innocente per antonomasia”. Li ha quindi esortati: “A chi è cristiano compete sempre questa testimonianza evangelica: proteggere la vita con coraggio e amore in tutte le sue fasi. Vi incoraggio a farlo sempre con lo stile della vicinanza, della prossimità: che ogni donna si senta considerata come persona, ascoltata, accolta, accompagnata”.

Lo stesso giorno, il Papa ha dato udienza all’Ufficio internazionale cattolico dell’infanzia (Bice). “A me piace dire – ha esordito – che in una società ben costituita, i privilegi devono essere solo per i bambini e per gli anziani. Il futuro di un popolo è in mano loro! I bambini perché avranno la forza di portare avanti la storia, e gli anziani perché portano in sé la saggezza di un popolo”. Come esempi concreti di impegno internazionale: “Ai nostri giorni è importante portare avanti i progetti contro il lavoro-schiavo, contro il reclutamento di bambini-soldato e ogni tipo di violenza sui minori”. E ancora: “Occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva; continuando a maturare nella relazione, nel confronto con ciò che è la mascolinità e la femminilità di un padre e di una madre, e così preparando la maturità affettiva… Ciò comporta al tempo stesso sostenere il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli. E a questo proposito vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di ‘sperimentazione educativa’ con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio!”. In conclusione, ammonimenti che valgono per tutti i cattolici impegnati, non solo per il Bice: “Lavorare per i diritti umani presuppone di tenere sempre viva la formazione antropologica, essere ben preparati sulla realtà della persona umana, e saper rispondere ai problemi e alle sfide posti dalle culture contemporanee e dalla mentalità diffusa attraverso i mass media. Ovviamente non si tratta di rifugiarci in ‘ambienti protetti’ che al giorno d’oggi sono incapaci di dare vita, e sono legati a culture che già sono passate. No, questo no. Ma affrontare, con i valori positivi della persona umana, le nuove sfide che ci pone la cultura nuova”.

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Forum famiglie: i Comuni “ignorano” i bambini https://www.lavoce.it/forum-famiglie-i-comuni-ignorano-i-bambini/ Thu, 03 Apr 2014 17:11:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24133 Genitori-e-figliE’ appena finita a Bari la “Conferenza sull’infanzia”, e forse qualche buona idea da lì verrà per politiche a misura di bambino. Però le notizie concrete sull’attenzione reale ai nostri figli si trovano in altre pagine dei giornali. Ad esempio, sulla differenza tra Imu e Tasi. Infatti l’Imu, anche grazie a pressanti richieste del Forum delle associazioni familiari, aveva costruito un meccanismo di custodia delle famiglie con figli, concedendo sulle case di proprietà una detrazione fissa di 200 euro, più un’ulteriore detrazione di 50 euro per ogni figlio (fino all’ottavo). Quindi, avevamo detto, “finalmente una tassa che riconosce i carichi familiari”, nonostante le rilevanti obiezioni sull’idea di tassare la casa di residenza come se fosse un bene di lusso. Poi l’Imu è stata cancellata e reintrodotta nella forma della Tasi, nuova imposta comunale.

Purtroppo sulla Tasi sta succedendo ciò che avevamo previsto. Nel passaggio dall’Imu alla Tasi, il Governo non ha fissato un obbligo di destinazione per il pagamento delle aliquote maggiorate sulla seconda casa, e così ogni Comune fa come vuole. Sia decidendo la soglia dell’aliquota, sia, soprattutto, scegliendo se dedicare questa cifra a detrazioni per le famiglie con carichi familiari, oppure se concedere le detrazioni solo a partire dal reddito. Il Comune di Milano ha scelto la seconda ipotesi: si basa solo sul reddito, senza tenere conto del numero di figli. Eppure proprio alla Conferenza sull’infanzia di Bari un intero gruppo di lavoro è stato dedicato al tema della povertà dei bambini; la percentuale di minori sotto la soglia di povertà è infatti tra le più alte d’Europa, e in alcune aree del Paese avere il terzo figlio significa, per una famiglia su due, cadere sotto la soglia di povertà. Inoltre pare che non si adotti nemmeno l’Isee, strumento che tenta di dare equità familiare, ma si richiede il reddito individuale, che peraltro è notoriamente a rischio di evasione/elusione. Stiamo poi parlando di seconde case, e quindi adottare politiche fondate solo sul reddito sembra un po’ contraddittorio, avendo a che fare con famiglie che un po’ di risparmio e di patrimonio sono riuscite ad accumularlo: adottare i carichi familiari come criterio di equità sarebbe molto più appropriato perché, a parità di reddito, un figlio in più “fa la differenza”. Un po’ come la giunta Pizzarotti, a Parma, che ha emesso due tipi di bandi in vista di maggio 2014: uno per i progetti a favore della famiglia, senza finanziamento comunale, l’altro con finanziamenti comunali (fino al 100% se sotto i 1.000 euro) per i progetti di promozione dell’ideologia del gender. A conferma che anche per gli amministratori di Parma la famiglia riconosciuta dalla Costituzione non è considerata meritevole di sostegno, perché tanto il suo mestiere lo fa comunque, e ci si può vivere di rendita, sulla famiglia – che infatti viene osannata, in termini spesso retorici ed enfatici, come il “grande ammortizzatore sociale”. Espressione che denuncia, invece, il fallimento del nostro welfare.

I Comuni italiani hanno, di fronte alla Tasi, una grande occasione per dimostrare se l’equità familiare sta a cuore agli amministratori locali. Dispiace che la giunta Marino, a Roma, abbia cancellato le agevolazioni per le rette al nido del terzo figlio. Dispiace che la giunta Pisapia, a Milano, non consideri i carichi familiari un valore di solidarietà, e resti abbarbicata a un vecchio criterio monetario di ricchezza/povertà, su uno dei pochi strumenti di fiscalità locale su cui si può esercitare autonomia. Dispiace che la giunta Pizzarotti, a Parma, dopo aver cancellato il Quoziente Parma, abbia aumentato le rette per i servizi alla prima infanzia. Francamente appare davvero obsoleta e “antica” l’idea che la lotta alla povertà sia individualistica e riguardi solo il reddito: la dimensione familiare della povertà è ampiamente documentata nella letteratura, così come l’importanza delle relazioni familiari come risorsa di resistenza alla povertà (di resilienza, si diceva a Bari). È tempo di riscoprire una concreta alleanza tra politiche familiari e politiche di equità, anziché contrapporle ideologicamente. Perché siamo convinti, come scrivevamo nel 2006, che “i Comuni sono in prima linea” nella lotta contro la povertà delle famiglie. Però devono vederle, le famiglie, come una insostituibile risorsa per la società. E come il primo e irrinunciabile strumento di protezione dei diritti dell’infanzia. E allora, ogni amministratore comunale troverà al proprio fianco le nostre associazioni familiari, per costruire comunità locali family friendly, capaci di essere – proprio perché “a misura di famiglia” – anche “a misura di bambino”. C’è tempo per ripensarci: noi siamo pronti al confronto.

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L’Acradu al tavolo con la Regione https://www.lavoce.it/lacradu-al-tavolo-con-la-regione/ Fri, 28 Feb 2014 14:47:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22862 assistenza-anzianiL’Acradu (Associazione cristiana residenze anziani e disabili dell’Umbria) rappresenta l’80 per cento delle strutture residenziali e sanitarie per anziani e disabili dell’Umbria. Un soggetto importante, portavoce della quasi totalità del settore, che non vuole essere ignorato, soprattutto nei tavoli decisionali.

Per questo, nei giorni scorsi i rappresentanti dell’Associazione si sono incontrati con l’assessore regionale al Welfare, Carla Casciari, e con il direttore regionale della Sanità, Emilio Duca. Un incontro richiesto da tempo, che ha permesso di riprendere quel confronto con le istituzioni interrottosi nel 2007, dopo la sottoscrizione del Patto per il benessere degli anziani. “Da tempo richiedevamo questo incontro – sottolineano dall’Acradu -. Rappresentando la quasi totalità delle strutture del settore, vogliamo essere ascoltati e prendere concretamente parte alla programmazione regionale in merito alla residenzialità di anziani e disabili”.

La richiesta principale avanzata dall’Acradu alla Regione è, quindi, l’istituzione di un Tavolo tematico permanente comune costituito da Regione, Asl, sindacati, Acradu, dal mondo della cooperazione e da tutte le associazioni che operano e lavorano con persone disabili, anziani e non autosufficienti. “In Umbria – dicono ancora dall’Acradu – i Tavoli tematici, previsti dalla legge 328 del 2000, di partecipazione e programmazione condivisa dei servizi socio-sanitari, specialmente territoriali, non sono stati adeguatamente attivati, cosicché non tutti hanno potuto dare il loro apporto per ridisegnare quel sistema di rete socio-sanitaria che garantisce al cittadino livelli appropriati di assistenza. Non vogliamo dei confronti a posteriori, vogliamo essere protagonisti della programmazione”. Avere un ruolo decisionale più forte significa avere maggiori tutele per malati e famiglie. Nel concreto, parità di diritti ed equità di servizi su risorse, posti letto, contratti… “Abbiamo bisogno di confrontarci con la Regione – spiegano dall’Acradu –, ad esempio, sulle tariffe.

A oggi, infatti, non è più accettabile che ci sia una tariffa unica giornaliera per gli anziani. In primis, perché è ferma a 7-8 anni fa e andrebbe aggiornata sulla base dell’attuale costo della vita; in secondo luogo, non dovrebbe essere fissa, ma andrebbe modulata sulla base del grado di autosufficienza dell’anziano e del tipo di aiuto di cui ha bisogno. Altro problema – continuano dall’Acradu – quello di capire e rivedere i criteri secondo cui la Regione ripartisce le risorse nelle varie Asl, i posti letto, i rapporti contrattuali… Non è possibile che nella stessa regione, tra l’altro piccola come l’Umbria, vigano criteri differenti per liste d’attesa, modalità d’ingresso nelle strutture, standard richiesti… a seconda del distretto sanitario a cui si appartiene. Occorrono requisiti unici e condivisi”.

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Ci sono i due sessi, non i “gender” https://www.lavoce.it/ci-sono-i-due-sessi-non-i-gender/ Fri, 28 Feb 2014 14:31:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22845 genderC’era una volta l’educazione sessuale, una informazione di base, in stretta relazione con le famiglie, che dell’educazione dei figli sono titolari ai sensi nientemeno che della Costituzione. Cose vecchie, cose del secolo scorso. Oggi, siccome siamo progrediti, agli alunni delle scuole di ogni ordine e grado, dalle elementari alle superiori, stavano per essere distribuiti tre volumetti che, a spese dei contribuenti, volevano mostrare, anzi, più esattamente, “instillare”, i magnifici orizzonti e progressivi dell’ideologia del gender. Il colpo di mano non è riuscito, anche se non è ben chiaro chi paghi le decine di migliaia di euro sottratte in questo modo alle esauste casse della pubblica istruzione. Il colpo di mano non è riuscito, ma è solo un episodio. Senza le ambizioni nazionali che avevano le cosiddette Linee guida per un insegnamento più accogliente e rispettoso delle differenze in molte città del Belpaese si moltiplicano iniziative le più diverse per cercare di sintonizzare studenti e insegnanti su queste nuove frontiere. In buona sostanza si pretende di spiegare a ragazzi e ragazze che il “sesso” è cosa d’altri tempi, mentre quello che esiste è il “genere”. Se in base al sesso ci si doveva ripartire in maschi e femmine – e questa dicotomia era evidente e obbligata – oggi le cose sarebbero cambiate. Non più la natura, ma la cultura è il dato essenziale, per cui si può scegliere, non il sesso, vecchio dato naturale, ma il genere, moderna realtà culturale. Ciascuno insomma si può collocare come vuole. E la scelta è molto più ampia. Tra maschio e femmina sono state calcolate una sessantina di altre possibilità e gradazioni. È un’ideologia, che si cerca di fare passare come fosse un dato scientifico o oggettivo, così da dare corso ad una vera e propria mutazione antropologica. Così si spiegano gli attacchi alla visione cattolica, in forme esplicite, aperte oppure subdole. La Costituzione garantisce il diritto ai genitori di educare i propri figli secondo i valori di riferimento. Non è lecito imporre un’educazione di Stato, così come non è lecito fare della scuola il terminale di una propaganda, di una ideologia. È semplicemente una questione di libertà. Perché una cosa deve essere chiara. La denuncia delle forme di propaganda dell’ideologia del gender non significa in alcun modo discriminare omosessuali o transgender. Il rispetto delle persone infatti e la tutela dei loro diritti non comporta per nulla aderire all’ideologia della scelta che, propinata in termini appunto propagandistici a bambini e adolescenti, assume chiaramente le forme di una insinuante prevaricazione. Il principio di non discriminazione infatti, coerentemente con il principio di uguaglianza, comporta trattare diversamente situazioni diverse, garantendo così i diritti di tutti. È semplicemente una questione di libertà. E anche un modo per reagire alle ultime frontiere del consumismo, che ormai – come dimostra anche questo caso – sono correntemente applicate ai grandi temi della vita. Garbatamente, ma fermamente rispondendo: no, grazie. E rimandando tutto al mittente.

12 strumenti di “autodifesa” per genitori

Il Forum delle associazioni familiari dell’Umbria ha pubblicato sul proprio sito internet www.forumfamiglieumbria.org i “Dodici strumenti di autodifesa dalla ‘teoria del gender’ per genitori con figli da 0 a 18 anni”, un elenco di dodici punti per aiutare le famiglie ad affrontare progetti formativi o educativi dedicati alla “teoria del gender” proposti nelle scuole dei propri figli. Si comincia dalla scelta della scuola, per la quale il Forum consiglia di verificare con cura i piani dell’offerta formativa (Pof) e gli eventuali progetti educativi (Pei). Si suggerisce, inoltre, alle famiglie di mantenersi sempre informate e attive all’interno dell’ambito scolastico del proprio figlio, candidandosi come rappresentanti di classe, controllando il sito internet dell’istituto e verificando diari e compiti assegnati. Nel caso in cui la scuola organizzi lezioni e interventi sul gender, il Forum consiglia ai genitori di organizzare una riunione con le altre famiglie, di conoscere i dettagli delle lezioni e di scrivere al dirigente scolastico o, nei casi limite, all’Ufficio scolastico regionale e al Ministero. Alla fine, però, il consiglio per eccellenza resta uno: “Custodite i vostri figli, alleatevi con loro, fornitegli un adeguato supporto formativo e scientifico. L’unione fa la forza!”.

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