dignità umana Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/dignita-umana/ Settimanale di informazione regionale Sat, 26 Mar 2022 20:10:11 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg dignità umana Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/dignita-umana/ 32 32 SEA WATCH. Doro, una delle persone salvate dalla nave https://www.lavoce.it/sea-watch-doro/ Wed, 30 Jan 2019 13:44:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53905 doro

Doro, che i membri dell’equipaggio della Sea Watch 3 chiamano “gigante gentile”, ha cicatrici ovunque, sul volto, sul corpo.

È stato torturato e picchiato ripetutamente in Libia; tre volte ha tentato di fuggire con un’imbarcazione in mare, e tre volte è stato riportato indietro dalla Guardia costiera libica e reso schiavo.

Lo hanno ferito con un Kalashnikov e, a causa dei postumi, ha perso parte della vista. Gli hanno spento sigarette sulla schiena per estorcergli denaro. La madre ha dovuto vendere casa per riscattarlo. Nelle carceri libiche ha visto morire il suo miglior amico. Doro è tra le 47 persone a bordo della Sea Watch, bloccata nel porto di Siracusa, eppure nonostante gli attacchi sui social – sui quali l’equipaggio li informa – ha ancora la gentilezza e il coraggio di dire: “Non biasimarli. Non hanno mai sofferto così. Non sanno cosa significa”. La sua storia è raccontata su Facebook da Brendan, uno dei soccorritori a bordo della Sea Watch.   [gallery columns="2" size="medium" ids="53906,53907"]

Brendan descrive Doro come una persona “forte” e “umile”, “generosa, gentile e premurosa”, tanto da lavare i piatti per aiutare l’equipaggio. Doro parla sette lingue e vuole raccontare a tutti la sua storia, simile a tante, “perché altri non soffrano come lui”.

La terza volta che ha provato la traversata nel Mediterraneo, ha sentito la voce di qualcuno da una nave che diceva ai naufraghi: “Ora siete in salvo”. “Sapeva che non era la Guardia costiera libica, perché non avrebbero mai detto loro quelle parole”.

Invece oggi, afferma Brendan, “la sua libertà è ancora negata”, perché è “tenuto ostaggio in mare dalle autorità italiane che rifiutano di farlo scendere a terra.

Doro, amico mio - conclude Brendan - , spero che l’Europa ti dia il benvenuto, e che possano lasciarti vivere e amare” come meriti.

]]>
doro

Doro, che i membri dell’equipaggio della Sea Watch 3 chiamano “gigante gentile”, ha cicatrici ovunque, sul volto, sul corpo.

È stato torturato e picchiato ripetutamente in Libia; tre volte ha tentato di fuggire con un’imbarcazione in mare, e tre volte è stato riportato indietro dalla Guardia costiera libica e reso schiavo.

Lo hanno ferito con un Kalashnikov e, a causa dei postumi, ha perso parte della vista. Gli hanno spento sigarette sulla schiena per estorcergli denaro. La madre ha dovuto vendere casa per riscattarlo. Nelle carceri libiche ha visto morire il suo miglior amico. Doro è tra le 47 persone a bordo della Sea Watch, bloccata nel porto di Siracusa, eppure nonostante gli attacchi sui social – sui quali l’equipaggio li informa – ha ancora la gentilezza e il coraggio di dire: “Non biasimarli. Non hanno mai sofferto così. Non sanno cosa significa”. La sua storia è raccontata su Facebook da Brendan, uno dei soccorritori a bordo della Sea Watch.   [gallery columns="2" size="medium" ids="53906,53907"]

Brendan descrive Doro come una persona “forte” e “umile”, “generosa, gentile e premurosa”, tanto da lavare i piatti per aiutare l’equipaggio. Doro parla sette lingue e vuole raccontare a tutti la sua storia, simile a tante, “perché altri non soffrano come lui”.

La terza volta che ha provato la traversata nel Mediterraneo, ha sentito la voce di qualcuno da una nave che diceva ai naufraghi: “Ora siete in salvo”. “Sapeva che non era la Guardia costiera libica, perché non avrebbero mai detto loro quelle parole”.

Invece oggi, afferma Brendan, “la sua libertà è ancora negata”, perché è “tenuto ostaggio in mare dalle autorità italiane che rifiutano di farlo scendere a terra.

Doro, amico mio - conclude Brendan - , spero che l’Europa ti dia il benvenuto, e che possano lasciarti vivere e amare” come meriti.

]]>
Diritti umani. L’invito dei Campanari di Arrone https://www.lavoce.it/diritti-umani-campanari-arrone/ https://www.lavoce.it/diritti-umani-campanari-arrone/#comments Mon, 03 Dec 2018 12:00:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53527 arrone

Il 10 dicembre si celebra la Giornata mondiale dei diritti umani. Per l’occasione il Gruppo Campanari di Arrone, con il sostegno della Federazione nazionale suonatori di campane, promuove l’iniziativa “Suoniamo i Campanili d’Europa per sostenere i diritti umani”.

“Quest’anno, a causa dei lavori di restauro agli affreschi della chiesa di San Giovani Battista di Arrone non potremo suonare le campane – spiega il presidente Tullio Antonelli – ma considerato il successo avuto nelle passate edizioni, con l’adesione anche della Spagna e dell’Inghilterra, torniamo a lanciare nuovamente l’iniziativa auspicando che il trend positivo continui. Inoltre rivolgeremo un pensiero e un augurio di pronta rinascita alle zone colpite dal sisma”.

Il segno per Giornata dei diritti umani

L’iniziativa prevede un’esecuzione da effettuarsi la sera alle ore 20 della durata di dieci minuti. “Abbiamo già ricevuto qualche adesione, per esempio dalla provincia di Imperia, dal Sacro Convento di Assisi e dal comune di Assisi che suonerà la campana delle laudi (sacro bronzo di altissimo valore simbolico che ha già suonato in altre iniziative di pace) e dalla parrocchia di Eggi. Siamo in attesa di risposta dalla Spagna e dall’Inghilterra.

I suonatori di campane di Arrone

Il gruppo di Arrone è composto da sette persone, due delle quali sono donne. “Durante l’anno organizziamo la festa di Sant’Antonio e partecipiamo alla ‘Giornata dei Campanili aperti’, in collaborazione con il Fai – continua - evento che si è tenuto per la prima volta nel 2017. Lo scopo dell’iniziativa è quello di far salire la gente sul campanile per mostrargli l’arte del suono manuale delle campane.

Quest’anno, sempre in collaborazione con la Federazione nazionale suonatori di campane, abbiamo organizzato il 58° Raduno nazionale suonatori di campane, manifestazione itinerante che quest’anno si è svolta a Norcia allo scopo di portare solidarietà alle popolazioni colpite dal terremoto. Per il resto dell’anno suoniamo in occasione delle principali manifestazioni civili e religiose”.

Le associazioni di campanari in Italia

In Italia esistono molte associazioni di campanari. “Per esempio – spiega ancora - nelle cattedrali di Reggio Emilia e Bologna le campane sono completamente manuali, a Ferrara delle 5 campane della cattedrale due si possono suonare manualmente. In Umbria ci sono a Sansepolcro, a Gubbio. Ogni associazione tramanda il sistema di suono tipico della sua regione.

Si tratta di manifestazioni che richiamano sempre tanta gente, molte famiglie con bambini: ricordo qualche anno fa un bambino proveniente dalla Toscana, forse aveva 10 anni, venne da noi con i genitori. Aveva imparato la nostra suonata alle martelline grazie ai nostri video su youtube ed è riuscito a suonare alla perfezione con noi. È stato emozionante!”.

Manuela Acito

]]>
arrone

Il 10 dicembre si celebra la Giornata mondiale dei diritti umani. Per l’occasione il Gruppo Campanari di Arrone, con il sostegno della Federazione nazionale suonatori di campane, promuove l’iniziativa “Suoniamo i Campanili d’Europa per sostenere i diritti umani”.

“Quest’anno, a causa dei lavori di restauro agli affreschi della chiesa di San Giovani Battista di Arrone non potremo suonare le campane – spiega il presidente Tullio Antonelli – ma considerato il successo avuto nelle passate edizioni, con l’adesione anche della Spagna e dell’Inghilterra, torniamo a lanciare nuovamente l’iniziativa auspicando che il trend positivo continui. Inoltre rivolgeremo un pensiero e un augurio di pronta rinascita alle zone colpite dal sisma”.

Il segno per Giornata dei diritti umani

L’iniziativa prevede un’esecuzione da effettuarsi la sera alle ore 20 della durata di dieci minuti. “Abbiamo già ricevuto qualche adesione, per esempio dalla provincia di Imperia, dal Sacro Convento di Assisi e dal comune di Assisi che suonerà la campana delle laudi (sacro bronzo di altissimo valore simbolico che ha già suonato in altre iniziative di pace) e dalla parrocchia di Eggi. Siamo in attesa di risposta dalla Spagna e dall’Inghilterra.

I suonatori di campane di Arrone

Il gruppo di Arrone è composto da sette persone, due delle quali sono donne. “Durante l’anno organizziamo la festa di Sant’Antonio e partecipiamo alla ‘Giornata dei Campanili aperti’, in collaborazione con il Fai – continua - evento che si è tenuto per la prima volta nel 2017. Lo scopo dell’iniziativa è quello di far salire la gente sul campanile per mostrargli l’arte del suono manuale delle campane.

Quest’anno, sempre in collaborazione con la Federazione nazionale suonatori di campane, abbiamo organizzato il 58° Raduno nazionale suonatori di campane, manifestazione itinerante che quest’anno si è svolta a Norcia allo scopo di portare solidarietà alle popolazioni colpite dal terremoto. Per il resto dell’anno suoniamo in occasione delle principali manifestazioni civili e religiose”.

Le associazioni di campanari in Italia

In Italia esistono molte associazioni di campanari. “Per esempio – spiega ancora - nelle cattedrali di Reggio Emilia e Bologna le campane sono completamente manuali, a Ferrara delle 5 campane della cattedrale due si possono suonare manualmente. In Umbria ci sono a Sansepolcro, a Gubbio. Ogni associazione tramanda il sistema di suono tipico della sua regione.

Si tratta di manifestazioni che richiamano sempre tanta gente, molte famiglie con bambini: ricordo qualche anno fa un bambino proveniente dalla Toscana, forse aveva 10 anni, venne da noi con i genitori. Aveva imparato la nostra suonata alle martelline grazie ai nostri video su youtube ed è riuscito a suonare alla perfezione con noi. È stato emozionante!”.

Manuela Acito

]]>
https://www.lavoce.it/diritti-umani-campanari-arrone/feed/ 1
Papa Francesco: pena di morte “inammissibile”, abolirla in tutto il mondo
 https://www.lavoce.it/papa-francesco-pena-morte-inammissibile-abolirla-mondo%e2%80%a8/ Fri, 03 Aug 2018 16:09:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52673

“La Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che ‘la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona’, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo”. È quanto si legge nella nuova redazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica, approvata da Papa Francesco l’11 maggio scorso durante l’udienza concessa al card. Luis Francisco Ladaria Ferrer, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, disponendo che venga tradotta nelle diverse lingue e inserita in tutte le edizioni del suddetto Catechismo. “Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune”, si legge nel rescritto, diffuso oggi dalla Sala Stampa della Santa Sede: 

“Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi”. La nuova formulazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica, si precisa nella lettera a tutti i vescovi del mondo che accompagna il rescritto, “vuole costituire una spinta a un deciso impegno, anche attraverso un rispettoso dialogo con le autorità politiche, affinché sia favorita una mentalità che riconosca la dignità di ogni vita umana e vengano create le condizioni che consentono di eliminare oggi l’istituto giuridico della pena di morte laddove è ancora in vigore”. La nuova norma, spiega il competente dicastero pontificio,
“esprime un autentico sviluppo della dottrina, che non è in contraddizione con gli insegnamenti anteriori del magistero”, 
i quali “possono spiegarsi alla luce della responsabilità primaria dell’autorità pubblica di tutelare il bene comune, in un contesto sociale in cui le sanzioni penali si comprendevano diversamente e avvenivano in un ambiente in cui era più difficile garantire che il criminale non potesse reiterare il suo crimine”. Era stato lo stesso Papa Francesco, si ricorda nella lettera, che, nel discorso in occasione del venticinquesimo anniversario della pubblicazione della Costituzione Apostolica Fidei depositum, con la quale Giovanni Paolo II promulgava il Catechismo della Chiesa Cattolica, aveva chiesto “che fosse riformulato l’insegnamento sulla pena di morte, in modo da raccogliere meglio lo sviluppo della dottrina avvenuto su questo punto negli ultimi tempi”, a partire dalla "coscienza sempre più chiara nella Chiesa del rispetto dovuto ad ogni vita umana”.  In questo sviluppo, sottolinea il dicastero vaticano, 

"è di grande importanza l’insegnamento della Lettera enciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II", 

dove il Papa polacco annoverava tra i segni di speranza di una nuova civiltà della vita "la sempre più diffusa avversione dell’opinione pubblica alla pena di morte anche solo come strumento di 'legittima difesa' sociale, in considerazione delle possibilità di cui dispone una moderna società di reprimere efficacemente il crimine in modi che, mentre rendono inoffensivo colui che l’ha commesso, non gli tolgono definitivamente la possibilità di redimersi". L’insegnamento di Evangelium vitae è stato raccolto poi nell’editio typica del Catechismo della Chiesa Cattolica, nel quale "la pena di morte non si presenta come una pena proporzionata alla gravità del delitto, ma si giustifica solo se fosse 'l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani', anche se di fatto 'i casi di assoluta necessità di soppressione del reo sono ormai molto rari, se non addirittura inesistenti' (n. 2267). Giovanni Paolo II è intervenuto anche in altre occasioni contro la pena di morte, appellandosi sia al rispetto della dignità della persona sia ai mezzi che possiede la società odierna per difendersi dal criminale. La spinta ad impegnarsi per l’abolizione della pena di morte è continuata con i pontefici successivi. Benedetto XVI richiamava "l’attenzione dei responsabili della società sulla necessità di fare tutto il possibile per giungere all’eliminazione della pena capitale" e successivamente auspicava ad un gruppo di fedeli che "le vostre deliberazioni possano incoraggiare le iniziative politiche e legislative, promosse in un numero crescente di Paesi, per eliminare la pena di morte e continuare i progressi sostanziali realizzati per adeguare il diritto penale sia alle esigenze della dignità umana dei prigionieri che all’effettivo mantenimento dell’ordine pubblico". In questa stessa prospettiva Papa Francesco ha ribadito che "oggigiorno la pena di morte è inammissibile, per quanto grave sia stato il delitto del condannato". La pena di morte, quali che siano le modalità dell’esecuzione, "implica un trattamento crudele, disumano e degradante". Va inoltre rifiutata "a motivo della difettosa selettività del sistema penale e di fronte alla possibilità dell’errore giudiziario". È in questa luce che Papa Francesco ha chiesto una revisione della formulazione del Catechismo della Chiesa Cattolica sulla pena di morte. 
M.Michela Nicolais]]>

“La Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che ‘la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona’, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo”. È quanto si legge nella nuova redazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica, approvata da Papa Francesco l’11 maggio scorso durante l’udienza concessa al card. Luis Francisco Ladaria Ferrer, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, disponendo che venga tradotta nelle diverse lingue e inserita in tutte le edizioni del suddetto Catechismo. “Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune”, si legge nel rescritto, diffuso oggi dalla Sala Stampa della Santa Sede: 

“Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi”. La nuova formulazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica, si precisa nella lettera a tutti i vescovi del mondo che accompagna il rescritto, “vuole costituire una spinta a un deciso impegno, anche attraverso un rispettoso dialogo con le autorità politiche, affinché sia favorita una mentalità che riconosca la dignità di ogni vita umana e vengano create le condizioni che consentono di eliminare oggi l’istituto giuridico della pena di morte laddove è ancora in vigore”. La nuova norma, spiega il competente dicastero pontificio,
“esprime un autentico sviluppo della dottrina, che non è in contraddizione con gli insegnamenti anteriori del magistero”, 
i quali “possono spiegarsi alla luce della responsabilità primaria dell’autorità pubblica di tutelare il bene comune, in un contesto sociale in cui le sanzioni penali si comprendevano diversamente e avvenivano in un ambiente in cui era più difficile garantire che il criminale non potesse reiterare il suo crimine”. Era stato lo stesso Papa Francesco, si ricorda nella lettera, che, nel discorso in occasione del venticinquesimo anniversario della pubblicazione della Costituzione Apostolica Fidei depositum, con la quale Giovanni Paolo II promulgava il Catechismo della Chiesa Cattolica, aveva chiesto “che fosse riformulato l’insegnamento sulla pena di morte, in modo da raccogliere meglio lo sviluppo della dottrina avvenuto su questo punto negli ultimi tempi”, a partire dalla "coscienza sempre più chiara nella Chiesa del rispetto dovuto ad ogni vita umana”.  In questo sviluppo, sottolinea il dicastero vaticano, 

"è di grande importanza l’insegnamento della Lettera enciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II", 

dove il Papa polacco annoverava tra i segni di speranza di una nuova civiltà della vita "la sempre più diffusa avversione dell’opinione pubblica alla pena di morte anche solo come strumento di 'legittima difesa' sociale, in considerazione delle possibilità di cui dispone una moderna società di reprimere efficacemente il crimine in modi che, mentre rendono inoffensivo colui che l’ha commesso, non gli tolgono definitivamente la possibilità di redimersi". L’insegnamento di Evangelium vitae è stato raccolto poi nell’editio typica del Catechismo della Chiesa Cattolica, nel quale "la pena di morte non si presenta come una pena proporzionata alla gravità del delitto, ma si giustifica solo se fosse 'l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani', anche se di fatto 'i casi di assoluta necessità di soppressione del reo sono ormai molto rari, se non addirittura inesistenti' (n. 2267). Giovanni Paolo II è intervenuto anche in altre occasioni contro la pena di morte, appellandosi sia al rispetto della dignità della persona sia ai mezzi che possiede la società odierna per difendersi dal criminale. La spinta ad impegnarsi per l’abolizione della pena di morte è continuata con i pontefici successivi. Benedetto XVI richiamava "l’attenzione dei responsabili della società sulla necessità di fare tutto il possibile per giungere all’eliminazione della pena capitale" e successivamente auspicava ad un gruppo di fedeli che "le vostre deliberazioni possano incoraggiare le iniziative politiche e legislative, promosse in un numero crescente di Paesi, per eliminare la pena di morte e continuare i progressi sostanziali realizzati per adeguare il diritto penale sia alle esigenze della dignità umana dei prigionieri che all’effettivo mantenimento dell’ordine pubblico". In questa stessa prospettiva Papa Francesco ha ribadito che "oggigiorno la pena di morte è inammissibile, per quanto grave sia stato il delitto del condannato". La pena di morte, quali che siano le modalità dell’esecuzione, "implica un trattamento crudele, disumano e degradante". Va inoltre rifiutata "a motivo della difettosa selettività del sistema penale e di fronte alla possibilità dell’errore giudiziario". È in questa luce che Papa Francesco ha chiesto una revisione della formulazione del Catechismo della Chiesa Cattolica sulla pena di morte. 
M.Michela Nicolais]]>
L’editoriale. La stella polare: la dignità di ogni essere umano https://www.lavoce.it/leditoriale-la-stella-polare-la-dignita-di-ogni-essere-umano/ Thu, 20 Oct 2016 15:33:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47706 accoglienza-immigratiA proposito d’immigrazioni Norberto Bobbio scriveva nel 1994 che “indipendentemente dal dibattito sul razzismo” di fatto “il contatto improvviso, impreveduto, di individui appartenenti a diverse tradizioni culturali, specie poi quando ‘i diversi’ alimentano una concorrenza nel mercato del lavoro, genera inevitabilmente conflitti etnici che si aggiungono a tutti gli altri conflitti da cui ogni società è lacerata”. Era un segnale premonitore. Sono trascorsi oltre venti anni e oggi si scopre questo passo in un inedito del filosofo morto nel 2004 all’età di 95 anni.

Bobbio, da una postazione culturale ben nota e andando oltre quelle che oggi sono espressioni di difesa e di paura, indicava due risposte possibili alla sfida delle immigrazioni: “L’assimilazione o il riconoscimento e conseguente regolamentazione di una società multiculturale”.

E si chiedeva quali delle due potesse essere definita la soluzione di sinistra aggiungendo subito la domanda: “Si può dire che una soluzione è più di sinistra di un’altra?”. Lanciava la domanda se la distinzione “sinistra” e “destra” avesse ancora significato politico.

Non intendeva certo liquidare i due termini a vantaggio del qualunquismo, dell’indifferenza e del disimpegno ma poneva una questione di fondo: quale risposta in termini di dignità umana si deve dare a un fenomeno sociale provocato da logiche di mercato, di potere, di sicurezza di pochi a scapito della sicurezza di molti?

Il filosofo collegava “il futuro del socialismo” al tipo di risposta che si intendeva dare alla sfida migratoria ma, andando oltre le righe, emerge oggi che quello a cui Bobbio pensava non era tanto il futuro di una parte quanto il futuro del tutto: il futuro dell’umanità. Quando, ad esempio e sempre nell’inedito, richiama “l’ideale dell’uguaglianza” raffigurandolo nell’immagine della “stella polare”, che lo guidava e “non è mai tramontata”, si riferisce alla responsabilità storica della sinistra ma si farebbe torto alla sua onestà intellettuale se la lettura delle sue parole si fermasse a una sponda e non prendesse il largo. Questo movimento del pensiero appare evidente quando afferma che la vittoria delle regole del profitto e del potere comporterebbe la sconfitta di quanti formano “il pianeta dei naufraghi”. Oggi il barcone dei naufraghi.

Scrive Bobbio che “il mercato, nel momento in cui libera immense energie, crea enormi e intollerabili disuguaglianze”. Quindi “la vittoria del mercato non solo non rappresenta la fine della sinistra (e tanto meno la fine della storia) ma ricrea continuamente le condizioni per la sua perpetuazione”. Il mercato, che non si ferma ai muri, alle trincee e al filo spinato, continuerebbe all’infinito la sua opera di divisione e disuguaglianza.

Si fanno spazio due considerazioni: la fuga dalla responsabilità dei mercati di fronte al fenomeno migratorio. La seconda richiama le parole e i gesti di un Papa fedele a quel Vangelo che non ha bisogno di cartelli di destra e di sinistra per indicare la via della solidarietà, del bene comune, della speranza.

Non è dato di sapere se Bobbio sia arrivato a questa conclusione e non è corretto dare per scontato che ci stesse arrivando.

Non compete a chi è ai bordi della cronaca interrogare la coscienza altrui. Compete piuttosto cercare e seguire le tracce che collegano il sentiero di un filosofo al sentiero di un Papa e così scoprire che entrambi, pur nella diversità dei compiti, hanno camminato e camminano verso la pace e la giustizia guidati dalla stella polare di quell’uguaglianza che nasce dalla dignità di ogni essere umano.

]]>
Bassetti: “la carità è manifestazione della misericordia” https://www.lavoce.it/bassetti-la-carita-e-manifestazione-della-misericordia/ Wed, 10 Aug 2016 10:38:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47278

Il card. Gualtiero Bassetti ha presieduto nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia la solenne liturgia della festa del santo martire Lorenzo. Hanno concelebrato il vescovo emerito mons. Giuseppe Chiaretti e il presidente del Capitolo della cattedrale mons. Fausto Sciurpa.

*******

All’inizio di questa breve riflessione, in occasione della Festa del titolare della nostra basilica cattedrale, desidero porgere un cordiale e fraterno saluto ai reverendi membri del Capitolo di San Lorenzo, assieme a tutti i sacerdoti di varie parti del mondo, presenti a Perugia per motivi di studio. Un cordiale e deferente saluto anche alle autorità cittadine, alla Corale Laurenziana e a tutti i fedeli presenti. Il culto di San Lorenzo, diacono e martire della chiesa di Roma, si è diffuso nell’antichità in molte zone d’Italia e d’Europa. Esso è divenuto nel tempo icona viva della carità cristiana, praticata in modo eroico, fino al dono totale di se stessi e della propria vita. A lui ben si addicono le parole del salmo, ricordate anche da san Paolo: «Ha largheggiato, ha dato ai poveri, la sua giustizia dura in eterno». Nell’Anno del Giubileo straordinario della misericordia, san Lorenzo ci ricorda che la carità è manifestazione della misericordia. Se il cuore è pieno di grazia esso è anche aperto all’aiuto del prossimo. Se una Chiesa vive nell’amore del Signore, essa è attenta e sollecita alle sofferenze dei fratelli. La presenza di Gesù in mezzo ad una comunità è tanto più visibile quanto più essa risplende nell’aiuto a quanti soffrono per la malattia, la solitudine e la povertà. Tutti noi, sull’esempio di Lorenzo siamo chiamati a nutrire nel cuore sentimenti di misericordia e a vivere la carità con l’impegno di tutta la vita, come ci ha ammonito il Vangelo di Giovanni: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Solo consumati dall’amore del Signore, possiamo portare quel frutto che fa crescere il Regno di Dio e guadagnarci la vita eterna. Mossa dall’insegnamento del Vangelo e dall’esempio del patrono san Lorenzo, la Chiesa perusino-pievese, in questi ultimi tempi, travagliati dalla crisi economica, ha voluto esser presente in mezzo a tante realtà di sofferenza e umiliazione per portare una parola di speranza e un segno concreto di aiuto. Con le collette annuali del Fondo di Solidarietà si sono potute aiutare tante famiglie nel bisogno, con l’apertura dei quattro Empori della Solidarietà si sono create le condizioni perché a nessuno manchi mai il cibo per la propria famiglia, con l’accoglienza dei profughi si è voluto dar seguito alle parole di Gesù: “Ero forestiero e mi avete accolto”. A tal proposito desidero ringraziare la Caritas e tutti coloro che esercitano un volontariato attivo nei confronti del prossimo. Accanto al nutrimento materiale però non dobbiamo mai far mancare il quello dello spirito, fatto di vicinanza solidale, di comprensione, affetto e amore disinteressato. La crisi economica, se ha gettato molte realtà familiari (e soprattutto molti giovani) nel panico di una vita insicura, senza prospettive per l’avvenire, ha anche accresciuto in molti quell’apatia per la vita e per le relazioni umane, spesso sfociata in casi di efferata violenza, di soprusi familiari e di devastazione dell’esistenza, bruciata alla ricerca dell’evasione possibile, procurata dalla droga o da altri vizi distruttori, come l’alcool e il gioco d’azzardo patologico, che stanno devastando migliaia di persone e altrettante famiglie. Negli ultimi mesi, nella nostra città, abbiamo assistito, con sentimenti di impotenza, di rammarico e di dolore, alla morte per overdose di 16 persone: quasi due morti al mese, e quasi tutti giovani. Cosa si nasconde dietro queste tragiche morti, spesso in giovane età? Problemi economici, familiari, relazionali? Senza dubbio dietro queste morti c’è soprattutto il non senso della vita, quella noia esistenziale che tutto riduce a grigiore indistinto, ove non si trova più la forza per reagire con sussulti di fiducia e di speranza, c’è la perdita inesorabile di quel sano e salutare umanesimo cristiano, che per secoli è stato a fondamento dei valori e della dignità umana. La comunità cristiana e anche quella civile non possono non interrogarsi su questi fenomeni devastanti che, forse, non sono che la punta di un iceberg ben più vasto, fatto di tanti malesseri sovrapposti, che la società odierna, con tutta la sua seducente tecnologia, non riesce a debellare, anzi, quasi ne genera essa stessa sempre di nuovi. La carità oggi deve dunque assumere forme nuove: all’aiuto per il cibo e la casa è essenziale poter trovare le modalità necessarie per farsi incontro ai fratelli che non trovano un senso alla vita, che non trovano più il coraggio di andare avanti e si fermano sul bordo della strada. Cosa possiamo offrire a questi fratelli? Il nostro dono si chiama Gesù e la gioia del Vangelo può riempire “il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Lui. Conoscere il Signore può cambiare l’esistenza di tante persone; sanare molte sofferenze; portare speranza anche nei cuori refrattari ad ogni sollecitazione umana. Quello che possiamo donare non è tanto l’oro e l’argento (come disse l’apostolo Pietro al paralitico dinanzi alla Porta Bella del Tempio di Gerusalemme), quanto la fede in Gesù, e nel suo grande amore per tutti gli uomini, che deve essere anche il nostro amore. Papa Francesco parlando ai giovani di tutto il mondo, radunati a Cracovia per la Giornata Mondiale della Gioventù, ha voluto ricordare a tutti che: “un cuore misericordioso sa andare incontro agli altri, riesce ad abbracciare tutti. Un cuore misericordioso sa essere un rifugio per chi non ha mai avuto una casa o l’ha perduta, sa creare un ambiente di casa e di famiglia per chi ha dovuto emigrare, è capace di tenerezza e di compassione. Un cuore misericordioso sa condividere il pane con chi ha fame, un cuore misericordioso si apre per ricevere il profugo e il migrante… Quando il cuore è aperto e capace di sognare c’è posto per la misericordia, c’è posto per carezzare quelli che soffrono, c’è posto per mettersi accanto a quelli che non hanno pace nel cuore o mancano del necessario per vivere, o mancano della cosa più bella: la fede”. Il dono della fede è il più bel gesto di carità che possiamo offrire al mondo di oggi, immerso nelle brame del godimento effimero e nelle onde di quel mare di dubbi che tutto diluisce e degrada. E’ la fede che spinge a sognare, ad agire per un mondo migliore; è la fede che può spingere ciascuno di noi a donare se stesso per amore del prossimo. E’ la fede che ha mosso san Lorenzo nei suoi passi sulla via della carità ed è sempre la fede che lo ha sostenuto nell’ora tragica del martirio, divorato fisicamente dalle fiamme, simbolo di quell’amore che portava nel cuore. San Leone Magno, parlando del martirio di san Lorenzo dice che le fiamme esteriori non erano però paragonabili al fuoco dello spirito che ardeva nel cuore del martire Il santo patrono Lorenzo aiuti noi ad amare i poveri, la Chiesa e l’Eucaristia come lui ha saputo testimoniare con sua vita. Amen!        ]]>

Il card. Gualtiero Bassetti ha presieduto nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia la solenne liturgia della festa del santo martire Lorenzo. Hanno concelebrato il vescovo emerito mons. Giuseppe Chiaretti e il presidente del Capitolo della cattedrale mons. Fausto Sciurpa.

*******

All’inizio di questa breve riflessione, in occasione della Festa del titolare della nostra basilica cattedrale, desidero porgere un cordiale e fraterno saluto ai reverendi membri del Capitolo di San Lorenzo, assieme a tutti i sacerdoti di varie parti del mondo, presenti a Perugia per motivi di studio. Un cordiale e deferente saluto anche alle autorità cittadine, alla Corale Laurenziana e a tutti i fedeli presenti. Il culto di San Lorenzo, diacono e martire della chiesa di Roma, si è diffuso nell’antichità in molte zone d’Italia e d’Europa. Esso è divenuto nel tempo icona viva della carità cristiana, praticata in modo eroico, fino al dono totale di se stessi e della propria vita. A lui ben si addicono le parole del salmo, ricordate anche da san Paolo: «Ha largheggiato, ha dato ai poveri, la sua giustizia dura in eterno». Nell’Anno del Giubileo straordinario della misericordia, san Lorenzo ci ricorda che la carità è manifestazione della misericordia. Se il cuore è pieno di grazia esso è anche aperto all’aiuto del prossimo. Se una Chiesa vive nell’amore del Signore, essa è attenta e sollecita alle sofferenze dei fratelli. La presenza di Gesù in mezzo ad una comunità è tanto più visibile quanto più essa risplende nell’aiuto a quanti soffrono per la malattia, la solitudine e la povertà. Tutti noi, sull’esempio di Lorenzo siamo chiamati a nutrire nel cuore sentimenti di misericordia e a vivere la carità con l’impegno di tutta la vita, come ci ha ammonito il Vangelo di Giovanni: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Solo consumati dall’amore del Signore, possiamo portare quel frutto che fa crescere il Regno di Dio e guadagnarci la vita eterna. Mossa dall’insegnamento del Vangelo e dall’esempio del patrono san Lorenzo, la Chiesa perusino-pievese, in questi ultimi tempi, travagliati dalla crisi economica, ha voluto esser presente in mezzo a tante realtà di sofferenza e umiliazione per portare una parola di speranza e un segno concreto di aiuto. Con le collette annuali del Fondo di Solidarietà si sono potute aiutare tante famiglie nel bisogno, con l’apertura dei quattro Empori della Solidarietà si sono create le condizioni perché a nessuno manchi mai il cibo per la propria famiglia, con l’accoglienza dei profughi si è voluto dar seguito alle parole di Gesù: “Ero forestiero e mi avete accolto”. A tal proposito desidero ringraziare la Caritas e tutti coloro che esercitano un volontariato attivo nei confronti del prossimo. Accanto al nutrimento materiale però non dobbiamo mai far mancare il quello dello spirito, fatto di vicinanza solidale, di comprensione, affetto e amore disinteressato. La crisi economica, se ha gettato molte realtà familiari (e soprattutto molti giovani) nel panico di una vita insicura, senza prospettive per l’avvenire, ha anche accresciuto in molti quell’apatia per la vita e per le relazioni umane, spesso sfociata in casi di efferata violenza, di soprusi familiari e di devastazione dell’esistenza, bruciata alla ricerca dell’evasione possibile, procurata dalla droga o da altri vizi distruttori, come l’alcool e il gioco d’azzardo patologico, che stanno devastando migliaia di persone e altrettante famiglie. Negli ultimi mesi, nella nostra città, abbiamo assistito, con sentimenti di impotenza, di rammarico e di dolore, alla morte per overdose di 16 persone: quasi due morti al mese, e quasi tutti giovani. Cosa si nasconde dietro queste tragiche morti, spesso in giovane età? Problemi economici, familiari, relazionali? Senza dubbio dietro queste morti c’è soprattutto il non senso della vita, quella noia esistenziale che tutto riduce a grigiore indistinto, ove non si trova più la forza per reagire con sussulti di fiducia e di speranza, c’è la perdita inesorabile di quel sano e salutare umanesimo cristiano, che per secoli è stato a fondamento dei valori e della dignità umana. La comunità cristiana e anche quella civile non possono non interrogarsi su questi fenomeni devastanti che, forse, non sono che la punta di un iceberg ben più vasto, fatto di tanti malesseri sovrapposti, che la società odierna, con tutta la sua seducente tecnologia, non riesce a debellare, anzi, quasi ne genera essa stessa sempre di nuovi. La carità oggi deve dunque assumere forme nuove: all’aiuto per il cibo e la casa è essenziale poter trovare le modalità necessarie per farsi incontro ai fratelli che non trovano un senso alla vita, che non trovano più il coraggio di andare avanti e si fermano sul bordo della strada. Cosa possiamo offrire a questi fratelli? Il nostro dono si chiama Gesù e la gioia del Vangelo può riempire “il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Lui. Conoscere il Signore può cambiare l’esistenza di tante persone; sanare molte sofferenze; portare speranza anche nei cuori refrattari ad ogni sollecitazione umana. Quello che possiamo donare non è tanto l’oro e l’argento (come disse l’apostolo Pietro al paralitico dinanzi alla Porta Bella del Tempio di Gerusalemme), quanto la fede in Gesù, e nel suo grande amore per tutti gli uomini, che deve essere anche il nostro amore. Papa Francesco parlando ai giovani di tutto il mondo, radunati a Cracovia per la Giornata Mondiale della Gioventù, ha voluto ricordare a tutti che: “un cuore misericordioso sa andare incontro agli altri, riesce ad abbracciare tutti. Un cuore misericordioso sa essere un rifugio per chi non ha mai avuto una casa o l’ha perduta, sa creare un ambiente di casa e di famiglia per chi ha dovuto emigrare, è capace di tenerezza e di compassione. Un cuore misericordioso sa condividere il pane con chi ha fame, un cuore misericordioso si apre per ricevere il profugo e il migrante… Quando il cuore è aperto e capace di sognare c’è posto per la misericordia, c’è posto per carezzare quelli che soffrono, c’è posto per mettersi accanto a quelli che non hanno pace nel cuore o mancano del necessario per vivere, o mancano della cosa più bella: la fede”. Il dono della fede è il più bel gesto di carità che possiamo offrire al mondo di oggi, immerso nelle brame del godimento effimero e nelle onde di quel mare di dubbi che tutto diluisce e degrada. E’ la fede che spinge a sognare, ad agire per un mondo migliore; è la fede che può spingere ciascuno di noi a donare se stesso per amore del prossimo. E’ la fede che ha mosso san Lorenzo nei suoi passi sulla via della carità ed è sempre la fede che lo ha sostenuto nell’ora tragica del martirio, divorato fisicamente dalle fiamme, simbolo di quell’amore che portava nel cuore. San Leone Magno, parlando del martirio di san Lorenzo dice che le fiamme esteriori non erano però paragonabili al fuoco dello spirito che ardeva nel cuore del martire Il santo patrono Lorenzo aiuti noi ad amare i poveri, la Chiesa e l’Eucaristia come lui ha saputo testimoniare con sua vita. Amen!        ]]>
Cristiani perseguitati. La Chiesa prega per rompere il muro dell’indifferenza https://www.lavoce.it/rompiamo-il-muro-dellindifferenza/ Thu, 07 Aug 2014 12:55:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27479 Distruzione e morte dopo un attentato kamikaze in una chiesa a Peshawar
Distruzione e morte dopo un attentato kamikaze in una chiesa a Peshawar

Una giornata di preghiera, il 15 agosto, e un forte invito a rompere il muro dell’indifferenza. Sono le richieste contenute nel recente messaggio della Presidenza della Conferenza episcopale italiana dal titolo Noi non possiamo tacere. La continua e sistematica strage di cristiani dovrà finalmente spingere il mondo occidentale a una convinta presa di posizione.

Perché occuparsi dei cristiani perseguitati? La Scrittura insegna che tutti coloro che sono stati battezzati sono tra loro uniti, formando un unico Corpo. L’apostolo Paolo afferma: “Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo” (1Cor 12,12 -13). Da questo deriva che nessuno può disinteressarsi degli altri. Anzi, “se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme” (12,26).

Davanti alle notizie che ci giungono sul martirio dei cristiani – notizie talvolta poche e sommerse da altre meno importanti – ci si sente colpiti dentro. Quei cristiani le cui case sono state marchiate con l’iniziale del Nazareno, quei cristiani scacciati dalla loro terra, vessati, umiliati e barbaramente uccisi, quei cristiani si sente che ci appartengono, sono parte di noi, sono come noi. La loro sofferenza diventa la nostra, anche se in noi certamente meno forte e devastante. Non è semplice solidarietà, come si può provare nei confronti di coloro che hanno i medesimi nostri ideali, è qualcosa di più. Abbiamo la stessa carne, formiamo insieme il Corpo mistico di Cristo, così le loro ferite sanguinano in tutti.

Questo sguardo permette di intravvedere una realtà tanto misteriosa quanto reale e viva. Per analogia al corpo, le membra posso aiutarsi le une le altre. Questo attesta la consolante verità di fede della Comunione dei santi: tutti i fedeli, in forza del battesimo, sono uniti tra loro e con Cristo, da cui ricevono energia e vita. Così, il bene compiuto da qualcuno – nell’ordine della grazia – va a vantaggio di tutti e la preghiera di intercessione degli uni diviene efficace per gli altri.

In quest’ottica i Vescovi italiani, di fronte alla persecuzione dei cristiani, indicono una giornata di preghiera nazionale. Invitano a pregare affinché gli oppressori desistano, ma anche perché i fratelli e lo sorelle che soffrono a motivo della loro fedeltà a Cristo siano sostenuti con la grazia di Cristo, che come vita corre nel corpo o come linfa scorre dalla vite ai tralci. Questo è un primo e forte motivo per cui i cristiani non possono disinteressarsi dei fratelli nella persecuzione.

Ma c’è ne è un altro di ordine culturale, che deve riguardare tutti gli uomini di buona volontà. Il mondo contemporaneo è giustamente sensibile nei confronti della libertà. I diversi totalitarismi che hanno soffocato l’Europa nel secolo scorso hanno avuto come reazione convinta l’affermazione della libertà nell’esprimere le proprie convinzioni, a cominciare da quelle religiose. La Chiesa cattolica ha offerto nel Concilio Vaticano II un’importante Dichiarazione sul tema della libertà religiosa, affermando che essa affonda le sue radici direttamente nella stessa dignità umana.

Affermare il contrario significa lasciare il predominio alla forza e al sopruso. Ecco perché l’Europa non può continuare a essere – scrivono i Vescovi italiani – “distratta ed indifferente, cieca e muta davanti alle persecuzioni di cui oggi sono vittime centinaia di migliaia di cristiani”. Per l’Europa, distruggere il cristianesimo vuole anche dire, demolire la casa in cui è nata.

 

Preghiera per il 15 agosto

La Cei ha predisposto una Monizione iniziale e una Preghiera dei fedeli da recitare il 15 agosto per i cristiani perseguitati. La preghiera dei fedeli si apre con le parole: “Maria, Madre del Signore, è segno splendente sul cammino del popolo di Dio, figura di un’umanità nuova e fraterna. Chiediamo a lei, Regina della pace, di intercedere perché, nei Paesi devastati da varie forme di conflitti e dove i cristiani sono perseguitati a causa della loro fede, la forza dello Spirito di Dio riporti alla ragione chi è irriducibile, faccia cadere le armi dalle mani dei violenti, e ridoni fiducia a chi è tentato di cedere allo sconforto”.

]]>
Ceu e Cei organizzano a Perugia la conferenza “Il destino della libertà” https://www.lavoce.it/ceu-e-cei-organizzano-a-perugia-la-conferenza-il-destino-della-liberta/ Fri, 02 May 2014 13:00:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24638 Il tavolo dei relatori e la platea durante il convegno
Il tavolo dei relatori e la platea durante il convegno

Il 6 maggio a Perugia, in sala dei Notari, dalle ore 17 alle 19 si svolgerà la conferenza “Il destino della libertà. Quale società dopo la crisi economica”.

L’iniziativa è organizzata dalla Conferenza episcopale umbra in collaborazione con il Progetto culturale della Cei, l’Università degli studi di Perugia, l’Università per Stranieri, la Pastorale giovanile e la Pastorale universitaria di Perugia, con la partecipazione di numerosi enti ed associazioni come l’Unione cristiana imprenditori dirigenti (Ucid), Confcooperative, le Acli, la Coldiretti, l’associazione culturale Stromata, e con il sostegno della Fondazione Cassa di risparmio di Perugia e dell’azienda Massinelli.

La conferenza rappresenta uno dei frutti del convegno internazionale “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali” che si è svolto ad Assisi il 29-30 novembre scorsi. Un convegno importante, che ha visto la partecipazione di centinaia di persone e che ha rappresentato un momento fondamentale per gettare le basi di un nuovo e fecondo dialogo tra molti settori della società italiana e tra alcune delle più importanti istituzioni culturali della Regione.

Affinché il convegno di Assisi non resti un fatto isolato, la Conferenza episcopale umbra ha pensato di dar vita ad alcune iniziative di alto profilo culturale dislocate sul territorio umbro.

La prima, appunto “Il destino della libertà”, prende spunto dalla recente pubblicazione Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi, scritto a quattro mani da Mauro Magatti e Chiara Giaccardi. Tre gli obiettivi della conferenza: sviluppare una riflessione sul tema della libertà in rapporto ai grandi mutamenti sociali che la crisi economica sta imponendo alla società contemporanea; elaborare la proposta di un nuovo modello di sviluppo che promuova il bene comune e difenda la dignità umana alla luce della persistente stagnazione del modello produttivo occidentale; coinvolgere associazioni e istituzioni che operano nel campo culturale, economico e sociale promuovendo sinergie virtuose tra di esse.

Saranno presenti il card. Gualtiero Bassetti, i docenti dell’Università Cattolica di Milano Mauro Magatti e Chiara Giaccardi, il professore emerito dell’Università di Leeds Zygmunt Bauman e il giornalista Roberto Righetto, caporedattore delle pagine culturali di Avvenire, che presiederà l’evento.

Per ulteriori informazioni si può consultare il sito www.destinodellaliberta.it, la fan page Facebook “Il destino della libertà” e l’account Twitter @DestinoLiberta.

È possibile inoltre contattare la segreteria organizzativa all’indirizzo mail destinodellaliberta@gmail.com o al numero telefonico 327 3396993.

]]>
Elezioni europee: appelli del laicato cristiano e dei Vescovi cattolici https://www.lavoce.it/elezioni-europee-appelli-del-laicato-cristiano-e-dei-vescovi-cattolici/ Fri, 11 Apr 2014 10:28:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24342 Il palazzo della sede del Parlamento Europea di Strasburgo
Il palazzo della sede del Parlamento Europea di Strasburgo

“Sì alla dimensione effettivamente europea dei programmi elettorali, no alle liste che prendono in ostaggio l’Europa per egoistici fini nazionali. Sì a una seria analisi dei limiti dell’Ue, no alle tentazioni populiste. Sì a una nuova comprensione degli interessi nazionali”, ma al contempo “sì a una identità europea che valorizzi le specificità nazionali e regionali”. Sono alcuni dei punti fermi indicati nell’appello in vista delle elezioni per l’Europarlamento diffuso il 2 aprile a Bruxelles dall’Iniziativa dei cristiani per l’Europa (Ixe), che raccoglie numerose organizzazioni laicali di vari Stati.

L’intento, hanno spiegato i promotori, è di “contrastare la disillusione e lo scoraggiamento” che sono stati alimentati dalla crisi, di “diffondere fiducia e speranza” legate al progetto europeo, di mettere in guardia dai pericoli derivanti dai nazionalismi, dalla xenofobia e dai movimenti populisti che si rafforzano in prossimità del voto di maggio.

Il documento – intitolato Per un’Europa dei valori e della fraternità – è stato presentato da Jérôme Vignon a nome delle Semaines sociales de France (Settimane sociali di Francia), e da Stefan Vesper del Zentralkomite der deutschen Katholiken (Comitato centrale dei cattolici tedeschi). Il testo invita i cittadini Ue a sostenere il disegno di costruzione dell’Europa unita, sottolinea la crescente importanza dell’Europarlamento nel processo legislativo e politico dell’Ue, ricorda le attuali difficoltà legate alla lunga recessione. L’appello ribadisce la necessità di un’Europa “vicina ai cittadini”, mette in guardia da una legislazione comunitaria incomprensibile per gli stessi cittadini, indica la via di un altro modello di sviluppo fondato sulla solidarietà.

Per l’Ixe, le “prossime elezioni rappresentano un’opportunità concreta, alla nostra portata, per domandare un nuovo soffio, un nuovo slancio per l’Europa… È il Parlamento europeo che incarna direttamente i popoli. Competente oggi sulla totalità delle politiche dell’Unione, esso deve diventare la voce della comune coscienza europea”. Il testo ricorda però che la crisi ha portato l’Ue “sulla soglia di una crisi esistenziale”, che si evidenzia con modalità differenti, legate fra l’altro alla mancanza di lavoro da una parte, e dalla diffusione del populismo dall’altra.

Il documento richiama alcuni dati storici (fra cui gli anniversari delle guerre mondiali e della caduta del Muro di Berlino) e di attualità, con le delicatissime situazioni createsi in Ucraina e sulle sponde mediterranee. Vi sono popoli – è il messaggio – “che rischiano la loro vita per godere dei diritti e delle libertà di cui noi già beneficiamo” e per questo, “l’astensione” dal voto di maggio “sarebbe una grave colpa morale”. Nell’appello si sottolinea poi il valore della fraternità, che richiede giustizia verso i più deboli, l’apertura internazionale (“no a un Continente indifferente alle miserie e alle speranze del mondo”), la solidarietà verso i migranti, il rispetto dell’ambiente.

“Infòrmati, ascolta, agisci” sono i tre verbi che scandiscono l’organizzazione del sito web promosso dall’Iniziativa dei cristiani per l’Europa per “aiutare i credenti a diventare soggetti responsabili e protagonisti” nel processo di integrazione europea. Il sito (www.theeuropeexperience.eu) s’intitola “The Europe Experience – Get informed, get inspired, go ahead!” ed è stato presentato da Johanna Touzel, coordinatrice del progetto, e da alcune personalità del laicato europeo. Alla presentazione era presente padre Patrick Daly, segretario generale della Comece, Commissione degli episcopati della Comunità europea.

Una parte del sito – disponibile in 7 lingue – è di carattere informativo (Fatti un’idea delle politiche europee e pensa alle sfide che ne derivano); quindi figura una parte di approfondimento (Confrontati con la dottrina sociale cristiana e guarda come la pensano le Ong cristiane; vi sono riportati testi preparati da un’équipe di teologi di vari Paesi europei); infine un angolo interattivo (Mettiti nei panni di un eurodeputato e fai le tue proposte).

In particolare l’attenzione si concentra su cinque grandi tematiche inerenti le competenze Ue: politiche economiche e sociali; migrazioni e asilo; sostenibilità; politiche per i giovani e la famiglia; l’Ue nel mondo. Gli organizzatori hanno espresso la possibilità che il sito diventi, al di là delle prossime elezioni, “un punto di riferimento stabile” per il confronto sul processo d’integrazione, provando anche a mettere in rete gruppi locali e associazioni nazionali di cristiani impegnati in campo culturale, sociale e politico”.

Dichiarazione dei Vescovi Ue

Oltre all’Ixe anche i Vescovi europei (Comece) hanno rilasciato una Dichiarazione in vista delle prossime elezioni europee. Il testo completo lo si può leggere cliccando qui. La Comece invita gli episcopati dei singoli Paesi dell’Ue a fare propria e rilanciare la Dichiarazione. Tra i punti che essa sottolinea, l’“incremento della povertà per un grande numero di cittadini” al punto che “la situazione è drammatica, per molti addirittura tragica”. Per questo, a maggior ragione, “Noi Vescovi europei chiederemmo che il Progetto europeo non venga messo a rischio o abbandonato… Abbiamo troppo da perdere da un eventuale deragliamento del Progetto europeo”. La Dichiarazione della Comece elenca una serie di aree specifiche che dovrebbero calamitare l’attenzione delle istituzioni Ue: il principio di sussidiarietà, il principio di solidarietà, “una visione dell’uomo radicata in un profondo rispetto della dignità umana” (“La vita umana deve essere protetta dal momento del concepimento fino a quello della morte naturale”), la famiglia, il fenomeno dell’immigrazione (“La responsabilità dell’accoglienza e dell’integrazione… deve essere condivisa”), l’ecologia, la libertà religiosa, la salvaguardia della domenica, la cura degli anziani e le “nuove opportunità per i giovani”.

 

 

]]>
Una società da ritessere alla luce del Natale https://www.lavoce.it/una-societa-da-ritessere-alla-luce-del-natale/ Fri, 20 Dec 2013 09:02:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21235 Mons. Domenico Sorrentino
Mons. Domenico Sorrentino

Nell’interessante Convegno tenuto per iniziativa della Ceu ad Assisi sulla “Custodia dell’umano”, più di un intervento ha messo a fuoco la condizione della società attuale in termini di “slegamento”. Una società in cui le relazioni si sono indebolite, a partire dalla cellula fondamentale che è la famiglia. Il discorso mi ha riportato alla mente analoghe considerazioni emerse nella recente Settimana sociale di Torino sul tema della famiglia. In quella occasione io stesso misi a disposizione dei convegnisti una scheda che riassumeva il pensiero del beato Giuseppe Toniolo su famiglia, Stato e società. Ritengo infatti che il pensiero del grande economista-sociologo aiuti a capire le radici di questo fenomeno di “slegamento” che sta sotto i nostri occhi. Non c’è dubbio che sia frutto di molteplici fattori. Basti pensare alle condizioni dell’economia nell’epoca del mercato globale, alla mobilità sociale e culturale, alla fatica sempre più grande di fare opzioni definitive nel grande emporio dell’effimero. Tutte cose che giocano a sfavore dei legami sociali e destabilizzano in particolare la famiglia. Il Toniolo amava andare su questi fattori propriamente sociologici per additarne la radice nella cultura dell’individualismo.

Quentin Massys, Erasmo da Rotterdam, 1517
Quentin Massys, Erasmo da Rotterdam, 1517

Un processo culturale che, a suo giudizio, si era innescato nei secoli in cui, tra Medioevo e modernità, si affermò quel grande movimento di riscoperta dell’individualità umana che fu l’Umanesimo. Esso si trovò subito a un bivio. La strada più naturale sarebbe stata allearsi alla prospettiva cristiana, che è di per sé profondamente “umanistica”, a partire dal fatto che il volto di Dio disegnato dal Vangelo è quello di un Dio che addirittura, nel suo Figlio, si fa uomo. È la teologia del Natale. Un umanesimo illuminato dal Natale non scade mai nell’individualismo, perché, radica la persona umana nel mistero del Dio Amore e la apre a relazioni di amore verso le altre persone. Ne nasce la visione di una umanità-famiglia e a misura di famiglia. Un umanesimo che, di sua natura, resiste alle tendenze di slegamento, di frantumazione, di chiusura, e spinge al rafforzamento dei legami sociali. Purtroppo, la cultura umanistica si è alleata sempre di più a visioni filosofiche lontane dalla fede. Dio è sembrato il concorrente dell’uomo. Ne è scaturito un concetto di uomo che taglia i ponti non solo con Dio, ma con i suoi simili, e finisce per rivendicare solo i suoi diritti individuali, talvolta diritti “presunti”, dimenticando il carattere relazionale che è insito nella persona umana. Una cultura individualistica fa semplicemente il gioco di tutte quelle forze della società e dell’economia, che mirano a costruire equilibri di potere e a perseguire interessi senza per nulla tener conto della dignità di ogni essere umano. Gli individui sono semplici numeri da utilizzare per il funzionamento dell’ingranaggio sociale. Quello che il Toniolo denunciava oltre un secolo fa ha sapore profetico. L’individualismo è un verme roditore. A rischio sono la dignità umana, anzi il senso stesso dell’uomo. Il compito di ritessere i legami, lavorando per una cultura della solidarietà, o – per dirla con Papa Francesco – per una cultura dell’incontro, è una sfida che dobbiamo raccogliere. Vale per tutti gli uomini di buona volontà. Vale in particolare per noi credenti: il Bimbo divino che contempliamo nella grotta di Betlemme getta un ponte tra Dio e l’uomo, ma anche tra tutti gli esseri umani. Ritessere i legami è la consegna del Natale. Naturalmente, se non ce lo lasciamo “scippare” dalla cultura di Babbo Natale.

]]>
Il Papa a Lampedusa, “periferia” dell’immigrazione e dell’Italia https://www.lavoce.it/il-papa-a-lampedusa-periferia-dellimmigrazione-e-dellitalia/ Thu, 04 Jul 2013 11:45:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=17858 Lampedusa-sbarchiPapa Francesco, a sorpresa, ha scelto Lampedusa come meta del suo primo viaggio da Pontefice, per incontrare i migranti, lui figlio di migranti italiani in Argentina, e le comunità di Lampedusa e Linosa.

Come non leggere in filigrana in questa scelta del Papa quelle parole dette da cardinale in una delle Congregazioni generali prima del Conclave e riferite in un’omelia dal card. cubano Jaime Lucas Ortega y Alamino: “La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e a dirigersi verso le periferie, non solo quelle geografiche ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’indifferenza religiosa, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria. Quando non esce da sé per evangelizzare diviene autoreferenziale e si ammala”.

E Lampedusa è certamente periferia geografica, lembo estremo dell’Europa, ma anche periferia esistenziale, luogo di approdo di un’umanità in fuga da terre sfruttate ingiustamente e nell’indifferenza più totale dell’Occidente “epulone” che non si accorge dei tanti “Lazzaro” che bussano e muoiono alla sua porta.

Il viaggio del Papa è un indice puntato che ricorda alle nostre coscienze civili e cristiane che i morti in mare ci interpellano, ci riguardano, e non possono lasciarci indifferenti.

Ma il Papa ha scelto di “uscire” dalle mura del Vaticano per evangelizzare. Si reca a Lampedusa non per trovare soluzioni politiche all’annoso fenomeno dei migranti – anche se la Chiesa agrigentina e italiana, più volte e in diverse occasioni, ha chiesto con forza di coniugare la legalità con il rispetto della dignità umana e l’accoglienza – ma per dire, proprio da Lampedusa, che un’accoglienza e una convivenza diversa è possibile. Che accanto alla professione di fede in Dio bisogna formulare l’atto di fede nell’uomo.

Per dire – lì dove speranza e disperazione si materializzano nel volto di questi fratelli soccorsi in mare – che ai segni del potere bisogna contrapporre “il potere dei segni” che la comunità isolana profeticamente ha mostrato, all’Italia e al mondo, in decenni di accoglienza e, in particolare, nei giorni dell’emergenza del 2011 quando, prima e meglio delle istituzioni, ha saputo incarnare la pagina del Vangelo: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero nudo e mi avete vestito, straniero e mi avete accolto…”.

Ma il contorno entro cui s’iscrive la visita del Papa è certamente quello dell’apostolo che va con in mano solo il Vangelo. Il Papa, toccato dalla tragedia umana dei migranti, va a Lampedusa per pregare per coloro che hanno perso la vita in mare, visitare i superstiti e i profughi presenti sull’isola e incontrare la comunità ecclesiale: entrambi periferia geografica ed esistenziale di un’Europa e di un’Italia che tante, troppe volte, hanno girato la testa altrove per non vedere o non sentire, e che continuano a trattare il fenomeno dei migranti in modo emergenziale, quando in realtà gli sbarchi sono ormai un fenomeno fisiologico che merita bene altre attenzioni e politiche nazionali, ma soprattutto europee, organiche e corresponsabili.

L’avere scelto Lampedusa è già un messaggio forte e chiaro per la Chiesa e se, per assurdo, il Papa non dovesse proferire parola, basterebbe il semplice fatto di averla scelta e visitata per ricordare alla Chiesa che essa è prolungamento di Cristo nella storia.

Dagli estremi confini d’Italia e d’Europa, mentre altrove “pezzi di Chiesa ammalata” di carrierismo e affarismo, collusi con i potenti di questo mondo scandalizzano, nel cuore del Mediterraneo, Papa Francesco lancia un salvagente alla Chiesa, a cui aggrapparsi per non affondare: la scelta preferenziale al servizio dei poveri e degli ultimi.

Eventi della giornata

L’8 luglio Papa Francesco arriverà poco dopo le ore 9 a Lampedusa, raggiungerà quindi Cala Pisana da dove s’imbarcherà per raggiungere via mare il porto dell’isola. Al largo, lancerà in mare una corona di fiori in ricordo di quanti hanno perso la propria vita in mare. Le vittime dei “viaggi della speranza” sono oltre 19 mila dal 1988 ad oggi. Alle 10 è prevista la messa nel campo sportivo “Arena” per gli immigrati e la popolazione locale. La notizia del viaggio apostolico è giunta inaspettata, ma l’invito era partito dalla comunità cattolica dell’isola, che a marzo gli scrisse una lettera nella quale chiedeva al Papa di “farsi pellegrino in questo santuario del creato, dove per migliaia di migranti, senza patria e senza nome, è rinata la speranza del domani nella certezza amica dell’oggi”.

]]>
Beatificato Focherini, giornalista cattolico e martire del Lager https://www.lavoce.it/beatificato-focherini-giornalista-cattolico-e-martire-del-lager/ Thu, 13 Jun 2013 10:30:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=17310 Odoardo Focherini all’Avvenire d’Italia
Odoardo Focherini all’Avvenire d’Italia

“Quali sono i legami con l’attualità?” è la domanda più ricorrente quando si presenta all’opinione pubblica la figura di un beato o di un santo vissuto alcuni decenni o secoli fa. Se poi si tratta di un “martire per la fede”, allora le distanze appaiono siderali non solo in termini di tempo ma anche sul piano dell’esperienza di vita.

Nemmeno Odoardo Focherini, fedele laico impegnato nell’Azione cattolica, padre di famiglia, giornalista e amministratore dell’Avvenire d’Italia, morto in un campo di concentramento in Germania nel 1944, che è stato dichiarato “martire per la fede” e sarà beatificato a Carpi sabato 15 giugno, si è potuto sottrarre all’“esame di attualità”. Se questa è la sfida, allora quale migliore arbitro di Papa Francesco che giorno dopo giorno, con le sue parole e i suoi gesti indica la sostanza dell’essere cristiani oggi. [Sono del Papa le frasi in corsivo sotto i titoletti interni, ndr.]

Le periferie esistenziali
“La Chiesa è chiamata ad uscire da se stessa e andare nelle periferie, non solo geografiche, ma anche nelle periferie esistenziali: dove alberga il mistero del peccato, il dolore, l’ingiustizia, l’ignoranza…”

C’è forse nella storia dell’umanità una periferia materiale ed esistenziale più buia e dolente di un Lager? Focherini ha solcato senza timore le periferie del suo tempo nelle quali dominavano la menzogna, la sopraffazione, la persecuzione, la discriminazione razziale, l’annientamento della dignità umana. Se l’Avvenire d’Italia si presentò a testa alta dopo la Liberazione, senza dover cambiare nome per rifarsi l’immagine, fu perché qualcuno seppe resistere più che ai bombardamenti alle minacce e alle provocazioni del potere.

Se d’un tratto decine e decine di ebrei alla ricerca di protezione e libertà iniziarono a bussare alla porta di Focherini, fu perché trovarono un uomo che seppe “uscire da se stesso” senza alcun rimpianto: “Se tu vedessi come trattano gli ebrei qui dentro, saresti pentito solo di non averne salvati di più”, scrisse in una lettera dal carcere a un familiare.

Non solo: “Nel suo modo di essere, nel sorreggerti, nell’incoraggiarti, nel modo di comportarsi, c’era tutto il suo essere cristiano”, è la testimonianza resa da un giovane deportato, poi sopravvissuto, che condivise con Odoardo un periodo di prigionia.

Annunciare con la vita
“La testimonianza: la comunicazione della fede si può fare soltanto con la testimonianza… Non parlare tanto, ma parlare con tutta la vita… Una coerenza di vita che è vivere il cristianesimo come un incontro con Gesù che mi porta agli altri”

Colpisce in Focherini il fervore apostolico, il desiderio di portare a tutti la migliore occasione per l’incontro con Gesù e la sua Chiesa: lo scautismo per avvicinare i giovani, la San Vincenzo per il servizio ai poveri e poi il teatro, lo sport, la montagna, il giornalismo… Non ha fondato opere, non ha scritto trattati, è stato definito un cristiano a tutto tondo proprio per la testimonianza di fedeltà al Vangelo che ha saputo portare in ogni ambito della sua vita ordinaria, ma dall’esito straordinario: la famiglia, il lavoro, l’impegno pubblico per la Chiesa e per la società.

L’eucaristia quotidiana era la sorgente della sua inesauribile energia. Alcuni testimoni ricordano l’insopprimibile desiderio di quell’incontro vitale con Gesù. Da qui traeva origine anche quel suo sguardo lieto e sorridente, sulla realtà tanto da renderlo icona della “dolce e confortante gioia di evangelizzare”.

Giusto tra le nazioni, medaglia d’oro al valor civile, ora il riconoscimento del martirio in odio alla fede: questo è il beato Odoardo Focherini. Una grazia per la Chiesa, che ha bisogno di veri testimoni di fede più che di maestri, un dono per l’Italia perché “la gravità dell’ora” richiede esempi capaci di scelte coraggiose.

Il suo testamento

Tutta la vita di Odoardo Focherini era connotata da uno stile di servizio disinteressato: da giovane dirigente e presidente dell’Azione cattolica, da responsabile dell’organizzazione dei Congressi eucaristici diocesani, da consigliere mandatario dell’Avvenire d’Italia. E rischiando in prima persona, fino a mettere in gioco la sua breve esistenza, a soli 37 anni, già padre di sette figli. Dunque una splendida testimonianza di amore coniugale e di apertura alla vita. Focherini è cresciuto e vissuto da uomo libero, educato alla libertà, obbediente alla volontà di Dio: “…Offro la mia vita in olocausto per la mia diocesi, per l’Azione cattolica, per l’Avvenire d’Italia e per il ritorno della pace nel mondo”, le parole del suo testamento raccolte dai compagni di prigionia prima di morire.

]]>
La dignità umana non ha età https://www.lavoce.it/la-dignita-umana-non-ha-eta/ Thu, 06 Dec 2012 17:06:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=14175
Attività ricreative in un centro anziani

Il Parlamento europeo ha designato il 2012 come Anno europeo per l’invecchiamento attivo e la solidarietà tra le generazioni. C’è materia per riflettere: in Europa 87 milioni di persone superano i 65 anni (il 17% della popolazione). Molte le iniziative. Una recente in Umbria organizzata dall’istituto di Gerontologia e geriatria dell’Università di Perugia, dalla Società italiana di medicina generale e dalla Conferenza episcopale umbra. Molti presenti il 30 novembre nell’aula magna dell’Università ad ascoltare i due esperti: Antonio Golini dell’Università La Sapienza e Maria Concetta Vaccaro del Censis. Quattro sessioni di dibattito con esperti dell’assistenza sanitaria pubblica e privata, di luoghi di cura e del terzo settore. Per la Ceu sono intervenuti mons. Mario Ceccobelli vescovo di Gubbio e mons. Vincenzo Paglia presidente del Pontificio consiglio per la famiglia. Tante le riflessioni e le proposte, opportunamente calate sulla realtà nazionale e umbra. Altra riflessione fatta: l’assistenza socio-sanitaria degli anziani. Tante cose dette. Accenno brevemente a una. In Umbria i ricoveri ospedalieri degli anziani sono in costante crescita (il 40% degli ultraottantenni, più di uno l’anno). Il ricovero in ospedale dell’anziano spesso è a rischio. Dall’accesso al Pronto soccorso alle cure prestate spesso si opera secondo una visione superata: si considera la malattia anziché la fragilità dell’anziano. L’ospedale deve rimodularsi sulla cronicità e non più dimettere l’anziano dopo pochi giorni senza sapere poi quello che accadrà. Occorre invece costruire una rete di servizi che assicuri una effettiva presa in carico e la continuità delle cure, senza spostare sul territorio il modello ospedaliero: più prevenzione, assistenza domiciliare integrata, riabilitazione ecc.

In Umbria le cose non vanno come dovrebbero andare. Esplicito è stato l’intervento di Emilio Duca, direttore regionale Salute e coesione sociale della Regione dell’Umbria. Occorrono scelte coraggiose e anche dolorose – ha sostenuto -. Occorre rimodulare l’offerta troppo “ospedalocentrica” con la domanda dei servizi. Si hanno troppi piccoli ospedali. Servono invece politiche globali per la salute improntate più sulla prevenzione e riabilitazione. In tale direzione è essenziale l’apporto del terzo settore. Molte le esperienze presentate: Residenze protette progettate su misura degli anziani con tecnologie atte a migliorare la qualità della vita in casa, villaggio famiglia (La Spezia), i condomini solidali (Torino, Milano). Citate le esperienze di Le Querce di Mambre e Villaggio Santa Caterina di Perugia. Efficace l’intervento, in sostanza conclusivo del convegno, di mons. Paglia. Il suo approccio è stato di natura culturale e pastorale. “L’Italia è diventata un Paese di vecchi più che per vecchi” ha esordito. La vecchiaia è diventata come una nuova povertà. La solitudine accomuna tante persone anziane. Occorre un processo di riempimento della vita. Serve vera prevenzione, che non riguarda solo la salute: s’invecchia come si è vissuti. C’è bisogno di uno scatto morale per recuperare il senso dell’esistenza. Insieme alle cure, conta più sapere di essere amati e desiderati. Bene fa la Chiesa a prestare attenzione ai giovani. È necessaria allo spesso tempo una riflessione pastorale sugli anziani, specie se non-autosufficienti, i quali devono poter restare a casa loro ed essere motivati a essere spiritualmente attivi, a valorizzare, per esempio, il maggior tempo disponibile per la preghiera come grande intercessione. “La Chiesa, la società – ha concluso mons. Paglia – hanno bisogno di anziani che pregano, perché l’età anziana è data per questo”.

 

]]>
Quell’estrema dignità di tutti https://www.lavoce.it/quellestrema-dignita-di-tutti/ Thu, 07 Jul 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9492 Hnno profanato le tombe di alcuni cimiteri. Ci sono state reazioni giustificate e vivaci, e molta sorpresa. Se c’è infatti un principio che accomuna l’umanità nella sua storia e nella sua dimensione geografica, è il rispetto e persino il culto dei morti. L’offesa ai cimiteri non è contro la religione dominante (che in quelle terre sacre si manifesta con i simboli delle croci e delle immagini sacre), ma le persone, con i loro resti mortali, i loro nomi e volti. Accomunate nell’identica condizione che attutisce ed oscura ogni altra caratteristica e identità acquisita in vita. Persino i cimiteri di guerra assumono un carattere di umanità che supera quello di nazionalità, anche in terra che fu nemica. Al singolo defunto si attribuisce il diritto al perdono e alla pace (Parce sepulto). Quando avviene un’offesa a questa sfera della vita umana, come ha detto il vescovo Bassetti, in un certo senso si fa un atto di disprezzo alla vita, considerata nel suo compimento e nel suo mistero. Di fronte alla morte l’Homo sapiens china il capo, l’uomo religioso prega, il poeta e l’artista elabora con ispirate espressioni il dolore e la passione. Nella cattedrale di San Loenzo a Perugia, sabato scorso è stata eseguita la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, eseguita per la prima volta a Milano nel primo anniversario della morte di Alessandro Manzoni. È stata un’esecuzione per coro e orchestra giovanili che ha trasmesso una carica di emozione difficilmente descrivibile. La morte si potrebbe dire che sia la molla più potente dell’amore e del sentimento umano. Quando al contrario abbiamo segni di disprezzo, a parte la pura follia, vuol dire che siamo al degrado interiore della propria umanità. Nel cimitero ci sono i ricchi e i poveri, i morti giovani e vecchi, i credenti e gli atei, i buoni e i cattivi. Non si può fare un dispetto a qualcuno senza rendere offesa a tutti. Nella difesa della dignità dei cimiteri e nella loro cura vi è un bell’esempio di coinvolgimento dei Comuni, delle parrocchie e della famiglie dei cittadini e dei fedeli. Sono molte centinaia, di tutte le dimensioni, i cimiteri in Umbria – nel solo Comune di Perugia ve ne sono più di trenta – e sono circondati da affetto e onore, segno di umanità e civiltà. Dei giovani d’oggi, figli della televisione che sforna scene di violenza e omicidi a flusso continuo, si dice che già a 4 anni hanno potuto assistere a migliaia di scene di uccisioni nelle circostanze più varie, soprattutto nelle fiction, dove la morte sembra solo un elemento dello spettacolo. Un amico mi ha raccontato che una bambina di due anni, cui il padre stava dicendo garbatamente che era morto il nonno al quale era molto affezionata, con uno scatto gli ha chiesto: “Chi l’ha ammazzato?”. Sta scomparendo dall’orizzonte della nostra cultura l’idea che la morte sia un evento naturale, non un fatto banale o da nascondere o da esorcizzare, ma da vivere con serietà e rispetto. Ai cristiani è data la fede nella risurrezione e nella vita eterna, ma non è tolto il dolore del distacco e l’umiliazione del corpo, che danno diritto e dignità alle forti grida e lacrime che ogni morte suscita.

]]>
La manipolazione subdola del linguaggio https://www.lavoce.it/la-manipolazione-subdola-del-linguaggio/ Thu, 31 Mar 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9253 Nell’ambito delle problematiche “eticamente sensibili” sta emergendo una strategia manipolatoria del linguaggio, cioè un disegno teso a legittimare una nuova visione dell’essere umano; si tratta di una prospettiva che approda ad una vera e propria “idolatria della salute”: la salute individuale assurge così ad indiscusso “bene massimo”. Se la salute rappresenta il valore massimo, allora l’uomo sano è anche il vero uomo; e se qualcuno non è sano, e soprattutto, se non può ritornare sano, allora diventa una persona di seconda o terza categoria; l’inguaribile, il malato cronico, il portatore di handicap, l’anziano non più autosufficiente, vengono spinti nell’ombra; per loro c’è posto solo ai margini della società salutista. Viene poi diffusa l’opinione (generalmente in modo molto sottile) che lo stesso diretto interessato “certamente non vuole più vivere così” e che pertanto gli si deve riconoscere il “diritto ad una buona morte”, cioè la cosiddetta eutanasia caritatevole. In parole povere, la logica che in alcuni ambienti politici e medici sembra prevalere è la seguente: poiché la sofferenza non si può eliminare, eliminiamo il sofferente, così lui cessa di soffrire e noi risparmiamo tempo e preziose risorse economiche, da utilizzare più intelligentemente nella ricerca scientifica a vantaggio di tutta l’umanità. “Qualità della vita” Anche il concetto di qualità della vita, che occupa una posizione centrale nel dibattito bioetico contemporaneo, non è privo di margini di ambiguità, là dove tende ad assegnare un valore relativo alle singole persone, differenziandole tra di loro alla luce dei diversi livelli di “qualità”, assegnati sulla base di determinati parametri. Il punto nodale di tale orizzonte ideologico è quello dei criteri per determinare un grado di qualità della vita che possa essere considerato “accettabile” e quindi ritenuto “meritevole” di garantire alla persona il diritto alle cure ed alla tutela. È evidente che si tratta di tentativi “felpati” tesi a scardinare il principio etico della sacralità ed intangibilità della vita. Non sorprende quindi che oggi (nell’ambito del dibattito sull’uso delle cellule staminali embrionali) si sia giunti a manipolare il linguaggio tradendo l’espressione “etica del guarire” per giustificare l’uccisione di embrioni sia pure per uno scopo nobile, cioè la guarigione altrui. Cos’è “eutanasia” Giova ricordare che, qualunque ne siano i mezzi, l’eutanasia consiste nel cagionare la morte di persona sofferente o prossima alla fine. Essa è scelta moralmente inaccettabile perché si risolve comunque in un vero e proprio assassinio. È invece legittimo il rifiuto di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi. In tali casi si ha semplicemente rinuncia all’accanimento terapeutico: non si vuole cioè cagionare la morte, ma si accetta umilmente di non poterla impedire. Insomma la differenza che corre tra il rifiuto dell’accanimento terapeutico e la scelta dell’eutanasia è la stessa che c’è tra essere costretti dalle cose a lasciare aperta una finestra che non si chiude più, e l’adoperarsi invece per buttarci di sotto una persona. “Procreazione responsabile” Qualcosa del genere avviene per molte altre parole; così ad esempio per quel che riguarda l’espressione “procreazione responsabile” la manipolazione è giunta ad attribuirle valenza di un diritto della donna in merito al decidere (in qualunque modo) sulla propria fertilità. L’inganno è sottile, e mai come in questo caso parole dell’etica cristiana sono state manipolate ed usate contro la creatura umana. La formula “procreazione responsabile = autodeterminazione della donna” sembrerebbe infatti un enunciato innocuo; in realtà esso tende ad affermare l’idea che la facoltà sessuale ed il suo esercizio non abbia in sé e per sé nessun significato, se non quello che gli viene attribuito da ciascuno. Così nel concetto di “procreazione responsabile” si introduce anche la legittimazione dell’aborto e della sterilizzazione. Analogo discorso vale per i contenuti bugiardi attribuiti all’espressione “salute riproduttiva”; si tratta di una ulteriore manipolazione del linguaggio, poiché con questo termine in realtà si afferma non un diritto, ma la legittimazione ad imporre a popolazioni povere la contraccezione, la sterilizzazione e l’aborto. Cos’è la “libertà” Altro enunciato del tutto falso è quello che concepisce la libertà come “assenza di legami”. Ho sperimentato che un modello culturale di tal genere può condurre all’autodistruzione, perché finisce per rendere schiavi di idoli crudeli. Il realismo dell’esperienza quotidiana dimostra invece che l’avere “legami” è un dato originario, perché l’esistenza stessa inizia dalla relazione con i propri genitori. Nessuno esiste per propria libera scelta autonoma, o perché qualcuno gliene abbia chiesto il permesso, perciò non v’è nulla di più falso che affermare una autosufficienza svincolata da una comunità che precede. Anzi, crescendo, la creatura sperimenta la dipendenza da persone che la accudiscono e la educano, così da raggiungere una propria maturità di giudizio autonomo. Evidenza incontestabile è dunque che l’essere umano proviene da un’Origine che non sta in lui; la prima libertà sta quindi nel riconoscere tale Origine legandosi ad essa, come un alpinista che è più libero se rimane attaccato alla roccia con piccone e corda di sicurezza, piuttosto che presumere di fare tutto da sé senza appigli e poi precipitare in un burrone.

]]>
Qualità della vita Dignità nella morte https://www.lavoce.it/qualita-della-vita-dignita-nella-morte/ Thu, 27 Jan 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9087 Dobbiamo certamente collocare le problematiche di fine vita in un contesto culturale e sociale notevolmente mutato negli ultimi decenni. Infatti il progresso della medicina e il miglioramento delle condizioni di vita e di benessere, almeno nella nostra società, hanno cambiato sostanzialmente la vita, allungandone la durata e migliorandone la qualità. È mutatato tuttavia anche il concetto di morte. In passato il morire era vissuto in casa come un evento naturale dall’intera famiglia, non nascosta neppure ai bambini. Nella nostra èra tecnologica, la morte è circondata da discrezione, quasi a non mettere in imbarazzo quelli che sopravvivono. E così ci sentiamo spesso impreparati anche al concetto di morte, sia come individui pur consapevoli di essere destinati a morire, sia come professionisti chiamati ad accompagnare il malato negli ultimi giorni di vita. L’allungamento della vita media nella popolazione ha comportato un sensibile incremento del numero dei pazienti molto anziani o con graduale declino delle funzioni cognitive, come nella demenza senile, bisognosi di totale assistenza. Anche le malattie tumorali sono in aumento. Peraltro queste oggi vengono affrontate con terapie più appropriate, per cui se ne prolunga la storia naturale, da un lato a vantaggio di una buona qualità di vita, ma dall’altro con il rischio di protrarre situazioni avanzate e gravate da grande sofferenza fisica. Un altro aspetto, non irrilevante fra i problemi di fine vita del nostro trempo, riguarda il numero di pazienti in stato vegetativo permanente, bisognosi di una assistenza continua e totale. Gli interventi di rianimazione, resi possibili dalle tecnologie moderne, consentono la sopravvivenza di molte persone che altrimenti morirebbero, ma determinano anche il recupero di un numero crescente di soggetti che sopravvivono in uno stato vegetativo. Nel nostro Paese i casi emblematici di Englaro e di Welby hanno segnato momenti di dibattito acceso e talora di contrapposizione anche ideologica, che certamente non ha consentito di affrontare il problema all’impronta di un dialogo sereno e costruttivo per la nostra società. Il concetto di morte in senso biologico è ben definito ed ha come paradigma la cessazione di tutte le attività cerebrali. Per questo è lecito eseguire espianti ai fini di trapianto quando tutte le attività del cervello, comprese quelle del tronco cerebrale, sono cessate. Ma come dobbiamo considerare uno stato vegetativo che dura da anni? È davvero una vita inutile? La persona in stato vegetativo perde la sua dignità? In queste condizioni può essere abbandonata e privata anche del fondamentale sostegno vitale quale la idratazione e l’alimentazione? In realtà la sacralità della vita non può essere messa in discussione, per cui anche un malato in grado solo di vita vegetativa autonoma con sprazzi di vigilanza, e con possibilità oggi documentate di recuperi impensabili, merita di essere trattato con la massima cura. Certamente dalla ricerca scientifica si attendono ancora informazioni puntuali che possano fornire al medico e al legislatore indicazioni sulle reali possibilità di recupero di questi pazienti. Al medico va comunque lasciato il giudizio se in alcuni soggetti in stato vegetativo si ravvisi un accanimento terapeutico e se egli possa quindi sentirsi eticamente autorizzato ad interrompere un’inutile idratazione ed alimentazione artificiali o una ventilazione polmonare assistita. Ed ancora, può un medico sentirsi libero in coscienza di facilitare la morte, ovvero di eseguire un intervento eutanasico, quando è questo che chiede il paziente, a causa della sua sofferenza, direttamente o tramite dichiarazioni di cura sottoscritte molto tempo prima? È da tutti accettato il rifiuto di un accanimento terapeutico, inteso come applicazione di procedure diagnostiche e terapeutiche sproporzionate ed inutili ai fini della qualità di vita e di un suo prolungamento. Ma anche in queste condizioni di grande sofferenza, la vita rimane sacra e si esige il rispetto per il malato, al quale deve essere comunque garantita la cura della sua igiene sino al termine dei suoi giorni e la somministrazione corretta delle terapie palliative, per le quali si sono registrati in questi ultimi anni notevoli progressi, rifiutando tentazioni eutanasiche. L’autonomia del paziente e le sue volontà vanno sempre rispettate, come ci ricordano i vari codici giuridici e deontologici, quando si tratta di prendere decisioni in merito a procedure di diagnosi o di terapia. Il problema si pone quando egli ha lasciato precise dichiarazioni anticipate di cura, ovvero un testamento biologico, e al momento non è più in grado di esprimere la sua volontà. Il medico tuttavia, deontologicamente ed eticamente, non può sentirsi vincolato a soddisfare richieste di eutanasia, peraltro non ammessa sinora neppure dai nostri codici giuridici. Come è ben noto, è in corso nel nostro Paese, in un ampio dibattito parlamentare, la procedura di approvazione di un progetto di legge sul “fine vita” già approvato al Senato nel 2009 ed ora affidato alla Camera dei deputati, proprio per definire i limiti e la validità delle dichiarazioni anticipate di cura. Comunque, al di là di questi aspetti etico-giuridici del problema, bisogna ribadire che il malato, se è cosciente, si aspetta anzitutto un accompagnamento nei suoi ultimi giorni di vita, fatto di presenza concreta, di dialogo, di ascolto, di sincerità nell’informazione, una prassi affidata soprattutto al medico e al personale infermieristico. Il senso di solitudine, unito alla sofferenza fisica e alla percezione di creare disagio ai familiari ed agli altri, è motivo di ulteriore sofferenza psichica che può far scattare la molla della richiesta di eutanasia. Se il paziente vede intorno a sé solidarietà, comprensione, e trova sollievo dalla sofferenza con le cure proposte con sollecitudine, difficilmente insiste per la richiesta di eutanasia. Questo è un punto critico. Le decisioni di fine vita spettano da ultimo e comunque al medico, che deve appellarsi alla sua scienza e alla sua coscienza, assumendosi delle responsabilità. Di qui la necessità di una solida preparazione, che è un dovere per il medico e che può essere acquisita con gli anni sia sotto il profilo scientifico-professionale che bioetico. Indubbiamente il medico ha bisogno anche di precisi riferimenti giuridici, ma se si va a ben considerare il problema, ci si rende conto che è difficile affidarsi ad una legislazione che sia in grado di adattarsi con chiarezza a tutte le decisioni di fine vita. Le situazioni cambiano da caso a caso, ed è per questo che oggi sia i giuristi che i medici ritengono che le decisioni di fine vita debbano essere fondate su una “mite” legislazione e su una “forte” bioetica.

]]>
In difesa dei bio-diritti https://www.lavoce.it/in-difesa-dei-bio-diritti/ Thu, 11 Feb 2010 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8222 Il valore e la dignità di persona, riconosciuti ad ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale, devono essere al centro della riflessione etica su scienza e tecnologie biomediche: questo il senso della conferenza della prof.ssa Francesca Barone, tenuta il 4 febbraio scorso, presso la sala parrocchiale di Pantalla. L’iniziativa promossa in collaborazione con il Movimento per la vita di Todi, è stata organizzata in preparazione della 32a Giornata per la vita. La relatrice, presidente del Centro di bioetica “Filèremo” e docente di Bioetica all’Università degli studi di Perugia, ha approfondito il tema degli affronti subiti dalla vita umana nelle fasi iniziale e finale, a causa delle manipolazioni consentite dal progresso scientifico-tecnologico. Una suggestiva serie di immagini ha documentato l’esplosione della vita dopo la fecondazione e la “continuità” che ne caratterizza tutte le fasi dello sviluppo. L’elenco degli interventi tecnici sulla vita prenatale è lungo: accanto alle pratiche positive, che permettono di superare patologie e concorrono a ristabilire il normale svolgimento dei processi generativi, se ne rilevano numerose contrarie anche alla legge morale naturale, profondamente lesive dei diritti e della dignità della persona umana. Tra le questioni emergenti: la progressiva diffusione dell’aborto chimico. Altrettanto inquietanti le problematiche del fine vita. Lo sviluppo della rianimazione ha raggiunto traguardi impensati. Se c’è convergenza nel rifiuto dell’accanimento terapeutico e nel riconoscimento della morte encefalica per la diagnosi di morte fisica dell’uomo, non c’è uniformità di vedute riguardo lo stato vegetativo persistente (Pvs). Tale stato si caratterizza per l’assenza di funzioni cognitive e mantenimento di quelle vegetative, quali la respirazione autonoma. “Gli elementi fondamentali che differenziano questa condizione rispetto alla morte – ha affermato – sono due: la mancanza di una distruzione totale dell’encefalo e la non dimostrata irreversibilità”. Non si può equiparare la scomparsa, vera o presunta, delle capacità di relazione, alla morte di una persona: la qualità della vita non può essere il criterio utilizzato per valutare il valore di un’esistenza. In questo contesto il Biodiritto ha la grande responsabilità di fronteggiare tutte quelle linee di comportamento sostenute da mentalità favorevoli all’eutanasia, per le quali anche l’alimentazione e l’idratazione, secondo le forme consentite dalla scienza e dalla tecnica, sono atti terapeutici e non semplici forme di sostegno vitale. I problemi della vita e della morte toccano tutti e pongono spesso interrogativi terribili, di fronte ai quali le risposte non sono sempre ragionevoli, ma dettate dalla emotività, dal risentimento, dalla disperazione. Una discussione riportata sul terreno della scienza, del pensiero filosofico, basata sul confronto delle diverse posizioni, quelle di chi ha una fede religiosa o di chi ha un orientamento diverso, ma comunque ha il valore della coscienza, non può non riconoscere l’inviolabilità e l’indisponibilità della vita umana, che va sempre rispettata, indipendentemente dalle condizioni in cui si trova o dalle facoltà che esprime.

]]>