dieci comandamenti Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/dieci-comandamenti/ Settimanale di informazione regionale Sun, 10 Nov 2024 16:12:27 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg dieci comandamenti Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/dieci-comandamenti/ 32 32 Dialogo ebraico-cristiano: passo importante nella direzione della pace https://www.lavoce.it/dialogo-ebraico-cristiano-passo-importante-nella-direzione-della-pace/ https://www.lavoce.it/dialogo-ebraico-cristiano-passo-importante-nella-direzione-della-pace/#respond Sun, 10 Nov 2024 16:12:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78512

Nei giorni scorsi presso la Cittadella Laudato si’ di Assisi sono stati ospitati 18 tra rabbini e studiosi ebrei provenienti da diversi Paesi dell’America Latina, dagli Stati Uniti e dalla Terra Santa. Hanno incontrato il vescovo Domenico Sorrentino e visitato i più importanti luoghi francescani. Il gruppo aderisce all’iniziativa della Pontificia Università della Santa Croce e dell’Istituto Universitario Isaac Abarbanel di Buenos Aires che hanno promosso un corso di studi e dialogo sul Decalogo, aperto agli studenti di tutte le università pontificie. L’iniziativa, intitolata One revelation and two traditions: the decalogue and its jewish and christian readings, offre un’analisi approfondita del testo biblico da prospettive ebraiche e cristiane, con l’obiettivo di favorire il dialogo tra le due tradizioni e la cultura contemporanea. Si tratta pertanto di approfondire un approccio ebraico e cristiano ai Dieci comandamenti ma anche di favorire il dialogo, la collaborazione e l’amicizia tra le due tradizioni religiose. Il Decalogo rappresenta un punto focale delle Scritture ed è centrale nella morale, nella spiritualità e nell’elaborazione teologica ebraica e cristiana, tutt’altro che indifferente alle vicende della storia. Un passo importantissimo nella direzione della pace che affonda le radici anche nello “spirito di Assisi” che fa leva sul contributo delle fedi alla pace.]]>

Nei giorni scorsi presso la Cittadella Laudato si’ di Assisi sono stati ospitati 18 tra rabbini e studiosi ebrei provenienti da diversi Paesi dell’America Latina, dagli Stati Uniti e dalla Terra Santa. Hanno incontrato il vescovo Domenico Sorrentino e visitato i più importanti luoghi francescani. Il gruppo aderisce all’iniziativa della Pontificia Università della Santa Croce e dell’Istituto Universitario Isaac Abarbanel di Buenos Aires che hanno promosso un corso di studi e dialogo sul Decalogo, aperto agli studenti di tutte le università pontificie. L’iniziativa, intitolata One revelation and two traditions: the decalogue and its jewish and christian readings, offre un’analisi approfondita del testo biblico da prospettive ebraiche e cristiane, con l’obiettivo di favorire il dialogo tra le due tradizioni e la cultura contemporanea. Si tratta pertanto di approfondire un approccio ebraico e cristiano ai Dieci comandamenti ma anche di favorire il dialogo, la collaborazione e l’amicizia tra le due tradizioni religiose. Il Decalogo rappresenta un punto focale delle Scritture ed è centrale nella morale, nella spiritualità e nell’elaborazione teologica ebraica e cristiana, tutt’altro che indifferente alle vicende della storia. Un passo importantissimo nella direzione della pace che affonda le radici anche nello “spirito di Assisi” che fa leva sul contributo delle fedi alla pace.]]>
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Il “ritirone”, la conclusione del cammino dei Dieci comandamenti https://www.lavoce.it/ritirone-dieci-comandamenti/ Mon, 23 Jul 2018 11:04:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52479

Il tempo d’estate è anche tempo di “ritirone” (così lo chiamano i partecipanti) per coloro che in diocesi di Perugia durante l’anno hanno seguito le catechesi settimanali sui dieci Comandamenti, anche detti “le dieci parole di vita”. “Il cammino dei dieci Comandamenti si conclude con un desiderio di vita nuova che solo Gesù può dare e il ‘ritirone’ rappresenta l’annuncio di questa vita nuova attraverso i ‘Sette segni’, ovvero i sette miracoli compiuti da Gesù, riportati nel Vangelo di Giovanni”, spiega don Francesco Buono, parroco di Castel del Piano, che tiene queste catechesi dal 1998. “Il cammino è stato avviato nel 1993 dal sacerdote romano don Fabio Rosini per i giovani della sua parrocchia. A Perugia - ricorda don Francesco - è arrivato nel 1996 grazie ai frati di Monteripido. Don Fabio ha infatti condiviso l’idea di queste catechesi con molti presbiteri e religiosi di tutta Italia. Il grande successo di pubblico è dovuto al fatto che le catechesi sui Comandamenti tolgono l’idea che la Chiesa sia soltanto moralista, ovvero che ti dica ciò che devi e non devi fare, perché sono presentati come un ‘manuale d’istruzioni’che Dio ci ha dato per essere felice”. Nella sola parrocchia di Castel del Piano quest’anno sono circa 300 le persone che hanno concluso il ciclo, della durata di un anno e mezzo, e che parteciperanno al ritiro finale a Prati di Tivo, in Abruzzo, dal 19 al 25 agosto. Insieme a Castel del Piano ci saranno i giovani della Pastorale universitaria di Perugia, guidati da padre Marco Asselle, la parrocchia di Sant’Egi- dio con don Antonio Sorci e il gruppo dei frati di Todi. Il “ritirone” è infatti aperto a tutti i gruppi dell’Umbria che hanno portato a termine il cammino. “Non riusciamo però a riunire sempre tutte le parrocchie in cui si tengono i Dieci comandamenti, - spiega don Buono poiché il percorso dura poco più di un anno, di conseguenza ricomincia un anno sì e uno no. Questa volta ad esempio ci troviamo sfalsati rispetto alla parrocchia di San Biagio e Savino e alla cappella dell’ospedale Santa Maria della Misericordia”. Non tutte le parrocchie poi concludono il ciclo con il ritirone: “Il ritiro finale è un assaggio di quello che verrà dopo, ovvero il cammino dei ‘Sette segni’. Qualcuno quindi decide di sciogliere il percorso dei Comandamenti iniziando direttamente quello successivo, come nel caso della parrocchia di San Barnaba. Il percorso dei Dieci comandamenti di solito provoca nelle persone una ‘fame’di Cristo e di vivere la Chiesa, così - aggiunge il sacerdote - chi lo conclude viene indirizzato verso la propria realtà parrocchiale, mentre per chi non trova un’appartenenza come post-Comandamenti proponiamo i ‘Sette segni’, che consiste nella formazione di piccole fraternità in cui si condividono la catechesi sui miracoli di Gesù e la vita di tutti i giorni, e si sperimenta l’essere Chiesa”.

Valentina Russo

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Il tempo d’estate è anche tempo di “ritirone” (così lo chiamano i partecipanti) per coloro che in diocesi di Perugia durante l’anno hanno seguito le catechesi settimanali sui dieci Comandamenti, anche detti “le dieci parole di vita”. “Il cammino dei dieci Comandamenti si conclude con un desiderio di vita nuova che solo Gesù può dare e il ‘ritirone’ rappresenta l’annuncio di questa vita nuova attraverso i ‘Sette segni’, ovvero i sette miracoli compiuti da Gesù, riportati nel Vangelo di Giovanni”, spiega don Francesco Buono, parroco di Castel del Piano, che tiene queste catechesi dal 1998. “Il cammino è stato avviato nel 1993 dal sacerdote romano don Fabio Rosini per i giovani della sua parrocchia. A Perugia - ricorda don Francesco - è arrivato nel 1996 grazie ai frati di Monteripido. Don Fabio ha infatti condiviso l’idea di queste catechesi con molti presbiteri e religiosi di tutta Italia. Il grande successo di pubblico è dovuto al fatto che le catechesi sui Comandamenti tolgono l’idea che la Chiesa sia soltanto moralista, ovvero che ti dica ciò che devi e non devi fare, perché sono presentati come un ‘manuale d’istruzioni’che Dio ci ha dato per essere felice”. Nella sola parrocchia di Castel del Piano quest’anno sono circa 300 le persone che hanno concluso il ciclo, della durata di un anno e mezzo, e che parteciperanno al ritiro finale a Prati di Tivo, in Abruzzo, dal 19 al 25 agosto. Insieme a Castel del Piano ci saranno i giovani della Pastorale universitaria di Perugia, guidati da padre Marco Asselle, la parrocchia di Sant’Egi- dio con don Antonio Sorci e il gruppo dei frati di Todi. Il “ritirone” è infatti aperto a tutti i gruppi dell’Umbria che hanno portato a termine il cammino. “Non riusciamo però a riunire sempre tutte le parrocchie in cui si tengono i Dieci comandamenti, - spiega don Buono poiché il percorso dura poco più di un anno, di conseguenza ricomincia un anno sì e uno no. Questa volta ad esempio ci troviamo sfalsati rispetto alla parrocchia di San Biagio e Savino e alla cappella dell’ospedale Santa Maria della Misericordia”. Non tutte le parrocchie poi concludono il ciclo con il ritirone: “Il ritiro finale è un assaggio di quello che verrà dopo, ovvero il cammino dei ‘Sette segni’. Qualcuno quindi decide di sciogliere il percorso dei Comandamenti iniziando direttamente quello successivo, come nel caso della parrocchia di San Barnaba. Il percorso dei Dieci comandamenti di solito provoca nelle persone una ‘fame’di Cristo e di vivere la Chiesa, così - aggiunge il sacerdote - chi lo conclude viene indirizzato verso la propria realtà parrocchiale, mentre per chi non trova un’appartenenza come post-Comandamenti proponiamo i ‘Sette segni’, che consiste nella formazione di piccole fraternità in cui si condividono la catechesi sui miracoli di Gesù e la vita di tutti i giorni, e si sperimenta l’essere Chiesa”.

Valentina Russo

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Il testo completo dell’Esame finale https://www.lavoce.it/il-testo-completo-dellesame-finale/ Wed, 06 Aug 2014 20:20:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=27432 “Il sermone della montagna” pala d’altare, opera di Ib Rasmussen
“Il sermone della montagna” pala d’altare, opera di Ib Rasmussen

Da questo mercoledì Papa Francesco ha ripreso le catechesi generali in aula Paolo VI. “Nelle precedenti catechesi – ha detto, riallacciandosi all’udienza del 25 giugno – abbiamo visto come la Chiesa costituisce un popolo, un popolo preparato con pazienza e amore da Dio, e al quale siamo tutti chiamati ad appartenere. Oggi vorrei mettere in evidenza la novità che caratterizza questo popolo: si tratta davvero di un nuovo popolo, che si fonda sulla nuova alleanza, stabilita dal Signore Gesù con il dono della sua vita. Questa novità non nega il cammino precedente né si contrappone a esso, ma anzi lo porta avanti, lo porta a compimento”.

“C’è una figura molto significativa – ha proseguito -, che fa da cerniera tra l’Antico e il Nuovo Testamento: quella di Giovanni Battista. Per i Vangeli sinottici [Matteo, Marco, Luca] egli è il precursore… Per il Vangelo di Giovanni è il ‘testimone’, in quanto ci fa riconoscere in Gesù colui che viene dall’alto, per perdonare i nostri peccati e per fare del suo popolo la sua Sposa, primizia dell’umanità nuova… Con la sua testimonianza, Giovanni ci indica Gesù, ci invita a seguirlo, e ci dice senza mezzi termini che questo richiede umiltà, pentimento e conversione”.

“Come Mosè – ha spiegato poi Bergoglio – aveva stipulato l’alleanza con Dio in forza della Legge ricevuta sul Sinai, così Gesù, da una collina in riva al lago di Galilea, consegna ai suoi discepoli e alla folla un insegnamento nuovo che comincia con le Beatitudini. Mosè dà la Legge sul Sinai e Gesù, il nuovo Mosè, dà la Legge su quel monte, sulla riva del lago di Galilea. Le Beatitudini sono la strada che Dio indica come risposta al desiderio di felicità insito nell’uomo, e perfezionano i comandamenti dell’Antica Alleanza”.

Nel testo delle Beatitudini (Mt 5,3-11) “c’è tutta la novità portata da Cristo. In effetti, le Beatitudini sono il ritratto di Gesù, la sua forma di vita; e sono la via della vera felicità, che anche noi possiamo percorrere con la grazia che Gesù ci dona.

Oltre alla nuova Legge, Gesù ci consegna anche il ‘protocollo’ sul quale saremo giudicati. Alla fine del mondo noi saremo giudicati. E quali saranno le domande che ci faranno là? Quali saranno queste domande? Qual è il protocollo sul quale il Giudice ci giudicherà? È quello che troviamo nel 25° capitolo del Vangelo di Matteo”.

O meglio, ha soggiunto, “oggi il compito è leggere il quinto capitolo del Vangelo di Matteo, dove ci sono le Beatitudini; e leggere il 25°, dove c’è il protocollo, le domande che ci faranno nel Giorno del giudizio. Non avremo titoli, crediti o privilegi da accampare. Il Signore ci riconoscerà se a nostra volta Lo avremo riconosciuto nel povero, nell’affamato, in chi è indigente ed emarginato, in chi è sofferente e solo… È questo uno dei criteri fondamentali di verifica della nostra vita cristiana, sul quale Gesù ci invita a misurarci ogni giorno. Leggo le Beatitudini e penso come deve essere al mia vita cristiana, e poi faccio l’esame di coscienza con questo capito 25 di Matteo. Ogni giorno: ho fatto questo, ho fatto questo, ho fatto questo… Ci farà bene! Sono cose semplici ma concrete”.

“Cari amici – ha concluso -, la nuova Alleanza consiste proprio in questo: nel riconoscersi, in Cristo, avvolti dalla misericordia e dalla compassione di Dio. È questo che riempie il nostro cuore di gioia, ed è questo che fa della nostra vita una testimonianza bella e credibile dell’amore di Dio per tutti i fratelli che incontriamo ogni giorno. Ricordatevi i compiti! Capitolo quinto di Matteo e capitolo 25 di Matteo!”.

Le beatitudini

“Noi – ha detto Papa Francesco – siamo abituati a imparare i dieci Comandamenti. Certo, tutti voi li sapete, li avete imparati nella catechesi, ma non siamo abituati a ripetere le Beatitudini. Proviamo invece a ricordarle e a imprimerle nel nostro cuore. Facciamo una cosa: io le dirò una dopo l’altra, e voi farete la ripetizione”. Ha quindi scandito verso per verso il testo di Matteo 5, 3-10, e poi: “Vi aiuto!” e ha ripetuto due volte: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia… Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”.

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Settimo: Non ruberai https://www.lavoce.it/settimo-non-ruberai/ Thu, 16 Jan 2014 15:25:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21608 Per gli ebrei è l’ottavo comandamento, perché distinguono quella che per noi è la premessa: “Io sono il Signore Dio tuo”, che diventa il primo, e quindi secondo: “Non avrai altro Dio fuori di me”, mentre accorpano “Non rubare” con “Non desiderare la donna d’altri e la roba d’altri”. Il rabbino capo di Milano, Laras, spiega che “non rubare” per gli ebrei suona: “Non sequestrare” persone, non renderle schiave. La Giornata di quest’anno, dedicata al dialogo e alla conoscenza tra cattolici ed ebrei, promossa dalla Cei, è la 18a; e dal 2005 è celebrata con l’appoggio dell’Assemblea rabbinica d’Italia. Il giorno scelto è significativamente il 17 gennaio, immediatamente precedente all’inizio della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio vedi articolo). Quest’anno è stata fissata a giovedì 16, per evitare che gli ebrei ne siano impediti in quanto la sera del venerdì ha inizio la festa del Sabato. Senza affrontare grandi questioni teologiche, ebrei e cristiani, incontrandosi, propongono a se stessi e al mondo un modello di vita definito dai dieci Comandamenti, intendendo richiamare la società a una pacifica e ordinata convivenza. Il comandamento proposto quest’anno – “Non ruberai” (Esodo 20,1.15) – è di straordinaria attualità, e va a toccare la generale esigenza di giustizia, tragicamente assente da questo mondo. Non sono in discussione i furti di generi alimentari nei supermercati, ma i “grandi ladrocini” di cui soffre l’umanità e di cui sono vittime milioni di persone, deprivate dall’essenziale in una gestione folle delle risorse di questo mondo. È facile prendersela con i piccoli “ladri di polli” che non sfuggono alla repressione della giustizia, mentre si è impotenti nei confronti dei grandi “ladroni” di cui si è parlato di recente anche sul nostro giornale. Papa Francesco continuamente denuncia questo ingiusto stato di cose, in cui la gente muore di fame mentre vi è spreco di denaro, di risorse e di cibo. In ambito più ristretto, sentendo le quotidiane notizie di ruberie di vario genere che provengono dal mondo politico e amministrativo della cosa pubblica e di enti privati, di frodi fiscali e finanziarie, di eccesso di sperequazione tra categorie di persone, si può comprendere l’urgenza del “Non rubare”. Vi è anche un lato meschino della faccenda, nel tentativo disperato di una categoria di amministratori e politici di tenersi alti salari e privilegi. Di questi giorni, la battaglia dei rimborsi per la benzina dei consiglieri regionali è un piccolissimo sintomo di una mentalità chiusa che non guarda fuori della porta di casa e non è preoccupato se non del suo conto in banca. A mio avviso, questo comandamento dovrebbe mettere in crisi la coscienza di quelle persone che prendono alti stipendi senza fare nulla di utile per la società. Per non essere e sentirsi dei parassiti, dovrebbero almeno spendere una consistente parte del proprio denaro per la promozione sociale, opere di pubblica utilità, dare lavoro ai disoccupati, sostenere opere sociali. Vi sono invece alti funzionari e professionisti con grosse somme da parte e con pensioni d’oro o d’argento che non pensano minimamente ad agire con giustizia e carità, limitandosi, se sono cristiani praticanti, a dare la “monetina della vedova” in chiesa. Vi è anche dell’altro, evidentemente. Zone riservate di splendida bontà e carità, segni di speranza. Segni, piccoli e belli, per non disperare.

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Nel nome santo di Dio https://www.lavoce.it/nel-nome-santo-di-dio/ Fri, 13 Dec 2013 09:06:17 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21044 La notizia appresa ascoltando la rassegna stampa che Padre Livio fa a Radio Maria, il 10 scorso, è che una setta satanica ha proposto di costruire un monumento a Satana nella città di Oklahoma City negli Stati Uniti. La statua dovrebbe essere posta accanto al monumento ai Dieci comandamenti. Non avrei dato troppa importanza a questa notizia perché a satana non bisogna dare voce né metterlo in pagina. Mi sono però ricordato che Carducci a suo tempo aveva scritto un Inno a satana. Pensavo di dover polemizzare con gli americani e invece noi li abbiamo preceduti in qualche modo. Sono poi andato a vedere ed ho notato che c’è qualche buona differenza. L’inno di Carducci non ha nulla di veramente satanico in senso religioso. È piuttosto un inno alla ribellione, al progresso, al libero pensiero in un periodo di rivoluzione politica e culturale in pieno Risorgimento carico di anticlericalismo. In altre poesie, come nel Canto dell’amore (1877), così amato dai perugini, Carducci si dichiara riconciliato con “le Madonne che vide il Perugino” teneramente descritte con il Bambino in braccio e disposto persino a brindare con il papa. A parte tale confronto che potrebbe svilupparsi per le lunghe, la cosa è seria: il segnale di una deriva diffusa che comporta una serie di abbandoni della dimensione trascendente della divinità. Anche se movimenti culturali di questo genere sono vecchi e secolari ogni tanto affiorano con evidenza ed hanno una risonanza maggiore. Possono essere collegati con una ripresa del fenomeno religioso che dal settecento in poi si riteneva in fase di estinzione. Quelli che pensavano di aver archiviato le religioni nel museo delle superstizioni si trovano spaesati e ritirano fuori vecchie teorie rispolverate nelle quali si propone una morale senza fede, una fede nell’umanità senza la divinità, una religione atea, dei riti senza grazia, delle chiese come luoghi di ricarica psicologica. L’ultima e più suadente ipotesi è stata ipotizzata per il futuro nel convegno di fine novembre sul “Custodire l’umanità” dal filosofo Salvatore Natoli. Trattando di secolarizzazione e di globalizzazione, ha posto l’accento sulla trasformazione delle religioni e ha descritto il fenomeno dei tanti islamismi, dei tanti buddismi, delle tantissime forme di cristianesimo e delle altre denominazioni religiose. In questa prospettiva, a suo avviso, si va configurando una progressiva perdita del senso della trascendenza. La questione su Dio perde di rilevanza e ciò che rimane è un cristianesimo in cui predomina la giustizia, la carità, la misericordia, la vicinanza al povero, al malato. Dio è là dove è la carità. Questo ragionamento ci porta a dire che dalla lotta contro Dio in nome di satana, alla morale senza fede, alla religione senza Dio, si giunge ad un cristianesimo anch’esso lontano da ogni riferimento a Dio, alla sua rivelazione, al suo dono, esaurendo il mistero cristiano nella dimensione sociale che sfocia in una forma di etica e politica della felicità. Questa deriva è attraente e scivolosa e porta a considerare Dio un nome privo di senso o un semplice aggettivo, come quando si dice “una giornata o una giocata da dio”.

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Ignoranza di Dio e nuova evangelizzazione https://www.lavoce.it/ignoranza-di-dio-e-nuova-evangelizzazione/ Thu, 26 Sep 2013 11:14:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=19264 Mons. Giuseppe Chiaretti
Mons. Giuseppe Chiaretti

Un articolo de La Voce di venerdì 30 agosto sui risultati di una ricerca Eurisko (clicca qui per leggere l’articolo) commissionata dalla Chiesa valdese si apre con un giudizio impietoso: “Una elevata punta di italiani si definisce senza esitazione cattolica; ma a questa ‘identità’ corrisponde un assoluto analfabetismo religioso. Oltre il 50% ha idee confuse sugli autori della Bibbia; meno di due italiani su dieci sono in grado di citare i dieci Comandamenti; il 41% ne ricorda uno solo, di solito ‘non uccidere’ o ‘non rubare’”… E via di questo passo. Una “bella” notizia, non c’è che dire! Non a caso il Concilio Vaticano II si svolse lungo il filo conduttore di una rinnovata catechesi ed evangelizzazione. Ne scrissero tutti i Papi che si sono succeduti: sia Paolo VI con la Evangelii nuntiandi del 1975, sia Giovanni Paolo II con la Christifideles laici del 1988, sia Papa Benedetto con la trilogia su fede, speranza, carità, sia il Sinodo dei vescovi lo scorso anno. Mi sia consentito un ricordo personale. Come segretario della Commissione presbiterale italiana partecipai a una seduta della nascente Cei, nella quale i Vescovi avanzarono la proposta di non battezzare più i figli di famiglie poco o nulla praticanti. I delegati francesi consigliarono di essere cauti, perché anch’essi avevano fatto così, ma le chiese s’erano svuotate. Nacque allora l’idea di ritornare all’antico catecumenato per “rifare” i cristiani. Allo scopo fu pubblicato il “Rica” (Rito di iniziazione cristiana degli adulti) e furono scritti i nuovi Catechismi per gli adulti e per i giovani. Grande fu il fervore di quegli anni, che si spense però un po’ alla volta, dissolvendosi in una routine pastorale di conservazione dell’esistente.

movimenti-ecclesialiNel frattempo qualcosa è egualmente nato a opera di laici: sono i movimenti ecclesiali, che si sono fatti carico di una graduale, paziente, continuativa, verificata formazione cristiana di adulti e di giovani com’era all’origine della Chiesa, con diverse metodologie e linguaggi, ma con lo stesso scopo di formare piccole comunità cristiane come lievito nella massa. Sono stati approvati esplicitamente dai Papi, ma sono guardati ancora con una certa diffidenza. Il beato Giovanni Paolo II ha ripetuto in tutti i modi che è tempo di nuova evangelizzazione, spiegando concretamente, l’aggettivo “nuova” da lui usato: nuovo per il fervore degli evangelizzatori, per le metodologie adottate, per i linguaggi usati. È vero che nel frattempo è cambiata radicalmente la società, con l’iper-produzione delle fonti informative e con abitudini di vita condizionate da quella cultura che Papa Benedetto ha definito di “ateismo spirituale” e di “dittatura del relativismo”. Stanno aumentando anche gli adepti di sette con “convertiti” raggiunti porta-a-porta, lo svuotamento graduale delle chiese, la crisi dei matrimoni, l’accumulo spregiudicato del denaro da parte di organismi finanziari e degli speculatori, l’esaurimento di associazioni pur benemerite, ecc. Resiste ancora (ma fino a quando?) la pietà popolare; è pure cresciuto, per le note contingenze economiche, l’impegno assistenziale delle Caritas; sta interessando molto l’opinione pubblica la singolare figura dell’attuale Vescovo di Roma, cioè Papa Francesco, il quale non risparmia “punzecchiature” a una Chiesa un po’ stanca e distratta. Attendiamo con ansia la sua riflessione conclusiva sul Sinodo dei vescovi con le 56 propositiones che l’hanno riassunto, ove non si manca di fare menzione, più volte, proprio dei movimenti ecclesiali.

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Affettuosa e sicura https://www.lavoce.it/affettuosa-e-sicura/ Thu, 19 Sep 2013 14:10:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=19141 bambino-mammaNell’udienza generale di mercoledì 18 settembre Papa Francesco ha proseguito le riflessioni sui titoli della Chiesa, anzi ha eccezionalmente ripreso il tema della settimana scorsa, la Chiesa come “Madre”. “A me piace tanto questa immagine della Chiesa come Madre – ha spiegato. – Per questo ho voluto ritornarvi, perché questa immagine mi sembra che ci dica non solo come è la Chiesa, ma anche quale volto dovrebbe avere sempre di più la Chiesa”.

“Vorrei sottolineare tre cose – ha quindi aggiunto -, sempre guardando alle nostre mamme”. Prima di tutto, una madre “insegna a camminare nella vita, insegna ad andare bene nella vita, sa come orientare i figli, cerca sempre di indicare la strada giusta nella vita per crescere e diventare adulti. E lo fa con tenerezza, con affetto, con amore, sempre anche quando cerca di raddrizzare il nostro cammino perché sbandiamo un poco nella vita o prendiamo strade che portano verso un burrone. Una mamma sa che cosa è importante perché un figlio cammini bene nella vita; e non l’ha imparato dai libri, ma l’ha imparato dal proprio cuore. L’Università delle mamme è il loro cuore!…

La Chiesa fa la stessa cosa: orienta la nostra vita, ci dà degli insegnamenti per camminare bene. Pensiamo ai dieci Comandamenti: ci indicano una strada da percorrere per maturare, per avere dei punti fermi nel nostro modo di comportarci. E sono frutto della tenerezza, dell’amore stesso di Dio che ce li ha donati. Voi potrete dirmi: ‘Ma sono dei comandi! Sono un insieme di no’! Io vorrei invitarvi a leggerli – forse li avete un po’ dimenticati – e poi di pensarli in positivo. Vedrete che riguardano il nostro modo di comportarci verso Dio, verso noi stessi e verso gli altri, proprio quello che ci insegna una mamma per vivere bene”.

In secondo luogo, man mano che passano gli anni, “la mamma sempre, in ogni situazione, ha la pazienza di continuare ad accompagnare i figli… Penso alle mamme che soffrono per i figli in carcere o in situazioni difficili: non si domandano se siano colpevoli o no, continuano ad amarli, e spesso subiscono umiliazioni, ma non hanno paura, non smettono di donarsi. La Chiesa è così, è una mamma misericordiosa, che capisce, che cerca sempre di aiutare, di incoraggiare”.

Infine, “una mamma sa anche chiedere, bussare a ogni porta per i propri figli, senza calcolare: lo fa con amore. E penso a come le mamme sanno bussare anche e soprattutto alla porta del cuore di Dio!… E così fa anche la Chiesa: mette nelle mani del Signore, con la preghiera, tutte le situazioni dei suoi figli. Confidiamo nella forza della preghiera di Madre Chiesa: il Signore non rimane insensibile. Sa sempre stupirci quando non ce l’aspettiamo. La Madre Chiesa lo sa!”.

La misericordia era anche al centro dell’Angelus di domenica 15, in riferimento alla liturgia del giorno che presentava il capitolo 15 del Vangelo di Luca. Tre le parabole in esso contenute: quella della pecora smarrita, quella della moneta perduta, e quella del figlio ‘prodigo’. “Tutte e tre queste parabole parlano della gioia di Dio. Dio è gioioso. Interessante questo: Dio è gioioso! E qual è la gioia di Dio? La gioia di Dio è perdonare!”

“Qui c’è tutto il Vangelo! – ha esclamato.- Qui c’è tutto il cristianesimo! Ma guardate che non è sentimento, non è ‘buonismo’. Al contrario, la misericordia è la vera forza che può salvare l’uomo e il mondo dal ‘cancro’ che è il peccato, il male morale, il male spirituale. Solo l’amore riempie i vuoti, le voragini negative che il male apre nel cuore e nella storia. Solo l’amore può fare questo, e questa è la gioia di Dio…

Il pericolo qual è? È che noi presumiamo di essere giusti, e giudichiamo gli altri. Giudichiamo anche Dio, perché pensiamo che dovrebbe castigare i peccatori, condannarli a morte, invece di perdonare. Allora sì che rischiamo di rimanere fuori dalla casa del Padre!” .

E ha concluso: “Io vi chiedo una cosa, adesso. In silenzio, tutti, ognuno pensi a una persona con la quale non stiamo bene, con la quale ci siamo arrabbiati, alla quale non vogliamo bene. Preghiamo per questa persona e diventiamo misericordiosi con questa persona”.

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“Onora tuo padre e tua madre” https://www.lavoce.it/onora-tuo-padre-e-tua-madre/ Thu, 20 Jan 2011 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=9050 Cono sicuro che molti diranno che un giornale dovrebbe raccontare cose nuove e, come si dice, stare sulla notizia e non ripetere cose vecchie di secoli o millenni come quella riportata nel titolo. Eppure c’è sempre qualcosa di nuovo da dire. Ad esempio, non tutti sanno che questo precetto che per i cattolici è detto il quarto comandamento, per gli ebrei è “la quinta parola”, delle “dieci parole” che conosciamo come i dieci comandamenti o decalogo. Non cambia molto. Eppure un nostro conoscente, di altra confessione cristiana, ci ha rimproverato perché nel formulare un invito abbiamo scritto “quarto comandamento”, come nel catechismo cattolico e ciò gli è suonato come una prevaricazione cattolica. Quando si dice dei fondamentalismi! Non facciamo polemiche. L’importanza dei comandamenti è data dalla loro osservanza e non dalla numerazione che è assicurata: sono sempre dieci, per ebrei, protestanti, cattolici e ortodossi. Una diversità, invero, c’è riguardo all’osservanza del sabato che i cristiani hanno sostituito con la domenica, giorno del Signore e della sua risurrezione formulando la dicitura: “ricordati di santificare le feste”. Qui il discorso si farebbe lungo, ma non sarebbe inopportuno, perché i comandamenti sono la legge fondamentale dell’umanità che da sola potrebbe consentire l’ordine e la pace nel mondo.Per ora ritorniamo alla “quinta parola”, scelta quest’anno per la “Giornata dell’Ebraismo”, dedicata dalla Chiesa italiana alla riflessione sulla religione e la cultura ebraica. Pochi, al di fuori della comunità cattolica, conoscono l’iniziativa della Chiesa italiana iniziata fin dal 1990. Il tema si è scelto di comune accordo e segue il criterio di affrontare ogni anno come oggetto di riflessione un comandamento, presentato alle comunità cattoliche e ebraiche con un commento sottoscritto dal rabbino presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia, Rav Elia Richetti e dal presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo mons. Mansueto Bianchi. Questa giornata è stata fissata al giorno 17 gennaio, vigilia dell’inizio della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, prospettando con questa scelta la connessione dell’impegno sacro per ebrei e cristiani di costruire un mondo unito e pacifico nel rispetto della suprema legge di Dio.Il prossimo 27 gennaio si celebra la “Giornata della memoria”, scaturita da una legge dello Stato italiano, la 211/ 2000. La diversità tra questa Giornata della memoria, che ha risonanze anche politiche, e quella del 17 gennaio esclusivamente religiosa è evidente. L’una non esclude l’altra. Sarebbe però bene non emarginare – cosa che avviene nelle scuole – né le altre vittime del nazismo, quale la strage dei Rom ricordata da Impagliazzo all’Università per stranieri di Perugia (vedi art. p.12), né la forte carica etica dei comandamenti da noi ereditati dagli ebrei, che, anche per questo, Benedetto XVI ha detto di non chiamare più “Fratelli maggiori”, ma “Padri nella fede”.Penso che in questo strano momento dell’Italia impazzita e umiliata, non ci sia cosa migliore da fare che riprendere in mano i comandamenti di Dio.

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Le dieci parole https://www.lavoce.it/le-dieci-parole/ Thu, 19 Jan 2006 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=4910 In questi giorni si parla degli Ebrei, una volta tanto non dello Stato d’Israele e della sua politica, né del conflitto con i palestinesi, e neppure dei fermenti di antigiudaismo che serpeggiano qua e là tra gruppi di giovani sprovveduti, ma della loro storia e del patrimonio culturale che hanno consegnato al mondo. Si è appena conclusa la giornata per l’approfondimento della conoscenza dell’ebraismo proposta da cattolici ed ebrei che ritorna ormai da sedici anni nella data del 17 gennaio ed in questa occasione ebrei e cattolici si sono trovati d’accordo, senza ombra di dubbio, nel riproporre con forza e convinzione, ‘la legge di Dio’, conosciuta come ‘Decalogo’, parola greca composta che significa ‘dieci parole’.

Dieci parole che indicano una via da percorrere per avere una vita buona e una società umana degna di essere vissuta. Dieci parole per evitare che il mondo precipiti nel degrado morale e nella corruzione della libertà.

Queste parole della Bibbia ebraica, accolte e riproposte da Gesù ai suoi discepoli, il rabbino Giuseppe Laras, presidente dell’Assemblea dei rabbini d’Italia, le ha definite una ‘vera e propria stella polare della fede e della morale del popolo di Dio’. Ha aggiunto che sono anche ‘il grande codice’ della civiltà etica dell’intera umanità, dato che esse identificano bene e male, giusto e ingiusto, vero e falso rispondendo a criteri propri della coscienza retta di ogni creatura umana. Nel proporre queste dieci parole in questo momento storico all’intera umanità non si intende traferire la regola di comportamento propria della cultura di un popolo ad altre culture e altri contesti e neppure imporre una legge fredda ed astratta calata dall’alto. Il decalogo, dato sul monte in mezzo al deserto, come in un luogo fuori dello spazio e del tempo segna l’alleanza universale tra l’Io e l’Altro, tra l’Alto della trascendenza e il profondo della coscienza, tra le libertà e la responsabilità.

Le Dieci parole costituiscono anche il fondamento e il criterio di legittimità per l’elaborazione di ogni legislazione umana, religiosa e civile, la fonte ispiratrice di ulteriori possibili codici etici. La loro fedele osservanza permette di realizzare la giustizia e la pace nel mondo. Si evita così che vengano costruiti modelli disumani di comportamento che portano alla violenza sotto tutte le forme, propagandata da ideologie disumane o da personaggi grotteschi, esaltati e persi nelle manie di potenza. Rileggere il famoso testo dell’Esodo (cap. 20) a ricordo della shoah (il 27 gennaio si celebra la Giornata della memoria) e delle tragiche esperienze di cui fa spettacolo la storia contemporanea, può essere la maniera migliore per comprenderne il valore e la decisiva importanza per i futuro dell’umanità.

Lo ha voluto ricordare anche papa Benedetto XVI, a Colonia nella visita alla sinagoga l’agosto scorso (presto visiterà anche quella di Roma, invitato dal rabbino capo Riccardo Di Segni): ‘Il decalogo è per noi patrimonio e impegno comune. I Dieci comandamenti non sono un peso, ma l’indicazione del cammino verso una vita riuscita’.

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